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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ### - ### Il Tribunale di Foggia, ### in composizione monocratica, nella persona del giudice onorario Avv. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I ### iscritta al n. r.g. 4120/2013 promossa da: ### (C.F. ###), con il patrocinio dell'Avv. ### elettivamente domiciliat ###/C, FOGGIA, presso il difensore Avv. ### giusta mandato in atti ATTORE/I contro ### (C.F. ###), con il patrocinio dell'Avv. ### elettivamente domiciliat ###, FOGGIA, presso il difensore Avv. ### giusta mandato in atti ### (C.F. ###), in persona del legale rappresentante p.t., con il patrocinio dell'Avv. #### elettivamente domiciliat ###, FOGGIA, presso il difensore Avv. #### giusta mandato in atti CONVENUTO/I ### parti, in ottemperanza a quanto previsto nel decreto del 11.11.2024 depositavano note di trattazione scritta precisando le proprie conclusioni, che qui si intendono integralmente riportate, e la causa, all'udienza del 21.11.2024, con provvedimento del 13.03.2025 , veniva trattenuta in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c..
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini della dovuta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in termini succinti ed essenziali (artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. ### ha esposto di aver affidato alla società ### s.r.l., con contratto del 12.4.2005, la ristrutturazione dell'immobile di proprietà sito in ### dei ### piazza ### n. 4, progetto e direzione lavori essendo stati assunti dal geom. #### aveva ad oggetto la radicale ristrutturazione dell'edificio, con interventi sia interni che esterni, fra cui il rivestimento a lastre lapidee della facciata prospiciente via dei #### veniva ultimata ed accettata nell'estate del 2005, con immissione dell'attrice nel possesso dell'immobile, senza riserve formali sulla regolare esecuzione dei lavori.
In data ###, a distanza di circa otto anni dalla consegna, si verificava il distacco di una porzione del rivestimento esterno in lastre lapidee applicate sulla facciata prospiciente via dei ### le lastre precipitate al suolo colpivano un'autovettura ### targata ### di proprietà di un terzo, parcheggiata lungo la strada, cagionando rilevanti danni al veicolo. ###, oltre ad esporre a responsabilità verso il terzo proprietario del mezzo, evidenziava - secondo parte attrice - gravi difetti costruttivi dell'opera, tali da comprometterne la sicurezza e l'uso normale. ### denunciava l'accaduto al Comune di ### dei ### che attestava la sussistenza di condizioni meteorologiche avverse in zona nello stesso periodo, con raffiche di vento e danni diffusi ad altri edifici. Contestualmente provvedeva a far riparare l'autovettura danneggiata presso la carrozzeria ### sopportando il costo di € 3.146,00 come da fattura n. 95/2013, ed incaricava la ditta G.R.A. Costruzioni di eseguire opere urgenti di messa in sicurezza e rimozione del materiale pericolante, per un corrispettivo di € 400,00, documentato in atti.
Assumendo che il distacco delle lastre fosse dovuto alla non corretta esecuzione del rivestimento esterno da parte dell'impresa appaltatrice ed alla carente direzione dei lavori da parte del tecnico, l'attrice ha convenuto in giudizio ### s.r.l. e il geom. ### chiedendo accertarsi la loro responsabilità - in via contrattuale e, segnatamente, ai sensi dell'art. 1669 c.c. - per i gravi difetti dell'opera, con condanna solidale al risarcimento dei danni subiti: costi di ripristino dell'immobile, costi di riparazione del veicolo, spese di messa in sicurezza, nonché ogni ulteriore voce di pregiudizio, oltre interessi e rivalutazione, e spese di lite. ### s.r.l., costituitasi con comparsa depositata il ###, ha in via preliminare eccepito la decadenza dell'attrice dalla garanzia per vizi ex art. 1667 c.c. per mancata denuncia entro sessanta giorni dalla scoperta, nonché l'intervenuta prescrizione dell'azione di risarcimento, assumendo l'applicabilità del termine biennale decorrente dalla consegna dell'opera. Nel merito ha negato qualsiasi responsabilità, sostenendo che i danni fossero dovuti a caso fortuito costituito da un evento meteorologico eccezionale (raffiche di vento, trombe d'aria) che aveva colpito l'intero territorio comunale, come emergerebbe dalla missiva del Comune prodotta dall'attrice. Ha aggiunto che l'opera era stata eseguita a regola d'arte, senza contestazioni per oltre otto anni dalla consegna.
La società convenuta ha altresì spiegato domanda riconvenzionale, deducendo di essere ancora creditrice nei confronti della committente della somma di € 7.000,00 a saldo del prezzo contrattuale e di ulteriori importi per lavori extra contratto (pavimento in pietra al piano rialzato in sostituzione di quello previsto, realizzazione di tappeto nella pavimentazione, demolizione e rifacimento scala, fornitura e posa di nuova scala in ferro rivestita in legno, demolizione e ripristino di un vano w.c., chiusura di un vano porta, posa di ringhiere su prospetto, demolizione canna fumaria), per un totale di € 29.050,00, chiedendo la condanna di ### al pagamento di tale complessiva somma oltre accessori.
Il geom. ### costituitosi con comparsa del 17.1.2014, ha chiesto la propria estromissione dal processo, ritenendosi estraneo alla vicenda e deducendo che l'eventuale responsabilità per vizi dell'opera doveva imputarsi esclusivamente all'impresa esecutrice. Ha in ogni caso eccepito, analogamente ad ### la decadenza dell'attrice dalla garanzia e la prescrizione dell'azione, insistendo per il rigetto della domanda per infondatezza in fatto e diritto.
Nel corso del giudizio, espletata la fase ex art. 183, comma 6, c.p.c., le parti hanno articolato prove orali.
Con memoria istruttoria del 20.11.2014, l'attrice ha chiesto l'escussione, tra gli altri, del coniuge ### sulle circostanze della denuncia del vizio e dei successivi sopralluoghi dell'impresa, del legale rappresentante della G.R.A.
