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R.G. 282/2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GENOVA Il Giudice Monocratico - ### del ### in persona della dott. ssa ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa promossa da #### e ### rappresentati e difesi, in forza di procura a margine del ricorso, dagli avv. ### e ### presso il cui studio sono elettivamente domiciliati ricorrenti ### AUTORITA' ### (già ### di ###, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. ### rappresentata e difesa, in forza di procura depositata telematicamente, dall'Avv. ### e dall'Avv. ### elettivamente domiciliata presso la prima convenuta C.U.L.M.V. - ### Coop. a r.l., in persona del ### pro tempore, sig. ### rappresentata e difesa, in forza di procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. ### presso il cui studio è elettivamente domiciliata terza chiamata ### delle parti: come da rispettivi atti di costituzione in giudizio MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 28 gennaio 2016 i sig. #### e ### premesso di essere eredi del sig. ### e della di lui vedova ### esponevano: - che il sig. ### aveva lavorato, come addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci, per la ### del ### di ### (di seguito ### dal 1946 al 1984; - che i lavoratori portuali addetti alle operazioni di imbarco / sbarco operavano in squadre e venivano avviati giornalmente nelle diverse zone del porto, a bordo nave o a terra, a seguito della c.d. “chiamata”, non avendo una postazione fissa di lavoro; - che la formazione delle squadre e l'assegnazione della zona di lavoro avvenivano sulla base di un piano predisposto dall'allora ### del ### di ### (di seguito ###, che stabiliva la nave, la sua dislocazione, la composizione delle squadre, le tempistiche e ogni altra informazione relativa all'attività da eseguire e alle misure di sicurezza da adottare; - che il lavoro si svolgeva sotto la sorveglianza dei funzionari del ### cd. gestori di calata, che sorvegliavano il lavoro, intervenivano per rilevare infrazioni alla disciplina del lavoro o l'inosservanza alle misura di sicurezza, ricevevano le segnalazioni dei capi squadra in caso di problemi tecnici o di sicurezza e prescrivevano le misure necessarie, disponendo se del caso la sospensione del lavoro; - che il piano predisposto dal CPA stabiliva le misure organizzative e di sicurezza da adottare; - che l'attività di direzione e coordinamento tra il lavoro delle squadre e quello dei mezzi di sollevamento e trasporto era svolta dai funzionari del ### - che i rapporti con l'utenza (navi, imprese di spedizioni e altre imprese svolgenti servizi portuali) erano di competenza dei funzionari del ### - che i corrispettivi dell'attività prestata dai lavoratori della ### addetti alle operazioni di carico /scarico erano fatturati dal ### che provvedeva poi a versarne una quota alla ### - che tra i materiali movimentati dai lavoratori addetti all'imbarco / sbarco delle merci nel porto di ### vi era anche, in notevole quantità, l'amianto; - che tutte le operazioni di movimentazione dell'amianto avvenivano senza alcuna precauzione volta a evitare il sollevamento e la dispersione di polveri contenti amianto e senza che, sino alla fine degli anni '70, ai lavoratori fosse stata fornita alcuna informazione circa la nocività del materiale maneggiato e senza che venisse adottata alcuna misura di prevenzione e/o protezione; - che ad agosto 2005 al sig. ### era stato diagnosticato un mesotelioma pleurico, a seguito del quale egli era deceduto il 17 ottobre 2005; - che il mesotelioma erano causalmente collegato all'esposizione lavorativa ad amianto; - che l'organizzazione lavorativa portuale era di competenza del CAP ai sensi del R.D. n. 801/1936, del codice della navigazione e del relativo ### di attuazione; - che pertanto ### di ### era responsabile dei danni cagionati al lavoratore per inadempienza agli obblighi di informazione, prevenzione e tutela che facevano capo all'allora CAP quale soggetto titolare dell'organizzazione (ed in concreto esercente la) attività produttiva nella quale i lavoratori della ### erano inseriti come prestatori di manodopera, nonché quale soggetto titolare ex lege di poteri autoritativi di organizzazione, direzione e sorveglianza del lavoro fornito dalle maestranze portuali, inclusi gli iscritti ai registri della ### - che, in ragione della posizione di garanzia attribuita dalla legge al CAP nei confronti di tutti i lavoratori portuali, la responsabilità del ### doveva essere ascritta alla violazione dell'art. 2087 c.c. (e pertanto essere qualificata come di natura contrattuale), o comunque doveva essere ascritta alla violazione del principio del neminem laedere di cui agli artt. 2043 e 2050 I ricorrenti convenivano pertanto in giudizio ### di ### (di seguito ###, poi divenuta in corso di giudizio ### di ### del ### ai sensi del d.lgs. n. 169/2016, formulando le seguenti conclusioni: “ritenuta per i motivi esposti la responsabilità della convenuta per la malattia e la morte del sig. ###, previa ogni occorrenda pronuncia, condannare A.P.G. al risarcimento in favore dei ricorrenti - quali eredi del sig. ### - del danno non patrimoniale complessivamente patito dal dante causa, da quantificarsi in euro 150.000 od altra somma da determinarsi secondo il criterio di liquidazione meglio ritenuto dal Giudice Ill.mo; al risarcimento in favore dei ricorrenti, anche in qualità di eredi della sig.ra ### al risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del congiunto, da determinarsi come segue: euro 250.000 per danno conseguente alla perdita del coniuge da parte della sig.ra ### euro 180.000 per capite per danno conseguente alla perdita del padre; con salvezza di diversa determinazione equitativa da parte del Tribunale, ### le spese e competenze di giudizio, da liquidarsi con distrazione in favore dei difensori antistatari”. APG si costituiva ritualmente eccependo: - l'ascrivibilità del mesotelioma ad esposizione ad amianto durante l'attività lavorativa prestata dal lavoratore in epoca anteriore o successiva al rapporto di lavoro dedotto in giudizio; - il difetto di prova circa la legittimazione a agire dei ricorrenti in qualità di eredi del sig. ### e della sig.ra ### - la nullità del ricorso per mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento delle domande (in particolare per mancata specificazione della natura contrattuale o extracontrattuale dell'azione di responsabilità esercitata); - l'intervenuta prescrizione dei diritti fatti valere; - il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendo la responsabilità essere imputata al datore di lavoro, ossia alla ### e/o alle imprese che, all'epoca, svolgevano i servizi portuali; - il proprio difetto di legittimazione passiva, per non essere APG soggetto successore, tantomeno a titolo universale, del ### - l'incompetenza per materia del giudice del lavoro, non essendo mai intercorso alcun rapporto di lavoro tra il lavoratore e ### - l'infondatezza nel merito delle pretese, essendo errata la diagnosi di mesotelioma pleurico; - l'infondatezza nel merito delle pretese, anche in ragione: a) dell'insussistenza del nesso di causalità tra l'attività lavorativa svolta dal lavoratore in ambito portuale e la patologia denunciata; b) dell'insussistenza di profili di colpa per omissione da parte del ### non essendovi all'epoca consapevolezza a livello scientifico della pericolosità delle polveri di amianto (anche sotto il profilo della loro cancerogenicità e della correlazione tra esposizione ad amianto e mesotelioma pleurico), essendo quindi l'evento imprevedibile; - l'erroneità della quantificazione del danno. APG chiedeva, inoltre, la chiamata in causa della ### sia perché ritenuta l'unica responsabilità dei fatti di causa, sia, in ogni caso, per essere da quest'ultima manlevata. APG formulava pertanto le seguenti conclusioni: “Piaccia all'###mo Tribunale di ### - Giudice Monocratico del ### ogni contraria domanda, eccezione ed istanza respinta: 1. in via pregiudiziale, dichiarare il difetto di competenza funzionale del Giudice adito per le ragioni di cui in narrativa; 2. sempre in via pregiudiziale dichiarare il difetto assoluto di prova circa la legittimazione ad agire e circa la titolarità del diritto in capo ai ricorrenti; 3. sempre in via pregiudiziale, dichiarare la nullità per mancanza dei requisiti di legge del ricorso proposto nei confronti dell'### di ### per le ragioni di cui in narrativa; 4. in via preliminare graduata, previo l'espletamento di quanto previsto dall'art. 420 c.p.c. e/o l'adozione di ogni provvedimento meglio visto e ritenuto: - disporre la chiamata in causa della ### (già ### fra i ### delle ### del ### di ###, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, C.F. ###, corrente in #### affinché le domande delle ricorrenti si estendano a detto soggetto, in quanto unico ed esclusivo soggetto responsabile per le motivazioni di cui in narrativa e comunque per l'accertamento della sua esclusiva responsabilità in relazione alle domande delle ricorrenti e per i fatti di causa - ovvero, in subordine, per l'accertamento della sua, concorrente e/o in solido e/o pro-quota e/o nella forma meglio vista, responsabilità - e l'adozione di ogni relativo provvedimento di condanna nei confronti della stessa, come anche meglio esposto nelle conclusioni sub 6-7-8 che seguono.
Si chiede, altresì, l'immediata estromissione dell'### di ### dal presente giudizio; - disporre la chiamata in causa della ### (già ### fra i ### delle ### del ### di ###, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, C.F. ###, corrente in #### affinché la stessa manlevi e/o tenga indenne in tutto e/o in parte, anche in relazione ad una responsabilità concorrente ed anche per i titoli e le ragioni di cui sopra ed anche in via di regresso, l'### di ### da ogni pretesa avversaria per le motivazioni di cui in narrativa, come anche meglio esposto nelle conclusioni sub 6-7-8 che seguono; 5. nel merito, rigettare tutte le domande formulate dai ricorrenti, in quanto improponibili, improcedibili, inammissibili, infondate in fatto e in diritto e comunque non provate, afferenti ad eventuali diritti prescritti e/o viziate per difetto di legittimazione passiva e rivolte nei confronti di soggetto estraneo ai fatti di causa, assolvendo integralmente e in ogni caso l'### di ### da ogni richiesta avversaria; 6. in via subordinata, salvo gravame, per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, assolvendo integralmente 1'### di ### da ogni richiesta avversaria, con ogni consequenziale ed eventuale pronuncia di condanna nei confronti della terza chiamata; 7. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, sempre per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, accertare e dichiarare la concorrente responsabilità della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e la misura di questa, con ogni conseguente pronuncia di condanna, anche in via di regresso; 8. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, sempre per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, nei confronti di ### di ### dichiarare tenuta e, pertanto, condannare la ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore. a garantire e/o tenere indenne e/o manlevare l'### di ### dalle domande stesse, nonché a rimborsare ad ### di ### quanto la stessa dovesse essere condannata a corrispondere a parte ricorrente. anche in via di regresso. 9. In ogni caso. con vittoria di spese, diritti ed onorari”. Autorizzata la chiamata di causa della ### (di seguito ###, quest'ultima si costituiva ritualmente in giudizio contestando la fondatezza delle domande proposte da APG nei suoi confronti e chiedendone pertanto la reiezione. ### sosteneva, in particolare, di aver svolto, anteriormente alla riforma portuale del 1994, funzione di mero collocamento di mano d'opera e non già di datore di lavoro delle maestranze portuali, in quanto nel regime giuridico in allora vigente le compagnie portuali esercitavano direttamente attività di impresa soltanto ove operassero in forza di concessione ex art.111 cod. nav., nella specie mai intervenuta. ### formulava pertanto le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, dichiarare inammissibili e/o rigettare tutte le domande azionate dall'### di ### mediante chiamata in causa di ### Coop a.r.l., mandando quest'ultima assolta anche nell'eventualità in cui le ricorrenti intendessero valersi dell'estensione delle domande stesse nei confronti della conchiudente. Con la vittoria delle spese, diritti e onorari del giudizio”. Parte ricorrente dichiarava espressamente di non voler estendere la domanda nei confronti di ### Acquisita documentazione, espletata CTU medico legale, all'udienza del 27 luglio 2017, dopo la discussione orale, la causa veniva decisa mediante lettura in aula del dispositivo. ### di incompetenza funzionale del Giudice del lavoro ### è infondata.
