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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PALERMO Il Giudice del ### Dott. ### nella causa civile iscritta al n° 14930/2024 R.G.L., promossa #### rappresentato e difeso dagli avv.ti ### e ### ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, sito in #### n. 6. - ricorrente - ###.M. SOCIETÀ ### in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv.to ### ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in #### di ### n. 54. - resistente - All'udienza del 07/11/2025 ha pronunciato la ### mediante lettura del seguente ### parziale accoglimento del ricorso, dichiara la nullità del licenziamento intimato al ricorrente e, per l'effetto, condanna parte convenuta a reintegrare lo stesso nel posto di lavoro, in mansioni coerenti con le prescrizioni che verranno fornite all'esito della visita del medico competente, nonché a versare in suo favore un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento (17.04.2024) sino a quello dell'effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali come per legge e altresì al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Condanna la parte convenuta al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite che liquida in complessivi euro in euro 5.664,00, oltre ### CPA e spese generali come per legge.
FATTO E DIRITTO Con ricorso depositato il ###, il sig. ### avendo premesso di aver lavorato a tempo pieno e indeterminato per la società cooperativa ### F. M. dal 1.04.2021 con la qualifica di operaio addetto ai servizi di igiene e pulizia (di cui al livello 3 del ### di pulizie e servizi integrati/multiservizi del 31.05.2011), con 40 ore di lavoro settimanali, da lunedì a venerdì, da svolgersi presso gli immobili della Corte di Appello di ### e deducendo di essere stato licenziato per giustificato motivo oggettivo, in data ###, con effetto immediato, determinato dal superamento del periodo di comporto previsto dall'art. 52 del ### di categoria, ha convenuto in giudizio la società datrice di lavoro, formulando le seguenti conclusioni: “ - Accertare e dichiarare nullo e/o illegittimo il licenziamento intimato in data ### “per superamento del periodo di comporto” per condotta discriminatoria indiretta del datore di lavoro e per l'effetto: 1) ordinare alla ### F. M. società cooperativa (C.F. ###), la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro; 2) condannare la ### F. M. società cooperativa (C.F. ###), al risarcimento del danno subito dal sig. ### per il licenziamento, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative e comunque non inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto; 3) condannare la ### F. M. società cooperativa (C.F. ###), altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione; - Accertare e dichiarare l'inadempimento del datore di lavoro del ### F.
M. società cooperativa (C.F. ###), dell'obbligo, di assicurare l'integrità fisica e psichica del prestatore di lavoro derivante dal combinato disposto degli artt. 2087 c.c. e artt. 18 , 41 e 42 del d.lgs. n. 81 del 2008 e per l'effetto accertare e dichiarare le assenze maturate dal sig. ### maturate in data successiva al 24.09.2022 e sino al licenziamento per complessivi 247 giorni, o in subordine quelle maturate in data successiva alla visita medica periodica di sorveglianza medica del 03.02.2023 e sino al licenziamento, per complessivi 175 giorni, salvo errore omissiono, non vanno computate nel periodo di comporto. Nel merito: ### e dichiarare nullo e/o illegittimo il licenziamento intimato in data ### “per superamento del periodo di comporto” per violazione della norma imperativa di cui all'art. 2110, co. 2, c.c. e per l'effetto: 1) ordinare alla ### F. M. società cooperativa (C.F. ###), la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro; 2) condannare la ### F. M. società cooperativa (C.F. ###), al risarcimento del danno subito dal sig. ### per il licenziamento, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative e comunque non inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto; 3) condannare la ### F. M. società cooperativa (C.F. ###), altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione; - In via subordinata: ### e dichiarare illegittimo, ingiusto, ingiustificato, inefficace, nullo e/o annullabile, carente di giustificato motivo il licenziamento intimato al ricorrente perché privo di valido e fondato giustificato motivo oggettivo (superamento del periodo di comporto) e per l'effetto: 1) dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento; 2) condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio a far data dal 08.01.2010 o in ulteriore subordine a far data dal 01.04.2021 e comunque in misura non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità. - ### e dichiarare che il ricorrente ha diritto al pagamento dell'indennità di mancato preavviso e per l'effetto condannare parte resistente al pagamento in favore del ricorrente di indennità pari a alla retribuzione globale per giorni 15 di calendario, ovvero la somma maggiore o minore che risulterà in corso di causa e tale sarà ritenuta equa dal G.L., e se del caso previa ### oltre rivalutazione monetarie ed interessi legali come per legge dalla maturazione di ogni singola voce di credito fino all'effettivo soddisfo. - Con vittoria di spese, competenze ed onorari”.