Costruzioni sul sopralluogo, preventivo ed esecuzione delle opere urgenti di messa in sicurezza, del titolare della carrozzeria ### sulla riparazione dell'autovettura e sul pagamento della fattura, nonché la prova per testi su modalità di posa del rivestimento e mancata pronta eliminazione del vizio nonostante le segnalazioni. ### ha, a sua volta, richiesto prova testimoniale sul contenuto del contratto di appalto, sulla consegna dell'opera nell'agosto 2005 senza contestazioni, sulla richiesta da parte dell'attrice di numerosi lavori extra contratto e sul mancato pagamento di parte del corrispettivo e delle opere aggiuntive, articolando capitoli in tal senso.
Con ordinanza resa all'udienza del 12.5.2015 il Giudice Istruttore ha ammesso le prove ritenute rilevanti e non superflue, rinviando per l'escussione dei testi e per l'interrogatorio formale deferito all'attrice all'udienza del 1.12.2015.
Alle udienze del 1.12.2015 e dell'8.3.2016 veniva espletato l'interrogatorio formale dell'attrice ### ed escussi i testi ammessi; alle udienze del 31.5.2016 e dell'8.11.2016 le parti rinunciavano reciprocamente all'escussione di alcuni dei testi originariamente indicati.
Dai verbali di prova emergono, in particolare, le dichiarazioni del titolare della carrozzeria ### sig. ### che ha confermato l'avvenuta riparazione dell'autovettura ### danneggiata dalla caduta delle lastre e l'integrale pagamento, da parte dell'attrice, della fattura n. 95/2013 di € 3.146,00; le dichiarazioni del rappresentante della G.R.A. Costruzioni circa l'esecuzione di opere urgenti di messa in sicurezza per l'importo di € 400,00; nonché le dichiarazioni del coniuge dell'attrice in ordine alla dinamica del distacco del rivestimento, ai primi interventi posti in essere ed ai contatti con l'impresa ed il geom. ### All'udienza dell'8.11.2016 il Giudice disponeva CTU tecnica, nominando l'arch. ### la quale ha svolto le operazioni peritali con sopralluoghi in contraddittorio, deposito di relazione ed allegati. ### ha esaminato la facciata, le modalità di posa delle lastre, i materiali e la stratigrafia degli strati di rivestimento, nonché la documentazione tecnica e fotografica prodotta.
Valutati gli esiti dell'istruttoria e della ### il Giudice, all'udienza del 3.10.2017, disponeva mediazione demandata ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010, richiamando anche il limitato valore economico della controversia. ### attivava il procedimento presso organismo di mediazione in data ###; il tentativo si concludeva con esito negativo il ###. ### la fase istruttoria, con decreto del 11.11.2024 veniva disposta per l'udienza del 20.11.2024, la trattazione scritta della causa ai sensi dell'art.127- ter c.p.c.; rilevata la regolare comunicazione del decreto e preso atto delle note di udienza depositate dalle parti, con ordinanza del 13.03.2025 il giudice riservava la causa per la decisione, assegnando alle parti i termini di cui all'art.190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionale e memorie di replica.
Il Tribunale ritiene, in via preliminare, di dover esaminare l'eccezione, sollevata da parte attrice, di tardività della costituzione del convenuto geom. ### con la correlata richiesta di dichiarare improponibili tutte le eccezioni da lui formulate, ivi comprese quelle di decadenza dalla garanzia e di prescrizione dell'azione.
Dagli atti risulta che l'udienza di prima comparizione era originariamente fissata, nell'atto di citazione, per il giorno 15 gennaio 2014 e che il convenuto ### ha depositato la propria comparsa di risposta in data 17 gennaio 2014, dunque oltre il termine di cui all'art. 166 c.p.c. (venti giorni liberi prima dell'udienza indicata in citazione). Non risulta, né è stato provato, che alla data del deposito della comparsa fosse già intervenuto un provvedimento di differimento dell'udienza ai sensi dell'art. 168-bis, quinto comma, c.p.c., tale da spostare in avanti il dies a quo per il computo del termine per la costituzione del convenuto. Deve pertanto ritenersi che la costituzione del geom. ### sia avvenuta tardivamente, con le conseguenze previste dall'art. 167, secondo comma, c.p.c.
Quest'ultima disposizione impone al convenuto di proporre nella comparsa di risposta, a pena di decadenza, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e le eventuali domande riconvenzionali, oltre ad indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che la costituzione oltre il termine di cui all'art. 166 c.p.c. non comporta la nullità della comparsa, né l'estromissione del convenuto dal giudizio, ma determina soltanto la decadenza dalle domande riconvenzionali e dalle eccezioni in senso stretto, nonché la preclusione alla deduzione di nuovi mezzi istruttori, ferma la possibilità di svolgere mere difese e di partecipare alle successive attività processuali (così, originariamente nel rito del lavoro, Cass. 24 gennaio 1997, n. 717; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2571; Cass. 28 marzo 2008, n. 8134, che afferma espressamente la decadenza dall'eccezione di prescrizione in caso di tardiva costituzione; in termini generali, con riguardo al rito ordinario, Cass. 6 febbraio 2019, n. 3467; Cass. 7 marzo 2019, n. 6623).
In applicazione di tali principi, le eccezioni di decadenza e di prescrizione sollevate dal geom. ### - pacificamente qualificabili come eccezioni in senso stretto, non rilevabili d'ufficio dal giudice - devono ritenersi tardive e, come tali, inammissibili, con conseguente impossibilità di esaminarle nella prospettiva autonoma del medesimo convenuto. Analoga sorte subisce ogni altra eccezione in senso stretto eventualmente formulata dal ### ove non riconducibile alla categoria delle mere difese, ossia alla semplice contestazione dei fatti allegati dall'attrice a fondamento della propria pretesa.