La controversia rientra, infatti, nella competenza del Giudice del lavoro, in quanto “per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell'art. 409, n. 1, c.p.c., debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l'eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro (Cass., 8 ottobre 2012 17092; v. Cass. 22-3-2002 n. 4129; nonché Cass., 11 ottobre 2012, n. 17334, con specifico riferimento all'azione risarcitoria introdotta nei confronti di un'### dagli eredi di un lavoratore portuale deceduto per malattia professionale). Pertanto anche le domande risarcitorie proposte nel presente giudizio devono essere trattate con il rito del lavoro, essendo tale rito applicabile, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., a qualsiasi controversia che trovi nel rapporto di lavoro la ragione giustificativa della domanda, ancorché la causa si tenga tra soggetti diversi da quelli del rapporto di lavoro medesimo.
E' dunque infondata l'eccezione di incompetenza del Giudice del ### sollevata dalla difesa della convenuta (rectius di inapplicabilità del rito del lavoro, posto che a seguito dell'istituzione del giudice unico di primo grado, la ripartizione delle funzioni tra sezione lavoro e sezioni ordinarie del tribunale non implica l'insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio: cfr. Cass., ord. 23 settembre 2009, n. 20494; Cass., ord. 9 agosto 2004, n. 15391; Cass., Sez. Un., 28 settembre 2000, n. 1045). ### di nullità del ricorso ### è ugualmente infondata. Il ricorso introduttivo del giudizio specifica, infatti, in modo chiaro: - l'attività lavorativa prestata dal lavoratore e il periodo lavorativo dedotto in giudizio (addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci di ### dal settembre 1946 al 29 febbraio 1984); - la malattia che si assume derivata dall'esposizione lavorativa ad amianto (mesotelioma pleurico); - le ragioni di diritto per le quali parte ricorrente attribuisce al CAP il potere di organizzazione, direzione e sorveglianza del lavoro e l'obbligo di predisporre le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori; - i profili di colpa addebitati al CAP (adozione di modalità di movimentazione della merce inidonee ad evitarne la dispersione nel trasbordo, mancata adozione di mascherine, omessa informazione dei lavoratori in ordine alla nocività delle polveri di amianto…); - il tipo di responsabilità azionata (contrattuale, ex art. 2087 c.c., ed anche ex art. 2043 e 2050 c.c.); - l'importo richiesto a titolo di risarcimento del danno. Petitum e causa petendi risultano quindi chiaramente indicati. ### di difetto di prova circa la legittimazione ad agire e circa la titolarità del diritto in capo ai ricorrenti I ricorrenti agiscono, per alcune delle voci di danno, in qualità di eredi del padre ### e della madre ### A dimostrazione della loro qualità di eredi i ricorrenti con il ricorso introduttivo del giudizio hanno prodotto soltanto due dichiarazioni sostitutive di atto notorio, la prima relativa agli eredi del sig. ### e la seconda relativa agli eredi della sig.ra ### APG sostiene che tali dichiarazioni non sarebbero in sé sufficienti a provare la qualità di eredi dei ricorrenti e che inoltre la dichiarazione relativa agli eredi del sig. ### sarebbe “estremamente generica e priva del carattere di specificità (inesistenza di altri eredi, capacità di agire, ecc…”.
In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000 non costituisce di per sé prova idonea a dimostrare la qualità di erede, esaurendo i suoi effetti nell'ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi (Cass., Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 12065).
La stessa pronuncia delle ### precisa peraltro che il giudice deve tuttavia “adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell'art. 115 cod. proc. civ., come novellato dall'art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell'ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta”. Più in particolare, “le modalità di tale contestazione, al fine di impedire gli effetti favorevoli che possono prodursi in favore di chi tale qualità di erede fa valere in assenza di contestazione di quanto contenuto nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, debbono essere necessariamente correlate alle caratteristiche di specificità della dichiarazione sostitutiva, posto che una deduzione sulla qualità di erede formulata in termini eccessivamente generici non può comportare che un onere di contestazione altrettanto generico. Più specificatamente, è evidente anzitutto la diversità, ai fini di ritenere una dichiarazione sostitutiva più o meno sufficientemente circostanziata, della ipotesi in cui l'interessato si limiti a dichiararsi erede di colui che aveva partecipato al precedente grado di giudizio, rispetto a quella in cui invece egli si dichiari unico erede di quest'ultimo ovvero coerede, fornendo specifiche indicazioni, in tale secondo caso, sulle generalità degli altri coeredi. Inoltre acquista rilievo, sempre ai fini della valutazione del grado di specificità della dichiarazione sostitutiva di un atto di notorietà sulla qualità di erede del dichiarante, l'indicazione o meno della natura della delazione ereditaria da cui deriva tale qualità, in relazione alle due forme di delazione previste dal nostro ordinamento, quella legittima e quella testamentaria (art. 457 c.c.), con la specificazione, nel primo caso, della categoria dei successibili (art. 565 c.c.) nella quale rientra il dichiarante e, nel secondo caso, della natura del testamento (e degli estremi di esso) dal quale discende la sua istituzione quale erede (ai sensi dell'art. 601 c.c. e ss.). Pertanto l'onere di contestazione del contenuto della suddetta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà posto a carico della parte nei cui confronti tale dichiarazione viene prodotta onde impedire l'operatività del principio di non contestazione nei termini sopra evidenziati, deve essere caratterizzato da un grado di specificità strettamente correlato e proporzionato al grado ed alle modalità di specificazione della qualità di erede contenuti nella dichiarazione sostitutiva medesima”. Nella specie, entrambe le dichiarazioni elencano gli eredi, sia pure senza esplicitare l'assenza di altri coeredi e senza precisare, con riferimento alla successione del sig. ### se si tratti di delazione legittima o testamentaria. Tali dichiarazioni sono dunque in parte generiche, ma anche le contestazioni della convenuta sono in parte generiche, essendo specifiche soltanto con riferimento alla mancata esplicitazione della inesistenza di altri coeredi e - quanto alla successione del sig. ### - al tipo di successione. Le dichiarazioni in atti, contestate in modo non del tutto specifico, risultano pertanto idonee ad integrare una c.d. "pista probatoria" qualificata, tale da sollecitare il giudice ad un'integrazione istruttoria mediante l'esercizio dei poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. ###, ex art. 421 c.p.c., della denuncia di successione relativa alla successione del sig. ### nonché delle risultanze anagrafiche del Comune di ### consentono di ritenere dimostrate da un lato la qualità di eredi dei ricorrenti (sia con riferimento al padre ### sia con riferimento alla madre ###, dall'altro l'inesistenza di altri coeredi. ### è pertanto infondata. ### di difetto di legittimazione passiva di APG per non essere quest'ultima soggetto successore, tantomeno a titolo universale, del ### questa eccezione è infondata. Come è noto, le autorità portuali sono state istituite dall'art. 6 della legge 28 gennaio 1994 n. 84, di riordino della legislazione in materia portuale. Ai sensi del successivo art. 20 co. 5°, come sostituito dal D.L. n. 535/1996, “le ### portuali dei porti di cui all'articolo 2, sono costituite dal 1° gennaio 1995 e da tale data assumono tutti i compiti … e ad esse è trasferita l'amministrazione dei beni del demanio marittimo compresi nella circoscrizione territoriale … le ### portuali subentrano alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso”. Sulla base di tale disposizione l'### di ### è quindi succeduta al ### del ### di ### (Cass. 4 febbraio 1998 n. 1152). In applicazione della normativa citata, il decreto n. 1/COMM del 5 gennaio 1995 del commissario ### (in atti) ha disposto che “l'### subentra all'### - CAP di ### nella proprietà e nel possesso dei beni ed in tutti i rapporti in corso”. APG è dunque succeduta ex lege nei rapporti di debito e credito facenti capo al soppresso ####à prestata dal lavoratore nel porto di ####à prestata dal lavoratore nel porto di ### non è stata contestata. E' dunque pacifico che il sig. ### abbia lavorato per ### come addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci dal settembre 1946 al 29 febbraio 1984. Neppure risultano specificamente contestate la presenza di amianto nell'ambito del porto di ### negli anni in cui il lavoratore vi ha prestato la sua attività, e le modalità di movimentazione dell'amianto descritte in ricorso. Le allegazioni contenute al riguardo in ricorso trovano in ogni caso pieno riscontro nella relazione dell'### e ### degli ### della U.S.L. 3 Genovese del 1 ottobre 1999 (in atti), che da un lato dà conto degli ingenti quantitativi di amianto movimentati nel porto di ### (di cui precisa l'esatta quantità), dall'altro riferisce che “inizialmente l'amianto sbarcato arrivava sfuso o in sacchi di iuta dalle tre provenienze geografiche principali (#### e ###; successivamente, intorno agli anni '70, soprattutto in relazione alla trasformazione marittima dei vettori (oltre che per iniziali criteri di cautela igienistica) l'amianto ha cominciato ad arrivare in confezioni diverse: sacchi di carta collocati su pallets e fasciati da teli di plastica (provenienza ###, sempre più frequentemente containes per le altre due provenienze (in particolare quella canadese). ### imbarcato a ### era per lo più costituito da amianto lavorato o da manufatti di amianto… ### alle mansioni coinvolte nei lavori a contatto con l'amianto si ritiene che le maggiori esposizioni fossero a carico della mansione di caricatori scaricatori, sia a bordo che a terra… inizialmente esistevano all'interno della compagnia portuale due sezioni ben distinte, la ### che forniva squadre per il lavoro a bordo, e la ### che forniva squadre per il lavoro a terra sulle banchine. Nel tempo si è persa questa divisione tra squadre di terra e di bordo mentre è perdurato il meccanismo