La società convenuta si è costituita in giudizio con memoria depositata il ###, contestando la fondatezza del ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.
La causa, istruita mediante l'audizione dei testi indicati dalle parti, sulle conclusioni dei procuratori delle stesse, è stata decisa all'odierna udienza.
Così ricostruiti i termini della causa, deve essere accolto il primo motivo di ricorso, con cui ### ha chiesto dichiararsi la nullità dell'impugnato licenziamento in quanto discriminatorio ai sensi degli artt. 2, par. 2, lett. b) e 5 della ### 2000/78/CE nonché dell'art. 3, co. 3-bis D.lgs. 216/2003, deducendo che la società datrice di lavoro, nell'intimargli il licenziamento per superamento del periodo di comporto (cfr. all. 3 e 4 produzione ricorrente) non ha tenuto conto della sua condizione di soggetto invalido e portatore di handicap.
In via preliminare occorre verificare se lo stato di salute del ricorrente sia effettivamente riconducibile alla nozione di handicap di cui alla ### 2000/78/CE.
Sul punto, la Corte di Giustizia ha chiarito che tale nozione deve essere intesa come riguardante una “limitazione di capacità, risultante, in particolare, da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche, che, in interazione con barriere di diversa natura, possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale, su un piano di uguaglianza con gli altri lavoratori” (### 9.3.2017, C-406/15).
La Corte di Giustizia ha anche evidenziato che, utilizzando la nozione di “handicap” all'art. 1 della Direttiva, il legislatore eurounitario ha deliberatamente scelto un termine diverso da quello di “malattia”, dovendosi quindi escludere un'assimilazione pura e semplice delle due nozioni. Una malattia, curabile o incurabile, può quindi rientrare nella nozione di handicap solo se comporta: a) “una limitazione della capacità della persona”, che abbia l'attitudine a incidere od ostacolare la vita professionale del lavoratore, e b) “se tale limitazione è di lunga durata” o è “probabile che essa sia di lunga durata” (cfr. ### 11.04.2013, C-335/11 e C-337/11; ### 11.07.2006, C-13/05).
Nel caso di specie, il ricorrente ha riferito che dal 2021 soffre di spasmi muscolari associati a sintomatologia algica lombare e agli arti superiori e inferiori resistente a farmaci analgesici e oppioidi e che, a seguito di indagini mediche e diagnostiche, gli sono state diagnosticate le seguenti patologie: - fibromialgia e reumatismi articolari resistente a trattamento farmacologico (malattia cronica caratterizzata da dolore diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, stanchezza cronica, e riduzione del tono dell'umore) con conseguente depressione ansiosa; - ernia discale cervicale e dorsale con dolore neuropatico agli arti superiori e costale (protrusioni discali ###-###, ###-###, ###-###, ###-###, ###-###); - spondilite anchilosante in elevata attività (### 2.2) con segni di sacro ileite bilaterale (malattia reumatica infiammatoria a lungo termine - cronica - che colpisce la spina dorsale e altre articolazioni, rendendola rigida e causando difficoltà nei movimenti, dolore e limitazione funzionale; la malattia rientra tra le patologie previste dalla legge nelle apposite tabelle ministeriali al fine del riconoscimento dell'invalidità con percentuale che va dall'11% al 100%, cfr. all. n. 12 produzione ricorrente); - ernie e protrusioni lombari irregolari in appoggio su sacco durale (protrusioni discali nei seguenti livelli: ###-###, ###-###, ###-###, L%-###); - iniziali segni di spondilosi lombare con ipertrofia del comparto vertebrale posteriore (all. n. 7 produzione ricorrente).
In relazione a tali patologie, il ricorrente, in data ###, ha formulato all'### domanda di riconoscimento dell'invalidità civile (cfr. all. n. 8 produzione ricorrente) e l'ente previdenziale lo ha dichiarato invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa al 50% dal 24.5.2023, con la seguente diagnosi: "### anchilosante in trattamento farmacologico dal 05/23 (farmaco biologico sospeso da circa un anno), fibromialgia, ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico, mrge, spondiloartrosi del rachide lombare con discopatie multiple, segni di sacroileite bilaterale" (cfr. verbale depositato il ###).