Diversamente, non può essere accolta la tesi dell'attrice nella parte in cui pretende di far discendere dalla tardiva costituzione una sorta di nullità insanabile della partecipazione del convenuto al giudizio, tale da imporne l'estromissione.
Né il dato normativo né l'elaborazione giurisprudenziale consentono una simile conclusione. La tardività della costituzione del convenuto incide sul regime delle preclusioni processuali (impedendogli di introdurre eccezioni in senso stretto, domande riconvenzionali e nuovi mezzi di prova), ma non determina alcuna carenza di legittimazione processuale, né alcun difetto di valida instaurazione del contraddittorio. Il rapporto processuale con il geom. ### si è, infatti, validamente instaurato con la notifica dell'atto di citazione; la successiva costituzione, ancorché oltre il termine di cui all'art. 166 c.p.c., vale comunque quale atto di difesa che consente al convenuto di partecipare al giudizio, di svolgere deduzioni difensive di natura meramente oppositiva, di interloquire sulle istanze istruttorie avversarie, di prendere parte alle udienze, alla consulenza tecnica d'ufficio ed alla mediazione demandata, nonché di avvalersi dei rimedi impugnatori conseguenti alla decisione.
Va, pertanto, precisato che la tardiva costituzione del convenuto, da un lato, comporta la decadenza dalle domande riconvenzionali e dalle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio - sicché le eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dal ### non possono essere esaminate e restano irrilevanti ai fini del decidere - e, dall'altro lato, non determina la sua estromissione né impedisce al giudice di pronunciarsi nel merito anche nei suoi confronti, alla luce dei fatti allegati dall'attrice e delle prove ritualmente acquisite, potendosi valorizzare le sole difese non soggette a preclusione (mere contestazioni dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa attorea). Coerentemente, le eccezioni di decadenza e prescrizione saranno valutate esclusivamente in quanto tempestivamente proposte dalla co-convenuta ### s.r.l., la quale si è costituita nei termini di cui all'art. 166 c.p.c.; quanto, invece, alla posizione del geom. ### il giudizio sul merito della domanda potrà svolgersi solo sulla base delle deduzioni difensive ammissibili e delle risultanze istruttorie regolarmente formatesi nel contraddittorio delle parti.
Il Tribunale ritiene infondata anche l'eccezione con cui l'attrice ha dedotto la nullità, se non addirittura l'inesistenza, della procura alle liti rilasciata da ### s.r.l. in favore dell'avv. ### per asserita mancata indicazione del legale rappresentante della società e per l'illeggibilità della relativa sottoscrizione.
In fatto, risulta che la comparsa di costituzione di ### reca, in epigrafe, l'indicazione della società con esatta denominazione sociale e sede ###persona del suo legale rappresentante pro tempore”, nonché la dichiarazione di elezione di domicilio presso lo studio del difensore. A margine del medesimo atto è apposta la procura alle liti, con la consueta formula di conferimento di ampio mandato al difensore “### in pers. leg. rappresentante”, sottoscritta dal rappresentante della società e seguita dalla dicitura “Per autentica” con la sottoscrizione dell'avv. ### La firma del conferente, pur non essendo calligraficamente perfetta, è leggibile come “###”; in ogni caso, la difesa convenuta ha prodotto in atti visura camerale dalla quale risulta che, alla data di conferimento della procura, l'amministratore unico e legale rappresentante di ### s.r.l. era appunto il sig. #### non ha mai allegato in concreto che quella sottoscrizione provenisse da soggetto diverso dal predetto amministratore, limitandosi a prospettare un vizio meramente formale di leggibilità.
Sul piano del diritto, va ricordato che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l'illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce o a margine dell'atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata nella sua denominazione, non determina di per sé invalidità della procura, quando l'identità e la carica del sottoscrittore siano comunque ricostruibili dal testo della procura, dall'atto cui essa accede, dalla certificazione di autografia resa dal difensore, ovvero dall'indicazione di una specifica funzione o carica che consenta di identificarne il titolare tramite i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese. ### hanno chiarito che solo quando la firma illeggibile non sia accompagnata da nessun elemento idoneo a consentire l'individuazione del soggetto che l'ha apposta - e neppure mediante il richiamo ad una funzione o carica specifica - si configura una nullità relativa della procura, eccepibile dalla controparte ai sensi dell'art. 157 c.p.c., che può essere sanata mediante successiva, tempestiva integrazione del dato mancante.
In questo solco si colloca, tra le altre, l'ordinanza della Corte di Cassazione 27 giugno 2017, n. 16005, che - richiamando precedenti quali Cass. 4199/2012, 24112/2013, 7179/2015 e 27403/2014 - ha ribadito che l'illeggibilità della firma non è causa di nullità quando il nome del conferente e la sua qualità di legale rappresentante siano desumibili dal contesto dell'atto o da documenti come la visura camerale; solo in mancanza di tali elementi si ha nullità relativa, sanabile mediante chiara indicazione del nominativo nella prima difesa utile.
Applicando tali principi al caso di specie, non ricorrono i presupposti della nullità prospettata dall'attrice. La società è esattamente individuata in atti; la procura è effettivamente esistente, rilasciata “in persona del legale rappresentante pro tempore”, regolarmente autenticata dal difensore; l'identità del sottoscrittore è oggettivamente riconducibile al sig. ### sia in base alla grafia della firma, sia - e soprattutto - in base alla visura camerale prodotta, che ne attesta la qualità di amministratore unico. In una simile situazione, la possibile difficoltà di lettura immediata della sottoscrizione non incide sulla validità della procura, poiché l'identità e la carica del conferente sono pienamente verificabili aliunde, come richiesto dalla giurisprudenza richiamata.
