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Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sentenza n. 2058/2019 del 17-07-2019

... liquidazione, sotto forma o della fissazione di un canone atto a compensare il diritto di uso civico, non più esercitato a favore della popolazione, oppure con il distacco di una parte del terreno, da destinare al Comune (liquidazione con “distacco” o “scorporo”). In via eccezionale sulle provincie già costituenti ex dominio pontificio era stata prevista la c.d. liquidazione invertita: tutto il terreno veniva trasferito alla collettività, mentre a vantaggio del proprietario privato veniva stabilito un canone compensativo. In terzo luogo, gli usi civici su terre di dominio della collettività ("demani civici") dovevano essere regolati in modo che nelle terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente - categoria A -, l'uso medesimo fosse destinato a durare indefinitamente (salva diversa autorizzazione amministrativa per l'alienazione); nelle terre utilizzabili a coltura agraria - categoria B - il fondo agricolo era destinato ad essere quotizzato, cioè ripartito per quote e assegnato alle famiglie di coltivatori diretti a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e di pagamento di un canone che poteva essere affrancato: il terreno diveniva “privato” e poteva essere (leggi tutto)...

testo integrale

 #### IV sezione civile in persona della G.M. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1142/16 R.G., avente ad oggetto ### USUCAPIONE, pendente TRA ### elettivamente domiciliata presso l'avv. ### del ### di ### che la rappresenta e difende in virtù di procura a margine dell'atto di citazione ####, in persona del sindaco e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l'avv. ### che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta ###: come da verbali ed atti di causa. 
OGGETTO: usucapione ### E IN DIRITTO DELLA DECISIONE ### ha convenuto in giudizio il Comune di ### per dichiarare avvenuto l'acquisto a titolo originario del terreno alla località ### e individuato entro la maggiore estensione della particella 5536 del foglio 7, esteso 349,65 metri quadrati di cui 104,844 su cui insiste una villetta, 181,271 adibito a corte e 63,525 adibiti a strada condominiale. ### ha allegato che il fabbricato a uso abitativo era stato edificato nel 1983 e di aver acquistato i detti cespiti l'8 settembre 1990 da tale ### con una scrittura privata non autenticata di cui ha prodotto copia; e che la sua dante causa l'aveva a sua volta acquistata (sempre con scrittura privata non autenticata e non trascritta) da ### che aveva ereditato il terreno dal padre ### Ha esposto l'attrice che in favore di quest'ultimo era stato emesso un provvedimento di legittimazione da parte del ### per gli ### il 6 marzo 1976 e che l'occupatore ne aveva avuto sempre la libera disponibilità trasmettendolo alla sua morte alla figlia, la quale lo aveva poi venduto a ### questa vi aveva edificato la villetta e poi lo aveva venduto a essa attrice, che l'aveva posseduto come proprietaria fin dall'acquisto per oltre vent'anni senza corrispondere alcun canone e senza ricevere mai alcuna contestazione, perfezionando così l'acquisto per usucapione.  ### si è costituito e ha dedotto che il bene non può essere usucapito poiché non sono suscettibili di acquisto in tal senso i beni demaniali, tanto più se gravati da usi civici, i quali sono inalienabili, incommerciabili e non suscettibili di usucapione. 
Ha dedotto il Comune che la cessione tra provati di beni della categoria a) di cui all'articolo 11 delle legge n. 1766/27 - tra cui è compreso quello oggetto di causa, accatastato come qualità “pascolo”- non possono essere mutati nella destinazione. ### dunque ha chiesto il rigetto della domanda e in subordine che fosse accertato l'esatto adempimento della procedura di legittimazione e la verifica del compenso per la liquidazione medesima. In sede conclusionale il convenuto ha ### chiesto che l'attrice, in caso di accoglimento della domanda, sia condannata a corrisponderne il valore. 
La causa è stata istruita con acquisizioni documentali e prova orale. All'esito, in accordo tra loro sebbene già decorse le preclusioni istruttorie, le parti hanno prodotto copia della perizia svolta in altro analogo giudizio avente a oggetto il fabbricato confinante in cui il consulente tecnico d'ufficio ha svolto verifiche sulla identificazione delle particelle e sulla storia catastale dei luoghi complessivamente, dunque anche riguardo all'oggetto della domanda svolta nel presente giudizio. 
Il testimoni della parte attrice, ### ha riferito del possesso da parte dell'attrice da oltre vent'anni, precisando che l'immobile è adoperato come “casa al mare” e che la ### ha sempre pagato le imposte e curato la manutenzione del bene; a chiarimenti da parte della difesa del convenuto ha confermato di essere a conoscenza del carattere abusivo della costruzione che non è mai stata oggetto di provvedimento di sanatoria. 
Ciò premesso, è evidente che una questione centrale per la risoluzione della controversia è rappresentata dalla natura pubblica del bene di cui si vanta l'usucapione, che il Comune ha eccepito senza tuttavia produrre alcuna documentazione in proposito. 
In ordine alla valenza probatoria della documentazione costituita dalla visura catastale e prodotta in atti, è bene rilevare subito che essa non è idonea a dimostrare alcunché in merito alla appartenenza del fondo in questione, giacché è ben noto che le visure e le mappe (e anche le certificazioni) catastali possono assumere valore - e sussidiario - solo in materia di determinazione di confini [Cass. n. 5842/04] ma non in tema di prova della proprietà: prova che necessita di ben altri e più approfonditi elementi. Ed è opportuno anche evidenziare che, se si controverte in tema di usucapione, sarebbe onere di chi la invoca dimostrare la proprietà in capo al soggetto nei cui confronti agisce e determinare in modo certo il bene che si chiede nella sua estensione e allocazione. 
Quanto al primo aspetto, poi, solo la produzione in giudizio del titolo di appartenenza in capo al destinatario passivo della pronuncia di usucapione e della precisa attestazione da parte del ### dei ### relativa alle trascrizioni contro il predetto fino alla data di instaurazione del giudizio consente di avere contezza del patrimonio attuale di quest'ultimo; l'accertamento dell'acquisto di un bene per usucapione non può prescindere, in generale, dall'accertamento puntuale ed attuale della proprietà del bene medesimo in capo ai soggetti nei confronti dei quali la pronuncia deve essere resa: e il discorso non cambia se il bene è di proprietà pubblica giacché l'appartenenza del bene al patrimonio disponibile degli enti pubblici non può che essere provata in modo puntuale. 
Com'è noto, secondo l'articolo 42 della ### la proprietà è pubblica o privata. La norma, più che descrivere il titolo di appartenenza dei beni pubblici, si ritiene tesa ad attestare e giustificare nel sistema la legittimità costituzionale di un loro regime speciale e differenziato. 
Beni pubblici sono quelli appartenenti agli enti pubblici e, costituendo gli strumenti di cui la P.A. realizza le proprie funzioni, sono assoggettati a una normativa differente rispetto a quella che si applica agli altri beni quanto ai profili di uso, circolazione e tutela; come affermato da autorevole dottrina, la differenziazione di regime è tesa salvaguardare i beni pubblici, funzionali al perseguimento di fini di pubblico interesse, dai «pericoli» di facile sviamento che deriverebbero dall'applicazione del diritto comune, sia quanto all'ente proprietario (che sarebbe tentato di disfarsi dei beni in caso di necessità di mezzi finanziari), sia nei confronti dei terzi e dei creditori dell'ente (da cui i caratteri della imprescrittibilità e della impignorabilità). 
Il codice civile distingue i beni pubblici in demaniali (articoli 822, 824 e 825 c.c.) e patrimoniali indisponibili (articoli 826 e 830 c.c.): sono beni demaniali quei beni, immobili o universalità di mobili, appartenenti agli enti territoriali (Stato, ####, elencati nell'articolo 822 c.c. e i quali rispondono a dirette esigenze della collettività. Sono demaniali per loro intrinseca qualità o per il fatto di appartenere a enti territoriali; per i primi si parla di “demanio necessario”, costituito dal demanio marittimo, idrico e militare (articolo 822, comma 1 c.c.) e cioè da beni le cui stesse «caratteristiche fisicofunzionali» ne connotano lo statuto, mentre per gli altri ci si riferisce alla categoria “demanio accidentale o eventuale”, comprendente beni che non sono per loro natura di proprietà pubblica ma che acquistano carattere demaniale solo se divengano di proprietà degli enti pubblici territoriali (strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti, immobili di interesse storico e artistico, raccolte museali) e altri beni assoggettati al regime proprio del demanio pubblico dalla legge (articolo 822 c.c., comma 2 c.c.).  ### 823 c.c. detta il regime giuridico dei beni demaniali: essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. ###à comporta che sono nulli gli eventuali atti dispositivi di beni demaniali posti in essere dalla pubblica amministrazione, poiché i detti beni sono assoggettati a un vincolo reale che ne rende impossibile l'oggetto secondo l'articolo 1418 c.c.; parziale deroga al divieto di alienazione è posta, com'è noto, in materia di beni demaniali culturali. 
Ciò posto, è opportuno ricordare che tutti i beni non demaniali che appartengono allo Stato e agli enti pubblici ne costituiscono il patrimonio, ma soltanto alcuni di essi rientrano nel patrimonio indisponibile. ### 826 c.c. contiene una elencazione (ritenuta non tassativa) di beni sia immobili che mobili i quali possono appartenere anche a enti pubblici non territoriali; la differenza sta nella destinazione e infatti i beni del patrimonio indisponibile sono vincolati a una destinazione di pubblica utilità esattamente come i beni demaniali. Anche per essi vale la distinzione tra patrimonio necessario e patrimonio accidentale, poiché vi sono beni che rientrano nella categoria del patrimonio indisponibile per loro caratteristiche naturali (miniere, acque minerali termali, cave e torbiere e così via) e altri che vi rientrano solo in conseguenza della destinazione loro impressa (edifici destinati a sede di uffici pubblici, arredi, dotazione della ### della Repubblica). Quanto al loro regime giuridico, l'articolo 828, comma 2 c.c. dispone che essi non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti delle leggi che li riguardano. Il divieto di distrazione dalla destinazione è dunque comune al regime di entrambe le categorie di beni, patrimoniali indisponibili e demaniali, ma così non è per il divieto di alienazione: i beni patrimoniali indisponibili, infatti, non sono incommerciabili pur essendo gravati da uno specifico vincolo di destinazione all'uso pubblico. 
Premesse le su esposte distinzioni essenziali, giacché nel presente giudizio è stata posta la questione della libertà di circolazione del fondo oggetto di causa qualificandolo come facente parte del demanio dell'ente, è indispensabile ora ricordare il regime di acquisto e di perdita dei caratteri di demanialità e di appartenenza al patrimonio ### dell'ente pubblico. 
In mancanza di disposizioni specifiche nel codice civile, la dottrina più autorevole ha elaborato il ricordato criterio di classificazione dei beni demaniali, distinguendo demanio “naturale” e demanio “artificiale”: i beni compresi nella prima categoria acquistano la qualità demaniale per il solo fatto giuridico e naturale della loro esistenza, possedendo tali beni i requisiti già previsti dalla legge per la loro riconduzione nell'ambito del demanio (le acque e il lido del mare, per esempio). I beni che compongono il demanio artificiale, invece, sono opera dell'uomo e per assumere la qualità di beni pubblici necessitano dell'esercizio di un'attività amministrativa che li costituisca (o li trasformi) e li destini formalmente o di fatto all'uso diretto o all'uso pubblico: si ritiene, in proposito, che l'inclusione dei beni negli elenchi di beni demaniali che le amministrazioni pubbliche redigono non determina di per sé l'acquisto della qualità demaniale, trattandosi di atti meramente dichiarativi [Cass., un., n. 10876/08, sez. un. n. 1831/96, sez. un. n. 245/87; Cass. n. 23705/09, 2471/01]. 
È possibile la «sdemanializzazione» ovvero il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio, cui consegue la cessazione della disciplina di vincolo alla circolazione (incommerciabilità). Al riguardo è bene precisare che, nonostante la disposizione di cui all'articolo 829 c.c., per cui il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio deve essere dichiarato dall'autorità amministrativa e dell'atto deve essere dato annunzio nella ### della Repubblica, non è sancita chiaramente la efficacia dichiarativa o costitutiva della dichiarazione di sdemanializzazione e dunque ciò non esclude una sdemanializzazione tacita: per esempio, con riferimento ai beni del demanio naturale è pacificamente ammessa (così come per l'acquisto) anche la perdita di fatto della demanialità a seguito di accadimenti naturali che la P.A. non può che accertare e dichiarare: la vicenda estintiva della demanialità può avvenire per distruzione, deperimento o snaturamento della cosa e quindi per l'intervento di fatti, accadimenti e situazioni del tutto indipendenti dalla volontà della P.A. e per i quali si determina il venir meno delle caratteristiche del bene che il legislatore ha individuato per l'appartenenza al demanio; in questi casi l'amministrazione si limita a prendere atto del mutamento di fatto adottando atti dichiarativi. Se si tratta di beni del demanio artificiale, al contrario, si verte in tema di discrezionalità dell'azione amministrativa e dunque, secondo autorevole opinione, è necessario un provvedimento espresso e formale di cessazione della qualità demaniale con effetto costitutivo. E in mancanza delle formalità previste dalla legge in materia, si ammette la sdemanializzazione “tacita” o di fatto di un bene soltanto in presenza di atti e/o fatti concludenti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà dell'amministrazione di sottrarre il bene alla destinazione pubblica e rinunciare in via definitiva al suo ripristino; si esclude, per quanto interessa nel caso di specie, che possano essere a tal fine sufficienti il prolungato disuso del bene demaniale da parte dell'ente pubblico proprietario ovvero la tolleranza osservata da quest'ultimo rispetto a un'occupazione da parte di privati. 
È stato notato come la giurisprudenza abbia sempre interpretato le prescrizioni di cui all'articolo 829 c.c. nel senso che esse si limitino a imporre alla P.A. un mero dovere giuridico finalizzato alla certezza delle situazioni giuridiche, senza stabilire la prevalenza di elementi formali rispetto a quelli di fatto costitutivi della demanialità, a eccezione dei beni appartenenti al demanio marittimo per i quali la perdita della qualità demaniale non può mai avvenire tacitamente (articolo 35 cod. nav.), ma solo con uno specifico provvedimento di carattere costitutivo da parte dell'autorità amministrativa; analogamente accade per i beni del demanio idrico, come sancito dall'articolo 947 c.c. come riformato dall'articolo 4 della legge n. 37/94 recante norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche. 
La distinzione tra beni naturali e beni artificiali vale anche per i beni patrimoniali indisponibili: i primi sono quelli destinati a un pubblico servizio per natura, ossia in virtù delle loro obiettive caratteristiche, come le miniere, le cave, gli armamenti (articolo 826, comma 2 c.c.), i secondi vi devono essere destinati (articolo 826, comma 3 c.c.). 
I beni indisponibili per natura derivano la destinazione alla soddisfazione di interessi pubblici direttamente dalla legge: una volta venuti a esistenza con quelle caratteristiche individuate dal legislatore, e fino al momento della eventuale perdita di detti caratteri, essi sono sottratti alla disponibilità della pubblica amministrazione, senza necessità di alcuna attività giuridica costitutiva. I beni indisponibili per destinazione acquistano la loro qualità con la effettiva e concreta destinazione a un pubblico servizio: giacché nell'ordinamento manca un sistema di procedimenti formali per l'individuazione della destinazione pubblica dei beni, l'effettività del vincolo di destinazione è l'unico mezzo idoneo a rendere i terzi edotti del vincolo medesimo e di conseguenza del regime particolare cui il bene è soggetto: l'atto amministrativo da cui risulta la volontà dell'ente di destinare il bene a una pubblica finalità costituisce elemento di una fattispecie complessa che si completa solo al momento dell'effettiva utilizzazione del bene per il servizio pubblico cui è destinato: «affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché “destinati ad un pubblico servizio” ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c. deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico, e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio» [Cass., sez. un. n. 14865/06, sez. un. n. 391/99 ; Cass., n. 5867/07]. 
I beni indisponibili per natura, così come per i beni demaniali, perdono la loro qualità con il verificarsi di situazioni che ne mutano le caratteristiche o ne comportano la distruzione e la P.A. in tal caso dichiara l'intervenuta estinzione del vincolo di destinazione; i beni “artificiali”, destinati a pubbliche finalità dall'autorità amministrativa, cessano di essere tali per determinazione dell'amministrazione: essa può anche desumersi da comportamenti concludenti, ma essi devono apparire univoci e tali da lasciare intendere la volontà dell'ente di dismettere definitivamente il bene dal regime di indisponibilità. Per il passaggio dei beni patrimoniali dalla categoria dei beni indisponibili a quella dei beni disponibili non è dunque richiesto un atto amministrativo come quello di sdemanializzazione previsto dall'articolo 829 c.c., ma è sufficiente un “verbale di dismissione” nel quale si dia atto che il bene sia stato dismesso dall'ente che lo aveva in uso o che non serva più all'uso suddetto e non abbia particolare destinazione. In mancanza di un atto esplicito della P.A. valgono le medesime argomentazioni già sopra ricordate, per cui in giurisprudenza non si esclude il passaggio alla categoria dei beni patrimoniali disponibili per fatti concludenti; e però non è stata ritenuta sufficiente la sospensione dell'uso pubblico, anche per un notevole arco di tempo, ma si è detta necessaria una immutazione irreversibile del bene o una destinazione incompatibile con quella a pubblico servizio e che costituisce il presupposto dell'indisponibilità: «Un bene può cessare di appartenere al patrimonio indisponibile anche in mancanza di un atto formale ed esplicito della pubblica amministrazione in tal senso; ma, a questo fine, non basta un'utilizzazione diversa e, tanto meno, una utilizzazione aggiuntiva rispetto a quella precedente ma occorre, invece, una destinazione incompatibile con quella a pubblico servizio, che funge da presupposto dell'indisponibilità» [Cass., n. 3258/73]. 
Gli accertamenti di cui sopra appaiono dunque doverosi laddove si discuta di possibile usucapione del bene da parte di un privato, stante l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità per cui il conflitto tra l'acquirente a titolo derivativo e quello per usucapione è sempre risolto, nel regime ordinario del codice civile, a favore dell'usucapente, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l'usucapione e dell'anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell'acquisto a titolo derivativo, perché il principio di continuità delle trascrizioni, dettato dall'articolo 2644 c.c. con riferimento agli atti indicati nell'articolo 2643, non risolve il conflitto tra acquisto a titolo originario e acquisto a titolo derivativo, ma unicamente quello tra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa [Cass. n. 2161/05]. Peraltro, e a maggior ragione, tale meccanismo è ritenuto irrilevante con riguardo ai beni pubblici, poiché «la nullità dell'atto di trasferimento di un bene immobile, derivante dall'incommerciabilità del bene medesimo perché demaniale, preclude l'applicabilità del principio della sequenza delle trascrizioni sancito dalla disposizione contenuta nell'art. 2644 c.c.» [Cass. 5894/01]. 
Nel presente giudizio non solo non è stata raggiunta la prova - il cui onere incombeva sulla parte attrice - della qualità di bene patrimoniale disponibile del terreno in questione, ma vi sono congrui elementi per ritenere al contrario dimostrata, mediante documentazione prodotta, la qualità di bene demaniale eccepita dal convenuto ente. 
Dall'istruttoria svolta e in particolare dalla documentazione acquisita, infatti, è evidente che il terreno individuato al foglio 7, particella 5536 (maggior estensione di cui è parte la porzione di cui si chiede l'accertamento dell'avvenuto acquisto a titolo originario) è un terreno pubblico facente parte del demanio civico e assoggettato a uso civico. 
Essenziale è in detta prospettiva la decretazione del commissario per gli usi civici prodotta dalla stessa attrice. Il provvedimento del 6 marzo 1976 espone la storia dei terreni posti ai due lati della foce del fiume ### a ridosso del demanio marittimo lungo il litorale del Comune di ### acquitrinosi nella parte più lontana dal mare e sabbiosi con dune e cespugli in quella più vicina, e perciò in epoca più antica letteralmente strappati con grande dedizione e fatica alla natura dei siti («una natura che tende a tornare allo stato primitivo, ad autentico deserto, non appena si verifichi un anche breve abbandono») da parte di contadini originari di ### e dopo di questi in gran parte occupati da “locali” i quali invece vi avevano semplicemente effettuato una irregolare e illegittima edificazione speculativa nella totale indifferenza dell'amministrazione. Quanto ai terreni tra cui era compreso quello occupato da ### più antico “dante causa”, il ### ha riconosciuto la sussistenza dei requisiti per la legittimazione come accertati da una precedente verifica del 1964 e successive ispezioni: vale a dire riporti di terreno, canalizzazioni, trivellazioni di pozzi, impianti di vasche e depositi per attrezzi, ripari frangivento e impianto di vigneti (una situazione, detto tra parentesi, ben diversa da quella attuale con casette abusive di discutibili caratteristiche architettoniche e terreni poco curati che somiglia molto di più a quella stigmatizzata dallo stesso ### per altri appezzamenti). 
Non è stata né allegata né provata, per inciso, la classificazione di legge sulla scorta dell'indagine a suo tempo compiuta dall'istruttore perito cui pure l'ordinanza del 6 marzo 1976 fa cenno, se di categoria «A» dell'articolo 11, legge n. 1766/27 (bene ricompreso nel demanio libero dell'ente con uso civico di pascolo e legnatico) o categoria «B» (suolo utilizzabile a coltura agraria, sempre nell'ambito dell'uso civico). 
Il tenore dell'ordinanza e la storia dei terreni fanno presumere che essi fossero stati qualificati nell'ambito di questa seconda categoria, avendo riguardo alle colture e alle lavorazioni rilevati dagli accertatori. 
È opportuno, a questo punto, ricordare che la presenza di un uso civico su un terreno non ne implica in automatico il carattere demaniale, potendo l'uso gravare anche un suolo privato; e tuttavia sovente gli usi civici gravano (o gravavano) terreni collettivi e pubblici. 
Nel presente giudizio, come si è detto, il Comune fa rientrare il terreno nell'ambito del demanio (e in effetti tale qualità sembrerebbe desumibile dalla vicinanza al lido del mare, essendo la fascia interessata posta a ridosso della spiaggia e del demanio marittimo come descritto nel provvedimento già citato del ### per gli ###.  ### frequente della coincidenza tra demanio e uso civico ha radici risalenti e fu affermato anche da autorevole dottrina; è stato poi chiarito che l'assimilazione aveva ragioni storiche e derivava dal fatto che l'uso civico nello Stato napoletano era qualificato «demanio», ciò tuttavia non in senso giuridico ma solo su un piano lessicale che prendeva spunto, probabilmente, dall'antico brocardo ubi feuda ibi demania (formula intesa a suo tempo ad affermare che la preesistenza di una popolazione e la costituzione di un feudo erano elementi sufficienti a denotare l'esistenza di un terreno soggetto ad uso civico). Dunque, è oggi abbastanza pacifico che la natura pubblicistica degli usi civici comporta non un'equiparazione, ma solo un avvicinamento del regime dei beni a quello dei beni demaniali: per cui si ritiene che il termine «demanio» costituisca una semplice espressione per qualificarne la disciplina “vincolata”: analoga a quella di cui al già menzionato articolo 823 c.c. per il demanio pubblico, secondo cui i beni che vi sono compresi «sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano». 
Ciò posto, dunque, la circostanza che i terreni alla località ### fossero gravati da uso civico non implicherebbe di per sé la loro natura demaniale; e tuttavia l'ordinanza in atti fa riferimento alla avvenuta verifica - su cui si basa - «del demanio di uso civico del Comune di ### e la loro ubicazione a ridosso del demanio marittimo fa ritenere che si tratti di aree demaniali e non semplicemente di aree gravate da usi civici. 
È stato affermato, nell'ambito del contenzioso relativo alla liquidazione degli usi civici - dunque ambito diverso da quello oggetto del presente giudizio civile - che «la prova della demanialità civica è spesso […] assai ardua perché si basa su indagini storicodocumentali, talora molto complesse e risalenti nell'arco del tempo, che sono affidate ad un professionista (il perito demaniale) particolarmente esperto in tale materia, in cui spesso occorre ricercare, vagliare ed interpretare antichi documenti per stabilire la demanialità del bene alla luce del più ampio contesto storico, normativo e sociale. ###.C. ha così espresso e ribadito tali concetti: "In tema di procedimento per la liquidazione degli usi civici, la peculiarità della materia, che affonda le sue radici nella storia del feudo e della proprietà collettiva, con conseguente difficoltà, talvolta insuperabile, di rinvenire e procurarsi la prova della demanialità civica di un terreno, giustifica non solo una notevole attenuazione del principio dell'onere della prova ma quel particolare potere del giudice, previsto dalla L. n. 1766 del 1927, art. 29, di disporre anche d'ufficio un'indagine storico - documentale affidata ad un professionista particolarmente esperto nella materia, al fine di colmare le eventuali lacune probatorie in cui siano incorse le parti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6165 del 16/03/2007; Cass. 2, Sentenza n. 15510 del 06/12/2000)» [Cass. 4753/14]. Ed è stato anche affermato, in tempo un po' più risalente, che «### si assume che una determinata terra […] appartenga al demanio universale di un determinato comune o frazione, la prima indagine da esperire è quella di stabilire se effettivamente la terra medesima faccia parte dell'assunto demanio, il che vai [sic] quanto dire fissare i limiti territoriali del demanio universale, ciò in base al secolare principio, fatto proprio dal vigente ordinamento, secondo cui quando è dimostrato che una terra fa parte di un demanio universale, la demanialità si presume, a meno che non sussista un preciso titolo da cui risulti, rispetto a quella determinata terra, la trasformazione del demanio in allodio e la originaria natura allodiale. Pertanto, nell'ipotesi suddetta, va prima dimostrato e accertato se la terra in oggetto faccia parte di un demanio universale e l'onere della prova spetta al riguardo al comune che agisce per ottenere la reintegrazione della terra nel proprio demanio e assume, sia pure attraverso la suddetta presunzione, la demanialità della terra medesima, solo se la prova di cui sopra sarà raggiunta, si potrà discutere sulla esistenza per quelle stesse terre di trasformazione del demanio in allodio e questa ulteriore prova dovrà essere data dal privato che si oppone alla reintegra ed eccepisce la natura allodiale e la legittimità del suo possesso»; quindi «qualora venga dimostrato che una terra fa parte di un demanio universale, la demanialità si presume, a meno che non sussista un preciso titolo da cui risulti, rispetto a quella determinata terra, la trasformazione del demanio in allodio e la originaria natura allodiale» [Cass. n. 787/63]. 
Nello speciale processo contemplato dall'articolo 29 della legge n. 1766/27 sulla liquidazione degli usi civici, l'onere della prova della demanialità è posto perciò a carico del comune che chieda di esservi reintegrato e in essa può intervenire il magistrato avvalendosi di ampi poteri e di esperti periti demaniali. 
Il luogo del presente processo è però differente e il Comune si trova a resistere rispetto a una domanda di usucapione, riguardo alla quale sussistono gravi e concordanti indizi per ritenere che il suolo sia demaniale e su di esso sia stato gravante un uso civico di categoria B (quanto alla categoria, infatti, assume maggior rilievo l'accertamento delle colture piuttosto che la qualità risultante dalla visura catastale). 