Le malattie diagnosticate al ricorrente, per la loro natura e entità (involgendo sia il sistema osteo-assiale, sia i movimenti degli arti superiori e inferiori, nonché il sistema neuro psichico) hanno determinato una limitazione della sua capacità e ostacolato la sua attività lavorativa di operaio addetto alle pulizie.
Il ricorrente ha infatti riferito che, in considerazione del suo stato di salute, il medico specialista del lavoro, il ###, in occasione della visita medica periodica, gli aveva anticipato verbalmente che avrebbe espresso parere di “idoneità parziale alla mansione con limitazioni”, come ad esempio: adibizione ad attività che non richiedessero lo stazionamento in posizione eretta e la movimentazione di carichi gravosi o il fare uso di strumenti di lavoro quali scale ### e attività che non prevedessero lavori in sospensione o a braccia alzate, flessioni e piegamenti e la pulizia di scale ecc.
La ricostruzione del ricorrente trova riscontro documentale nel certificato di idoneità alla mansione specifica, allegato peraltro da parte convenuta (il che dimostra che la società era perfettamente a conoscenza delle limitazioni alla capacità lavorativa del ricorrente), che esprime parere di idoneità con prescrizione / limitazione: “non movimentare manualmente carichi < 5 kg, evitare posture erette prolungate, attività con arti superiori in elevazione ed utilizzo scale”. Questa valutazione è stata ribadita dal medico specialista, in seguito alla visita periodica di sorveglianza del 25.03.2024, con l'aggiunta che il lavoratore non avrebbe dovuto svolgere attività in esterno (all. n. 3 produzione convenuta). ### il ricorrente, la società non ha tenuto conto del giudizio formulato dal medico competente e lo ha mantenuto alle medesime mansioni già svolte in precedenza (pulire i pavimenti, con attrezzature a mano e a motore; pulire e ordinare scrivania e armadi; spolverare e riordinare i locali; pulire e disinfettare i bagni; pulire porte e finestre; lavare i vetri; svuotare i cestini dei rifiuti; trasportare i rifiuti in determinate aree) che comportavano, inevitabilmente, la prolungata stazione eretta, lo spostamento da un luogo all'altro all'interno del reparto o dello stabile, continue flessioni e piegamenti, utilizzo di scale e lavori in sospensione e movimentazione di pesi anche superiori a 5 kg.
Tali circostanze hanno trovato sostanziale riscontro nelle testimonianze assunte in sede istruttoria. All'udienza del 7.05.2025, il teste ### dipendente della società convenuta, ha infatti riferito di aver lavorato con ### “fianco a fianco, seppur per un breve periodo, circa un paio di mesi, qualche anno fa, non so se nel 2022 o nel 2023. Entrambi svolgevamo mansioni di addetti alle pulizie e quindi pulivamo i pavimenti dei corridoi e delle aule e delle stanze utilizzando stracci e quindi secchi pieni d'acqua, trasportando i sacchetti dell'immondizia dal piano ai cassonetti. Le attività che ho detto venivano svolte manualmente e comportavano anche un impegno fisico, visto che il peso dei secchi d'acqua e dell'immondizia poteva variare. […] I secchi che utilizzavamo avevano una capienza di circa 8 litri e venivano riempiti dal singolo puliziere, mentre, come detto, i sacchi dell'immondizia venivano predisposti da altri e avevano un peso variabile a seconda di quello che c'era dentro ed erano di quelli grandi, sicché potevano partire di 3/4 kg e potevano arrivare ad un peso superiore fino, ad esempio, a 10 kg”. Il teste ha anche riferito che “in qualche occasione il collega stava male e comunque aveva la volontà di lavorare anche se era solo al 30-40 % quindi lo aiutavo e talvolta mi diceva di dover andare via prima della fine dell'orario di lavoro”.