Ne consegue che non è configurabile né un'inesistenza della procura (che presupporrebbe la totale assenza del conferimento di mandato difensivo), né una nullità in senso tecnico, trattandosi al più di una irregolarità formale comunque superata dalla chiara individuazione, in atti, del soggetto che ha rilasciato il mandato e della sua qualità rappresentativa. ### di nullità o inefficacia della procura alle liti di ### s.r.l. va, pertanto, disattesa, con conseguente piena legittimazione del difensore costituito a rappresentare la società nel presente giudizio.
Quanto alla qualificazione giuridica della fattispecie, il Tribunale osserva che il distacco delle lastre del rivestimento lapideo dei cantonali non integra un mero vizio di finitura ai sensi dell'art. 1667 c.c., ma un “grave difetto” dell'opera ai sensi dell'art. 1669 La giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata, ha chiarito che rientrano nella previsione dell'art. 1669 non solo i vizi che incidono direttamente sulla stabilità dell'edificio, ma anche quelli che riguardano elementi secondari o accessori (impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, pavimentazioni, impianti), quando tali difetti pregiudichino in modo apprezzabile la funzionalità globale del bene, la sua sicurezza o il suo normale godimento, compromettendone la durata e il valore economico. ###, con la sentenza 27 marzo 2017, n. 7756, hanno espressamente affermato che sono gravi difetti “anche quelli che riguardano elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi ecc.), purché tali da compromettere la funzionalità globale dell'opera stessa”, estendendo l'ambito applicativo dell'art. 1669 anche ad interventi di ristrutturazione e manutenzione su immobili preesistenti. In linea con tale impostazione, la successiva Cass. 24 aprile 2018, n. 10048, ha ribadito che la gravità del difetto va valutata in relazione alle conseguenze sulla fruibilità e sulla sicurezza dell'immobile, e non già in base alla sola entità materiale del vizio, includendo fra i “gravi difetti” infiltrazioni, distacchi di rivestimenti ed altre alterazioni che rendano necessario un intervento di rifacimento significativo.
Nel caso concreto, il distacco di lastre lapidee di notevole peso, applicate a tutta altezza sui cantonali della facciata prospiciente la pubblica via, ha determinato un oggettivo pericolo per l'incolumità di persone e cose e ha imposto la rimozione integrale del rivestimento e la sua ricostruzione con criteri tecnicamente corretti. Si tratta, dunque, di un difetto che incide in modo rilevante sulla sicurezza e sulla normale utilizzazione dell'immobile, rientrando a pieno titolo nella nozione di “grave difetto” elaborata dalla giurisprudenza in applicazione dell'art. 1669 c.c. e non di un semplice vizio di finitura soggetto alla disciplina più ristretta dell'art. 1667 In presenza di gravi difetti ex art. 1669 c.c., il termine di responsabilità dell'appaltatore (e del progettista-direttore dei lavori, cui la giurisprudenza riconosce posizione di garanzia autonoma) è decennale dal compimento dell'opera; la denuncia deve essere effettuata entro un anno dalla scoperta e l'azione si prescrive entro un anno dalla denuncia. Il dies a quo del termine di decadenza annuale non coincide con la mera percezione di inconvenienti di scarsa rilevanza, ma con il momento in cui il committente acquisisce una “conoscenza sicura” della gravità del difetto e delle sue cause, conoscenza che può richiedere, secondo Cassazione, anche l'espletamento di accertamenti tecnici necessari a comprendere la reale portata del fenomeno e il nesso causale. In tal senso, la Corte ha più volte affermato che “il termine per la denuncia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti e delle loro cause, e tale consapevolezza può essere postergata all'esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale”.
Rapportando tali principi alla vicenda in esame, va rilevato che l'opera è stata ultimata nel 2005 e che il distacco delle lastre, con manifestazione esterna del difetto strutturale del rivestimento, è avvenuto il 2 febbraio 2013, dunque entro il termine decennale di operatività della garanzia. È solo in tale data che l'attrice ha potuto percepire la gravità del fenomeno (distacco e caduta di lastre su pubblica via, con danno a veicolo di terzo) e la sua riferibilità ad un vizio costruttivo dell'opera; la successiva comunicazione ai convenuti e l'introduzione del presente giudizio nel corso del 2013 risultano pertanto eseguite entro il termine annuale di decadenza e di prescrizione previsto dall'art. 1669 c.c. Le eccezioni di decadenza e prescrizione fondate sui termini di cui all'art. 1667 c.c. (sessanta giorni per la denuncia e due anni dalla consegna per l'azione) non possono trovare ingresso, perché muovono da una qualificazione della fattispecie come “vizi semplici” che il Tribunale non condivide; e, comunque, anche volendo in astratto richiamare l'art. 1667, la decorrenza del termine dalla “scoperta” del vizio imporrebbe di riferirsi al momento in cui il difetto si è esteriorizzato in modo apprezzabile, e cioè proprio all'episodio del 2 febbraio 2013, sicché anche sotto tale diverso profilo la denuncia risulta tempestiva.
Neppure può accogliersi la tesi difensiva che vorrebbe far decorrere i termini di garanzia dalla consegna dell'opera nel 2005, assumendo che l'attrice avrebbe potuto accorgersi sin da subito della non corretta posa delle lastre. Come chiarito dalla giurisprudenza, il committente non è tenuto ad una indagine tecnica specialistica sull'opera, ma solo ad una diligenza ordinaria; pertanto, non può ritenersi “scoperto” un vizio che si manifesta solo nel tempo e che, per essere compreso nelle sue cause, richiede accertamenti tecnici. Nel caso di specie, la posa delle lastre e la mancanza di ancoraggi erano circostanze di natura tecnica, non percepibili dal mero esame visivo della facciata da parte del committente medio, sicché la scoperta del vizio coincide con il momento del distacco e con gli accertamenti conseguenti.