della “chiamata”, per cui i lavoratori non hanno posti fissi di lavoro o tipologie costanti di merci da movimentare, ma possono venire adibiti di giorno in giorno indifferentemente in aree diverse e a cicli lavorativi anche molto differenziati tra di loro... ### alle modalità di lavoro, vari lavoratori portuali da noi intervistati hanno riferito che inizialmente i sacchi erano di iuta, perdevamo cospicuamente materiale e facevano polvere, che si spandeva nell'aria, sollevata spesso dal vento presente nelle banchine. Successivamente, dopo i primi anni '70, sono comparsi i sacchi di carta, che però spesso di rompevano, rovesciando il contenuto. E' ricorrente, nei racconti di lavoratori anziani, presenti nella ### negli anni '50 - '60 il riferimento al fatto che a volte d'inverno gli uomini della squadra si riposavano sdraiandosi nei magazzini o nelle stive delle navi sui cumuli dei sacchi di amianto (che, da ottimo coibente, è materiale termicamente confortevole)”. La descrizione della movimentazione dell'amianto contenuta nella citata relazione della USL 3 conferma pienamente le allegazioni contenute in ricorso, allegazioni peraltro - lo si ribadisce - non specificamente contestate. ### del lavoro portuale nel periodo per cui è causa e il ruolo della ### Al riguardo, deve essere richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui “il rapporto di lavoro fra compagnie portuali - costituite in forma cooperativa ed aventi personalità giuridica - e singoli lavoratorisoci si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l'attività di impresa per le operazioni di carico e scarico e non anche quando le compagnie medesime si limitano a fornire la manodopera qualificata alle imprese portuali, ipotesi quest'ultima nella quale la compagnia portuale funziona, in pratica, da ufficio di collocamento - restando inapplicabile, nel regime giuridico prece dente la L. 28 gennaio 1994, n. 84, il divieto di appalto di manodopera di cui alla L. n. 1369 del 1960 - e rimane pertanto esente da ogni responsabilità, anche in sede di rivalsa, per gli infortuni occorsi ai lavoratori. Ne deriva che in tale seconda ipotesi, e con riferimento alla domanda risarcitoria per infortunio promossa dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, non è configurabile litisconsorzio necessario tra la compagnia portuale che si limiti a fornire lecitamente manodopera al soggetto esercente l'attività imprenditoriale nell'ambito della quale si sia verificato l'infortunio (vedi, per tutte: Cass. 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. 6 agosto 1998, n. 7733; Cass. 15 marzo 1995, n. 2992; Cass. 13 maggio 1992 n. 5710; Cass. 8 novembre 1984 n. 5646; Cass. 29 ottobre 1981 n. 5706; Cass. 3 marzo 1981 1233; Cass. 12 gennaio 1979 n. 249; Cass. 15 ottobre 1968 n. 3300; Cass. 11 ottobre 1956 n. 3943; Cass. 4 luglio 1956 n. 2412)” (Cass., 10 dicembre 2014, n. 26037). Le ragioni dell'orientamento, del tutto consolidato, della Suprema Corte sono ampiamente spiegate nella pronuncia, risalente, ma tuttora assolutamente condivisibile, della Cassazione civile, 15 marzo 1995, n. 2992, che dà conto dei motivi di infondatezza delle domande proposte da APG nei confronti di ### Infatti, come argomentato nella citata pronuncia, “il rapporto di lavoro fra le compagnie portuali e singoli lavoratori soci si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l'attività d'impresa per le operazioni di carico e scarico e non anche quando le compagnie medesime si limitano a fornire la manodopera alle imprese portuali. In tale ipotesi la compagnia portuale si limita a fornire la manodopera qualificata da tali impresa richiesta, funzionando in pratica da ufficio di collocamento (vedi per la giurisprudenza civile Cass. 13 maggio 1992 n. 5710; Cass. 8 novembre 1984 n. 5646; Cass. 29 ottobre 1981 5706; Cass. 3 marzo 1981 n. 1233; Cass. 12 gennaio 1979 n. 249; Cass. 15 ottobre 1968 n. 3300; Cass. 11 ottobre 1956 n. 3943; Cass. 4 luglio 1956 n. 2412). ### questa funzione intermediatrice nel collocamento della manodopera è insita nella struttura stessa del lavoro portuale, che, tranne il caso dell'esercizio di un'impresa portuale da parte della compagnia, consiste in genere in una pluralità di rapporti di breve durata a favore di imprese diverse. Per prestazioni di lavoro di questo tipo è spesso indispensabile il ricorso a intermediari il cui unico compito è quello di stabilire i necessari contatti fra domanda e offerta di lavoro (vedi ad esempio le agenzie teatrali per il lavoro artistico). È vero che per reclutare la manodopera occorrente esiste l'ufficio di collocamento, a cui il datore di lavoro è obbligato a rivolgersi, ma, accanto ad esso, fiorisce un collocamento illegale (il cosiddetto caporalato) che, a differenze del primo, non si limita ad inviare il numero di lavoratori richiesti secondo l'ordine di iscrizione negli elenchi, ma ingaggia la manodopera secondo i desideri del datore di lavoro, organizzandola in squadre. Questo fenomeno esisteva ampiamente nei primi venti anni di questo secolo nei porti italiani, nei quali gli operai, quasi sempre organizzati in cooperative o associazioni di fatto, affiancate a partiti politici, spesso erano costretti a rivolgersi ai cosiddetti "assuntori" o "caporali", i quali si incaricavano di reclutare le squadre da avviare al lavoro e pretendevano per questa funzione di intermediari, compensi non di rado esosi. … A partire dal 1923 ci furono vari interventi legislativi, destinati a porre ordine nel settore del lavoro portuale, e tale evoluzione si è conclusa con il codice della navigazione e il relativo regolamento, che hanno dettato una minuziosa disciplina del lavoro portuale. Tale disciplina è durata per circa 50 anni, fino a quando, cioè, a causa di alcune distorsioni derivanti dal regime di monopolio, in cui operavano le compagnie portuali, e la necessità di adeguare la nostra legislazione alla decisione della Corte di Giustizia della ### in data 10 dicembre 1991, la regolamentazione di questo settore è profondamente mutata (vedi legge 28 gennaio 1994 n. 84). Ma questa legge non si applica al caso in esame. I brevi richiami storici sopraindicati, servono a comprendere le ragioni del penetrante intervento del legislatore in questa materia e l'indirizzo da esso seguito. … Nei porti di maggior traffico i lavoratori sono coattivamente organizzati in compagnie, costituite in forma cooperativa e aventi personalità giuridica. In quelli di minor traffico, invece, i lavoratori sono organizzati in associazioni di fatto, sfornite di personalità giuridica. Entrambe queste organizzazioni sono soggette ala vigilanza dell'autorità, preposta alla disciplina del lavoro portuale, e il regolamento dette norme minuziose per il loro funzionamento e per la disciplina della loro esistenza (costituzione, funzione, soppressione ecc.). ### delle operazioni portuali è riservata a tali organizzazioni (art. 110 cod. nav.), ma, per evitare rendite di posizione, derivanti dal regime di monopolio instaurato con tale riserva, le tariffe per le attività portuali sono fissate dalla pubblica autorità. ### del porto non può ingaggiare il personale occorrente rivolgendosi direttamente ai lavoratori portuali iscritti nei pubblici registri, ma deve necessariamente rivolgersi alla loro organizzazione (compagnia o gruppo). In tale ipotesi il console della compagnia o il capo gruppo provvedono all'avviamento e all'avvicendamento degli operai al lavoro, secondo i criteri fissati dall'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale e rispondono direttamente alla suddetta autorità del regolare andamento del lavoro. Si è molto discusso in dottrina sulla posizione che assume la compagnia in questo rapporto…. Non sembra che si possa condividere l'opinione di chi ravvisa nella specie un appalto di servizio, consistente nella fornitura delle maestranze necessarie per l'esecuzione del carico e scarico delle navi. ###à di servizio si sostanzia infatti nella prestazione di un "facere" come elemento primario della fattispecie, capace di soddisfare particolari bisogni degli utenti e suscettibile di autonoma organizzazione e valutazione economica: il servizio consiste, dunque, in un risultato economico nuovo e originale, dotato di un'entità propria, che non si esaurisce nella sommatoria delle utilità fornite dai beni preesistenti. Ora il servizio di carico e scarico non si ottiene, come una volta, mediante l'impiego di facchini che trasportano la merce sulle loro spalle, ma attraverso un largo impiego di strumenti e attrezzature, che alleviano notevolmente la fatica dell'uomo e rendono più rapide le relative operazioni: sicché detto servizio si ottiene solo mediante l'organizzazione e l'impiego di vari fattori produttivi (personali e materiali), organizzazione che compete esclusivamente all'impresa portuale, che effettua per conto proprio o per conto terzi le operazioni medesime. ### l'obbligo dei lavoratori designati ad effettuare le prestazioni richieste, più che dal legame societario che li vincola alla compagnia, trova fondamento nel fatto che essi, proprio perché svolgono un'attività in regime di monopolio, sono tenuti a presentarsi regolarmente alla chiamata e al lavoro e a non assentarsi da esso (art. 159 regol.), pena la cancellazione dai registri e quindi la perdita dell'abilitazione all'esercizio professionale, in caso di assenze reiterate (art. 156 n. 5 regol.). Va poi rilevato che l'art. 193 del regol. parla di "avviamento" degli operai al lavoro, espressione questa tipica della funzione intermediaria di collocamento, che le compagnie portuali sono chiamate a svolgere: la legge sul collocamento 29 aprile 1949 n. 264 si intitola infatti "provvedimenti in materia di avviamento al lavoro". La funzione intermediaria della compagnia si completa poi attraverso la fatturazione e l'incasso, in nome proprio ma per conto dei lavoratori, dei compensi dovuti. Questa particolare situazione è rispecchiata anche nelle disposizioni, contenute nel T.U. 30 giugno 1965 n. 1124 sull'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro che (riproducendo norme già contenute nell'art. 5 del r.d. 25 gennaio 1937 n. 200) nell'art. 9 indica fra i datori di lavoro, obbligati all'assicurazione, la compagnia portuale nei confronti dei propri iscritti di rivalersi della relativa spesa nei confronti delle persone o degli enti, nell'interesse dei quali le operazioni portuali vengono compiute (rivalsa che viene concretamente