Similmente, il teste ### pure lui collega del ricorrente, avendo lavorato insieme a questi “nella parte finale del suo lavoro, nel 2023, prima di essere licenziato”, ha riferito quanto segue: “entrambi svolgevamo attività di puliziere e lavorando insieme ci dividevamo i tre piani che costituiscono la palazzina, pulendo i pavimenti con lo straccio, spolverando i mobili, le scaffalature e buttando i sacchi dell'immondizia raccolti nel corso della giornata. I secchi dell'acqua che venivano da noi riempiti all'incirca contenevano fino ad una decina di litri di acqua e i sacchi dell'immondizia avevano un contenuto e un peso variabile di circa 6/7 kg più o meno. In quel periodo ricordo che in alcune occasioni il ricorrente era sofferente, me lo diceva ma vedevo che aveva difficoltà a sollevare pesi tanto che lo aiutavo io stesso e talvolta andava via prima della fine dell'orario di lavoro perché stava male, immagino chiedendo il permesso ai superiori. […] Con me, come detto più volte, il ricorrente ha manifestato i suoi problemi fisici e mi ha riferito di averne parlato con i suoi superiori anche se non ho mai assistito a questi dialoghi. Come detto, utilizzavamo dei secchi che riempivamo d'acqua e io stesso da circa un anno, avendo problemi alla schiena non riempio il secchio se non a metà per renderlo più leggero.
Utilizziamo da molti anni un carrello sul quale carichiamo oltre gli attrezzi delle pulizie il secchio e il sacco dell'immondizia. Provvediamo noi ovviamente a scaricare l'acqua e a spostare il sacco pieno. Per quella che è la mia personale esperienza siamo noi pulizieri a svuotare i singoli cestini dei singoli uffici all'interno del sacco grande che poi chiudiamo e andiamo a buttare. Quando lavoravamo insieme utilizzavamo entrambi lo stesso metodo di lavoro e quindi il carrello e ci occupavamo dello svuotamento dei cestiti e di buttare poi il sacco nell'immondizia. Preciso, infine, che quest'ultimo veniva da noi trasportato a mano dal reparto all'area di competenza dal momento che il carrello doveva rimanere all'interno del reparto stesso e se era pesante ci aiutavamo”.
Rilevanti sono anche le dichiarazioni rese dal teste ### responsabile del personale addetto alle pulizie per la società convenuta, che all'udienza del 10.09.2025 ha descritto l'attività lavorativa dei dipendenti: “Gli operai sono suddivisi per i vari ambienti della palazzina e si occupano, come detto, delle pulizie adoperando scopa, paletta, mocio e per lavare a terra utilizzano anche un secchio capiente circa 10 litri. Per spostare il materiale da lavoro si utilizza un carrello. Gli operai si occupano altresì di raccogliere i sacchi di immondizia che fino a pochi mesi fa erano pieni di indifferenziata dal peso variabile, che poteva in linea di massima arrivare massimo a 7 chili”.
Dalle testimonianze, dunque, emerge con chiarezza che le patologie di cui era affetto il ricorrente gli rendevano faticoso lo svolgimento delle mansioni affidategli - mansioni che comportavano anche il sollevamento e il trasporto di secchi d'acqua e sacchi della spazzatura che potevano avere un peso superiore a 5 kg - tanto che in alcune occasioni i colleghi, avendolo visto sofferente e in difficoltà nel sollevare quei pesi, avevano dovuto aiutarlo.
Inoltre, talvolta il ricorrente, a causa di tali sofferenze, aveva dovuto lasciare il lavoro in anticipo e comunque era stato costretto ad assentarsi spesso (come emerge anche dall'all. n. 18 produzione ricorrente).
Come già anticipato, una malattia può rientrare nella nozione eurounitaria di handicap solo se comporta una limitazione della capacità della persona “di lunga durata” (o che è “probabile che essa sia di lunga durata”). Sul punto, giova richiamare ancora una volta i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza eurounitaria, secondo cui il “carattere duraturo della limitazione deve essere esaminato tenuto conto dello stato di incapacità, in quanto tale, dell'interessato allorché è stato adottato l'atto asseritamente discriminatorio nei confronti di quest'ultimo. Tra gli indizi che consentono di considerare duratura una limitazione della capacità figura in particolare la circostanza che, all'epoca del fatto asseritamente discriminatorio, l'incapacità dell'interessato non presentava una prospettiva ben delimitata di superamento nel breve periodo o il fatto che tale incapacità poteva protrarsi in modo rilevante prima della guarigione di tale persona” (### 11.09.2019, C- 397/19).