Poiché, tuttavia, l'uso civico comporta (allo stesso modo della demanialità) l'impossibilità di commerciare, alienare e perdere il bene per l'usucapione altrui, è opportuno verificare se sia stata offerta idonea prova da parte dell'attrice che il terreno abbia perduto la sua destinazione a uso civico per avvenuta affrancazione. 
La legge nazionale vigente (la già citata legge n. 1766/27 e il suo regolamento di attuazione approvato con il R.D. 26 febbraio 1928 n. 332) inserisce i beni e diritti delle popolazioni (proprietà e diritti collettivi), in un regime di gestione a destinazione vincolata e secondo la vocazione (anche oggettiva e storica) dei beni medesimi, distinguendoli nelle due categorie cui si è già fatto riferimento: «### comprendente i patrimoni silvo-pastorali, gestiti a fini produttivi e di conservazione ambientale in base a piani economici di sviluppo; «B» adatti a coltura agraria e ripartibili in quote da assegnarsi in enfiteusi agli aventi diritto.  ### 11 della legge comprende nel regime disciplinato sia i “beni collettivi originari”, cioè quelli delle comunità di abitanti organizzate stabilmente in un territorio e le terre acquisite attraverso ogni forma di possesso collettivo [Cass. Un. n. 64/54, n. 51/50], sia i beni assegnati ai comuni, frazioni o associazioni agrarie per effetto delle operazioni di sistemazione delle terre e di liquidazione dei diritti di cui all'articolo 1 della legge. E proprio al fine di risolvere una questione sorta negli ultimi decenni del 1800 sulla natura dei beni della collettività intestati all'ente esponenziale (il Comune) e destinati all'esercizio degli usi civici, il legislatore ha sottoposto a un regime unitario tutti i beni posseduti dagli enti territoriali su cui si esercitano gli usi, includendo in questo modo tra le terre collettive anche quelle gravate da usi e che fossero comunque nel possesso del comune (oltre a beni non di origine civica ma assimilati con leggi speciali come la legge n. 1102/71, c.d. leggemontagna, e le terre acquistate ai sensi dell'articolo 22 per aumentare la massa delle terre da quotizzare). 
Caratteristica delle “terre collettive” così inquadrate è stato sempre il particolare regime di indisponibilità e di destinazione vincolata ai bisogni primari della comunità che ad esse fa riferimento, secondo l'articolo 12, comma 2 della legge 1766/27. 
Sono state individuate diverse motivazioni storico giuridiche al vincolo di inalienabilità dei patrimoni collettivi delle popolazioni stanziali (nel diritto tedesco, com'è noto, esiste l'istituto della proprietà collettiva): scrittori e giuristi meridionali, tenendo presente il passaggio dalle universitas civium al Comune, hanno fatto riferimento al principio di indisponibilità delle terre pubbliche derivante dalla normazione per i demani comunali (12 dicembre 1816) del ### delle ### e a quella imperiale inserita nel codice giustinianeo; a fronte del tentativo di sistemazione dottrinale, la giurisprudenza ha comunque sempre affermato il principio della indisponibilità dei beni civici [Cass. n. 192/46, in ###, 1946, I, 724, reperibile tramite il web su siti specializzati in materia; Cass. n. 2062/63, n. 1567/55, idem]. 
Nel vigore della legge n. 1766/27, all'operazione di verifica finalizzata alla liquidazione ed eseguita l'assegnazione secondo l'articolo 11, l'indisponibilità riguarda i soli beni di categoria «A» (articolo 12, comma 2 citato), mentre per i beni produttivi di categoria «B» essa è mantenuta fino alle operazioni di quotizzazione e cessione delle quote in enfiteusi agli aventi diritto. ### a categoria, che viene definita un atto di accertamento costitutivo, il demanio civico perde le sue caratteristiche di terra collettiva quale «compendio di beni in proprietà collettiva di una comunità di abitanti» e si converte, come indicato da autorevole dottrina, in proprietà collettiva a destinazione pubblica o in proprietà privata per le quote di terra a vocazione agraria, giacché le sole terre produttive di categoria B sono destinate alla “privatizzazione” previa la legittimazione o la ripartite in quote. Le terre di categoria A (boschi e pascoli permanenti) sono soggette a un particolare regime a destinazione pubblica, con destinazione vincolata alla produzione e conservazione dell'ambiente e gestione diretta secondo piano, nonché sottoposte ai vincoli di tutela ambientale e paesaggistica.   È importante evidenziare che gli usi delle terre di categoria A sono conservati ed esercitati in conformità dei piani economici dei patrimoni forestali e montani e dei regolamenti, senza eccedere i limiti stabiliti dall'articolo 1021 c.c.; le terre di categoria B sono soggette a quotizzazione e concessione delle quote in enfiteusi affrancabile secondo uno specifico procedimento amministrativo, che prevede la possibilità di procedere a opere di sistemazione e trasformazione per la razionale costituzione di unità fondiarie e quindi la concessione delle quote a titolo di enfiteusi, con obbligo per il concessionario di apportare migliorie e alle altre condizioni stabilite nel piano, con pagamento di un canone annuo e la possibilità di affrancazione (articoli 15 e seguenti); prima dell'affrancazione le quote non possono essere divise, alienate né cedute ad alcun titolo (articolo 21) a pena di decadenza della concessione e devoluzione della quota al comune o all'ente (articolo 19). 
Il terreno soggetto a uso civico è inalienabile, non usucapibile e immodificabile nella sua destinazione: l'articolo 12, comma 2 vieta a ### e associazioni, senza autorizzazione dell'autorità preposta, di alienare i terreni soggetti a categoria A o mutarne la destinazione; l'articolo 21, ultimo comma, già citato, stabilisce che le unità fondiarie ivi previste «prima dell'affrancazione non potranno essere divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo»; infine l'articolo 9, ultimo comma, dispone che in mancanza di legittimazione le terre vanno restituite al Comune o all'associazione o alla frazione del Comune "a qualunque epoca l'occupazione di esse rimonti": da quest'ultima norma è stata desunta l'imprescrittibilità del diritto di uso civico e l'inapplicabilità dell'usucapione da parte di alcuno. 
È stato osservato, però, che nessuna delle ricordate norme prevede espressamente la nullità dell'atto compiuto in contrasto con la relativa prescrizione. 
Si è affermato dunque da parte di una dottrina risalente che gli usi civici dovessero essere riguardati come demani; è stato poi chiarito, come si è detto, che questa assimilazione era soltanto di carattere formale e dovuta al fatto che l'uso civico nello Stato napoletano era qualificato, ma soltanto su un piano di stretta formulazione superficiale, demanio. Infatti la giurisprudenza, che in un primo tempo si era accodata a detta assimilazione sulla base del brocardo ubi feuda ibi demania, successivamente ha ritenuto che gli usi civici avessero natura pubblicistica determinante non un'equiparazione, ma un avvicinamento del regime dei beni di uso civico al regime dei beni demaniali. 
Diversi sono stati i percorsi mediante i quali la dottrina ha variamente argomentato la ragione della incommerciabilità dei beni ### sui quali sono imposti usi civici (terre in dominio collettivo, la cui negoziazione - di fatto impossibile - avrebbe presupposto l'assenso di tutti i cives; nullità per impossibilità giuridica dell'oggetto in quanto bene demaniale; vendita di cosa altrui, sul presupposto del dominio collettivo sul terreno). 
In giurisprudenza è fermo l'orientamento per cui l'atto in violazione delle norme della legge del 1927 sugli usi civici sia nullo per impossibilità dell'oggetto, ciò per l'incommerciabilità del terreno soggetto a uso civico, e afferma che la nullità è assoluta e insanabile in virtù di quanto dispone l'articolo 1418, comma 2 c.c., avendo riguardo alla mancanza nell'oggetto di uno dei requisiti previsti dall'articolo 1345, cioè la possibilità giuridica della negoziazione. 
Le leggi fondamentali in materia (n. 1766/27 sul riordinamento degli usi civici e il regolamento di esecuzione n. 332/28) miravano tuttavia non alla sopravvivenza degli usi civici, ma alla loro liquidazione ed erano strutturate in modo da rispettare alcuni principi. In primo luogo, la distinzione di usi civici su terre private e usi civici su terre di dominio della collettività; in secondo luogo, la finalità: gli usi civici su terre private dovevano essere assoggettati a liquidazione, sotto forma o della fissazione di un canone atto a compensare il diritto di uso civico, non più esercitato a favore della popolazione, oppure con il distacco di una parte del terreno, da destinare al Comune (liquidazione con “distacco” o “scorporo”). In via eccezionale sulle provincie già costituenti ex dominio pontificio era stata prevista la c.d. liquidazione invertita: tutto il terreno veniva trasferito alla collettività, mentre a vantaggio del proprietario privato veniva stabilito un canone compensativo. In terzo luogo, gli usi civici su terre di dominio della collettività ("demani civici") dovevano essere regolati in modo che nelle terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente - categoria A -, l'uso medesimo fosse destinato a durare indefinitamente (salva diversa autorizzazione amministrativa per l'alienazione); nelle terre utilizzabili a coltura agraria - categoria B - il fondo agricolo era destinato ad essere quotizzato, cioè ripartito per quote e assegnato alle famiglie di coltivatori diretti a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e di pagamento di un canone che poteva essere affrancato: il terreno diveniva “privato” e poteva essere commercializzato soltanto a seguito di affrancazione del canone (pertanto nel tempo questi terreni erano destinati a essere liberati dall'uso civico, in sintonia con le nuove esigenze di ancorare le terre a chi le coltivasse effettivamente e con lo spirito della legge). 
Tale inquadramento sistematico vale tuttora e sebbene la finalità della legge fosse quella della “liquidazione” degli usi civici: com'è stato osservato, «la persistente vitalità dell'istituto -nonostante fin dal 1927 se ne fosse prevista appunto la "liquidazione" - poggia ora su di una sua tendenziale mutazione funzionale, all'uso civico essendo cioè riconosciuta una nuova caratterizzazione della sua natura di bene collettivo, in quanto utile anche - se non soprattutto - alla conservazione del bene ambiente e per di più per ciò stesso non soltanto a favore dei singoli appartenenti alla collettività dei fruitori del bene nel singolo contesto territoriale collegato alle possibilità di concreto utilizzo dell'immobile, ma evidentemente alla generalità dei consociati» [Cass. n. 19792/11]. 
È evidente, dunque, che una cosa è la questione della commerciabilità e la possibilità giuridica di usucapire un bene privato assoggettato a uso civico, altra cosa è quando si discorre di un bene pubblico per di più gravato da uso civico. 
Se, infatti, nella prima ipotesi è necessario accertare - sebbene l'operazione non sia semplice - se l'uso civico sia stato liquidato e quindi sia ben possibile alienare il terreno, una volta affrancato, in piena proprietà o, altrimenti, gravato dall'uso civico e il bene può ben essere oggetto di usucapione da parte di terzi; non in ugual modo accade se il bene sia appartenente alla collettività: si parla, infatti, in questo caso di beni collettivi, di terreni cioè appartenenti all'intera collettività, vale a dire agli abitanti del luogo intesi sia come gruppo che come singoli. È stato puntualizzato da autorevole dottrina che la collettività non costituisce un soggetto giuridico e che i beni appartengono ai singoli, che ne sono comproprietari: il Comune o l'associazione agraria cui si fa riferimento non ha dominio sul terreno, ma rappresenta soltanto la comunità locale dei cives e a esercitare per suo conto i poteri e le facoltà relative con l'intervento previsto di organismi pubblici (tempo addietro il Ministero dell'agricoltura e poi, con il decentramento di funzioni, le ### i quali costituiscono nella scala dei pubblici poteri gli enti maggiormente capaci di rappresentare le istanze della popolazione locale, così come anticamente faceva il re rispetto ai feudatari. 
Le terre civiche, in questo senso intese, sono incommerciabili; il potere su di esse è imprescrittibile; la loro destinazione è immutabile: in questo senso è l'indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità [Cass. n. 1940/04, n. 11265/90], salve alcune fattispecie eccezionali che giustificano la commerciabilità dei beni (e la suscettibilità, per quanto qui interessa, a usucapirne la proprietà): legittimazione, assegnazione a categoria e successiva autorizzazione amministrativa, quotizzazione e affrancazione e, infine, conciliazione. 
Ognuna di queste fattispecie si sostanzia in un procedimento che ha come risultato l'emanazione di un provvedimento amministrativo finale, per effetto del quale il bene da proprietà collettiva si trasforma in “allodio”, da bene demaniale si trasforma in bene “allodiale”. 
La legittimazione è disciplinata dagli articoli 9 e 10 della legge n. 1766/27 e dagli articoli 25 e 26 del relativo regolamento (R.D. n. 332/28) e presuppone il possesso di terre civiche abusivo; presuppone, inoltre, il possesso del terreno da almeno dieci anni, che la zona occupata non interrompa la continuità del terreno e che l'occupatore vi abbia apportato sostanziali e permanenti miglioramenti di natura stabile e oggettiva, tali da aumentare la capacità di reddito del fondo. Il provvedimento è di natura discrezionale e ciò vuol dire che il soggetto occupatore non vanta alcuna posizione di diritto soggettivo sebbene possieda i requisiti necessari: «il provvedimento di legittimazione delle occupazioni abusive di terre del demanio civico comporta la trasformazione del demanio in allodio e, contestualmente, la nascita, in capo all'occupatore, di un diritto soggettivo perfetto di natura reale sul terreno che ne è oggetto [...] (recentemente, in tema, Cass. ss. uu., 22 maggio 1995 5600). In altri termini in esito al procedimento - avente natura amministrativa - di legittimazione, da un lato, cessa il regime di inalienabilità e imprescrittibilità delle terre che diventano private; […] viene ### emesso un provvedimento di natura concessoria in forza del quale il privato acquista un diritto di natura reale, sul bene (Cass. sez. un. n. 9286/94, n. 6940/93, n. 1750/74: per effetto della legittimazione l'abusivo occupatore diventa titolare di un diritto soggettivo perfetto, con pienezza di facoltà). È ovvio, peraltro, che se a carico dei fondi è imposto il pagamento di un "canone enfiteutico" non esiste un diritto reale di proprietà, ma il diverso diritto di enfiteusi [Cass., n. 64/97]». ### l'interpretazione giurisprudenziale, deve ritenersi che per effetto del provvedimento di legittimazione sorge - ferma restando la proprietà dell'ente esponenziale - in capo all'interessato una posizione giuridica di diritto soggettivo «[…] al quale si riferiscono le indicazioni di cui alla ### n. 2 del 26.02.2006 ed alla risoluzione n. 1/2006 - prot. n. 18288 della ### del ### con specifico riguardo ai profili della trascrizione, quindi dell'opponibilità dello stesso diritto, e del regime fiscale cui è sottoposto il relativo provvedimento di legittimazione». [T.A.R. Latina ###, n. 5/11].  ### a categoria produce una “biforcazione” del regime dei beni collettivi: i boschi e i pascoli - categoria A - continuano ad appartenere alla collettività e l'ente esponenziale di quest'ultima (di solito il Comune, come nel caso di specie) può alienarli solo previa autorizzazione della ### (per la disciplina precedente al decentramento, previa autorizzazione ministeriale); i terreni suscettibili di coltura agraria - categoria B - sono assegnati in enfiteusi e possono, dopo l'affrancazione, essere alienati dall'assegnatario. 
Prima dell'assegnazione a categoria, il bene appartiene alla collettività ed è inalienabile e immutabile nella sua destinazione. I giudici costituzionali hanno tuttavia affermato che l'assegnazione a categoria è indispensabile soltanto quando il bene non sia ontologicamente classificabile in una delle due categorie previste dall'articolo 12 della legge, perché in caso contrario essa rappresenta un mero atto di accertamento dichiarativo la cui mancanza produce soltanto un vizio formale dell'autorizzazione ad alienare [C. Cost. n. 221/92]. 
Con riferimento ai terreni di categoria A (boschi e pascoli), poi, il medesimo articolo 12 stabilisce che i ### e le associazioni non potranno, senza autorizzazione ministeriale (ora autorizzazione regionale) «alienarli o mutarne la destinazione». 
La quotizzazione è, invece, la ripartizione dei terreni del demanio civico assegnati a coltura agricola (categoria B) fra i coltivatori diretti del luogo, cui segue l'obbligo di migliorare il fondo e corrispondere un canone: in virtù dell'articolo 13 della legge n. 1766/27 «i terreni indicati alla lettera b dell'art. 11 sono destinati ad essere ripartiti [...] fra le famiglie dei coltivatori diretti del Comune o della frazione»; e, come si è già esposto sopra, l'articolo 19 dispone che «l'assegnazione delle unità fondiarie risultanti dalla ripartizione è fatta a titolo di enfiteusi, con l'obbligo delle migliorie [...]», mentre per l'articolo 21 «non sarà ammessa l'affrancazione se non quando le migliorie saranno state eseguite [...]. Prima dell'affrancazione le unità […] non potranno essere divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo». La quotizzazione determina perciò la creazione di un diritto soggettivo di natura reale, qualificato dal legislatore come enfiteusi e fino all'affrancazione del canone enfiteutico, che presuppone i miglioramenti indicati dalla legge, il bene non è alienabile dal “quotista”. 
È orientamento fermo quello per cui il bene assegnato in enfiteusi non cessa di essere "bene demaniale" fino all'affrancazione del canone e dunque prima di allora non può essere oggetto di rapporti giuridici - né, evidentemente, essere usucapito. 
La conciliazione, infine, prevista dall'articolo 29 della legge, è considerato un contratto di diritto privato che si instaura tra il singolo e la collettività rappresentata dal Comune, sottoposto alla condizione sospensiva dell'approvazione dell'autorità superiore (prima il commissario per gli usi civici e attualmente la ###; secondo la giurisprudenza, la conciliazione converte il bene demaniale in bene allodiale, in favore del soggetto che vi addiviene; l'effetto della conciliazione omologata è equiparato a quello di una sentenza o di una decisione definitiva, come avviene per la transazione (la conciliazione, nella formulazione della legge, doveva essere omologata dal commissario per gli usi civici e sottoposta ad approvazione ministeriale: autorevole dottrina ritiene che oggi la procedura sia di competenza della sola ### atteso che non sarebbe coerente con il sistema prevedere un controllo dell'ente suddetto rispetto all'operato del commissario, il quale resta un organo dello Stato). 
Per quanto si è finora detto, dunque, fino all'assegnazione a categoria il bene è assolutamente incommerciabile e insuscettibile di essere usucapito; dopo l'assegnazione a categoria A (boschi e pascoli) esso è destinato per sempre a restare di proprietà pubblica (salva la compravendita per esigenze di pubblico interesse, adottata dal Comune e approvata dalla ### secondo il meccanismo di cui sopra); dopo l'assegnazione a categoria B (coltura agraria) il bene è posseduto in enfiteusi dal privato, che potrà disporre del relativo diritto reale (“allodio”) solo dopo l'affrancazione del canone; anche prima dell'assegnazione a categoria il bene è commerciabile nell'ipotesi di legittimazione in favore del possessore abusivo, secondo la procedura amministrativa prevista, o a seguito di procedimento di conciliazione.  ### il costante orientamento giurisprudenziale [cfr. per tutti Cass. 19792/2011], i beni gravati da uso civico sono da assimilare ai beni demaniali, stante l'espressa previsione legislativa della loro inalienabilità; e questo vale sia per i beni utilizzabili come bosco o pascolo permanente, che per quelli utilizzabili per le colture agrarie. I detti terreni, inalienabili, sono da considerare incommerciabili e insuscettibili di usucapione prima del completamento dei procedimenti di liquidazione o di “sclassificazione”. ### l'impostazione preferibile [ancora Cass. n. 19792/11; Cass. n. 4120/77] non è ammissibile neppure una vendita ad effetti obbligatori o di cosa altrui, né un'anomala «vendita del possesso» [Cass. n. 8528/96], né infine una divisione che comprenda nella massa beni gravati da uso civico [Cass. n. 8693/98]. 
Solo quando siano attivate e completate le procedure volte a far perdere all'immobile la sua destinazione all'uso civico, sorge in favore del possessore (anche abusivo, come nel caso di specie) un diritto soggettivo di natura privatistica: il bene si affranca dalla soggezione alla proprietà collettiva e il diritto di uso civico degrada, come si è detto e secondo l'interpretazione della giurisprudenza, al rango di diritto affievolito [Cass. n. 6589/83]; il provvedimento commissariale di legittimazione delle occupazioni abusive «conferisce al destinatario la titolarità di un diritto soggettivo perfetto di natura reale sul terreno che ne è oggetto, costituendone titolo legittimo di proprietà e di possesso» [Cass. n. 6940/93], il terreno riacquista piena commerciabilità (Cass. n. 6589/83, n. 1750/74, n. 1234/73] e può perfino essere assoggettato a esecuzione immobiliare [Cass. n. 1750/74]. 
Al di fuori dei più o meno rigorosi procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, invece, prevale il pubblico interesse che aveva impresso al bene il vincolo dell'uso civico: il discorso si adatta pienamente anche alla questione oggetto del presente giudizio, conducendo a ritenere che i beni (pubblici o collettivi, nel senso ampiamente già illustrato) gravati da uso civico non sono suscettibili di usucapione. 
Nella fattispecie in questione, pur non risultando alcun provvedimento amministrativo di classificazione espressa, vi è prova dell'intervento della procedura di legittimazione che sembrerebbe essere addirittura stata seguita dalla affrancazione (tanto si intuisce dal prospetto prodotto dal Comune, in cui la “particella” legittimata in favore del ### riporta un decreto di affrancazione del 13 aprile 2010, repertorio n. 283/10). 
Sussistendo in origine la compresenza di un complesso di diritti soggettivi esercitabili uti singulus da ciascuno dei beneficiari dell'uso civico come appartenenti alla collettività dei cives, le situazioni da accertare sono molte e complesse e vanno verificate nel contraddittorio, almeno potenziale, con i singoli compartecipi e per essi con l'ente pubblico territoriale di riferimento individuato dal legislatore. Soltanto la garanzia dei passaggi procedurali già illustrati, volti a verificare l'effettiva perdita delle attitudini per cui il bene era stato destinato all'uso civico, può assicurare alla collettività indistinta dei partecipanti (diversi da chi intenda vantare un diritto individuale pieno ed esclusivo), in quanto tali contitolari del medesimo diritto, il controllo in ordine al venir meno di una situazione di sussistenza di quell'uso civico. 
Dunque soltanto a seguito del provvedimento amministrativo, scaturito dalle complesse procedure di verifica, può dirsi che il terreno oggetto di causa può formare oggetto di acquisto della proprietà per usucapione. 
Ricorrono in astratto, perciò, nel caso di specie i presupposti per l'acquisto a titolo di usucapione, non impedito dall'essere stato (in passato e fino alla procedura di legittimazione) il terreno gravato da uso civico e avendo la procedura di cui si è detto di fatto condotto a una sua sdemanializzazione tacita. 
E tuttavia non può giungersi all'accoglimento della domanda: è ostativa, infatti, la presenza sul suolo di un'unità abitativa totalmente abusiva e non sanabile.  ### è stato realizzato, come si evince dalla scrittura privata dell'8 settembre 1990, in epoca prossima al 12 aprile 1983 in cui fu effettuato un sopralluogo della polizia municipale (la domanda di condono, peraltro effettuata ai sensi del D.L. n. 649/94, riporta come epoca un abuso ultimato entro il 15 marzo 1985). Non è mai stata rilasciata concessione in sanatoria ed è opportuno evidenziare che nel caso di specie dagli elementi acquisiti non appaiono sussistere i presupposti amministrativi per l'accoglimento dell'istanza. 
Tale dato impone di valutare se possa o meno acquistarsi per usucapione la proprietà di un cespite abusivo, giacché la risposta positiva a questo interrogativo - come si ritiene alla luce delle argomentazioni che seguono - impone di considerare che in base al combinato disposto dell'articolo 1145 c.c. e dell'articolo 40, comma 2, della legge n. 47/85 il bene abusivo non può essere usucapito: l'articolo 1145 dispone infatti che «il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza effetto» e l'articolo 40 della legge n. 47/85 prevede la nullità degli atti traslativi della proprietà degli immobili abusivi definiti dai giuristi “di vecchia costruzione”. 
È bene ricordare che l'articolo 40 citato si riferisce, in collegamento con l'articolo 31 della medesima legge, a edifici o ad opere ultimate entro l'1 ottobre 1983. 
La norma, non abrogata dal testo unico che nel 2001 ha riordinato la materia, così dispone: «Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione di cui al sesto comma dell'art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 2 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo. 
Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente» La previsione della normativa urbanistica, anche con le modifiche che via, via si sono succedute e ben due condoni, ha posto la questione se la nullità prevista per gli atti traslativi sia semplicemente formale, ovvero dipendente dalla mera assenza in atto delle dichiarazioni cd. urbanistiche indipendentemente dalla situazione concreta del bene, oppure sostanziale e cioè comminata direttamente per la qualità «abusiva» del bene medesimo. 
La questione è stata oggetto di contrapposte interpretazioni e fino a tempi recenti era prevalsa in giurisprudenza la seconda delle due teorie; finché non è intervenuta una decisione resa a sezioni unite (Cass. n. 8230/19) che ha di nuovo ribaltato l'assetto. 
Si evidenzia fin d'ora che per chi scrive tale ultima interpretazione, pur resa a dirimere un asserito contrasto, non è condivisibile.  ### articolo 46 del D.P.R. n. 380/01 (###) dispone che «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù». 
La norma recepisce la formulazione della legge urbanistica n. 47/85 che altrettanto prevedeva all'abrogato articolo 17.  ### 40 delle legge n. 47/85, come si è detto, contiene la disciplina con riferimento alle “vecchie” costruzioni le quali possono consistere in costruzioni non assentite perché rientranti in una tipologia che non richiedeva licenza (per esempio, le costruzioni fuori dell'abitato urbano prima dell'entrata in vigore della “legge ponte” 765/67 che, sostituendo l'articolo 31 della prima legge urbanistica n. 1150/42, aveva esteso l'obbligo della licenza edilizia all'intero territorio comunale); costruzioni per cui era stata rilasciata la vecchia licenza edilizia (vale a dire iniziate prima del 30 gennaio 1977); costruzioni assentite con la nuova concessione edilizia (ex legge ### dal 30 gennaio 1977) o, infine, costruzioni abusive per le quali era stata attivata la procedura di condono. 
Il legislatore del 1985, comprendendo nell'articolo 40 tutte le dette tipologie di svariate situazioni (e includendo nell'articolo 17 gli atti relativi a costruzioni iniziate dopo la sua entrata in vigore), ha stabilito che ai fini della commerciabilità dei beni fosse sufficiente l'indicazione in atto degli estremi della licenza edilizia (vale a dire del provvedimento autorizzativo rilasciato con questa denominazione prima dell'entrata in vigore della legge n. 10/77 - cd. “Bucalossi” -, che ha introdotto l'istituto della «concessione» edilizia: la terminologia in questo settore, com'è noto, non è neutra ma rispecchia diverse concezioni di valori in ordine alla conformazione della proprietà privata); oppure l'indicazione degli estremi della concessione in sanatoria (per costruzioni iniziate senza autorizzazione ma con attivazione del procedimento di sanatoria); oppure, infine, la dichiarazione (di parte e l'unica in atto resa ai sensi della legge n. 15/68, con la consapevolezza delle conseguenze penali in caso di dichiarazioni false o reticenti) che l'atto avesse a oggetto una costruzione iniziata anteriormente all'1 settembre 1967. 
Nell'ipotesi che fosse stato attivato il procedimento di sanatoria, poteva darsi il caso concreto che il procedimento, pur regolarmente attivato, non si fosse ancora concluso al momento della commercializzazione: per queste (non infrequenti) ipotesi, era possibile allegare all'atto traslativo la documentazione prevista, cioè la copia della domanda con le ricevute del versamento delle prime due rate di oblazione. 