Quanto all'esimente del caso fortuito, evocata dai convenuti sul presupposto dell'esistenza, il 2 febbraio 2013, di condizioni meteorologiche avverse (raffiche di vento, trombe d'aria) nel territorio comunale, il Tribunale ritiene che non siano stati allegati né provati i requisiti necessari perché l'evento atmosferico possa qualificarsi come causa esclusiva del danno, idonea ad interrompere il nesso causale. In linea generale, la giurisprudenza ritiene che i fenomeni naturali possano integrare caso fortuito solo quando presentino congiuntamente i caratteri della eccezionalità, dell'imprevedibilità e della inevitabilità, da accertarsi in concreto, sulla base di dati oggettivi (statistici, meteorologici, pluviometrici, ecc.), e purché l'evento si presenti come unica causa efficiente del danno, non già come mera occasione che si innesta su una situazione di originaria inadeguatezza o pericolosità della cosa.
In materia di responsabilità da cose in custodia, ma con principio estensibile anche all'inadempimento dell'appaltatore, la Corte ha ripetutamente affermato che non basta invocare genericamente piogge intense o raffiche di vento per escludere la responsabilità, ma occorre dimostrare l'eccezionale deviazione dell'evento dai normali parametri statistici e la sua assoluta imprevedibilità, unitamente alla prova di aver adottato tutte le cautele esigibili in relazione alla natura e funzione dell'opera. Nel caso di specie, i convenuti si sono limitati a richiamare una nota del Comune che segnala danni diffusi nel territorio, senza fornire alcun elemento oggettivo da cui desumere il carattere davvero eccezionale del vento rispetto alle condizioni meteorologiche normalmente prevedibili nella zona e nel periodo considerato.
Soprattutto, la consulenza tecnica d'ufficio ha accertato che il distacco delle lastre non è stato determinato da un improvviso evento esterno incidente su un'opera intrinsecamente solida, bensì dalla progressiva perdita di aderenza del rivestimento, dovuta alla posa su strato di pittura al quarzo non idoneo, alla carenza di fughe e, soprattutto, alla mancanza degli ancoraggi meccanici prescritti per lastre di quelle dimensioni e peso. Il vento ha agito, in questa prospettiva, come mera occasione scatenante di un fenomeno che era già in atto per effetto del vizio costruttivo originario: esso ha inciso su un rivestimento che si trovava già in condizioni di instabilità, determinandone la caduta, ma non ha creato il pericolo né lo ha reso imprevedibile.
In assenza di prova di un evento meteorologico eccezionale, e alla luce degli accertati difetti di progettazione/esecuzione, non può ritenersi integrato il caso fortuito idoneo ad esonerare l'appaltatore e il direttore dei lavori da responsabilità. Grava infatti su chi invoca il caso fortuito l'onere di dimostrare che l'evento naturale, per intensità e imprevedibilità, si ponga come causa esclusiva del danno, spezzando il nesso eziologico tra l'opera difettosa e l'evento lesivo; onere che nella specie non è stato assolto.
Ne consegue il rigetto dell'esimente dedotta dai convenuti.
Quanto al profilo soggettivo della responsabilità, il Tribunale osserva che gli inadempimenti accertati in causa coinvolgono, a diverso titolo ma in modo concorrente, sia l'impresa appaltatrice ### s.r.l., sia il geom. ### quale progettista e direttore dei lavori dell'intervento di ristrutturazione.
Per quanto riguarda l'impresa, ### era tenuta, in base al contratto di appalto intercorso con l'attrice, ad eseguire le opere commissionate “a regola d'arte”, con la diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c., assumendo il rischio tecnico dell'intervento e garantendo il risultato finale promesso. In presenza di gravi difetti dell'opera, come quelli accertati nel caso di specie, trova applicazione la disciplina speciale dell'art. 1669 c.c., che - come chiarito dalle ### con la sentenza 27 marzo 2017, n. 7756 - si estende non solo alle nuove costruzioni ma anche alle opere di ristrutturazione e manutenzione su immobili preesistenti, ove sussistano vizi idonei a compromettere in modo serio la funzionalità e la sicurezza del bene. ### ha accertato che le lastre lapidee furono posate su uno strato di pittura al quarzo non idoneo a garantire l'adesione del collante, senza adeguate fughe e soprattutto in assenza degli ancoraggi meccanici previsti dalla regola dell'arte per elementi di quelle dimensioni e peso. Si tratta di carenze macroscopiche, relative non a dettagli marginali ma al sistema stesso di ancoraggio del rivestimento, tali da incidere direttamente sulla sicurezza del manufatto. A fronte di tali risultanze, l'impresa appaltatrice non ha fornito alcuna prova dell'esatto adempimento né ha dimostrato che il vizio derivi da causa ad essa non imputabile: si è limitata ad invocare generiche condizioni meteorologiche avverse, che, come già rilevato, non integrano un caso fortuito idoneo a spezzare il nesso causale, non essendo dimostrata né la loro eccezionalità, né la loro idoneità a determinare da sole il distacco di un rivestimento tecnicamente corretto.
In applicazione dei principi generali in tema di responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.), una volta che il committente abbia allegato e provato il difetto dell'opera e il danno subito, incombe sull'appaltatore l'onere di provare che l'inadempimento sia stato determinato da causa a lui non imputabile; onere che ### non ha assolto. La responsabilità dell'impresa per i gravi difetti ex art. 1669 c.c. deve, dunque, ritenersi pienamente integrata.
Diverso ma complementare è il profilo della responsabilità del geom. ### Dagli atti risulta che egli non si è limitato a svolgere un ruolo meramente formale, ma ha assunto l'incarico di progettazione e di direzione dei lavori, ponendosi come figura tecnica di riferimento dell'intervento. In tale veste, il direttore dei lavori è tenuto ad una prestazione professionale di mezzi ma connotata da elevata specializzazione tecnica: egli deve controllare che l'esecuzione dell'opera avvenga in conformità al progetto ed alla regola dell'arte, vigilando sulle fasi costruttive più critiche e intervenendo per impedire o far eliminare tempestivamente le difformità e i vizi che rientrano nel suo ambito di controllo.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la responsabilità per i gravi difetti dell'immobile ex art. 1669 grava non solo sull'appaltatore, ma anche su tutti coloro che, avendo partecipato alla realizzazione dell'opera “con propria gestione diretta e sotto la propria responsabilità”, abbiano assunto una posizione di garanzia nei confronti del committente, tra cui il progettista e il direttore dei lavori.