attuata mediante un'addizionale alla tariffa delle prestazioni della manodopera vigente in ciascun porto, addizionale fissata anch'essa dall'autorità portuale). In questa situazione normativa occorre individuare quale sia effettivo datore di lavoro, nei confronti del quale vale l'esonero della responsabilità civile o si esercita l'azione di rivalsa, previsti dall'art. 10 T.U.. Per risolvere questo problema occorre considerare che l'infortunio consiste in un evento dannoso alla capacità lavorativa del prestatore d'opera, avvenuto per causa violenta in occasione del lavoro. Tranne quindi l'ipotesi dell'infortunio in itinere, che presenta tutt'altra problematica, l'infortunio professionale è essenzialmente collegato all'ambiente di lavoro e richiede necessariamente un rapporto fra il lavoratore e il rischio, posto in essere dall'organizzazione creata dal datore di lavoro, che ne è il responsabile. Solo chi inserisce i lavoratori negli altri elementi organizzati ad impresa è infatti in grado di valutare i rischi connessi allo svolgimento del lavoro in quelle determinate condizioni di tempo e di luogo ed è in grado di assumere i concreti accorgimenti imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni e di adottare tutte le altre misure che, secondo l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 c.c.). Sono queste le ragioni di fondo che giustificano la previsione di una rivalsa legale del premio di assicurazione pagato dalla compagnia per la manodopera impiegata nelle operazioni di carico e scarico. ### eccezionalità di tale previsione trova fondamento logico e giuridico solo nella opinione del legislatore che le compagnie portuali in tali ipotesi non possono considerarsi appaltatrici per la fornitura di un servizio, ma sono strumenti per l'avviamento al lavoro degli operai necessari all'esecuzione delle suddette operazioni di carico e scarico. Così si spiega perché sono da ritenersi effettivi datori di lavoro l'armatore o il terzo richiedente la manovalanza, mentre la compagnia è solo formalmente indicata come datrice di lavoro in considerazione del fatto che per i veri datori di lavoro sarebbe oltremodo difficile poter, tempestivamente e diligentemente, osservare tutte le formalità richieste per la regolarità dell'assicurazione (soprattutto per quanto riguarda la denuncia degli infortuni e le registrazioni sui libri di matricola e paga) data la breve durata del lavoro e l'instabilità della maestranza. Né a questi effetti ha alcun rilievo il fatto che nella squadra di lavoratori assegnati dalla compagnia per l'esecuzione di una determinata operazione venga assegnato volta per volta un capo squadra, perché costui ha solo compiti di carattere interno e disciplinare nei confronti dei lavoratori, ma non assume alcun incarico di carattere tecnico-direttivo in relazione alle operazioni che i lavoratori debbono eseguire per conto dell'impresa richiedente. ### spesso gli infortuni accadono a causa degli impianti utilizzati per le operazioni di carico e scarico o per improvviso movimento di strutture della nave non adeguatamente ancorate (come è avvenuto nella specie), per causa cioè di impianti e strutture, che si sottraggono a qualsiasi disponibilità e controllo da parte del caposquadra dei portuali. Appare dunque ancora da condividere la costante giurisprudenza di questa Corte in sede civile, secondo la quale la compagnia portuale si limita ad avviare la manodopera richiesta dagli utenti del porto e che la direzione dei lavoratori e la responsabilità anche nei confronti di terzi per sinistri cagionati da essi spetta a detti utenti e non alla compagnia nemmeno in sede di rivalsa (vedi giurisprudenza già citata). Diversa è l'ipotesi in cui è la stessa compagnia portuale ad assumere, in forza di concessione, la configurazione di impresa per l'esercizio delle attività portuali: in questo caso, infatti, la compagnia assume quale appaltatrice la responsabilità del risultato finale e risponde, quale effettiva datrice di lavoro, sia dei danni cagionati a terzi dai propri dipendenti, sia delle conseguenze degli infortuni da essi subiti, nei limiti di cui all'art. 10 T.U. sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Ma è pacifico in causa che nella specie la compagnia non agiva quale concessionaria di un'impresa di operazioni portuali, ma si era limitata ad avviare all'utente richiedente la manodopera necessaria ad eseguire lo scarico della merce dalla nave …” (Cass. civile, 15 marzo 1995, n. 2992). Ed ancora, come chiarito da altra pronuncia: “Dal complesso di tale normativa discende, come esattamente osserva il ricorrente, che: a) il lavoratore assume un rapporto di carattere pubblicistico con l'### (artt. 142, 143 e 159 R.N.M.) che provvede con propri atti alla organizzazione del lavoro, al controllo e alla vigilanza sull'esecuzione delle operazioni portuali, all'iscrizione e cancellazione del lavoratore dai ruoli, al passaggio di categorie, alla formulazione delle tariffe; b) il lavoratore ha, invece, un rapporto di carattere privatistico con la ### di cui fa parte che, da parte sua, costituisce una società cooperativa con carattere coattivo (in quanto la partecipazione alla stessa avviene automaticamente, con l'iscrizione del lavoratore nel registro di cui all'art. 350 R.N.M.). Il rapporto con la ### è di carattere associativo e non di dipendenza. Il lavoratore, infatti, partecipa alla vita della società, alla costituzione degli organi, alla formazione ed approvazione del bilancio, esercitando come "socio" tutti i poteri connessi a una tale qualifica; c) in un tale contesto, il rapporto di lavoro subordinato non può che sorgere, a seguito dell'avviamento operato dalla ### tra il lavoratore e l'impresa portuale, come del resto deve desumersi dal contenuto degli artt. (che affida alle imprese portuali, a seguito di concessione, l'esecuzione delle operazioni portuali e che fa divieto alle imprese medesime di avvalersi, appunto per l'esecuzione delle operazioni peritali, di maestranze non rientranti nelle compagnie o nei gruppi) e 1172 C.N. (che punisce l'inosservanza da parte delle imprese delle norme sull'impiego delle maestranze, sempre nell'esecuzione delle operazioni portuali). Ha, quindi, ragione il ricorrente nell'affermare che la ### una volta avviato il proprio socio lavoratore, non partecipa al processo esecutivo dell'operazione portuale che viene, invece, svolta sotto l'organizzazione imprenditoriale, la direzione tecnica e la responsabilità dell'impresa portuale, che assume la funzione di solo ed esclusivo "datore di lavoro", con tutti gli obblighi e i doveri connessi a tale posizione e qualifica giuridica, tra i quali l'apprestamento dei mezzi di prevenzione anti infortunistica. Se ciò non fosse, rimarrebbe, oltre tutto, inspiegabile per quale motivo le imprese aspiranti alla concessione per l'esecuzione delle operazioni portuali siano tenute (art. 197 RNM) alla produzione di documentazione o certificazione comprovante la propria capacità tecnica a esercitare attività di impresa portuale. Ulteriore conferma, nel senso qui esposto, si trae anche dal disposto dell'art. 200 R.N.M dal cui n. 2 risulta che la concessione all'impresa portuale può essere sospesa o revocata "quando l'impresa non osserva le norme relative al lavoro portuale ovvero (n.3) quando risulta che la capacità tecnica o finanziaria dell'impresa è ridotta in modo tale da non dare più affidamento per il regolare esercizio dell'attività. Da ultimo può essere ricordato, sempre nello tesso senso, l'art. 9 del DPR n. 1124/1965 che dispone che "agli effetti del presente titolo sono inoltre considerato datori di lavoro.... le compagnie portuali nei confronti dei propri iscritti....". A parte il tenore già indicativo dell'espressione adoperata "sono considerati", la norma (inserita nel T.U. delle disposizioni per l'### contro gl'infortuni sul lavoro) trova giustificazione nell'impossibilità o estrema difficoltà di intrattenere rapporti (al fine preminente del prelevamento dei prescritti versamenti contributivi) con le imprese, sempre diverse, con cui i lavoratori portuali svolgono la propria attività; da cui la necessità di indicare la ### portuale come il soggetto tenuto alla gestione dei rapporti con l'ente assicurativo. È, inoltre, evidente che, se le compagnie portuali fossero state "datori di lavoro" in senso proprio e tecnico, non vi sarebbe stato bisogno alcuno di "considerarle" datori di lavoro ai fini che interessano la norma in questione". Tali conclusioni non sono scalfite né dal fatto che i lavoratori cono pagati mensilmente dalle compagnie (cui è affidata, ex art. 174 R.N.M., la gestione dei proventi di.... patrimoniale della ### stessa e alla conseguente necessità di costituire un fondo di riserva annuale (art. 185 R.N.M.) e di effettuare delle trattenute su proventi medesimi ex. art. 185 n. 5 R.N.M.), né dal fatto che nel regolamento interno della compagnia sia prevista, tra l'altro, anche "la custodia, la distribuzione, l'uso e la riconsegna degli strumenti di lavoro" (art. 188 n. 4 C.N.: trattasi, con ogni evidenza, di disposizione del tutto generica, in quanto la predisposizione e fornitura degli appropriati mezzi di protezione non può far carico che all'impresa portuale la quale soltanto è in grado di individuarli e di assicurare la concreta utilizzazione, in relazione al particolare tipo di operazione da compiere e delle relative modalità esecutive (che, per necessità di cose, non possono essere note alla ###. Sulla base di tutti i rilievi che precedono, deve pervenirsi alla conclusione che il … vice console della compagnia, non può essere annoverato tra i destinatari della normativa anti infortunistica. Il vice console ha, in base all'art. 175 RNM, funzioni vicarie del console, le cui funzioni sono tassativamente indicate dall'art. 174, senza cenno alcuno alla normativa antinfortunistica. Il disposto dell'art 193 RNM, co. 2 ("il console e il capo gruppo rispondono direttamente del regolare andamento del lavoro") ha chiaramente un ambito limitato al settore amministrativo, in riferimento al chiaro contenuto normativo dell'art. 174...” (Cass. pen, 10 marzo 1995, n. 4557). Nel presente giudizio è pacifico che la ### non abbia mai agito in forza di una concessione ex art. 111 cod. nav., concessione che, come ampiamente evidenziato, nel previgente quadro normativo costituiva il presupposto imprescindibile perché la compagnia portuale potesse svolgere direttamente attività di impresa.