Com'è noto, dopo l'entrata in vigore della legge n. 47/85, che aveva individuato il punto di partenza del 17 marzo 1985 per l'operatività dell'articolo 17 riguardo alle «nuove» costruzioni, il condono sfociato nella legge n. 662/96 e che ha dilatato i tempi della sanatoria (con correttivi vari per le zone vincolate) fino agli immobili ultimati alla data del 31 dicembre 1993 ha costretto gli interpreti e gli operatori del diritto (in primo luogo i notai) a ritenere applicabile l'articolo 40 in generale per tutte le costruzioni per le quali fosse stata chiesta una sanatoria e l'articolo 17 per le costruzioni fin dall'origine regolarmente assentite. 
Il testo unico del 2001 si è occupato solo della seconda categoria (infatti lasciando in vigore l'articolo 40 e abrogando l'articolo 17) e ciò è coerente, come è stato osservato dai migliori studiosi, con l'oggetto della legge e con il dato che il condono è - e dovrebbe essere - un fatto del tutto eccezionale rispetto alla disciplina dell'attività edilizia, dunque limitato nel tempo: per cui, esaurita questa finestra temporale, tutto il resto rientra nella categoria degli «atti a regime», vale a dire di atti il cui oggetto sia un bene realizzato fin dall'origine in virtù di provvedimento autorizzativo. Esaurita la fascia dei condoni, dopo l'entrata in vigore del T.U.  380/01 le costruzioni o sono assentite o possono esserlo successivamente sussistendo il presupposto della “doppia conformità” di cui all'articolo 36, che consente il provvedimento di sanatoria. E negli atti traslativi se la costruzione - successivamente all'1 settembre 1967 - è stata regolarmente assentita, dovrà essere inserita la dichiarazione di parte che ne enuncia gli estremi (e non importa che si tratti di costruzione anteriore o posteriore alla data di entrata in vigore della legge 47/85, di licenza, di concessione, di autorizzazione edilizia e così via); se la costruzione non è stata regolarmente assentita, ai fini della commerciabilità - sempre eccettuate le costruzioni iniziate anteriormente all'1 settembre 1967 - deve sussistere un provvedimento di condono, la cui procedura o sia in corso o sia regolarmente conclusa per provvedimento formale di sanatoria o per silenzio-assenso. 
Dunque una costruzione abusiva (se antecedente all'entrata in vigore del testo unico, non condonata nei tempi previsti; e se successiva non sanabile ai sensi dell'articolo 36) non è commerciabile. 
Si tratta, com'è stato giustamente osservato a essere precisi con le categorie giuridiche, di una incommerciabilità relativa: il termine, nato tradizionalmente per riferirsi a beni che non potevano in alcun modo formare oggetto di atti giuridici (i beni demaniali), è stato esteso anche in questa materia ma deve essere adoperato soltanto quando i beni immobili costituiscono oggetto di atti traslativi della proprietà o di atti costitutivi o traslativi di diritti reali e non per gli atti a effetti obbligatori, né per quelli a causa di morte, né per quelli posti in essere nell'ambito delle procedure esecutive. 
Entrambe le richiamate disposizioni hanno previsto (art. 17, comma 4, e art.  40, comma 3) la possibilità della "conferma" delle comminate nullità, nel caso in cui la mancata indicazione della concessione edilizia o la mancata dichiarazione o il mancato deposito di documenti non fossero dipesi dall'inesistenza, al tempo della stipula, della concessione o della domanda di concessione in sanatoria o, ancora, dal fatto che la costruzione fosse stata iniziata dopo l'1 settembre 1967: è stata prevista quindi la possibilità di conferma degli atti negoziali, anche da una sola delle parti, mediante atto successivo redatto nella stessa forma del precedente e contenente la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda di concessione in sanatoria. 
È opportuno ricordare, a questo punto, che il “disavanzo” temporale tra quanto disponeva la legge n. 47/85 (costruzioni realizzate prima e dopo il 17 marzo 1985) e quanto prevede l'attuale testo unico è stato superato per effetto di due successivi condoni, introdotti nel 1994 (legge n. n. 724/94, articolo 39) e nel 2003 (D.L. n. 269/03 convertito dalla legge n. 326/03, articolo 32, comma 25) per abusi commessi rispettivamente fino al 31 dicembre 1993 e fino al 31 marzo 2003 e in relazione ad alcune tipologie (sia di abusi che di fabbricati).  ### edilizio è materia che ha subito nei decenni numerosi interventi e nella direzione - a eccezione dei condoni intervenuti - di una sempre più rafforzata (anche sotto il profilo penale) tutela del territorio.  ### è tortuosa e si interseca con quella parallela, sempre più intensa dopo l'avvio dell'applicazione delle norme costituzionali, della concezione del diritto di proprietà come un diritto «conformato» secondo i principi, appunto, costituzionali. 
La timidezza della più risalente giurisprudenza nell'applicazione degli effetti della legge urbanistica (n. 1150/42) e della successiva cd. legge ### (n. 10/77) rende evidente la difficoltà, legata a più antiche categorie giuridiche e a tradizionali applicazioni delle norme civilistiche, di sganciare la difformità edilizia dalla sola categoria dell'inadempimento contrattuale. È stata così esclusa l'invalidità dei rapporti che avevano a oggetto costruzioni realizzate in assenza di licenza e la loro incommerciabilità sul convincimento che, in assenza di norma imperativa, non si potesse tirare in ballo il profilo della illiceità dell'oggetto del contratto in quanto il trasferimento della cosa è in sé insuscettibile di essere vagliato sotto il profilo della illiceità, la quale può piuttosto riguardare la produzione del bene e non la sua alienazione [Cass., n. 6466/90, n. 2631/84]; così ritenendo che dall'irregolarità edilizia potesse solo derivare la risoluzione per inadempimento o la domanda di diminuzione del prezzo o l'operatività della garanzia per evizione. In quest'ottica fu guardata anche la disposizione di cui all'articolo 15 della legga n. 10/77 che sancì la nullità degli atti traslativi delle costruzioni realizzate in assenza di concessione se non risultava che l'acquirente ne era a conoscenza (invalidità deducibile solo dal contraente in buona fede ignaro dell'abuso) [cfr. Cass. n. 8685/99, n. 3350/92]. ### che è stata dalla dottrina definita assurda, poiché faceva derivare la liceità del contratto dall'affermazione della consapevolezza della illegalità della costruzione che ne costituiva l'oggetto. 
Entrata in vigore la legge n. 47/85, mentre la dottrina pressoché unanime si è assestata sul profilo della nullità sostanziale, la giurisprudenza ha invece enucleato il concetto di «nullità formale» (pur assoluta e rilevabile d'ufficio) per riferirsi agli effetti della mancata dichiarazione e reputandola indipendente dalla situazione reale (se cioè il bene fosse o meno effettivamente abusivo: con il corollario paradossale che la dichiarazione falsa ma presente in atto non sarebbe causa di nullità). È stato affermato, anche in tempi relativamente più recenti, che le dichiarazioni urbanistiche costituiscono requisito formale del contratto, di modo che è l'assenza «che di per sé comporta la nullità dell'atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell'immobile che ne costituisce l'oggetto» [Cass. n. 8147/00; conformi da ultimo Cass. n. 14804/17, 16876/13, n. 20258/09 e più risalenti Cass. n. 26970/05, n. 5898/04, n. 5068/01]. 
Altra parte della giurisprudenza ha seguito invece la via della «nullità sostanziale», esigendo che alla dichiarazione di parte corrispondesse non solo l'esistenza della documentazione richiamata ma anche la situazione reale del bene [Cass. n. 18261/15, n. 25811/14, n. 28194/13, n. 23591/13, n. 20258/09], giacché scopo perseguito dalla norma è di rendere incommerciabili i beni immobili non in regola dal punto di vista urbanistico-edilizio: i giudici hanno affermato che «se lo scopo perseguito dal legislatore era quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico, sarebbe del tutto in contrasto con tale finalità la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico o per i quali è in corso la pratica per la loro regolarizzazione per motivi meramente formali, consentendo, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando eventualmente alle parti interessate assumere l'iniziativa sul piano dell'inadempimento contrattuale. Addirittura si potrebbe prospettare la possibilità per le parti di eludere consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto e poi immediatamente dopo concludendo una transazione con la quale il compratore rinunzi al diritto a far valere l'inadempimento della controparte. Sempre sotto il primo profilo non si può non considerare che il legislatore, con la L. n. 47 del 1985, ha inteso prevedere un regime più severo di quello previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 15, il quale prevedeva la nullità degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, ove da essi non risultasse che l'acquirente era a conoscenza della mancata concessione. Tale inasprimento, invece, sarebbe da escludere ove, per gli atti in questione, all'acquirente dovesse essere riconosciuta la sola tutela prevista per l'inadempimento» [così Cass. 23591/13]. È stato inoltre evidenziato che, nonostante la «non perfetta formulazione» della norma, dall'articolo 40 della legge n. 47/85 può desumersi «[…] l'affermazione del principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi». 
Tale interpretazione si avvale anche della disciplina espressamente prevista dal terzo comma, che consente la conferma dell'atto nel solo caso in cui la mancanza delle dichiarazioni o il deposito dei documenti non siano dipesi dall'insussistenza della licenza o della concessione o dall'inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati: «La previsione che la conferma, la quale sottrae alla sanzione della nullità, può operare solo se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti contemplati non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dall'inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, non avrebbe senso se tali atti fossero ab origine validi» [ancora Cass. n. 23591/13]. 
A proposito del senso di tale filone interpretativo, perfino la recentissima pronuncia di segno contrario resa a sezioni unite ne evidenzia il «[…] chiaro intento di supportare, anche da un punto di vista schiettamente civilistico, il disvalore espresso dall'ordinamento rispetto al diffuso fenomeno dell'abusivismo edilizio», disvalore che «si coglie non solo in riferimento alle sanzioni penali ed amministrative variamente graduate che reprimono direttamente la commissione di abusi edilizi […], ma, in generale, in relazione alla percezione negativa di ciò che circonda il bene abusivo. 
Tanto si desume dalla giurisprudenza che ritiene nulli per illiceità dell'oggetto i contratti d'appalto aventi ad oggetto la costruzione di un immobile senza titolo abilitativo (Cass. n. 7961 del 2016; n. 13969 del 2011 e cfr., pure, n. 3913 del 2009; 2187 del 2011; n. ### del 2018), o non suscettibili di indennizzo espropriativo gli edifici costruiti abusivamente (a meno che, alla data dell'esproprio, sia stata avanzata domanda di sanatoria, pur non ancora scrutinata dalla P.A., ma con favorevole valutazione prognostica, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2 bis, Cass. n. 18694 del 2016; n. 10458 del 2017; n. 645 del 2018), ed, in assoluto, in relazione al valore conformativo della proprietà riconosciuto alla disciplina urbanistica (Cass. SU n. 183 del 2001 e successive conformi)» [Cass., sez. un. n. 8230/19]. 
E tuttavia tale ultima pronuncia avalla oggi una interpretazione strettamente letterale, affermando che «le norme pongono […] un medesimo, specifico, precetto: che nell'atto si dia conto della dichiarazione dell'alienante contenente gli elementi identificativi dei menzionati titoli, mentre la sanzione di nullità e l'impossibilità della stipula sono direttamente connesse all'assenza di siffatta dichiarazione (o allegazione, per le ipotesi di cui all'art. 40). Null'altro»; e attribuisce alla interpretazione sostanzialistica di aver dato corpo a «un'opzione esegetica che ne trascende il significato letterale e che non è, dunque, ossequiosa del fondamentale canone di cui all'art. 12 preleggi, comma 1, che impone all'interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione. La lettera della norma costituisce, infatti, un limite invalicabile dell'interpretazione, che è uno strumento percettivo e recettivo e non anche correttivo o sostitutivo della voluntas legis (cfr. Cass. n. 12144 del 2016), tanto che, in tema di eccesso di potere giurisdizionale riferito all'attività legislativa, queste ### hanno affermato che l'attività interpretativa è, appunto, segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale (cfr. Cass. S.U. n. 15144 del 2011; n. 27341 del 2014). La tesi della nullità generalizzata non è neppure in linea col criterio di interpretazione teleologica, di cui all'ultima parte dell'art. 12, comma 1, citato, che non consente all'interprete di modificare il significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, ove ritenga che l'effetto che ne deriva sia inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (cfr. Cass. n. 3495 del 1996; n. 9700 del 2004 e giurisprudenza ivi citata) e ciò in quanto la finalità di una norma va, proprio al contrario, individuata in esito all'esegesi del testo oggetto di esame e non già, o al più in via complementare, in funzione dalle finalità ispiratrici del più ampio complesso normativo in cui quel testo è inserito (cfr. Cass. n. 24165 del 2018). […] Inoltre […], la lettera della norma costituisce il limite cui deve arrestarsi, anche, l'interpretazione costituzionalmente orientata dovendo, infatti, esser sollevato l'incidente di costituzionalità ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme a costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa (Corte Cost.  sentenze n. 78 del 2012; n. 49 del 2015; n. 36 del 2016 e n. 82 del 2017). Nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o […] regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della "mens legis", specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa» [Cass. sez. un. n. 8230/19 citata; conforme Cass. n. 24165/18 e precedente Cass. n. 5128/01]. 
Chi scrive ritiene di aderire a una diversa impostazione che si valuta più coerente con l'evoluzione del sistema giuridico nel suo complesso, secondo cui «l'interpretazione della ratio legis, o dello scopo della disposizione o dell'intenzione del legislatore è criterio previsto dall'art. 12 preleggi, quale complemento indefettibile dell'interpretazione letterale o secondo il significato delle parole, non essendo l'interprete libero di fermarsi al solo criterio dell'interpretazione letterale ma essendo vincolato ad attribuire, alle parole utilizzate dal testo della disposizione, il senso che risulta dall'intenzione del legislatore, tra i due criteri non sussistendo alcuna gerarchia ma piena osmosi» [Cass. n. 29834/18]. Non si tratta, cioè, di verificare prima il senso squisitamente letterale delle parole e in un secondo momento, se necessario, l'intenzione del legislatore, ma di compiere uno sforzo unitario in cui i due elementi sono complementari. 
Interpretare è “dare un senso” e questa attività non può fermarsi al dato letterale, cioè al mero significato di un'espressione linguistica: sarebbe sterile una interpretazione della norma che si fermasse al solo significato proprio delle parole, così come appare oggi (alla luce dell'evoluzione delle democrazie, dei diritti dell'uomo e del pensiero giuridico, della ### del peso degli ordinamenti sovranazionali e così via) antico ogni riferimento a influssi di positivismo giuridico che appaiono francamente superati. E la norma non può essere interpretata solo facendo applicazione del significato letterale delle parole, in modo avulso dal contesto e dal sistema in cui è inserita. La stessa disposizione di cui all'articolo 12 delle “preleggi” si riferisce alla lettera come «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse», termine da cui già può ricavarsi un'indicazione a favore dell'interpretazione sistematica che non escluda, ma anzi valorizzi, il contesto in cui le locuzioni si trovano (contesto inteso da una parte della dottrina non solo come la legge in cui le parole sono inserite, ma all'estremo addirittura come l'insieme dell'intero ordinamento giuridico in vigore). E la stessa «intenzione del legislatore» è stata intesa in senso oggettivo, come canone di ricerca di un significato conforme alla ratio legis e finanche alla ratio iuris. È in questo ambito che deve ritenersi che l'esito della interpretazione non possa poi non subire la “prova della lettera” e cioè pervenire a un significato opposto o assolutamente non contemplato dalla norma, travalicando del tutto il significato iniziale e producendone uno “nuovo” che non trovi fondamento alcuno nell'enunciato normativo oggetto di interpretazione (come sottolineato dai giudici a sezione unite nella pronuncia sopra citata, rammentando però in modo molto più ristretto i confini della ricerca). 
Sotto altro aspetto, è vero che «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» [C. Cost n. 78/12], ma è anche vero che gli stessi giudici costituzionali hanno bollato la «interpretazione meramente letterale delle disposizioni normative» come «metodo primitivo» e che solo riaffermare la centralità dell'interpretazione sistematica «[…] consente una ricostruzione coerente dell'ordinamento costituzionale» [C. Cost n. 1/13]. 
Ora, secondo l'impostazione dei giudici di legittimità, lo scopo che le pronunce fautrici della teoria sostanziale sottolineano avrebbe potuto essere «agevolmente perseguito mediante una semplice previsione di nullità degli atti aventi ad oggetto siffatti immobili o d'incommerciabilità degli stessi», ma così non è stato e al contrario la nullità è stata prevista non in linea generale ma solo per specifici atti tra vivi a effetti reali, sicché la nullità comminata dalle disposizioni in parola non può essere «sussunta nell'orbita della nullità c.d. virtuale di cui all'art. 1418 c.c., comma 1, che presupporrebbe l'esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto […] non trova riscontro» nel testo normativo il quale si limita a specifiche ipotesi di nullità. Tale precisa elencazione impedirebbe dunque di considerare l'ipotesi di illiceità o impossibilità dell'oggetto oppure l'illiceità della prestazione o la causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume. 
Va rilevato che nel sostenere quest'ultima impostazione si fa riferimento ad altra antica e superata concezione della causa del contratto come «funzione economico sociale»: la sola alla quale si può connettere una affermazione per cui anche se la cosa è illecita la causa del contratto (scambio della cosa verso il corrispettivo del prezzo) resta lecita, giacché l'illiceità riguarda la produzione della cosa e non il suo trasferimento: impostazione che si pone su una linea completamente diversa da tutto l'assetto giurisprudenziale più recente e più avanzato che fa riferimento alla causa concreta del contratto per sostenere la rilevabilità d'ufficio delle nullità [sulla rilevabilità d'ufficio delle nullità, Cass., sez. un. n. 14828/12, 26242/14 e 26243/14 e, da ultimo, n. 12996/16, con l'affermazione rilevante della possibilità di predicare una soluzione unitaria in punto di rilevabilità officiosa della nullità contrattuale]. 
La lettera delle disposizioni va, piuttosto, esaminata in una prospettiva più larga e che non si nasconda, all'origine dell'introduzione, il problema - all'epoca ben più rilevante - di inserire una sanzione civilistica (la nullità dell'atto) in un contesto normativo prima caratterizzato soltanto dall'esistenza di sanzioni penali e solo più di recente anche da sanzioni amministrative - attualmente “il problema” ha una portata molto più relativa, come si evince per esempio dal dibattito in tema di nullità dei contratti di locazione non registrati (o tardivamente registrati) e all'impatto della norma tributaria quale norma imperativa -. 
Il problema di fondo è l'assetto del territorio e concerne le limitazioni che vengono imposte ai privati allo scopo di preservarne la conformazione e garantire che esso sia in linea con la normativa urbanistica (e oggi ambientale, storica, culturale). Le sanzioni penali e amministrative esigono, per avere seria valenza dissuasiva ed efficacia punitiva degli illeciti, adeguata organizzazione e capacità di rapido intervento da parte sia della P.A. che degli organismi inquirenti con la correlativa risposta giudiziaria (che, com'è noto, è in concreto quasi del tutto inefficace considerando i brevi termini di prescrizione degli illeciti penali).  ### operativa è stata perciò ottenuta influendo sull'aspetto che immediatamente e direttamente incide sugli interessi del privato e sulla sua attività speculativa: proprio intervenendo su quest'ultima si impedisce che essa sia realizzata e questo è l'aspetto più efficace nel sistema di prevenzione (oltre che di sanzione) dell'abusivismo, esattamente come accade in ambito penalistico con il sistema delle misure di prevenzione patrimoniale nel contrasto alla criminalità organizzata. 
Allargando l'ottica interpretativa senza restare sullo sterile piano meramente letterale e linguistico, la sanzione sul piano civile della nullità dell'atto per la illegittimità sostanziale della costruzione si raccorda con i principi di conformazione della proprietà privata derivabili dall'articolo 42 della ### ed è rilevante, inoltre, rammentare il percorso per il quale il legislatore vi è giunto: rammentare, cioè, che prima della nullità dall'articolo 17 della legge 47/85 (ora dall'articolo 46 del D.P.R.  n. 380/01) era stato disposto che «gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione» (articolo 15 della legge n. 10/77). 
Vi è stata dunque una progressione da una norma che ancora poneva al centro la quasi totale libertà delle parti, considerando il puro aspetto delle conseguenze privatistiche dell'irregolarità edilizia, a una norma che ha spostato l'asse verso una visuale più ampia e che trascende i puri interessi privati per conseguire un generale interesse pubblico alla tutela del territorio e al contrasto dell'abusivismo e delle condotte che quel territorio abbrutiscono. 
Volendo superare il “metodo primitivo”, dunque, non si può eludere di constatare che le scelte linguistiche e letterali del legislatore (che non sempre è perfetto, è vero) nella costruzione delle norme giuridiche sono dettate dalle più diverse considerazioni che all'interprete, il quale non voglia rifugiarsi nella torre eburnea ma restare nella realtà, non possono sfuggire. 
E la formulazione della norma risponde a un'esigenza abbastanza evidente: il legislatore, per evitare di bloccare la contrattazione immobiliare, non ha preteso una documentazione oggettiva (rilasciata cioè dalla P.A.), il cui rilascio avrebbe richiesto tempi lunghi, né una documentazione affidata ad accertamenti oggettivi del notaio, pure lunghi nei tempi e in qualche modo lontani dalle usuali sfere di ricerca che a tale professionista si chiedono nell'esercizio dell'attività professionale; il legislatore ha scelto la via più semplice di una documentazione affidata alla dichiarazione di parte. 
Quest'ultima, la cui ragione sta nel non ostacolare eccessivamente la negoziazione privata, non si giustifica per se sola (che senso avrebbe prevedere la nullità dell'atto per la sola sua mancanza?) ma in quanto essa rappresenta lo strumento per conseguire l'interesse pubblico alla regolarità urbanistica del bene (e si noti, a tal proposito, che solo l'attestazione della costruzione a un'epoca antecedente all'1 settembre 1967 è imposta sotto la copertura della dichiarazione ai sensi - all'epoca - della legge 15/68). 
La legge n. 47/85 prima e ora il testo unico sono impostati e concepiti sull'intento di conseguire la regolarità urbanistica e ambientale (e oltre) dell'attività edilizia privata. 
È in questo contesto che il legislatore ha previsto l'atto di conferma per sanare una nullità formale non corrispondente a una mancanza (nullità) sostanziale, privilegiando - com'è stato osservato da un autorevole studio in materia - la realtà sull'apparenza: è questo principio che deve guidare l'interprete, facendogli ritenere che una presenza documentale o una dichiarazione false creerebbero pura apparenza e violando gli interessi concreti perseguiti dalla normativa nel suo insieme. Dalla mancanza sostanziale, dunque, deve farsi discendere la irreparabile e definitiva nullità dell'atto valutando (nella sostanza) la dichiarazione ### di parte, ove resa, come se non fosse stata apposta. 
Allora l'enunciazione data da ultimo dai giudici a sezioni unite come argomentazione a favore della nullità formale, per cui il legislatore avrebbe potuto altrimenti raggiungere lo scopo «mediante una semplice previsione di nullità degli atti aventi ad oggetto siffatti immobili o d'incommerciabilità degli stessi» perde di razionalità: per dare corpo a una norma del genere sarebbe stato necessario assicurare di volta in volta l'accertamento preventivo della qualità non abusiva del bene, con tutto il conseguente e prevedibile intralcio alla speditezza della circolazione degli immobili; mentre consentire i trasferimenti sulla scorta della dichiarazione di parte (sanzionando con la nullità sostanziale la sua mancanza in concreto in caso di dichiarazioni false e consentendo la conferma in caso di mancanza puramente formale) la semplifica e consente al tempo stesso, se non la si restringe a una mera asserzione formale, a garantire la sostanzialità dello scopo perseguito dalla normativa urbanistica: rispetto, regolarità e legalità nell'assetto del territorio. 
Nemmeno si condividono gli ulteriori argomenti posti dalla citata sentenza, tra cui la scelta di non comminare alcuna sanzione ad altri tipi di atti. 
Com'è stato acutamente e autorevolmente osservato, l'esclusione degli atti mortis causa deriva molto semplicemente dal dato che essi non hanno né natura né intento speculativo (ciò che invece nella negoziazione tra vivi di immobili irregolari il legislatore vuole contrastare) perché non può darsi tale natura giuridica a un atto la cui funzione è disciplinare l'attribuzione del proprio patrimonio per effetto della propria morte: il fine speculativo presuppone infatti per definizione logica l'esistenza in vita del soggetto che intende, appunto, speculare e non il suo decesso. Analoga motivazione può darsi alla esclusione dei negozi costitutivi di servitù, i quali tendono a soddisfare esigenze del fondo dominante conservando allo stesso tempo la sua proprietà in capo al titolare e così la garanzia, che non conduce al trasferimento del bene garantito del fondo dominante; mentre la disciplina per le procedure esecutive si pone comunque sull'assetto della doppia conformità e sulla necessità di regolarizzare il bene abusivo. 
È opportuno, infine, precisare che non ogni abuso edilizio determina l'incommerciabilità del bene, ma solo quelli classificabili nel novero dell'assenza o della difformità totale o essenziale nei termini indicati oggi dal D.P.R. n. 380/01: soltanto irregolarità di questo tipo, infatti, sono contigue alla interpretazione sistematica di cui si è detto e coerenti con la direzione legislativa. 
In presenza di un immobile privo dei requisiti che ne consentano la commerciabilità, analogamente a quanto l'orientamento preferibile valuta in tema di giudizio di divisione, non può che pervenirsi al rigetto della domanda con cui si chiede di dichiarare l'avvenuta usucapione del bene, per l'illiceità e comunque per l'impossibilità giuridica relativa dell'oggetto del giudizio, giacché non può essere consentito all'autorità giudiziaria la produzione di effetti sostanziali vietati all'autonomia privata. 
Diversamente opinando, la via giudiziale consentirebbe di aggirare il meccanismo normativo e ottenere per altra via un risultato vietato, quello cioè per cui - come si è detto all'inizio - il bene abusivo non può essere usucapito poiché l'articolo 1145 c.c. dispone che «il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza effetto». 
Né può aversi pronuncia solo relativamente al suolo, trattandosi di un bene ontologicamente diverso da quello effettivo. 
Quanto alla domanda riconvenzionale, va rammentato che il convenuto ha chiesto di «accertare l'esatto adempimento della procedura prevista» e «la verifica del compenso per la liquidazione dei diritti sul fondo gravato di usi civici», senza apportare alcun elemento probatorio al riguardo: eppure la parte pubblica ben avrebbe potuto e dovuto svolgere le proprie verifiche presso i propri uffici, non potendosi demandare la detta attività di accertamento all'opera di un consulente tecnico d'ufficio che conducesse un'attività peritale sostanzialmente esplorativa. 
In ragione della soccombenza reciproca e della controversa complessità delle questioni trattate, le spese processuali possono essere interamente compensate.  P.Q.M.  ### in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) rigetta la domanda principale; 2) rigetta le domande riconvenzionali; 3) compensa per l'intero le spese di lite.  ### 16 luglio 2019 la giudice ### 