Ebbene, le patologie diagnosticate al ricorrente hanno determinato una limitazione della sua capacità lavorativa avente carattere duraturo. Invero, alla data in cui la società convenuta ha adottato il provvedimento asseritamente discriminatorio, ossia il licenziamento per superamento del periodo di comporto, intervenuto il ###, l'incapacità lavorativa del ricorrente non appariva in fase di superamento nel breve periodo.
Per queste ragioni, si può concludere che la condizione patologica del ricorrente rientri nella nozione di handicap ai sensi della ### 2000/78/CE e del d.lgs. 216/2003 avendo determinato, in interazione con barriere di diversa natura (in particolare i pesi che il lavoratore era tenuto a sollevare o spostare) una limitazione di lunga durata della capacità lavorativa dello stesso, tale da impedirgli una piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Al ricorrente trova dunque applicazione la richiamata disciplina protettiva della ### 2000/78/CE che ha stabilito un “quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro” che vieta “qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali” (12° ### e attribuisce alle autorità giudiziarie nazionali “la valutazione dei fatti sulla base dei quali si può argomentare che sussiste discriminazione diretta o indiretta” (15° ###. ###. 2, par. 2, lett. b) della ### definisce la nozione, evocata dal ricorrente, di discriminazione indiretta, precisando che essa sussiste “quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio […] le persone portatrici di un particolare handicap […] rispetto ad altre persone, a meno che: i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che ii) nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all'articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi”. ###, inoltre, sancisce l'importanza di mettere a punto “misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro” al fine di “combattere la discriminazione basata sull'handicap” (16° ###. In particolare, l'art. 5 prescrive che “per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l'onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili”. La norma eurounitaria ha trovato attuazione con l'art. 3, co. 3-bis del D.lgs. 216/2003, alla stregua del quale: “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla ### delle ### sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori”.
In tema di licenziamenti, la Corte di Giustizia dell'### ha chiarito che “l'articolo 5 della direttiva 2000/78 osta a una normativa nazionale in conformità della quale il datore di lavoro può porre fine al contratto di lavoro a motivo dell'inidoneità permanente del lavoratore a svolgere i compiti a lui incombenti in forza di tale contratto, causata dal sopravvenire, nel corso del rapporto di lavoro, di una disabilità, senza che tale datore di lavoro debba prima prevedere o mantenere soluzioni ragionevoli al fine di consentire al lavoratore di conservare il suo posto di lavoro, né dimostrare, eventualmente, che siffatte soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato” (### 18.01.2024, C-631/22, punto 53).
Con particolare riferimento ai casi di licenziamento di un soggetto portatore di handicap per superamento del periodo di comporto, la Corte di Giustizia ha affermato che spetta al giudice nazionale valutare se la norma del ### di categoria, che prevede un periodo di comporto uniforme per tutti i lavoratori interessati “senza tener conto di un'eventuale disabilità, possa comportare uno svantaggio particolare a danno dei lavoratori disabili" (### 11.09.2025, C-5/24, punto 40).
Nella citata pronuncia, la Corte di ### ha anche evidenziato che il "lavoratore disabile [è], in linea di principio, più esposto al rischio [...] di essere assente per problemi di salute, a causa della sua disabilità o di una malattia connessa alla sua disabilità.
Pertanto, tale lavoratore corre un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza" e, quindi, di raggiungere il limite del periodo di comporto previsto dalla norma del ### sicché la regola da essa prevista "è idonea a svantaggiare i lavoratori disabili e, dunque, a comportare una differenza di trattamento indirettamente basata sull'handicap ai sensi dell'art. 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78" (punto 43).
Può dunque reputarsi discriminatoria la norma legislativa o contrattuale che, limitando ad un determinato numero di giorni di assenza l'avvenuto superamento del periodo di comporto, trovi indistinta applicazione al lavoratore portatore di handicap. Ciò in quanto la disciplina sul comporto, pur essendo una disposizione di per sé neutra, finisce per porre il portatore di handicap in una condizione di particolare svantaggio rispetto agli altri lavoratori, atteso che la persona disabile è, per tale condizione, di solito costretta a un numero di assenze di gran lunga superiore rispetto agli altri.