In particolare, con ordinanza 19 luglio 2022, n. 22575, la Corte di Cassazione ha ribadito che, qualora il danno rientri nell'ambito dell'art. 1669 c.c. e sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori (quest'ultimo per omessa vigilanza sull'operato dell'impresa), entrambi rispondono in via solidale dei danni subiti dal committente, trovando il vincolo di solidarietà il proprio fondamento nell'art. 2055 c.c. e nel concorso efficiente delle rispettive condotte, anche se riconducibili a titoli di responsabilità diversi.
Nel caso in esame, il grave difetto riscontrato dal CTU - posa di lastre pesanti su supporto inidoneo e senza ancoraggi - investe esattamente l'ambito nel quale il direttore dei lavori è tenuto ad esercitare una vigilanza qualificata: si tratta di una scelta esecutiva che incide in modo diretto sulla stabilità del rivestimento e sulla sicurezza dei luoghi, e che un tecnico diligente non può non valutare e, se del caso, vietare o correggere. Non risulta che il geom. ### abbia impartito specifiche prescrizioni in ordine alle modalità di fissaggio delle lastre, né che abbia contestato le scelte esecutive dell'impresa, né, soprattutto, che abbia adottato alcuna iniziativa per imporre l'uso di idonei sistemi di ancoraggio meccanico. Le deduzioni difensive circa possibili interventi di terzi successivi alla consegna restano prive di riscontro probatorio e non scalfiscono il nucleo dell'addebito, che riguarda il difetto originario del sistema di posa.
In un contesto siffatto, l'omessa vigilanza del direttore dei lavori non può essere considerata un profilo secondario: essa integra una violazione degli obblighi di controllo che la giurisprudenza individua come contenuto tipico dell'incarico di direzione lavori, obbligando il professionista ad un'attività di “alta sorveglianza” sull'esecuzione dell'opera e non alla sola verifica contabile o formale.
Il Tribunale ritiene, in definitiva, che il geom. ### debba rispondere in via solidale con l'impresa appaltatrice del danno subito dall'attrice. Il fatto dannoso è unico (distacco e caduta delle lastre del rivestimento con conseguenti danni al veicolo di terzo e necessità di rifacimento dell'opera), ma è riconducibile al concorso di più condotte colpose: da un lato, l'esecuzione a regola d'arte mancata da parte di ### dall'altro, l'omessa vigilanza del direttore dei lavori sulle modalità di posa del rivestimento e sull'adozione di idonei sistemi di ancoraggio.
Sia l'appaltatore che il direttore dei lavori hanno assunto una posizione di garanzia nei confronti del committente, partecipando, con proprie autonome scelte tecniche e gestionali, alla realizzazione dell'opera; le loro condotte, seppure riconducibili a distinti rapporti obbligatori (contratto d'appalto per l'impresa, contratto d'opera intellettuale per il professionista), hanno concorso in modo efficiente alla produzione del medesimo evento lesivo. In applicazione dell'art. 2055 c.c., la responsabilità di più soggetti per il medesimo danno, determinato dal concorso di azioni od omissioni, comporta l'obbligazione solidale degli stessi verso il danneggiato, il quale può pretendere l'integrale risarcimento da ciascuno di essi, restando la ripartizione interna delle rispettive quote di responsabilità affidata ad eventuali azioni di regresso.
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel riconoscere la configurabilità della responsabilità solidale di appaltatore e direttore dei lavori per i gravi difetti dell'opera, allorché il danno rientri nell'ambito applicativo dell'art. 1669 c.c. ed emerga che il progettista/direttore dei lavori, omettendo la dovuta vigilanza sull'esecuzione, abbia concorso con la propria condotta colposa alla produzione del vizio (cfr., tra le altre, Cass. 27 marzo 2017, n. 7756; Cass. 19 luglio 2022, n. 22575).
In questa prospettiva, la condanna in solido di ### s.r.l. e del geom. ### discende non da una mera “responsabilità per fatto altrui” del professionista, ma dal concorso di autonome condotte colpose che si sono cumulate nella determinazione del medesimo pregiudizio in capo all'attrice.
Quanto alla determinazione del pregiudizio risarcibile, il Tribunale osserva che, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., sono rimborsabili, a titolo di danno emergente, le sole spese che costituiscono conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso e del grave difetto dell'opera, adeguatamente provate nel loro an e nel loro quantum.
In primo luogo, è documentalmente e oralmente provato che l'attrice ha sostenuto il costo di € 3.146,00 per la riparazione dell'autovettura ### colpita dalla caduta delle lastre. In atti è prodotta la fattura n. 95/2013 dell'officina “### Roma”, intestata a ### per l'importo anzidetto; il titolare dell'officina, escusso come teste, ha confermato di avere eseguito le riparazioni sul veicolo danneggiato in occasione del distacco del rivestimento e di avere ricevuto dall'attrice il pagamento integrale della fattura. La deposizione, precisa e coerente con la documentazione, non è stata infirmata da elementi di segno contrario e consente di ritenere pienamente dimostrato l'esborso, che è direttamente riconducibile all'evento dannoso, essendo il danno al veicolo effetto immediato della caduta delle lastre.