causa n. 1142/2016 R.G. - Giudice/firmatari: Bianco Carla

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Tribunale di Bergamo, Sentenza n. 1346/2025 del 14-10-2025

... dell'opera ed al tipo di interferenza sul reticolo idrico minore . Pertanto ogni singola interferenza dovrà essere valutata separatamente , poiché ognuna di esse può avere un impatto differente sul reticolo idrico , comportando, ogni volta ,un calcolo specifico del canone . In particolare l'art. 9 fa riferimento all'allegato F della delibera della ### nr. XII/1615 del 18/12/2023 che definisce i criteri necessari di calcolo dei canoni in relazione alla tipologia di interferenza . Questa tipologia di criteri hanno come presupposto una valutazione in base a ciascuna interferenza , senza una valutazione generica dell'opera complessiva .. In sostanza la normativa ### prevede che i canoni di locazione siano calcolati in base al tipo di interferenza ed alla lunghezza dell'occupazione , comportando una valutazione parcellizzata delle interferenze , avendo ognuna di esse caratteristiche differenti e comportando un calcolo specifico per il canone ### eccepisce altresì la violazione degli artt. 3 e 97 della ### e della ### 72/09 UE , in relazione all'ingiustificata disparità di trattamento . In sostanza parte attrice /opponente sostiene che la normativa della ### in materia di canoni di (leggi tutto)...

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO 2 SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 281 sexies cpc ultimo comma nella causa civile di I ### iscritta al n. r.g. 7312/2024 promossa da: E-### con l'#### ATTORE/I contro ### con l'Avv. ### CONVENUTO/### parti hanno concluso riportandosi alle rispettive memorie difensive finali . 
OGGETTO : opposizione ad avviso di accertamento ex art.1 comma 792 L. n. 160/2019 Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato al ### , la società E- ### si opponeva all'avviso di accertamento ex art.1 L. n. 160/2019 relativo al pagamento dei canoni relativi agli anni 2017-2024 , per un importo complessivo di €12.445,68 . 
In particolare parte attrice E-### eccepiva la mancanza dei requisiti necessari per la validità dell'atto ,la carenza di motivazione , riteneva inoltre non dovuti gli importi richiesti , poiché calcolati in base a criteri previsti da leggi e delibere regionali ritenute illegittime . 
Parte attrice chiedeva , pertanto , in via preliminare la sospensione dell'efficacia esecutiva dell'avviso di accertamento esecutivo n. ### del 30/10/2024 emesso dal #### . 
In via principale e nel merito chiedeva di accertare e dichiarare la nullità del predetto avviso di accertamento , previa disapplicazione della ### della ### del 14/12/2020 e della ### 1615 del 18/9/2023 . 
Chiedeva , pertanto , l'accertamento dell'infondatezza delle pretese del ### ed in subordine , determinare correttamente la misura del canone e delle indennità effettivamente dovute .
Con comparsa di costituzione e risposta , si costituiva in giudizio #### per comodità ### ) il quale , in via preliminare , il rigetto dell'istanza di sospensione dell'avviso di accertamento esecutivo prot. N. ### del 30/10/2024 di € 12.445,68 , in relazione ai canoni di polizia idraulica per le annualità 2017-2024 , per 19 attraversamenti del reticolo idrico minore . 
Nel merito il ### chiedeva di respingere l'opposizione formulata da E-### nei confronti del predetto avviso di accertamento e di tutte le domande ex adverso formulate in quanto infondate in fatto ed in diritto . 
La fase cautelare del presente giudizio veniva definita con ordinanza del 02/6/2025 , dove venivano rigettate le istanze di parte attrice con conferma dell'efficacia esecutiva del titolo . 
Alla prima udienza della fase di merito , parte attrice chiedeva l'ammissione di istanze istruttorie , tra cui l'ammissione di una CTU . 
Parte convenuta chiedeva l'ammissione di istanze istruttorie ed in subordine un rinvio per la precisazione delle conclusioni . 
La causa , ritenuta matura per la decisione e meramente documentale , veniva rinviata all'udienza del 16/9/2025 per i provvedimenti di cui all'art. 281 sexies cpc ultimo comma con termine fino a 10 giorni prima dell'udienza per il deposito di memorie difensive finali . 
Alla predetta udienza , le parti si riportavano alle rispettive memorie difensive finali e la causa veniva trattenuta per la decisione . 
La presente opposizione è infondata e va pertanto rigettata . 
Per comprendere meglio l'oggetto del presente giudizio , si evidenzia come il ### agisce nell'ambito di un ‘attività vincolata e ad esso attribuita dalla normativa della ### ( art.3 , comma 114 L.R. 1/2000 e ss ) che attribuisce e riconosce la competenza comunale in materia di polizia idraulica sul ### delegando anche : la gestione e vigilanza del RIM ( reticolo idrico minore ) , l'adozione di provvedimenti autorizzativi e concessori , la determinazione e riscossione dei canoni di polizia idraulica ( come previsto dall'art.52 comma 4 , L.R. 26/2003 ) . 
In particolare l'opposizione formalizzata dall'opponente E-### attiene , in via principale , sull'art. 13 della L.R. ### n. 4/2016 , dove risulta necessario valutare se la società opponente può usufruire della disciplina più favorevole in materia di regolarizzazione delle occupazioni senza titolo . 
A tale riguardo , si osserva che l'opponente E- ### non ha risposto ai solleciti del ### ( come da doc. 2-3-4 prodotti da parte convenuta ), non provvedendo alla sottoscrizione degli atti unilaterali d'obbligo . 
Nel caso in esame ,l'art. 13 della sopra indicata legge regionale indica una speciale disciplina nei confronti dei gestori di reti tecnologiche ed infrastrutturali , come nel caso della società opponente , con lo scopo di promuovere la regolarizzazione delle occupazioni prive di titolo tramite l'esclusione delle sanzioni mediante l'adeguamento alla normativa vigente . 
Affinché sia attivata la sopra indicata normativa , risulta necessaria l'attivazione da parte della società interessata alla regolarizzazione mediante la stipula di convenzioni o la sottoscrizione di atti unilaterali d'obbligo . 
Nel caso in esame , l'opponente E-### è stata più volte sollecitata dal ### senza ricevere una risposta dalla stessa . 
Alla luce delle considerazioni sopra espresse , si evince che non è stato attivato alcun procedimento di regolarizzazione da parte dell'opponente , atteso che l'art. 13 della LR 4/2016 non si applica in modo automatico , necessitando che la società interessata ottemperi alla procedure previste , sottoscrivendo una convenzione con il ### o tramite un atto unilaterale d'obbligo.
A tale riguardo , non risulta che la società opponente abbia sottoscritto né una convenzione e nemmeno un atto unilaterale d'obbligo . 
Risulta , inoltre , che il ### abbia inviato ad E-### diverse comunicazioni ufficiali con l'elenco delle interferenze censite con l'importo dovuto , concedendo alla convenuta un termine per presentare osservazioni e regolarizzare la propria posizione . 
La mancata risposta dell'opponente , diviene una violazione del principio della leale collaborazione con la ### con preclusione dei benefici dalla stessa convenuta richiesti . 
Pertanto l'atto di accertamento del ### risulta corretto e conseguentemente la E-
DISTRIBUZIONE non potrà usufruire del regime agevolato previsto dall'art.13 L.R. 4/2016 .  ### di accertamento del ### trae origine dalla normativa della ### , in particolare la L.R. 1/2000, la L.R. 10/2009 , la L.R. 4/2016. 
Per l'applicazione concreta dei canoni , in relazione al caso in esame , vi sono degli allegati predisposti dalla ### per la determinazione dell'importo dei canoni di concessione . 
In particolare vi sono gli allegati F ( canoni regionali di concessione di polizia idraulica ) e H ( determinazione della percentuale di riduzione dei canoni di polizia idraulica ) in sede di stipula delle convenzioni con i soggetti gestori e proprietari di reti tecnologiche e infrastrutturali che interferiscono con il reticolo idrico principale in attuazione della L.R. 4/2016 , art.13 c.4 . 
A tale riguardo la ### della ### della ### n.XI/4037 del 14/12/2020, per quanto riguarda l'allegato H , prevede delle percentuali dei canoni di polizia idraulica utilizzabili nell'ambito della stipula di convenzioni con i soggetti gestori e proprietari di reti tecnologiche ed infrastrutturali che interferiscono con il reticolo idrico principale e minore . 
Le predette riduzioni sono previste per quelli che vengono definiti “ ### “e che abbiano stipulato delle convenzioni specifiche con gli ### . 
Pertanto , la riduzione della percentuale del canone è necessariamente soggetta alla stipula delle predette convenzioni . 
Senza una convenzione sottoscritta tra il ### e l'### , le riduzioni indicate nell'allegato H non sono applicabili , con applicazione al canone dovuto delle tariffe standard previste dall'allegato F . 
In relazione all'eccepita carenza di certezza del credito vantato dal ### , parte opponente ritiene che lo stesso non abbia fornito delle prove adeguate volte a dimostrare l'effettiva occupazione del demanio idrico da parte della convenuta E-### . 
In relazione a quanto sopra indicato , occorre rilevare che in data ### il ### ha approvato il piano di ### del ### , con alcune varianti ( tra cui una risalente al luglio 2016 ) e durante il procedimento di approvazione del PGT e delle successive varianti , non risulta che parte attrice abbia presentato osservazioni in relazione alla consistenza ed estensione delle proprie interferenze sul reticolo idrico minore . 
Inoltre il ### ha comunque disposto un censimento delle opere / interferenze che riguardano il reticolo idrico minore , in base alla normativa vigente , individuando 19 attraversamenti della rete elettrica sul demanio idrico . 
I risultati del censimento sono stati comunicati ad E-### con le relative schede tecniche , che sono state poi allegate all'avviso di accertamento . 
Parte opponente ritiene che se sussiste un ‘occupazione fisica si paga un canone anche se minimo , mentre se non c'è occupazione non sarebbe previsto alcun pagamento . 
Tuttavia la predetta interpretazione non risulta corretta in quanto l'importo minimo di € 167,08 relativa alla nota dell'allegato F per l'anno 2023 , fa riferimento alle interferenze appartenenti al codice “O” (Occupazione di arre demaniali “ ) mentre le interferenze oggetto di causa appartengono al codice A.
Pertanto nell'anno 2023 per ogni tipo di interferenza è dovuto un canone minimo di €83,54 per interferenza ed opera , con l'eccezione delle interferenze ed opere appartenenti al codice O ( Occupazione di aree demaniali ). 
Per le occupazioni di aree demaniali è previsto un canone minimo di € 167,08 , per le ragioni sopra esposte sono stati determinati due importi minimi ( € 83,54 ed € 167,09 ) anziché uno solo .  in base alla normativa ### , anche in mancanza di una diretta interferenza diretta con il regime delle acque , l'occupazione dello spazio aereo sopra un corso d'acqua tramite linee aeree elettriche , come anche nell'ipotesi di installazione di cavi in tubi agganciati a ponti o interrati in sub -alveo , risulta comunque soggetta al pagamento del canone di concessione di polizia idraulica . 
In relazione all'eccepita illegittimità del verbale di accertamento per difetto di motivazione e per mancata indicazione dei criteri di calcolo , occorre rilevare come il ### faccia riferimento alla normativa regionale ( L.R. 04/2016 ) ed a tutte le delibere della ### . 
Per quanto riguarda il principio della buona fede e del contraddittorio , risulta che il ### ha inviato a E-### 3 COMUNICAZIONI via PEC , fornendo informazioni sull'accertamento in corso e concedendo termine per la presentazione di memorie difensive ed osservazioni . 
Per quanto riguarda l'eccepita illegittimità dell'ordinanza -ingiunzione per doppia imposizione , si osserva che CUP e canoni di polizia idraulica hanno una diversa natura ed anche deversi scopi ; infatti il primo è stato introdotto dalla L. 160/2019 in sostituzione di ### e ### ed attiene all'occupazione di suolo pubblico . 
Mentre per quanto concerne i canoni di polizia idraulica , sono previsti dalla normativa regionale (art. 3 , comma 114 L.R. 1/200) e regolamentano l'uso delle aree del reticolo idrico minore e finalizzati alla tutela idrogeologica . 
Per l'eccepita illegittimità dell'accertamento per violazione dell'art.9 L.R. 4/2016 , asserita violazione degli artt. 3,23,41,97 della ### , si osserva come l'art.9 della L.R. 4/2016 determina i criteri per il calcolo e la riscossione dei canoni di polizia idraulica . 
La predetta normativa non esclude una valutazione parcellizzata delle interferenze. 
Più precisamente la norma prevede che i canoni siano calcolati in relazione alla natura dell'opera ed al tipo di interferenza sul reticolo idrico minore . 
Pertanto ogni singola interferenza dovrà essere valutata separatamente , poiché ognuna di esse può avere un impatto differente sul reticolo idrico , comportando, ogni volta ,un calcolo specifico del canone . 
In particolare l'art. 9 fa riferimento all'allegato F della delibera della ### nr. XII/1615 del 18/12/2023 che definisce i criteri necessari di calcolo dei canoni in relazione alla tipologia di interferenza . 
Questa tipologia di criteri hanno come presupposto una valutazione in base a ciascuna interferenza , senza una valutazione generica dell'opera complessiva .. 
In sostanza la normativa ### prevede che i canoni di locazione siano calcolati in base al tipo di interferenza ed alla lunghezza dell'occupazione , comportando una valutazione parcellizzata delle interferenze , avendo ognuna di esse caratteristiche differenti e comportando un calcolo specifico per il canone ### eccepisce altresì la violazione degli artt. 3 e 97 della ### e della ### 72/09 UE , in relazione all'ingiustificata disparità di trattamento . 
In sostanza parte attrice /opponente sostiene che la normativa della ### in materia di canoni di locazione di polizia idraulica viola i principi di uguaglianza ( art. 3 Cost ) e di imparzialità (art.97 Cost ), poiché disporrebbe dei trattamenti di favore per alcuni soggetti a discapito di altri .
A tale riguardo la Giurisprudenza della Corte Costituzionale ha precisato che il principio di uguaglianza non impone un trattamenti identico in relazione a fattispecie differenti . 
Nel caso in esame , quanto previsto per E-### è CHIARAMENTE determinato dalla natura delle infrastrutture e per la tutela del demanio idrico . 
Mentre l'esenzione per le reti ferroviarie e di telecomunicazioni trae origine da normative nazionali e regionali che non hanno applicazione per le infrastrutture elettriche . 
La rete elettrica , anche se riveste le caratteristiche di pubblica utilità , occupa fisicamente il demanio idrico , mentre le infrastrutture ferroviarie e di telecomunicazione hanno regimi differenti in ragione delle loro diverse caratteristiche tecniche . 
Le spese di lite , liquidate come da dispositivo , seguono la soccombenza .   P.Q.M.  Il Tribunale di Bergamo , definitivamente pronunciando , ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita , così dispone : 1. Rigetta l'opposizione formulata da E-### avverso l'avviso di accertamento delle entrate patrimoniali del 30/4/2024 notificato dal #### 2. Condanna l'opponente E-### alla refusione delle spese di lite in favore del convenuto opposto ### , che si liquidano per compensi professionali in € 5.077,00 oltre spese generali 15% oltre CPA ed IVA . 
Bergamo ,14/10/2025 IL GIUDICE ( dott. ### )
N. R.G. 7312/2024 TRIBUNALE ORDINARIO di BERGAMO 2 ### n. r.g. 7312/2024 tra E-### con l'avv. ### ATTORE/I e ### con l'avv. ### CONVENUTO/I #### 18 novembre 2025, alle ore 11 innanzi al dott. ### sono comparsi: per parte convenuta ### l'avv. ### il quale si riporta alla propria istanza di correzione dell'errore materiale .  nessuno compare per parte attrice E-### .  ### rilevato l'errore materiale nel dispositivo della sentenza , dispone che le spese di lite liquidate in favore del ### siano distratte in favore dell'avv.  ### quale antistatario .  

Il Giudice
Il Giudice dott. ### n. 7312/2024 -2


causa n. 7312/2024 R.G. - Giudice/firmatari: Giuseppe Liotta

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Tribunale di Napoli, Sentenza n. 8807/2025 del 06-10-2025

... maggiore di quello stabilito in contratto, a titolo di canone locatizio, rispetto a quanto pattuito (850,00 euro al mese in più, oltre gli 850,00 pattuiti; ad eccezione del periodo dal settembre 2020 al novembre 2021, durante il quale ha versato maggiorazione di 500,00 euro al mese), per il complessivo importo di euro 73.800, per ottenere la ripetizione di tali somme, previa declaratoria di loro indebito per l'assenza di legittima causa di ritenzione, stante la nullità ex art. 79 l. 392/78 delle differenze dei canoni rispetto a quanto convenuto con il contratto di locazione registrato. Ha dedotto, altresì, di aver diritto all'indennità di avviamento, ex art. 34 l. 392/1978, pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto, di euro 850 + euro 850, dovendosi intendere risolto il contratto di locazione per iniziativa del locatore che ne ha intimato disdetta alla scadenza contrattuale. Ha rappresentato anche di non essere tenuto al pagamento dei consumi idrici intimatogli da ### spa per il periodo successivo al rilascio del locale. Ha concluso, chiedendo la condanna di ### al pagamento della somma di euro 73.800,00 oltre interessi legali dalle singole dazioni al soddisfo, oltre che la (leggi tutto)...

