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Tribunale di Palermo, Sentenza n. 3642/2025 del 25-09-2025

... contrastare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura ed il caporalato nei territori di ### di ### e di ### avente ad oggetto una pluralità di servizi di assistenza da espletare, nei detti ### in favore dei lavoratori stagionali stranieri impiegati nel settore agricolo (segnatamente di informazione sui loro diritti di lavoratori, assistenza medico sanitaria, assistenza legale, mediazione linguistica, tutoraggio) tra i quali il trasporto dal luogo di loro momentaneo insediamento verso le aziende, ove prestavano lavoro come braccianti agricoli, e viceversa; ii) che per svolgere il servizio di trasporto di cui sopra l'### avente quale capofila la #### aveva la necessità di reperire furgoni e conducenti, con decorrenza dal 18.10.2021 sino al 18.12.2021, sicchè, non ritenendo conveniente e di facile soluzione provvedere in via diretta impiegando proprie risorse e lavoratori, decideva di rivolgersi alla ### coop. soc., di comprovata esperienza in tale tipo di servizio di trasporto, ed in possesso di una propria rimessa vicino ai luoghi oggetto del servizio, ove custodire i furgoni, e pertanto facilitata a reperire autisti disponibili ad operare nel territorio di ### di ### e ### iii) che, in qualità di (leggi tutto)...

testo integrale

TRIBUNALE DI PALERMO SEZIONE III CIVILE VERBALE DI UDIENZA Il giorno 25 settembre 2025, innanzi al Giudice dott.ssa ### viene chiamata la causa R.G. n. 1709 dell'anno 2023. 
Sono presenti: l'Avv. ### anche in sostituzione dell'Avv.  ### per ####; l'Aavv. ### in sostituzione dell'avv. #### per #### procuratori delle parti si riportano ai rispettivi scritti difensivi ed il particolare alle note conclusive autorizzate. 
Il Giudice Spedisce la causa in decisione e si ritira in camera di consiglio.   All'esito, pronuncia sentenza mediante lettura del dispositivo e delle ragioni della decisione, in assenza dei procuratori delle parti, nelle more allontanatisi.  ### IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PALERMO SEZIONE TERZA CIVILE ### dott.ssa ### ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n. 1709 del ruolo generale affari contenziosi civili dell'anno 2023 ###' ### in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. ### (###) e dall'avv. ### (###) giusta procura allegata al fascicolo informatico ###### (###) in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. ### S. ### (###) e dall'avv.  ### (###) giusta procura allegata al fascicolo del procedimento monitorio R.G.  1572572022 OPPOSTA avente ad oggetto: ### a D.I.  RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, ritualmente notificato in data ###, la ### a.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 5402/2022 emesso il ###, notificatole il ###, con il quale il Tribunale di Palermo, in accoglimento della domanda monitoria proposta dalla #### le aveva ingiunto il pagamento della somma di € 28.853,00, oltre interessi e spese, a titolo di saldo non corrisposto delle fatture nn. 1,2,3 del 6.5.2022 rispettivamente di € 33.306,00, di € 17.080,00 e di € 3.660,00, emesse dalla ricorrente e rimaste parzialmente insolute, a fronte del versamento di acconti rispettivamente di € 16.653,00 (in data ###), e di € 8.540,00 (in data 28.9. 2022). 
Senza contestare la sussistenza del rapporto di noleggio veicoli con autista posto dalla ### coop. soc. a fondamento delle fatture prodotte con il ricorso monitorio, la società ### a.r.l. (d'ora in poi #### ha eccepito l'inidoneità della documentazione prodotta dalla ### coop. soc. a prova del credito vantato a titolo di corrispettivo del noleggio suddetto, eccependo nel merito il parziale inadempimento della società opposta alle obbligazioni di cui ha chiesto l'integrale corrispettivo; ed eccependo altresì di non avere mai pattuito, con gli accordi verbalmente intercorsi tra le parti, l'ulteriore prestazione di custodia dei veicoli noleggiati, oggetto della fattura n. 2 allegata dalla ### coop.  soc.   ### ha particolare allegato: i) si essere assegnataria, con la cooperativa ### con la quale è costituita in ### dell'appalto di servizi integrati (lotto 1del relativo bando) del progetto ### bandito dalla ### volto a contrastare lo sfruttamento lavorativo in agricoltura ed il caporalato nei territori di ### di ### e di ### avente ad oggetto una pluralità di servizi di assistenza da espletare, nei detti ### in favore dei lavoratori stagionali stranieri impiegati nel settore agricolo (segnatamente di informazione sui loro diritti di lavoratori, assistenza medico sanitaria, assistenza legale, mediazione linguistica, tutoraggio) tra i quali il trasporto dal luogo di loro momentaneo insediamento verso le aziende, ove prestavano lavoro come braccianti agricoli, e viceversa; ii) che per svolgere il servizio di trasporto di cui sopra l'### avente quale capofila la #### aveva la necessità di reperire furgoni e conducenti, con decorrenza dal 18.10.2021 sino al 18.12.2021, sicchè, non ritenendo conveniente e di facile soluzione provvedere in via diretta impiegando proprie risorse e lavoratori, decideva di rivolgersi alla ### coop. soc., di comprovata esperienza in tale tipo di servizio di trasporto, ed in possesso di una propria rimessa vicino ai luoghi oggetto del servizio, ove custodire i furgoni, e pertanto facilitata a reperire autisti disponibili ad operare nel territorio di ### di ### e ### iii) che, in qualità di capofila della predetta ### la società cooperativa ### aveva raggiunto verbalmente, quindi senza la sottoscrizione di alcun contratto, degli accordi con l. ### coop. soc., per il noleggio di n. 7 furgoni e n. 7 autisti; iv) che tuttavia, nonostante i primi pagamenti eseguiti dall'opponente in buona fede, la società opposta si era sin da subito sottratta all'adempimento delle prestazioni convenute, rappresentando l'impossibilità di iniziare il servizio di trasporto a far data dal 18.10.2021; iv) che per far fronte all'inadempimento della cooperativa sociale ### la società opponente era stata costretta a reperire altrimenti i mezzi necessari al servizio di trasporto dei lavoratori ed i relativi autisti, in parte impiegando risorse già a propria disposizione o della propria consorziata, società ### (assegnataria del lotto 4), in parte concludendo in forma orale contratti di noleggio con società terze, con conseguenti maggiori esborsi; v) che in particolare: - dal 18.10.2021 al 7.11.2021, il servizio di trasporto dei lavoratori stagionali era stato svolto mediante il noleggio di n. 2 furgoni (### ducato ### targa ### e ### targa ### dalla #### avente sede ###C/da ### snc.; e mediante l'impiego di ulteriori due veicoli (### ed il van ### reperiti dalla società coop. ### in forza di accordo verbale con le società noleggiatrici ### e ### - infine, per tutto il periodo dal 18 ottobre al 18 dicembre la ### aveva messo a disposizione 3 autisti, mentre la ### aveva dovuto impiegare un proprio autista: vi) che l'importo di euro 3.660,00 comprensivo di IVA preteso in forza della fattura n. 3 del 06.05.2022, quale corrispettivo del servizio di custodia dei mezzi noleggiati per n. 60 giorni, non era stato pattuito tra le parti né offerto dietro compenso, atteso che la #### disponeva di proprie autorimesse; vii) che il corrispettivo delle prestazioni preteso dalla opposta in forza delle fatture prodotte a fondamento del decreto ingiuntivo, pari ad euro 54.046,00, era stato in buona fede parzialmente corrisposto dalla #### per un importo pari ad euro 25.193,00, a seguito di interlocuzioni nel corso delle quali la società cooperativa ### si era impegnata alla successiva quantificazione delle eventuali ulteriori somme ancora vantate, previa esibizione della documentazione contrattuale e i contratti di lavoro degli autisti asseritamente impiegati, a dimostrazione del servizio effettivamente svolto, documentazione tuttavia mai trasmessa. 
Ritenendo dunque satisfattivi, a fronte delle difese spiegate, i pagamenti effettuati, l'attrice ha chiesto e la revoca del decreto emesso per le maggiori somme pretese dalla ### coop. sociale. 
In via subordinata, ha chiesto la riduzione della somma pretesa dalla società opposta nei limiti delle prestazioni effettivamente eseguite, e provate dall'opposta, non remunerate dalle somme già corrisposte (in ragione di euro 25.193,00), comunque in misura non superiore ad ulteriori euro 8.771,80 iva inclusa, secondo i calcoli specificamente indicati in atto di citazione (26.644,80 euro per noleggio furgoni + 7.320,00 per il servizio autisti = 33.964,8 euro - 25.193,00 euro già pagati dalla ### la ### = 8.771,80). 
In ogni caso, la #### ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto al risarcimento del danno relativamente ai costi sostenuti per approntare il servizio di trasporto dei migranti a fronte del parziale inadempimento della società ### coop. soc., con conseguente accertamento dell'estinzione, per compensazione, del credito eventualmente riconosciuto in favore della parte opposta. 
Regolarmente instaurato il contraddittorio, si è tempestivamente costituita in giudizio la ### coop. soc. chiedendo il rigetto di ogni motivo di opposizione sollevato ex adverso, contestando la fondatezza delle allegazioni in fatto ed in diritto rassegnate da parte attrice. Ha allegato che: i) diversamente da quanto ex adverso affermato, in data ### era stato stipulato che fra le parti un contratto di forma scritta, con il quale la stessa si era impegnata a fornire alla ### n. 7 furgoni e n.7 autisti, ed a farsi carico della custodia di complessivi n. 10 veicoli dal 18.10.2021 al 18.12.2021; ii) di avere integralmente adempiuto, per tutto il periodo concordato dal 18.10.2021 al 18.12.2021, alle obbligazioni assunte. 
Ha altresì rappresentato che, successivamente alla notificazione del decreto ingiuntivo opposto, la #### aveva effettuato ulteriori n. 2 ulteriori bonifici, di importo rispettivamente di € 7.000,00 e di € 2.500,00, così riducendo l'importo di quanto dovuto a titolo di saldo del corrispettivo delle prestazioni di cui sopra, ad € 19.353,00. 
Concessi i termini di cui all'art. 183 comma 6 cpc, la causa è stata istruita documentalmente e mediante l'assunzione delle prove orali. Indi, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti è stata spedita in decisione ai snesi dell'art. 281 sexies c.p.c. all'odierna udienza.  *°*°* Ai fini della decisione occorre premettere che, com'è noto, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo introduce una fase di cognizione piena successiva alla fase sommaria monitoria, senza che ciò determini alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti, nel senso che il creditore mantiene la posizione sostanziale di attore, mentre all'opponente compete la posizione tipica del convenuto; e ciò esplica i suoi effetti innanzitutto sul piano della ripartizione dell'onere probatorio, che incombe sempre “ei qui dicit”. 
In accordo con i principi giurisprudenziali ormai consolidati (ex multis SU 13533/01; sez. 3 826/25; sez. 2 ord 13685/19), al creditore - opposto, che deduce l'inadempimento del debitore, spetta provare il fatto costitutivo del credito, ossia l'esistenza del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, mentre il debitore - opponente dovrà allegare e dimostrare il fatto estintivo dell'obbligazione o di parte di essa. 
In particolare, nell'esercizio della funzione nomofilattica assegnatele dall'ordinamento le ### della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio di diritto: “In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. 
Trattandosi nel caso di specie, di contratto a prestazioni corrispettive, ed avendo la società debitrice eccepito, ai sensi dell'art. 1460 c.c., l'inesatto adempimento da parte della società opponente, e segnatamente la mancata esecuzione delle prestazioni convenute dal 18 ottobre al 7 novembre 2021, grava sulla cooperativa sociale ### l'onere di provare altresì l'esatto ed integrale adempimento alle prestazioni dalla stessa assunte pattiziamente e di cui chiede il corrispettivo.  *°*°* Alla stregua dei principi sopra compendiati, alla luce delle circostanze non contestate tra le parti e delle risultanze dell'istruttoria condotta nel presente giudizio, l'opposizione è infondata per le ragioni indicate di seguito. 
Risulta innanzitutto documentalmente che, con contratto perfezionatosi in forma scritta, giusta scrittura privata del 12.10.2021, prodotta dalla ### coop. soc., e non disconosciuta da parte opponente, la ### si era impegnata a fornire per il periodo 18.10.2021 - 18.12.2021, n. 7 furgoni, con conducente (si veda art. 2 della scrittura privata sottoscritta dalle parti) per un corrispettivo pattuito in € 27.300,00 oltre IVA per il “noleggio dei beni” (art. 8 della citata scrittura privata) nonché un corrispettivo di € 3.000,00 oltre IVA per il parcheggio e la custodia dei mezzi (art. 8 scrittura privata).   Risulta altresì che in premessa, le parti hanno evidenziato la strumentalità delle prestazioni convenute all'espletamento da parte della noleggiatrice, del servizio “di trasporto collettivo per supportare la mobilità connessa al lavoro spezzando le logiche di reclutamento del caporalato. Lotto 1 Palermo e ### del progetto ###Eme” La scrittura privata, non disconosciuta da parte opponente, comprova innanzitutto la sussistenza di un valido titolo contrattuale sia con riguardo al corrispettivo delle prestazioni non contestate da parte attrice (noleggio di n. 7 furgoni, specificamente indicati) sia in relazione al corrispettivo della custodia dei veicoli (diversamente da quanto affermato da parte attrice). 
Trovano pertanto integrale fondamento nel titolo prodotto in giudizio, perché esattamente previste e corrispettive di prestazioni al pari ivi compiutamente descritte, le pretese creditorie di parte opposta portate dalle fatture - n. 1 di importo complessivo pari ad euro 33.306,00 (di cui euro 27.300,00 a titolo di corrispettivo ed euro 6006,00 a titolo di ### recante come causale il corrispettivo della prestazione relativa al noleggio di n. 7 furgoni dal 18 ottobre al 18 dicembre 2021 del tutto corrispondente a quella decritta dal contratto sottoscritto dalle parti, ed espressamente comprensiva della messa a disposizione di un corrispondente numero di autisti; - la fattura n. 3 si importo complessivo pari ad euro 3.660 (di cui euro 660,00 a titolo di ### recante come causale “custodia veicoli” dal 18.10.2021 al 18.12.2021. 
A fronte dell'eccezione di parziale inadempimento, sollevata da parte opponente, ex art. 1460 c.c., la ### coop. soc., ha altresì assolto all'onere della prova sulla stessa gravante di avere adempimento alle obbligazioni assunte in forza del contratto, come sopra descritte, peraltro secondo le specifiche modalità strumentali al servizio (che la noleggiatrice si è aggiudicata) di cui al lotto 1 progetto ### richiamato in contratto, modalità descritte dalla documentazione prodotta dalla ### coop. soc.  (non contestata da parte attrice), segnatamente consistenti nel trasporto dei lavoratori stagionali dalle loro residenze momentanee presso i luoghi di lavoro, e viceversa, con partenza alle ore 6 presso l'oleificio “### d'Oro” in contrada ### a ### di ### con ritorno previsto alle ore 17, con la possibilità di fermate presso l'ex cementificio e l'ex ### siti a ### Che il noleggio con autista convenuto sia stato reso per il periodo di cui al contratto, secondo le modalità stabilite nel progetto citato, trova innanzitutto riscontro nella deposizione dal teste ### all'epoca dipendente della #### con il ruolo di coordinatore in relazione proprio alla realizzazione del progetto ### il quale ha preliminarmente riferito che il progetto finanziato dalla ### con fondi europei al fine disincentivare il caporalato, prevedeva tra i servizi da effettuare in favore dei migranti che svolgevano attività lavorativa nel territorio di ### e ### di ### (specialmente durante il periodo della raccolta delle olive) anche il trasporto dagli insediamenti informali/accampamenti (un ex ### d'Oro e un ex cementificio) presso i quali gli stessi lavoratori solevano risiedere, verso i terreni presso i quali prestavano lavoro come braccianti e al ritorno, il percorso inverso, al termine dell'orario di lavoro; precisando che il progetto era più ampio e prevedeva anche servizi di consulenza, e di supporto negli adempimenti burocratici. 
In ordine all'effettivo impiego dei veicoli e degli autisti forniti dalla ### soc. coop. soc. per l'esecuzione di detto servizio per tutto il periodo indicato in contratto (dal 18.10.2021 al 18.10.2021) ha confermando espressamente: “mi consta personalmente che il servizio fu svolto per l'intero periodo con i veicoli messi a disposizione da ### (…) ### metteva a disposizione anche gli autisti per i furgoni da essa forniti, i quali avevano un orario di lavoro “spezzato”, perché poi tornavano sul posto il pomeriggio per riprendere i lavoratori presso le aziende datrici di lavoro. Aggiungo che la scelta della coop.  ### era avvenuta in ragione anche della sua conoscenza del territorio, quindi era funzionale al progetto”; specificando: “### che esista al riguardo un contratto di noleggio regolarmente sottoscritto. In quel periodo, nella veste di coordinatore e con un ruolo di responsabilità, settimanalmente (anche due volte la settimana) mi recavo sul posto, anche perché talvolta occorreva risolvere alcuni aspetti logistici. Mi recavo sia presso gli insediamenti informali sia presso la struttura messa a disposizione da ### che fungeva da parcheggio per i veicoli. il bando prevedeva che i veicoli fossero dei Van da 9 posti e quindi abbiamo messo a disposizione questo tipo di veicoli. Non occorreva che i mezzi fossero di proprietà della ### era soltanto necessario che si utilizzasse questa tipologia per il trasporto. Non sono in grado di ricordare l'indirizzo dell'area di parcheggio messa a disposizione da ### posso dire che si trovava a ### in una strada ampia e che in questa area c'era un edificio con un ampio piazzale alberato antistante.”. Il testimone ha altresì precisato: “Se non si fossero utilizzati quei veicoli il servizio non avrebbe potuto essere svolto. Per quanto mi risulta quanto previsto dal contratto fu effettivamente reso da ### i furgoni erano sempre disponibili ed erano custodi nel piazzale di cui ho parlato, che era recintato (un muretto in cemento sormontato da ringhiera metallica di colore verde, se mal non ricordo) e chiuso da un cancello, cui si accedeva da una stradina laterale. 
Non mi recavo sul posto in orario notturno ma posso dire che, per quanto a mia conoscenza, non sono mai sorte contestazioni sullo svolgimento del servizio”. 
Il testimone di parte opposta, particolarmente affidabile sia sotto il profilo soggettivo poiché dipendente della #### sia dal punto di vista oggettivo in considerazione dell'incarico svolto e del carattere circostanziato ed al tempo stesso genuino dei fatti riferiti, ha dunque confermato la fornitura di n. 7 veicoli e altrettanti autisti da parte della ### soc. coop. soc.  effettivamente utilizzati dalla #### per il servizio di cui al lotto n. 1 del Su.PR.Eme. per tutto il periodo dal 18 ottobre al 18 dicembre 2021, confermando altresì la custodia dei veicoli in un'area parcheggio nella disponibilità di quest'ultima per il medesimo periodo. 
Le circostanze descritte dal teste ### sono convergenti e trovano conferma nelle deposizioni dagli ulteriori testimoni di parte opposta.   Il teste ### dipendente della ### coop.  soc.fino al 31.12.2022, ha riferito: “### mansioni di autista ed ero anche presente quando è stato firmato il contratto che prevedeva che ### mettesse a disposizione della coop ### 7 pullman con i relativi autisti per il trasporto dei lavoratori agricoli muniti di regolare contratto di lavoro con le aziende del territorio. il servizio fu regolarmente svolto dalla metà di ottobre 2021 alla metà di dicembre 2021. Al mattino prendevamo i lavoratori in ### d'Oro a ### o al cementificio - si trattava di insediamenti dove risiedevano questi lavoratori extracomunitari - e li portavamo presso le aziende; il pomeriggio li riprendevamo presso i luoghi di lavoro e li trasportavamo ai due insediamenti di cui ho parlato. ### aveva (e ha tuttora) un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati in via ### a ### davanti l'edificio c'è un ampio piazzale recintato e chiuso da un cancello e i pullman venivano custoditi lì. Di questi sette furgoni due erano di proprietà di ### gli altri erano stati presi in affitto sempre dalla ### in effetti, la ### aveva portato a ### presso la sede ###via ### tre furgoni, ma di questi uno serviva a loro e non ci avevano dato le chiavi, gli altri due non li utilizzavamo comunque e quindi dopo una decina di giorni circa la ### fenice venne a riprenderseli per utilizzarli a ### Quindi noi abbiamo svolto il servizio soltanto con i pullman messi a disposizione da ### Dea”. 
Infine, anche ### parimenti dipendente della ### coop. soc.  nel medesimo periodo di interesse ha riferito che in via ### presso la sede operativa della ### si trovava un piazzale recintato dove erano custoditi i pullmini della cooperativa, ed ha confermato di avere svolto le mansioni di autista, nel periodo da metà ottobre circa a metà dicembre, per il trasporto di lavoratori stranieri presso le aziende agricole presso cui erano impiegati e viceversa a conclusione dell'orario di lavoro verso le residenze, precisando che la ### disponeva di sette pullmini messi anche a disposizione da un ### e li utilizzava per il servizio di trasporto suddetto dei lavoratori da ### (cfr: “partivamo da ### all'incirca alle 6 del mattino, andavamo a prendere i lavoratori all'oleificio di contrada #### o al cementificio sempre a ### e li portavamo presso le aziende agricole, e ritornavamo a ### Poi il pomeriggio ripartivamo alle 16 per recuperare i lavoratori e riportarli presso i due insediamenti”). 
Anch'egli ha confermato, poi, che la cooperativa ### aveva parcheggiato un proprio pullmino all'interno del piazzale, ma non era stato utilizzato anche perché era chiuso a chiave “anzi restringeva lo spazio esterno utilizzato dai ragazzi ospiti del centro accoglienza. avevamo svolto quel servizio anche l'anno precedente, con le stesse modalità. Ricordo che era l'anno 2020 perché c'era stato il covid. Il piazzale è chiuso dal cancello, per entrare bisogna bussare e farsi aprire. I pulmini erano custoditi lì dentro”. 
Ha inoltre riferito: “escludo che il servizio fosse svolto da autisti di altre cooperative, eravamo solo noi. Nel periodo in cui ho svolto le mansioni di autista avevo un regolare contratto, per la prestazione da effettuare. Ricordo che, dopo aver effettuato la prima tratta giornaliera, compilavamo dei fogli indicando i lavoratori che avevamo trasportato, l'orario del servizio e firmavamo. Poi andavo via e tornavo per la tratta pomeridiana. Non ero adibito ad altre mansioni”. 
Le convergenti deposizioni dei testi #### e ### sono apparse circostanziate e genuine, come tali idonee a riscontrare l'avvenuta esecuzione, per tutto il periodo compreso tra il 18 ottobre 2021 al 18 dicembre 2021, della prestazione assunta dalla ### soc. coop. in forza del contratto stipulato tra le parti, consistente nella consegna di 7 furgoni con autista, effettivamente impiegati dalla noleggiatrice per l'esecuzione del progetto ### oltre alla custodia dei veicoli per il medesimo periodo. 
Le risultanze sopra compendiate non sono confutate dalla documentazione prodotta da parte attrice, concernente: - la lettera di incarico del proprio dipendente ### all'espletamento delle attività progettuali previste per il lotto n. 1 del progetto ### (come detto comprensivo di una pluralità di servizi di assistenza ai migranti impiegati nel settore agricolo), peraltro in qualità di operatore sociale; né tantomeno dalle comunicazioni alla ### da parte della consorziata società cooperativa ### dell'avvenuta assunzione, nell'ambito del medesimo progetto, con mansioni di autisti dei sigg.ri #### e ### tutti sentiti come testimoni; al pari della documentazione concernente il noleggio di altri furgoni. 
Invero, l'eventuale impiego nello stesso periodo (dal 18 ottobre al 18 dicembre 2021) di autisti già assunti presso una delle società facenti parti dell'### come di mezzi nella propria disponibilità, per l'attuazione del progetto ### non costituiscono di per sé indice del loro impiego per sopperire alla mancata esecuzione in una porzione di tale arco temporale (secondo la prospettazione di parte attrice) delle prestazioni oggetto del contratto di noleggio per cui è causa, e ciò tenuto conto: - della pluralità dei servizi oggetto del progetto più volte citato; - del difetto di indicazione del numero complessivo dei migranti beneficiari del servizio di trasporto verso dalle aziende agricole presso cui erano impiegati, e viceversa; - della circostanza che il servizio di trasporto suddetto non è stato oggetto di subappalto in favore della ### coop.  soc., che dunque non si è fatta carico di realizzarlo integralmente in luogo della #### Per tutti questi motivi, da sola considerato la prova dell'avvenuto impiego di lavoratori e risorse di pertinenza dell'ATI per l'esecuzione, tanto del complessivo progetto oggetto di aggiudicazione, quanto al servizio di trasporto dei migranti presso i luoghi di lavoro, sono circostanze neutre rispetto all'integrale esecuzione delle prestazioni assunte da parte della ### coop. soc. 
Parimenti non hanno scalfito le risultanze emerse dalle deposizioni dei testimoni di cui sopra, le circostanze riferite dai testi, indicati da parte opponente - sopra menzionati - #### e ### sia perché talvolta non concordanti tra loro, sia in ragione del contenuto intrinseco delle loro deposizioni, avendo costoro affermato rispettivamente: - di avere svolto servizio di autista nell'ambito del citato progetto ### per l'accompagnamento dei migranti, non già sui luoghi di lavoro bensì in vista della fruizione di altri servizi di assistenza forniti nell'ambito del progetto (###; - di avere effettuato il servizio di trasporto dei migranti sui luoghi di lavoro in via del tutto saltuaria, solo 5/6 volte (###; - di avere svolto il servizio di accompagnamento dei migranti presso le aziende agricole ove erano impiegati in favore di soli due migranti residenti a ### (###. 
Pertanto, nessuno di costoro ha riferito circostanze incompatibili con l'avvenuta fornitura da parte dell'opposta, e l'impiego effettivo da parte della opponente, di n. 7 veicoli e n. 7 autisti per tutto il periodo dal 18 ottobre al 18 ottobre 2021, per lo specifico servizio di trasporto dei migranti da ### di ### In particolare, ### dipendente della cooperativa ### ha riferito: “### da ### intorno alle 6 del mattino portando con me un avvocato, interpreti, volontari sempre della #### e mi recavo a ### del ### con un furgone della ### Ci recavamo in un posto dove risiedevano dei migranti, stavamo lì 5-6 ore e prestavamo loro dei servizi, li accompagnavamo in ospedale se avevano bisogno di cure, c'erano anche degli avvocati, mediatori culturali. ### anche forze dell'Ordine, fornivamo loro mascherine, disinfettanti. Stavamo lì ad aiutare per quello che poteva loro servire. Non è capitato che io li portassi presso luoghi di lavoro”, così dichiarando di non essersi occupato dall'accompagnamento di costoro presso i luoghi di lavoro con partenza alle ore 6 presso l'oleificio “### d'Oro” in contrada ### a ### di ### con ritorno previsto alle ore 17, con la possibilità di fermate presso l'ex cementificio e l'ex ### siti a ### Il testimone ha precisato che: “A fare questo servizio eravamo io, ### e un'altra persona di cui non ricordo il nome. 
Mi è capitato di vedere la persona che è uscita prima dall'aula di udienza ma non conosco il nome. Mi sembra che qualche volta sia venuto lì a ### del ### ma non so che mansioni avesse” Il teste cui si riferisce il ### sentito immediatamente prima alla medesima udienza, è invero ### il quale, premesso di avere svolto mansioni di autista nell'ambito del ### dal 18.10.2021 al 18.12.2021, ha dichiarato di avere svolto il servizio di trasporto dei migranti verso e dai luoghi di lavoro, quale supplente solo 5 o 6 volte. Ha raccontato, che in queste occasione partiva da ### intorno alle 7-7,30, per recarsi a ### - o forse ### per poi far salire dei ragazzi davanti un bar all'ingresso di ### e portarli dove c'erano delle tensostrutture e dove i ragazzi andavano a lavorare, riportandoli poi a ### In contrasto con la deposizione del teste ### che ha affermato di avere svolto servizi diversi dall'accompagnamento dei migranti sul luogo di lavoro, ha dichiarato: “### che svolgevano il servizio ogni giorno erano #### e un altro di nome ### (…) Il servizio veniva svolto soltanto da queste tre persone.   Noi avevamo 6 furgoni, tre ### un ### e due ### a noleggio. 
Questi ultimi due sono stati utilizzati soltanto per un periodo. Sapevo che c'era un'altra cooperativa coinvolta nel servizio, ma aveva solo uno o due furgoni. 
Questa circostanza l'ho appresa dai colleghi che ho prima indicato”. 
Infine, ### precisato di essere stata dipendente della ### nel periodo in cui si è svolto il progetto da ottobre a metà dicembre 2021, ha dichiarato: “avevo mansioni di autista, prendevo due extracomunitari al bar ### a ### e li portavo a ### presso una campagna che produceva olive. Poi stavo alcune ore ad aspettare che finissero il turno di lavoro fermandomi in un bar e li andavo a riprendere per riportarli a ### Guidavo un furgone che metteva a disposizione la #### Nel posto in cui portavo questi due lavoratori si riunivano altre persone “di colore”, sempre per lavorare”, così confermando di avere effettuato il servizio di accompagnamento dei lavoratori stranieri presso le aziende agricole, limitatamente a soli due lavoratori residenti a ### e dunque un'attività affatto configurabile come sostitutiva di quello oggetto del contratto per cui è causa. 
Conclusivamente, per tutte le ragioni sopra compendiate, all'esito dell'istruttoria, contrariamente a quanto asserito dall'opponente, è risultato provato che le obbligazioni assunte contrattualmente dalla ### coop.  soc. aventi ad oggetto il noleggio di 7 furgoni con autista, comprensivo del servizio di custodia, sono state eseguite dalla ### coop. soc. per l'intero periodo ricompreso tra il ### e il ###.  *°*° In assenza dell'allegato parziale inadempimento, e tenuto delle considerazioni sopra svolte, è rimasta altresì sfornita di prova la domanda risarcitoria proposta da parte opponente, al pari della sottesa eccezione di compensazione con le pretese creditorie avversarie, fondata sui maggiori esborsi (affatto determinati) asseritamente sostenuti per l'utilizzo di propri furgoni, con l'ausilio di autisti messi a disposizione anche dalla ### per far fronte alla mancata esecuzione da parte della ### coop. soc. delle obbligazioni dalla stessa contrattualmente assunte.  *°*°* Ciò posto, con riguardo alla fattura n. 2 di importo pari ad euro 14.000,00 oltre IVA, (per complessivi euro 17.080,00) emessa il ###, con causale il corrispettivo dell'impiego di n. 7 autisti per 60 giorni, al prezzo unitario di euro 1000,00 al mese per ciascun autista, sebbene il detto corrispettivo non sia previsto dal contratto stipulato in forma scritta dalle parti, in ordine alla fondatezza della pretesa di parte opposta si evidenzia: - che sebbene il contratto stipulato dalle parti il ### faccia riferimento all'art. 2 al noleggio di 7 veicoli con conducente, il successivo art. 8, prevede espressamente il compenso relativo ai soli “beni noleggiati” e non al servizio complessivo; - con le difese tempestivamente proposte, parte opponente ha espressamente ammesso la sussistenza di accordi verbalmente raggiunti tra le parti anche rispetto alla presente vicenda negoziale; - nelle medesime difese tempestivamente spiegate in giudizio, parte opponente non ha contestato l'infondatezza della pretesa portata dalla suddetta fattura a titolo di separato compenso per gli autisti forniti dalla ### coop. soc., e ciò neanche con la memoria depositata ai sensi dell'art. 183 comma VI n. 1 successivamente alla produzione in giudizio del contratto stipulato dalle parti, allegato alla comparsa di costituzione in giudizio della ### coop. soc.; - che, viceversa, nel computo degli importi già corrisposti, e di quelli oggetto della domanda formulata in via gradata, intesa alla riduzione della pretesa avversaria, l'opponente ha espressamente considerato la misura unitaria del corrispettivo preteso dall'opposta per l'impiego di n. 7 autisti senza mai contestare il difetto di fondamento negoziale della pretesa portata dalla fattura n. 2 di parte attrice. 
In particolare, con i propri scritti difensivi, tempestivamente depositati, parte attrice si è limitata ad eccepire esclusivamente, ai sensi dell'art. 1460 c.c., l'inadempimento parziale di fatto dal 18.10.2011 al 7.11.2021 dell'### coop. soc., senza punto contestare la determinatezza del corrispettivo richiestole con le fatture emessa compresa la n. 2 in esame, e la sua corrispondenza ad accordi intercorsi tra le parti. 
La difese tempestivamente spiegate da parte attrice non consentono di individuare alcuna specifica contestazione sul compenso unitario per autista, richiesto dall'opposta con la fattura n. 2, ed anzi detto costo unitario viene utilizzato dalla stessa opponente come base del compenso massimo ritenuto riconoscibile alla controparte in relazione alle prestazione effettivamente rese all'opposta, indicato come complessivamente pari ad euro 33.964,8 sulla base dei seguenti calcoli comprensivi del detto costo unitario: “26.644,80 euro per noleggio furgoni + 7.320,00 per il servizio autisti = 33.964,8 euro” (si veda atto di citazione). 
Non è privo di rilievo poi il fatto che in aggiunta alle somme già corrisposte pari ad euro 25.193,00, dopo l'introduzione del giudizio l'opponente ha vieppiù effettivamente provveduto ad eseguire, in favore dell'opposta, ulteriori due bonifici per l'importo rispettivamente di € 7.000,00 e di € 2.500,00. 
Nel caso di specie, pertanto, in considerazione: - del tenore del contratto sopra descritto (artt. 2 ed 8); - della ammessa esistenza di accordi verbali tra le parti; - della non contestata esistenza di accordi in ordine al separato corrispettivo dovuto per il servizio di autista; e tenuto conto altresì dei rapporti pregressi tra le parti affermati dalla stessa opponente, che ha dichiarato di essersi rivolta alla ### proprio in considerazione dell'esperienza della stessa nel medesimo settore; appare verosimile, ai sensi dell'art. 2723 c.c., che le parti abbiano integrato verbalmente l'accordo raggiunto in forma scritta, in relazione al compenso dovuto per il servizio di fornitura degli autisti. 
È dunque irrilevante che tardivamente, soltanto con le proprie memorie conclusive, deputate esclusivamente all'illustrazione delle difese già compiutamente svolte dalle parti nei termini all'uopo previsti dal codice di rito, in contrasto con l'affermazione dell'esistenza di accordi verbali tra le parti, e con le precedenti difese sopra compendiate, la #### abbia genericamente contestato il difetto di prova di accordo intervenuto tra le parti in ordine alla pattuizione dell'importo richiesto mediante la fattura n. 2 del 06.05.22 per la fornitura di n. 7 autisti, affermando che “verosimilmente” l'unico contratto stipulato dalle parti fosse quello prodotto dall'opposta il cui corrispettivo pattuito deve intendersi comprensivo della fornitura degli autisti. 
Stante l'inammissibilità delle suddette difese, contrastanti con quelle precedentemente rese dall'opponente, e tenuto conto del riscontrato effettivo impiego n. 7 autisti forniti dalla ### coop. soc., come conducenti dei veicoli noleggiati, la #### è dunque tenuta al pagamento del corrispettivo richiesto dall'opposta con la fattura n. 2 de 6.05.2022.  *** 
In definitiva, per tutte le ragioni sopra compendiate, l'opposizione proposta dalla #### nonché le domande dalla stessa proposte con l'atto introduttivo, sono infondate, e come tali vanno rigettate.  *°*°* Ciò posto, a fronte dei pagamenti effettuati dalla attrice successivamente all'emissione del decreto ingiuntivo qui opposto, la somma per la quale parte opposta ha chiesto in questa sede la condanna dell'opponente, è inferiore rispetto a quella originariamente ingiunta. 
Solo per questa ragione, pertanto il decreto ingiuntivo n. 5402/2022 va revocato, con la condanna dell'opponente a corrispondere all'opposta la minore somma di € 19.353,00.  *°*°*° Le spese di lite, ai sensi dell'art. 91 c.p.c, seguono la soccombenza (anche c.d.  “virtuale” in relazione alle somme spontaneamente versate dall'opponente dopo l'emissione del decreto opposto), e pertanto la ### arl va condannata alla refusione delle spese processuali sostenute dalla #### liquidate nel dispositivo in conformità ai parametri medi (ad eccezione della fase decisoria liquidata secondo valori tendenti ai minimi) previsti dalle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornate con D.M. n. 147/2022, per le controversie di valore compreso tra euro 26.001,00 ad euro 52.000,00 PQM Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti; disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa: RIGETTA l'opposizione e le domande proposte con l'atto di citazione da #### in persona del suo legale rappresentante pro tempore; REVOCA il decreto ingiuntivo n. n. 5402/2022 emesso il ###; CONDANNA la SOCIETÀ ### A.R.L. al pagamento nei confronti di ##### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, della somma di € 19.353.000, comprensiva di iva, oltre interessi al saggio legale di cui all'art. 1284 comma I, dal deposito della presente pronuncia, sino all'effettivo soddisfo; CONDANNA l'opponente a rifondere all'opposta le spese dell'intero procedimento (compresa la fase monitoria) che liquida in euro 286,00 per esborsi, ed euro 6.164,00 per compensi, oltre IVA e CPA come per legge e rimborso spese forfetarie ex art. 2 D.M. 55/2014, nella misura del 15% dei compensi. 
Così deciso in ### il 25 settembre 2025 ###ssa ### 