La stessa ### che pure sostiene che ### avrebbe svolto attività di impresa, non allega che ### abbia mai agito in forza di concessione ex art. 111 cod. nav., né tanto meno ne offre prova. Alla luce dei principi ora richiamati, deve allora escludersi la configurabilità in capo a ### di una posizione di garanzia in relazione alla sicurezza sul lavoro dei lavoratori portuali (anche in caso di nomina di un capo squadra, così come chiarito dalla già citata sentenza Cass. civile, 15 marzo 1995, n. 2992). Ne consegue l'infondatezza delle domande avanzate, a qualsiasi titolo, da APG nei confronti di ### Tutte le domande formulate da APG nei confronti di ### devono pertanto essere respinte. Non sussiste, invece, alcun profilo di inammissibilità della chiamata in causa di ### in quanto si verte in un'ipotesi di garanzia propria e ciò perlomeno con riferimento alla domanda di accertamento della corresponsabilità di ### in merito all'evento dannoso per cui è causa e di ripartizione delle relative quote interne. In particolare, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, si ha garanzia propria quando la causa principale e quella accessoria abbiano in comune lo stesso titolo e anche quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande; mentre si ha garanzia impropria quando il convenuto tenda a riversare le conseguenze del proprio inadempimento su di un terzo in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale (Cass., 15 maggio 2009, n. 11362; Cass., 29 luglio 2009, n. 17688; Cass., 30 settembre 2005, n. 19208; Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 12968; Cass., 8 agosto 2002, 12029). Nella specie il fatto generatore della pretesa responsabilità, sia del ### sia di ### è unico e consiste nella prestazione di attività di lavoro subordinato da parte del lavoratore addetto alle operazioni di carico e scarico nel porto di ### In ogni caso, il titolo in base al quale la convenuta ha esercitato l'azione di manleva ed il titolo fatto valere in giudizio sono strettamente connessi e tale connessione (sulla base della prospettazione della domanda) deriva direttamente dalla disciplina di legge e precisamente dall'art. 2055 Come affermato dalla Corte di Cassazione, “in tema di infortuni sul lavoro, va qualificata come domanda di garanzia propria quella proposta dal datore di lavoro, convenuto in sede di regresso dall'### per essere garantito dal proprio assicuratore o dall'impresa committente i lavori, non ricorrendo fra i titoli delle domande un rapporto puramente occasionale, ma essendo anzi unico il fatto generatore della responsabilità, sia verso l'assicuratore, in ragione del suo obbligo di garanzia per l'infortunio, sia verso il committente, in relazione alla causazione dell'infortunio per effetto della prospettata concorrente violazione da parte di questo dell'obbligo di prevenzione e sicurezza. Ne consegue che il giudice della causa principale, in funzione di giudice del lavoro, è competente a conoscere anche le anzidette cause connesse per garanzia” (Cass., 16 aprile 2014, n. 8898).
Ne consegue la possibilità di trattazione unitaria delle domande, con applicazione, ex art. 40 c.p.c., del rito del lavoro (ferma l'infondatezza nel merito delle domande formulate da APG nei confronti di ###. ### di una posizione di garanzia in capo all'allora ###'esistenza di una posizione di garanzia in capo al CAP è desumibile dalle seguenti norme, all'epoca vigenti: - dall'art. 108 cod. nav., ai cui sensi “la disciplina e la vigilanza delle operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale nel porto sono esercitate dal comandante del porto, secondo le norme stabilite dal regolamento”; - dall'art. 109 cod. nav., ai cui sensi “nei porti, nei quali l'importanza del traffico lo richieda, la disciplina delle operazioni portuali è affidata ad uffici del lavoro portuale..”; - dall'art. 140 del D.M. n.328/1952, contenente il ### di esecuzione del codice della navigazione, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, agli effetti degli articoli 110 e 149 del codice, è … nei porti nei quali ha sede un ufficio del lavoro, il direttore dell'ufficio....”; - dall'art. 142 del medesimo ### ai cui sensi “gli uffici del lavoro portuale: 1) tengono i registri dei lavoratori e quelli delle imprese per operazioni portuali; 2) custodiscono gli atti concernenti l'istituzione e il funzionamento delle compagnie portuali; 3) controllano la gestione e il funzionamento delle compagnie; 4) stabiliscono i criteri per l'avviamento al lavoro e per l'avvicendamento della mano d'opera; 5) provvedono all'organizzazione del lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico del porto e vigilano sulla osservanza delle norme e delle tariffe relative al lavoro portuale; 6) vigilano sulla esecuzione delle operazioni portuali; 7) verificano e vistano, su richiesta degli interessati, le note di lavoro e le fatture; 8) provvedono alla liquidazione ed alla riscossione dei contributi e dei proventi previsti da leggi speciali; 9) curano l'esecuzione delle decisioni del consiglio del lavoro portuale; 10) adempiono a ogni altro incarico previsto dal codice e dal presente regolamento o che venga ad essi affidato dal ### per la marina mercantile o dal capo del compartimento”; - dall'art. 150 del medesimo regolamento, ai cui sensi “i lavoratori portuali sono iscritti in registri conformi al modello approvato dal ministro per la marina mercantile. Tali registri, distinti a seconda delle categorie, sono tenuti dall'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale”; - dal successivo art. 153, ai cui sensi la domanda di ammissione nei ruoli dei lavoratori portuali doveva essere presentata all'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale; - dall'art. 157, ai cui sensi “nessun lavoratore può essere temporaneamente adibito a lavori di una categoria, diversa da quella nei cui registri trovasi iscritto, senza autorizzazione dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. Nei casi in cui il personale di una categoria sia esuberante in rapporto all'entità del traffico, la predetta autorità procede al trasferimento definitivo dei lavoratori eccedenti il fabbisogno in altre categorie affini in cui si riscontri deficienza di personale e per le quali i lavoratori abbiano la capacità tecnica necessaria. I criteri per tale passaggio sono fissati dall'autorità predetta, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale”; - dall'art. 158, ai cui sensi “qualora il personale iscritto nei registri divenga esuberante in rapporto all'entità del traffico, l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, di cui all'articolo 140, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale, può procedere alla graduale riduzione dei ruoli ….; - dall'art. 167, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, oltre ad esercitare i poteri ad essa riconosciuti dall'articolo 142, cura l'osservanza, da parte delle compagnie, delle disposizioni del codice e del regolamento”; - dall'art. 193, ai cui sensi “l'avviamento e l'avvicendamento degli operai al lavoro sono regolati dal console della compagnia o dal capo gruppo secondo i criteri dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. Il console e il capo gruppo rispondono direttamente alla suddetta autorità del regolare andamento del lavoro”; - dall'art. 202, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale, stabilisce gli orari di lavoro e le norme relative alla esecuzione delle operazioni Portuali”; - infine dall'art. 1249 cod. nav., ai cui sensi l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale esercita il potere disciplinare sulle imprese, sui datori di lavoro nei porti e sui lavoratori portuali. In applicazione dei principi normativi appena richiamati il R.D. 16 gennaio 1936 801, di costituzione del ### del ### di ### attribuiva all'Ente neocostituito, tra l'altro, il compito di “coordinare … tutti gli altri servizi ed operazioni svolgentisi nel porto; a regolare e disciplinare in tutto l'ambito del porto, con autorità e poteri di regolamentazione e di determinazione delle tariffe, sia verso i datori di lavoro, sia verso gli eventuali intermediari ed i lavoratori, le operazioni e il lavoro del porto, nonché a risolvere in via amministrativa, a mezzo dei propri organi, tutti i reclami in ordine al lavoro ed alle operazioni suddette” (art. 1 punto 6). A sua volta, il ### adottato dal CAP con decreto del Presidente ### del 1953 prevedeva, tra l'altro: - all'art. 1 che “il ### provvede direttamente a disciplinare il lavoro portuale, a determinare le tariffe e ad esercitare il potere disciplinare sui lavoratori e sui datori di lavoro che vi sono addetti”; all'art. 2 che “il lavoro portuale disciplinato dal presente regolamento è quello che si compie nell'ambito della circoscrizione territoriale del ### e riguarda tutte le operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere di merci e bagagli che implichino prestazioni personali nonché le operazioni sussidiarie e complementari svolte da imballatori barilai e cassai, pesatori, commessi, misuratori e chiattaiuoli che del pari implichino prestazioni personali”; - all'art. 3 che “il ### provvede a: tenere i ruoli dei lavoratori e gli elenchi delle imprese per operazioni portuali…..controllare la gestione e il funzionamento delle compagnie; stabilire i criteri per l'avviamento al lavoro e per l'avvicendamento della mano d'opera e curarne l'osservanza; organizzare il lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico del porto e vigilare sulla osservanza delle norme, delle tariffe e degli orari relativi al lavoro portuale; vigilare sulla esecuzione delle operazioni portuali, verificare e vistare, su richiesta degli interessati, le note di lavoro e le fatture.... deliberare su tutto quanto attiene all'ordinamento generale del lavoro nel porto e fare eseguire le decisioni dei propri organi deliberativi in materia”; - all'art. 4 che “sono considerati lavoratori portuali agli effetti del presente regolamento quelli addetti alle operazioni di cui al primo comma dell'art. 2…i lavoratori portuali sono iscritti in appositi ruoli, distinti per categorie, tenuti dal ### lavoro portuale e gestioni dirette del ### autonomo del porto”; - all'art. 12 che “i lavoratori portuali devono….usare rispetto verso i funzionari del ### del ### della capitaneria di porto, della dogana e della forza pubblica e ubbidire agli ordini che da essi venissero impartiti in merito alla disciplina del lavoro e alla sicurezza e polizia portuale”; - all'art. 23 che ”il consorzio autonomo del porto, oltre ad esercitare i poteri di cui al precedente art. 3, cura l'osservanza, da parte della compagnia, delle disposizioni di legge e del presente regolamento”; - all'art. 50 che “l'avviamento e l'avvicendamento al lavoro dei lavoratori iscritti nei ruoli sono regolati dal console della compagnia secondo i criteri stabiliti dal ### del Porto”; - all'art. 62 che “il ### del ### a norma delle disposizioni della propria legge istitutiva, stabilisce gli orari di lavoro e le norme relative all'esecuzione delle operazioni portuali”; - all'art. 65 che “il ### del ### provvede a stabilire con regolamenti speciali le norme tecniche di lavoro particolari di ogni categoria di lavoratori e a fissare i relativi orari, le tariffe e la composizione e la resa base delle squadre. ### del ### esercita una funzione di vigilanza a mezzo di propri agenti, al visto dei quali devono essere sottoposte tutte le note di lavoro delle ### portuali”; - all'art. 74 che “il ### del ###.. esercita la vigilanza sul lavoro del porto a mezzo del ### lavoro portuale e gestioni dirette, al quale sono in particolare affidati i seguenti compiti: curare l'osservanza delle leggi, del presente regolamento e di tutte le altre speciali disposizioni del lavoro; provvedere alle disposizioni sulla previdenza sociale di cui all'art. 49… curare l'applicazione delle sanzioni disciplinari, secondo le norme relative”. Alla luce della disposizioni normative sopra richiamate il CAP risultava titolare del potere / dovere di disciplinare e organizzare sia il lavoro portuale, sia i luoghi di lavoro ove i lavoratori portuali svolgevano la loro attività, e del conseguente potere / dovere di far rispettare la normativa di sicurezza relativa a tali lavoratori. Per contro la ### era mera intermediatrice di manodopera, fornendo, in allora in modo del tutto legittimo e conforme alla speciale normativa del settore, la manodopera richiesta dal ### il quale era, invece, destinatario, fruitore e unico utilizzatore delle prestazione lavorativa delle maestranze portuali. Conseguentemente, nel contesto dell'attività portuale presso il porto di ### il CAP era l'unico soggetto dotato di caratteristiche imprenditoriali, essendo inoltre a piena conoscenza (e responsabile) della movimentazione di ingenti quantità di amianto. A tale soggetto deve conseguentemente essere ricondotta “l'esclusiva incombenza del rispetto della normativa ex art. 2087 c.c. indipendentemente dalla diretta dipendenza dei lavoratori, che eseguono la propria attività in un contesto nel quale una sola è la figura imprenditoriale di preminenza" (Cass., 11 ottobre 2012, n 17334; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17172; Cass., 8 ottobre 2012 n. 17092). “###. 