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Napoli, nona sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del dott.  ### all'udienza del 06/10/2025 , ai sensi dell'art. 429 c.p.c., mediante lettura del dispositivo e della contestuale motivazione, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 6083/2023 del R.G.A.C., pendente TRA ### srls, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. ####; Ricorrente E #### e ### quali eredi di ### rappresentati e difesi dall'avv. ####; ### rassegnate in atti.  RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il ###, ### srls - premesso di aver condotto in locazione, per uso commerciale con apertura al pubblico, l'immobile, costituito da unico locale vano terraneo, sito in ### alla via ### 91, riportato nel relativo ### al foglio 4, particella 410, sub 10, in forza di contratto di locazione registrato il 15 maggio 2014 stipulato con il proprietario, avv. ### e che, avendo il locatore intimato disdetta alla pattuita scadenza dei secondi sei anni, ha rilasciato l'immobile in data ###, prima ancora della scadenza, ottenendo la rinuncia del locatore al pagamento degli arretrati dei fitti non pagati, ma con la previsione di corresponsione da parte del conduttore di quanto eventualmente dovuto per le utenze al servizio del negozio, tra cui la ### - ha convenuto in giudizio il proprietario perché, avendo sempre versato, sin dal giugno 2014 e fino a dicembre 2021, un importo maggiore di quello stabilito in contratto, a titolo di canone locatizio, rispetto a quanto pattuito (850,00 euro al mese in più, oltre gli 850,00 pattuiti; ad eccezione del periodo dal settembre 2020 al novembre 2021, durante il quale ha versato maggiorazione di 500,00 euro al mese), per il complessivo importo di euro 73.800, per ottenere la ripetizione di tali somme, previa declaratoria di loro indebito per l'assenza di legittima causa di ritenzione, stante la nullità ex art. 79 l. 392/78 delle differenze dei canoni rispetto a quanto convenuto con il contratto di locazione registrato. Ha dedotto, altresì, di aver diritto all'indennità di avviamento, ex art. 34 l. 392/1978, pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto, di euro 850 + euro 850, dovendosi intendere risolto il contratto di locazione per iniziativa del locatore che ne ha intimato disdetta alla scadenza contrattuale. 
Ha rappresentato anche di non essere tenuto al pagamento dei consumi idrici intimatogli da ### spa per il periodo successivo al rilascio del locale. Ha concluso, chiedendo la condanna di ### al pagamento della somma di euro 73.800,00 oltre interessi legali dalle singole dazioni al soddisfo, oltre che la condanna al pagamento della somma di euro 30.600,00, ovvero della minore somma di euro 15.300,00, a titolo di indennità di avviamento ex art. 34 l. 392/1978, previa declaratoria di intervenuta risoluzione contrattuale per iniziativa del locatore, oltre interessi legali dalla data di rilascio dell'immobile ovvero, in via gradata, dalla costituzione in mora. Ha chiesto, altresì, di accertare e dichiarare che essa esponente è tenuta a corrispondere a titolo di consumi idrici il corrispettivo dovuto per quanto dichiarato dalla lettura del contatore effettuata in data ###. 
Si è costituito ### non opponendosi al riconoscimento di quanto richiesto dalla ricorrente circa il pagamento dei consumi idrici successivi al rilascio dell'immobile. Ha chiesto, per il resto, il rigetto dell'avversa domanda, del tutto sfornita di prova, non riconoscendo alcun potere al soggetto che avrebbe incassato le somme ed evidenziando che “rispetto alla cifra bonificata dalla parte conduttrice, in effetti mancava sempre una differenza di euro 50,00. Difatti dagli estratti conto del l 'esponente (cfr. doc. n. 1 ), emerge che lo stesso ha ricevuto bonifici per euro 850,00 a fronte di un canone concordato di euro 900,00 a partire dal giugno 2015: la differenza di euro 50,00 veniva effettivamente corrisposta in contanti. Difatti l 'Avv. ### non ha mai richiesto quelle somme, che gli erano state pagate”. Ha contestato, inoltre, il credito per indennità di avviamento, essendo stato rilasciato l'immobile anticipatamente per esclusiva scelta della conduttrice. 
La causa è stata istruita documentalmente e con l'escussione del teste, ### mentre la ricorrente è stata dichiarata decaduta dalla possibilità di sentire il teste ### cui non è stata notificata per l'udienza fissata per il suo esame l'intimazione a testimoniare. 
In via preliminare, va affermata la procedibilità della domanda avendo la parte onerata esperito il tentativo di mediazione ai sensi dell'art. 5 d.lgs 28/2010 (come novellato dal D.L. n°69/2013, conv.  in legge n°98/2013), come documentato in atti (verbale negativo del 22/9/2022).
Ancora preliminarmente, si deve chiarire che la domanda principale con la quale il conduttore agisce per la ripetizione di somme che assume di aver versato in misura superiore al canone contrattualmente pattuito è pacificamente qualificata dalla giurisprudenza come un'azione di ripetizione di indebito oggettivo, della quale contiene tutti i presupposti, trattandosi di pagamenti di maggiori somme non dovute e quindi privi di causa, ed a nulla rilevando il titolo ### in base al quale furono eseguiti (cfr. Cass. SS.UU. 11666/2007). 
Tali domande, come detto, sono pacificamente da qualificarsi come azioni di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., con applicazione della relativa disciplina anche sul piano dell'onere probatorio richiesto all'attore che, dunque, è tenuto, secondo la disciplina generale dell'art. 2697 c.c., a fornire la prova del pagamento (della dazione di denaro), nonché a provare l'inesistenza della "causa debendi", in quanto anch'essa elemento costitutivo (unitamente all'avvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) (Cass. 5896/2006). 
Invero, proposta domanda di ripetizione di indebito, l'attore ha l'onere di provare l'inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall'attore la dimostrazione dell'inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra "solvens" e "accipiens" (cfr. Cass. 14428/2021). 
Tanto chiarito, la domanda di ripetizione di indebito formulata dalla ricorrente si è rivelata infondata, per difetto di prova. 
In primo luogo, le ricevute di pagamento depositate dalla ricorrente recano quasi tutte la sottoscrizione di un soggetto terzo, tale ### che risulta essere stata segretaria del locatore solo fino al 2018 e ad essa il ricorrente, che pure ne ha chiesto l'escussione come testimone, non ha notificato la relativa intimazione per l'udienza fissata per il suo esame. Non si è potuto avere, quindi, un riscontro su quanto affermato nell'atto introduttivo e soprattutto sulla circostanza dell'entità dei presunti pagamenti ricevuti. Va detto, infatti, che tutte le ricevute di pagamento recano la dicitura “differenza fitto del mese di … per la locazione del negozio Gloves”, ma non indicano la somma effettivamente riscossa. ### riscontro avrebbe dovuto essere fornito dalle dichiarazioni del teste ### Ebbene, il teste ha dichiarato : “### a conoscenza della locazione dell'immobile di via ### a ### inizialmente il contratto di locazione, stipulato nel 2014, era con la ### srl. Il contratto prevedeva un canone di 850,00 mensili, invece, vi era una parte in nero che dovevo dare ogni mese equivalente ad ulteriori 850,00 euro. ###, quindi, era 850,00 euro a mezzo bonifico e altri 850,00 euro in contanti. ### è la mia ex moglie. 
Io mi sono occupato personalmente di questi pagamenti in contanti che avvenivano presso lo studio dell'avvocato che era nell'immobile adiacente. Ogni inizio mese portavo i soldi in contanti e questo dal 2014 a fino al 2021. Mi veniva rilasciata una ricevuta anche per questa ulteriore somma. I soldi li davo a volte all'avvocato ### e a volte alla sua segretaria. La ricevuta veniva firmata dall'avvocato quando era presente, mentre negli altri casi la segretaria credo apponesse la sua firma. 
ADR la segretaria si chiamava ### Amabile”. 
Ma queste dichiarazioni sono da considerarsi poco attendibili. Il teste ha precisato, infatti, di essere “dipendente part time della ### srls da circa 3-4 anni. Prima di essere dipendente parttime prima ero socio unico della società, ciò fino al 2017. …..ADR ho firmato tutti i contratti compreso quello di subentro. All'epoca del subentro ero io l'unico socio della ### Così come sono stato io a firmare le scritture di riduzione fatte in epoca Covid”. 
Va detto che, non essendo più amministratore unico e legale rappresentante della ricorrente, il ### non è incapace a testimoniare, come ormai pacificamente chiarito in giurisprudenza. Resta, però, da valutare l'attendibilità delle sue dichiarazioni, che è rimessa alla valutazione del giudice. Ebbene, tale attendibilità è minata, da un lato, dal fatto che in base a quanto dallo stesso dichiarato, il ### è rimasto sostanzialmente il titolare dell'attività gestita dalla società, occupandosi dei pagamenti e anche della sottoscrizione degli accordi successivi (siglati in epoca ### con la proprietà per ottenere una riduzione del canone. Dall'altro lato, va evidenziato che il teste sui presunti pagamenti ha reso dichiarazioni poco circostanziate e senza riferimenti utili per comprendere l'entità delle presunte somme versate, in modo da porre rimedio alla estrema genericità delle quietanze, che non riportano la cifra riscossa. Ciò in presenza anche della eccezione del locatore, secondo cui il contratto prevedeva che dal secondo anno in poi il canone mensile era di euro 900,00, mentre i bonifici sono sempre stati solo di euro 850,00. Il locatore, cioè, ha eccepito che se pure una parte della somma veniva incassata in contanti, si trattava dei 50,00 euro in più previsti in contratto e non pagati. 
Si tratta, con tutta evidenzia, di una deposizione testimoniale che non ha quel carattere di precisione e specificazione necessario soprattutto quando occorre dare la prova di un fatto, quale il pagamento, per il quale la prova orale deve essere particolarmente rigorosa e connotata da un quid pluris in grado di farla ritenere attendibile, a fronte della mancanza di qualsivoglia prova documentale dell'entità del pagamento. 
Si è rivelata, invece, fondata la domanda relativa al pagamento dell'indennità di avviamento. 
Il rapporto di locazione si è concluso in forza della disdetta comunicata dal locatore alla conduttrice, anche se per intervenuto successivo accordo fra gli stessi l'immobile è stato poi rilasciato anticipatamente. È, altresì, pacifico che l'immobile è stato destinato dalla conduttrice ad attività commerciale avente contatto diretto con il pubblico, come, del resto, espressamente previsto nel contratto di locazione, laddove (punto 6) è stabilito che “il locale si concede per uso commercio” e che “il conduttore dichiara che l'immobile verrà utilizzato per attività con contatti diretti con il pubblico”. Sussistono quindi i requisiti richiesti dal combinato disposto degli artt. 34 e 35 della legge 392/78. 
E' pacifico che “in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non ha l'onere di provare che l'immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile, gravando sul locatore, che eccepisce la diversa destinazione effettiva, l'onere di provare tale fatto impeditivo della suddetta pretesa, ai sensi dell'art.  2697, comma 2, c.c.” (così Cass. 29303/23). Nulla sul punto ha, invece, né eccepito, né provato il locatore. ### dell'indennità di avviamento è fissato dall'art. 34 suddetto in diciotto mensilità del canone alla data di cessazione del rapporto locativo. Il locatore deve essere condannato, quindi, a pagare la somma di euro 16.200,00 (900,00 x 18), oltre interessi legali dalla data della costituzione in mora, identificabile con quella della notifica dell'atto introduttivo del presente giudizio (22/3/2023), fino al soddisfo.  ### domanda, di declaratoria di accertamento dell'obbligo della ricorrente di pagare le bollette per il consumo idrico, non è accoglibile in questa sede in quanto, per avere una qualche efficacia, avrebbe dovuto essere formulata anche nei confronti dell'ente erogatore del servizio idrico, mentre nel rapporto interno fra conduttore e locatore sin dalla costituzione in giudizio il conduttore ha riconosciuto legittima la pretesa di ### srls circa il proprio obbligo di pagamento solo fino alla data del rilascio. 
Le spese seguono la soccombenza della parte resistente e si liquidano come in dispositivo, con compensazione per la metà in ragione del parziale accoglimento e del rigetto della domanda principale.  P.Q.M.  Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, sulla domanda proposta da ### srls nei confronti di #### e ### quali eredi di ### così provvede: 1) rigetta la domanda di ripetizione di indebito; 2) accoglie la domanda di pagamento dell'indennità di avviamento e, per l'effetto, condanna i resistenti, nella spiegata qualità, a pagare la somma di euro 16.200,00, oltre interessi legali dalla data della costituzione in mora (22/3/2023) fino al soddisfo; 3) condanna la parte resistente a pagare le spese di lite in favore di ### srls, liquidandole in euro 780,00 per spese ed euro 3.600,00 per compensi, oltre ### CPA e rimborso forfetario nella misura del 15 % del compenso, somma così già compensata per la metà. 
Così deciso in Napoli il ###. 
Il giudice dott.

causa n. 6083/2023 R.G. - Giudice/firmatari: Ardituro Enrico

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Corte d'Appello di Napoli, Sentenza n. 1566/2025 del 28-03-2025

... una tubatura all'interno dell'immobile condotto in locazione, causativa dei danni all'immobile sottostante. Invero, a pagina 14 dell'atto di appello si legge: “le infiltrazioni de quo venivano generate dalla rottura di una tubazione che era a monte del contatore idrico ubicato nell'appartamento condotto in locazione dal dott. ### (di proprietà della sig.ra ###. Tale guasto causava l'allagamento dell'intero appartamento, in particolare della sala d'ingresso adibita a sala d'attesa e reception dello studio medico, la quale veniva invasa da ingente quantità d'acqua che veniva sversata con forte pressione. Inevitabilmente, suddetto ingente allagamento causava abbondanti infiltrazioni d'acqua nell'appartamento sottostante, illo tempore di proprietà del sig. ### e condotto in locazione dalla sig.ra ### Palmina”. Orbene, tenuto conto di queste circostanze, si reputa incontestata la verificazione del fenomeno infiltrativo promanante dall'immobile condotto in locazione da ### mentre, ad essere controverso è l'addebito della totale responsabilità in suo capo “quale conduttore e custode dell'immobile sovrapposto a quello danneggiato, avendo l'ing. Schifano ### individuato l'origine delle (leggi tutto)...