causa n. 1709/2023 R.G. - Giudice/firmatari: Simona Maria Cipiti'

M

Tribunale di Napoli Nord, Sentenza n. 3206/2025 del 24-07-2025

... (tra le quali anche la ### di vietare la pratica del caporalato e impedire, così, ai facchini di svolgere la propria attività lavorativa nella qualità di padroncini, pena l'immediata risoluzione del contratto di appalto. Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 Tutte le Cooperative trovate con le mani nella marmellata subirono la risoluzione immediata dei contratti di appalto. Naturalmente, il sig. ### non voleva che analoga sorte toccasse anche alla sua ### Sicché, alla fine del mese di gennaio 2024 (dopo poco più di un anno dall'ultimo dei pagamenti eseguiti per l'acquisto del veicolo), mentre in tutta ### imperversava la protesta dei padroncini e delle piccole cooperative e consorzi costituenti gli ingranaggi di un sistema ormai smascherato, quelli che, cioè, avevano visto cessato tout court il proprio contratto di appalto, il sig. ### - che, si ripete, non poteva correre il rischio di essere invischiato nello scandalo e vedere interrotto il proprio contratto di appalto con BRT e subire le conseguenti perdite - vietò espressamente a tutti i suoi dipendenti, e quindi anche al sig. ### di svolgere l'attività di padroncino, con automatico, immediato ripristino delle condizioni (leggi tutto)...