2087 cod. civ., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, obbligandolo a provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori, benché da lui non dipendenti, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire” (Cass., 9 maggio 2017, n. 11311; Cass., 11 ottobre 2012, n 17334; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17172; Cass., 8 ottobre 2012 n. 17092). Poiché la responsabilità del CAP deve essere ricondotta all'art. 2087 c.c., detta responsabilità ha natura contrattuale. Tale conclusione trova conferma nei più recenti approdi di dottrina e giurisprudenza, secondo cui la responsabilità deve essere qualificata come contrattuale (cioè come la responsabilità in cui incorre, ai sensi dell'art. 1218 c.c., "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta"), non soltanto quando l'obbligo di prestazione violato derivi da un contratto, nell'accezione di cui all'art. 1321 c.c., ma anche in ogni caso di inesatto adempimento di obblighi di comportamento, preesistenti alla condotta lesiva, quale che ne sia la fonte. Come chiarito dalle ### della Corte di Cassazione, “è opinione ormai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte. In tale contesto la qualificazione "contrattuale" è stata definita da autorevole dottrina come una sineddoche (quella figura retorica che consiste nell'indicare una parte per il tutto), giustificata dal fatto che questo tipo di responsabilità più frequentemente ricorre in presenza di vincoli contrattuali inadempiuti, ma senza che ciò valga a circoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe altrimenti suggerire. Pur non senza qualche incertezza, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. Così, ad esempio, è stato attribuito carattere contrattuale non soltanto all'obbligazione di risarcimento gravante sull'ente ospedaliero per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico operante nell'ospedale, ma anche all'obbligazione del medico stesso nei confronti del paziente, quantunque non fondata sul contratto ma sul solo contatto sociale, poiché a questo si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi che si manifestano e sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (cfr. Cass. n. 9085 del 2006, Cass. n. 12362 del 2006, Cass. n. 10297 del 2004, Cass. n. 589 del 1999 ed altre conformi); e natura contrattuale è stata riconosciuta anche alla responsabilità del sorvegliante dell'incapace, per i danni che quest'ultimo cagioni a se stesso in conseguenza della violazione degli obblighi di protezione ai quali il sorvegliante è tenuto, sul presupposto che quegli obblighi derivino da un rapporto giuridico contrattuale che tra tali soggetti si instaura per contatto sociale qualificato (cfr. Cass. n. 11245 del 2003). Ne deriva che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti). In quest'ottica deve esser letta anche la disposizione dell'art. 1173 c.c. che classifica le obbligazioni in base alla loro fonte ed espressamente distingue le obbligazioni da contratto (da intendersi nella più ampia accezione sopra indicata) da quelle da fatto illecito...” (Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007 n. 14712). Tali principi possono trovare applicazione anche alla specifica materia lavoristica, nella quale è già stata ricondotta all'ambito della responsabilità ex art. 1218 e ss. c.c. la responsabilità dell'ex datore di lavoro che, successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, fornisca informazioni inesatte all'ex dipendente, così causandogli un pregiudizio alla posizione previdenziale (cfr. Cass., 21 luglio 2011 n. 15992). Anche la responsabilità facente capo a soggetti che, se pur diversi dal datore di lavoro, siano titolari per legge di posizioni di garanzia nei confronti del lavoratore deve dunque ascriversi alla responsabilità ex art. 1218 e ss. c.c., traendo essa origine da inesatto adempimento di obblighi di comportamento preesistenti alla condotta lesiva.
La responsabilità del CAP e quindi di APG (oggi ### di ### del ### Dimostrata la “nocività” dell'attività lavorativa, ai fini dell'affermazione della responsabilità della convenuta, devono richiamarsi i seguenti principi di diritto, ormai del tutto consolidati: - “la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81” (Cass., 5 agosto 2013, n. 18626); - “in materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli artt. 174 e 175 del d.P.R. n. 1124 del 1965 all'art. 21 del d.P.R. n. 303 del 1956, norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini) di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza, comporta che non sia sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. tlv, "threshold limit value") poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte” (Cass., 21 settembre 2016, n. 18503); - “all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro … era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto…. Da tali premesse… derivava l'obbligo del datore di lavoro, evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di adottare misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c. e più specificamente al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce, recependo le indicazioni prevenzionistiche già affermatesi, che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendosi che le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Soccorrono quindi le norme dello stesso D.P.R. n. 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione (Cass., 30 marzo 2015, 6352); - in ogni caso, vale il principio di chiusura per cui, “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, 291). In particolare, quanto alla tesi di parte convenuta per cui non potrebbe ravvisarsi colpa in capo alla convenuta, poiché all'epoca presumibile della contrazione della malattia la pericolosità dell'amianto non sarebbe stata ancora nota ed inoltre sarebbe mancata una normativa specifica in materia di protezione dall'inalazione di amianto, deve rilevarsi che “già il R.D. 14 giugno 1909, n. 442 che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29, tabella B, n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non era assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgs. 6 agosto 1916, n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13 e il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui era consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell' amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530 , tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche. ### canto l'asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del ‘900 e fu inserita tra le malattie professionali con la L. 12 aprile 1943, n. 455 . In epoca più recente, oltre alla ### 12 febbraio 1955, n. 52 , che, all'art. 1, lett. F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 e alle visite previste dal D.P.R. 20 marzo 1956, n. 648 , si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960, n. 1169 ove all'art. 1 si prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dal T.U. n. 1124 del 1965, art. 153 per le lavorazioni di cui all'allegato n. 6, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi. ### canto l'imperizia, nella quale rientra l'ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro. Da quanto esposto discende che all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa degli odierni ricorrenti [n.d.r.: 1956 - 1987] era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto, tanto che l'uso di materiali che ne contengono era sottoposto a particolari cautele, indipendentemente dalla concentrazione di fibre (per fattispecie con periodi temporali di attività lavorativa analoghi …. v. Cass. n. 8204 del 2003; Cass. n. 16645 del 2003; Cass. n. 14010 del 2010; Cass. n. 2491 del 2008; Cass. n. 15156 del 2011; Cass. n. 26590 del 2014; da ultimo Cass. n. 22710 del 2015 che ha ribadito non solo l'irrilevanza della circostanza che il rapporto di lavoro si fosse svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali d'amianto, ma anche che a detta epoca non si sapesse che anche singole fibre d'amianto inalate potessero essere letali). Si imponeva dunque, anche per il periodo per cui è causa, l'adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c. e più specificamente al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce, recependo le indicazioni prevenzionistiche già affermatesi, che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendosi che le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Devono altresì essere tenute presenti altre norme dello stesso D.P.R. n. 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione. ###. 2087 c.c. in generale e il D.P.R. n. 303 del 1956 in particolare imponevano quindi di adottare provvedimenti idonei ad impedire o a ridurre lo sviluppo e la dispersione delle polveri nell'ambiente di lavoro, a prescindere peraltro dall'accertamento di una specifica nocività rispetto a determinate patologie, essendo comunque accertata la nocività della polvere (di qualsiasi sostanza) per l'apparato respiratorio (cfr. Cass. n. 6352 del 2015). Gravava pertanto sulla società datrice di lavoro l'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno attraverso l'adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle suddette norme…” (Cass., 23 agosto 2016, n. 17252). Nella specie parte convenuta non ha dimostrato di aver posto in essere tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.
In particolare, ai sensi dell'art. 21 D.P.R. n. 303/1956 (vigente nel periodo per cui è causa): “Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambito di lavoro, nell'ambiente di lavoro.
Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera. Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad impedirne la dispersione. ### deve essere effettuata, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri. Quando non siano attuabili le misure tecniche di prevenzione indicate nel comma precedente, e la natura del materiale polveroso lo consenta, si deve provvedere all'inumidimento del materiale stesso. Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e la eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse possano rientrare nell'ambiente di lavoro..”. Ai sensi dell'art. 19 del medesimo D.P.R. n. 303/1956: “il datore di lavoro è tenuto ad effettuare ogni qualvolta è possibile in luoghi separati le lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporvi senza necessità i lavoratori addetti ad altre lavorazioni”.
Ai sensi del successivo art. 25, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, i lavoratori devono essere forniti di apparecchi di protezione.
Nella specie, la convenuta non ha dato prova di aver adottato tali prescrizioni, anzi - al contrario - dagli elementi agli atti è risultata positivamente dimostrata la relativa violazione.
Segnatamente, alla luce delle già descritte modalità operative con cui si svolgeva la movimentazione dell'amianto, il CAP risulta aver omesso di predisporre tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore sul luogo di lavoro sotto i seguenti profili: - poiché tutte le operazioni che implicavano l'esposizione ad inalazione di amianto venivano effettuate sostanzialmente senza alcuna precauzione volta ad evitare o ad abbattere l'inalazione di polveri contenti amianto; - poiché la movimentazione dell'amianto veniva effettuata senza utilizzare contenitori sigillati e resistenti agli urti, idonei ad esitare la dispersione di polvere di amianto; - poiché il CAP non adottava misure organizzative per confinare le lavorazioni comportanti produzione di polveri nocive dalle altre attività; - poiché all'interno del porto non veniva esercitata vigilanza sull'effettivo uso dei mezzi individuali di protezione contro le polveri nocive: come è noto, ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 4 lett. c) D.P.R. n. 547/1955, all'epoca vigente, il titolare dell'obbligo di sicurezza è tenuto non soltanto a predisporre le misure necessarie a garantire l'incolumità del lavoratore, ma anche ad esigere che i lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione, con conseguente responsabilità dell'imprenditore per il danno conseguente all'omessa vigilanza sull'utilizzo dei d.p.i.; - poiché il lavoratore non era stato informato della pericolosità delle polveri contenenti fibre di amianto e delle cautele da adottare in presenza di tali polveri. Sostiene la convenuta che, qualunque cautela fosse stata adottata all'epoca dell'esposizione, l'evento si sarebbe ugualmente prodotto, non esistendo in allora idonee ed adeguate misure di prevenzione atte ad impedire l'insorgenza della patologia. Al riguardo deve rilevarsi che il CAP non ha adottato neppure quelle misure minime previste all'epoca per contrastare l'inalazione di polveri di amianto e quindi non ha rispettato l'obbligo di cui all'art. 2087 c.c. assumendosi i rischi di eventuali tecnopatie. Come affermato dalla Corte di Cassazione, “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, n. 291). ### di prescrizione ### è infondata.