Tale assunto ha trovato conferma anche nella giurisprudenza della Cassazione, secondo cui “costituisce discriminazione indiretta”, che ricorre, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. b), D.lgs. 216/2003 (normativa di attuazione della ### 2000/78/CE), “l'applicazione dell'ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio” e ciò “perché, rispetto a un lavoratore non disabile, il lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a una malattia collegata alla sua disabilità, e quindi soggetto a un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e di raggiungere i limiti massimi di cui alla normativa pertinente” (Cass. n. 9095 del 31/03/2023).
Quanto al profilo dell'onere della prova, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, nei giudizi antidiscriminatori i criteri di riparto non seguono i canoni ordinari di cui all'art. 2729 c.c., bensì quelli speciali di cui all'art. 4 del d.lgs. 216/2003, che non stabiliscono tanto un'inversione dell'onere probatorio, quanto, piuttosto, un'agevolazione del regime probatorio in favore del ricorrente, prevedendo una "presunzione" di discriminazione indiretta; ne consegue che il lavoratore deve provare il fattore di rischio, e cioè il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, ed il datore di lavoro le circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta ( n. 9095 del 31/03/2023).
Calando questi principi nella vicenda che ci occupa, è preliminarmente necessario prendere in esame la normativa contrattuale, applicata dalla società convenuta, nella parte in cui disciplina il licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto, per verificare se essa realizza una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori portatori di handicap.
Ebbene, l'art. 51 del ### pulizia, servizi integrati, multiservizi prevede che “il diritto alla conservazione del posto viene a cessare qualora il lavoratore anche con più periodi di infermità raggiunga in complesso 12 mesi di assenza nell'arco di 36 mesi consecutivi. Ai fini del trattamento di cui sopra si procede al cumulo dei periodi di assenza per malattia verificatisi nell'arco temporale degli ultimi 36 mesi consecutivi che precedono l'ultimo giorno di malattia considerato” (all. n. 14 produzione ricorrente).
La norma trova indistinta applicazione, senza tenere in alcuna considerazione la possibile condizione di disabilità del lavoratore, ed è perciò astrattamente idonea a realizzare una discriminazione indiretta basata sull'handicap ai sensi dell'art. 2, par. 2, lett. b), della ### 2000/78/CE.
Occorre tuttavia evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che la normativa (legislativa o contrattuale) può prevedere un limite massimo in termini di giorni di assenza per malattia del lavoratore disabile, anche ai fini di combattere fenomeni di assenteismo per eccessiva morbilità (che può integrare, secondo la Corte di Giustizia, una finalità legittima di politica occupazionale ai sensi dell'art. 2, par. 2, lett. b della Direttiva 2000/78/CE), purché tale legittima finalità venga attuata con mezzi appropriati e necessari, e quindi proporzionati. Pertanto, “la necessaria considerazione dell'interesse protetto dei lavoratori disabili, in bilanciamento con legittima finalità di politica occupazionale, postula […] l'applicazione del principio dell'individuazione di soluzioni ragionevoli per assicurare il principio di parità di trattamento dei disabili, garantito dall'art. 5 della direttiva 2000/78/CE (ovvero degli accomodamenti ragionevoli di cui alla ### sui diritti delle persone con disabilità, alla cui luce vanno interpretate le direttive normative antidiscriminatorie UE)” (Cass. n. 9095 del 31/03/2023).
Appare quindi cruciale, ai nostri fini, verificare se il datore di lavoro abbia adottato “soluzioni ragionevoli”, cioè abbia preso i provvedimenti organizzativi appropriati, in funzione delle concrete esigenze del lavoratore, per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, come prescritto dall'art. 5 della Direttiva 2000/78/CE. In caso contrario, non potrà che pervenirsi alla conclusione che l'applicazione della norma contrattuale sul licenziamento per superamento del periodo di comporto abbia concretizzato una condotta discriminatoria indiretta in danno del lavoratore.
Nella vicenda che ci occupa, non risulta che la società datrice di lavoro, convenuta in giudizio, abbia adottato misure organizzative idonee a garantire al ricorrente di poter svolgere la sua prestazione lavorativa in condizioni di uguaglianza con gli altri lavoratori.
Dalle risultanze probatorie, infatti, emerge anzitutto che la società era stata messa a conoscenza dello stato di salute del sig. ### e che, ciononostante, l'unica concreta misura adottata nei suoi confronti sia stata quella di impiegarlo come “jolly”, cioè in sostituzione di colleghi assenti nelle rispettive aree di competenza.