testo integrale

R.G. 13521/2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI NORD Sezione lavoro Il Tribunale di ###, in funzione di giudice del lavoro ed in composizione monocratica nella persona del giudice Dott. ###, a seguito di deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza del 8.7.2025 in base all'art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 13521/2024 R.G. 
TRA ### rapp. e dif. come in atti dall'avv. ### e dall'avv.  ### E #### in persona del Presidente legale rappresentante p.t., rapp. e dif. come in atti dall'avv. ### e dall'avv. ### Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorrente in epigrafe ha dedotto: “…1) Con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato dell'aprile 2021 (All. 03) la ### (CF ###), assunse alle sue dipendenze, con decorrenza 1.05.2021, il sig. ### con la mansione di autotrasportatore e inquadramento nel livello 4j di cui al ### del settore ### e ### e spedizione merci, con un orario di lavoro di 39 ore settimanali, distribuite dal lunedì al venerdì, e per una retribuzione ordinaria propria del livello (€ 9,392/ora); 2) Il ricorrente ha prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze della ### dall'1.05.2021 e sino al l'8.04.2024, epoca in cui il rapporto contrattuale è stato risolto dalla datrice di lavoro con un provvedimento che, nella sostanza, concreta un “licenziamento per giusta causa” (pur essendo stato qualificato come un “licenziamento per giustificato motivo oggettivo”); 3) Con comunicazione a mani del marzo 2022 (### 04), la datrice di lavoro ha comunicato al ricorrente che, a far data dal 01.04.22, gli sarebbe stato riconosciuto il passaggio dal livello 4j al livello ### del contratto collettivo di categoria (retribuzione ordinaria di € 9,870/ora); 4) Diversamente da quanto ### formalmente previsto nel contratto, la sede di lavoro (anche ai fini del radicamento della competenza territoriale del presente giudizio) era in ####, alla via ### n. 160, ove la ### - al pari delle altre cooperative legate da rapporti di committenza con la BRT - aveva la propria sede ###dicitura atecnica, “capannone” n. 177 - Cfr., visura camerale, ### 02); 5) Come detto, il rapporto di lavoro è stato formalmente interrotto dalla ### con raccomandata a/r dell'8.04.2024 (All. 05) con la quale, sulla premessa di asseriti, indimostrati e falsi inadempimenti contrattuali che sarebbero stati posti in essere dal ricorrente (e della reiterazione di altre condotte, già censurate con l'invio di ulteriori due contestazioni, ### 06 e All. 07, a dire della resistente, neppure riscontrate), questa ha intimato al sig. ### licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” (sic!); Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 6) A quella data, il ricorrente veniva retribuito in ragione di € 10,425/ora; 7) ### licenziamento è stato contestato nei termini di legge e, nello specifico, con comunicazione pec, ratificata dal sig. ### e inviata dai sottoscritti procuratori in data ### (All. 08), con la quale l'odierno ricorrente ha eccepito l'infondatezza delle circostanze di fatto che avevano originato il provvedimento espulsivo, nonché la sua nullità, assoluta e insanabile, stante la palese violazione delle disposizioni di legge… …che, nel mese di febbraio 2022, il sig. ### Presidente della ### impose, di fatto, al ricorrente (che aveva la legittima aspettativa di guadagnare di più, stante la misera retribuzione fino a quel momento percepita) di corrispondergli, in danaro contante, sia pure in più soluzioni, la somma di € 15.000,00 per utilizzare l'automezzo ### DUCATO tg. ### di proprietà della cooperativa. Lo sforzo economico sarebbe stato necessario per ottenere l'autorizzazione della ### ad esercitare, senza alcuna contestazione, l'attività di padroncino… Non disponendo di sufficiente liquidità, in data ###, il ricorrente sottoscrisse con la ### il contratto di “prestito personale” n° ### (### 09), al fine reperire la provvista necessaria (€ 15.000,00) per corrispondere la somma richiesta dal suo titolare. Il relativo piano di ammortamento, per complessivi € 18.058,00 (con rata di € 373,00/mese), è tuttora in corso (e i relativi pagamenti sono sopportati dal ricorrente, ### 10) e scadrà il prossimo 15.03.2026. 
La somma finanziata (al netto degli interessi e delle spese di istruttoria) è stata quindi integralmente girata in danaro contante al sig. ### Presidente ###n. 3 soluzioni, ciascuna di € 5.000,00, tra il 2 agosto 2022 e il 7 ottobre 2022 (### 11 e All. 12), previo accordo sulle modalità e i tempi di consegna del danaro intervenuti a mezzo ### A far tempo da quella data (febbraio 2022), il ricorrente - ancora formalmente retribuito secondo gli importi di cui al ### per i lavoratori dipendenti del livello ###, ma senza applicazione degli istituti contrattualistici connessi e per un monte ore di gran lunga superiore a quello contrattualizzato - ha iniziato quindi a svolgere la sua attività di trasportatore servendosi proprio del ### tg. ### utilizzandolo in via esclusiva e ricoverandolo, al termine della giornata lavorativa, indifferentemente tanto Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 presso i capannoni della sede ####### alla ### quanto presso la propria residenza in Napoli al ### don ### In forza della nuova attività, tutti i cedolini mensili, emessi nel periodo febbraio 2022 - dicembre 2023 (### 13) e, in parte, anche da gennaio ad aprile 2024 (### 14) - sono stati elaborati sulla scorta di un sistema unilateralmente ideato da controparte ed imposto al lavoratore: verificata, a fine mese, l'attività produttiva del ricorrente e ricostruito il saldo dare/avere, su un documento che il sig. ### consegnava in copia al dipendente (### 15), questi stornava dalla retribuzione le spese necessarie per l'assicurazione del mezzo, il costo del carburante, eventuali riparazioni, spese di assicurazione (RCA e merci), tutti posti a carico del ricorrente, e, quindi, riconosceva al lavoratore le provvigioni sulle singole consegne, camuffate in busta paga con voci prima di allora mai contemplate: “### Italia”, “### spese”, “Straordinario forfettario - Arretrati”, “Straordinario forfettario”, talvolta aggiornando - anche di proprio pugno - il saldo risultante dai richiamati documenti, in aumento o in diminuzione. 
Si consideri che nella “### del costo mensile autotrasportatori” (### 15) che, di fatto, determinava il quantum della retribuzione del dipendente (esattamente corrispondente al cedolino mensile di riferimento), la cooperativa ### ha illegittimamente addebitato, dal mese di febbraio 2022 e fino a quello di giugno 2022, costi mensili per la gestione dell'automezzo - contrattualmente a carico dell'azienda - per complessivi € 4.429,00, di cui € 699,00 per “consumo gasolio”, € 80,00 per “### Merci” e ben € 3.300,00 a titolo di “Noleggio” dell'automezzo, € 250,00 per “### Cooperativa” (€ 50,00 x 5), € 100,00 per “Consulenze” (€ 20,00 x 5). 
Dal luglio 2022 in poi (contestualmente cioè al primo dei tre versamenti, ### 11), la ### non ha più addebitato al lavoratore il costo del “Noleggio”, poiché, di fatto, il ricorrente stava già pagando profumatamente l'utilizzo del furgone; in ogni caso, la cooperativa ha, però, continuato a stornare dalla sua retribuzione tutti i costi che, per legge e contratto, sono a carico del datore di lavoro: € 1.250,00 per “### RCA”, € 5.136,00 per “### gasolio”, € 80,00 per “### Merci”, € 140,00 per “### medica” (sic!), € 789,00 per “### INAIL”, € 137,00 per “### possesso”, € 25,00 per “Ricambi”, € 950,00 per “### Cooperativa” (€ 50,00 x 19), € 380,00 per “Consulenze” (€ 20,00 x 19), € 750,00 per “Assicurazione” e, così, la complessiva somma di € 9.637,00… Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 …Tale escamotage ha consentito alla resistente di risparmiare decine di migliaia di euro in tasse e al ricorrente di percepire, dal febbraio 2022 e fino al dicembre 2023, somme nette di gran lunga superiori a quelle percepite fino al mese di gennaio 2022 (circa € 1.100,00 mensili - ### 16): così € 2.000,00 circa nei primi mesi (febbraio - maggio 2022), € 2.500,00, per i mesi da giugno a dicembre 2022, oltre € 4.000,00 a gennaio 2023, € 3.765,00 a febbraio 2023, € 5.423,00 a giugno 2023, € 5.155,00 a luglio 2023. 
In sintesi, il ricorrente è stato sottoposto ad un sistema ricattatorio per portare maggiore profitto all'azienda (che evadeva le tasse sulle somme corrisposte a titolo indennitario), ideato per costringere il sig. ### a pagare per l'utilizzo di un bene strumentale all'esercizio della sua attività (e a sopportare, così, la rata del piano di ammortamento di € 373,00/mese di un debito contratto per reperire la provvista necessaria all'esborso), farlo lavorare di più e slegare, in questo modo, la sua retribuzione da un minimo salariale certo, ancorandola viceversa alla sua produttività. 
In quest'ottica, il lavoratore, cui alla fine del mese venivano addebitate le spese in misura fissa (che venivano calcolate al centesimo) oltreché quelle variabili, era costretto a lavorare ininterrottamente, rinunciando alle ferie o alla malattia, pur di raggiungere l'obiettivo minimo prefissato. Con tale sistema, il ricorrente riusciva a maturare provvigioni di circa € 180,00-200,00/giorno, al netto delle spese sostenute, sicché è facile comprendere che, in un sistema del genere in cui non gli veniva di fatto corrisposto uno stipendio base, né tutti gli istituti complementari, il sig. ### fosse costretto a lavorare anche in malattia (finanche durante il contagio da covid-19), oltreché a non godere nemmeno di un giorno di riposo… …### in conseguenza dell'indagine giudiziaria condotta dalla ### di ### di ### deflagrata su tutto il territorio nazionale, che aveva poi portato al commissariamento di ### i nuovi manager nominati dal principale azionista, la francese ### che ne controlla il 74% e che il 12 ottobre 2023 ne aveva cambiato i vertici, nominando amministratrice delegata la dott.ssa ### imposero a tutte le cooperative appaltatrici (tra le quali anche la ### di vietare la pratica del caporalato e impedire, così, ai facchini di svolgere la propria attività lavorativa nella qualità di padroncini, pena l'immediata risoluzione del contratto di appalto. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
Tutte le Cooperative trovate con le mani nella marmellata subirono la risoluzione immediata dei contratti di appalto. Naturalmente, il sig. ### non voleva che analoga sorte toccasse anche alla sua ### Sicché, alla fine del mese di gennaio 2024 (dopo poco più di un anno dall'ultimo dei pagamenti eseguiti per l'acquisto del veicolo), mentre in tutta ### imperversava la protesta dei padroncini e delle piccole cooperative e consorzi costituenti gli ingranaggi di un sistema ormai smascherato, quelli che, cioè, avevano visto cessato tout court il proprio contratto di appalto, il sig. ### - che, si ripete, non poteva correre il rischio di essere invischiato nello scandalo e vedere interrotto il proprio contratto di appalto con BRT e subire le conseguenti perdite - vietò espressamente a tutti i suoi dipendenti, e quindi anche al sig. ### di svolgere l'attività di padroncino, con automatico, immediato ripristino delle condizioni economiche ancorate unicamente ai parametri del ### e conseguente perdita dei cospicui “bonus” riconosciuti in busta paga: niente più rimborsi forfettari, niente più straordinari, niente più fantomatiche trasferte ### Naturalmente, il ricorrente - già creditore della cooperativa per svariate migliaia d'euro derivanti da lavoro straordinario e festivo mai retribuito - ritenne l'iniziativa datoriale lesiva dei suoi interessi, sicché, per prima cosa, chiese al sig. ### l'immediato rimborso della somma di € 15.000,00 corrisposta tra il ### e il ### per l'utilizzo esclusivo di un veicolo che, rebus sic stantibus, gli sarebbe stato comunque garantito, oltreché il pagamento dei crediti di lavoro maturati a quella data e la sottoscrizione di un nuovo contratto che gli consentisse, in ogni caso, di mantenere invariato il livello retributivo raggiunto (in media € 4.000,00/mese). 
All'esito di un drammatico faccia a faccia intervenuto alla fine del gennaio 2024, il sig.  ### si offrì di riconoscere al ricorrente unicamente i crediti lavorativi vantati, senza alcun rimborso della somma corrisposta per l'utilizzo del furgone (€ 15.000,00) o sottoscrizione di un nuovo contratto ed, anzi, prospettandogli chiaramente che il ritorno alle vecchie condizioni economiche avrebbe comportato il pagamento, da quel momento in poi, di uno stipendio in misura fissa, al di là dell'attività lavorativa profusa (senza alcun riconoscimento, quindi, di lavoro straordinario e/o festivo, ferie, rol, permessi, malattia). 
Così, il ricorrente, unitamente al suo collega, sig. ### che, sin d'ora, si indica a teste e che, pure, svolgeva la medesima attività di padroncino e percepiva guadagni Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 allineati sostanzialmente a quelli del ricorrente, decisero di rivolgersi al ### di categoria per smascherare pubblicamente il comportamento del datore di lavoro e, in ogni caso, tutelare giudizialmente i propri interessi. Raggiunti dal datore di lavoro, questi minacciò espressamente di licenziarli se non avessero abbandonato il loro intendimento, se avessero cioè preteso giudizialmente il rimborso di quanto corrisposto per l'utilizzo esclusivo dei veicoli e reso di dominio pubblico il modus operandi della ### imperniato sullo sfruttamento dei lavoratori e la pratica costante del caporalato. 
Sicché, alla fine del mese di gennaio 2024, il ricorrente, per non perdere il posto di lavoro, fu costretto a sottostare al ricatto subito, riconsegnò alla ### nella persona del sig. ### il veicolo ### tg. ### e concordò col suo datore unicamente le modalità di pagamento dei soli crediti lavorativi, maturati a quella data.  … …La resistente, nella persona del sig. ### propose quindi al ricorrente di conciliare in sede protetta i crediti lavorativi vantati a quella data, per lavoro straordinario e festivo, riconoscendogli la complessiva somma di € 16.000,00, oltre € 724,00 a titolo di bonus conciliativo e, così, per complessivi € 16.724,00 in n. 3 soluzioni, imputandoli però, per questioni meramente fiscali della ### inopponibili al ricorrente, a “residuo rol e residuo ferie”. 
Sicché, con verbale di conciliazione sindacale del 16.02.2024 (All. 17), sottoscritto innanzi alla sede della ### di ### le parti conciliarono la pretesa del lavoratore (che aveva “rivendicato tutte le spettanze maturate ed in particolare il lavoro straordinario e festivo espletato in costanza di rapporto”, le parti “dopo ampia discussione (…) constatata la volontà (…) di prevenire fin da ora il sorgere di qualsiasi ulteriore controversia (…)” e convennero la rinuncia del lavoratore “all'azione, ai diritti e a tutte le domande svolte e connesse con il rapporto di lavoro (…) e a ogni altra domanda e/o pretesa e/o azione proponibile a qualsivoglia titolo, nei confronti della società ### e di rinunciare espressamente alle rivendicazioni sopra riportate”, a fronte del pagamento della datrice di lavoro della complessiva somma netta di € 16.724,00 “quale residuo ROL e residuo ferie”, in n. 3 soluzioni (al 29.02.2024, al 12.03.2024 e al 20.04.2024). 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
In esito alla conciliazione, il ### ribadì espressamente al lavoratore che non gli era più concessa la possibilità di prestare l'attività lavorativa secondo le modalità sino a quel momento espletate, anche se gli sarebbe stato concesso in dotazione l'utilizzo (non esclusivo) di un altro furgone e riconosciute, nelle buste paga di successiva emissione e seppure al minimo, alcune voci retributive che gli avrebbero assicurato di mantenere uno stipendio se non conforme a quanto fino a quel momento percepito, quantomeno sufficiente a comprare, secondo le aspettative del titolare, il silenzio del lavoratore. 
A far tempo dal mese di febbraio 2024, il ricorrente ha utilizzato, nell'esercizio della propria attività lavorativa, il furgone ### tg. ### con la possibilità di ricoverarlo, espressamente autorizzato in tal senso, presso il capannone di ### o presso la propria abitazione di Napoli. 
Venerdì 15/3/2024, al termine della giornata lavorativa, il ricorrente manifestò al suo titolare, ### la propria insoddisfazione rispetto alla retribuzione di febbraio 2024, per nulla conforme all'attività prestata e ribadì la volontà di adire, unitamente al collega ### il giudice competente perché fossero loro riconosciuti giudizialmente tutti i diritti derivanti dall'attività lavorativa prestata, nell'interesse della cooperativa, fino al gennaio 2024, oltreché per ottenere la condanna della cooperativa al rimborso della somma di € 15.000,00, illegittimamente trattenuta dal datore di lavoro. Il ricorrente, infatti, oppose al ### che quanto concordato in sede sindacale costituiva nient'altro che “il riconoscimento dei suoi diritti”, mentre restava ancora da saldare il debito di € 15.000,00, precedentemente corrisposto dal lavoratore per l'utilizzo in via esclusiva di un automezzo (il ### tg. ### che aveva già riconsegnato. Tale ricatto (pagare integralmente il costo di un veicolo senza divenirne formalmente il proprietario) poteva essere digerito solo a fronte del giusto riconoscimento dell'attività lavorativa profusa e certamente non più tollerato nel momento in cui la cooperativa aveva deciso di uniformarsi alle direttive della committente ### sicché il ricorrente chiese per l'ennesima volta al sig. ### di ricevere il rimborso della somma di € 15.000,00 e, in difetto, di adire il magistrato del lavoro competente per ottenerne la condanna al pagamento di quanto dovuto che costituiva un illegittimo arricchimento senza causa. 
Il sig. ### per la seconda volta, minacciò il ricorrente di licenziarlo qualora non avesse abbandonato i suoi propositi. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
E infatti, con raccomandata a/r di lunedì 18/03/2024 (### 06), la ### a mezzo del suo presidente, sig. ### contestava al lavoratore la “violazione delle procedure aziendali”, perché “il 15 marzo 2024” (alle volte il caso…), “la committente BRT ha formalmente e tempestivamente segnalato che ### in dispregio assoluto delle indicazioni del mittente la spedizione n. 006-01-###, ha consegnato il collo al destinatario accettando dal medesimo, di Sua iniziativa, la ricezione di un titolo di credito post datato in luogo dei contanti previsti. Inoltre, tale titolo di credito, non conforme alle disposizioni impartite dal cliente, era lasciato incustodito negli uffici cassa e successivamente recuperato dal sottoscritto”. 
Lo stesso 18.03.2024, il ricorrente riceveva anche il secondo acconto relativo all'accordo conciliativo, per l'importo concordato di € 8.058,00 (All. 22), sia pure in ritardo rispetto alla data indicata in sede sindacale (12.03.2024). 
E ancora, con raccomandata a/r di martedì 19/03/2024 (### 07), la ### sempre a mezzo del suo presidente, sig. ### partecipava al lavoratore “l'ulteriore specifica contestazione circa i fatticensurabili da Lei commessi il 18 marzo 2024” (ma non era il 15/3? n.d.r.), giacché “la committente BRT ha formalmente e tempestivamente segnalato testualmente “esito non veritiero da parte del driver” allorché ### trascriveva sul palmarino in dotazione, che il mancato ritiro era addebitabile all'assenza del cliente (…), indicando come orario di transito dal detto cliente le ore 16:01 mentre alle 15:36 si trovava già nella filiale per chiudere la distinta”. 
In buona sostanza, le due contestazioni costituiscono il tentativo della ### di legittimare il provvedimento di licenziamento, poi effettivamente assunto in data ### (All. 05) quale atto ritorsivo del datore di lavoro al comportamento del dipendente che, del tutto legittimamente, aveva chiesto il rimborso di quanto corrisposto e illegittimamente trattenuto dal datore di lavoro. 
Quindi, il successivo 18.04.2024, la ### eseguiva l'ultimo dei pagamenti di cui alla conciliazione (### 23) e, come detto, il lavoratore impugnava il licenziamento, con atto stragiudiziale del 7.05.2024 (All. 08)”. 
Per tali ragioni egli ha adito codesto Tribunale e ha concluso come di seguito: Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 “1) Accertare e dichiarare la nullità del provvedimento espulsivo comminato al sig.  ### dalla ### in data ###, per violazione degli artt. 1418, comma 2 c.c., 1345 c.c. e 1324 c.c., perché assunto come atto ritorsivo del datore di lavoro nei confronti del dipendente; 2) Accertare e dichiarare, in ogni caso, l'illegittimità del licenziamento ai sensi dell'art.  2119 c.c., per assenza di giusta causa; 3) Per l'effetto, previa declaratoria di risoluzione del rapporto di lavoro alla data di pubblicazione dell'emananda sentenza, condannare la ### in persona del Presidente, sig. ### al pagamento, in favore del sig. ### a) Di una indennità sostitutiva alla reintegrazione (non soggetta al pagamento dei contributi previdenziali) pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (€ 2.234,22) e, così, per una complessiva somma netta di € 33.513,30; b) Di una indennità risarcitoria (non più fondata sulla sola anzianità aziendale, ###, Corte Costituzionale sent. N° 194/2018), commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto (€ 2.234,22), senza alcuna detrazione dell'aliunde perceptum (risultando il ricorrente ancora disoccupato), pari ad almeno 12 mensilità, per la complessiva somma netta di € 26.810,64; 4) In via meramente gradata, accertare e dichiarare l'illegittimità del licenziamento per intervenuta violazione dell'art. 2106 c.c.; 5) Per l'effetto, condannare la ### in persona del Presidente, sig.  ### al pagamento, in favore del sig. ### di una indennità non soggetta a contribuzione previdenziale di € 2.234,22 x 8 mensilità (due per ciascun anno di servizio) e, così, per complessivi € 17.873,76; 6) In via meramente residuale, accertare e dichiarare l'illegittimità del licenziamento per violazione del requisito della motivazione (art. 2, co. 2, legge 604 del 1966) o per violazione della procedura prescritta dall'art. 7 dello Statuto dei ### Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 7) Per l'effetto, condannare la ### in persona del Presidente, sig.  ### al pagamento, in favore del sig. ### di una indennità non soggetta a contribuzione previdenziale di € 2.234,22 x 4 mensilità (una per ciascun anno di servizio) e, così, per complessivi € 8.936,88; 8) Accertare e dichiarare la nullità, assoluta e insanabile, del verbale di conciliazione del 16.02.2024, nella parte in cui, a fronte della simbolica somma di € 724,00 offerta dalla ### il ricorrente ha rinunciato “a qualsiasi ulteriore controversia”, oltreché “all'azione, ai diritti e a tutte le domande svolte e connesse” e “a ogni altra domanda e/o pretesa e/o azione proponibile a qualsivoglia titolo, nei confronti della società ### Cooperativa”, per la violazione del principio di reciprocità e proporzionalità tra rinuncia e corrispettivo, anche ai sensi dell'art. 1965 c.c.; 9) Per l'effetto, accertare e dichiarare che la ### nella persona del sig. ### non ha mai rimborsato al sig. ### la somma di € 15.000,00 dallo stesso corrisposta, tra il ### e il ###, a fronte dell'utilizzo del veicolo ### tg. ### e, quindi, condannarla al pagamento, in favore del sig. ### della complessiva somma di € 15.000,00 (o, in via gradata, € 10.000,00), indebitamente trattenuta dal datore di lavoro, a titolo di rimborso della medesima somma corrisposta dal lavoratore nel periodo 2/8/2022 - 7/10/2022, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal dì di ogni singola scadenza all'effettivo soddisfo; 10) Accertare e dichiarare che la ### ha illegittimamente decurtato, dalla retribuzione mensile spettante al sig. ### nel periodo febbraio 2022 - giugno 2022, la complessiva somma di € 4.429,00, a titolo di costi mensili normativamente e contrattualmente a carico dell'azienda; 11) Per l'effetto, condannare la ### nella persona del Presidente legale rappresentante p.t., sig. ### al pagamento della somma di € 4.429,00, illegittimamente decurtata nelle buste paga da febbraio 2022 a giugno 2022, per “consumo gasolio”, “### Noleggio”, “### Merci”, “### generali Cooperativa”, “Consulenze”, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal dì di ogni singola scadenza all'effettivo soddisfo; Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 12) Accertare e dichiarare che la ### ha illegittimamente decurtato, dalla retribuzione mensile spettante al sig. ### nel periodo luglio 2022 - gennaio 2024, la complessiva somma di € 9.637,00, a titolo di costi mensili normativamente e contrattualmente a carico dell'azienda 13) Per l'effetto, condannare la ### nella persona del Presidente legale rappresentante p.t., sig. ### al pagamento della somma di € 9.637,00, illegittimamente decurtata, nelle buste paga da luglio 2022 a gennaio 2024, per “### Mensile” e “### Mensili”, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal dì di ogni singola scadenza all'effettivo soddisfo; 14) Condannare, in ogni caso, la ### in persona del Presidente, sig.  ### al pagamento delle spese e competenze di giudizio (maggiorate ex art.  4, comma 1bis, D.M. 55/2014 per utilizzo delle tecniche informatiche nella redazione del presente atto), oltre ### CPA e rimborso spese forfettario nella misura del 15%, con attribuzione all'avv. ### procuratore antistatario”. 
Si è costituita in giudizio la società convenuta che ha resistito con diverse argomentazioni, in fatto e in diritto, così come meglio specificate nella memoria difensiva, alle pretese attoree e ha concluso per il rigetto del ricorso; con vittoria di spese. 
Preso atto del fallimento del tentativo di conciliazione, dopo aver svolto attività istruttoria, lo scrivente con decreto del 14.5.2025 ha rigettato le ulteriori richieste istruttorie di parte ricorrente ed ha rinviato la causa per la discussione autorizzando le parti al deposito di note scritte. 
All'esito della trattazione scritta sostitutiva dell'udienza in base all'art. 127 ter c.p.c., verificata la rituale comunicazione del decreto per la trattazione scritta a tutte le parti costituite, il ### ha deciso la causa con sentenza. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. 
Nel presente giudizio ### da un lato, ha impugnato il licenziamento comminato dalla società resistente in data ### e, dall'altro, ha chiesto l'accertamento della nullità del verbale di conciliazione del 16.2.2024 e la conseguente condanna della convenuta al pagamento di plurime voci retributive asseritamente dovute. 
Con riferimento all'impugnativa di licenziamento, è necessario innanzitutto evidenziare che il licenziamento è stato erroneamente qualificato dal datore per “giustificato motivo oggettivo”, ma si tratta chiaramente di un errore materiale o comunque di un refuso. 
È opportuno sottolineare, poi, che nel caso di specie ricorre un'ipotesi di licenziamento di socio di cooperativa in cui il provvedimento espulsivo, in assenza di una delibera ad hoc, ha duplice valenza ovvero non solo di atto di estinzione del rapporto lavorativo, ma anche di provvedimento di scioglimento di quello societario. Pertanto, trovano applicazione i principi della giurisprudenza secondo cui “### del rapporto di lavoro del socio di società cooperativa può derivare dall'adozione della delibera di esclusione, di cui costituisce conseguenza necessitata "ex lege", o dall'adozione di un atto formale di licenziamento; soltanto in quest'ultima ipotesi, se ricorrono i relativi presupposti, si potranno esplicare le tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro: a) soltanto risarcimento, a norma dell'art. 8 L. 604/1966, nell'ipotesi di perdita della qualità di socio per effetto di delibera di espulsione non impugnata o di rigetto dell'opposizione avverso la medesima, proposta a norma dell'art. 2533 cod. civ.; b) tutela obbligatoria o reale, nel caso di adozione di un provvedimento di licenziamento in mancanza di delibera di espulsione” (Tribunale Firenze sez. lav., 28/02/2023, n.169). 
Ebbene, parte ricorrente ha domandato esclusivamente la tutela obbligatoria ed ha dedotto in via preliminare la natura ritorsiva del licenziamento e la conseguente nullità. 
Occorre, primariamente, riportare la contestazione addebitata dal datore di lavoro che ha determinato il licenziamento del ricorrente. Ed invero, con lettera del 8.4.2024 veniva contestato al lavoratore che egli in data ### parcheggiava senza autorizzazione presso la propria abitazione l'autoveicolo aziendale modello ### -targato ### e non lo riportava presso il deposito BRT della filiale di via ### n. 158 in Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 #### missiva in questione veniva contestato all'### che tale episodio si era già verificato in precedenza e che esso seguiva ad altre due contestazioni disciplinari per le quali erano già decorsi i termini a difesa. 
A questo punto, giova rammentare la giurisprudenza in materia di licenziamento ritorsivo, la quale ha stabilito che: “per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555 del 2011); 2.2. dal punto di vista probatorio l'onere ricade sul lavoratore in base alla regola generale di cui all'art. 2697 c.c., non operando la l. n. 604 del 1966, art. 5, ma esso può essere assolto anche mediante presunzioni (Cass. n. 20742 del 2018; Cass. n. 18283 del 2010); in particolare, ben può il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo di recesso, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (Cass. n. 23583 del 2019); 2.3. è stato altresì specificato che l'allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare, ai sensi della l. n. 604 del 1966, art. 5, l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita, incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare l'intento ritorsivo e, dunque, l'illiceità del motivo unico e determinante del recesso (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 27325 del 2017; Cass. n. 26035 del 2018); Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 2.4. non è dubbio che il valutare nella concretezza della vicenda storica se il licenziamento sia stato o meno intimato per motivo di ritorsione costituisca una quaestio facti, come tale devoluta all'apprezzamento dei giudici del merito, con un accertamento di fatto non suscettibile di riesame innanzi a questa Corte di legittimità, con formali denunce di errori di diritto che, nella sostanza, mascherano nella specie la contestazione circa la valutazione di merito operata dai giudici ai quali è riservata (per tutte v. Cass. n. 6838 del 2023 e n. 26399 del 2022, già citate); né tanto meno può criticarsi, in questa sede, la sentenza impugnata per il ragionamento presuntivo operato, perché spetta al giudice del merito valutare l'opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l'attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l'attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010); va escluso che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva avrebbe dovuto condurre ad un esito interpretativo diverso da quello raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017), spettando al giudice del merito l'apprezzamento circa l'idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit (v. Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017)” (Cassazione civile sez. lav., sent. n.23702 del 2023).  ### l'interpretazione giurisprudenziale, quindi, il licenziamento ritorsivo, ai fini della declaratoria di nullità, richiede che il motivo illecito sia determinate e che esso costituisca l'unica effettiva ragione di recesso (cfr. in tal senso Corte appello ### sez. lav., sent.  n.253 del 2023). Quanto detto si riverbera anche sul profilo probatorio poiché, al fine di escludere il carattere determinante del motivo illecito ex art. 1345 c.c., è necessario che il datore di lavoro fornisca la prova dell'esistenza del motivo lecito di recesso idoneo da solo a sorreggere il licenziamento malgrado il concorrente motivo illecito parimenti emerso all'esito di causa (cfr. in tal senso, con specifico riferimento al rapporto tra licenziamento ritorsivo e licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Cassazione civile sez. lav., sent.  n. ### del 2018). 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
La Suprema Corte (Cass. 6575/2016), inoltre, distinguendo il licenziamento ritorsivo da quello discriminatorio, ha evidenziato che “la discriminazione - diversamente dal motivo illecito di cui all'art. 1345 c.c. - opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro. Va perciò distinta l'ipotesi del licenziamento discriminatorio ai sensi dell'art. 4 l. n. 604 del 1966 e dell'art. 15 l. n. 300 del 1970, che, come disposto dall'art. 3 l. n. 108 del 1990, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta, dalla ipotesi del licenziamento ritorsivo per il quale è invece necessaria la prova del motivo illecito unico e determinante” ed ha precisato come in caso di licenziamento discriminatorio è il lavoratore a dover allegare la sussistenza del c.d. fattore di rischio ed allegare la sussistenza del nesso causale tra tali fattori ed il trattamento deteriore subìto. 
Tanto premesso, nel caso de quo il ricorrente ha allegato i motivi di ritorsività individuandoli esclusivamente nella circostanza che egli dopo aver stipulato la conciliazione sindacale ha richiesto il pagamento di 15.000,000 euro, deducendone l'illegittima trattenuta dalle buste paga, oltre ad ulteriori differenze retributive, nei confronti del legale rappresentante della società ### il quale di conseguenza avrebbe minacciato il licenziamento qualora l'### avesse insistito nella richiesta. Nello specifico, a pagina 12 del ricorso testualmente si legge “Venerdì 15/3/2024, al termine della giornata lavorativa, il ricorrente manifestò al suo titolare, ### la propria insoddisfazione rispetto alla retribuzione di febbraio 2024, per nulla conforme all'attività prestata e ribadì la volontà di adire, unitamente al collega ### il giudice competente perché fossero loro riconosciuti giudizialmente tutti i diritti derivanti dall'attività lavorativa prestata, nell'interesse della cooperativa, fino al gennaio 2024, oltreché per ottenere la condanna della cooperativa al rimborso della somma di € 15.000,00, illegittimamente trattenuta dal datore di lavoro. Il ricorrente, infatti, oppose al ### che quanto concordato in sede sindacale costituiva nient'altro che “il riconoscimento dei suoi diritti”, mentre restava ancora da saldare il debito di € 15.000,00, precedentemente corrisposto dal lavoratore per l'utilizzo in via esclusiva di un automezzo (il ### tg. ### che aveva già riconsegnato. Tale ricatto (pagare integralmente il costo di un veicolo senza divenirne formalmente il proprietario) poteva essere digerito solo a fronte del giusto riconoscimento dell'attività lavorativa profusa e certamente non più tollerato nel momento Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 in cui la cooperativa aveva deciso di uniformarsi alle direttive della committente ### sicché il ricorrente chiese per l'ennesima volta al sig. ### di ricevere il rimborso della somma di € 15.000,00 e, in difetto, di adire il magistrato del lavoro competente per ottenerne la condanna al pagamento di quanto dovuto che costituiva un illegittimo arricchimento senza causa. 
Il sig. ### per la seconda volta, minacciò il ricorrente di licenziarlo qualora non avesse abbandonato i suoi propositi”. 
Ritiene il Tribunale che non sussistano i motivi ritorsivi di licenziamento. Ed infatti, non può considerarsi condivisibile la prospettazione attorea secondo cui il licenziamento sarebbe scaturito unicamente da una reazione del datore alle richieste di pagamento di differenze retributive. Queste ultime, invero, secondo quanto dedotto dal ricorrente, sono state avanzate a partire dal marzo 2024 e fanno riferimento al periodo ad esse antecedente ovvero quello coperto dalla conciliazione sindacale stipulata tra le parti. Deve evidenziarsi, poi, che il licenziamento è stato comminato con missiva dell'8.4.2024 e menziona anche due precedenti contestazioni disciplinari. In particolare, la raccomandata del 18.3.2024 recita espressamente che “il 15 marzo 2024 la committente BRT ha formalmente e tempestivamente segnalato che ### in dispregio assoluto delle indicazioni del mittente la spedizione n. 006-01-###, ha consegnato il collo al destinatario accettando dal medesimo, di Sua iniziativa, la ricezione di un titolo di credito post datato in luogo dei contanti previsti. Inoltre, tale titolo di credito, non conforme alle disposizioni impartite dal cliente, era lasciato incustodito negli uffici cassa e successivamente recuperato dal sottoscritto”. 
Al cospetto di tale contestazione, indipendentemente dalla questione proposta dalla resistente inerente alla tempestività delle relative giustificazioni, il lavoratore non ha negato in radice che il fatto non sia mai avvenuto, ma ha dichiarato “Non avevo compreso che dovevo incassare in contanti”. 
Successivamente, con raccomandata del 19.3.2024 la società contestava che “la committente BRT ha formalmente e tempestivamente segnalato testualmente “esito non veritiero da parte del driver” allorché ### trascriveva sul palmarino in dotazione, che il mancato ritiro era addebitabile all'assenza del cliente (…), indicando come orario di transito dal detto cliente le ore 16:01 mentre alle 15:36 si trovava già nella filiale per chiudere la distinta”. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
In risposta alla suddetta contestazione, il ricorrente si giustificava inviando una missiva con cui affermava che: “La comunicazione del ritiro mi è arrivata quando ero già fuori dalla zona e lontano. Al mio ritorno l'esercizio commerciale era già chiuso”. Pertanto, anche in tal caso il ricorrente non negava del tutto il fatto del mancato ritiro del collo da consegnare, ma prospettava una diversa dinamica dei fatti. 
Inoltre, deve sottolinearsi come, contrariamente a quanto sostenuto dall'### in ricorso, la conciliazione stipulata tra le parti ha carattere omnicomprensivo, involgendo tutte le spettanze, anche a titolo risarcitorio, vantate dal lavoratore al momento dell'accordo e non è stata limitata esclusivamente al residuo ferie e ai ### Rilevate, quindi, le seguenti considerazioni: che il ricorrente per sua stessa ammissione ha richiesto più volte al legale rappresentante della resistente il pagamento di retribuzioni, che risultano coperte dalla conciliazione antecedentemente stipulata; che il licenziamento è scaturito anche da due precedenti contestazioni disciplinari in relazione alle quali l'avvenimento del fatto storico non può considerarsi un mero pretesto elaborato dal datore, alla luce anche delle giustificazioni rese dal lavoratore, non si ritiene configurato il motivo ritorsivo unico e determinante del licenziamento, nei termini descritti dalla giurisprudenza innanzi menzionata, come allegato dalla parte attrice. 
In presenza di tali allegazioni, dunque, non è stata ammessa la prova per testi come articolata dal ricorrente. 
Al contrario, invece, è fondata la censura attorea riguardante l'assenza della giusta causa di licenziamento. 
Preliminarmente, occorre individuare la normativa in tema di licenziamento per giusta causa applicabile al caso di specie, così come descritta dalla giurisprudenza. 
Al riguardo, la Suprema Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che “Il licenziamento per giusta causa, irrogato per una condotta tenuta dal dipendente nell'ambito del rapporto di lavoro e ritenuta dal datore di lavoro tanto scorretta da minare il vincolo fiduciario, è un licenziamento ontologicamente disciplinare, a prescindere dalla sua inclusione tra le misure disciplinari dello specifico regime del rapporto, e deve essere Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 assoggettato, quindi, alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell'art. 7 Stat. lav. circa la contestazione dell'addebito e il diritto di difesa” (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass., sez. lav., n. 14326 del 9 agosto 2012). 
Venendo al merito della contestazione in esame, è necessario accertare se il comportamento addebitato al ricorrente, così come contestato, sia idoneo a configurare un grave inadempimento degli obblighi gravanti sul lavoratore e conseguentemente a giustificare l'esercizio del potere di recesso del datore di lavoro. 
In proposito vale la pena di premettere in diritto la nozione di giusta causa, così come espressa in una massima consolidata dei giudici di legittimità: “La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell'elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all'intensità del profilo intenzionale, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell'elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento "che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto", la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall'interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici” (cfr. Cass., sez. lav., 26 aprile 2012, n. 6498; Cass., sez. lav., 8 settembre 2006, n. 19270). 
Per giungere al giudizio relativo alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, ai sensi dell'art. 2119 c.c., occorre, pertanto, accertare in concreto, se, in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore di lavoro, e, quindi, alla qualità ed al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava, la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obbiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stata posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente, risulti obiettivamente e subiettivamente idonea a ledere, in modo grave, così da farla venire meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere una sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva (cfr., tra le altre, Cass., sez. lav., 01.03.2011, n. 5019). 
La condotta addebitata al lavoratore deve, dunque, configurare un inadempimento di tale gravità da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria del rapporto di lavoro, a causa del venir meno dell'elemento fiduciario che rappresenta il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti del rapporto di lavoro. Il licenziamento, pertanto, deve rappresentare una conseguenza proporzionata alla violazione commessa, la cui gravità deve risultare tale che qualunque altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro. (in tal senso cfr. Cass., sez. lav., 18.09.2012, n. 15654; Cass., sez. lav., 11.05.2002, n. 6790). 
Per quanto concerne l'onere della prova, “In tema di licenziamento, l'art. 5 della l. n. 604 del 1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, sicché il giudice non può avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova, il cui uso è consentito solo quando sia necessario dirimere un'eventuale sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi, oppure quando, assolto l'onere probatorio dalla parte che ne sia onerata, sia l'altra a dover dimostrare, per prossimità alla suddetta fonte, fatti idonei ad inficiare la portata di quelli dimostrati dalla controparte” (Cassazione civile sez. lav., 29/03/2018, n.7830). Dunque, “Nel caso di licenziamento disciplinare, il datore di lavoro che contesti ad un lavoratore di aver posto in essere un determinato comportamento ha, o quanto meno dovrebbe avere, gli elementi necessari a dimostrarne la sussistenza di tale comportamento, eventualmente anche mediante presunzioni, mentre il lavoratore che neghi l'esistenza del comportamento o la sua rilevanza disciplinare dovrebbe provare anche in via presuntiva eventuali fatti positivi contrari a quello contestato o attestanti l'insussistenza della sua rilevanza disciplinare, fermo restando l'onere probatorio gravante in via principale sul datore di lavoro. Quindi, se la sussistenza del fatto contestato non risulti sufficientemente provata, si applica la tutela indennitaria, laddove, se sia stata Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 raggiunta prova evidente dell'insussistenza del fatto, la tutela è quella reintegratoria attenuata. Nel caso di contumacia del datore di lavoro, il fatto contestato è indimostrato e, quindi, insussistente, senza ulteriori oneri probatori a carico del lavoratore, ai fini della tutela reintegratoria” (Tribunale Roma sez. lav., 12/05/2020, n.2442). 
Pertanto, è opportuno precisare che la disciplina di cui al D.lgs. 23/2015 stabilisce all'art. 3 -rubricato “### per giustificato motivo e giusta causache: “1. ### quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilita'.  2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attivita' lavorative, nonche' quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell'indennita' risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non puo' essere superiore a dodici mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore e' attribuita la facolta' di cui all'articolo 2, comma 3. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 3. Al licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1 non trova applicazione l'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.” La disposizione legislativa prevede la tutela reintegratoria in caso di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo esclusivamente allorquando sia provato in giudizio da parte del ricorrente l'insussistenza del fatto materiale. 