I ricorrenti spiegano nel presente giudizio domande di risarcimento del danno sia iure proprio, sia iure hereditatis. I ricorrenti chiedono, iure proprio, il risarcimento del danno non patrimoniale patito dagli stessi ricorrenti a seguito del decesso del padre, nonché, in qualità di eredi della sig.ra ### (madre dei ricorrenti e coniuge del sig. ### a sua volta deceduta in data 15 aprile 2014), il risarcimento del danno patito da quest'ultima a seguito del decesso del marito. I ricorrenti chiedono poi, in qualità di eredi del padre ### il risarcimento del danno non patrimoniale subito da quest'ultimo nel breve periodo intercorrente tra la diagnosi del mesotelioma ed il decesso.
Tanto premesso, deve rilevarsi che - con riferimento a tutti i danni dedotti in giudizio - la prescrizione risulta validamente interrotta con la raccomandata spedita in data 12 marzo 2015, pervenuta a APG il 17 marzo 2015 (doc. 20 parte ricorrente). A tale data non era certamente spirato il termine prescrizionale per il risarcimento del danno sofferto dai congiunti del sig. ### per la morte di quest'ultimo, avvenuta il 17 ottobre 2005. Trova, infatti, applicazione l'art. 2947 co. 3° prima parte c.c., ai cui sensi “in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile”. Ai sensi dell'art. 157 co. 1° e co. 6° c.p., in caso di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro il termine di prescrizione è di 12 anni dalla data del decesso. Per quanto riguarda, poi, il danno patito dal defunto sig. ### nel periodo intercorrente tra la diagnosi del mesotelioma ed il decesso (danno per il quale i ricorrenti agiscono iure hereditatis), il termine prescrizionale deve essere fatto decorrere dalla data della diagnosi del mesotelioma pleurico, diagnosi avvenuta con certezza soltanto in data 22 agosto 2005 e “fortemente sospetta” a partire dalla TC 16 agosto 2005 (così come evidenziato dal CTU nella propria relazione e ancor più nettamente nei chiarimenti resi all'udienza dell'11 maggio 2015). In tale contesto deve concludersi che la prescrizione per il danno iure hereditatis ha iniziato a decorrere soltanto dall'agosto 2005. Infatti, secondo principi giurisprudenziali ormai pacifici, elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione principalmente in riferimento all'art. 112 del TU sugli infortuni sul lavoro, in caso di malattia di professionale la prescrizione inizia a decorrere soltanto quando il lavoratore abbia potuto avere piena consapevolezza sia della malattia, sia sua eziologia professionale (Cass. 2 agosto 2003 n. 11785, Cass. 24 maggio 2000 n. 6828).
Poiché, come già detto, la prima richiesta di pagamento del risarcimento del danno (sia iure proprio sia iure successionis) è stata formulata dai ricorrenti con raccomanda spedita in data 12 marzo 2015, pervenuta a APG il 17 marzo 2015, la prescrizione non risulta certamente maturata.
Il nesso causale tra la nocività dell'attività lavorativa e la patologia contratta dal sig. ### la CTU medico legale, il CTU ha concluso che il sig. ### è deceduto a causa di mesotelioma pleurico: “la diagnosi di mesotelioma pleurico maligno sinistro di tipo epitelioide è abbondantemente circostanziata e può essere ritenuta praticamente certa”. Quanto al nesso causale tra detta patologia e l'attività lavorativa svolta nel porto di ### è pacifico che il sig. ### abbia lavorato settembre 1946 al 29 febbraio 1984 presso la ### operando nel carico/scarico delle merci varie a bordo nave.
Il sig. ### non risulta aver svolto alcun'altra attività lavorativa, né prima né dopo il rapporto di lavoro per cui è causa. ### ha pertanto ritenuto che “circa la possibilità che il mesotelioma sia stato causato o concausato da altri fattori diversi dal lavoro portuale, non sono emerse altre possibili esposizioni ad amianto” e che pertanto “ nel caso in esame appare fortemente probabile che il mesotelioma dal quale il sig. ### è risultato affetto sia stato causato o concausato da inalazione di amianto avvenuta durante le lavorazioni svolte nell'ambito del porto di Genova”. In risposta agli ulteriori quesiti, il CTU ha poi affermato: - che gli accorgimenti di cui all'art. 21 D.P.R. n. 303 del 1956 e/o dei presidi che la tecnica dell'epoca poneva a disposizione avrebbero probabilmente ridotto il rischio di contrarre un mesotelioma, senza annullarlo del tutto; - che sulla base delle conoscenze oggi disponibili, non è possibile dire se, con l'adozione degli accorgimenti di cui all'art. 21 D.P.R. n. 303 del 1956 e/o dei presidi che la tecnica dell'epoca poneva a disposizione, la malattia si sarebbe verificata in epoca significativamente posteriore; - che l'intensità della malattia, una volta iniziato il processo patologico, è indipendente dall'esposizione. All'udienza dell'11 maggio 2017 il ### chiamato a chiarimenti, ha confermato le proprie conclusioni anche valutando l'accertamento del nesso di causalità (in ordine al c.d. giudizio controfattuale) sulla base del criterio del “più probabile che non”, altrimenti detto della probabilità prevalente, cioè tenendo conto dell'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. In tal senso il CTU ha dichiarato che: “gli accorgimenti di cui all'art. 21 D.P.R. 303/1956 e/o i presidi che la tecnica dell'epoca poneva a disposizione avrebbero ridotto la probabilità di contrarre un mesotelioma, senza annullarla del tutto; nessun presidio avrebbe azzerato il rischio, però la probabilità di contrarre mesotelioma è in parte legata all'intensità dell'esposizione”. Le conclusioni del CTU - non contestate da alcuna delle parti - meritano di essere condivise, in quanto fondate su un accurato esame della documentazione in atti e sorrette da corretta ed esauriente motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta. Le conclusioni del CTU devono peraltro essere inquadrate nell'ambito dei principi giuridici che regolano il nesso di causalità. Segnatamente, in assenza di norme civili che specificamente regolino il rapporto di causalità, occorre fare riferimento ai principi generali di cui agli artt. 40 e 41 c.p. In base a tali principi un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo in assenza del secondo non si sarebbe verificato hic et nunc ovvero nei termini di tempo e nelle precise circostanze in cui si è manifestato ( pen. Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 576). La valutazione del nesso di causalità, sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, deve essere compiuta sulla base delle migliori cognizioni scientifiche disponibili. Ove, tuttavia, esse non consentano una assoluta certezza della derivazione causale, la regola di giudizio muta sostanzialmente nel processo penale ed in quello civile, “in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. ###, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l'identità di tali standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso vedansi: Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n. 582.
Cass.16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238). … Il principio ha avuto larga diffusione in tema di prova del nesso causale. Anche la Corte di ### è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (### 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se "appaia sufficientemente probabile" che l'intesa tra compagnie assicurative possa avere un'influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che "occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, ad fine di accogliere quelle maggiormente probabili"). Detto standard di "certezza probabilistica" in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni). Sennonché esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorché vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente.
Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all'interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perché in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all'una o all'altra ipotesi” (Cass., 5 maggio 2009 n. 10285, ex multis). Deve poi aggiungersi che, in ipotesi di imputazione dell'evento di danno a omissione colposa, la riferibilità causale dell'evento alla condotta omissiva postula l'accertamento che l'evento non si sarebbe verificato se l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi. ### del rapporto di causalità ipotetica passa dunque attraverso il giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, al fine di verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato. Anche in questo caso lo standard di "certezza probabilistica" richiesto non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), dovendo, invece, essere verificato - come già detto - sulla base degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Segnatamente, tale metodo baconiano è basato sull' induzione eliminatoria, nel senso che un asserto è considerato tanto più probabile quante più ipotesi alternative ad esso sono state considerate e poi eliminate per falsificazione. Alla stregua dei principi ora riferiti, poiché, come già detto, le norme di prevenzione violate sono molte e non è possibile escludere un'incidenza causale di ciascuna di esse nella riduzione del rischio, sulla base del principio "del più probabile che non" deve ritenersi dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra la condotta omissiva della convenuta e la patologia che ha causato il decesso del sig. ### In ogni caso, come pure già evidenziato, ai sensi dell'art. 2087 c.c., “il dovere del datore di lavoro era di escludere comunque l'esposizione alla sostanza pericolosa, anche se ciò avesse imposto l'adozione di interventi drastici fino alla stessa modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, n. 291).
La quantificazione del danno jure proprio ###à del vincolo familiare che legava i ricorrenti al de cuius, l'accertata convivenza della moglie con la vittima al momento del decesso, l'accertata assistenza prestata dalla famiglia durante la malattia (cfr. cartella clinica ### doc. 9), la mancata deduzione di contrasti e dissapori tra i familiari consentono di presumere - secondo l'id quod plerumque accidit - l'esistenza di un danno non patrimoniale dei congiunti a seguito del decesso del sig. ### La famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost., è, infatti, secondo il comune sentire, luogo privilegiato per l'instaurarsi di peculiari rapporti di affetto, solidarietà, frequentazione e reciproco affidamento. Ai fini della quantificazione del danno, la giurisprudenza di legittimità, in considerazione delle esigenze, di rilievo costituzionale, di perequazione dei risarcimenti nel territorio nazionale e di certezza del diritto, ha indicato quali necessari parametri di riferimento le tabelle milanesi (cfr. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; Cass., 7 novembre 2014, n. 23778; Cass., 13 novembre 2014, n. 24205) . Le tabelle citate indicano quali parametri per la quantificazione del danno non patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto una somma compresa tra un minimo di euro 163.990,00 ed un massimo di euro 327.990,00. Nella specie, considerata l'età avanzata del sig. ### al momento del decesso (80 anni) si reputa equo quantificare il danno in misura non molto distante dal limite minimo e precisamente in euro 200.000,00 quanto alla moglie (convivente e coniugata da molti anni, ma tuttavia anch'ella non più giovane e certamente non più impegnata nella crescita dei figli) ed invece in euro 170.000 quanto a ciascuno dei figli (non conviventi, già adulti al momento della malattia e con vita propria vita ed autonoma al di fuori della famiglia di origine), somme necessariamente quantificate in via equitativa ed equitativamente determinate al valore attuale. Non sussistono motivi per la personalizzazione del danno, non essendo state indicate circostanze che la giustifichino, ulteriori rispetto a quanto già considerato. Sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno jure proprio, spettano gli interessi di legge dalla data della sentenza al saldo. Infatti, “con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l'ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall'eventuale ritardo nell'esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta” (Cass., 14 aprile 2011, n. 8507).