Parimenti dimostrata è la spesa di € 400,00 per le opere urgenti di messa in sicurezza della facciata e rimozione del materiale pericolante. ### ha prodotto quietanza rilasciata dalla ditta G.R.A. Costruzioni; il rappresentante della stessa, escusso come teste, ha dichiarato di essere intervenuto, su incarico dell'attrice, subito dopo l'episodio del 2 febbraio 2013, per rimuovere le parti instabili del rivestimento e mettere in sicurezza l'area sottostante, al fine di prevenire ulteriori cadute e danni a persone o cose. Anche tali dichiarazioni trovano riscontro nella documentazione in atti e nella stessa logica della vicenda, sicché l'importo sostenuto per la messa in sicurezza deve essere integralmente rimborsato, trattandosi di spesa necessaria imposta dalla situazione di pericolo determinata dal vizio dell'opera.
Quanto, infine, ai costi di ripristino definitivo dell'immobile, il consulente tecnico d'ufficio ha stimato in € 3.469,83 la spesa necessaria per la realizzazione di un nuovo rivestimento lapideo a regola d'arte, previa idonea preparazione del supporto, utilizzo di materiali adeguati e installazione dei necessari sistemi di ancoraggio meccanico, comprensiva delle opere accessorie di finitura. La stima è fondata su un'analitica ricostruzione delle lavorazioni occorrenti e sui correnti prezzi di mercato; le censure mosse dai convenuti hanno carattere meramente assertivo e non scalfiscono l'affidabilità tecnica delle conclusioni peritali, cui il Tribunale ritiene di aderire. Tale importo rappresenta il costo indispensabile per riportare il bene in condizioni di normale fruibilità e sicurezza e va, quindi, riconosciuto in favore dell'attrice quale danno emergente futuro.
Non risultano allegati e provati ulteriori pregiudizi patrimoniali (quali, ad esempio, mancato godimento dell'immobile o danni da mancato reddito locativo), né sono state dedotte e circostanziate voci di danno non patrimoniale; la pretesa risarcitoria deve, pertanto, arrestarsi alle tre voci sopra indicate, che trovano adeguato supporto nelle risultanze istruttorie.
In conclusione, il danno patrimoniale direttamente imputabile al grave difetto dell'opera ed all'evento del 2 febbraio 2013 è quantificabile nella somma complessiva di € 7.015,83, così composta: - € 3.146,00 per la riparazione dell'autovettura; - € 400,00 per la messa in sicurezza urgente della facciata; - € 3.469,83 per il rifacimento del rivestimento a regola d'arte.
Trattandosi di pregiudizi incidenti su beni e costi di ripristino, il relativo credito ha natura di debito di valore; ne consegue che sulle somme riconosciute spetta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ### dalla data dell'evento dannoso o, in coerenza con la domanda attorea, dalla data di messa in mora (1° marzo 2013) fino al saldo, oltre interessi legali, con funzione compensativa, calcolati sulle somme via via rivalutate fino all'effettivo soddisfo.
Resta da esaminare la domanda riconvenzionale proposta da ### s.r.l., con la quale la società assume di essere ancora creditrice nei confronti di ### della complessiva somma di € 29.050,00, di cui € 7.000,00 a titolo di residuo saldo del corrispettivo contrattuale ed il resto quale compenso per numerosi lavori “extra contratto” che sarebbero stati richiesti in corso d'opera dalla committente.
La riconvenzionale non può essere accolta.
In linea generale, l'impresa appaltatrice che agisce in giudizio per ottenere il pagamento del prezzo (o del saldo) è gravata dall'onere di provare non solo l'esistenza del contratto e l'esecuzione dei lavori, ma anche l'ammontare del corrispettivo convenuto e, soprattutto, l'esatto adempimento delle prestazioni dovute ovvero, in presenza di contestazioni del committente, la non gravità degli eventuali inadempimenti. ###. 2697 c.c. impone, infatti, che sia il creditore a dimostrare il fatto costitutivo del proprio diritto, mentre al debitore compete la prova di fatti estintivi o impeditivi; nel contratto d'appalto, tuttavia, quando è l'appaltatore ad agire per il prezzo, l'esistenza di vizi e difformità dell'opera - come nel caso di specie - si traduce in un problema di prova del corretto adempimento, che resta a carico dell'impresa. In giurisprudenza è costante l'affermazione secondo cui l'appaltatore, per ottenere il pagamento del corrispettivo, deve dimostrare di avere eseguito l'opera a regola d'arte e conformemente al contratto, mentre il committente, che eccepisce la presenza di vizi, può legittimamente opporre l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. sino alla rimozione o eliminazione di tali vizi.
Applicando tali principi al caso concreto, va ricordato che in questa sede è stato accertato, sulla base della CTU e delle complessive risultanze istruttorie, un grave difetto dell'opera imputabile all'impresa appaltatrice e al direttore dei lavori, tale da integrare la fattispecie di cui all'art. 1669 c.c. e da imporre addirittura il rifacimento integrale del rivestimento lapideo.
Un'opera affetta da un vizio così rilevante non può reputarsi “eseguita a regola d'arte”, sicché già solo sotto questo profilo difetta uno dei presupposti necessari perché l'impresa possa pretendere il saldo del corrispettivo; l'eccezione di inadempimento sollevata dall'attrice è, pertanto, fondata e legittima.
Quanto alla specifica pretesa di ### di ottenere € 7.000,00 a titolo di residuo prezzo sul contratto originario, la società si è limitata a richiamare in modo generico il corrispettivo pattuito e a dedurre che la committente avrebbe versato soltanto parte delle somme dovute. Non è però stato prodotto un quadro contabile analitico, né documentazione fiscale (stato avanzamento lavori, fatture, ricevute) da cui risulti con certezza l'ammontare complessivo del prezzo, gli acconti incassati e il residuo effettivamente rimasto insoluto. ###, dal canto suo, ha contestato di dovere ulteriori somme in presenza di un'opera viziata; l'istruttoria orale non ha offerto elementi univoci in senso contrario. Alcuni testi hanno confermato che, nel corso del rapporto, vi furono pagamenti e accordi per stati di avanzamento, ma nessuno ha fornito un riscontro puntuale dei conteggi richiamati in via riconvenzionale dalla società. In mancanza di una contabilità di cantiere precisa, e a fronte del grave inadempimento dell'appaltatrice, non può ritenersi dimostrato il credito di € 7.000,00 per residuo prezzo.