La suddetta disposizione deve essere interpretata non in senso derogatorio rispetto a quanto previsto dall'art. 5 della L. n. 604/1966, bensì combinandosi con esso; di guisa che in capo al datore è posta sempre la prova della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo, mentre il lavoratore potrà ottenere la tutela reintegratoria piena solo allorquando dimostri in giudizio direttamente l'insussistenza del fatto materiale. 
Tali considerazioni sono condivise anche dalla giurisprudenza, la quale ha stabilito che: “Con la tutela prevista dall'art. 3 comma 2 D.L.vo 23/2015, nella parte in cui prevede che l'insussistenza del fatto contestato sia direttamente dimostrata in giudizio, il legislatore non ha voluto trasferire sul lavoratore l'onere di dimostrare quanto da lui affermato in sede di impugnazione del licenziamento, in deroga dunque al principio generale codificato all'art.  5, legge n. 604/1966, che invece affida tale onere probatorio al datore di lavoro, atteso che non può di certo ritenersi che con l'avverbio “direttamente” si sia voluto ribaltare la norma generale sul riparto dell'onere della prova. In effetti, se il legislatore avesse voluto introdurre una modifica così ingente al riparto degli oneri probatori, avrebbe fatto uso di espressioni normative molto più esplicite e incisive del semplice ricorso ad un avverbio. 
Resta, così fermo, a parere della Corte, il principio stabilito dall'art. 5 legge 604/66 con la conseguenza che il difetto di prova della sussistenza del fatto contestato cade in danno del datore di lavoro e conduce all'accertamento giudiziale di illegittimità del recesso. Ciò che la norma introduce, tuttavia, è un differente grado di tutela, questo sicuramente conseguenza anche di una precisa scelta processuale del lavoratore. Se quest'ultimo, infatti, intende beneficiare della maggior tutela, dovrà premurarsi di offrire elementi di prova che dimostrino l'insussistenza del fatto addebitato. Certo, tuttavia, che nel caso come quello in esame, in cui sia acquisita in giudizio la prova piena dell'insussistenza del fatto anche sotto il profilo della non addebitabilità dello stesso al lavoratore, la domanda di reintegrazione da quest'ultimo proposta dovrà ritenersi fondata, laddove, in caso di Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 elementi acquisiti equivoci e/o contraddittori, il lavoratore riceverà la tutela indennitaria” (Corte di Appello di Roma del 9 aprile 2019). 
Quanto alla nozione di “fatto materiale”, la Suprema Corte ha precisato che: “4.3.  ### delle tutele, nel suo impianto generale, richiama quella già intrapresa dalla L. n. 92 del 2012 di modifica della L. n. 300 del 1970, art. 18, anche nella sua logica di ritenere la reintegrazione come residuale rispetto alla tutela indennitaria (Cass. n. 19732 del 2018; Cass. n. ### del 2017; Cass. n. 14021 del 2016), già letta dalle ### unite di questa Corte (sent. n. ### del 2017) quale "espressione della volontà del legislatore di attribuire alla cd. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale".  4.4. ### la formulazione del D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, non è perfettamente coincidente con quella di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, che, invece, riconosce la sanzione della reintegrazione, sia pure nella forma cd. "attenuata", nei casi in cui "Il giudice (...) accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perchè il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa (...)". 
In particolare, in un caso, la reintegrazione è collegata all'insussistenza del "fatto materiale contestato" (D.Lgs. n. 23 del 2015), nell'altro, all'insussistenza del "fatto contestato" (art.  18 cit.).  4.5. La giurisprudenza di legittimità, in questi anni, ha elaborato una nozione di insussistenza del "fatto contestato" che, come efficacemente sintetizzato nella sentenza 10019 del 2016, "comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente".  ### pronuncia n. 13178 del 2017, questa Corte, nel fare il punto sulla interpretazione del comma 4 dell'art. 18 cit., ha ricostruito in termini di continuità le pronunce rese al riguardo, evidenziando come il principio affermato da Cass. n. 23669 del 6 novembre 2014 sia "stato ripreso, sviluppandone l'effetto applicativo, da Cass. 13.10.2015 20540, Cass. 20.9.2016 n. 18418 e Cass. 12.5.2016 n. 10019, secondo cui l'insussistenza del Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 fatto contestato comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità o rilevanza giuridica e quindi il fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare, oltre che il fatto non imputabile al lavoratore e da Cass. 13.10.2015 n. 20545, che ha chiarito come ogniqualvolta il fatto contestato presupponga anche un elemento non materiale (come la gravità del danno) allora tale elemento diventa anch'esso parte integrante del "fatto materiale" come tale soggetto ad accertamento, sicchè anche in tale ipotesi l'eventuale carenza determina la tutela reintegratoria".  4.6. E' significativo osservare che, per pervenire a dette conclusioni, siano stati valorizzati da un lato il tenore letterale della norma, che fa riferimento al "fatto contestato", dall'altro, sotto il profilo logico, la assoluta sovrapponibilità "dei casi di condotta materialmente inesistente a quelli di condotta che non costituisca inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero non sia imputabile al lavoratore stesso" (in questi termini, Cass. 10009 cit).  5. Occorre, a questo punto, domandarsi se le medesime conclusioni possano confermarsi anche in relazione alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 23 del 2015.  5.1. Ritiene il Collegio che alla domanda debba darsi risposta affermativa.  5.2. Il testo del D.Lgs n. 23 del 2015, art. 3 ha, evidentemente, riacceso il dibattito, già in precedenza sviluppatosi in relazione all'art. 18 cit.. I fautori della tesi del fatto materiale, inteso come riferito alla sola condotta realizzatasi nella realtà fenomenica, comprensiva cioè unicamente di azione o omissione, nesso di causalità ed evento, ravvisano nella nuova e più stringente locuzione normativa la necessità di un'esegesi che, maggiormente conforme al dato letterale, imponga di interpretare la norma nel senso che la tutela reintegratoria, in quanto di carattere eccezionale, debba rimanere circoscritta alla sola assenza degli elementi costitutivi della condotta, come realizzatasi nella realtà fenomenica, senza che possa assumere alcun rilievo l'atteggiamento psicologico dell'agente; dall'altro, i sostenitori del fatto giuridico che, nell'evidenziare il carattere atecnico della nozione di fatto materiale, valorizzano il richiamo alla contestazione e/o fanno leva sul concetto di inadempimento per giungere alle conclusioni già espresse in passato.  5.3. Osserva la Corte come, pur dovendosi valutare il tenore letterale della nuova disposizione, nondimeno sia parimenti indubitabile che le espressioni utilizzate (id est: fatto Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 materiale contestato) non possano che riferirsi alla stessa nozione di "fatto contestato" come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla L. n. 300 del 1970, art.  18, comma 4 e che costituisce, all'attualità, diritto vivente.  5.4. Il medesimo criterio razionale che ha già portato questa Corte a ritenere che "quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il ### parlando di "insussistenza del fatto contestato", abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione" (in termini, ab imo, Cass. n. 20540 del 2015), induce il convincimento, sia pure in presenza di un dato normativo, parzialmente mutato, che la irrilevanza giuridica del fatto, pur materialmente verificatosi, determina la sua insussistenza anche ai fini e per gli effetti previsti dal D.Lgs. n. 23 del 2015, art.  3, comma 2. 
Invero al fatto accaduto ma disciplinarmente del tutto irrilevante non può logicamente riservarsi un trattamento sanzionatorio diverso da quello previsto per le ipotesi in cui il fatto non sia stato commesso.  5.5. Conforta tale assunto una lettura costituzionalmente orientata della norma, dovendosi, al riguardo, affermare che qualsivoglia giudizio di responsabilità, in qualunque campo del diritto punitivo venga espresso, richiede per il fatto materiale ascritto, dal punto di vista soggettivo, la riferibilità dello stesso all'agente e, da quello oggettivo, la riconducibilità del medesimo nell'ambito delle azioni giuridicamente apprezzabili come fonte di responsabilità.  5.6. Non va poi trascurato che la ### come in ultimo rammentato con la pronuncia n. 194 del 2018 (punto 9.1 del Considerato in diritto), affermò (sentenza n. 45 del 1965, punti 3. e 4. del Considerato in diritto) che il diritto al lavoro, "fondamentale diritto di libertà della persona umana", pur non garantendo "il diritto alla conservazione del lavoro", tuttavia "esige che il legislatore (...) adegui (...) la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato al fine ultimo di assicurare a tutti la continuità del lavoro, e circondi di doverose garanzie (...) e di opportuni temperamenti i casi in cui si renda necessario far luogo a licenziamenti". Questa esortazione, come è noto, fu accolta con l'approvazione della L. n. 604 del 1966, che sancì, all'art. 1, il principio della necessaria giustificazione del licenziamento, da considerarsi illegittimo se non sorretto da una "giusta causa" o da un "giustificato motivo". 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
Il Giudice delle leggi ha in seguito affermato il "diritto (garantito dall'art. 4 Cost.) a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente" (sentenza n. 60 del 1991, punto 9. del Considerato in diritto) e ha poi ribadito la "garanzia costituzionale ### diritto di non subire un licenziamento arbitrario" (sentenza n. 541 del 2000, punto 2. del Considerato in diritto e ordinanza n. 56 del 2006); in altra pronuncia, la ### ha richiamato la "L. 9 febbraio 1999, n. 30, recante "### ed esecuzione della ### sociale ### riveduta, con annesso, fatta a ### il 3 maggio 1996" per contenere " detta ### entrata in vigore il 1 settembre 1999, (...) disposizioni volte a circondare di specifiche garanzie la posizione dei prestatori di lavoro contro i licenziamenti, prevedendo, in particolare (art. 24), l'impegno delle parti contraenti a riconoscere il diritto dei lavoratori a non essere licenziati senza un valido motivo" (sentenza nr 46 del 2000, punto 3., ultima parte, del ### in diritto) ed ha, inoltre, affermato che "la materia dei licenziamenti individuali è oggi regolata, in presenza degli artt. 4 e 35 Cost., in base al principio della necessaria giustificazione del recesso" (sentenza n. 41 del 2003, punto 2.1. del Considerato in diritto).  5.7. A rafforzare la raggiunta conclusione, vi è altresì la considerazione che l'art. 3, al pari dell'art. 18, fa riferimento alla contestazione, già valorizzata da questa ### per equiparare alla insussistenza del fatto la completa irrilevanza dello stesso sotto il profilo disciplinare e che, dunque, anche rispetto alla nuova disciplina, impone di ritenere che il "fatto materiale contestato", di cui al D.Lgs n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, sia il "fatto contestato" e cioè, in definitiva, un fatto non solo materialmente integrato ma anche di rilievo disciplinare.  5.8. Infine non può tacersi che la diversa soluzione lessicale adottata dal legislatore del 2015 -che ha implementato la formula che limita i casi di reintegrazione con l'aggiunta dell'aggettivo "materiale" in stretta connessione con l'esplicita estraneità di "ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento"- si spiega agevolmente con l'esigenza di dissipare per la nuova disciplina dubbi interpretativi che all'epoca erano ancora ben presenti nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale a proposito del comma 4 dell'art. 18 novellato… 7. La sentenza impugnata va pertanto cassata e rinviata alla ### di appello che nel riesaminare la fattispecie dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto: "Ai fini Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 della pronuncia di cui al D.Lgs. n. 23 del 2015, art. 3, comma 2, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare "” (Cassazione civile sez. lav., 08/05/2019, n.12174). 
Tanto premesso, dalla contestazione disciplinare da cui è scaturito il licenziamento, già riportata in narrativa, si evince che ciò che viene contestato al ricorrente è di aver parcheggiato in data ### senza autorizzazione presso la propria abitazione l'autoveicolo aziendale modello ### -targato ### e di non averlo parcheggiato al deposito BRT della filiale di via ### n. 158 in ### All'esito dell'attività istruttoria espletata, tuttavia, è stata raggiunta la prova che il ricorrente era stato autorizzato dalla società datrice a parcheggiare il veicolo aziendale presso la propria abitazione. 
Al riguardo, il primo teste di parte ricorrente -### ha dichiarato: “A.D.R. 
Indifferente. Sono dipendente della società resistente da circa 3 anni e 10 mesi. Svolgo per la resistente l'attività di corriere. Preciso che è capitato verso la metà, fine del mese di febbraio del 2024 che, circa una settimana dopo la conciliazione sindacale stipulata sia da me sia dal ricorrente con la società resistente, vi fosse un briefing tra me, il ricorrente e ### presso la filiale di ### n 177. Preciso che tale briefing avvenne verso le 9.30, 10 del mattino durante il picking all'interno dell'attività lavorativa. 
Preciso che eravamo soliti fare questi briefing io, il ricorrente e ### in quanto eravamo lavoratori considerati “vicini al sindacato”. Preciso che durante tale incontro vi erano anche altri lavoratori più avanti rispetto a dove eravamo noi tra cui ricordo ### Preciso che durante tale incontro il ### confermò così come anche in passato che potevamo ricoverare il veicolo presso le nostre abitazioni o rilasciarlo all'interno della brt. Preciso che sin dall'inizio della mia attività lavorativa presso la resistente io stesso ho ricoverato il veicolo presso la mia abitazione sia il veicolo ### che utilizzavo prima della conciliazione, sia un altro veicolo ### di struttura più piccola che utilizzavo dopo la conciliazione. Preciso che l'autorizzazione mi è sempre stata data verbalmente da ### Preciso che non sono a conoscenza né ho Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 mai visto autorizzazioni scritte al ricovero del veicolo presso l'abitazione e neppure ad oggi che io sappia vi sono autorizzazioni scritte. Preciso che il ### nell'incontro in cui era presente anche il ricorrente, innanzi menzionato, dichiarò espressamente: ”ragazzi per me non è cambiato niente dovete stare tranquilli, siete autorizzati a portare i furgoni presso la vostra abitazione come avveniva anche in precedenza”. Ricordo dunque che in tale incontro il ### autorizzò espressamente il ricorrente a continuare a portare il veicolo presso la propria abitazione ed ivi ricoverarlo. Preciso che in quella occasione il ### non menzionò in modo specifico il veicolo utilizzato dal ricorrente ma che io ricordi egli all'epoca utilizzava un ### di medie dimensioni. Che io sappia il ricorrente nel periodo antecedente a tale incontro era solito ricoverare il veicolo da egli utilizzato presso la propria abitazione”. 
Il secondo teste di parte ricorrente -### ha dichiarato: “A.D.R.: Indifferente. 
Non sono mai stato dipendente della società dipendente né ho mai avuto contenzioso con la stessa. Preciso che attualmente sono disoccupato ma in precedenza sino al 13 settembre 2024 se non erro ho lavorato per circa 9 anni presso varie cooperative afferenti alla brt. 
Preciso che ho lavorato dapprima per la cooperativa ### e successivamente per la cooperativa ### Preciso che ho fatto il passaggio presso quest'ultima società il primo aprile del 2024. Preciso che in ogni caso ho sempre prestato attività lavorativa presso il medesimo capannone n 177 sito in ### Preciso che presso tale capannone erano impiegate circa una decina di cooperative tra cui anche la ### Preciso che ero un corriere espresso. Preciso che erano impiegati nel capannone in questione plurimi lavoratori di varie cooperative che svolgevano la medesima attività. Preciso che vi era un rullo al centro dove si smistavano i pacchi e ai suoi estremi vi erano delle banchine dove i lavoratori delle varie cooperative attendevano di prendere i suddetti pacchi. Definisco tale attività come picking. Preciso che pertanto presso tale capannone i lavoratori impiegati avevano una visuale di 360 gradi e di conseguenza potevo vedere nello svolgimento delle proprie attività i lavoratori delle altre cooperative tra cui anche quelli della ### “tutti potevamo vedere tutti”. Preciso che inizialmente ho lavorato presso la sede di ### e dal 2022 presso quella di ### dove ho conosciuto il ricorrente. Pertanto, ho conosciuto lo stesso sul luogo di lavoro. Preciso che verso la metà. Fine del mese di febbraio del 2024 ho assistito al seguente episodio: vi era il ricorrente con ### e Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 successivamente sopravvenne anche ### in tale circostanza “tendendo l'orecchio” ho ascoltato che il sig. ### chiedesse al ### l'autorizzazione a ricoverare il proprio veicolo presso la propria abitazione e il ### fece un cenno positivo con la testa. Preciso che ciò avvenne nel capannone n 177 sito in ### durante la fase di picking e che io ero collocato nella banchina di fianco a quella del ricorrente e del ### Preciso che era prassi per il 70, 80% dei lavoratori impiegati nel predetto capannone di ricoverare il veicolo presso la propria abitazione. Preciso che anche io quando ero alle dipendenze della cooperativa ### ricoveravo il veicolo presso la mia abitazione e l'ho sempre fatto mediante un'autorizzazione orale, in via informale. 
Preciso che ho ricoverato talvolta il veicolo presso la mia abitazione anche alle dipendenze della cooperativa ### ma sporadicamente in quanto non avevo la confidenza per poter fare molte volte tale richiesta. Preciso che a quanto io sappia, l'autorizzazione per tutte le cooperative impiegate preso il capannone innanzi menzionato avveniva sempre oralmente. 
Non ho mai visto autorizzazioni per iscritto né sono a conoscenza di procedure formali per autorizzazione. Preciso che è capitato sia prima sia dopo l'episodio a cui ho assistito e da me innanzi descritto che alla fine della giornata lavorativa vedessi l'### portare il proprio veicolo a casa. Se non ricordo male egli utilizzava un ### Preciso che chi non portava a casa il veicolo lo ricoverava nel parcheggio del capannone. Pertanto, quando alla fine delle attività lavorative tornavo a casa e portavo con me il mio veicolo ho visto andare via dal capannone con il proprio veicolo il ricorrente e ovviamente ho dedotto che anch'egli come me stesse andando a casa. Preciso che nel corso del tempo e con l'intensificarsi del rapporto personale anche il ricorrente mi ha confermato che ricoverava il veicolo a casa. Non so dire se nell'episodio da me innanzi menzionato fu dato il permesso anche al ### di ricoverare il veicolo in quanto egli si allontanò dalla banchina”. 
Il primo teste di parte resistente -### - ha dichiarato: “A.D.R. 
Indifferente. Preciso che mi sono sempre occupato di attività di logistica in qualità di autista. Preciso che ho lavorato dal 1999 presso varie società e che dal 2014 presto la mia attività alo capannone n 177 di ### alla via ### n158. Preciso che dal 2018 al dicembre del 2024 sono stato amministratore della società ### e dal gennaio 2025 lavoro per la cooperativa ### Preciso che in ogni caso dal 2018 al 2024 ho svolto attività di autista e andavo tutti i giorni presso il suddetto capannone. Preciso che nel periodo in Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 questione utilizzavo un furgone che lasciavo sempre al capannone. Preciso che nessun altro lavoratore della mia cooperativa portava il furgone a casa. Preciso che personalmente non ho mai visto lavoratori di atre cooperative non ricoverare il furgone nel parcheggio del capannone alla fine del turno e quindi portarlo con sé dopo la cessazione della giornata lavorativa. Preciso che ci incontravamo tutti anche i lavoratori di altre cooperative presso il parcheggio del capannone. Preciso che ho visto un'autorizzazione a ricoverare il furgone a casa di un lavoratore della ### se non ricordo male il suo cognome era ### Non so dire quando ciò avvenne, ma me la mostrò in quanto ci trovammo a parlare. Preciso che ricordo di aver visto la firma di ### sull'autorizzazione in questione. Non ricordo di aver visto autorizzazioni di altre società. Preciso che vi era una prassi ancora diffusa secondo cui era necessaria un'autorizzazione per iscritto per ricoverare il veicolo a casa. Preciso che a quanto io sappia anche la ### richiede necessariamente un'autorizzazione motivata per consentire il ricovero del veicolo a casa”. 
Il secondo teste di parte resistente -### - ha dichiarato: “A.D.R. Indifferente. Da circa 8 anni lavoro per la brt. Sono attualmente il responsabile di filiale n 177 del capannone sito in ### alla via ### n 158, ###. In precedenza ero responsabile operativo presso la suddetta filiale da quando era aperta intorno al 2020 sino al novembre 2024. Preciso che mi occupavo della gestione e del controllo dei processi produttivi nel suddetto capannone e delle operazioni e del controllo del magazzino. Preciso che mi recavo tutti i giorni in ufficio presso il predetto capannone e che sullo stesso erano impiegate più società cooperative. Preciso che vedevo i lavoratori delle cooperative quando svolgevano l'attività di picking nel capannone. Preciso che le cooperative che lavoravano nel capannone avevano a disposizione un parcheggio esterno per il ricovero dei furgoni del delivery. Preciso che le società cooperative lasciavano a fine giornata lavorativa i furgoni nel parcheggio. Preciso che poteva capitare che il sabato e la domenica quando il parcheggio dei veicoli era chiuso i responsabili mi chiedessero di poter per il tramite dei loro dipendenti accedere al suddetto parcheggio per prelevare i veicoli ivi ricoverati e portarli fuori per manutenzione o altra attività. Preciso che in tali casi ero io ad autorizzare l'apertura del parcheggio da parte della sorveglianza e l'utilizzo dei veicoli. Preciso che alla luce di tale richiesta verbale io redigevo un “permessino” scritto in cui autorizzavo la sorveglianza a aprire il cancello e a consentire di prendere il veicolo. Non vi era una Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 regola precisa per la riconsegna del veicolo ma solitamente veniva, salvo casi eccezionali, riconsegnato in giornata. Preciso che solitamente per quanto concerne la ### veinva da me in ufficio e mi chiedeva verbalmente il rilascio del “permessino” per prendere il furgone il sabato o la domenica. Preciso che in un'occasione un dipendente della ### di nome ### mi mostrò un “permessino” scritto a mano della società e mi chiese se lo stesso potesse andare bene per il rilascio del mio permesso per prender il veicolo il sabato o la domenica. Non ricordo con precisione da chi fosse firmato tale permesso e il suo contenuto ma gli dissi che era necessario anche il mio permesso, altrimenti non avrebbe potuto prelevarlo. Non ho visto altri permessi di questo genere in altre occasioni. Non so dire se a ritirare il veicolo il sabato o la domenica andasse fisicamente il ### o un suo dipendente. Che io sappia tutte le cooperative lasciavano i veicoli nel parcheggio. Non sono a conoscenza né ho mai visto redatte per iscritto autorizzazioni all'utilizzo del veicolo con ricovero a casa dello stesso da parte dei dipendenti. tuttavia, posso affermare questo solo con riferimento alla mia esperienza e non ne ho una contezza diretta in quanto erano accordi tra i lavoratori e le cooperative. 
Conosco il ricorrente in quanto era un lavoratore impiegato per la ### presso la struttura di ### innanzi menzionato. Che io sappia egli non ha mai ricoverato il proprio veicolo a casa e non so se abbia mai preso lo stesso il sabato o la domenica”. 
Orbene, le dichiarazioni dei testi di parte ricorrente possono esser poste a fondamento del convincimento del giudice circa l'assenza della giusta causa di licenziamento, in quanto dalle stesse risulta provato che il ricorrente è stato autorizzato a parcheggiare il veicolo utilizzato sul lavoro presso la propria abitazione. Ed infatti, il teste ### dipendente della resistente in relazione alla quale non ha avuto in passato e non ha tuttora pendente alcun contenzioso, ha affermato che in sua presenza nel mese di febbraio 2024 presso il capannone di via ### in ### -legale rappresentante della convenutaha autorizzato sia il ricorrente sia egli stesso a ricoverare il furgone del lavoro presso le rispettive abitazioni, confermando una prassi che avveniva già in passato. Inoltre, egli ha dichiarato che era presente il giorno del predetto accadimento, sebbene posizionato più in lontananza, ### Quest'ultimo, escusso come secondo teste del ricorrente, ha dichiarato nello specifico: “verso la metà. Fine del mese di febbraio del 2024 ho assistito al seguente episodio: vi era il ricorrente con ### Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 ### e successivamente sopravvenne anche ### in tale circostanza “tendendo l'orecchio” ho ascoltato che il sig. ### chiedesse al ### l'autorizzazione a ricoverare il proprio veicolo presso la propria abitazione e il ### fece un cenno positivo con la testa. Preciso che ciò avvenne nel capannone n 177 sito in ### durante la fase di picking e che io ero collocato nella banchina di fianco a quella del ricorrente e del ### Preciso che era prassi per il 70, 80% dei lavoratori impiegati nel predetto capannone di ricoverare il veicolo presso la propria abitazione. Preciso che anche io quando ero alle dipendenze della cooperativa ### ricoveravo il veicolo presso la mia abitazione e l'ho sempre fatto mediante un'autorizzazione orale, in via informale. Preciso che ho ricoverato talvolta il veicolo presso la mia abitazione anche alle dipendenze della cooperativa ### ma sporadicamente in quanto non avevo la confidenza per poter fare molte volte tale richiesta. Preciso che a quanto io sappia, l'autorizzazione per tutte le cooperative impiegate preso il capannone innanzi menzionato avveniva sempre oralmente. Non ho mai visto autorizzazioni per iscritto né sono a conoscenza di procedure formali per autorizzazione. Preciso che è capitato sia prima sia dopo l'episodio a cui ho assistito e da me innanzi descritto che alla fine della giornata lavorativa vedessi l'### portare il proprio veicolo a casa”. Pertanto, anche il secondo teste di parte ricorrente ha dichiarato di aver assistito in prima persona al momento in cui il ### ha autorizzato l'### a portare il veicolo aziendale a casa. Altresì, egli ha affermato non solo di aver visto qualche volta il ricorrente portare il suddetto veicolo a casa dopo il lavoro, ma che era una prassi seguita da tutte le cooperative operanti presso il capannone di via ### in ### quella di consentire ai dipendenti di ricoverare il veicolo aziendale presso le proprie abitazioni e che ciò avveniva con autorizzazione orale e senza una particolare procedura. Al tempo stesso il ### il quale ha lavorato alle dipendenze di plurime cooperative operanti sulla suddetta piattaforma, ha dichiarato che anch'egli era stato autorizzato da diversi datori a portare la vettura aziendale a casa. 
Le dichiarazioni dei predetti testi, dunque, appaiono dettagliate, concordanti e provenienti da persone con conoscenza diretta dei fatti di causa, le quali non hanno ad oggi e non hanno avuto in passato contenzioso con la resistente e, quindi, ragioni di animosità o interessi Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 personali. Anzi, a ben vedere, il teste ### ha dichiarato di essere ancora dipendente della resistente. 
Di converso, invece, non possono considerarsi idonee a superare quanto provato dal ricorrente e a corroborare le prospettazioni della convenuta le dichiarazioni dei testi di quest'ultima. Invero, il teste ### ex dipendente ed amministratore di varie cooperative operanti sulla piattaforma di via ### in ### ha dichiarato: che egli non ha mai parcheggiato presso la propria abitazione l'autovettura aziendale; che presso la suddetta struttura era diffusa la prassi secondo cui tutti i lavoratori ogni giorno dovevano riportare al capannone i veicoli; che anche la ### seguiva a quanto egli sappia tale prassi; di aver visto un'autorizzazione scritta a firma di ### rilasciata ad un lavoratore della ### che veniva identificato in ### con cui veniva consentito di ricoverare la vettura aziendale presso la propria abitazione. ### tale teste ha saputo riferire con riguardo ad una presunta prassi generale, ma non ha avuto una percezione diretta dei fatti di causa in relazione alla persona dell'### Parimenti il secondo teste di parte resistente escusso, ### non ha avuto percezione diretta dei fatti di causa con espresso riferimento alla vicenda dell'### Le sue dichiarazioni sono relative a dei permessi rilasciati per l'utilizzo dei furgoni dal parcheggio del capannone di via ### in ### nei giorni di sabato e domenica, ma non al loro ricovero giornaliero da parte dei dipendenti presso le proprie abitazioni. Sullo specifico punto, il teste si è limitato a dichiarare genericamente che a quanto egli sapesse i furgoni venivano parcheggiati al capannone, ma non ha saputo riferire altro. Egli, infatti, ha dichiarato: “Che io sappia tutte le cooperative lasciavano i veicoli nel parcheggio. Non sono a conoscenza né ho mai visto redatte per iscritto autorizzazioni all'utilizzo del veicolo con ricovero a casa dello stesso da parte dei dipendenti. tuttavia, posso affermare questo solo con riferimento alla mia esperienza e non ne ho una contezza diretta in quanto erano accordi tra i lavoratori e le cooperative”. 
Inoltre, il teste ### ha dichiarato che il dipendente ### gli mostrò un permesso della ### riguardo cui non ha saputo fornire particolari dettagliati, chiedendogli se lo stesso fosse sufficiente per ritirare il veicolo parcheggiato nel capannone durante il fine settimana. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
Alla luce di quanto esposto, pertanto, le dichiarazioni dei testi del ricorrente devono essere considerate maggiormente attendibili e, di conseguenza, idonee a radicare il convincimento dello scrivente. 
Del resto, in presenza delle menzionate dichiarazioni testimoniali, non assume rilevanza il documento n. 11 allegato di parte resistente, scritto a pena, con cui ### autorizzava il lavoratore ### a portare a casa la vettura aziendale, in quanto tale documento, isolatamente considerato, non esclude a priori un'autorizzazione verbale nei confronti del ricorrente e non è indice di una qualsivoglia prassi aziendale. E nemmeno, al contrario, la resistente ha fornito la prova dell'esistenza di direttive aziendali che imponessero di parcheggiare i veicoli aziendali presso il capannone innanzi indicato. 
Da ultimo, con riferimento alla recidiva, nel caso di specie si tratta di due episodi di diversa natura che non sono stati oggetto di provvedimento disciplinare. Ne consegue che, nel caso in esame, la menzione alla recidiva assume rilevanza esclusivamente ai fini del giudizio di proporzionalità della sanzione. In argomento, infatti, la giurisprudenza ha precisato che “Si deve altresì ribadire il principio consolidato secondo cui, nel licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione dell'addebito al lavoratore incolpato debba riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva, o comunque, i procedimenti disciplinari che la integrano, solo nell'ipotesi in cui questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già quando essa costituisca mero criterio di determinazione della sanzione proporzionata a tale mancanza (Cass., 31/07/2019, n. 20723). 
È evidente invece che, nella specie, i precedenti disciplinari evocati nella lettera di contestazione vengono in rilievo non come elementi costitutivi della condotta addebitata bensì come mere circostanze finalizzate all'apprezzamento della congruità e proporzionalità del provvedimento disciplinare. 
Ciò significa che quando, come nel caso di specie, la recidiva non sia elemento costitutivo della fattispecie espulsiva, determinati fatti, disciplinarmente apprezzabili e richiamati nella lettera di licenziamento, possono comunque influire sulla valutazione effettuata dal datore di lavoro, sotto il profilo della gravità della condotta contestata e della proporzionalità della sanzione irrogata. 
Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025
In altri termini, un comportamento che isolatamente considerato ha un certo rilievo, può acquistare un valore peggiorativo se valutato insieme ad altri, espressamente richiamati e presenti nella storia pregressa del lavoratore, al fine di compromettere ulteriormente il vincolo fiduciario la cui violazione è alla base della giusta causa di licenziamento” (### di Appello di ### Lav., sent. del 07/02/2020, n.246).  ### dell'assenza del fatto contestato con il provvedimento di licenziamento, quindi, comporta l'assorbimento della valutazione anche delle precedenti contestazioni valide solo ai fini del giudizio di proporzionalità del provvedimento espulsivo. 
Può, dunque, essere affermato che il ricorrente ha assolto all'onere della prova diretta dell'insussistenza del fatto materiale, così come interpretato dalla giurisprudenza, ai sensi dell'art. 3 del D.lgs. 23/2015. 
Alla luce di quanto espresso, invero, è accertata l'assenza della giusta causa di licenziamento e l'insussistenza diretta del fatto materiale. 
Venendo alle conseguenze giuridiche, considerate le dimensioni aziendali e le richieste attoree, il licenziamento va annullato e il datore di lavoro condannato al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, pari ad euro 1.915,049, così come calcolata dal ricorrente su onere del Tribunale secondo conteggi coerenti con il dato normativo e privi di vizi logici e ontologici, nella misura di dodici mensilità per l'importo di complessivo di euro 22.980,588. 
Non risultano né allegati né provati sia l'aliunde perceptum sia l'aliunde percipiendum anche in ragione delle carenze assertive della memoria difensiva della resistente. 
Tali considerazioni sono condivise dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17683/2018 e Cass. ###/2018) secondo cui “in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall'indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dell'art. 18, comma 4, st.lav., a titolo di "aliunde percipiendum", di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l'onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l'utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno” e “il cosiddetto "aliunde perceptum" non costituisce oggetto di eccezione in Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 senso stretto ed è, pertanto, rilevabile d'ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo, anche se per iniziativa del lavoratore”. 
La società resistente va, altresì, condannata al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegra. 
Parte resistente, inoltre, in virtù dell'esercizio del diritto di opzione, deve essere condannata anche al pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegra ai sensi del comma 3 dell'art. 2 del D.lgs. 23/2015 nella misura di quindici mensilità per l'importo di euro 28.725,735 (1.915,049 x 15). Il suddetto comma, infatti, stabilisce che “### restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale”. 
Per quanto concerne, invece, la domanda attorea relativa al pagamento delle differenze retributive, essa è infondata. 
Sullo specifico punto, infatti, in linea generale deve osservarsi che la validità del negozio transattivo postula la consapevolezza dei diritti di cui si sta disponendo e della sussistenza di una volontà abdicativa.  ### la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. Lav., 08/11/1999, n. 12411; Cass. Civ., Lav., 13/12/1982 n. 6855) la consapevolezza è strettamente collegata alla determinazione o alla determinabilità dell'oggetto: si afferma, infatti, che “l'elemento volitivo proprio del negozio di rinunzia ex art. 2113 c.c. non è diverso da quello proprio di qualsiasi negozio; esso, pertanto, postula che il precetto dell'autonomia privata abbia un oggetto determinato o determinabile, mentre non rileva, salvo l'errore essenziale di fatto di diritto, che il dichiarante abbia una rappresentanza esatta dell'oggetto medesimo, sia sotto il profilo naturalistico sia sotto quello normativo”. 
Parallelamente, la dichiarazione del lavoratore, oltre che contenere una precisa indicazione del diritto di cui sta disponendo, deve poggiare sulla chiara volontà di transigere (Cass. Civ., Sez. Lav., 18/04/2008, n. 10218); ad esempio, l'autentica volontà abdicativa è da escludere quando il lavoratore rinuncia ai diritti esistenti, ma ancora ignoti al titolare e, quindi, Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 insuscettibili di figurare come oggetto di un consapevole atto di disposizione (Cass. Civ., Sez. Lav., 17/5/2006, n. 11536). 
È opportuno, poi, evidenziare che la disposizione dell'art 2113, primo comma, c.c., che stabilisce l'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti rapporti di cui all'art. 409 c.c. trova il suo limite di applicazione nella previsione di cui all'ultimo comma del citato art. 2113 c.c. che fa salve sia le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185,410 e 411 c.c. sia quelle nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere coerentemente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell'intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa a sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro. 
Si noti, però, che “il conciliatore sindacale non è un pubblico ufficiale ma un semplice terzo che in sede sindacale e nel momento in cui le parti addivengono ad determinato assetto di interessi, garantisce con la sua presenza l'assenza di uno stato di inferiorità o soggezione tra il lavoratore e il datore di lavoro che giustifica la previsione di cui all'art. 2113, co. 4 cod. proc.civ. e cioè l'immediata validità di tale conciliazione che non può essere impugnata nel termine di sei mesi ivi previsto salvo il caso del mancato rispetto dei requisiti minimi di validità del contratto” (Cass. Sez. Lav., 6/5/2016, n. 9255). 
Ciò posto, proprio con riferimento alla conciliazione in sede sindacale ex art. 411, terzo comma, c.c., la giurisprudenza parte del rilievo che sia imprescindibile “che vi sia stata un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di propri rappresentanti sindacali”. Ad avviso di Cass. Civ. Sez. Lav. -sent. 24024 del 2013- , invero, “Per il combinato disposto degli artt. 2113 cod. civ. e 410, 411 cod. proc. civ., le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione sindacale, non sono impugnabili ex art. 2113, commi 2 e 3, cod.civ., solo a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva, consentendo al lavoratore di sapere a quale diritto rinunzia ed in che misura, e, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto si Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 evinca la “res dubia” oggetto della lite (in atto o potenziale) e le “reciproche concessioni” in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'art. 1965 c.c.”. 
Quale che possa essere, quindi, la configurazione giuridica del rapporto fra il sindacato e l'aderente ad esso, è evidente che solo i propri rappresentanti sindacali sono quelli qualificati ad assistere ai lavoratori ed a tutelare i di lui interessi, impedendo pertanto quel vizio di invalidità che altrimenti inquinerebbe l'atto di rinunzia o transazione. 
Pertanto, “è questo un profilo delicato e sommamente importante dell'indagine che deve compiere il giudice di merito onde accertare che vi sia stata l'effettiva assenza del lavoratore, assistenza che può essere offerta solo agli esponenti di quell'organizzazione sindacale alla quale il lavoratore medesimo abbia ritenuto di affidarsi. Altre forme di presenza non possono pertanto ritenersi al riguardo idonee a sottrarre la rinunzia e la transazione al regime legale d'invalidità di cui si è detto, in relazione al che va richiamato quanto esplicitamente enunciato da questa ### circa la inidoneità, per ritenere inoppugnabile la transazione, di una sola generica assistenza sindacale” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. Lav., 22/10/1991 n. 11167). 
In particolare, al fine di verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale occorre valutare se, in base alle concrete modalità espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa (Cass. Civ. Sez. Lav., 03/04/2002, n. 4730). 
È comunque indispensabile l'appartenenza del rappresentante sindacale all'organizzazione cui aderisce il lavoratore (Cass. Civ. Sez. Lav. 03/09/2003, n. 18858). La giurisprudenza di merito espressasi sul punto ha precisato che “In tema di lavoro subordinato, una conciliazione, per essere qualificata come "sindacale", ai sensi degli artt. 411, comma 3 c.p.c., nonchè 2113, comma 4 c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonchè dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore. 
Il carattere dell'inoppugnabilità e della definitività della conciliazione stessa sussiste quindi solo qualora abbia partecipato attivamente alla conciliazione e sottoscritto la transazione stessa il sindacalista appartenente all'organizzazione sindacale alla quale risulti iscritto il lavoratore; deve essere quindi presente il sindacalista che possa considerarsi Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 rappresentante "di fiducia" del lavoratore” (Tribunale Napoli sez. lav., 21/09/2017, n.6147). 
E', poi, vero che l'impugnazione della rinuncia o della transazione deve comunque essere proposta nel termine perentorio di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto, oppure del negozio dispositivo se intervenuto successivamente. Tale limitazione temporale mira a tutelare l'interesse del datore di lavoro, disponendo dopo la scadenza del termine indicato il consolidarsi delle reciproche posizioni giuridiche. La decadenza in questione, tuttavia, non è rilevabile di ufficio ed è assoggettata alle preclusioni generali del rito lavoro previste dagli artt. 416 e 420 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Lav. n. 908/1995), per cui può essere eccepita dalla parte convenuta entro la prima udienza.  ### fattispecie de qua, innanzitutto, come già evidenziato in narrativa, dal tenore letterale dell'atto è palese che la conciliazione sindacale stipulata tra le parti ha ad oggetto non solo il residuo ferie e ### come dedotto dal ricorrente, ma ha contenuto più ampio involgendo tutte le rivendicazioni avanzate dal lavoratore sino a quel momento. 
Ciò premesso, in via assorbente, deve essere accolta l'eccezione di decadenza proposta dalla resistente poiché la conciliazione è stata stipulata in data ### e la sua impugnazione è avvenuta per la prima volta con il ricorso di cui è causa depositato in data ### e successivamente notificato quando, oramai, era già decorso il termine di 6 mesi normativamente previsto. È neppure il ricorrente ha dedotto che la conciliazione è stata dettata da eventuali vizi del consenso proponendo la relativa azione. 
A quanto precede consegue il rigetto della domanda in questione.  ### parziale del ricorso giustifica la compensazione delle spese di lite per la metà, mentre per la residua frazione esse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.  P.Q.M.  Sentenza n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025 ###. ###, quale Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattesa, così provvede: - Accoglie parzialmente il ricorso; - Per l'effetto, in accoglimento della domanda di impugnativa del licenziamento irrogato dalla ### società cooperativa in data ### ne dichiara l'illegittimità; - Per l'effetto, condanna la ### società cooperativa al pagamento in favore di ### del risarcimento dei danni subiti da quest'ultimo stabilendo un'indennità omnicomprensiva in misura di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto goduta all'atto della risoluzione, pari ad euro 1.915,049, per l'importo complessivo di euro 22.980,588, oltre interessi legali sui crediti annualmente rivalutati dal dovuto al soddisfo e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; - Per l'effetto condanna la ### società cooperativa al pagamento in favore di ### dell'indennità sostitutiva della reintegra, ai sensi del comma 3 dell'art. 2 del D.lgs. 23/2015, per l'importo di euro 28.725,735, oltre interessi legali sui crediti annualmente rivalutati dal dovuto al soddisfo; - Rigetta nel resto il ricorso; - Condanna la resistente ### società cooperativa al pagamento della metà delle spese di lite in favore del ricorrente ### che liquida in tale misura ridotta in euro 2.314,50, oltre rimborso forfettario per spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge, con attribuzione in solido ai procuratori costituiti; - Compensa le spese di lite per la residua frazione. 
Aversa, 24.7.2025 Il Giudice del lavoro Dott. ### n. cronol. ###/2025 del 24/07/2025