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 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Napoli - VI sezione civile − riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati: Dr.ssa ### d'### - Presidente rel. 
Dr. ### - #### - ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1869 del ### degli affari contenziosi dell'anno 2019, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n. 2758/2019 pronunciata in data 14 marzo 2019 dal Tribunale di Napoli, vertente TRA ### (###), rappresentato e difeso giusta procura in atti dall'Avv. ### ed elettivamente domiciliat ###Napoli alla ### n. 61 appellante principale E ### (###), titolare della ditta individuale NAPOLISUMISURA (###), con sede ###, rappresentata e difesa giusta procura in atti dagli Avv.ti ### e ### ed elettivamente domiciliat ###Napoli alla ### n. 42 appellata principale e appellante incidentale #### (###), rappresentato e difeso giusta procura in atti dagli Avv.ti ### e ### ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in ### del #### alla Via del ### n. 107 appellato principale e appellato incidentale E ### (###), rappresentata e difesa giusta procura in atti dall'Avv. ### ed elettivamente domiciliat ###Napoli alla ### n. 86 appellata principale ###. ### n. 61 (###), in persona dell'### pro-tempore, ### s.r.l. (P. 
IVA ###), in persona dell'### della stessa dott. ### rappresentato e difeso giusta delibera dell'### dei ### del 4.7.2019 e procura in atti dall'Avv. ### ed elettivamente domiciliat ###Napoli alla ### n. 61 appellato E ### (###), in persona dell'### pro-tempore ### rappresentata e difesa giusta procura in atti dall'Avv. ### ed elettivamente domiciliat ###Napoli alla ### n. 82 appellata ### I procuratori delle ### hanno concluso come da atti, verbali di causa e note di trattazione scritta da intendersi integralmente trascritti.  RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., depositato in data 27 novembre 2013, ### premesso di essere conduttrice di un immobile sito in Napoli alla ### n. 61, piano I, interno 2, in virtù di contratto di locazione ad uso “laboratorio di sartoria” stipulato con ### in data ### e registrato presso l'### delle ### di Napoli il ### al numero di protocollo 16822/3, conveniva in giudizio ### innanzi al Tribunale di Napoli al fine di sentir “accertare e dichiarare il grave inadempimento contrattuale del locatore #### e per l'effetto risolvere il contratto; per l'effetto, condannare altresì il locatore al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a seguito del sinistro verificatosi, che si quantificano in una somma contenuta in € 50.000,00 e saranno meglio specificati in corso di causa; condannare il locatore alla restituzione degli importi sborsati dalla ricorrente a titolo di migliorie apportate all'immobile oggetto della locazione pari ad € 21.364,99, oltre interessi e rivalutazione monetaria; condannare il locatore alla restituzione dei depositi cauzionali, ovvero € 5.000,00 con rivalutazione ISTAT”, con condanna alle spese di lite. 
A sostegno delle proprie ragioni ### assumeva che, previo accordo con ### aveva effettuato a proprie spese lavori di ristrutturazione e ammodernamento all'immobile locato tali da garantire un'adeguata immagine commerciale del suo atelier per una spesa di € 21.364,99. Nel richiedere le somme di € 1.313,00 per i danni alla merce, di € 33.603,50 per i danni riportati nell'immobile locato e di € 7.139,00 per ulteriori esborsi, evidenziava che in data 13 maggio 2013 nell'immobile locato si erano verificate copiose infiltrazioni d'acqua dal solaio di copertura che, in base al rapporto di intervento dei ### del ### del 13.5.2013, erano risultate provenire dall'immobile sovrastante indiviso di proprietà ### ospitante il centro salute e benessere “### Angela” e dovute alla rottura di un tubo o valvola di carico di una macchina per la depurazione dell'acqua e avevano causato danni alla controsoffittatura e alla pitturazione delle pareti divisorie, oltre ad altri danni da verificare e quantificare.  ### deduceva, inoltre, che, in data ###, nell'immobile locato si era verificato il crollo del controsoffitto in cartongesso, anch'esso dovuto, in base a quanto accertato dai vigili del fuoco in sede di sopralluogo, alle copiose perdite idriche verificatesi nei giorni precedenti e tale da comportare, in via precauzionale, la inagibilità del laboratorio sartoriale nelle more dell'esecuzione di opportune verifiche al solaio sovrastante. Riferiva di aver informato dell'accaduto il proprietario ### mediante telefonata, telegramma del 17.5.2013 e raccomandata del 31.5.2013 e aggiungeva che, in data 1°.7.2013, il Comune di Napoli, dopo aver effettuato un sopralluogo nell'immobile, aveva diffidato dal praticare i locali e aveva invitato il locatore a effettuare i lavori di messa in sicurezza dell'immobile. La ricorrente affermava, infine, che, a seguito delle dette diffide, stante la mancata attivazione del proprietario nel ripristino dei locali, aveva sospeso il pagamento del canone di locazione relativo al mese di luglio attivandosi per la ricerca di un altro luogo in cui trasferire l'attività sartoriale. 
Si costituiva in giudizio, in data 13 gennaio 2015, ### che formulava, preliminarmente, istanza di chiamata in causa di ### di ### e del ### di ### n. 61 ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva evidenziando che, in base all'art. 1585, comma 2, e all'art. 13 del contratto di locazione, era da escludersi “la supposizione di “omniresponsabilità” del locatore” in caso di danni o molestie di fatto arrecati al conduttore da terzi. Sottolineava che, in data 13 maggio 2014, aveva proposto innanzi al Tribunale di Napoli un giudizio di accertamento tecnico preventivo ex artt. 669 e 669 bis c.p.c. (iscritto al n. R.G. 12284/2014), all'epoca ancora pendente, per l'accertamento della responsabilità per le infiltrazioni, la determinazione dei danni e della loro entità, a cui avevano partecipato, oltre ad ### anche #### il ### di ### n. 61 e, quali terzi chiamati, #### e ### Nel merito ### contestava integralmente la domanda avversaria e, al contempo, deduceva che la mancata percezione, da parte di ### dei canoni di locazione da luglio 2013 ad aprile 2014, quantificati in complessivi € 25.000,00, e degli oneri condominiali nella somma di € 2.610,78 rappresentava un danno da lucro cessante dalla stessa risarcibile. Evidenziava, inoltre, che la mancata restituzione dell'immobile da luglio 2013 ad aprile 2014 costituiva un danno emergente risarcibile sempre da ### nella somma di € 25.000,00, pari all'indice di mercato per dieci mensilità, posto che, se l'immobile fosse tornato “nella disponibilità del proprietario sarebbe stato immediatamente riattato e concesso in locazione”. 
Aggiungeva che la causazione del danno da infiltrazioni e l'omesso ripristino dei luoghi da parte dei proprietari e del conduttore dell'immobile sovrastante costituiva un danno emergente risarcibile da parte di #### e del ### nella complessiva somma di € 110.073,71, quale importo comprensivo di € 50.000,00 per mancata percezione dei canoni dal giorno del sinistro fino all'attualità, € 10.073,71, quale somma ingiunta con decreto ingiuntivo n. 4529/2014 dal Tribunale di Napoli per il mancato pagamento degli oneri condominiali, ed € 50.000,00 per danni arrecati alle strutture dell'immobile. Lamentava, infine, nei confronti della ricorrente e dei chiamati in causa un danno non patrimoniale quantificabile in una somma non inferiore a € 90.000,00.  ### concludeva insistendo per il rigetto della domanda avversaria per assoluta infondatezza in fatto e in diritto e, in via riconvenzionale, chiedeva: “previo accertamento della responsabilità dell'esclusiva o prevalente o concorrente responsabilità della parte in causa ###ra ### e dei terzi chiamati in causa, nella causazione del sinistro per cui è causa, condannare in via solidale la ricorrente ###ra ### la ###ra ### il dott. ### ed il ### n. 61, tutti al risarcimento dei danni per come qualificati e quantificati in narrativa, ognuno per quanto di ragione e/o a quanto risulterà di giustizia in seguito dell'istruttoria, in caso di mutamento del rito, oltre interessi dal dì del sinistro all'effettivo soddisfo, al resistente #### Rosario”. 
Invitate le ### a riferire in ordine all'esito del giudizio RG 12284/2014 per accertamento tecnico preventivo, ### depositava copia della consulenza tecnica d'ufficio ivi espletata unitamente al computo metrico. 
Con ordinanza del 2 aprile 2016, veniva autorizzata la chiamata in causa di #### e del ### di via ### n. 61 - Napoli. 
Quindi, si costituiva in giudizio, in data 30 settembre 2016, il ### eccependo, preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo, in subordine, di essere autorizzato a chiamare in causa la ### S.p.A., giusta ### n. 100312081, al fine di essere dalla stessa manlevata da qualsivoglia onere e/o obbligazione conseguente. ### nel merito, contestava i fatti posti a fondamento delle avverse domande e concludeva chiedendo il loro rigetto. 
Si costituiva in giudizio ### eccependo, preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione passiva e contestando, nel merito, integralmente le domande avversarie. Nel chiedere il rigetto di ogni domanda risarcitoria avanzata nei suoi confronti, evidenziava che la custodia dell'immobile da cui erano provenute, secondo il rapporto dei ### del ### e la consulenza tecnica d'ufficio espletata disposta nel giudizio di accertamento tecnico preventivo innanzi al Tribunale di Napoli, le infiltrazioni era stata affidata, per legge e per contratto, “esclusivamente al conduttore, dott. ### che aveva sulla predetta tubazione un immediato e continuativo potere fisico di controllo precluso alla locatrice”. 
Si costituiva in giudizio ### chiedendo, preliminarmente, che fosse ordinata la sospensione del giudizio in considerazione della contemporanea pendenza di un giudizio penale, diretto all'accertamento della falsità del contenuto della ### d'### dei ### del ### n. 10957/1 del 13.5.2013, e contestando, nel merito, integralmente le domande avversarie. Concludeva chiedendo il loro rigetto per assoluta infondatezza in fatto e in diritto. 
Autorizzata, con ordinanza del 23 dicembre 2016, la chiamata in garanzia della ### S.p.A., quest'ultima si costituiva in giudizio eccependo, preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione passiva e contestando, nel merito, integralmente le domande avversarie. Concludeva chiedendo il loro rigetto e, in subordine, il contenimento delle domande nei limiti di quanto provato e dell'indennizzo previsto nella polizza con applicazione delle relative franchigie. 
Disposto, in data 19 giugno 2017, il mutamento del rito da speciale ad ordinario, concessi i termini ex art. 183, co. 6, c.p.c., escussi i testimoni indicati da parte ricorrente, ovvero ### e ### e fatte precisare le conclusioni con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., il Tribunale di Napoli si pronunciava in data 14 marzo 2019 con la sentenza 2758/2019 con cui, preliminarmente, rilevato che dal verbale dei ### del ### del 13.5.2013 e dalle risultanze del procedimento per accertamento tecnico preventivo era emerso che le cause del fenomeno infiltrativo non provenivano dalle parti comuni dell'edificio, ma “dalla zona a cavallo delle proprietà ### ed ### situata al piano sovrastante” ed erano ascrivibili alla rottura “di tubazioni di un macchinario addolcitore d'acqua” situato nell'appartamento condotto in locazione da ### e, richiamato l'art. 8 del contratto di locazione ### dichiarava l'estromissione dal giudizio del ### di ### n. 61, della ### s.p.a. e di ### Il Tribunale, in ordine alle domande proposte, così disponeva: “B) accoglie parzialmente la domanda della ricorrente e, per l'effetto, dichiara risolto il contratto di locazione de quo; C) condanna ### al pagamento in favore di #### di euro 28.875,33 oltre interessi, come innanzi menzionato; D) condanna ### al pagamento in favore di ### di euro 14.437,67 oltre interessi, come specificato in parte motiva; E) in accoglimento della domanda di ### al pagamento dei canoni ed oneri condominiali come innanzi specificato, condanna ### al pagamento in suo favore di euro 26.733,71 oltre interessi, come innanzi specificato; F) condanna ### al pagamento in favore di ### di euro 74.837,07 oltre interessi, come specificato in parte motiva; G) dichiara compensate le spese di giudizio nella misura di 2/3, ponendo il restante terzo a carico di ### e, per l'effetto, condanna #### al pagamento in favore di ### di euro 265,00 per spese ed euro 4.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15% come per legge, con attribuzione ai procuratori dichiaratisi antistatari”. 
Con la stessa pronuncia il Tribunale, previo richiamo agli artt. 11 e 12 del contratto di locazione intervenuto tra ### e ### rigettava la domanda volta alla restituzione delle somme sostenute dalla conduttrice a titolo di migliorie apportate all'immobile. 
In particolare, il Tribunale, riconosciuta la responsabilità per la causazione del fenomeno infiltrativo in capo a ### e ritenuto sussistente in capo a ### in qualità di proprietario dell'immobile danneggiato, l'obbligo di “agire giudizialmente in modo tempestivo per ottenere il risarcimento del danno e conseguire il ripristino dei locali in tempi ragionevoli, limitando tutti i costi”, stabiliva che la condanna risarcitoria doveva ripartirsi nei loro confronti, rispettivamente, nella misura di 1/3 e 2/3 e quantificarsi nella complessiva somma di € 46.313,00, quale importo determinato dal danno procurato ai capi di abbigliamento e scarpe presenti nella sartoria (€ 1.313,00) e dall'indennità di avviamento commerciale ex legge 392/2018 (€ 45.000,00), dalla quale andava detratto l'importo di € 3.000,00, a sua volta derivante dalla complessiva somma di € 8.000,00 equitativamente determinata a titolo di aggravamento del danno per effetto della condotta della conduttrice a cui andava sottratto l'importo di € 5.000,00 a titolo di depositi cauzionali. Il Tribunale, inoltre, nel riconoscere la sussistenza dell'obbligo in capo alla conduttrice di pagare gli oneri condominiali e i canoni di locazione da luglio 2013 ad aprile 2014, riduceva in via equitativa il valore di questi ultimi di 1/3 a causa del parziale godimento dell'appartamento nel detto periodo e condannava ### al pagamento in favore di ### dei 2/3 (pari a € 45.000,00) dell'importo relativo ai canoni da costui non percepiti e decorrenti da maggio 2014 fino alla data della pronuncia (pari complessivamente a € 135.000,00), oltre al pagamento degli oneri condominiali e dei danni causati all'immobile quantificati nel procedimento per accertamento tecnico preventivo in € 12.300,00, per un totale complessivo di € 74.837,07. 
Avverso detta sentenza proponeva appello ### con atto di citazione notificato in data 8 aprile 2019, articolando tre motivi di gravame, oltre istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza, invocandone l'integrale riforma, con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. 
In particolare, l'appellante deduceva: 1) violazione e/o falsa applicazione dell'art.  183, comma ### c.p.c., a causa della mancata ammissione della prova testimoniale articolata con le note istruttorie del 30.10.2017 e diretta ad accertare la corretta individuazione dell'origine delle infiltrazioni e le relative responsabilità; 2) violazione dell'art. 112 c.p.c. poiché il Tribunale aveva riconosciuto all'attrice voci di danno ulteriori a quelle validamente richieste, come l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale; 3) travisamento/erronea interpretazione dei fatti di causa con riferimento all'inagibilità dell'immobile danneggiato e all'omesso pronto intervento dell'appellante. 
Si costituiva in giudizio, in data 17 luglio 2019, il ### sito in Napoli alla ###. ### n. 61 che, avvertendo, “nella qualità di amministratore di tutti i condomini”, la necessità di acclarare con certezza le cause generatrici dell'evento dannoso e le relative responsabilità, aderiva alle istanze istruttorie formulate dall'appellante, ### alle difese spiegate, alle conclusioni rassegnate, oltre che all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza. Chiedeva, in caso di revoca della pronuncia di estromissione e di accertamento della responsabilità nei suoi confronti, di condannare la ### S.p.A. proponendo, a tal riguardo, domanda di garanzia. 
Si costituiva in giudizio, in data 19 luglio 2019, ### con comparsa di risposta contenente appello incidentale con la quale, eccepita preliminarmente l'inammissibilità del gravame principale e contestato, nel merito, l'avverso dedotto per manifesta infondatezza, impugnava la sentenza in via incidentale denunciando: 1) il mancato riconoscimento delle migliorie apportate all'immobile; 2) la condanna al pagamento degli oneri condominiali; 3) le riscontrate manomissioni che avevano comportato un aggravamento dei danni pregressi nel periodo in cui l'immobile era in sua custodia; 4) il mancato riconoscimento dell'ulteriore profilo di danno relativo alle spese da lei sostenute per la stipula di un nuovo contratto di locazione; 5) che il giudice di prime cure non aveva disposto la condanna delle spese del procedimento di accertamento tecnico preventivo e aveva, al contempo, compensato parzialmente le spese del giudizio di merito. 
Si costituiva in giudizio, in data 20 luglio 2019, ### contestando l'appello principale “per la parte in cui ha censurato il capo A del dispositivo” e ritenendo invece fondato “per la parte in cui ha censurato i capi B-C-D-E-F del dispositivo, laddove il G.O.P.  erroneamente non ha rilevato il concorso dell'attrice ### e del convenuto ### nella produzione e/o nell'aggravamento dei danni da ciascuno lamentati ed ha liquidato il quantum di tali danni in misura eccessiva”. Concludeva chiedendo il rigetto dell'appello principale con riferimento alla censura sul capo A della sentenza impugnata e, in via subordinata, in caso di accoglimento anche parziale dell'appello principale e di dichiarata responsabilità e/o corresponsabilità nella produzione dei danni lamentati da ### e da ### riproponeva le eccezioni e deduzioni svolte nel giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 346 c.p.c. e anche ai sensi dell'art.  343 c.p.c., come appello incidentale condizionato, e dirette a sentir “- dichiarare la corresponsabilità della sig.ra ### e del sig. ### nella produzione dei danni da ciascuno lamentati; per l'effetto - quantificare in € 1.313,00 ### il solo danno emergente a favore della sig.ra ### da porre a carico del soggetto e/o dei soggetti dichiarati responsabili dell'evento infiltrativo, rigettando ogni ulteriore richiesta anche per lucro cessante e/o perdita dell'avviamento commerciale; - quantificare in € 10.079,86 oltre i.v.a. il danno emergente a favore del sig. ### da porre a carico del soggetto e/o dei soggetti dichiarati responsabili dell'evento infiltrativo, rigettando ogni ulteriore richiesta per danno emergente; - quantificare in € 5.000,00 (€ 2.500,00 x 2) il danno da mancato lucro a favore del sig. ### da porre a carico del soggetto e/o dei soggetti dichiarati responsabili dell'evento infiltrativo, rigettando ogni ulteriore richiesta per lucro cessante”, con vittoria di spese e competenze del giudizio. 
Si costituiva in giudizio, in data 10 settembre 2019, ### contestando nel merito la fondatezza dell'appello principale, di quello incidentale e di quello incidentale condizionato insistendo per il loro rigetto. 
Si costituiva in giudizio, in data 13 settembre 2019, la ### S.p.A.  eccependo preliminarmente l'inammissibilità del gravame principale e contestando, nel merito, l'avverso dedotto per manifesta infondatezza. Concludeva chiedendo il suo rigetto e, in caso di parziale conferma della sentenza impugnata, la conferma della “pronuncia di estromissione della soc. ###ni non sussistendo alcuna responsabilità a carico del ### in Napoli alla ### n. 61”. 
Acquisito il fascicolo telematico del primo grado di giudizio e concessa la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, all'esito dell'udienza del 12 dicembre 2024, trattata ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., posto che per cessazione dal servizio del consigliere relatore Dr. ### giusto decreto del ### della Giustizia del 12.10.2023, comunicato in data ###, il relativo ruolo era scoperto e trattandosi di una causa di risalente iscrizione a ruolo, rientrante nell'obiettivo di smaltimento del ### premessa la sostituzione del precedente relatore, dr.ssa ### con la nomina in sua vece della dr.ssa ### d'### sul cui ruolo, invece, non vi erano per quella data cause da riservare in decisione della stessa annualità, sulle rinnovate conclusioni rese dalle ### la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art.190 c.p.c.. 
Rimessa sul ruolo la causa per l'udienza del 20.3.2025 stante il mancato deposito da parte di ### del fascicolo di parte del primo grado del giudizio, giusta ordinanza pronunciata in data ###, e verificato l'adempimento da parte della ### di ### di detto incombente, la Corte riservava nuovamente la causa in decisione senza concessione dei termini, come concordemente richiesto da tutte le ### Va preliminarmente dichiarata l'ammissibilità dell'appello principale stante la tempestività della notifica dell'atto di citazione (8 aprile 2019) rispetto alla pubblicazione della sentenza di primo grado (14 marzo 2019), la sua procedibilità essendo avvenuta la costituzione nei dieci giorni successivi (16 aprile 2019), nonché l'ammissibilità dell'appello incidentale formulato nel termine di cui all'art. 343 c.p.c.  da ### Sempre in via preliminare va dichiarata l'ammissibilità dell'appello principale precisando, anche alla luce dell'eccezione di ### e della ### S.p.A., che i motivi di censura soddisfano i requisiti di specificità richiesti dall'art. 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis alla presente controversia, essendo stati individuati i passi della motivazione della sentenza gravata sottoposti a critica, la diversa ricostruzione dei fatti prospettata dall'appellante e tenuto, altresì, conto della compiuta difesa predisposta dalla parte avversaria, in tal modo evidenziando di aver compreso le ragioni delle doglianze. 
Dette conclusioni sono conformi a quanto anche recentemente affermato dalle ### della Suprema Corte che con ordinanza n. ### del 13/12/2022 e con sentenza n. 27199 del 2017 hanno affermato il principio di diritto secondo il quale “l'art. 342, nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, va interpretato nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”. 
Ancora in via preliminare va evidenziata l'inammissibilità per difetto di interesse delle difese formulate dal ### nella propria comparsa di risposta e, in particolare, della richiesta formulata nella dichiarata “qualità di amministratore di tutti i condomini […] ed in ragione della necessità di acclarare con certezza le cause generatrici dell'evento dannoso e le relative responsabilità” e relativa all'ammissione della prova testimoniale articolata da ### nel corso del giudizio di primo grado, tenuto conto che la sentenza impugnata, sul presupposto che le infiltrazioni d'acqua non provenivano dalle parti comuni dell'edificio, ha escluso ogni responsabilità per danni nei suoi confronti estromettendolo dal giudizio. Infatti, solo nell'ipotesi di sua soccombenza e, in particolare, nell'eventualità del riconoscimento di una sua responsabilità esclusiva o concorrente nella causazione del sinistro, il ### avrebbe avuto interesse all'impugnazione rispetto all'omessa pronuncia sulle istanze istruttorie, mentre nella specie avrebbe avuto, al contrario, soltanto l'interesse a riproporre le difese articolate nel giudizio di primo grado (difetto di legittimazione passiva e domanda di manleva).  ### all'impugnazione - inteso quale manifestazione del generale principio dell'interesse ad agire - presuppone, infatti, la soccombenza e, quindi, la concreta utilità derivante dalla rimozione della pronuncia censurata, non essendo sufficiente l'esistenza di un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte. Ne consegue, per un verso, che deve ritenersi normalmente escluso l'interesse della parte integralmente vittoriosa a impugnare una sentenza al solo fine di ottenere una modificazione della motivazione, ove non sussista la possibilità, per la parte stessa, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile; per altro verso, che l'interesse all'impugnazione va ritenuto sussistente qualora la pronuncia contenga una statuizione contraria all'interesse della parte medesima suscettibile di formare il giudicato (Cass. Sez. U, Sentenza n. 12637 del 19/05/2008; Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3991 del 18/02/2020 e Cass. Sez. 3 - , Ordinanza n. 23054 del 23/08/2024).  ### principale ### considerato in via preliminare, si ritiene l'appello principale fondato per quanto di ragione. 
Con il primo motivo ### denuncia l'omessa pronuncia, da parte del giudice di prime cure, circa le istanze istruttorie articolate con le memorie ex art. 183, comma 6, secondo termine, c.p.c. e afferenti “a fatti essenziali della reale e corretta individuazione dell'origine delle infiltrazioni”. Censura così quella parte della sentenza in cui il Tribunale, nell'attribuire la responsabilità per la causazione del fenomeno infiltrativo in suo capo, non ha compiuto un pieno accertamento dei fatti di causa, basandosi esclusivamente sulle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio all'esito della procedura per accertamento tecnico preventivo svoltasi innanzi al Tribunale di Napoli recante n. R.G. 12284/2014. Di quest'ultima contesta la sussistenza di errori e l'illogicità delle deduzioni, derivanti dalla circostanza che nelle determinazioni poste a suo fondamento abbia ricoperto un ruolo determinante la ### d'### dei ### del ### n. 10957/1 del 13.5.2013, a sua volta, ritenuta dall'appellante incongrua e imprecisa, oltre che falsa nella parte in cui si legge “a detta del prop. del ### si era rotto un tubo o valvola di carico di una macchina per la depurazione dell'acqua” e tale da averlo spinto a sporgere denuncia-querela presso la ### della Repubblica. ### ritiene inoltre non condivisibile la deduzione con cui il c.t.u., “pur avendo correttamente individuato la zona interessata dall'accumulo d'acqua e, di conseguenza, dai fenomeni infiltrativi”, ha escluso “che l'acqua vi fosse giunta dal vicino bagno (ossia dalla conduttura idrica effettivamente danneggiata)” e lamenta che l'erroneità di detta deduzione era stata evidenziata dal proprio c.t.p., ing. ### e non opportunamente riscontrata. 
Tale doglianza non appare condivisibile. 
Va evidenziato, in primo luogo, come dall'atto di appello emerga l'ammissione della rottura di una tubatura all'interno dell'immobile condotto in locazione, causativa dei danni all'immobile sottostante. Invero, a pagina 14 dell'atto di appello si legge: “le infiltrazioni de quo venivano generate dalla rottura di una tubazione che era a monte del contatore idrico ubicato nell'appartamento condotto in locazione dal dott. ### (di proprietà della sig.ra ###. Tale guasto causava l'allagamento dell'intero appartamento, in particolare della sala d'ingresso adibita a sala d'attesa e reception dello studio medico, la quale veniva invasa da ingente quantità d'acqua che veniva sversata con forte pressione. Inevitabilmente, suddetto ingente allagamento causava abbondanti infiltrazioni d'acqua nell'appartamento sottostante, illo tempore di proprietà del sig.  ### e condotto in locazione dalla sig.ra ### Palmina”. Orbene, tenuto conto di queste circostanze, si reputa incontestata la verificazione del fenomeno infiltrativo promanante dall'immobile condotto in locazione da ### mentre, ad essere controverso è l'addebito della totale responsabilità in suo capo “quale conduttore e custode dell'immobile sovrapposto a quello danneggiato, avendo l'ing. 
Schifano ### individuato l'origine delle infiltrazioni de quo nel guasto di un tubo di carico di un fantomatico macchinario per la depurazione dell'acqua” (cfr. pag. 15 dell'appello) piuttosto che in capo al ### (per essere stato causato l'allagamento dalla rottura di una tubazione che era a monte del contatore idrico ubicato nell'appartamento condotto in locazione) ovvero della proprietaria ### ( capi 3, 4 e 5 delle conclusioni rassegnate nell'atto di appello). 
La Corte ritiene che l'accertamento condotto dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata sulla responsabilità di ### nella causazione del sinistro sia da condividere e non appaia scalfito dalle ragioni poste a fondamento del dedotto motivo. Infatti, il Tribunale ha ritualmente acquisito nel giudizio di merito la relazione conclusiva dell'accertamento tecnico preventivo invitando ### che nelle proprie difese vi aveva fatto cenno, al deposito della documentazione e, nel raffronto con le altre risultanze acquisite e dirette a provare i danni subiti nell'appartamento condotto in locazione da ### ha ritenuto di poter trarre dalla stessa elementi a fondamento del suo convincimento in ordine alla responsabilità di ### Merita di essere osservato, in proposito, che la relazione conclusiva dell'accertamento tecnico preventivo espletato ante causam - o, come nel caso di specie, a giudizio già iniziato - è un documento che può essere validamente prodotto nel successivo giudizio di merito e sottoposto al contraddittorio ed è liberamente valutabile dal giudice, che può trarne elementi di prova, perfino quando ad esso partecipino soggetti che non sono stati presenti nel procedimento di accertamento preventivo. 
Nell'ipotesi in esame in cui al procedimento per accertamento tecnico preventivo vi ha partecipato ### è ben possibile trarre dalla relazione redatta dal consulente e ritualmente depositata nel giudizio di merito la prova del "fatto storico" principale, rilevato dal consulente (cfr. Cass. Sez. 3 - , Ordinanza n. ### del 28/12/2024). 
Va detto, a tal riguardo, che il c.t.u. nella relazione tecnica ha ritenuto, sulla base dell'osservazione dei luoghi, degli intradossi dei solai dell'appartamento di ### e degli aloni e macchie ivi presenti (“1) che sul ballatoio del vano scala in corrispondenza dell'ingresso della proprietà ### sono visibili sul soffitto e su parte della parete destra aloni tipici dovuti a fenomeni infiltrativi […] 2) che ispezionando gli intradossi dei solai del soffitto di proprietà ### ambiente per ambiente, la zona interessata dai fenomeni infiltrativi comprende lo spogliatoio, la sala esposizione e parte della sala tessuti fino alla parete - porta in vetro; 3) che misurando le pendenze del pavimento del bagno in prossimità del tratto di tubo orizzontale sostituito (proprietà ###, è emerso che in caso di copiose perdite di acqua, la stessa tenderebbe ad andare verso il fronte di proprietà ### prospiciente via ### 4) Che dalla misurazione delle pendenze del pavimento in proprietà ### è emerso che in caso di perdita in prossimità della zona a cavallo delle proprietà ### ed ### l'acqua si accumulerebbe nella zona individuata in ### 5”), che i fenomeni infiltrativi non erano causati dalla “parte di tubazione sostituita secondo quanto riportato nella produzione di parte Dott. Eccellente”, appartenente “strutturalmente alla tubatura orizzontale di pertinenza della proprietà ### ed è ubicata a monte del contatore”, ma, erano da ricondursi “ad infiltrazioni d'acqua provenienti dalla zona a cavallo delle proprietà ### - ### situata al II piano” (cfr. pagine da 9 a 13 della relazione peritale). 
Appare evidente, in primo luogo, come nell'argomentazione sviluppata dal c.t.u. la ### d'### dei ### del ### redatta il ###, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante principale, non abbia assunto “un importante valore probatorio dei fatti di causa” (cfr. pag. 15 dell'atto di appello), risultando la stessa menzionata soltanto nell'esposizione dei motivi di fatto che hanno comportato il ricorso alla consulenza tecnica (cfr. pag. 4 della relazione) e nella descrizione dello stato dei luoghi, il cui riferimento sarebbe in quest'ultimo caso idoneo ad attestare la presenza all'epoca dei fatti, non riscontrata dal consulente in sede ###macchinario di depurazione dell'acqua ubicato nell'immobile condotto in locazione da ### (cfr. pag. 10 della relazione). Invero, secondo l'analisi del consulente, la dinamica del fenomeno infiltrativo è piuttosto collegata all'accumulo di acqua nella zona che “è con opportuna tolleranza in corrispondenza della zona di accumulo di acqua su indicata” (ossia della “zona a cavallo delle proprietà ### - Cirillo”) e ciò è stato ricavato “da uno scrupoloso rilievo visivo degli intradossi dei solai dell'appartamento di Mastrosimone” sui quali erano ancora “presenti aloni e macchie tipiche dei fenomeni infiltrativi” (cfr. pag. 11). Ne consegue che neppure la “fantomatica macchina” di depurazione dell'acqua, diversamente da quanto riferito dall'appellante principale (cfr. pag. 17 dell'appello), ha ricoperto nella detta relazione il ruolo di fattore causale del fenomeno infiltrativo, ma piuttosto il suo riferimento presenta inevitabilmente carattere descrittivo e ricostruttivo della vicenda occorsa. Ciò si evince dal contesto espositivo della relazione che, in risposta al quesito formulato dal giudice relativo alla descrizione dei luoghi corredato da schizzi planimetrici e rilievi fotografici, contiene un riferimento conclusivo alla riferita macchina evidenziando che: “la macchina dalla quale presumibilmente sarebbe avvenuta la perdita di acqua, secondo quanto dichiarato a verbale di I accesso dalla ###ra ### conduttrice dell'immobile di ### sarebbe stata collocata nell'ambiente di proprietà ### indicato in planimetria con il numero 1 (### 2); in fase di sopralluogo in tale stanza è visibile solo un punto di adduzione dell'acqua con uno scarico annesso ma non il macchinario (vedi foto sottostante). Di tale macchinario si fa comunque menzione anche nella scheda di intervento dei ### del ### del 13.05.2013 in occasione del loro primo intervento” (pag. 10 della relazione). Il detto macchinario non viene più menzionato nello sviluppo della narrazione dove vengono più accuratamente descritte le cause del fenomeno infiltrativo partendo dall'osservazione di elementi di carattere tecnico, quali i segni visibili delle macchie e aloni sul soffitto e sulla parete, gli intradossi dei solai e le pendenze del pavimento (pagine da 10 a 13). Dunque, il riferimento al macchinario, oltre che per le accennate finalità descrittive, potrebbe essere, al più, concepito nell'ottica di ipotetica compatibilità delle infiltrazioni con la sua installazione in loco nel tempo della causazione del sinistro e, dunque, di eventuale antecedente causale dell'avvenuto accumulo dell'acqua nella zona individuata, sebbene il consulente, non avendo riscontrato l'effettiva presenza del macchinario in fase di sopralluogo, abbia opportunamente ritenuto di escludere anche questa ipotesi limitandosi all'osservazione della zona di accumulo dell'acqua. Ed infatti, a pagina 21 della relazione, in riscontro alle osservazioni presentate dall'Avv. ### il consulente ha scritto: “tecnicamente non è possibile indicare con precisione il punto di origine delle infiltrazioni ma solo la zona dalla quale è provenuta la copiosa quantità d'acqua grazie alla misurazione delle pendenze e dell'osservazione degli intradossi dei controsoffitti. 
Tutto questo perché negli ambienti limitrofi alla proprietà ### e facenti parte dell'immobile di proprietà ### non esiste alcun elemento incontrovertibile rilevato in fase di sopralluogo che possa consentirmi di affermare che il complesso di adduzione e scarico di acqua ben noto, sia il punto dal quale è provenuta la perdita”. 
Già questi rilievi appaiono dirimenti ad affermare che il contenuto della scheda d'intervento redatta dai ### del ### non abbia incisivamente determinato le valutazioni del consulente tecnico, ma risulta opportuno aggiungere, in proposito, che anche le contestazioni sollevate dall'appellante principale circa la sua falsità appaiono inconferenti e pretestuose. Le stesse (riferita proprietà dell'immobile soprastante in capo a ### e dedotta presenza della “macchina” come causativa delle infiltrazioni dell'immobile sottostante) appaiono, in primo luogo, non pertinenti e non “dialoganti” con le risultanze tecniche che, come visto, nell'accertamento della dinamica del sinistro, giungono alla valorizzazione di altri elementi tecnici, e in secondo luogo, appaiono perlopiù riferibili a circostanze valutative che necessitano di specifica prova non essendo ricoperte dall'efficacia “di piena prova” del verbale che le contiene. Dalla lettura della relazione di intervento si apprende infatti che, in seguito a telefonata ricevuta in data ### alle ore 10:41 dalla sartoria di ### e relativa a presunte infiltrazioni provenienti dal tetto e dal solaio che avevano interessato l'esercizio commerciale, il personale operante, alle ore 10:52, si era recato sul posto constatando al suo arrivo che “la situazione risultava la seguente: copiosi infiltrazioni d'acqua solaio di copertura al 1° piano dell'esercizio commerciale sopra esposto”, che “da verifica effettuata si evince che tali infiltrazioni provengono dal piano sovrastante (2° piano), di prop. ### e ### di ### Angela”, che i danni riportati riguardavano “controsoffittatura e pitturazione pareti divisorie per tutta l'area dell'esercizio commerciale, impianto elettrico da verificare in quanto usciva acqua dalle luci poste nella controsoffittatura altri danni da verificare e quantizzare in quanto la pavimentazione era in parquet e poi essendo una sartoria vi erano capi di abbigliamento e scarpe di cui parte di essi bagnati” e che, quanto alla causa del sinistro, “a detta del prop. del Centro benessere si era rotto un tubo o valvola di carico di una macchina per la depurazione dell'acqua”. 
Merita di essere osservato, in proposito, che ai sensi dell'art. 2700 c.c. l'efficacia fidefacente del processo verbale dei ### del ### (cfr. Cass. Sez. 2, 17/11/2017, 27314) è circoscritta ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale e non si estende ai giudizi valutativi o alla menzione di circostanze che consistano in apprezzamenti personali né a fatti anteriori rispetto al momento della verbalizzazione. Come più volte affermato dalla Suprema Corte, in relazione ai rapporti di polizia, le attestazioni contenute nel verbale di accertamento delle infrazioni al codice della strada fanno piena prova, fino a querela di falso, con riguardo all'avvenuto accadimento dei fatti e delle dichiarazioni ricevute alla presenza del pubblico ufficiale, non estendendosi la fede privilegiata all'intrinseca veridicità del contenuto delle informazioni in tal modo apprese (cfr. Cass. Sez. 6, 21/10/2022, n. ### che ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto assistito da fede privilegiata l'indirizzo di una persona coinvolta in un incidente stradale, indicato nel relativo verbale, nonostante la notizia dello stesso fosse stata tratta dalle dichiarazioni della persona medesima, o comunque dalla consultazione di documenti in possesso dell'autorità). ### per quanto riguarda le circostanze di fatto che il pubblico ufficiale segnali di avere accertato nel corso dell'indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un'attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria ( Sez. 3, Ordinanza n. 10376 del 17/04/2024 che, in applicazione del principio, ha rigettato il motivo di ricorso con cui si censurava la sentenza impugnata per avere disatteso il valore di "piena prova" delle misurazioni effettuate dalla polizia stradale, intervenuta nell'immediatezza sul luogo di un sinistro, e riportate nel verbale). 
E la descritta efficacia probatoria del verbale dei ### de ### non può ritenersi infirmata dalla denuncia-querela proposta da ### dei quali sviluppi non si è dato conto. 
Ciò precisato, per completezza, va aggiunto che, stando al tenore delle difese dell'appellante principale fin nel primo grado del giudizio, questi non disconosce la presenza del macchinario nel proprio appartamento, anzi ne riferisce la remota presenza, e l'”uso molto tempo addietro, prima dell'anno 2013, quando il riferito vano era adibito a studio dentistico” (cfr. atto di appello e comparsa di costituzione del primo grado del giudizio), sebbene poi non offra delle più precise indicazioni temporali attestanti il mutamento dello stato dei luoghi e l'aspetto accertato dal c.t.u.. 
Con riferimento alle ulteriori contestazioni avanzate dall'appellante principale alla consulenza tecnica con il dedotto motivo, si rileva come l'individuazione della specifica zona di accumulo dell'acqua sia rimasta incontrastata (“il C.T.U., pur avendo correttamente individuato la zona interessata dall'accumulo d'acqua e, di conseguenza, dai fenomeni infiltrativi”), mentre i profili di contrasto riguardino il fatto che è stato escluso “che l'acqua vi fosse giunta dal vicino bagno (ossia dalla conduttura idrica effettivamente danneggiata), ritenendo che vi fosse giunta dal predetto vano, ove ipoteticamente era ubicata la fantomatica macchina” osservando, al contrario, come “trattandosi di grandissimi quantitativi d'acqua, lo studio delle ### pendenze del pavimento è del tutto ininfluente, poiché risulta di comune deducibilità che l'acqua può dirigersi in tutte le direzioni se sversata su di una superficie ### piana” (cfr. pag. 18 dell'appello). Va evidenziato, in proposito, che la riferita confutazione era stata già avanzata dall'#### consulente tecnico di ### e, in riscontro alle sue osservazioni, il c.t.u. ha specificato: “per quanto le pendenze dei calpestii del centro estetico abbiano valori “poco rilevanti”, l'acqua scende secondo la direzione dettata dalla pendenza stessa dei pavimenti; inoltre si precisa che i solai latero cementizi sono costruiti battendo le quote in modo tale da renderli perfettamente piani; fanno chiara eccezione i solai delle coperture a falda” e opportunamente evidenziato che “al di sotto del bagno dove è presente il contatore, al piano sottostante c'è un mezzanino che in caso di copiosa perdita proveniente da una tubazione in pressione, sarebbe stato il luogo potenzialmente più suscettibile di infiltrazione in quanto essendo il bagno sovrastante un ambiente piccolo e confinato, la stagnazione di acqua nel suddetto sarebbe stata massima; ebbene l'intradosso del solaio di copertura di tale mezzanino non presenta la benché minima traccia di infiltrazione d'acqua così come gli altri intradossi adiacenti” (pag. 19). 