Sul punto, il teste ### ha riferito quanto segue: “Per un certo periodo che però non so individuare, il ricorrente, come è avvenuto anche per altri colleghi, ha fatto da ‘jolly' nel senso che anziché essere assegnato in pianta stabile ad un'area specifica del ### di Giustizia era chiamato di volta in volta a sostituire i colleghi assenti nelle loro aree di competenza. Anche in questi casi svolgeva le mansioni di pulizia che ho già descritto.
Ricordo che il ricorrente ebbe a riferirmi delle sue limitazioni fisiche e mi disse di averne parlato anche con i capi squadra, i sig.ri ### e ### senza che però questo avesse comportato alcun mutamento nelle sue mansioni. Io non ho personalmente assistito a questi dialoghi. Sebbene non possa essere preciso con i tempi, se non sbaglio, quando lui svolgeva compiti da ‘### parlò con me delle sue condizioni di salute e ciò intorno al 2023 quindi verso la fine del suo rapporto venne assegnato in pianta stabile alle palazzine del nuovo palazzo di giustizia, anche se non so se per sua volontà o dell'azienda”.
Il teste ### in quanto responsabile del personale, ha fornito sul punto ulteriori dettagli: Il ricorrente era addetto alle mansioni di puliziere […] e ricordo che in un certo momento ebbe a manifestare a me le sue difficoltà fisiche e visto che il lavoro che ho descritto non è particolarmente pesante, gli ho detto che poteva, quando era necessario, riposarsi. Del resto, lavorano anche degli altri operai con delle invalidità i quali ad esempio riempiono per metà il secchio o evitano movimenti per loro difficili, come chinarsi verso il basso o lavorare in alto sempre però senza mai superare l'altezza media di un uomo. Inizialmente il ricorrente era addetto ad uno dei piani della palazzina che si occupava in particolare della pulizia di metà corridoio. Successivamente, proprio a causa delle sue ripetute assenze per malattia, ho preferito considerarlo un “jolly” e quindi assegnarlo ai diversi reparti in base alle esigenze quotidiane, sempre svolgendo le stesse mansioni. Preciso meglio, nel senso che se ben ricordo il ricorrente è stato assegnato al reparto “l” che, come detto, lo impegnava nella pulizia di solo mezzo corridoio, e nel reparto “n” che invece era più impegnativo poiché i due addetti allo stesso dovevano pulire un corridoio e mezzo ciascuno, non ricordo se il ricorrente era prima al reparto “l” e poi “n” o viceversa anzi ho ricordato della sua adibizione al reparto “n” solo perché l'avv. ### ne ha fatto riferimento come chiarimento. Sicuramente da ultimo era un “jolly” e quindi la sua attività era più leggera essendo chiamato a sostituire i lavoratori assenti occupandosi di attività strettamente necessarie e non effettuando pulizie approfondite come gli addetti al reparto”.
In termini simili si è espresso il teste ### vice-capo operaio della società, che si occupava di gestire il personale della cooperativa: “L' attività degli operai che anche io ho svolto da diversi anni, consiste nella pulizia dei locali e dei bagni e delle scale utilizzando scopa, straccio. Per pulire a terra utilizziamo l'acqua riempiendo dei secchi la cui portata massima è di 25 litri e raccogliamo l'immondizia nei cestini svuotandola in sacchi più grandi. Ogni operaio decide quanto riempire il secchio o il sacco dell'immondizia nel senso che non ci sono direttive in tal senso e può quindi decidere se rendere il secchio e i sacchi più leggeri. Tutti gli strumenti che utilizziamo vengono messi in un carrello. Ricordo che il ricorrete era prima addetto alla palazzina “l” quindi ebbe a rappresentare a me e al collega ### dei suoi problemi di salute, che per altro lo hanno portato ad assentarsi più volte dal lavoro e per venirgli incontro gli è stata assegnata la funzione di “jolly” ovvero di istituto del personale assente. Tale compito ovviamente comportava un impegno variabile volta per volta a seconda delle esigenze dei singoli reparti e le mansioni, come detto, non sono mai mutate anche perché, ribadisco, se il suo problema era legato al sollevamento pesi, come era stato precisato dal medico competente, era lui stesso che poteva limitare il peso da trasportare. Non ricordo peraltro se il ricorrente era stato sottoposto a visita medica e vi erano delle prescrizioni del medico competente a noi note. ### di lavoro degli operai è di otto ore, dalle ore 7.00 alle ore 15.00, gli operai hanno la possibilità di gestire il loro tempo come vogliono, compatibilmente con il lavoro da svolgere, nel senso che possono prendere le pause che ritengono e anche se io e il mio collega effettuiamo diversi giri per controllare il loro lavoro non ricordo di aver mai ripreso qualcuno perché era fermo a riposare prendere caffè o altro”.