causa n. 13521/2024 R.G. - Giudice/firmatari: Paladino Giannicola

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Corte di Cassazione, Sentenza n. 18455/2023 del 28-06-2023

... 1369 del 1960 (studiato per contrastare fenomeni di caporalato selvaggio, nel contesto dell'economia manifatturiera del dopoguerra)”. 2. Col secondo motivo, deduce “in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., viol azione e falsa appl icazione dell'art. 27 comma 2 d.lgs. n. 27 6/2003 richiamato dall'art. 29 comma 3 bis del medesimo d.lgs.”. Critica il punto in cui la decisione della Corte di merito ha affermato <che l'art. 27 comma 2 del D.lgs. n. 276/2003 (secondo il quale “tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del 5 rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effe ttivamente utilizzato la prestazio ne”) riguarderebbe i soli atti di gestione del rapporto , tra i quali non rientrerebb e il licenziamento, che sarebbe, invece, soltanto un atto est intivo. Inoltre, post o che il licenziamento da parte di ### è inter venuto dopo diversi me si dalla cessaz ione dell'appalto, ### non potrebbe avvalersene in quanto … ### non era datore di lavoro del sig. ### dal 2005> (cfr. pagg. 11-13 del ricorso). 3. Ritiene il Collegio che sia priva di (leggi tutto)...

testo integrale

SENTENZA sul ricorso 10363-2018 proposto da: ### S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in #### 22, presso lo studio dell'avvocato ### che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ##### - ricorrente principale - contro ### di lavoro R.G.N. 10363/2018 Cron. 
Rep. 
Ud. 16/03/2023 PU ### elettivamente domiciliato in #### 2, presso lo studio dell'avvocato ### che lo rappresenta e difende; - controricorrente - ricorrente incidentale - contro ### S.R.L.; - intimata - avverso la sentenza n. 666/2017 della CORTE ### di ###.G.N. 859/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/03/2023 dal ###. ### il P.M. in persona del ###.  ### visto l'art. 23, comma 8 bis del D.L.  28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.  ### ricorso depositato il 20.5. 2014, ### conveni va innanz i al Tribunale di Torino la ###ni s.p.a. e la ### s.r.l., chiedendo di: - accertare e dichiarare la violazione del divieto di intermediazione di manodopera ex d.lgs.  276/2003 e per l'effetto dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato del ricorrente alle dipendenze della ### s.p.a. 3 (che aveva incorporato la ### dal 18.7.2005 o da altra data da accertarsi, con diritto all'inquadramento nel quarto livello contrattuale, classe 4, personale amministrativo, C.C.N.L. Imprese di ### e relativo trattamento retributivo e pre videnziale; - condannare la convenuta Uni pol###n i s.p.a. a co rrispondergli i premi aziendali, legati al buon andamento del bilancio aziendale, ed i buoni pasto per l'intero periodo lavorativo; in via subordinata, - accertare e dichiarare il suo di ritto all'inquadramento nel IV livello contrattuale, classe 4, personale amministrat ivo, del suddetto C.C.N.L., sempre dal 18.7.2005 o da altra data da accertarsi, con il relativo trattamento retributivo e previdenziale; - condannare la convenuta ### s.r.l. alle corrispondenti differenze retributive nel periodo di sussistenza del rapporto di lavoro subordinato in capo alla medesima; - condannare la convenuta ### s.r.l. a corrispondere i premi aziendali, legati al buon andamento del bilancio aziendale, e i buoni pasto per l'intero periodo lavorativo.  2. Costituitesi entrambe le convenute, contestando tali domande, con sentenza resa il ###, il Tribunale adito così provvedeva: “accerta e dichiara la sussistenza di un rapporto di lavoro subordi nato a temp o indeterminato tr a il ricorrente e ### s.p.a. dal 18.7.2005 co n inquadramento n el quarto livello contrattuale, classe IV person ale ammi nistrativo ### ive ### respinge le altre domande rivolte nei confronti di ### s.p.a.; respinge le domande rivolte nei confronti di ### s.r.l.”; condannava l'attore al pagamento delle spese nei confronti della ### mentre compensava integralmente quelle tra il ### e la ### fatta eccezione per quelle di C.T.U. che venivano poste a carico del primo.  3. Con la sentenza in epigrafe indicata, nella contumacia questa volta della ### la Corte d'appello di Tori no, pr evia riunione de i relativi procedimenti, respingeva gli appelli che erano stati autonomamente interposti contro la decisione di prime cure sia dal ### che dalla ###ni; compensava le spese del secondo grado tra queste ultime parti; e dichiarava la sussistenza delle condizioni per l'ulteriore pagamento, a carico di ### di un importo pari a quello del contributo unificato dovuto per l'impugnazione. 4 4. Per quanto qui ancora interessa, la Corte territoriale, nel respingere l'appello di ### come il primo giudice riteneva provato che si era di fronte, non ad un appalto genuino, ma ad una ipotesi di illegittima fornitura di manodopera.  5. Avverso tale decisione, l'###ni s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.  6. #### ha resistito con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di unico motivo.  7. ###.G. ha depositato memoria in cui ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.  RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo mo tivo, la ricorrente principale ### denuncia, “in relazio ne all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 29 del D.lgs. 2 76/2003”. ### la st essa, l'impugnata sentenza era “compl etamente errata, poiché estend e meccanicamente il cam po applicativo della dispo sizione di cui all'art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003 ad una fattispecie concreta che certamente non si presta ad essere sussunta sotto d i essa, nei termi ni indicati dalla Corte di M erito”. Per l'impugnante, la pronuncia della Corte di merito non avrebbe tenuto “conto del fatto che siamo qui nel l'ambito non soltanto di prestazioni di c.d. labour intensive, dov e è preponderante il fattore umano rispetto all'organizzazione ed impiego di mezzi, ma anche di appalti tecnologici - da svolgersi nel contesto della nuova economia digitale - alla quale sono estranee le metodiche che portavano ad individuare l'illiceità dell'appalto secondo lo schema prefigurato dall'art. 1 legge n. 1369 del 1960 (studiato per contrastare fenomeni di caporalato selvaggio, nel contesto dell'economia manifatturiera del dopoguerra)”.  2. Col secondo motivo, deduce “in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.  proc. civ., viol azione e falsa appl icazione dell'art. 27 comma 2 d.lgs. n. 27 6/2003 richiamato dall'art. 29 comma 3 bis del medesimo d.lgs.”. Critica il punto in cui la decisione della Corte di merito ha affermato <che l'art. 27 comma 2 del D.lgs. n. 276/2003 (secondo il quale “tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del 5 rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effe ttivamente utilizzato la prestazio ne”) riguarderebbe i soli atti di gestione del rapporto , tra i quali non rientrerebb e il licenziamento, che sarebbe, invece, soltanto un atto est intivo. Inoltre, post o che il licenziamento da parte di ### è inter venuto dopo diversi me si dalla cessaz ione dell'appalto, ### non potrebbe avvalersene in quanto … ### non era datore di lavoro del sig. ### dal 2005> (cfr. pagg. 11-13 del ricorso).  3. Ritiene il Collegio che sia priva di fondamento la prima doglianza.  4. Second o un indirizzo di que sta Corte o rmai consolidato ed anche di recente confermato in termini generali, in tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, del d.lgs.  n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un ri sultato in sé autonomo, da conseguire attr averso una effett iva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo o organizzativo sia in teramente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest 'ultimo, l'intuitus personae nella scelta del personale, atteso che, nelle ip otesi di somminist razione illeg ale, è frequente che l'elemento fiduciario caratterizzi l' intermediario, il quale seleziona i lavo ratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro (così Cass. civ., sez. VI, 25.6.2020, 12551, che, nella specie, ha cassato la sentenza di merito per aver ritenuto lecito l'appalto, nonostante le indicazioni ai lavoratori sui compiti da svolgere in concreto fossero fornite dalla committente, che parte dei beni utilizzati per il lavoro fossero della banca e che l'appaltatore non avesse, presso la sede ###referente organizzativo; e in termini esatti o analoghi, tra le altre, id., sez. lav., 3.11.2020, n. 24386; id., sez. lav., 13.2.2020, n. 3631 e n. 3631; id., sez. lav., 10.6.2019, n. 15557, anche per precisazioni circa il confronto con la previgente disciplina di cui alla L. n. 1369 del 1960). 6 5. Ebbene, la decisione gravata, in base a quanto accertato, è conforme a tali principi. 
Essa, peraltro, aveva correttamente premesso che: “(1) ove l'appalto richieda, per la sua esecuzione, l'uso di mezzi dell'appaltatore, da parte dei prestatori da esso dipendenti, diviene irrilevante (o sca rsamente rilevante) il fatto che manchi o appaia aff ievolito l'esercizio, da parte dell'appaltatore, del potere direttivo su tali lavoratori; (2) viceversa, ove ci si trovi in presenza di prestazioni ad alta intensità di manodopera (c.d. labour intensive), accompagnate quindi da mezzi materiali dell'appaltatore ridotti a pochi - se non del tutto assenti - attrezzi, è sufficiente a rendere lecito l'appalto, il concreto esercizio, ad opera dell'appaltatore, del potere organizzativo o direttivo sui lavoratori dal medesimo dipendenti” (così a pag. 20 della stessa).  6. ###, invece, richiamate talune voci dottrinali a riguardo, assume che: “Ora, l'attività di “sistemista reti” e “solver” in campo informatico, che era quello oggetto dell'appalto ed in concreto svolta dal sig. ### richiede unicamente un significativo know how finalizzato alla risoluzione degli specifici problemi informatici posti dal committente (rappresentato dai diversi dipendenti/addetti di ### che utilizzano quei software ed incont rano difficoltà di vario gener e durante detto utilizzo, di fficoltà che possono avere le ragioni più diverse ivi compresi i malfunzionamenti del sistema)”. Si tratterebbe, per la stessa, “di attività che non necessita di uno specifico coordinamento o di specifiche direttive e che non si presta in alcun modo ad essere sottoposta ad una qualche forma di potere organizzativo o direttivo concepito in senso tradizionale - giacché consiste esclusivamente nella risoluzione di problemi tecnici contingenti nel tempo più rapido possibile e n el momento in cui gli ste ssi si pr esentano, impie gando risorse intellettuali e competenze tecniche che sono i concreti strumenti di lavoro degli addetti”, perché “i solver sono a disposizione del cliente interno e risolvono il problema che questi rappresenta loro secondo le sue necessità”. 
Il servizio prestato consiste dunque, secondo la ricorrente, in una attività meramente intellettuale ad alto contenuto di competenze, che non si presta ad una specifica direzione ed organizzazione. ### esercita l'organizzazione dell'appalto limitandosi di fatto a decidere il numero di risorse (ovvero di persone) da destinare allo specifico servizio da svolgere. Non è invece immaginabile che costui diriga (in senso tradizionale) la prestazione del solver, impartendo ordini ed esercitando nei loro confronti un potere direttivo inteso 7 come emanazione di discipline e direttive specifiche. I solver sono di fatto autonomi ed intervengono a richiesta per rendere l'apporto previsto dal contratto d'appalto. 
Sarebbe, allora, sbagliato de durre l'illiceità dell'appalto dal fatto che la ### appaltatrice del servizio nell'ambito del quale il ### prestava la sua attività, non esercitasse “una reale organizzazione della prestazione lavorativa” di costui. 
Il fatto che l'appaltatore non eserciti un qualche genere di potere direttivo nei confronti dei propri addetti può avere rilevanza nell'ambito di servizi labour intensive ma svolti da personale privo di particol are know how e che non richi edono particol ari competenze tecniche e specialistiche (ad esempio, i servizi di pulizia o quelli di facchinaggio). 
Diversa dovrebbe esser e, invece, la considerazione di tale elemento ( la mancata spendita di un potere di organizzazione e conformazione della prestazione) nell'ambito di servizi all'interno dei quali operano persone con particolar i competenze tecniche e conoscenze specialistiche, che sono gli strumenti necessari per eseguire il servizio stesso. 
La Corte territoriale avrebbe reso un'interpretazione dell'art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003 che può essere utilizzata per qualificare i rapporti di personale che è privo di konw how e non svolge prestazioni ad alto contenuto intellettuale. 
Sempre secondo la ricorrente, “con i moderni sistemi telefonici ed informatici, per dare ipotetiche direttive non occorre affatto la presenza fisica di un coordinatore sul posto di lavoro, potendo bastare un cellulare o un computer collegato alla rete. ### (e l'applicazione in concreto) dell'art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003 in determinati contesti (quelli degli appalti tecn ologici, che hanno ad oggetto servizi inf ormatici) dovrebbero dunque tenere conto di questo innegabile ed oggettivo dato di fatto”.  7. Nota la Corte che per tal modo l'impugnante addebita in definitiva al giudice di secondo grado (come già a quello di prime cure) di aver fornito una lettura “retrograda” della fattispecie concreta (si vedano in particolare i richiami dottrinali proposti), che si caratterizzerebbe per essere l'appalto di cui è processo, non solo relativo a prestazione di servizio c.d. labour intensive, ma prettamente tecnologico, nei termini sopra riportati.  8. Osserva in proposito il Collegio che taluni argomenti svolti per perorare tale tesi, come suol dirsi, provano (rectius, proverebbero) troppo: invero, se tutti i c.d. solver### 8 fossero “di fatto autonomi”, come assume la ricorrente, non solo rispetto a tali lavoratori non sarebbe configurabile un potere organizzativo e direttivo di chicchessia nei confronti del lavorator e utilizzato nel contratto, ma essi nemmeno sarebbero dei lavorato ri subordinati. A voler seguire la linea di pe nsiero della ricorre nte tali figure sarebbero piuttosto in un rapporto diretto con invisibili algoritmi, ma paritetico, essendo in possesso di quel know how ad elevato livello intellettuale tale da essere in grado di affrontare (e, a quanto pare, risolve re, essendo appunto dei solvers) qual siasi problema di natura informatico-digitale.  9. Le deduzioni della ricorrente, comunque, per un verso, neanche tengono conto di quanto effettivamente accertato in punto di fatto dalla Corte distrettuale, e, per altro verso, sono, come si è visto, ammissive del dato che il lavoratore non fosse assoggettato al potere organizzativo e direttivo dell'appaltatore ### e, infine, per un ulteriore verso, muovono da una diversa ricostruzione di taluni dati fattuali, che non è ovviamente consentita in questa sede di legittimità.  10. Più in particolare, la Corte territoriale, nemmeno ha detto in qualche punto della sua deci sione che il ### fosse un solver, in campo info rmatico, per così d ire, a chiamata, come descritto dalla ricorrente, ma ha appurato che: “Nel caso oggetto di causa l'istruttoria esperita consente di afferm are che l'at tività svolta dal ### (che, pacificamente, aveva mansioni di sistemista reti e di assistente informatico) in favore della committente si svolgeva con utilizzo di attrezzature facenti capo alla convenuta e negli uffici della stessa, ove operavano con le stesse mansioni anche sei dipendenti di ### (cfr. testimonianze di #### e ### tutti dipendenti di ###”. Ebbene, nelle proprie pur interessanti osservazioni, la ricorrente non tiene assolutamente conto di queste precise affermazioni della Corte d'appello, segnatamente circa l'identità di mansioni svolte dal ### e da altri sei lavoratori, tutti, questi ultimi sei, alle dipendenze della ### 11. Analogamente, la stessa Corte ha scritto che: “### il lavoro del ### era quotidianamente diretto e coordinato (esattament e come quello dei dipende nti de lla ### che svolgevano le stesse mansioni) da ### e ### (cfr., ancora, testimonianze #### e ###, né poteva essere diversamente 9 posto che la refe rente ### ologies (### non era costante mente presente in ### durante l'orario di lavoro, ma si limitava ad andare spesso (teste ###, a passare saltuariamente (teste ###”.  12. Ergo, i giudici di merito non hanno riscontrato che il lavoratore fosse quella sorta di monade, che descrive la ricorrente, sottratta alla “specifica direzione ed organizzazione” di chicchessia.  13. Nello svolgimento del primo motivo, si sostiene anche che: “Né possono rilevare elementi come l'informazione data direttamente a ### circa le assenze (essendo evidente che si tratta di mero rispetto dei principi di buona fede e correttezza) o l'invito rivolto a dipendenti e non a meglio coordinarsi per le fe rie; in caso d i mancato coordinamento volontario è evidente che sarebbero intervenuti i rispetti vi ref erenti decidendo ciascuno per la sua parte delle ferie dei propri dipendenti, indipendentemente dalle personali esigenze di questi ultimi”.  14. Ancora una volta, però, la Corte distrettuale non ha accertato questo, ma ha aggiunto molto di più, e cioè che: “-per le ferie si concordava un calendario comune tra tutti gli addetti, sia interni che esterni, al custode care (teste ###; il ### non poteva decidere qua ndo prendersi le ferie (t este ### e, se sulla b ase delle disponibilità manifestate (da dipendenti e non) non si riusciva a coprire i turni del periodo feriale, il ###”, ossia, come si è visto, il dipendente di ### che dirigeva e coordinava il ### come gli altri dipendenti della stessa ### “interveniva nei confronti sia dei dipendenti che dei non dipendenti perché si coordinassero meglio (teste ###; - il ricorrente comunicava le assenze a ### e ### (testi #### e ###”.  15. A torto, inoltre, la ricorrente assume che: “### ha infine a che vedere con una asserita mancata direzione ed organizzazione del rapporto da parte dell'appaltatore, la frequentazione di corsi di aggiornamento con i dipendenti della committente. Non vi è alcun elemento che porti a ritenere che si tratti di una decisione della committente e non dell'appaltatore”. 10 16. Si legge, infatti, nell'impugnata sentenza: “- il ricorrente veniva formato su nuovi procedure ed applicativi, unitamente ai dipendenti ### da est erni incaricati da ### (testi ### e ###”. 
Dunque, da un lato, non si trae assolutamente dall'accertamento probatorio compiuto dalla Corte torinese che il servizio prestato in appalto nella persona - si noti - del solo ### ma con espletamento di mansioni identiche a quelle disimpegnate da tutti gli altri dipendent i di ### nella medesima sede, fosse un'“attivit à meramente intellettuale ad alto contenuto di competenze”, tale, cioè, da rendere il ### praticamente autonomo, come asserisce la ricorrente. Dall'altro lato, l'ipotesi che i corsi proprio in campo informatico comuni al ### come ai sicuri dipendenti di ### potessero essere stati “decisi” da ### ancorché i relativi incarichi per quei corsi fossero stati conferiti da ### non trova alcun riscontro in quanto accertato dalla stessa Corte.  17. Ineccepibilmente, perciò, la Corte di merito aveva concluso che: “In capo alla ### formale datore di lavoro, rimanevano, dunque, sostanzialmente i soli compiti di gestione am ministrativ a del rapporto (quali ret ribuzione e materiale concessione dei periodi di ferie e di permessi), senza che vi fosse da parte di tale società una reale organizzazione della prestazione lavorativa del ### Così stando le cose, diventa irrilevante (come del tutto condivisibilmente affermato nella succitata giurisprudenza di legittimità) il fatto che ### avesse o meno una propria organizzazione autonoma e si assumesse o meno il rischio economico”.  18. Invero, in relazione a fattispecie più simili a quella che qui ci occupa, questa Corte di recente ha insegnato che, in tema d 'interposizione nelle prestazi oni di lavor o, l'utilizzazione, da parte dell'appaltatore, di capitali, macchin e ed attrezzatur e fornite dall'appaltante dà luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie ### vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 1, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l'apporto dell'appaltatore; la sussistenza (o no) della modestia di tale apporto (sulla quale riposa una presunzione iuris et de iure) deve essere accertata in concreto dal giudice, alla stregua dell'oggett o e del contenuto intrinseco dell'appalto; con la conseg uenza che 11 (nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell'appaltante) l'anzidetta presunzione legale assoluta non è conf igurabile ove risulti un rilevante appo rto dell'appaltatore, mediante il conferimento di capit ale (diverso da quello im piegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi rilievo preminente nell 'economia dell'appalto. Detto criterio assume pregnanza ancora maggiore con l'entrata in vigore del D.lgs. n. 276 del 2003 laddove la descritta presunzione della L. n. 1369 del 1960 - concepita peraltro in un'epoca non ancora pervasa dalla automazion e della produzione e dalle tecnolog ie informatiche - è stata oggetto di abrogazione e “non è più richiesto che l'appaltatore sia titolare dei mezzi di produzione, per cui anche se impiega macchine ed attrezzature di proprietà dell'appaltante, è possibile provare altrimenti - purché vi siano apprezzabili indici di autono mia organizzativa - la gen uinità dell'appalto. Così, mentr e in appalti che richiedono l'impiego di import anti mezzi o materiali, c.d. “pesanti”, il requisi to dell'autonomia organizzativa deve essere calibrato se non sulla titolarità, quanto meno sull'organizzazione di questi mezzi, negli appalti c.d. “leggeri” in cui l'attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, è suffi ciente che in capo all'appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti (in tal senso Cass. civ., sez. lav., 11.3.2020, n. 6948 e in termini id., sez. lav., 9.1.2020, n. 251).  19. Ebbene, includendo il caso in esame tra gli appalti c.d. “leggeri”, resta il fatto che per non breve tempo il ### fu l'unico lavoratore “fornito” ad ### in un appalto rispetto al quale, comunque, i giudici di merito hanno incensurabilmente accertato che in capo all'appaltatore ### non sussisteva alcuna effettiva gestione di quel solo dipendente; il che riconosce la stessa ricorrente, quando in questa sede di legittimità, ammette che, in casi qual i quello in esame, “### altatore es ercita l'organizz azione dell'appalto limitandosi di fatto a decidere il numero di risorse (ovvero di persone) da destinare allo specifico servizio da svolgere”.  20. Parimenti da disattendere è il secondo motivo.  21. Rileva il Collegio che la Corte distrettuale, dopo aver riportato il testo dell'art. 27, comma 2, secondo periodo, d.lgs. n. 276/2003, aveva scritto: <Nel caso di specie la disposizione non può operare perché: - il licenziamento non è atto di gestione ma atto 12 estintivo del rapporto e, a differenza dell'atto costitutivo dello stesso, non è espressamente indicato tra gli atti che “transitano” dal somministratore (nel nostro caso dall'appaltatore) all'effettivo utilizzatore, divenendo ad esso imputabili; - in ogni caso, il licenziamento del ### da parte di ### è intervenuto il ###, non in corso di appalto (cessato il ###); - il #### non aveva (più) il potere di licenziare il ### dato che, per effetto dell'illegittima somministrazione di lavoro da parte di imprenditore a ciò non autorizzato, non era più - sin dal luglio 2005 - il suo reale datore di lavoro; il licenziamento intimato da un soggetto a ciò non legittimato perché non era l'effettivo datore di lavoro è da considerarsi tamquam non esset e dunque del tutto inidoneo a produrre l'effetto di interrompere il rapporto di lavoro subordinato (cfr.  S.U. 2517/1997 e numerose altre successive conformi)>.  22. Dunque plurime erano le ragioni per le quali i giudici di secondo grado avevano reputato inapplicabile al cas o la citata norma, ritenendo perciò ch e la ### lSai non potesse giovarsi del licenziamento intimato da ### 23. Ebbene, com'è agevole constatare, la ricorrente non ha utilmente impugnato in questa sede di legittimità la seconda di tali ragioni, indicata dalla Corte d'appello. 
Essa, infatti, in disparte la sua tesi secondo la quale anche il licenziamento sarebbe da includere tra gli atti di gestione del rapporto, si limita a dedurre che: “Il fatto poi che, nel caso di specie, l'appalto controverso fosse cessato da alcuni mesi non fa altro che confermare che il rapporto di lavoro con ### non poteva essere ritenuto ancora in essere al momen to del la sentenza, posto che il lav oratore per molti m esi dopo detta cessazione era rimasto alle dipendenze di ### aveva proseguito a svolgere l'attività lavorativa per conto di t ale compagine e dalla stessa avev a continuat o a percepire il trattamento economico spettante”.  24. Osserva, all ora, questa Corte ch e l'intero art. 27 d.lgs. n. 276/20 03 è stato successivamente abrogato dall'art. 55, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 81/2015. Peraltro, la previsione di cui al comma 2, secondo, periodo, dell'art. 27 cit. era stata praticamente riprodotta nel corpo del testo dell'art. 38 per l'appunto del d.lgs. n. 81/2015, che, sotto la rubrica “### irregolare”, al comma 3, secondo periodo, recita: “### gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, 13 per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal sogget to che ha effettivamente u tilizzato la p restazio ne”, così reiterando la norma contestualme nte abrogat a salvo aggiungere, pe r due volte, l'alternativa “o ricevuti” circa tali atti del somministratore.  ### e più di recente, l'art. 80 bis del d.l. n. 34/2020, conv., con modificazioni, dalla L. n. 77 del 2020, sotto la rubrica “### autentica del comma 3 dell'articolo 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”, ha previsto che: “Il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai sensi del quale tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione, si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento”. 
Nel caso in esame sarebbe stato in ipotesi applicabile ratione temporis ai fatti di cui è processo l'art. 27, comma 2, d.lgs. n. 276 del 2003, anche tenendo conto che il già cit.  art. 55 del d.lgs. n. 81 del 2015, al comma 3, aveva disposto che sino all'emanazione dei decreti richiamati dalle disposizioni dello stesso decreto legislativo, trovavano applicazione le regolamentazioni vigenti. 
Né sarebbe indispensabile nella specie soffermarsi sulla questione se l'intervento di espressa interpretazi one autentica d i cui all'ar t. 80 bis su citato, riguardante i l sopravvenuto art. 38, comma 3, d.lgs. n. 81/2015, possa essere rif eribile anche al previgente e poi abrogato art. 27, comma 2, secondo periodo, d.lgs. n. 276/2003. 
Appare dirimente, infatti, il dato inconfutabile, considerato dalla Corte a quo, che il licenziamento del ### fu intimato quando il contratto di appalto intercorso tra la ### e la ### era ormai da diversi mesi cessato, sicché, anche a voler credere quel recesso come atto di gestione del rapporto lavorativo che legava la società somministratrice al ### (il che appare smentito dal richiamato int ervento d'interpretazione autentica), esso non era stato compiuto “per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo”. 14 E tale rilievo, del tutto aderente al tenore letterale della disposizione, in ordine al quale la ricorrente non ha svolto alcun argomento critico, men che meno specifico, fa sì che della stessa non possa comunque giovarsi l'attuale ricorrente.  25. ### con specifico riferimento all'interpretazione dell'art. 27, comma 2, d.lgs.  276/2003 si osserva quanto segue.  ### taluni precedenti di questa Corte e, segnatamente, per Cass. n. 17969/2016 e, più di recente, Cass. n. 6668/2019, che richiama la precedente, se un contratto di appalto viene riqualificato come somministrazione irregolare di manodopera, gli atti di gestione compiuti dall'appal tatore illecito devono int endersi riferiti al soggetto che in concreto ha utilizzato l a prestaz ione lavorativa e, conseguentem ente, in caso di licenziamento intimato dall'appaltatore, l'impugnazione stragiudiziale dell'atto di recesso deve essere proposta nei confronti del committente che agisce di fatto come datore di lavoro, e non verso il somministratore. In particolare, per queste decisioni, riferite appunto all'art. 27, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, deve “ritenersi che, sia per quel che riguarda la tipologia di lavoro, che viene ricondotto all'utilizzatore negli stessi termini in cui era stato voluto ### e poi gestito dal somministratore, sia per quanto riguarda gli atti di gestione del rapporto, questi producono, per espressa volontà del legislatore, tutti gli effetti negoziali anche mo dificativi del rapporto di lavo ro, loro pro pri, ivi incluso il licenziamento”. 
Si tratta, però, di precedenti anteriori all'intervento d'interpretazione autentica di cui sopra s'è detto. 
E ritiene il Collegio che ci si debba discostare dagli stessi. 
In chiave d'esegesi evolutiva, si deve tener conto dell'intervento d'interpretazione autentica del legislatore, che ha valore retroattivo, sebbene specificamente riferito alla norma successiva, ma quasi identica. 
In ogni caso, il secondo periodo del com ma 2 dell'art. 27 parla di “T utti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto”, ma non anche di atti per la “estinzione del rapporto” stesso, né fa cenno al licenziamento o al recesso (del somministratore). Includere, quindi, il licenziamento negli atti per la “gestione” del 15 rapporto sarebbe una forzatura della lettera della norma, sia perché la “gestione” in sé riguarda un rapporto ancora in corso, sia perché il testo specifica “per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto l uogo”, così lasciando sempre int endere la prosecuzione del lavoro “somministrato” in detto periodo, altrimenti la specificazione in inciso sarebbe priva di senso plausibile. 
Del resto, se la previsione in parte qua è vol ta a sancire le consegu enz e della somministrazione irr egolare a tutela del lavoratore, parreb be contrario a tale ratio consentire che l'utilizzatore effettivo possa giovarsi del recesso del somministratore in danno del lavoratore. 
Nel caso di specie, poi, come evidenziato dalla Corte territoriale, il licenziamento del somministratore irregolare è stato intimato dopo che l'appalto irregolare era già cessato.  26. Con l'unico motivo del suo ricorso incidentale, l'intimato lamenta “### e falsa applicaz ione dell'art. 92 cpc in relazion e all'art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.”, sostenendo che: “La compensazione delle spese di lite n ei confronti della ### non trova alcuna motivaz ione esplicitat a dalla Corte a fro nte della soccombenza totale della stessa sul capo della sentenza di primo grado impugnata”.  27. La censura è priva di fondamento.  27.1. Come accennato in narrativa, anche il ### bini aveva autonomamente appellato la decisione di primo grado sotto diversi e non marginali profili, e la Corte di merito aveva integral mente respinto tale gravame (cfr., oltre che il disp ositivo della sentenza di secondo grado, la sua motivazione alle pagg. 9-16 della stessa). 
Essendo stato reiet to anche l'appe llo della ### si conf igurava, perciò , limpidamente un caso di “soccombenza recipro ca” che, ai sensi dell'ar t. 92, comma secondo, c.p.c. ben poteva fondare la totale compensazione delle spese di secondo grado, pronunciata dalla Corte territo riale, che, quando ha così disposto “sta nte l'esito del giudizio”, alludeva appunto chiaramente alla reiezione di entrambi i contrapposti appelli come immediatamente prima motivata.  28. Stante la reciproca soccombenza delle parti in questa sede di legittimità, ma essendo all'evidenza molto più contenuta la soccombenza del controricorrente ricorrente 16 incidentale, afferente solo alla reiezione della sua censura circa il regolamento delle spese del secondo grado, giusta l'art. 92, comma secondo, c.p.c., il Collegio ritiene congruo porre a carico della r icor rente principale la metà delle spese di qu esto giudizio di cassazione, come liquidate per intero in dispositivo, compensando quindi tra le parti la restante metà di tali spese.  29. Entrambe le parti contrapposte, però, sono tenute al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.  P.Q.M.  La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore del controricorrente e ricorrente incidentale, di metà delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per l'intero in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, compensando la restante metà di dette spese. 
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto. 
Così deciso in ### nella camera di consiglio del 16.3.2023.   