Orbene, si rileva come l'assunto tecnico non appaia scalfito da argomentazioni, efficaci e specifiche, e tali da suffragare l'ipotesi di perdita dell'acqua dal vicino bagno, in zona corrispondente alla riparazione asseritamente effettuata. 
Questi rilievi, unitamente alla mancanza di un adeguato riscontro probatorio, soprattutto tecnico, circa la tipologia di riparazione effettuata ovvero la diversa inclinazione delle superfici pavimentali, consentono di ritenere non sufficientemente dimostrata la diversa dinamica del fenomeno infiltrativo, come prospettata dall'appellante principale. Vanno confermate, quindi, le risultanze a cui è pervenuto il c.t.u., vieppiù, in considerazione che ulteriori raffronti tecnici non sono desumibili neppure dagli altri documenti versati in atti. 
In particolare, nella denuncia cautelativa per risarcimento danni trasmessa da ### in data 7 giugno 2013, all'### si deduce genericamente la presenza di perdite d'acqua e l'effettuazione di due interventi da lui commissionati a tubature asseritamente di pertinenza dell'ABC (“In data 13 maggio u.s. il mio assistito si accorgeva del verificarsi di abbondanti perdite d'acqua che hanno allagato il suddetto appartamento, le quali erano conseguenti alla rottura di tubazioni di ### pertinenza e proprietà site nello stesso. Inoltre, suddette perdite d'acqua, infiltrandosi, hanno arrecato ingenti danni all'appartamento sito al piano inferiore, contraddistinto dal n. di interno 2, di proprietà del sig. ### e condotto in locazione dalla “NAPOLIMISURA” di ### In considerazione della situazione d'urgenza e di pericolo creatasi il dott. ### ha provveduto, a proprie spese, a far eseguire n. 2 interventi di riparazione del guasto, il primo eseguito nella stessa mattinata del 13 maggio u.s., il secondo eseguito in data 25 maggio u.s.”). 
In relazione alla riferita pertinenza, va comunque sottolineato il rilievo contenuto nella consulenza tecnica e non opportunamente censurato, secondo cui il tratto di tubazione assunto come sostituito, ubicato in proprietà ### e ritenuto causa delle dette infiltrazioni, “appartiene strutturalmente alla tubatura orizzontale che si dirama dalla montante condominiale e quindi di pertinenza della proprietà ### giusto art. 1117 del ### civile comma 3 e quindi non assoggettata alla custodia del condominio convenuto; è collocata a valle del punto di consegna (indicato dal CTP dell'ABC mediante stralcio di planimetria della rete di adduzione principale di competenza dell'ente annesso al verbale di II accesso) intendendo per punto di consegna quanto riportato nell'### 18 del regolamento per il servizio di distribuzione dell'acqua potabile dell'ABC ex ### pertanto il tratto di tubazione in oggetto non è assoggettato alla custodia dell'ABC”. 
Rilievi insufficienti appaiono desumibili dalla perizia tecnica asseverata, redatta dal geometra ### D'### e allegata in riscontro alla richiesta di integrazione documentale avanzata dal Comune di ### nel procedimento di revoca in autotutela della diffida del 5.7.2013, posto che la stessa sembra attestare, come evidenziato nella relazione del consulente tecnico d'ufficio (cfr. pag. 19), soltanto il cessato pericolo di infiltrazioni d'acqua. In essa si legge infatti: “In data ###, giorno in cui si sono verificate le perdite idriche, il Dott. ### provvedeva immediatamente a far eseguire due interventi di riparazione del guasto, attraverso la sostituzione della tubatura, tale da eliminare la causa delle perdite idriche delle relative infiltrazioni […] è definitivamente cessato il pericolo di infiltrazioni d'acqua, le quali, per l'appunto, non si sono più verificate successivamente all'intervento risolutivo delle stesse”. 
È parimenti inidoneo ad incidere il rilievo tecnico l'assunto formulato dall'appellante principale, secondo cui “l'### Schifano riferiva in ordine ai danni arrecati al locale sottostante il bagno della proprietà ### ma ometteva qualsivoglia deduzione comparativa circa gli ipotetici danni arrecati al vano sottostante al luogo ove doveva, a suo parere, essere ubicata la fantomatica “macchina” (in realtà tale vano non subiva alcun danno, poiché nessun sversamento d'acqua è avvenuto in quel luogo!)” (pag. 20 dell'appello). Invero, la conclamata “deduzione comparativa”, seppur non contenuta esplicitamente in sede di replica alle osservazioni formulate dall'#### appare desumibile dalle precedenti pagine della relazione peritale e, in particolare, alle pagine 16 e 17, dove viene offerta un'elencazione degli ambienti danneggiati (spogliatoio, sala esposizione, sala tessuti) e degli specifici danni registrati. A ciò va aggiunto che risulta altresì evincibile un raffronto grafico tra le dette zone danneggiate e il luogo interessato dalle infiltrazioni: nella figura 6 di pagina 13 è infatti delimitata, con un riquadro scuro, la zona interessata dalle infiltrazioni che, in base al raffronto con la figura 7 di pagina 15 corrisponde agli ambienti che in sede di sopralluogo mostravano segni evidenti dell'avvenuto verificarsi del fenomeno infiltrativo (spogliatoio, sala esposizione, sala tessuti). 
Anche l'ulteriore contestazione secondo cui “il C.T.U. arrogandosi addirittura il compito di effettuare deduzioni giuridiche e non solo tecniche, riportandosi deliberatamente alle osservazioni del difensore della sig.ra ### emetteva la propria “sentenza”, riferendo che “la custodia dell'immobile di proprietà ### per legge e per contratto, è affidata esclusivamente al conduttore, dott. ### per cui gli interventi di ordinaria manutenzione sono di competenza del conduttore stesso” (cfr. pag. 20 dell'appello), appare priva di rilievo atteso che il consulente, in base al mandato ricevuto, si è limitato a riprodurre una previsione contenuta nel contratto di locazione tra ### ed ### (cfr. art. 8), come attestato dalla presenza delle virgolette, senza sfociare in valutazioni di stampo giuridico. 
Ritiene la Corte che, in definitiva, non siano stati offerti elementi utili a inficiare di correttezza la consulenza tecnica espletata e sufficienti a consentire una ricostruzione dell'eziologia del fenomeno infiltrativo e, quindi, un addebito di responsabilità diversi da quelli accertati dal giudice di prime cure. 
Di poi, accertato il nesso causale tra il danno lamentato dall'attore e la res in custodia, quanto all'individuazione del soggetto titolare del potere di custodia (nonché, quindi, responsabile del danno cagionato dalla cosa, ai sensi dell'art.2051 c.c.), deve farsi applicazione del principio, reiteratamente affermato dalla Suprema Corte con orientamento consolidato, secondo il quale, quando i danni sono originati da un bene immobile condotto in locazione, sussiste la responsabilità del proprietario ove detti danni siano derivati da vizio strutturale del bene, che investa le mura o gli impianti ivi conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione; al contrario, il conduttore, il quale si presume essere stato immesso in queste condizioni nella disponibilità della res locata, risponde dei pregiudizi provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità ( 27/10/2015, n. 21788; Cass. 09/06/2016, n. 11815; Cass. 04/11//2019, n.28228; 26/11/2019, n. ###). 
Nel caso di specie, avuto riguardo alla circostanza di fatto che, pur nella ipotesi prospettata dall'appellante principale, il danno sarebbe stato originato dall'impianto idraulico (la cui funzionalità è necessaria ai fini dell'utilizzo dell'immobile locato), va rilevato che esso costituisce, infatti, parte dell'immobile senz'altro acquisito alla disponibilità del conduttore, il quale aveva dunque assunto in esclusiva la veste di custode della res dannosa. 
Invero, in base al predetto principio, il conduttore è sempre responsabile del danno causato da infiltrazioni d'acqua a seguito della rottura di un tubo esterno all'impianto idrico e sostituibile senza necessità di intervento implicante demolizioni (cfr.  Sez. 3, Sentenza n. 21788 del 27/10/2015) per cui, anche sotto il cennato profilo, e per le ragioni innanzi esposte per quanto accertato dal c.t.u. deve ritenersi sussistente la responsabilità di ### Ciò precisato, con riferimento alla prova orale per la cui ammissione insiste l'appellante principale, si rileva come i capitoli contenuti nella richiesta istruttoria riportino fatti incontestati o già accertati, perché documentati mediante raccomandate e atti scritti, ovvero esprimano contenuti tecnico-valutativi ovvero generici, irrilevanti e superflui alla luce delle risultanze processuali. In particolare, risulta che le circostanze di fatto contenute nei capitoli di prova 1) e 2) sono incontestate, quelle prospettate nei capitoli di prova 3) e 4) presentano carattere tecnico-valutativo, il cui accertamento è demandato alla consulenza d'ufficio con funzione "percipiente", in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, la causa del lamentato allagamento, quelle contenute nel capitolo 5) sono in parte provate documentalmente (cfr. raccomandata trasmessa all'ABC il ###), quelle relative ai capitoli 6) e 7) risultano contenute nella documentazione versata in atti (cfr. allegato 19 fascicolo di parte appellante, nonché la cospicua documentazione contenuta nel fascicolo di ###, i capitoli di prova 8) e 10) vertono su circostanze negative e in un contesto temporale imprecisato e contraddette da quanto sostenuto dallo stesso ### fin nel primo grado del giudizio (“lo stesso era in uso molto tempo addietro, prima dell'anno 2013, quando il riferito vano era adibito a studio dentistico”), mentre il capitolo di prova 9) appare generico in quanto privo di riferimenti spaziotemporali (epoca molto antecedente). 
Con il secondo motivo l'appellante principale lamenta che la sentenza impugnata reca “una profonda ed evidente contraddizione tra quanto richiesto dalla parte ricorrente e quanto determinato nel relativo dispositivo”, evidenziando a tal riguardo che, a fronte della statuizione contenuta nelle conclusioni del ricorso proposto da ### in cui si faceva riferimento “al risarcimento dei danni subiti e subendi a seguito del sinistro verificatosi, che si quantificano in una somma contenuta in € 50.000,00”, non seguiva, in seguito al mutamento del rito, alcuna precisazione della specifica tipologia dei danni subiti nel termine di legge previsto, ossia con la prima memoria dell'art. 183, comma 6, c.p.c., ma la stessa veniva effettuata nella seconda memoria, dove parte ricorrente formulava anche richiesta di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della legge n. 392/1978. Aggiunge che la riferita richiesta, oltre ad essere tardiva, non è stata reiterata nella comparsa conclusionale depositata nel giudizio di primo grado ed è stata “nel merito erroneamente applicata”, posto che la ricorrente, ### nulla ha “dichiarato e dimostrato in relazione ad un'eventuale perdita di clientela”, avendo, al contrario, “dichiarato candidamente di aver regolarmente proseguito la propria attività in altri locali e con la collaborazione di terzi per la commissione dei propri prodotti” (cfr. pagg. 31 e 32 dell'atto di appello). 
Il motivo merita accoglimento. 
Occorre precisare, in proposito, che il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato può ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione ("petitum" e "causa petendi"), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti (cfr. Cass. n. 22595 del 26/10/2009). A tal riguardo, occorre aggiungere che, a fronte di una domanda di risarcimento del danno, in corso di causa è possibile specificare il fatto dannoso ovvero modificare la domanda e, dunque, uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), purché la domanda così modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183 c.p.c.. Ne consegue che detta modificazione, qualora avvenga dopo la scadenza del primo termine ex art. 183, comma 6, c.p.c., risulta inammissibile (cfr. Cass. 21/11/2017, n. 27566; 22/12/2023, n. ###). 
Orbene, si rileva come, nella specie, il giudice di prime cure abbia esorbitato dalle proprie funzioni riconoscendo l'indennità di perdita di avviamento commerciale prevista dall'art. 34 della L. 392/1978, che non era stata ritualmente richiesta dalla parte ricorrente. Ed invero, quest'ultima, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, richiedeva la somma di € 50.000,00 a titolo di risarcimento di “svariati danni (diminuzione degli introiti e conseguente obbligata chiusura del laboratorio a partire dal 13/05/2013)”.  ### nella memoria del secondo termine dell'art. 183, comma 6, c.p.c. - che, come noto, è un termine fissato per l'indicazione dei mezzi di prova e le produzioni documentali -, parte ricorrente articolava la richiesta dell'indennità di perdita di avviamento commerciale (“Ai danni così identificati va aggiunto anche quello derivante dalla perdita di avviamento commerciale, cosi come disposto dall'art. 34 della L. 392/1978, che consegue in automatico alla cessazione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, sempre che la disdetta non sia proveniente dal conduttore”), senza reiterare detta richiesta né all'udienza di precisazione delle conclusioni, né negli scritti difensivi di cui all'art. 190 c.p.c.. 
Il riconoscimento della detta indennità si reputa, quindi, inammissibile, oltre che erroneamente applicata dal giudice di prime cure per mancata individuazione dei presupposti che la giustificano (l'obbligo di corrispondere l'indennità di avviamento, ai sensi dell'art. 69 legge 27 luglio 1978 n. 392, grava, infatti, unicamente sul locatore e ne presuppone un anticipato recesso dal relativo contratto), con la conseguenza che il capo della sentenza che accorda la sua corresponsione va riformato. 
Con il terzo motivo l'appellante principale lamenta come il giudice di prime cure avrebbe travisato ed erroneamente interpretato i fatti di causa ritenendo che l'immobile condotto in locazione dalla ricorrente fosse assolutamente inagibile, tanto da costringerla a non goderne neppure in modo parziale e a dismettere la propria attività. Evidenzia come l'abnormità della deduzione impugnata emerga dalla circostanza che, “benché non fosse proprietario e/o titolare delle tubazioni il cui guasto era all'origine delle infiltrazioni d'acqua”, ha prontamente provveduto alla riparazione, mediante i due interventi effettuati il 13 ed il 25 maggio 2013 e, dunque, anche in anticipo rispetto all'atto di diffida del Comune di ### notificatogli il ###, di cui ha chiesto la revoca in autotutela. Aggiunge che l'episodio infiltrativo era stato aggravato dal comportamento della stessa ricorrente che “non si era adoperata per contenere i danni al controsoffitto […], aveva causato l'imbarcamento del parquet […] si era procurata un azzardato ordine di sgombero per un inesistente pericolo di dissesto del solaio intermedio” e non aveva consentito “un sopralluogo tecnico nell'appartamento danneggiato a chicchessia”. Censura così quella parte di sentenza in cui “A) si condannano il dott. ### ed il sig. ### (in misura proporzionale di 2/3 ed 1/3) alla corresponsione, in favore della sig.ra ### alla corresponsione della somma di € 45.000,00 a titolo di indennità per la perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 L. 392/1978 (di cui la ricorrente non aveva mai validamente fatto domanda!); B) si condanna il dott. ### alla corresponsione, in favore del sig.  ### della somma di € 45.000,00 (pari ad 1/3 di € 135.000,00), pari ad 1/3 dei canoni di locazione “decorrenti da maggio 2014 ad oggi”, oltre all'ulteriore importo di € 17.537,07 per presunti oneri condominiali, oltre alla somma di € 12.300,00 a titolo di risarcimento dei danni causati all'immobile in questione (come da quantificazione del C.T.U.)” (pagine 42 e 43 dell'atto di appello). Specifica, in proposito, che l'irragionevolezza della condanna risarcitoria si riflette altresì nella circostanza che è stata applicata, nei suoi confronti, una condanna al pagamento per danno da lucro cessante, oltre che per gli oneri condominiali “da maggio 2014 ad oggi”, ossia dal periodo successivo al riottenimento dell'immobile in capo al proprietario fino alla data di pubblicazione della sentenza. Con il medesimo motivo precisa, infine, che i detti importi non sono dovuti anche in considerazione del sopravvenuto difetto di legittimazione passiva in capo a ### per effetto dell'avvenuta vendita dell'immobile de quo nelle more del giudizio di primo grado, ossia in data ###, come risultante dalla visura catastale versata in atti. 
Anche questo motivo merita accoglimento. 
Merita di essere precisato, in primo luogo, che il diritto al risarcimento dei danni cagionati ad un bene non costituisce un accessorio del diritto di proprietà, ma è un diritto di credito, distinto e autonomo rispetto al diritto reale. Il suo esercizio spetta, quindi, al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento dell'evento dannoso, non seguendo le vicende di trasferimento del bene, salvo che non sia convenuto un patto contrario (cfr. Cass. Sez. ### 16 febbraio 2016, n. 2951), ovvero a colui che ha subito il pregiudizio e, dunque, chi era il titolare della proprietà del bene al momento del sinistro che lo ha danneggiato ### precisato, occorre rilevare che la condanna al pagamento delle somme, di cui alla parte di sentenza impugnata, disposta in capo a ### nei riguardi di ### appare ingiustificata, in minima parte per insussistenza dei presupposti su cui si fonda e, in altra parte, per la riscontrata carenza di legittimazione ad agire in capo al richiedente. In particolare, con riferimento al primo aspetto, occorre specificare che nel giudizio di primo grado ### richiedeva la complessiva somma di € 110.073,71, comprensiva dei danni arrecati alla struttura dell'immobile, della mancata percezione dei redditi locatizi e del mancato pagamento degli oneri condominiali, a titolo di danno emergente asseritamente subito dalla causazione delle infiltrazioni e dall'omesso ripristino dei luoghi da parte del proprietario e del conduttore dell'immobile sovrastante, evidenziando “l'omessa restituzione dell'immobile da luglio 2013 ad aprile 2014 che, se nella disponibilità del proprietario sarebbe stato immediatamente riattato e concesso in locazione” (cfr. comparsa di costituzione con domanda riconvenzionale). 
Orbene, in proposito, occorre osservare come ### a fronte della deduzione di ### di pronta eliminazione della causa delle infiltrazioni mediante due interventi di riparazione effettuati nell'immobile sovrastante, in data 13 e 25 maggio 2013, che avrebbero determinato la cessazione dello stato di pericolo e la richiesta di revoca in autotutela dell'atto di diffida del Comune di ### non abbia effettuato alcun tipo di contestazione eccependo, ad esempio, l'insussistenza dell'intervento praticato ovvero l'inadeguatezza di quello effettuato, né abbia indicato se le dette infiltrazioni erano ancora in atto al momento del recupero del bene locato. 
Occorre valutare, dunque, queste considerazioni unitamente alla circostanza secondo cui egli stesso abbia riferito una causa che potrebbe assumersi come interruttiva del nesso di causalità tra il fatto dannoso cagionato dal conduttore e/o proprietario dell'immobile sovrastante e l'evento di danno, riconducibile alla condotta tenuta da #### infatti, a pagina 3 della comparsa di costituzione di primo grado, riferiva che ### aveva mostrato “scarsa propensione ad osservare le norme che disciplinano il contratto di locazione”, avendo impedito “al locatore ogni possibile intervento diretto all'immediato recupero della situazione determinatasi a seguito delle infiltrazioni; rifiutandosi, in particolare, di consegnare le chiavi dell'immobile al locatore per la constatazione dell'evento, dei reali danni provocati e per quanto, nell'immediato, si sarebbe potuto fare per riattare l'immobile”. 
Così come la ### S.p.A. eccepiva che l'attrice “non ha mai permesso l'ispezione dell'immobile impedendo di fatto la valutazione e la quantificazione dei lamentati danni” (cfr. comparsa di costituzione di detta assicurazione). 
La prescritta circostanza di aggravamento della situazione di fatto dell'immobile è stata riferita anche dal c.t.u. nel corso del procedimento per accertamento tecnico preventivo che, a pag. 18 della relazione, ha specificato che gli interventi necessari per l'eliminazione dei danni “non consentono il ripristino delle condizioni di normale fruizione dell'immobile in quanto si ribadisce che oltre ai danni da infiltrazione, l'immobile di ### presenta manomissioni compiute da terzi”. Al contempo, il c.t.u. ha rilevato che dagli intradossi dei solai “non sussistono lesioni o qualsivoglia segni evidenti che possano far pensare a problemi strutturali degli stessi e che richiedono interventi straordinari”, qualificando, al contrario, gli interventi di ripristino (rimozione di parte del parquet a listoni e della controsoffittatura danneggiata, rasatura dei controsoffitti e successiva rasatura, scartavetratura delle pareti e verifica dell'impianto elettrico) come “ordinari” (cfr. pagine 15 e 18 della relazione). 
Questi rilievi non sono stati espressamente contestati da ### per il tramite del proprio consulente, #### (cfr. pag. 20 della consulenza di parte), né sono state allegate significative circostanze tali da far presumere che lo stato dei luoghi era talmente deteriorato da aver impedito a ### di provvedere alla stipula di un successivo contratto di locazione, una volta ottenuta la disponibilità del proprio immobile, come chiaramente affermato nella comparsa di costituzione in giudizio. 
Queste argomentazioni, seppur valevoli per il periodo immediatamente successivo al recupero del bene locato (maggio 2014 come riconosciuto in sentenza), si coniugano, dunque, con l'ulteriore profilo di carenza di legittimazione ad agire in capo al richiedente per il periodo dal 29.6.2015 fino al giorno di pubblicazione della sentenza, dovuta all'intervenuta vendita dell'immobile, come documentato con la visura storico-catastale depositata in atti da ### (cfr. allegato 23) e giammai contestata. 
Merita di essere specificato, in proposito, che consolidato e univoco è l'orientamento giurisprudenziale secondo cui le contestazioni sulla legittimazione ad agire, attiva o passiva, così come sulla titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, e, di conseguenza, il difetto di legittimazione così come la carenza di titolarità del rapporto, ancorché non oggetto di contestazione dall'altra parte, sono rilevabili di ufficio se risultanti dagli atti di causa (cfr. in tal senso Cass. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016). 
In ragione di quanto esposto e in accoglimento del secondo e del terzo motivo dell'appello principale, la parte della sentenza impugnata, confluita nei i capi C) ed F) del dispositivo, va interamente riformata nel senso di respingere qualsivoglia domanda avanzata nei suoi confronti da parte di ### a titolo di indennità di avviamento commerciale che di ### a titolo di canoni di locazione e oneri condominiali “da maggio 2014 ad oggi” a nulla rilevando che la suddetta sentenza di condanna sia passata in giudicato nei confronti degli altri coobbligati non impugnanti. 
In particolare, la richiesta di riforma della condanna avuto riguardo all'indennità di avviamento commerciale calcolata dal giudice di prime cure in complessivi € 45.000,00, da porre per 2/3 a carico di ### per € 30.000,00, travolge l'intero importo riconosciuto a suo carico in favore di ### per € 28.875,33 (così ridotto in ragione dell'aggravamento del danno provocato dall'attrice) così come l'intero importo riconosciuto in favore di ### per complessivi € 74.837,07, pari ai 2/3 di € 135.000,00 a titolo di canoni di locazione da maggio 2014 alla pronuncia e di € 17.537,00 a titolo di oneri condominiali, mentre, rimane la condanna al pagamento della somma di € 12.300,00 a titolo di danni causati all'immobile e così quantificati nell'ambito del procedimento per accertamento tecnico preventivo.  ### incidentale Con il primo motivo ### lamenta il mancato riconoscimento degli importi a titolo delle migliorie apportate nell'immobile condotto in locazione, nonché l'omessa valutazione delle prove orali e documentali dalle quali si evincerebbe l'effettuazione dei detti lavori. 
Il motivo appare infondato per le motivazioni che seguono e la domanda è stata correttamente respinta dal Tribunale. 
Come più volte affermato dalla Suprema Corte, nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell'art. 1592 c.c., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore, e tale consenso, importando cognizione dell'entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, né può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà, anche tacita, mediante fatti concludenti, dai quali possa desumersi l'esplicita approvazione delle innovazioni. ### la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell'indennizzo (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4532 del 15/02/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 15317 del 06/06/2019). 
Questo indirizzo appare valevole al capo di specie vieppiù in considerazione di specifiche disposizioni che disciplinano il contratto di locazione stipulato da ### e ### Gli articoli 11 e 12, infatti, rispettivamente prevedono che “ogni altra innovazione non potrà essere fatta dal conduttore, senza il preventivo consenso scritto del proprietario” e che “il conduttore non potrà apportare modifiche, aggiunte o innovazioni senza la preventiva autorizzazione scritta del locatore e comunque eventuali interventi resteranno a beneficio dell'immobile senza che nulla sia dovuto al conduttore al termine della locazione neanche a titolo di rimborso spese”. 
Vigendo nel sistema contrattuale la libertà della forma, al di fuori dei casi tassativi di forma legale, i contraenti sono liberi di eleggere una forma a requisito di validità di un determinato atto, com'è avvenuto nella fattispecie in esame; il tenore della norma dell'art. 1352 c.c. si manifesta univoco, poi, nel ricollegare all'adozione di una forma convenzionale la «presunzione» che la relativa previsione sia stata «voluta per la validità del contratto» (cfr. Cass., 12 marzo 2018, n. 5890; Cass., 30 novembre 2017, 288116) così che non rileva l'assenza di un'espressa e specifica previsione di «nullità convenzionale». 
E' noto, poi, che la forma convenzionale ex art. 1352 c.c. ben può riguardare anche i negozi unilaterali, in ragione, se non altro, del disposto dell'art. 1324 c.c. (cfr. Cass., 9 luglio 2019, n. 18414). 
La giurisprudenza della Suprema Corte ha, quindi, chiarito che “laddove la clausola che programma la forma di successivi atti o contratti sia da qualificare elemento essenziale del contratto assoggettato all'obbligo di forma, essa non potrà essere modificata con un accordo concluso verbis tantum o per fatti concludenti” (Cass., 14 giugno 2019, n. 16106) e che, in presenza di una prescrizione di forma convenzionale, non è nemmeno sufficiente il ricorso a “forme equivalenti” (Cass., 18 aprile 2019, 10845). 
In definitiva, premesso che grava sul conduttore che chieda l'indennità ex art. 1592 c.c. per i miglioramenti apportati alla cosa locata, l'onere di provare il consenso del locatore alla loro esecuzione, trattandosi di fatto costitutivo del preteso diritto ( Sez. 2 - , Sentenza n. 14 del 03/01/2017), l'indicata chiara ricostruzione della volontà delle parti espressa nel contratto di locazione con la previsione all'art.12 del consenso scritto per qualsiasi aggiunta o innovazione apportata all'immobile locato esclude la possibilità di dare rilievo al consenso verbale che dovrebbe desumersi dalla prova testimoniale espletata, secondo quanto prospettato con il motivo di appello in esame che va, pertanto, respinto. 
Con il secondo motivo ### deduce l'erroneità della condanna al pagamento della somma di € 10.073,71 a titolo di oneri condominiali da corrispondere sulla base di un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di ### di cui contesta la mancanza di una prova certa delle somme e della loro specifica riferibilità alle quote ordinarie ovvero straordinarie. 
Occorre, in proposito, menzionare l'art. 16 del contratto di locazione, rubricato “oneri, accessori e forniture”, che prevede che “oltre al canone, il conduttore è tenuto a versare, a partire dal mese di dicembre 2012, gli oneri condominiali ordinari mensili che, secondo il dettato di legge, sono a suo carico” e considerare che il giudice di prime cha riconosciuto a tal titolo, a carico di ### la somma di € 10.073,71 verosimilmente sulla scorta del decreto ingiuntivo, del precetto e del successivo pignoramento, emessi e attivati da parte del ### nei confronti di ### e posti da quest'ultimo a fondamento della relativa domanda (cfr., in atti, comparsa di costituzione e documenti depositati a corredo della stessa). 
Il motivo appare fondato alla luce della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'aver indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 della legge n. 392 del 1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20348 del 28/09/2010); quindi, in tali casi, il locatore adempie il proprio onere probatorio producendo i rendiconti dell'amministratore approvati dai condomini, mentre spetta al conduttore l'onere di sollevare specifiche contestazioni in ordine alle varie partite conteggiate, prendendo a tale scopo visione dei documenti giustificativi oppure ottenendone l'esibizione a norma dell'art. 210 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 29329 del 13/11/2019). 
Ebbene, alcuna prova è stata offerta dal locatore secondo i principi elaborati dalla Suprema Corte posto che il ricorso per decreto ingiuntivo depositato in giudizio fa riferimento, per la gran parte, ad oneri di carattere straordinario onde l'impossibilità di ripeterli dalla conduttrice, mentre, non vi è prova della quota, eventualmente pretesa a titolo di oneri condominiali ordinari, non essendo corredato dai documenti giustificativi, pur indicati in calce al ricorso. 
Con il terzo motivo ### censura la sentenza di primo grado nella parte in cui è stata riconosciuta in suo capo, quale custode dell'immobile locato, la responsabilità per i danni da manomissione compiuti da terzi e, per l'effetto, è stata condannata al pagamento del relativo aggravamento. 
Ritiene la Corte che la valutazione operata dal giudice di prime cure a questo proposito sia da condividere e non appaia scalfita dalle ragioni poste a fondamento del dedotto motivo. Infatti, il Tribunale ha ben richiamato la relazione tecnica resa all'esito del procedimento per accertamento tecnico preventivo, da cui si ricava, fin dalle prime pagine, che “lo stato dei luoghi dell'immobile ### non corrisponde a quello che si sarebbe dovuto riscontrare dopo la constatazione da parte dei ### del ### del fenomeno infiltrativo del 13.05.2013 e del crollo di parte del controsoffitto del 16.05.2013 […] è infatti evidente che i luoghi sono stati manomessi al fine di recuperare parti di impianto elettrico quali faretti, quadro elettrico e quant'altro recuperabile” (cfr. pag. 8). Poco oltre, viene detto che proprio la presenza dei detti danni di manomissione impedisce l'integrale “ripristino delle condizioni di normale fruizione dell'immobile” (cfr. pag. 18). 
Questi rilievi non appaiono espressamente contestati da ### che, al contrario, nella seconda memoria dell'art. 183, comma 6, c.p.c. riferiva in proposito che “aveva da poco realizzato dei lavori nell'immobile e che i faretti e l'impianto stereo erano di sua proprietà, pertanto devono essere considerate come addizioni che possono essere separate dalla cosa senza che vi si arrechi alcun nocumento. E' ragionevole che la proprietaria di queste addizioni, le ha rimosse per installarle in altro luogo adibito a sartoria, visto che è stata costretta a lasciare il locale dove avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa”. 
Né emerge, dal tenore delle proprie difese, che ella si sia prontamente attivata per contenere il danno impedendo anche al proprietario, ### di ispezionare l'immobile locato al fine di constatare l'effettiva consistenza dei danni, come desumibile dalla raccomandata del 25 settembre 2013 versata nel proprio fascicolo (cfr. allegato n. 4) (“il mio assistito sebbene più volte ha comunicato oralmente di voler ispezionare l'immobile, anche interessando l'Avv.  ### […] in data 11 c.m. si recava, dopo averne annunciato la presenza per quella data e per le prime ore pomeridiane, presso l'immobile di sua proprietà e, alla presenza di un tecnico di sua fiducia, ha constatato che alcuno si è presentato per consentire l'accesso all'immobile”). 
Così come non sembra potersi desumere alcun argomento dalla circostanza in base alla quale nel verbale di consegna del 3.4.2014 “è espressamente indicato che: l'immobile risulta essere gravemente danneggiato a causa di infiltrazioni d'acqua e che il sig.  ### con la consegna del bene, sollevava “la sig.ra ### da ogni responsabilità nei confronti dei terzi derivanti dall'uso o dalla conservazione del bene locato, atteso che nessuno era intervenuto a mettere in sicurezza l'immobile de quo”” e posto che il primo accesso, presso l'immobile danneggiato, come si evince dall'elaborato peritale dell'### Schifani, è stato effettuato in data ### dal momento che il danneggiamento descritto dal c.t.u. è appunto rappresentato da quanto ### dichiara di aver lei stessa posto in essere. Invero, con la memoria di replica ex art.190 c.p.c. l'appellante incidentale ha espressamente dedotto che: “gli oggetti in questione erano stati rimossi dalla stessa appellata e che tale rimozione era giustificata dal fatto che erano beni di sua proprietà e che parte del materiale avrebbe dovuto essere utilizzato nella nuova sartoria, oltre al fatto che appariva pericoloso lasciare tali oggetti nel luogo in questione in quanto avrebbero potuto ulteriormente rovinarsi o, in caso di altre perdite, provocare un corto circuito nell'impianto elettrico atteso che gli stessi risultavano completamente immersi nell'acqua”. 
La tesi non è condivisibile posto che in tema di locazione, gli incrementi del bene locato, in applicazione del principio generale dell'accessione, divengono di proprietà del locatore, proprietario della cosa locata, pur con le specifiche modalità dettate dall'art. 1593 c.c., rimanendo, tuttavia, in facoltà delle parti di prevedere apposita clausola derogatrice volta ad escludere che il bene immobilizzato nel suolo sia ritenuto dal proprietario di quest'ultimo (cfr. Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 2501 del 04/02/2013). E nella fattispecie in esame, oltre la previsione di legge, soccorre anche quanto, conformemente ad essa, hanno previsto le parti con la clausola negoziale n.12 del seguente tenore: “il conduttore non potrà apportare modifiche, aggiunte o innovazioni senza la preventiva autorizzazione scritta del locatore e comunque eventuali interventi resteranno a beneficio dell'immobile senza che nulla sia dovuto al conduttore al termine della locazione neanche a titolo di rimborso spese” per cui correttamente non risulta efficacemente contestato dall'appellante incidentale quanto ritenuto dal giudice di prime cure in merito all'attribuzione in capo alla conduttrice della “asportazione di complementi dell'impianto elettrico e di condizionamento e filodiffusione vale a dire aggravamento dei danni rispetto al verbale di contestazione dei ### del fenomeno infiltrativo del 13.05.2013 e del crollo di parte del controsoffitto del 16.05.2013, manomissione che ha comportato un aggravamento dei danni pregressi”. 
Appare inoltre opportuno, in proposito, richiamare anche l'orientamento a tenore del quale “### di non aggravare il danno, imposto dall'art. 1227, comma secondo, cod.  a carico del danneggiato, impone a quest'ultimo di attivarsi per scegliere la condotta maggiormente idonea a contemperare il proprio interesse con quello del debitore alla limitazione del danno e deve ritenersi violato nel caso in cui il danneggiato trascuri di adottare tale condotta, pur potendolo fare senza sacrificio” (Cass. Sez. 2, 5/4/2011, n. 7771 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10686 del 22/7/2002 in tema di danni da infiltrazioni d'acqua provenienti da una terrazza al garage sottostante che ha ritenuto che in tale ipotesi, ai fini della liquidazione del danno, deve tenersi conto del grado del contributo delle rispettive condotte colpose del danneggiante e del danneggiato alla causazione dell'evento). 
Con il quarto motivo ### lamenta l'omessa pronuncia da parte del giudice di prime cure circa l'ulteriore profilo di danno relativo alla stipula di un nuovo contratto di locazione. 
Il motivo appare infondato posto che la richiesta di siffatta voce di danno non è stata ritualmente formulata dalla parte ricorrente. Ed invero, quest'ultima, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, nel richiedere la somma di € 50.000,00 a titolo di risarcimento dei “danni subiti e subendi”, deduceva a fondamento del proprio assunto che il fenomeno infiltrativo aveva danneggiato la merce nonché impedito il regolare svolgimento dell'attività di sartoria nell'immobile, provvedendo a specificare le singole voci di danno tardivamente solo nella memoria del secondo termine dell'art. 183, comma 6, c.p.c., come già argomentato con la disamina del secondo motivo dell'appello principale.  ### motivo con cui l'appellante incidentale si duole che le spese occorse per il procedimento di accertamento tecnico preventivo non siano state poste a carico dei convenuti o, meglio, a carico dell'odierno appellante principale in quanto soccombente, verrà esaminato con la regolamentazione delle spese di lite. 
Regolamentazione delle spese di giudizio ### riforma della sentenza impugnata deve, infatti, conseguire l'applicazione del principio consolidato secondo cui il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio a un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte (come nel caso di specie) della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione. Tuttavia, anche in ragione dell'operare del c.d. effetto espansivo interno di cui all'art. 336, comma 1, c.p.c., l'accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione di tale condanna, sicché la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell'impugnazione di modificare la pronuncia sulle spese della precedente fase di merito, qualora egli abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado (cfr. Cass. Sez. 3 - , Ordinanza n. ### del 19/12/2024 e Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 27606 del 29/10/2019). 
Occorre poi specificare che le spese dell'accertamento tecnico preventivo a fini di composizione della lite ex art. 696 bis c.p.c. devono essere poste a carico della parte richiedente, e saranno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito, ove l'accertamento tecnico sarà acquisito, come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione, a carico del soccombente (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 29850 del 27/10/2023). 
A ciò va poi richiamato il principio affermato dalle ### della Suprema Corte (### U - , Sentenza n. ### del 31/10/2022) secondo cui “in tema di spese processuali, l'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 92, secondo comma, cod. proc.  civ.”, e, tenuto conto del parziale accoglimento delle domande uniche avanzate nel primo grado del giudizio, seppure articolate in più capi; pertanto, deve ritenersi che le spese legali siano state correttamente regolamentate nel primo grado del giudizio, mentre le spese occorse per il procedimento per accertamento tecnico preventivo (in quanto sostanzialmente finalizzato alla determinazione delle causa delle lamentate infiltrazioni) dovranno essere poste a carico di ### in considerazione dell'attribuzione al medesimo della relativa responsabilità. 
Le spese del presente grado, invece, tenuto conto del parziale accoglimento dell'appello principale e di quello incidentale e dell'equivoca impostazione difensiva del ### devono compensarsi tra tutte le ### PQM La Corte di Appello di ### - ### sezione civile - definitivamente pronunciando sull'appello proposto da ### nonché sull'appello incidentale proposto da ### quale titolare della ditta individuale ### avverso la sentenza n. 2758/2019 pronunciata in data 14 marzo 2019 dal Tribunale di ### così provvede: a) accoglie l'appello principale per quanto di ragione e, per l'effetto in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda di risarcimento dei danni avanzata nei confronti di ### da parte di ### e condanna ### al pagamento di € 12.297,40 in favore di ### in luogo della somma di € 74.837,07, oltre accessori come riconosciuti; b) accoglie l'appello incidentale per quanto di ragione e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata condanna ### al pagamento in favore di ### della somma di € 16.660,00 in luogo di € 26.733,71, oltre interessi come riconosciuti; c) pone le spese occorse per il procedimento di accertamento tecnico preventivo a carico di ### d) compensa tra tutte le ### le spese del grado. 
Così deciso in ### nella ### di Consiglio del 24 marzo 2025.  ### est.   dr.ssa ### d'### 