Ancor più carente è la prova in ordine ai pretesi lavori extra contratto. ### ha indicato, in modo sommario, una serie di interventi ulteriori (pavimentazione in pietra del piano rialzato in luogo di quella originariamente prevista, realizzazione di “tappeto” nella pavimentazione, demolizione e rifacimento della scala interna, nuova scala in ferro rivestita in legno, demolizione e ripristino di vano w.c., chiusura di una porta, posa di ringhiere, demolizione di canna fumaria, ecc.), ma non ha fornito, per ciascuno di essi, la prova specifica: - della richiesta della committente (o comunque di un accordo, anche solo per facta concludentia, idoneo a giustificare una variazione del corrispettivo rispetto al contratto originario); - dell'effettiva esecuzione delle singole opere; - del relativo valore economico, distinto per voci, e del mancato integrale pagamento. ### orale, pur dando conto del fatto che in corso d'opera vi furono modifiche e qualche “miglioria” rispetto al progetto iniziale, non consente di ricostruire, con sufficiente attendibilità, un vero e proprio pactum de pretium exceptionis per i lavori extra né di verificare che le somme già pagate non li abbiano in tutto o in parte ricompresi. I testi escussi (anche quelli indicati dall'impresa) hanno riferito, in termini generici, di varianti e richieste dell'attrice, ma senza precisare il contenuto dettagliato di tali accordi, né l'entità dei maggiori corrispettivi pattuiti, né lo stato dei pagamenti; in particolare, nessuno ha confermato in modo chiaro e circostanziato la pretesa quantificazione di € 22.050,00 per extras, né la sussistenza di un saldo complessivo di € 29.050,00 ancora dovuto.
In mancanza di documenti (preventivi firmati, ordini di variazione, fatture specifiche per extras riferibili al presente immobile) e a fronte di una prova orale così generica, la domanda riconvenzionale si fonda su mere allegazioni di parte, prive del necessario supporto probatorio. Va aggiunto che parte della documentazione contabile richiamata da ### è stata espressamente riferita, dalle stesse parti, ad altro immobile (“### Merletti”) oggetto di autonoma vicenda, con ulteriore motivo di inidoneità a dimostrare il credito rivendicato nel presente giudizio.
In questo quadro, non è possibile procedere ad una liquidazione equitativa del preteso credito, mancando il presupposto stesso dell'an debeatur: il Tribunale non può colmare, con l'equità, un vuoto probatorio strutturale sulla sussistenza e consistenza del credito azionato, specie in presenza di un grave inadempimento dell'appaltatore che, se del caso, avrebbe semmai giustificato una riduzione del corrispettivo in favore del committente.
Ne consegue che la domanda riconvenzionale proposta da ### s.r.l. deve essere integralmente rigettata, sia per difetto di prova in ordine al dedotto residuo prezzo e alle poste relative ai lavori extra contratto, sia perché, in presenza di gravi difetti dell'opera imputabili all'impresa, l'eccezione di inadempimento sollevata dall'attrice è idonea, in ogni caso, a paralizzare la pretesa creditoria.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e vanno poste integralmente a carico, in solido, di ### s.r.l. e del geom. ### non ricorrendo i presupposti per compensazione ai sensi dell'art. 92 c.p.c. La relativa liquidazione è effettuata avuto riguardo ai parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come modificato, con riferimento allo scaglione di valore corrispondente all'importo riconosciuto (sino ad € 26.000,00) e ai valori medi previsti per le fasi di studio della controversia, introduttiva, istruttoria e decisoria.
Restano a carico dei medesimi convenuti, in solido, anche gli esborsi documentati, comprese le spese per il procedimento di mediazione demandata e le spese di CTU già liquidate con separato decreto.
Si da atto che allo studio della pratica e alla redazione della comparsa conclusionale di parte attrice hanno partecipato il ### e la Dott.ssa ### per l'espletamento della pratica forense. P. Q. M. Il Tribunale di Foggia, definitivamente pronunciando sulla causa civile n. 4120/2013 R.G., ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, - accerta che i vizi lamentati da ### in relazione al rivestimento lapideo dei cantonali della facciata dell'immobile sito in ### dei ### piazza ### n. 4, integrano gravi difetti dell'opera ai sensi dell'art. 1669 c.c.; - dichiara ### s.r.l. e il geom. ### responsabili, in solido tra loro, dei danni derivati all'attrice dal distacco del rivestimento verificatosi in data 2 febbraio 2013; - per l'effetto, condanna ### s.r.l. , in persona del legale rappresentante p.t., e il geom. ### in solido tra loro, al pagamento in favore di ### della somma di € 7.015,83 (settemilaquindici/83), a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici ### dalla data di messa in mora (1 marzo 2013) sino al saldo e interessi legali sulle somme via via rivalutate dalla medesima data fino all'effettivo soddisfo; - rigetta la domanda riconvenzionale proposta da ### s.r.l.; - rigetta ogni ulteriore domanda ed eccezione proposta dalle parti; - condanna ### s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., e il geom. ### in solido tra loro, a rifondere a ### le spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 5.077,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, IVA e CPA come per legge, nonché in € 768,86 per esborsi di cui €. 554,86 per spese di mediazione demandata) , con distrazione in favore dell'Avv. ### dichiaratosi antistatario; - pone definitivamente a carico di ### s.r.l. , in persona del legale rappresentante p.t. , e del geom. ### in solido tra loro, le spese della consulenza tecnica d'ufficio, come già liquidate con separato decreto.
Foggia, 5 dicembre 2025 Il Giudice
onorario Avv.
causa n. 4120/2013 R.G. - Giudice/firmatari: Francesca Siciliani