Giudice/firmatari: Raimondi Guido, Caso Francesco Giuseppe Luigi

M

Tribunale di Genova, Sentenza n. 286/2018 del 30-04-2018

... esso, fiorisce un collocamento illegale (il cosiddetto caporalato) che, a differenze del primo, non si limita ad inviare il numero di lavoratori richiesti secondo l'ordine di iscrizione negli elenchi, ma ingaggia la manodopera secondo i desideri del datore di lavoro, organizzandola in squadre. Questo fenomeno esisteva ampiamente nei primi venti anni di questo secolo nei porti italiani, nei quali gli operai, quasi sempre organizzati in cooperative o associazioni di fatto, affiancate a partiti politici, spesso erano costretti a rivolgersi ai cosiddetti "assuntori" o "caporali", i quali si incaricavano di reclutare le squadre da avviare al lavoro e pretendevano per questa funzione di intermediari, compensi non di rado esosi. … A partire dal 1923 ci furono vari interventi legislativi, destinati a porre ordine nel settore del lavoro portuale, e tale evoluzione si è conclusa con il codice della navigazione e il relativo regolamento, che hanno dettato una minuziosa disciplina del lavoro portuale. Tale disciplina è durata per circa 50 anni, fino a quando, cioè, a causa di alcune distorsioni derivanti dal regime di monopolio, in cui operavano le compagnie portuali, e la necessità di adeguare la (leggi tutto)...