causa n. 1869/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Rosa Maria Teresa, D' Amore Assunta

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Corte di Cassazione, Ordinanza n. 18362/2024 del 04-07-2024

... Messina chiedendo la decl aratoria di risolu zione della locazione stipulata in data 30 genn aio 2014, per avere la locatri ce intenzionalmente omesso di rappresentare che l'immobile non avrebbe potuto essere correttamente fruito. Successi vamente la locatrice ### intimò lo sfratto per moro sità nei confronti di ### er innanzi al medesimo Tribunale. Convalidato lo sfratto, e disposto il mutamento del rito nonché la riunione delle cause, il Tribunale adito condannò ### a corrispondere a ### la somma di ### 5.000,00, con c ondanna alla rifusione delle spese. Avverso detta sentenza propose appello ### Con sentenza di data 7 giugno 2023 la Corte d'appello di Messina accolse l'appello, dichiarando risolto il contratto per inadempimento della conduttr ice e condannando quest'ultima al pagamento della somma di ### 5.734,00 per canoni non corrisposti e della somma di ### 575,24 per oneri condominiali e spese di consumo idrico, oltre accessori, rigettando altresì la domanda risarcitoria proposta dalla medesima conduttrice, con la condanna alla rifusione delle spese del doppio grado. Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, premesso che il Tribunale aveva omesso di esaminare la domanda (leggi tutto)...

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ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 18514/2023 R.G. proposto da: ##### rappresentato e difeso dall'avvocato #### (###) -ricorrente contro ### rappresenta to e difeso dagli avvocati ### NUNZIELLO (###), ### (###) -controricorrente avverso SENTENZA di CORTE D'### n. 495/2023 depositata il ###. 
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal consigliere ### Rilevato che: ### soc. coop convenne in giudizio ### s.r.l. innanzi al Tribunale di Messina chiedendo la decl aratoria di risolu zione della locazione stipulata in data 30 genn aio 2014, per avere la locatri ce intenzionalmente omesso di rappresentare che l'immobile non avrebbe potuto essere correttamente fruito. Successi vamente la locatrice ### intimò lo sfratto per moro sità nei confronti di ### er innanzi al medesimo Tribunale. Convalidato lo sfratto, e disposto il mutamento del rito nonché la riunione delle cause, il Tribunale adito condannò ### a corrispondere a ### la somma di ### 5.000,00, con c ondanna alla rifusione delle spese. Avverso detta sentenza propose appello ### Con sentenza di data 7 giugno 2023 la Corte d'appello di Messina accolse l'appello, dichiarando risolto il contratto per inadempimento della conduttr ice e condannando quest'ultima al pagamento della somma di ### 5.734,00 per canoni non corrisposti e della somma di ### 575,24 per oneri condominiali e spese di consumo idrico, oltre accessori, rigettando altresì la domanda risarcitoria proposta dalla medesima conduttrice, con la condanna alla rifusione delle spese del doppio grado. 
Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, premesso che il Tribunale aveva omesso di esaminare la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore avanzata dalla locatrice e di condan na della società conduttrice al pagament o dei canoni non corrisposti, non essendosi definito il procediment o per co nvalida di sfratto con la ordinanza provvisoria di rilascio, che nella comparazione fra gli inadempimenti, da una parte la costrizione a tenere chiuse le 3 finestre per la presenza di immissioni prov enienti dall'impi anto di climatizzazione a servizio di locali sempre di proprietà dell'originario locatore, dall'altra il mancato pagamento dei canoni, maggiore valenza assumeva l'inadempienza del conduttore. Aggiunse che, se non era in linea con il dovere di buona fede l'avere da parte del locatore taciuto sulla problematica delle molestie, «pur tuttavia, la riduzione del canone nella misura del 40% circa per il sempl ice fatto che l'im pianto di condizionamento sopra descritto non consentiva di tenere aperte le finestre, appare sicuramente eccessivo, e non conforme a buona fede, considerato, che, comunque, la co nduttrice continuava a fruire dei locali nella lor o interezza. A fortiori, ingiustificato è il mancato pagamento dei ca noni relativi ai mesi di aprile e maggio 2018». 
Puntualizzò che «la domanda di pagamento dei canoni e delle ulteriori voci sopra indicate non costituisce domanda nuova, avendo la ### chiesto con la intimazione di sfratto il pagamento “di tutte le so mme che risulteranno dovute al moment o dell'emissione del provvedimento stesso, e ciò per canoni scaduti , oneri accessori e d interessi, oltre alle ulteriori somme per canoni e spese che matureranno fino alla data del rilascio”». 
Osservò ancora, in re lazione ai motivi di appello re lativi alla condanna della locatrice al risarcimento del danno, quanto segue: «in primo grado la società ### aveva chiesto solo riduzione del canone, limitandosi a dedurre, a giustificazione della sua richiesta, fra le altre cose, i maggiori costi sostenuti per il mantenimento in funzione dell'impianto di aerazione interna per l' intera giornata lavorativa. Nella prospettiva proposizione di una domanda risarcitoria da parte della ### la sentenza impugnata nel liquidare in via equitativa la di € 5.000,00 non specifica, comunque, quale fosse il danno conseguenza al quale ancorare la determinazione in questa sede non si ravvisano le conseguenze dannose suscettibili di risarcimento. invero, di un 4 danno subito società (ad es. per maggiori spese o esborsi riconducibili alla situazione denunciata), non vi è prova». 
Ha proposto ricorso per cassazione ### soc. coop. sulla base di quattro motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il consigliere delegato dal Presidente della ### ha formulato sintetica proposta di infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: il primo motivo è infondato non ricorrendo la novità della domanda per essere stata chiesta con l'intimazione di sfratto la condanna al pagamento degli importi dovuti; il secondo motivo è per un verso infondato nella parte in cui denuncia il vizio di ultrapetizione per la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento, per l'altro inammissibile sotto più profili (inosservanza degli artt. 366 n. 6 e 349 n. 2 c.p.c.; violazione del principio di non contestazione in relazione al contenuto di documenti; non si aggredisce la motivazione ov e si ritiene non conforme a buona fede la riduzione del canone nella misura del 40% per l' impossibilità di tenere aperte le finestre; non vi è stata applicazione di presunzioni); il terzo motivo è i nammissibile per inosservanza dell'art. 366 n. 4 c.p.c.; il quarto motivo è inammissibile per essere riservata al giudice del merito la valutazione sull'opportunità della compensazi one. E' stata chiesta la decisione dalla p arte ricorrente. 
E' stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380 bis.1 cod. proc. civ.. E' stata presentata memoria dalla parte resistente. 
Considerato che: con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la locatrice non ha mai nel giudizio di primo grado proposto la domanda di condann a al pagamento della somma di ### 5.734,00 per canoni non corrisposti, oltre per oneri successivi, avendone fatto richiesta solo con l'atto di appello, quale nuova domanda e perciò inammissibile (solo 5 nell'intimazione di sfratto era stata chiesta la condanna con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo), ed avendo omesso di depositare memorie nel corso del giudizio di merito. 
Il motivo è infondato. Come afferma la stessa parte ricorrente, con l'intimazione di sfratto era stata chiesta la c ondanna con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. La corte territoriale al riguardo ha puntualizzato che «la domanda di pagamento dei canoni e delle ulteriori voci sopra indicate non costituisce domanda nuova, avendo la ### chiesto con la intimazione di sfratto il pagamento “di tutte le somme che risulteranno dovute al momento dell'emissione del provvedimento stesso, e ciò per canoni scaduti , oneri accessori ed interessi, oltre alle ulteriori somme per canoni e spese che matureranno fino alla data del rilascio”». E' indubbio pertanto che la domanda di condanna al pagamento di somme sia stata proposta con l'intimazione di sfratto per morosità e che alcuna novità possa ascriversi alle conclusioni dell'atto di appello da questo punto di vista. 
Resta così fermo che «anche in c aso di mancato deposito di memorie ex art. 426 cod. proc. civ., il giudizio a cognizione piena che si apre con l'ordinanza di mutamento di rito ex art. 667 cod. proc. civ., rimane pur sempre retto dalla domanda proposta con l'atto di intimazione di sfratto e contestuale citazione per co nvalida, sul presupposto che tale domanda non ha contenuto sostanziale diverso da quello di una domanda di risoluzione e che per converso questa può certamente leggersi per implicito in quella» (Cass. n. 41236 del 2021). 
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345, 115 e 116 cod. proc. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente, ribadito che non risulta propos ta in primo grado la domanda di condanna al pagamento dei canoni non corrisposti, che risulta omesso l'esame delle ricevute di pagamento (anche in relazione al precedente immobile ove la cooperativa svolgeva l'attività, per verificare l'aumento 6 indiscriminato delle bollette da ### 185 a ### 650 mensili), oggetto di non contestazione, a comprova del danno economico subito a causa dell'uso continuativo del l'impianto di aerazione richiesto dall'impossibilità di aprire le finestre dell'immobile. Aggiunge che risulta violata anche la disciplina sulle presunzioni. 
Il motivo è inammissibile. Quanto alla denuncia di ultrapetizione, trattasi di mera reiterazione del motivo precedente. Il fatto storico di cui si denuncia la pretermissione sarebbero le ricevute di pagamento, in relazione alle quali si assume pure la ricorrenza del la non contestazione. In violazione dell'onere processuale di cui all'art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. non vi è alcuna specificazione circa la sede di ingresso nel processo di merito delle dette ricevute. In ogni caso, vi è una valutazione del giudice del merito sulla mancanza di prova di un danno subito società (ad es. per maggiori spese o esborsi riconducibili alla situazione denunciata), rispetto alla quale la censura si collo ca quale confutazione del giudizio di fatto , non consentita nella presente sede di legittimità. Né può farsi applicazione del principi o di non contestazione, il quale oper a rispetto ai fatti allegati, e non rispetto al mero documento (Cass. n. 22055 del 2017). 
Infine, si denuncia come violazione della disciplina sulla presunzione semplice quella che è una mera valutazione delle risul tanze processuali, in termini sfavorevoli per la parte su cui incombeva l'onere probatorio. 
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 1226 e 1578 cod. civ., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale avrebbe dovuto considerare il fatto che parte locatrice non ha provato di avere ig norato i vizi denu nciati dal conduttore, pur avendo la medesima corte più volte affermato che «… la condotta della locatrice non è esente da censure sotto il profilo della violazione della 7 buona fede nel corso delle trattative …», così disapplicando quanto previsto dall'art. 1578. 
Il motivo è inammissibile. Trattasi di censura che ricade nell'alveo del giudizio di fatto, ed in particolare in quello relativo al giudizio di comparazione fra inadempimenti che il giudice del merito ha reputato avente un esito sfavorevol e per il conduttore. Il giu dizio di fatto, riservato al giudice del merito e non sindacabile nella presente sede di legittimità, è stato infatti nel senso che se non è in linea con il dovere di buona fede l'avere da parte del locatore taciuto sulla problematica delle molestie, «pur tuttavia, la riduzione del canone nella misura del 40% circa per il semplice fatto che l'impianto di condizionamento sopra descritto non consentiva di tenere aperte le finestre, appare sicuramente eccessivo, e non conforme a buona fede». 
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale, avendo dato atto della fondatezza delle ragioni della conduttrice e di vizi della cosa locata, av rebbe dovuto dis porre la compensazione delle spese. 
Il motivo è inammissibile. La valutazione circa l'opportunità della compensazione delle spese processuali resta riservata al giudice del merito e non è sindacabile nella presente sede di legittimità. 
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenz a. Essendo stato definito il gi udizio in conformità della proposta, si applicano il terzo ed il quarto com ma dell'art. 96 c.p.c. 
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto 8 per la stessa impugnazione.  P. Q. M.  Rigetta il ricorso. 
Condanna la ricorrente al paga mento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in ### 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in ### 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di ### 1.000,00 ai sensi dell'art. 96, comma terzo, c.p.c. 
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della ### delle ammende della somma di ### 500,00. 
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. 
Così deciso in ### nella camera di consiglio della ### sezione civile, il giorno 18 giugno 2024.  ###. ### 

Giudice/firmatari: Frasca Raffaele Gaetano Antonio, Scoditti Enrico

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