La quantificazione del danno jure hereditario ### all'esito della propria consulenza, ha concluso che, in conseguenza della malattia, sono derivati al sig. ### un periodo di invalidità temporanea totale (ITT - 100%) di 9 giorni ed un periodo di invalidità temporanea parziale (### al 90% di 53 giorni, mentre per la brevità della malattia non è possibile indicare una invalidità permanente. Tali conclusioni - non contestate da alcuna delle parti - meritano di essere condivise, in quanto fondate su un accurato esame della documentazione in atti e sorrette da corretta ed esauriente motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta. Le conclusioni del CTU devono peraltro essere inquadrate nell'ambito dei principi giuridici che regolano la materia. Deve in primo luogo rilevarsi la pacifica trasmissibilità della voce risarcitoria in esame, sulla base del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione dell'integrità psicofisica patita dal danneggiato per quel periodo di tempo, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi iure hereditatis” ( 28 agosto 2007, n. 18163; Cass. 7 giugno 2010, n. 13672; Cass. 19 ottobre 2016, n. 21060, ex multis). Deve per contro escludersi, alla luce della recente pronuncia delle ### della Corte di Cassazione, la risarcibilità del danno da perdita della vita. Infatti, “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo” (Cass., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350). Quanto, poi, alla quantificazione del danno correlabile alla malattia che ha condotto il sig. ### a morte, deve rilevarsi che, laddove la malattia non si risolva in esiti permanenti, ma determini la morte dell'individuo, il danno risarcibile è soltanto quello che la giurisprudenza qualifica come il danno biologico c.d. terminale, costituito sia dalla inabilità temporanea sia - in caso di consapevole attesa della morte - dalla sofferenza psichica, da liquidare tenendo conto della speciale intensità del danno (Cass., 17 ottobre 2016, n. 20922). Poiché l'inabilità temporanea non si tramuta mai in inabilità permanente, cioè in una condizione stabilizzata, il danno può essere commisurato soltanto all'inabilità temporanea.
Tuttavia nella relativa liquidazione - e cioè nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto - si deve tener conto del fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte. Assume dunque rilievo predominante, più che l'intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima, il diverso criterio dell'intensità della sofferenza provata. Poiché il pregiudizio costituito dalla perdita della vita, come detto, non è risarcibile, la somma da liquidare non può essere rapportata all'aspettativa di vita della vittima, bensì al periodo di vita e di sofferenza effettivamente vissuto dal momento della lesione fino a quella del decesso. Da ultimo, poiché in via di principio nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi (i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del danno, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo), per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, sembra equo - in assenza di altri parametri - adottare il criterio di liquidazione predisposto dalle recenti tabelle proposte dall'### sulla ### di ### per la liquidazione del c.d. “danno terminale”. Tali tabelle sono state predisposte tenendo conto dei seguenti principi: - l'unitarietà ed omnicomprensività del concetto di “danno terminale”, che, alla luce dell'insegnamento delle ### nelle sentenze gemelle dell'11 novembre 2008, nn. 26972-3-4-5, ricomprende al suo interno ogni aspetto biologico e sofferenziale connesso alla percezione della morte imminente (e dunque i pregiudizi altrimenti definiti come “danno biologico terminale”, da “lucida agonia” o “morale catastrofale”, nonché il danno biologico temporaneo “ordinario”, da intendersi in esso assorbito); - la durata limitata del danno, derivante dalla stessa definizione del danno come terminale (durata temporanea convenzionalmente stabilita in un periodo massimo di 100 giorni, oltre il quale il danno terminale non può prolungarsi, risultando risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario); - la coscienza del danneggiato, non essendo il danno in re ipsa ed occorrendo quindi la percezione della fine imminente; - l'intensità decrescente, basata sull'esperienza medico legale, secondo la quale il danno tende a decrescere col passare del tempo, dal momento che la massima sofferenza è percepita nel periodo immediatamente successivo all'evento lesivo per poi scemare nella fase successiva (tale criterio verosimilmente non è perfettamente in linea con la gravità ingravescente della patologia che ha condotto a morte il de cuius, ma resta comunque applicabile anche nella presente fattispecie, sia pure con un calcolo a ritroso, ipotizzando la massima sofferenza nei giorni immediatamente precedenti il decesso); - il metodo tabellare, che - pur nella ribadita difficoltà di individuare una “regola” che valga per tutte le variegate fenomenologie di danno terminale - assegna a ciascun giorno di sofferenza, nei limiti del tetto di 100 giorni complessivi, un valore progressivamente - e convenzionalmente - decrescente, sino ad agganciarsi, al 100° giorno, alla valutazione del danno biologico temporaneo ordinario; - la tabella prevede in particolare la liquidazione di un danno terminale massimo, non ulteriormente personalizzabile, fino al tetto di 30.000,00 euro per tre giorni e poi una cifra giornaliera inferiore, decrescente nel tempo (nella presente fattispecie da calcolarsi a ritroso dal giorno del decesso), a partire dal quarto giorno e personalizzabile, in relazione alle circostanze del caso concreto e al particolare sconvolgimento che risulti di volta in volta provato (con una personalizzazione che viene proposta nel limite massimo del 50%). Il valore del 4° giorno è stato individuato in 1.000 euro, mentre la progressiva diminuzione giornaliera è stata calcolata, con i necessari arrotondamenti, in modo tale da giungere, alla fine del periodo, ad un valore (98 euro) pressoché pari a quanto pro die stabilito dalla tabella per il danno biologico temporaneo standard (salva personalizzazione). Applicando i criteri previsti dalla tabella ora citata il danno terminale nella presente fattispecie deve essere quantificato tenendo conto: - che, nella specie, tra il ricovero del 18 agosto 2005 (che ha segnato la prima manifestazione della patologia) e l'exitus del 17 ottobre 2005 sono intercorsi 62 giorni, distinti dal CTU in 9 giorni di invalidità temporanea al 100% e 53 giorni di invalidità temporanea parziale al 90%; - che, trattandosi degli ultimi giorni di vita del sig. ### deve farsi riferimento ai valori previsti dalla tabella del danno biologico terminale del Tribunale di ### (ovvero - in assenza di altri parametri - dalla tabella proposta dall'### sulla ### di ### per la liquidazione del c.d. “danno terminale”); - che il danno degli ultimi 62 giorni di vita del de cuius deve dunque essere quantificato in euro 94.000,00, sulla base del seguente calcolo: euro 30.000,00 (non ulteriormente personalizzabili) + euro 64.000,00 (ovvero 1.000,00 + 991,00 + 981,00 + 972,00 + 962,00 + 953,00 + 944,00 + 934,00 + 925,00 + 915,00 + 906,00 + 897,00 + 887,00 + 878,00 + 868,00 + 859,00 + 850,00 + 840,00 + 831,00 + 821,00 + 812,00 + 803,00 + 793,00 + 784,00 + 774,00 + 765,00 + 756,00 + 746,00 + 737,00 + 727,00 + 718,00 + 709,00 + 699,00 + 690,00 + 680,00 + 671,00 + 662,00 + 652,00 + 643,00 + 633,00 + 624,00 + 615,00 + 605,00 + 596,00 + 586,00 + 577,00 + 568,00 + 558,00 + 549,00 + 539,00 + 530,00 + 521,00 + 511,00 + 502,00 + 492,00 + 483,00 + 474,00 + 464,00 + 455,00 = 42.917,00, aumentati a 64.000,00 con la personalizzazione massima del 50%); - che la massima personalizzazione è giustificata dalla particolarità della patologia (neoplasia di estrema gravità con prognosi infausta e con evoluzione rapidissima), dalla conseguente inevitabile consapevolezza dell'approssimarsi della fine (che il de cuius non poteva ignorare, pur senza conoscere l'esatta diagnosi, atteso l'affidamento alla ### al solo fine della terapia del dolore, come da cartella clinica), dalle condizioni fisiche in cui versava il de cuius nel periodo di riferimento (“Certamente a partire dal ricovero del settembre 2005 la vita del sig. ### è risultata grandemente limitata; dopo la toracentesi in day hospital del 29/09/2005 fu seguito al domicilio dal personale dell'### e sembra non abbia più lasciato il domicilio se non per le successive toracentesi. In questo periodo presentava dolore toracico di intensità variabile in relazione all'efficacia delle terapie palliative instaurate”); - che pertanto il danno jure hereditario deve essere equitativamente quantificato in euro 94.000 (30.000,00 + 64.000,00).
Tale danno viene equitativamente quantificato nell'attualità. Su tale somma spettano poi la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente dalla data del sentenza sino al saldo ai sensi dell'art. 429 c.p.c., norma applicabile anche il risarcimento del danno subito dal lavoratore per la mancata predisposizione, da parte dell'imprenditore, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti, essendo tale danno di origine contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass., 8 aprile 2002, n. 5024; Cass., 18 febbraio 2004, n. 3213; Cass., 1 luglio 2004, n. 12098; Cass., 10 settembre 2010, n. 19348; Cass., 1 luglio 2011, n. 14507). Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo (quanto ai ricorrenti, con distrazione in favore dei procuratori, antistatari). P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione: - dichiara tenuta e pertanto condanna ### di ### del ### (già ### di ###, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore: - a corrispondere ai ricorrenti, pro quota, in qualità di eredi di ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dal de cuius, la somma di euro 94.000,00, oltre interessi e rivalutazione sulla somma annualmente rivalutata dalla data della presente sentenza al saldo; - a corrispondere ai ricorrenti, pro quota, in qualità di eredi di ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto da quest'ultima per la morte del coniuge ### la somma di euro 200.000,00, oltre interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo; - a corrispondere a ciascuno dei ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio sofferto per la morte del padre ### la somma di euro 170.000,00, oltre interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo; - rigetta le domande proposte da ### di ### del ### nei confronti di C.U.L.M.V. ### Coop. a r.l.; - condanna ### di ### del ### a rifondere ai ricorrenti le spese di lite, che liquida in complessivi euro 20.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, rimborso contributo unificato ed accessori di legge, con distrazione in favore degli avv. ### e ### - condanna ### di ### del ### a rifondere a C.U.L.M.V. le spese di lite, che liquida in complessivi euro 13.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; - pone definitivamente a carico di ### di ### del ### le spese di ### - riserva il termine di 60 giorni per il deposito dei motivi della decisione. ### 27 luglio 2017 ### n. 282/2016
causa n. 282/2016 R.G. - Giudice/firmatari: Stuppia Cristina, Scotto Maria Ida