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R.G. 4874/2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GENOVA Il Giudice Monocratico - ### del ### in persona della dott. ssa ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa promossa da ### ved. RAVECCA, ### e ### in proprio e quali eredi di ### rappresentati e difesi, in forza di procura in calce al ricorso, dagli avv. ### e ### presso il cui studio sono elettivamente domiciliati ricorrenti ### AUTORITA' ### (già ### di ###, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. ### rappresentata e difesa, in forza di procura a margine della memoria, dall'Avv. ### e dall'Avv. ###, elettivamente domiciliata presso la prima convenuta C.U.L.M.V. - ### Coop. a r.l., in persona del ### pro tempore, sig.  ### rappresentata e difesa, in forza di procura in calce alla copia degli atti per la chiamata di terzo notificati, dall'avv. ### presso il cui studio è elettivamente domiciliata terza chiamata ### delle parti: come da rispettivi atti di costituzione in giudizio MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 15 dicembre 2016 i sig. #### e ### premesso di essere rispettivamente coniuge, figlio e figlia, nonché eredi del sig. ### esponevano: - che il Sig. ### aveva lavorato nel porto di ### dal 9 giugno 1957 al 29 febbraio 1988 quale socio della ### (### del ### di ###, addetto alle operazioni di carico/sbarco delle merci; - che l'allora ### del ### di ### (di seguito ###, poi ### di ### gestiva in via esclusiva le liste dei lavoratori portuali e regolamentava i criteri di chiamata dei lavoratori, in modo vincolante per le compagnie portuali; - che la formazione delle squadre e l'assegnazione della zona di lavoro avvenivano sulla base di un piano predisposto dal ### - che il lavoro si svolgeva sotto la sorveglianza dei funzionari del ### cd. gestori di calata o d chiamata, che sorvegliavano il lavoro, intervenivano per rilevare infrazioni alla disciplina del lavoro o l'inosservanza alle misura di sicurezza; - che i corrispettivi dell'attività prestata dai lavoratori della ### addetti alle operazioni di carico / scarico erano fatturati dal ### che provvedeva poi a versarne una quota alla ### - che tra i materiali movimentati dai lavoratori addetti all'imbarco / sbarco delle merci nel porto di ### vi era anche, in notevole quantità, l'amianto; - che l'amianto era stato trasportato per anni sfuso e poi in sacchi di juta soggetti a facile lacerazione; - che il CAP, ente preposto alla vigilanza sulla sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro, nonché utilizzatore della manodopera fornita dalla ### aveva omesso di informare i lavoratori sui rischi derivanti dall'esposizione all'amianto, di imporre e di prescrivere misure e dispositivi di sicurezza e di vigilare sul loro utilizzo; - che tutte le operazioni di movimentazione dell'amianto avvenivano senza che fossero stati predisposti sistemi di aspirazione, riduzione, isolamento delle polveri di amianto, né misure organizzative atte a separare le lavorazioni a stretto contatto con l'amianto con quelle comportanti un rischio nullo o inferiore; - che il sig. ### era deceduto in data 11 aprile 2016 in conseguenza di un mesotelioma pleurico, diagnosticato dopo che nella primavera del 2014 erano comparsi dolori al torace; - che l'INAIL aveva riconosciuto la malattia professionale del sig. ### consistente in “mesotelioma pleurico di tipo epitelioide dx in soggetto con pregressa esposizione a fibre di amianto” ed aveva costituito in suo favore una rendita, parametrata dapprima al 75% di invalidità e poi all'80%; - che l'organizzazione lavorativa portuale era di competenza del CAP ai sensi del R.D.  801/1936, del codice della navigazione e del relativo ### di attuazione; - che pertanto ### di ### era responsabile dei danni cagionati al lavoratore per inadempienza agli obblighi di informazione, prevenzione e tutela che facevano capo all'allora CAP quale soggetto titolare dell'organizzazione (ed in concreto esercente la) attività produttiva nella quale i lavoratori della ### erano inseriti come prestatori di manodopera, nonché quale soggetto titolare ex lege di poteri autoritativi di organizzazione, direzione e sorveglianza del lavoro fornito dalle maestranze portuali, inclusi gli iscritti ai registri della ### - che, in ragione della posizione di garanzia attribuita dalla legge al CAP nei confronti di tutti i lavoratori portuali, la responsabilità del ### doveva essere ascritta a responsabilità da contatto e/o da violazione dell'art. 2087 c.c. (e pertanto essere qualificata come di natura contrattuale), o comunque doveva essere ascritta alla violazione del principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 I ricorrenti convenivano pertanto in giudizio ### di ### (di seguito ###, divenuta in corso di giudizio ### di ### del ### ai sensi del d.lgs. n. 169/2016, formulando le seguenti conclusioni: "Piaccia al Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis e previa ogni occorrenda pronuncia e declaratoria del caso: - in via principale, accertare e dichiarare la responsabilità di ### di ### in persona del legale rappresentante pro tempore, in ordine a tutti i danni non patrimoniali patiti dal fu signor ### e dai signori #### e ### in proprio e quali eredi del signor ### a seguito della malattia e del decesso di quest'ultimo; - conseguentemente condannare ### di ### al pagamento in favore degli odierni ricorrenti del risarcimento dei danni non patrimoniali patiti e patiendi dai conchiudenti con applicazione delle ### in uso a questo ###mo Tribunale e, occorrendo anche in via equitativa; - in ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali, iva, cpa, rimborso forfetario spese generali del 15% ed ogni successiva occorrenda".   ### di ### del ### (in breve ###, subentrata ad ### di ### ai sensi del d.lgs. n. 169/2016, si costituiva ritualmente in giudizio eccependo: - in via pregiudiziale, la nullità del ricorso per mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento delle domande; - sempre in via pregiudiziale, il proprio difetto di legittimazione passiva, sia perché la responsabilità doveva essere imputata al datore di lavoro, ossia alla ### e/o alle imprese che, all'epoca, svolgevano i servizi portuali, sia perché APG non era soggetto successore, tantomeno a titolo universale, del ### - ancora in via pregiudiziale, l'incompetenza per materia del giudice del lavoro (e, quindi, l'inapplicabilità del connesso rito speciale), non essendo mai intercorso alcun rapporto di lavoro tra il lavoratore e il ### - l'infondatezza nel merito delle pretese in ragione: a) della erroneità della diagnosi di mesotelioma pleurico nei confronti del lavoratore; b) dell'insussistenza del nesso di causalità tra l'attività lavorativa svolta dal lavoratore in ambito portuale e la patologia denunciata; c) dell'insussistenza di profili di colpa per omissione da parte del ### non essendovi all'epoca consapevolezza a livello scientifico della pericolosità delle polveri di amianto, anche sotto il profilo della loro cancerogenicità e della correlazione tra esposizione ad amianto e mesotelioma pleurico, essendo quindi l'evento imprevedibile; d) della carenza di prova della fondatezza delle domande dei ricorrenti; e) dell'erroneità della quantificazione del danno.   L'### chiedeva, inoltre, la chiamata in causa della ### sia perché ritenuta l'unica responsabilità dei fatti di causa, sia, in ogni caso, per essere da quest'ultima manlevata.   L'### formulava pertanto le seguenti conclusioni: “Piaccia all'###mo Tribunale di ### - Giudice Monocratico del ### ogni contraria domanda, eccezione ed istanza respinta: 1. in via pregiudiziale, dichiarare il difetto di competenza funzionale del Giudice adito per le ragioni di cui in narrativa; 2. sempre in via pregiudiziale, dichiarare la nullità per mancanza dei requisiti di legge del ricorso proposto nei confronti dell'### di ### (e, quindi, dell'### di ### del ### per le ragioni di cui in narrativa; 3. in via preliminare graduata, previo l'espletamento di quanto previsto dall'art. 420 c.p.c. e/o l'adozione di ogni provvedimento meglio visto e ritenuto: - disporre la chiamata in causa della ### (già ### fra i ### delle ### del ### di ###, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, C.F. ###, corrente in #### affinché le domande dei ricorrenti si estendano a detto soggetto, in quanto unico ed esclusivo soggetto responsabile per le motivazioni di cui in narrativa e comunque per l'accertamento della sua esclusiva responsabilità in relazione alle domande dei ricorrenti e per i fatti di causa - ovvero, in subordine, per l'accertamento della sua, concorrente e/o in solido e/o pro-quota e/o nella forma meglio vista, responsabilità - ovvero, ancora, per l'accertamento dell'inadempimento della stessa agli obblighi di cui in narrativa - e l'adozione di ogni relativo provvedimento di condanna nei confronti della stessa, come anche meglio esposto nelle conclusioni sub 5-6-7-8 che seguono. 
Si chiede, altresì, l'immediata estromissione dell'### di ### del ### (già ### di ### dal presente giudizio; - disporre la chiamata in causa della ### (già ### fra i ### delle ### del ### di ###, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, C.F. ###, corrente in #### affinché la stessa manlevi e/o tenga indenne in tutto e/o in parte, anche in relazione ad una responsabilità concorrente ed anche per i titoli e le ragioni di cui sopra ed anche in via di regresso, l'### di ### del ### (già ### di ### da ogni pretesa avversaria per le motivazioni di cui in narrativa, come anche meglio esposto nelle conclusioni sub 5-6-7-8 che seguono; 4. nel merito, rigettare tutte le domande formulate dai ricorrenti, in quanto improponibili, improcedibili, inammissibili, infondate in fatto e in diritto e comunque non provate, afferenti ad eventuali diritti prescritti e/o viziate per difetto di legittimazione attiva e passiva e rivolte nei confronti di soggetto estraneo ai fatti di causa, assolvendo integralmente e in ogni caso l'### di ### del ### (già ### di ### da ogni richiesta avversaria; 5. in via subordinata, salvo gravame, per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, assolvendo integralmente l'### di ### del ### (già ### di ### da ogni richiesta avversaria, con ogni consequenziale ed eventuale pronuncia di condanna nei confronti della terza chiamata; 6. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, sempre per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, accertare e dichiarare la concorrente responsabilità della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e la misura di questa, con ogni conseguente pronuncia di condanna, anche in via di regresso; 7. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, sempre per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, nei confronti dell'### di ### del ### (già ### di ###, dichiarare tenuta e, pertanto, condannare la ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore. a garantire e/o tenere indenne e/o manlevare l'### di ### del ### (già ### di ### dalle domande stesse, nonché a rimborsare ad ### di ### del ### (già ### di ### quanto la stessa dovesse essere condannata a corrispondere a parte ricorrente. anche in via di regresso; 8. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, accertare, per le ragioni di cui in narrativa, l'inadempimento della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, agli obblighi sulla stessa incombenti in ordine alla tutela dei propri lavoratori e conseguentemente dichiarare tenuta e condannare detta ### a risarcire ad ### di ### il danno che quest'ultima dovesse subire a causa di tale inadempimento, danno che può essere fatto coincidere con quanto l'### di ### del ### (già ### di ### dovesse essere ingiustamente condannata a pagare a favore dei ricorrenti; 9. in via subordinata rispetto alle domande e richieste di cui ai punti 5. 6, 7 e 8 e nel denegato caso di una responsabilità dell'### di ### del ### (già ### di ###, in solido o pro quota con altri soggetti, individuare la misura e/o quota di detta responsabilità.  10.In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari.   Autorizzata la chiamata di causa della ### (di seguito ###, quest'ultima si costituiva ritualmente in giudizio contestando la fondatezza delle domande proposte dall'### nei suoi confronti e chiedendone pertanto la reiezione.   ### sosteneva, in particolare, di aver svolto, anteriormente alla riforma portuale del 1994, funzione di mero collocamento di mano d'opera e non già di datore di lavoro delle maestranze portuali, in quanto nel regime giuridico in allora vigente le compagnie portuali esercitavano direttamente attività di impresa soltanto ove operassero in forza di concessione ex art.111 cod. nav., nella specie mai intervenuta.   ### formulava pertanto le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, dichiarare inammissibili e/o rigettare tutte le domande azionate dall'### di ### mediante chiamata in causa di ### Coop a.r.l., mandando quest'ultima assolta anche nell'eventualità in cui parte ricorrente intendesse valersi dell'estensione delle domande stesse nei confronti della conchiudente.   Con la vittoria delle spese, diritti e onorari del giudizio”.   Acquisita documentazione e richieste informative all'### sentiti alcuni testimoni, espletata CTU medico legale, all'udienza dell'8 marzo 2018, dopo la discussione orale, la causa veniva decisa mediante lettura in aula del dispositivo.  ### di incompetenza funzionale del Giudice del lavoro ### è infondata. 
La controversia rientra, infatti, nella competenza del Giudice del lavoro, in quanto “per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell'art. 409, n. 1, c.p.c., debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l'eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro (Cass., 8 ottobre 2012 17092; v. Cass. 22 marzo 2002 n. 4129; nonché Cass., 11 ottobre 2012, n. 17334, con specifico riferimento all'azione risarcitoria introdotta nei confronti di un'### dagli eredi di un lavoratore portuale deceduto per malattia professionale).   Pertanto anche le domande risarcitorie proposte nel presente giudizio devono essere trattate con il rito del lavoro, essendo tale rito applicabile, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., a qualsiasi controversia che trovi nel rapporto di lavoro la ragione giustificativa della domanda, ancorché la causa si tenga tra soggetti diversi da quelli del rapporto di lavoro medesimo. 
E' dunque infondata l'eccezione di incompetenza del Giudice del ### sollevata dalla difesa della convenuta (rectius di inapplicabilità del rito del lavoro, posto che a seguito dell'istituzione del giudice unico di primo grado, la ripartizione delle funzioni tra sezione lavoro e sezioni ordinarie del tribunale non implica l'insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio: cfr. Cass., ord. 23 settembre 2009, n. 20494; Cass., ord. 9 agosto 2004, n. 15391; Cass., Sez. Un., 28 settembre 2000, n. 1045).  ### di nullità del ricorso ### è ugualmente infondata.   Il ricorso introduttivo del giudizio specifica, infatti, in modo chiaro: - l'attività lavorativa prestata dal lavoratore e il periodo lavorativo dedotto in giudizio (addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci di ### dal 9 giugno 1957 al 29 febbraio 1988); - la malattia che si assume derivata dall'esposizione lavorativa ad amianto (mesotelioma pleurico); - le ragioni di diritto per le quali parte ricorrente attribuisce al CAP il potere di organizzazione, direzione e sorveglianza del lavoro e l'obbligo di predisporre le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori; - i profili di colpa addebitati al CAP (adozione di modalità di movimentazione della merce inidonee ad evitarne la dispersione nel trasbordo, mancata fornitura di dispositivi di protezione individuale, omessa informazione dei lavoratori in ordine alla nocività delle polveri di amianto…); - il tipo di responsabilità azionata (contrattuale, da contatto e ex art. 2087 c.c., nonché anche ex art. 2043 c.c.); - i danni richiesti [danni non patrimoniali patiti dal fu sig. ### (per i quali i ricorrenti agiscono iure hereditatis) e danni non patrimoniali patiti dai ricorrenti in proprio].  ### di difetto di legittimazione passiva di APG (oggi ### di ### del ### per non essere quest'ultima soggetto successore, tantomeno a titolo universale, del ### questa eccezione è infondata.   Come è noto, le autorità portuali sono state istituite dall'art. 6 della legge 28 gennaio 1994 n. 84, di riordino della legislazione in materia portuale.   Ai sensi del successivo art. 20 co. 5°, come sostituito dal D.L. n. 535/1996, “le ### portuali dei porti di cui all'articolo 2, sono costituite dal 1° gennaio 1995 e da tale data assumono tutti i compiti … e ad esse è trasferita l'amministrazione dei beni del demanio marittimo compresi nella circoscrizione territoriale … le ### portuali subentrano alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso”.   Sulla base di tale disposizione l'### di ### è quindi succeduta al ### del ### di ### (Cass. 4 febbraio 1998 n. 1152).   In applicazione della normativa citata, il decreto n. 1/COMM del 5 gennaio 1995 del commissario ### (in atti) ha disposto che “l'### subentra all'### - CAP di ### nella proprietà e nel possesso dei beni ed in tutti i rapporti in corso”.   APG è dunque succeduta ex lege nei rapporti di debito e credito facenti capo al soppresso ####à prestata dal lavoratore nel porto di ### E' pacifico che il sig. ### abbia lavorato per ### come addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci dal 9 giugno 1957 al 29 febbraio 1988 (cfr. anche dichiarazione ### sub doc. 1 parte ricorrente).   Non risultano specificamente contestate la presenza di amianto nell'ambito del porto di ### negli anni in cui il lavoratore vi ha prestato la sua attività, né le modalità di movimentazione dell'amianto descritte in ricorso.   Le allegazioni contenute al riguardo in ricorso trovano in ogni caso pieno riscontro da un lato nei verbali di altre analoghe controversie prodotti dalle parti, dall'altro nella relazione dell'### e ### degli ### della U.S.L. n. 3 Genovese del 1999, acquisita dal CTU sulla base di esplicita autorizzazione del giudice ad acquisire informazione presso terzi e, se del caso, acquisita agli atti del processo ai sensi dell'art. 421 c.p.c.   Tale relazione (particolarmente autorevole poiché proveniente dall'ente istituzionalmente competente alla vigilanza sulle condizioni di sicurezza sul luogo di lavoro), dopo aver dato conto degli ingenti quantitativi di amianto movimentati negli anni in questione nel porto di ### (di cui precisa l'esatta quantità), riferisce che: “Nei primi anni l'amianto sbarcato arrivava sfuso o in sacchi di-iuta dalle tre provenienze geografiche principali (#### e ###; successivamente, intorno agli anni '70, l'amianto cominciò ad arrivare in confezioni diverse: sacchi di carta collocati su pallets e fasciati da teli di plastica (provenienza ###, sempre più frequentemente containers per le altre due provenienze (in particolare quella canadese); l'amianto imbarcato a ### era per lo più costituito da amianto lavorato o da manufatti di amianto.   Rispetto alle mansioni coinvolte nei lavori a contatto con amianto si ritiene che le maggiori esposizioni fossero a carico della mansione di caricatori-scaricatori sia a bordo che a terra. E' da richiamare che inizialmente esistevano all'interno della compagnia portuale due sezioni, la ### che forniva squadre per i lavoro a bordo, e la ### che forniva squadre per il lavoro a terra sulle banchine. Nel tempo si è persa questa divisione tra squadre di terra e di bordo mentre è perdurato il meccanismo della “chiamata", per cui i lavoratori non hanno posti fissi di lavoro o tipologie costanti di merci da movimentare ma possono venire adibiti di giorno in giorno indifferentemente in aree diverse e a cicli lavorativi anche molto differenziati tra di loro. La consistenza numerica della forza lavoro è variata nelle varie epoche, arrivando a picchi di 5000 unità per le operazioni di scarico e carico.  ### non assicurò i lavoratori per il rischio asbestosi fino al 1975, quando a seguito di un contenzioso promosso dall'### in relazione al caso di un lavoratore deceduto per questa malattia professionale, l'### contestò l'omissione del pagamento del rischio asbestosi implicitamente affermando l'indubbia consistente esposizione ad amianto nel lavoro della ### Vari lavoratori portuali intervistati hanno riferito che inizialmente i sacchi erano di iuta, perdevano cospicuamente materiale e facevano polvere, che si spandeva nell'aria, sollevata spesso dal vento presente sulle banchine. Successivamente, dopo i primi anni '70, sono comparsi i sacchi di carta, che però spesso si rompevano, rovesciando il contenuto. E' ricorrente, nei racconti di lavoratori anziani, presenti nella ### negli anni'50- 60, il riferimento ai fatto che a volte d'inverno gli uomini della squadra si riposavano sdraiandosi nei magazzini o nelle stive delle navi sui cumuli dei sacchi di amianto (che, da ottimo coibente, è materiale termicamente confortevole). 
Per il meccanismo, strettamente determinato dal sistema della chiamata, di rotazione del personale sulle banchine, è da presumere che un consistente numero di lavoratori ### sui 3000-4000 presenti in forza come scaricatori in quegli anni, sia stato soggetto a condizioni di lavoro con amianto analoghe a quelle descritte. Sulla base di informazioni sulla resa di lavoro per turno, stimata per l'amianto in 75 tonn. per turno, e del numero medio di lavoratori sul turno pari a 15, è desumibile una valutazione di numero di turni all'anno di scarico-carico amianto variabile da 3.000 a 6.000, pari quindi a 1-2 turni/anno in media su tutti gli scaricatori della ### Essendo da escludere che la distribuzione degli uomini sulle banchine e sulle merci fosse cosi statisticamente omogenea, è ipotizzabile che alcuni lavoratori facessero annualmente anche numeri consistenti di turni di scarico-carico amianto, mentre altri viceversa presumibilmente ne facevano solo saltuariamente. Comunque sia, è oggi materialmente impossibile risalire ai nominativi dei lavoratori che siano stati più esposti al rischio in quanto più adibiti a tali lavori”.   La descrizione della movimentazione dell'amianto contenuta nella citata relazione della USL 3 conferma pienamente le allegazioni circa la movimentazione dell'amianto nel porto di ### contenute in ricorso, allegazioni peraltro - lo si ribadisce - non specificamente contestate.   Atteso il sistema di rotazione del personale sulle banchine deve presumersi che il sig. ### sia stato esposto ad inalazione di polvere di amianto come tutti gli altri soci della ### L'### non allega che il sig. ### abbia lavorato con modalità diverse da quelle degli altri soci della ### né i ricorrenti si offrono di provare l'esatta frequenza di adibizione del sig. ### alle operazioni di carico e scarico dell'amianto.  ### del lavoro portuale nel periodo per cui è causa e il ruolo della ### Al riguardo, deve essere richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui “il rapporto di lavoro fra compagnie portuali - costituite in forma cooperativa ed aventi personalità giuridica - e singoli lavoratorisoci si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l'attività di impresa per le operazioni di carico e scarico e non anche quando le compagnie medesime si limitano a fornire la manodopera qualificata alle imprese portuali, ipotesi quest'ultima nella quale la compagnia portuale funziona, in pratica, da ufficio di collocamento - restando inapplicabile, nel regime giuridico prece dente la L. 28 gennaio 1994, n. 84, il divieto di appalto di manodopera di cui alla L. n. 1369 del 1960 - e rimane pertanto esente da ogni responsabilità, anche in sede di rivalsa, per gli infortuni occorsi ai lavoratori. Ne deriva che in tale seconda ipotesi, e con riferimento alla domanda risarcitoria per infortunio promossa dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, non è configurabile litisconsorzio necessario tra la compagnia portuale che si limiti a fornire lecitamente manodopera al soggetto esercente l'attività imprenditoriale nell'ambito della quale si sia verificato l'infortunio (vedi, per tutte: Cass. 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. 6 agosto 1998, n. 7733; Cass. 15 marzo 1995, n. 2992; Cass. 13 maggio 1992 n. 5710; Cass. 8 novembre 1984 n. 5646; Cass. 29 ottobre 1981 n. 5706; Cass. 3 marzo 1981 1233; Cass. 12 gennaio 1979 n. 249; Cass. 15 ottobre 1968 n. 3300; Cass. 11 ottobre 1956 n. 3943; Cass. 4 luglio 1956 n. 2412)” (Cass., 10 dicembre 2014, n. 26037).   Le ragioni dell'orientamento, del tutto consolidato, della Suprema Corte sono ampiamente spiegate nella pronuncia, risalente, ma tuttora assolutamente condivisibile, della Cassazione civile, 15 marzo 1995, n. 2992, che dà conto dei motivi di infondatezza delle domande proposte dall'### nei confronti di ### Infatti, come argomentato nella citata pronuncia, “il rapporto di lavoro fra le compagnie portuali e singoli lavoratori soci si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l'attività d'impresa per le operazioni di carico e scarico e non anche quando le compagnie medesime si limitano a fornire la manodopera alle imprese portuali.   In tale ipotesi la compagnia portuale si limita a fornire la manodopera qualificata da tali impresa richiesta, funzionando in pratica da ufficio di collocamento (vedi per la giurisprudenza civile Cass. 13 maggio 1992 n. 5710; Cass. 8 novembre 1984 n. 5646; Cass. 29 ottobre 1981 5706; Cass. 3 marzo 1981 n. 1233; Cass. 12 gennaio 1979 n. 249; Cass. 15 ottobre 1968 n. 3300; Cass. 11 ottobre 1956 n. 3943; Cass. 4 luglio 1956 n. 2412).   ### questa funzione intermediatrice nel collocamento della manodopera è insita nella struttura stessa del lavoro portuale, che, tranne il caso dell'esercizio di un'impresa portuale da parte della compagnia, consiste in genere in una pluralità di rapporti di breve durata a favore di imprese diverse.   Per prestazioni di lavoro di questo tipo è spesso indispensabile il ricorso a intermediari il cui unico compito è quello di stabilire i necessari contatti fra domanda e offerta di lavoro (vedi ad esempio le agenzie teatrali per il lavoro artistico).   È vero che per reclutare la manodopera occorrente esiste l'ufficio di collocamento, a cui il datore di lavoro è obbligato a rivolgersi, ma, accanto ad esso, fiorisce un collocamento illegale (il cosiddetto caporalato) che, a differenze del primo, non si limita ad inviare il numero di lavoratori richiesti secondo l'ordine di iscrizione negli elenchi, ma ingaggia la manodopera secondo i desideri del datore di lavoro, organizzandola in squadre.   Questo fenomeno esisteva ampiamente nei primi venti anni di questo secolo nei porti italiani, nei quali gli operai, quasi sempre organizzati in cooperative o associazioni di fatto, affiancate a partiti politici, spesso erano costretti a rivolgersi ai cosiddetti "assuntori" o "caporali", i quali si incaricavano di reclutare le squadre da avviare al lavoro e pretendevano per questa funzione di intermediari, compensi non di rado esosi. … A partire dal 1923 ci furono vari interventi legislativi, destinati a porre ordine nel settore del lavoro portuale, e tale evoluzione si è conclusa con il codice della navigazione e il relativo regolamento, che hanno dettato una minuziosa disciplina del lavoro portuale.   Tale disciplina è durata per circa 50 anni, fino a quando, cioè, a causa di alcune distorsioni derivanti dal regime di monopolio, in cui operavano le compagnie portuali, e la necessità di adeguare la nostra legislazione alla decisione della Corte di Giustizia della ### in data 10 dicembre 1991, la regolamentazione di questo settore è profondamente mutata (vedi legge 28 gennaio 1994 n. 84).   Ma questa legge non si applica al caso in esame.   I brevi richiami storici sopraindicati, servono a comprendere le ragioni del penetrante intervento del legislatore in questa materia e l'indirizzo da esso seguito. … Nei porti di maggior traffico i lavoratori sono coattivamente organizzati in compagnie, costituite in forma cooperativa e aventi personalità giuridica. In quelli di minor traffico, invece, i lavoratori sono organizzati in associazioni di fatto, sfornite di personalità giuridica.   Entrambe queste organizzazioni sono soggette ala vigilanza dell'autorità, preposta alla disciplina del lavoro portuale, e il regolamento dette norme minuziose per il loro funzionamento e per la disciplina della loro esistenza (costituzione, funzione, soppressione ecc.).   ### delle operazioni portuali è riservata a tali organizzazioni (art. 110 cod. nav.), ma, per evitare rendite di posizione, derivanti dal regime di monopolio instaurato con tale riserva, le tariffe per le attività portuali sono fissate dalla pubblica autorità.   ### del porto non può ingaggiare il personale occorrente rivolgendosi direttamente ai lavoratori portuali iscritti nei pubblici registri, ma deve necessariamente rivolgersi alla loro organizzazione (compagnia o gruppo).   In tale ipotesi il console della compagnia o il capo gruppo provvedono all'avviamento e all'avvicendamento degli operai al lavoro, secondo i criteri fissati dall'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale e rispondono direttamente alla suddetta autorità del regolare andamento del lavoro.   Si è molto discusso in dottrina sulla posizione che assume la compagnia in questo rapporto….   Non sembra che si possa condividere l'opinione di chi ravvisa nella specie un appalto di servizio, consistente nella fornitura delle maestranze necessarie per l'esecuzione del carico e scarico delle navi.   ###à di servizio si sostanzia infatti nella prestazione di un "facere" come elemento primario della fattispecie, capace di soddisfare particolari bisogni degli utenti e suscettibile di autonoma organizzazione e valutazione economica: il servizio consiste, dunque, in un risultato economico nuovo e originale, dotato di un'entità propria, che non si esaurisce nella sommatoria delle utilità fornite dai beni preesistenti.   Ora il servizio di carico e scarico non si ottiene, come una volta, mediante l'impiego di facchini che trasportano la merce sulle loro spalle, ma attraverso un largo impiego di strumenti e attrezzature, che alleviano notevolmente la fatica dell'uomo e rendono più rapide le relative operazioni: sicché detto servizio si ottiene solo mediante l'organizzazione e l'impiego di vari fattori produttivi (personali e materiali), organizzazione che compete esclusivamente all'impresa portuale, che effettua per conto proprio o per conto terzi le operazioni medesime.   ### l'obbligo dei lavoratori designati ad effettuare le prestazioni richieste, più che dal legame societario che li vincola alla compagnia, trova fondamento nel fatto che essi, proprio perché svolgono un'attività in regime di monopolio, sono tenuti a presentarsi regolarmente alla chiamata e al lavoro e a non assentarsi da esso (art. 159 regol.), pena la cancellazione dai registri e quindi la perdita dell'abilitazione all'esercizio professionale, in caso di assenze reiterate (art. 156 n. 5 regol.).   Va poi rilevato che l'art. 193 del regol. parla di "avviamento" degli operai al lavoro, espressione questa tipica della funzione intermediaria di collocamento, che le compagnie portuali sono chiamate a svolgere: la legge sul collocamento 29 aprile 1949 n. 264 si intitola infatti "provvedimenti in materia di avviamento al lavoro".   La funzione intermediaria della compagnia si completa poi attraverso la fatturazione e l'incasso, in nome proprio ma per conto dei lavoratori, dei compensi dovuti.   Questa particolare situazione è rispecchiata anche nelle disposizioni, contenute nel T.U. 30 giugno 1965 n. 1124 sull'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro che (riproducendo norme già contenute nell'art. 5 del r.d. 25 gennaio 1937 n. 200) nell'art. 9 indica fra i datori di lavoro, obbligati all'assicurazione, la compagnia portuale nei confronti dei propri iscritti di rivalersi della relativa spesa nei confronti delle persone o degli enti, nell'interesse dei quali le operazioni portuali vengono compiute (rivalsa che viene concretamente attuata mediante un'addizionale alla tariffa delle prestazioni della manodopera vigente in ciascun porto, addizionale fissata anch'essa dall'autorità portuale).   In questa situazione normativa occorre individuare quale sia effettivo datore di lavoro, nei confronti del quale vale l'esonero della responsabilità civile o si esercita l'azione di rivalsa, previsti dall'art. 10 T.U..   Per risolvere questo problema occorre considerare che l'infortunio consiste in un evento dannoso alla capacità lavorativa del prestatore d'opera, avvenuto per causa violenta in occasione del lavoro.   Tranne quindi l'ipotesi dell'infortunio in itinere, che presenta tutt'altra problematica, l'infortunio professionale è essenzialmente collegato all'ambiente di lavoro e richiede necessariamente un rapporto fra il lavoratore e il rischio, posto in essere dall'organizzazione creata dal datore di lavoro, che ne è il responsabile.   Solo chi inserisce i lavoratori negli altri elementi organizzati ad impresa è infatti in grado di valutare i rischi connessi allo svolgimento del lavoro in quelle determinate condizioni di tempo e di luogo ed è in grado di assumere i concreti accorgimenti imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni e di adottare tutte le altre misure che, secondo l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 c.c.).   Sono queste le ragioni di fondo che giustificano la previsione di una rivalsa legale del premio di assicurazione pagato dalla compagnia per la manodopera impiegata nelle operazioni di carico e scarico.   ### eccezionalità di tale previsione trova fondamento logico e giuridico solo nella opinione del legislatore che le compagnie portuali in tali ipotesi non possono considerarsi appaltatrici per la fornitura di un servizio, ma sono strumenti per l'avviamento al lavoro degli operai necessari all'esecuzione delle suddette operazioni di carico e scarico. Così si spiega perché sono da ritenersi effettivi datori di lavoro l'armatore o il terzo richiedente la manovalanza, mentre la compagnia è solo formalmente indicata come datrice di lavoro in considerazione del fatto che per i veri datori di lavoro sarebbe oltremodo difficile poter, tempestivamente e diligentemente, osservare tutte le formalità richieste per la regolarità dell'assicurazione (soprattutto per quanto riguarda la denuncia degli infortuni e le registrazioni sui libri di matricola e paga) data la breve durata del lavoro e l'instabilità della maestranza.   Né a questi effetti ha alcun rilievo il fatto che nella squadra di lavoratori assegnati dalla compagnia per l'esecuzione di una determinata operazione venga assegnato volta per volta un capo squadra, perché costui ha solo compiti di carattere interno e disciplinare nei confronti dei lavoratori, ma non assume alcun incarico di carattere tecnico-direttivo in relazione alle operazioni che i lavoratori debbono eseguire per conto dell'impresa richiedente.   ### spesso gli infortuni accadono a causa degli impianti utilizzati per le operazioni di carico e scarico o per improvviso movimento di strutture della nave non adeguatamente ancorate (come è avvenuto nella specie), per causa cioè di impianti e strutture, che si sottraggono a qualsiasi disponibilità e controllo da parte del caposquadra dei portuali.   Appare dunque ancora da condividere la costante giurisprudenza di questa Corte in sede civile, secondo la quale la compagnia portuale si limita ad avviare la manodopera richiesta dagli utenti del porto e che la direzione dei lavoratori e la responsabilità anche nei confronti di terzi per sinistri cagionati da essi spetta a detti utenti e non alla compagnia nemmeno in sede di rivalsa (vedi giurisprudenza già citata).   Diversa è l'ipotesi in cui è la stessa compagnia portuale ad assumere, in forza di concessione, la configurazione di impresa per l'esercizio delle attività portuali: in questo caso, infatti, la compagnia assume quale appaltatrice la responsabilità del risultato finale e risponde, quale effettiva datrice di lavoro, sia dei danni cagionati a terzi dai propri dipendenti, sia delle conseguenze degli infortuni da essi subiti, nei limiti di cui all'art. 10 T.U. sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni.   Ma è pacifico in causa che nella specie la compagnia non agiva quale concessionaria di un'impresa di operazioni portuali, ma si era limitata ad avviare all'utente richiedente la manodopera necessaria ad eseguire lo scarico della merce dalla nave …” (Cass. civile, 15 marzo 1995, n. 2992).   Ed ancora, come chiarito da altra pronuncia: “Dal complesso di tale normativa discende, come esattamente osserva il ricorrente, che: a) il lavoratore assume un rapporto di carattere pubblicistico con l'### (artt. 142, 143 e 159 R.N.M.) che provvede con propri atti alla organizzazione del lavoro, al controllo e alla vigilanza sull'esecuzione delle operazioni portuali, all'iscrizione e cancellazione del lavoratore dai ruoli, al passaggio di categorie, alla formulazione delle tariffe; b) il lavoratore ha, invece, un rapporto di carattere privatistico con la ### di cui fa parte che, da parte sua, costituisce una società cooperativa con carattere coattivo (in quanto la partecipazione alla stessa avviene automaticamente, con l'iscrizione del lavoratore nel registro di cui all'art. 350 R.N.M.). Il rapporto con la ### è di carattere associativo e non di dipendenza. Il lavoratore, infatti, partecipa alla vita della società, alla costituzione degli organi, alla formazione ed approvazione del bilancio, esercitando come "socio" tutti i poteri connessi a una tale qualifica; c) in un tale contesto, il rapporto di lavoro subordinato non può che sorgere, a seguito dell'avviamento operato dalla ### tra il lavoratore e l'impresa portuale, come del resto deve desumersi dal contenuto degli artt. (che affida alle imprese portuali, a seguito di concessione, l'esecuzione delle operazioni portuali e che fa divieto alle imprese medesime di avvalersi, appunto per l'esecuzione delle operazioni peritali, di maestranze non rientranti nelle compagnie o nei gruppi) e 1172 C.N. (che punisce l'inosservanza da parte delle imprese delle norme sull'impiego delle maestranze, sempre nell'esecuzione delle operazioni portuali).   Ha, quindi, ragione il ricorrente nell'affermare che la ### una volta avviato il proprio socio lavoratore, non partecipa al processo esecutivo dell'operazione portuale che viene, invece, svolta sotto l'organizzazione imprenditoriale, la direzione tecnica e la responsabilità dell'impresa portuale, che assume la funzione di solo ed esclusivo "datore di lavoro", con tutti gli obblighi e i doveri connessi a tale posizione e qualifica giuridica, tra i quali l'apprestamento dei mezzi di prevenzione anti infortunistica. Se ciò non fosse, rimarrebbe, oltre tutto, inspiegabile per quale motivo le imprese aspiranti alla concessione per l'esecuzione delle operazioni portuali siano tenute (art. 197 RNM) alla produzione di documentazione o certificazione comprovante la propria capacità tecnica a esercitare attività di impresa portuale. Ulteriore conferma, nel senso qui esposto, si trae anche dal disposto dell'art. 200 R.N.M dal cui n. 2 risulta che la concessione all'impresa portuale può essere sospesa o revocata "quando l'impresa non osserva le norme relative al lavoro portuale ovvero (n.3) quando risulta che la capacità tecnica o finanziaria dell'impresa è ridotta in modo tale da non dare più affidamento per il regolare esercizio dell'attività.   Da ultimo può essere ricordato, sempre nello tesso senso, l'art. 9 del DPR n. 1124/1965 che dispone che "agli effetti del presente titolo sono inoltre considerato datori di lavoro.... le compagnie portuali nei confronti dei propri iscritti....". A parte il tenore già indicativo dell'espressione adoperata "sono considerati", la norma (inserita nel T.U. delle disposizioni per l'### contro gl'infortuni sul lavoro) trova giustificazione nell'impossibilità o estrema difficoltà di intrattenere rapporti (al fine preminente del prelevamento dei prescritti versamenti contributivi) con le imprese, sempre diverse, con cui i lavoratori portuali svolgono la propria attività; da cui la necessità di indicare la ### portuale come il soggetto tenuto alla gestione dei rapporti con l'ente assicurativo. È, inoltre, evidente che, se le compagnie portuali fossero state "datori di lavoro" in senso proprio e tecnico, non vi sarebbe stato bisogno alcuno di "considerarle" datori di lavoro ai fini che interessano la norma in questione".   Tali conclusioni non sono scalfite né dal fatto che i lavoratori cono pagati mensilmente dalle compagnie (cui è affidata, ex art. 174 R.N.M., la gestione dei proventi di.... patrimoniale della ### stessa e alla conseguente necessità di costituire un fondo di riserva annuale (art. 185 R.N.M.) e di effettuare delle trattenute su proventi medesimi ex. art. 185 n. 5 R.N.M.), né dal fatto che nel regolamento interno della compagnia sia prevista, tra l'altro, anche "la custodia, la distribuzione, l'uso e la riconsegna degli strumenti di lavoro" (art. 188 n. 4 C.N.: trattasi, con ogni evidenza, di disposizione del tutto generica, in quanto la predisposizione e fornitura degli appropriati mezzi di protezione non può far carico che all'impresa portuale la quale soltanto è in grado di individuarli e di assicurare la concreta utilizzazione, in relazione al particolare tipo di operazione da compiere e delle relative modalità esecutive (che, per necessità di cose, non possono essere note alla ###.   Sulla base di tutti i rilievi che precedono, deve pervenirsi alla conclusione che il … vice console della compagnia, non può essere annoverato tra i destinatari della normativa anti infortunistica. Il vice console ha, in base all'art. 175 RNM, funzioni vicarie del console, le cui funzioni sono tassativamente indicate dall'art. 174, senza cenno alcuno alla normativa antinfortunistica. Il disposto dell'art 193 RNM, co. 2 ("il console e il capo gruppo rispondono direttamente del regolare andamento del lavoro") ha chiaramente un ambito limitato al settore amministrativo, in riferimento al chiaro contenuto normativo dell'art. 174...” (Cass. pen, 10 marzo 1995, n. 4557).   Nel presente giudizio è pacifico che la ### non abbia mai agito in forza di una concessione ex art. 111 cod. nav., concessione che, come ampiamente evidenziato, nel previgente quadro normativo costituiva il presupposto imprescindibile perché la compagnia portuale potesse svolgere direttamente attività di impresa. 
La stessa ### che pure sostiene che ### avrebbe svolto attività di impresa, non allega che ### abbia mai agito in forza di concessione ex art. 111 cod. nav., né tanto meno ne offre prova.   Alla luce dei principi ora richiamati, deve allora escludersi la configurabilità in capo a ### di una posizione di garanzia in relazione alla sicurezza sul lavoro dei lavoratori portuali (anche in caso di nomina di un capo squadra, così come chiarito dalla già citata sentenza Cass. civile, 15 marzo 1995, n. 2992).   Ne consegue l'infondatezza delle domande avanzate, a qualsiasi titolo, dall'### nei confronti di ### Tutte le domande formulate dall'### nei confronti di ### devono pertanto essere respinte.   Non sussiste, invece, alcun profilo di inammissibilità della chiamata in causa di ### in quanto si verte in un'ipotesi di garanzia propria e ciò perlomeno con riferimento alla domanda di accertamento della corresponsabilità di ### in merito all'evento dannoso per cui è causa e di ripartizione delle relative quote interne.   In particolare, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, si ha garanzia propria quando la causa principale e quella accessoria abbiano in comune lo stesso titolo e anche quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande; mentre si ha garanzia impropria quando il convenuto tenda a riversare le conseguenze del proprio inadempimento su di un terzo in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale (Cass., 15 maggio 2009, n. 11362; Cass., 29 luglio 2009, n. 17688; Cass., 30 settembre 2005, n. 19208; Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 12968; Cass., 8 agosto 2002, 12029).   Nella specie il fatto generatore della pretesa responsabilità, sia del ### sia di ### è unico e consiste nella prestazione di attività di lavoro subordinato da parte del lavoratore addetto alle operazioni di carico e scarico nel porto di ### In ogni caso, il titolo in base al quale la convenuta ha esercitato l'azione di manleva ed il titolo fatto valere in giudizio sono strettamente connessi e tale connessione (sulla base della prospettazione della domanda) deriva direttamente dalla disciplina di legge e precisamente dall'art. 2055 Come affermato dalla Corte di Cassazione, “in tema di infortuni sul lavoro, va qualificata come domanda di garanzia propria quella proposta dal datore di lavoro, convenuto in sede di regresso dall'### per essere garantito dal proprio assicuratore o dall'impresa committente i lavori, non ricorrendo fra i titoli delle domande un rapporto puramente occasionale, ma essendo anzi unico il fatto generatore della responsabilità, sia verso l'assicuratore, in ragione del suo obbligo di garanzia per l'infortunio, sia verso il committente, in relazione alla causazione dell'infortunio per effetto della prospettata concorrente violazione da parte di questo dell'obbligo di prevenzione e sicurezza. Ne consegue che il giudice della causa principale, in funzione di giudice del lavoro, è competente a conoscere anche le anzidette cause connesse per garanzia” (Cass., 16 aprile 2014, n. 8898). 