Dalle testimonianze risulta con chiarezza che la società, pur nella consapevolezza delle difficoltà fisiche del ricorrente, ha mantenuto lo stesso a svolgere le medesime mansioni che eseguiva in precedenza, senza adottare specifici e ragionevoli accomodamenti (ad esempio disponendo che i sacchi della spazzatura non dovessero superare il peso di 5 kg o garantire al lavoratore l'ausilio di un altro dipendente), limitandosi piuttosto a consentire (o, meglio, a tollerare) che il ricorrente prendesse delle pause quando ne sentiva la necessità e di riempire d'acqua il secchio quanto voleva.
Inoltre, persistendo le sofferenze del lavoratore, la società ha infine deciso di utilizzarlo come una sorta di “jolly”, chiamandolo di volta in volta a sostituire colleghi assenti. Quest'ultima disposizione, peraltro, non implicava affatto che il lavoratore potesse svolgere attività meno gravose rispetto agli altri colleghi non disabili (come chiarito dal teste ### “le [sue] mansioni […] non sono mai mutate anche perché, ribadisco, se il suo problema era legato al sollevamento pesi, come era stato precisato dal medico competente, era lui stesso che poteva limitare il peso da trasportare”), trattandosi dunque di misura di per sé neutra, se non addirittura dannosa per il lavoratore, in quanto, imponendogli di cambiare di frequente il reparto dove svolgere la prestazione, non gli consentiva di acquisire una routine lavorativa e quindi una stabilità organizzativa adeguata alle sue necessità.
Infine, la società non ha neppure dato riscontro alla richiesta di cambio turno formulata dal ricorrente (all. n. 9 produzione ricorrente) per consentirgli di effettuare la terapia.
Nella fattispecie in esame, dunque, non risulta che il datore di lavoro abbia concretamente assunto decisioni o posto in essere comportamenti atti ad evitare la discriminazione indiretta in danno del ricorrente. Né, infine, parte convenuta ha dimostrato, né peraltro allegato, che gli accomodamenti necessari avrebbero costituito per la società un onere sproporzionato.
Di conseguenza, il licenziamento per superamento del periodo di comporto, disposto dalla società in applicazione di una norma contrattuale (l'art. 51 del ### di categoria) che non tiene conto della condizione di disabilità del lavoratore e senza aver prima adottato accomodamenti ragionevoli, ha integrato una condotta indirettamente discriminatoria ed è quindi nullo.
Per tutto quanto esposto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, deve essere dichiarata la natura discriminatoria del licenziamento intimato a ### con conseguente diritto del lavoratore di vedersi applicata la massima tutela reintegratoria, ai sensi dell'art. 2, comma 1, d.lgs. 23/2015. Per l'effetto, la società convenuta va condannata all'immediata reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, in mansioni coerenti con le prescrizioni che verranno fornite all'esito della visita del medico competente. Inoltre, sulla base del combinato disposto dei commi 1 e 2 dell'art. 2 d.lgs. 23/2015, la società convenuta va altresì condannata al pagamento al ricorrente di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento (ovvero dal 17.04.2024) sino a quello dell'effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali come per legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
In considerazione dell'ordine di reintegrazione del ricorrente, non può essere accolta la domanda volta ad ottenere la condanna della società convenuta al pagamento, in favore del lavoratore licenziato, dell'indennità di mancato preavviso.
Restano assorbite tutte le altre censure formulate dal ricorrente.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, facendo applicazione dei parametri minimi di cui al DM 147/2022, in euro 5.664,00 per onorari di difesa, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia e della complessità media della stessa, oltre ### CPA e spese generali come per legge. P.Q.M. Come in epigrafe ### deciso in ### il ###.
IL GIUDICE ### provvedimento è stato redatto con la collaborazione del dott. ### magistrato ordinario in tirocinio mirato.
causa n. 14930/2024 R.G. - Giudice/firmatari: Martino Dante