Ne discende la possibilità di trattazione unitaria delle domande, con applicazione, ex art. 40 c.p.c., del rito del lavoro (ferma l'infondatezza nel merito delle domande formulate dall'### nei confronti di ###.  ### di una posizione di garanzia in capo all'allora ###'esistenza di una posizione di garanzia in capo al CAP è desumibile dalle seguenti norme, all'epoca vigenti: - dall'art. 108 cod. nav., ai cui sensi “la disciplina e la vigilanza delle operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale nel porto sono esercitate dal comandante del porto, secondo le norme stabilite dal regolamento”; - dall'art. 109 cod. nav., ai cui sensi “nei porti, nei quali l'importanza del traffico lo richieda, la disciplina delle operazioni portuali è affidata ad uffici del lavoro portuale..”; - dall'art. 140 del D.M. n.328/1952, contenente il ### di esecuzione del codice della navigazione, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, agli effetti degli articoli 110 e 149 del codice, è … nei porti nei quali ha sede un ufficio del lavoro, il direttore dell'ufficio....”; - dall'art. 142 del medesimo ### ai cui sensi “gli uffici del lavoro portuale: 1) tengono i registri dei lavoratori e quelli delle imprese per operazioni portuali; 2) custodiscono gli atti concernenti l'istituzione e il funzionamento delle compagnie portuali; 3) controllano la gestione e il funzionamento delle compagnie; 4) stabiliscono i criteri per l'avviamento al lavoro e per l'avvicendamento della mano d'opera; 5) provvedono all'organizzazione del lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico del porto e vigilano sulla osservanza delle norme e delle tariffe relative al lavoro portuale; 6) vigilano sulla esecuzione delle operazioni portuali; 7) verificano e vistano, su richiesta degli interessati, le note di lavoro e le fatture; 8) provvedono alla liquidazione ed alla riscossione dei contributi e dei proventi previsti da leggi speciali; 9) curano l'esecuzione delle decisioni del consiglio del lavoro portuale; 10) adempiono a ogni altro incarico previsto dal codice e dal presente regolamento o che venga ad essi affidato dal ### per la marina mercantile o dal capo del compartimento”; - dall'art. 150 del medesimo regolamento, ai cui sensi “i lavoratori portuali sono iscritti in registri conformi al modello approvato dal ministro per la marina mercantile. Tali registri, distinti a seconda delle categorie, sono tenuti dall'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale”; - dal successivo art. 153, ai cui sensi la domanda di ammissione nei ruoli dei lavoratori portuali doveva essere presentata all'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale; - dall'art. 157, ai cui sensi “nessun lavoratore può essere temporaneamente adibito a lavori di una categoria, diversa da quella nei cui registri trovasi iscritto, senza autorizzazione dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. Nei casi in cui il personale di una categoria sia esuberante in rapporto all'entità del traffico, la predetta autorità procede al trasferimento definitivo dei lavoratori eccedenti il fabbisogno in altre categorie affini in cui si riscontri deficienza di personale e per le quali i lavoratori abbiano la capacità tecnica necessaria. I criteri per tale passaggio sono fissati dall'autorità predetta, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale”; - dall'art. 158, ai cui sensi “qualora il personale iscritto nei registri divenga esuberante in rapporto all'entità del traffico, l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, di cui all'articolo 140, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale, può procedere alla graduale riduzione dei ruoli ….; - dall'art. 167, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, oltre ad esercitare i poteri ad essa riconosciuti dall'articolo 142, cura l'osservanza, da parte delle compagnie, delle disposizioni del codice e del regolamento”; - dall'art. 193, ai cui sensi “l'avviamento e l'avvicendamento degli operai al lavoro sono regolati dal console della compagnia o dal capo gruppo secondo i criteri dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. Il console e il capo gruppo rispondono direttamente alla suddetta autorità del regolare andamento del lavoro”; - dall'art. 202, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale, stabilisce gli orari di lavoro e le norme relative alla esecuzione delle operazioni Portuali”; - infine dall'art. 1249 cod. nav., ai cui sensi l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale esercita il potere disciplinare sulle imprese, sui datori di lavoro nei porti e sui lavoratori portuali.   In applicazione dei principi normativi appena richiamati, il R.D. 16 gennaio 1936 801, di costituzione del ### del ### di ### attribuiva all'Ente neocostituito, tra l'altro, il compito di “coordinare … tutti gli altri servizi ed operazioni svolgentisi nel porto; a regolare e disciplinare in tutto l'ambito del porto, con autorità e poteri di regolamentazione e di determinazione delle tariffe, sia verso i datori di lavoro, sia verso gli eventuali intermediari ed i lavoratori, le operazioni e il lavoro del porto, nonché a risolvere in via amministrativa, a mezzo dei propri organi, tutti i reclami in ordine al lavoro ed alle operazioni suddette” (art. 1 punto 6).   A sua volta, il ### adottato dal CAP con decreto del Presidente ### del 1953 prevedeva, tra l'altro: - all'art. 1 che “il ### provvede direttamente a disciplinare il lavoro portuale, a determinare le tariffe e ad esercitare il potere disciplinare sui lavoratori e sui datori di lavoro che vi sono addetti”; all'art. 2 che “il lavoro portuale disciplinato dal presente regolamento è quello che si compie nell'ambito della circoscrizione territoriale del ### e riguarda tutte le operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere di merci e bagagli che implichino prestazioni personali nonché le operazioni sussidiarie e complementari svolte da imballatori barilai e cassai, pesatori, commessi, misuratori e chiattaiuoli che del pari implichino prestazioni personali”; - all'art. 3 che “il ### provvede a: tenere i ruoli dei lavoratori e gli elenchi delle imprese per operazioni portuali…..controllare la gestione e il funzionamento delle compagnie; stabilire i criteri per l'avviamento al lavoro e per l'avvicendamento della mano d'opera e curarne l'osservanza; organizzare il lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico del porto e vigilare sulla osservanza delle norme, delle tariffe e degli orari relativi al lavoro portuale; vigilare sulla esecuzione delle operazioni portuali, verificare e vistare, su richiesta degli interessati, le note di lavoro e le fatture.... deliberare su tutto quanto attiene all'ordinamento generale del lavoro nel porto e fare eseguire le decisioni dei propri organi deliberativi in materia”; - all'art. 4 che “sono considerati lavoratori portuali agli effetti del presente regolamento quelli addetti alle operazioni di cui al primo comma dell'art. 2…i lavoratori portuali sono iscritti in appositi ruoli, distinti per categorie, tenuti dal ### lavoro portuale e gestioni dirette del ### autonomo del porto”; - all'art. 12 che “i lavoratori portuali devono….usare rispetto verso i funzionari del ### del ### della capitaneria di porto, della dogana e della forza pubblica e ubbidire agli ordini che da essi venissero impartiti in merito alla disciplina del lavoro e alla sicurezza e polizia portuale”; - all'art. 23 che ”il consorzio autonomo del porto, oltre ad esercitare i poteri di cui al precedente art. 3, cura l'osservanza, da parte della compagnia, delle disposizioni di legge e del presente regolamento”; - all'art. 50 che “l'avviamento e l'avvicendamento al lavoro dei lavoratori iscritti nei ruoli sono regolati dal console della compagnia secondo i criteri stabiliti dal ### del Porto”; - all'art. 62 che “il ### del ### a norma delle disposizioni della propria legge istitutiva, stabilisce gli orari di lavoro e le norme relative all'esecuzione delle operazioni portuali”; - all'art. 65 che “il ### del ### provvede a stabilire con regolamenti speciali le norme tecniche di lavoro particolari di ogni categoria di lavoratori e a fissare i relativi orari, le tariffe e la composizione e la resa base delle squadre. ### del ### esercita una funzione di vigilanza a mezzo di propri agenti, al visto dei quali devono essere sottoposte tutte le note di lavoro delle ### portuali”; - all'art. 74 che “il ### del ###.. esercita la vigilanza sul lavoro del porto a mezzo del ### lavoro portuale e gestioni dirette, al quale sono in particolare affidati i seguenti compiti: curare l'osservanza delle leggi, del presente regolamento e di tutte le altre speciali disposizioni del lavoro; provvedere alle disposizioni sulla previdenza sociale di cui all'art.  49… curare l'applicazione delle sanzioni disciplinari, secondo le norme relative”.   Alla luce della disposizioni normative sopra richiamate il CAP risultava titolare del potere / dovere di disciplinare e organizzare sia il lavoro portuale, sia i luoghi di lavoro ove i lavoratori portuali svolgevano la loro attività, e del conseguente potere / dovere di far rispettare la normativa di sicurezza relativa a tali lavoratori.   Per contro la ### era mera intermediatrice di manodopera, fornendo, in allora in modo del tutto legittimo e conforme alla speciale normativa del settore, la manodopera richiesta dal ### il quale era, invece, destinatario, fruitore e unico utilizzatore delle prestazione lavorativa delle maestranze portuali.   Conseguentemente, nel contesto dell'attività portuale presso il porto di ### il CAP era l'unico soggetto dotato di caratteristiche imprenditoriali, essendo inoltre a piena conoscenza (e responsabile) della movimentazione di ingenti quantità di amianto.   A tale soggetto deve conseguentemente essere ricondotta “l'esclusiva incombenza del rispetto della normativa ex art. 2087 c.c. indipendentemente dalla diretta dipendenza dei lavoratori, che eseguono la propria attività in un contesto nel quale una sola è la figura imprenditoriale di preminenza" (Cass., 11 ottobre 2012, n 17334; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17172; Cass., 8 ottobre 2012 n. 17092).   “###. 2087 cod. civ., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, obbligandolo a provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori, benché da lui non dipendenti, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire” (Cass., 9 maggio 2017, n. 11311; Cass., 11 ottobre 2012, n 17334; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17172; Cass., 8 ottobre 2012 n. 17092).   Poiché la responsabilità del CAP deve essere ricondotta all'art. 2087 c.c., detta responsabilità ha natura contrattuale.   Tale conclusione trova conferma nei più recenti approdi di dottrina e giurisprudenza, secondo cui la responsabilità deve essere qualificata come contrattuale (cioè come la responsabilità in cui incorre, ai sensi dell'art. 1218 c.c., "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta"), non soltanto quando l'obbligo di prestazione violato derivi da un contratto, nell'accezione di cui all'art. 1321 c.c., ma anche in ogni caso di inesatto adempimento di obblighi di comportamento, preesistenti alla condotta lesiva, quale che ne sia la fonte.   Come chiarito dalle ### della Corte di Cassazione, “è opinione ormai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte. In tale contesto la qualificazione "contrattuale" è stata definita da autorevole dottrina come una sineddoche (quella figura retorica che consiste nell'indicare una parte per il tutto), giustificata dal fatto che questo tipo di responsabilità più frequentemente ricorre in presenza di vincoli contrattuali inadempiuti, ma senza che ciò valga a circoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe altrimenti suggerire. Pur non senza qualche incertezza, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. Così, ad esempio, è stato attribuito carattere contrattuale non soltanto all'obbligazione di risarcimento gravante sull'ente ospedaliero per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico operante nell'ospedale, ma anche all'obbligazione del medico stesso nei confronti del paziente, quantunque non fondata sul contratto ma sul solo contatto sociale, poiché a questo si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi che si manifestano e sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (cfr. Cass. n. 9085 del 2006, Cass. n. 12362 del 2006, Cass. n. 10297 del 2004, Cass. n. 589 del 1999 ed altre conformi); e natura contrattuale è stata riconosciuta anche alla responsabilità del sorvegliante dell'incapace, per i danni che quest'ultimo cagioni a se stesso in conseguenza della violazione degli obblighi di protezione ai quali il sorvegliante è tenuto, sul presupposto che quegli obblighi derivino da un rapporto giuridico contrattuale che tra tali soggetti si instaura per contatto sociale qualificato (cfr. Cass. n. 11245 del 2003).   Ne deriva che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti). In quest'ottica deve esser letta anche la disposizione dell'art.  1173 c.c. che classifica le obbligazioni in base alla loro fonte ed espressamente distingue le obbligazioni da contratto (da intendersi nella più ampia accezione sopra indicata) da quelle da fatto illecito...” (Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007 n. 14712).   Tali principi possono trovare applicazione anche alla specifica materia lavoristica, nella quale è già stata ricondotta all'ambito della responsabilità ex art. 1218 e ss. c.c. la responsabilità dell'ex datore di lavoro che, successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, fornisca informazioni inesatte all'ex dipendente, così causandogli un pregiudizio alla posizione previdenziale (cfr. Cass., 21 luglio 2011 n. 15992).   Anche la responsabilità facente capo a soggetti che, se pur diversi dal datore di lavoro, siano titolari per legge di posizioni di garanzia nei confronti del lavoratore deve dunque ascriversi alla responsabilità ex art. 1218 e ss. c.c., traendo essa origine da inesatto adempimento di obblighi di comportamento preesistenti alla condotta lesiva. 
La responsabilità del CAP e quindi di ### oggi ### di ### del ### la “nocività” dell'attività lavorativa, ai fini dell'affermazione della responsabilità della convenuta, devono richiamarsi i seguenti principi di diritto, ormai del tutto consolidati: - “la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81” (Cass., 5 agosto 2013, n. 18626); - “in materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell'art.  2087 c.c., a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli artt. 174 e 175 del d.P.R. n. 1124 del 1965 all'art. 21 del d.P.R. n. 303 del 1956, norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini) di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza, comporta che non sia sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. tlv, "threshold limit value") poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte” (Cass., 21 settembre 2016, n. 18503); - “all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro … era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto…. Da tali premesse… derivava l'obbligo del datore di lavoro, evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di adottare misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art.  2087 c.c. e più specificamente al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce, recependo le indicazioni prevenzionistiche già affermatesi, che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendosi che le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Soccorrono quindi le norme dello stesso D.P.R. n. 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione (Cass., 30 marzo 2015, 6352); - in ogni caso, vale il principio di chiusura per cui, “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, 291).   In particolare, quanto alla tesi di parte convenuta per cui non potrebbe ravvisarsi colpa in capo alla convenuta, poiché all'epoca presumibile della contrazione della malattia la pericolosità dell'amianto non sarebbe stata ancora nota ed inoltre sarebbe mancata una normativa specifica in materia di protezione dall'inalazione di amianto, deve rilevarsi che “già il R.D. 14 giugno 1909, n. 442 che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29, tabella B, n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non era assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgs. 6 agosto 1916, n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13 e il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui era consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell' amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530 , tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche. ### canto l'asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del ‘900 e fu inserita tra le malattie professionali con la L. 12 aprile 1943, n. 455 . In epoca più recente, oltre alla ### 12 febbraio 1955, n. 52 , che, all'art. 1, lett. F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 e alle visite previste dal D.P.R.  20 marzo 1956, n. 648 , si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960, n. 1169 ove all'art. 1 si prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dal T.U.  n. 1124 del 1965, art. 153 per le lavorazioni di cui all'allegato n. 6, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi.   ### canto l'imperizia, nella quale rientra l'ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.   Da quanto esposto discende che all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa degli odierni ricorrenti [n.d.r.: 1956 - 1987] era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto, tanto che l'uso di materiali che ne contengono era sottoposto a particolari cautele, indipendentemente dalla concentrazione di fibre (per fattispecie con periodi temporali di attività lavorativa analoghi …. v. Cass. n. 8204 del 2003; Cass. n. 16645 del 2003; Cass. n. 14010 del 2010; Cass. n. 2491 del 2008; Cass. n. 15156 del 2011; Cass. n. 26590 del 2014; da ultimo Cass. n. 22710 del 2015 che ha ribadito non solo l'irrilevanza della circostanza che il rapporto di lavoro si fosse svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali d'amianto, ma anche che a detta epoca non si sapesse che anche singole fibre d'amianto inalate potessero essere letali).   Si imponeva dunque, anche per il periodo per cui è causa, l'adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c. e più specificamente al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce, recependo le indicazioni prevenzionistiche già affermatesi, che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendosi che le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Devono altresì essere tenute presenti altre norme dello stesso D.P.R. n. 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.   ###. 2087 c.c. in generale e il D.P.R. n. 303 del 1956 in particolare imponevano quindi di adottare provvedimenti idonei ad impedire o a ridurre lo sviluppo e la dispersione delle polveri nell'ambiente di lavoro, a prescindere peraltro dall'accertamento di una specifica nocività rispetto a determinate patologie, essendo comunque accertata la nocività della polvere (di qualsiasi sostanza) per l'apparato respiratorio (cfr. Cass. n. 6352 del 2015).   Gravava pertanto sulla società datrice di lavoro l'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno attraverso l'adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle suddette norme…” (Cass., 23 agosto 2016, n. 17252).   Nella specie parte convenuta non ha dimostrato di aver posto in essere tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. 
In particolare, ai sensi dell'art. 21 D.P.R. n. 303/1956 (vigente nel periodo per cui è causa): “Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambito di lavoro, nell'ambiente di lavoro. 
Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera.   Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad impedirne la dispersione. ### deve essere effettuata, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri.   Quando non siano attuabili le misure tecniche di prevenzione indicate nel comma precedente, e la natura del materiale polveroso lo consenta, si deve provvedere all'inumidimento del materiale stesso.   Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e la eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse possano rientrare nell'ambiente di lavoro..”.   Ai sensi dell'art. 19 del medesimo D.P.R. n. 303/1956: “il datore di lavoro è tenuto ad effettuare ogni qualvolta è possibile in luoghi separati le lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporvi senza necessità i lavoratori addetti ad altre lavorazioni”. 
Ai sensi del successivo art. 25, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, i lavoratori devono essere forniti di apparecchi di protezione. 
Nella specie, la convenuta non ha dato prova di aver adottato tali prescrizioni, anzi - al contrario - dagli elementi agli atti è risultata positivamente dimostrata la relativa violazione. 
Segnatamente, alla luce delle già descritte modalità operative con cui si svolgeva la movimentazione dell'amianto, il CAP risulta aver omesso di predisporre tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore sul luogo di lavoro sotto i seguenti profili: - poiché tutte le operazioni che implicavano l'esposizione ad inalazione di amianto venivano effettuate sostanzialmente senza alcuna precauzione volta ad evitare o ad abbattere l'inalazione di polveri contenti amianto; - poiché la movimentazione dell'amianto veniva effettuata senza utilizzare contenitori sigillati e resistenti agli urti, idonei ad esitare la dispersione di polvere di amianto; - poiché il CAP non adottava misure organizzative per confinare le lavorazioni comportanti produzione di polveri nocive dalle altre attività; - poiché all'interno del porto non veniva esercitata vigilanza sull'effettivo uso dei mezzi individuali di protezione contro le polveri nocive: come è noto, ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 4 lett. c) D.P.R. n. 547/1955, all'epoca vigente, il titolare dell'obbligo di sicurezza è tenuto non soltanto a predisporre le misure necessarie a garantire l'incolumità del lavoratore, ma anche ad esigere che i lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione, con conseguente responsabilità dell'imprenditore per il danno conseguente all'omessa vigilanza sull'utilizzo dei d.p.i.; - poiché il lavoratore non era stato informato della pericolosità delle polveri contenenti fibre di amianto e delle cautele da adottare in presenza di tali polveri.   Sostiene la convenuta che, qualunque cautela fosse stata adottata all'epoca dell'esposizione, l'evento si sarebbe ugualmente prodotto, non esistendo in allora idonee ed adeguate misure di prevenzione atte ad impedire l'insorgenza della patologia.   Al riguardo deve rilevarsi che il CAP non ha adottato neppure quelle misure minime previste all'epoca per contrastare l'inalazione di polveri di amianto e quindi non ha rispettato l'obbligo di cui all'art. 2087 c.c. assumendosi i rischi di eventuali tecnopatie.   Come affermato dalla Corte di Cassazione, “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, n. 291). 
Il nesso causale tra la nocività dell'attività lavorativa e la patologia contratta dal sig.  ### la CTU medico legale, il CTU ha concluso che: “- il sig. ### era affetto da mesotelioma pleurico destro, di tipo epitelioide; il complesso degli elementi diagnostici disponibili permette di confermare tale diagnosi; - la sintomatologia legata al mesotelioma si manifestò nel 2014 e venne acclarata in ambito ospedaliero, in base appunto alla concordanza di supporti diagnostici radiologici ed istologici; - tale patologia fu la causa primaria del decesso del soggetto, avvenuto l'11/4/2016”.   Quanto al nesso causale tra detta patologia e l'attività lavorativa svolta nel porto di ### deve precisarci che il sig. ### non risulta aver svolto alcun altra attività lavorativa né prima né dopo il rapporto di lavoro per cui è causa (cfr. libero interrogatorio del sig. ### “mio padre ha iniziato a lavorare per la ### a 18 anni. Stava facendo il servizio militare quando è morto mio nonno, che a sua volta era socio della ### A questo punto mio padre è diventato capo famiglia, è stato richiamato dal servizio militare e la ### come allora era prassi, gli ha offerto di andare a lavorare al posto di mio nonno”).  ### ha pertanto ritenuto che: - “preso atto della patologia e delle sue caratteristiche, tenuto conto di quanto è noto sui tempi di latenza con la quale la stessa si manifesta rispetto all'esposizione ad amianto, e di quanto è complessivamente noto sul rapporto tra esposizione ad amianto e mesotelioma, si può ritenere che il mesotelioma pleurico da cui era affetto il sig. ### sia stato con tutta probabilità conseguente all'inalazione di fibre di amianto cui il soggetto fu esposto nel corso dell'attività lavorativa svolta presso la ### del ### di ### tra il 1957 ed il 1988; - non vi sono elementi che inducano a ritenere che si siano verificate per il soggetto altre fonti di esposizione ad amianto durature nel tempo e di entità considerevole, né in altre attività lavorative né nell'ambiente di vita; va inoltre considerato che il periodo trascorso dall'inizio dell'attività nella ### alla comparsa clinica della malattia (57 anni) è ampiamente compatibile ed anzi largamente superiore alla mediana della latenza cui si può assistere nei casi di mesotelioma; - non vi sono neppure elementi che inducano a ritenere che altri fattori patogeni possano aver influito sull'insorgenza del mesotelioma e sulla sua attribuibilità all'esposizione ad amianto; - è dunque alquanto probabile che il mesotelioma che portò a morte il sig. ### sia stato totalmente o prevalentemente conseguente all'esposizione ad amianto nel ### di Genova”.   In risposta agli ulteriori quesiti, il CTU ha poi affermato: - “con l'eventuale adozione degli accorgimenti e presidi di cui all'art. 21 D.P.R. n. 303/1956 (considerando le caratteristiche e la relativa efficienza progressivamente disponibili nei decenni tra il ‟50 e l‟80 del secolo scorso) si sarebbe con molte probabilità limitata la numerosità di mesoteliomi pleurici che si è verificata nella popolazione lavorativa della ### ma non si può ragionevolmente definire se si sarebbe impedito il mesotelioma del sig. ### si può inoltre ritenere probabile che con l'adozione degli accorgimenti e presidi di cui sopra, per effetto della diminuzione della dose inalabile, parte almeno dei mesoteliomi che si sono verificati tra i lavoratori della ### sarebbero potuti insorgere in epoca significativamente posteriore (per allungamento della latenza), ma anche ciò non può essere ragionevolmente definito per il singolo caso del sig. ### - non vi sono supporti scientifici (a conoscenza del sottoscritto) che possano suffragare l'ipotesi che, una volta insorto, un mesotelioma possa avere differente gravità a seconda della dose di amianto inalata. Pertanto anche in caso fossero stati adottati i citati accorgimenti e presidi, se il mesotelioma fosse insorto non ne sarebbe cambiata l'intensità lesiva”.   Le conclusioni del CTU meritano di essere condivise, in quanto fondate su un accurato esame della documentazione in atti e sorrette da corretta ed esauriente motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta.   Le conclusioni del CTU devono peraltro essere inquadrate nell'ambito dei principi giuridici che regolano il nesso di causalità.   Segnatamente, in assenza di norme civili che specificamente regolino il rapporto di causalità, occorre fare riferimento ai principi generali di cui agli artt. 40 e 41 c.p.   In base a tali principi un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo in assenza del secondo non si sarebbe verificato hic et nunc ovvero nei termini di tempo e nelle precise circostanze in cui si è manifestato ( pen. Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 576).   La valutazione del nesso di causalità, sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, deve essere compiuta sulla base delle migliori cognizioni scientifiche disponibili.   Ove, tuttavia, esse non consentano una assoluta certezza della derivazione causale, la regola di giudizio muta sostanzialmente nel processo penale ed in quello civile, “in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. ###, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l'identità di tali standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso vedansi: Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n. 582. 
Cass.16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238). … Il principio ha avuto larga diffusione in tema di prova del nesso causale. Anche la Corte di ### è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (### 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se "appaia sufficientemente probabile" che l'intesa tra compagnie assicurative possa avere un'influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che "occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, ad fine di accogliere quelle maggiormente probabili").   Detto standard di "certezza probabilistica" in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d.  probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d.  probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).   Sennonché esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorché vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. 
Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all'interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perché in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all'una o all'altra ipotesi” (Cass., 5 maggio 2009 n. 10285, ex multis).   Deve poi aggiungersi che, in ipotesi di imputazione dell'evento di danno a omissione colposa, la riferibilità causale dell'evento alla condotta omissiva postula l'accertamento che l'evento non si sarebbe verificato se l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi.   ### del rapporto di causalità ipotetica passa dunque attraverso il giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, al fine di verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato.   Anche in questo caso lo standard di "certezza probabilistica" richiesto non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), dovendo, invece, essere verificato - come già detto - sulla base degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d.  probabilità logica o baconiana).   Segnatamente, tale metodo baconiano è basato sull' induzione eliminatoria, nel senso che un asserto è considerato tanto più probabile quante più ipotesi alternative ad esso sono state considerate e poi eliminate per falsificazione.   Alla stregua dei principi ora riferiti, poiché, come già detto, le norme di prevenzione violate sono molte e non è possibile escludere un'incidenza causale di ciascuna di esse nella riduzione del rischio, sulla base del principio "del più probabile che non" deve ritenersi dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra la condotta omissiva della convenuta e la patologia che ha causato il decesso del sig. ### In ogni caso, come pure già evidenziato, ai sensi dell'art. 2087 c.c., “il dovere del datore di lavoro era di escludere comunque l'esposizione alla sostanza pericolosa, anche se ciò avesse imposto l'adozione di interventi drastici fino alla stessa modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, n. 291). 
La quantificazione del danno jure proprio I testi escussi hanno descritto l'intensità del vincolo familiare che legava i ricorrenti al de cuius, la vicinanza dei figli e l'assistenza prestata durante la malattia (tanto che la figlia per assistere il padre ha chiesto prima i permessi ex lege 104/1990 e poi un periodo di aspettativa), gli oltre 50 anni di matrimonio che legavano la sig.ra ### al marito, il progresso doloroso ed inevitabile della malattia, cui i ricorrenti hanno assistito consapevoli ed impotenti fino alla morte.   Ciò consente di ritenere dimostrato, o quantomeno presumere - secondo l'id quod plerumque accidit -, un danno non patrimoniale dei congiunti a seguito del decesso del sig.  ### La famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost., è, infatti, secondo il comune sentire, luogo privilegiato per l'instaurarsi di peculiari rapporti di affetto, solidarietà, frequentazione e reciproco affidamento.   Ai fini della quantificazione del danno, la giurisprudenza di legittimità, in considerazione delle esigenze, di rilievo costituzionale, di perequazione dei risarcimenti nel territorio nazionale e di certezza del diritto, ha indicato quali necessari parametri di riferimento le tabelle milanesi (cfr. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; Cass., 7 novembre 2014, n. 23778; Cass., 13 novembre 2014, n. 24205) .   Le tabelle citate indicano quali parametri per la quantificazione del danno non patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto una somma compresa tra un minimo di euro 163.990,00 ed un massimo di euro 327.990,00.   Nella specie, considerata l'età avanzata del sig. ### al momento del decesso (quasi 77 anni) si reputa equo quantificare il danno in misura più vicino intermedia tra il massimo ed il minimo, e precisamente in euro 240.000,00, quanto alla moglie (convivente e coniugata da oltre 50 anni, ma tuttavia anch'ella non più giovane e certamente non più impegnata nella crescita dei figli) ed invece in una cifra più vicina al limite minimo, e precisamente in euro 190.000, quanto a ciascuno dei figli (non conviventi, già adulti al momento della malattia e con vita propria vita ed autonoma al di fuori della famiglia di origine e pur tuttavia, come già detto, molto uniti al padre e vicini a lui per tutto il tempo della malattia), somme necessariamente quantificate in via equitativa ed equitativamente determinate al valore attuale.   Sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno jure proprio, spettano gli interessi di legge dalla data della sentenza al saldo. 
Infatti, “con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l'ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall'eventuale ritardo nell'esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta” (Cass., 14 aprile 2011, n. 8507). 
La quantificazione del danno jure hereditario ### in primo luogo premettersi la pacifica trasmissibilità della voce risarcitoria in esame, sulla base del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione dell'integrità psicofisica patita dal danneggiato per quel periodo di tempo, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi iure hereditatis” ( 28 agosto 2007, n. 18163; Cass. 7 giugno 2010, n. 13672; Cass. 19 ottobre 2016, n. 21060, ex multis).   ### per contro escludersi, alla luce della recente pronuncia delle ### della Corte di Cassazione, la risarcibilità del danno da perdita della vita.   Infatti, “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo” (Cass., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350).   Quanto, poi, alla quantificazione del danno correlabile alla malattia che ha condotto il sig. ### a morte, deve rilevarsi che, laddove la malattia non si risolva in esiti permanenti, ma determini la morte dell'individuo, il danno risarcibile è soltanto quello che la giurisprudenza qualifica come il danno biologico c.d. terminale, costituito sia dalla inabilità temporanea sia - in caso di consapevole attesa della morte - dalla sofferenza psichica, da liquidare tenendo conto della speciale intensità del danno (Cass., 17 ottobre 2016, n. 20922).   Poiché l'inabilità temporanea non si tramuta mai in inabilità permanente, cioè in una condizione stabilizzata, il danno può essere commisurato soltanto all'inabilità temporanea. 
Tuttavia nella relativa liquidazione - e cioè nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto - si deve tener conto del fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte.   Assume dunque rilievo predominante, più che l'intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima, il diverso criterio dell'intensità della sofferenza provata.   Poiché il pregiudizio costituito dalla perdita della vita, come detto, non è risarcibile, la somma da liquidare non può essere rapportata all'aspettativa di vita della vittima, bensì al periodo di vita e di sofferenza effettivamente vissuto dal momento della lesione fino a quella del decesso.   Da ultimo, poiché in via di principio nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi (i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del danno, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo), per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, sembra equo - in assenza di altri parametri - adottare il criterio di liquidazione predisposto dalle recenti tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del c.d. “danno terminale”.   Tali tabelle sono state predisposte tenendo conto dei seguenti principi: - l'unitarietà ed omnicomprensività del concetto di “danno terminale”, che, alla luce dell'insegnamento delle ### nelle sentenze gemelle dell'11 novembre 2008, nn. 26972-3-4-5, ricomprende al suo interno ogni aspetto biologico e sofferenziale connesso alla percezione della morte imminente (e dunque i pregiudizi altrimenti definiti come “danno biologico terminale”, da “lucida agonia” o “morale catastrofale”, nonché il danno biologico temporaneo “ordinario”, da intendersi in esso assorbito); - la durata limitata del danno, derivante dalla stessa definizione del danno come terminale (durata temporanea convenzionalmente stabilita in un periodo massimo di 100 giorni, oltre il quale il danno terminale non può prolungarsi, risultando risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario); - la coscienza del danneggiato, non essendo il danno in re ipsa ed occorrendo quindi la percezione della fine imminente; - l'intensità decrescente, basata sull'esperienza medico legale, secondo la quale il danno tende a decrescere col passare del tempo, dal momento che la massima sofferenza è percepita nel periodo immediatamente successivo all'evento lesivo per poi scemare nella fase successiva (tale criterio verosimilmente non è perfettamente in linea con la gravità ingravescente della patologia che ha condotto a morte il de cuius, ma resta comunque applicabile anche nella presente fattispecie, sia pure con un calcolo a ritroso, ipotizzando la massima sofferenza nei giorni immediatamente precedenti il decesso); - il metodo tabellare, che - pur nella ribadita difficoltà di individuare una “regola” che valga per tutte le variegate fenomenologie di danno terminale - assegna a ciascun giorno di sofferenza, nei limiti del tetto di 100 giorni complessivi, un valore progressivamente - e convenzionalmente - decrescente, sino ad agganciarsi, al 100° giorno, alla valutazione del danno biologico temporaneo ordinario; - la tabella prevede in particolare la liquidazione di un danno terminale massimo, non ulteriormente personalizzabile, fino al tetto di 30.000,00 euro per tre giorni e poi una cifra giornaliera inferiore, decrescente nel tempo (nella presente fattispecie da calcolarsi a ritroso dal giorno del decesso), a partire dal quarto giorno e personalizzabile, in relazione alle circostanze del caso concreto e al particolare sconvolgimento che risulti di volta in volta provato (con una personalizzazione che viene proposta nel limite massimo del 50%). Il valore del 4° giorno è stato individuato in 1.000 euro, mentre la progressiva diminuzione giornaliera è stata calcolata, con i necessari arrotondamenti, in modo tale da giungere, alla fine del periodo, ad un valore (98 euro) pressoché pari a quanto pro die stabilito dalla tabella per il danno biologico temporaneo standard (salva personalizzazione).   Applicando i criteri previsti dalla tabella ora citata il danno terminale nella presente fattispecie deve essere quantificato tenendo conto: - che il CTU, all'esito della propria consulenza, ha concluso che, in conseguenza della malattia, sono derivati al sig. ### un periodo di invalidità temporanea per 741 giorni, di cui i primi 425 giorni con invalidità temporanea pari al 40%, i successivi 245 giorni con invalidità temporanea pari all'80%, infine gli ultimi 71 - fino al decesso - con invalidità temporanea totale, pari quindi al 100%; - che, per gli ultimi giorni di vita del sig. ### deve farsi riferimento ai valori previsti dalla tabella del danno biologico terminale del Tribunale di Milano (ovvero - in assenza di altri parametri - dalla tabella proposta dall'### sulla ### di ### per la liquidazione del c.d. “danno terminale”); - che il danno degli ultimi 71 giorni di vita del de cuius deve dunque essere quantificato in euro 88.233,75, sulla base del seguente calcolo: euro 30.000,00 (non ulteriormente personalizzabili) + euro 58.233,75 (euro 46.587,00 come da tabella, con la personalizzazione massima del 50%); - che la massima personalizzazione è giustificata dalla particolarità della patologia (neoplasia di estrema gravità con prognosi infausta e con rapida evoluzione), dalla conseguente inevitabile consapevolezza dell'approssimarsi della fine (di cui il de cuius era ben conscio, come riferito dai testimoni), dalle condizioni fisiche in cui versava il de cuius nel periodo di riferimento (cfr. CTU: “si può desumere che la fase finale sia iniziata e sia progredita rapidamente circa all'inizio del 2016, evolvendo nel corso di 2-3 mesi fino all'exitus. Nel ricovero terminale si parlava di “metastasi linfonodali mediastiniche e polmonari da mesotelioma pleurico con versamento pleurico”. Dal diario clinico si evince che il paziente veniva rilevato in stato soporoso e condizioni critiche e che la famiglia veniva informata della condizione gravissima del paziente”. Come già detto, era rilevata la condizione di “ingesti alimentari nel terzo medio dell'esofago”, che suggeriva la nutrizione parenterale”).  - che, come affermato nella sentenza n. 268/2012 dalla Corte d'Appello di ### "il mesotelioma è tumore che porta inevitabilmente alla morte, progredendo senza remissione, attraverso un percorso pesante di malattia. La notorietà degli esiti e dell'evoluzione fa poi sì che chi ne venga colpito sia inevitabilmente costretto a convivere al contempo con l'idea della morte certa e prossima e con la consapevolezza di dover affrontare grandi traversie dolorose, con evidente sconvolgimento dell'essere proprio e della propria famiglia. Si tratta di aspetti che rientrano ormai nella conoscenza comune e nella coscienza dei nostri tempi, sui quali non mette dunque conto attardarsi in ulteriori dettagli. Al contempo non si esita a dire che il sopra descritto pregiudizio di tipo morale derivante da tale lesione si collochi ai massimi della scala di possibili sofferenze umane. E per di più la gravità di esso è acuita dalla non breve durata, che sottopone la persona, per un periodo non trascurabile, alla condizione psicologica appena evidenziata”; - che in ragione di tale considerazione anche per l'invalidità temporanea parziale deve essere applicata la massima personalizzazione (145 euro pro die) e che pertanto il danno può essere calcolato in euro 24.650,00 per i 425 giorni di invalidità temporanea parziale al 40% e in euro 28.420,00 per i successivi 245 giorni di invalidità temporanea parziale all'80%; - che pertanto il danno sofferto del de cuius deve essere quantificato in complessivi euro 141.303,75 (88.233,75 + 24.650,00 + 28.420,00). 
Il danno differenziale ### alla limitazione del risarcimento del danno al solo danno differenziale, deve rilevarsi che “Cass. n. 20807 del 2016, in continuità con Cass. n. 13222 del 2015, ha affermato il principio secondo cui: "in tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa ### in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'### ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed 13 R.G. n. 26628/2014 alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale" (Cass. 10 aprile 2017, n. 9166; cfr. Cass., 14 ottobre 2016, n. 20807).   Il Giudice “valuterà, cioè, il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, e da esso detrarrà quanto indennizzabile dall'### in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale (come già sancito da n. 20807/2016 cit.)” (Cass. 10 aprile 2017, n. 9166).   Dall'ammontare del danno deve pertanto essere detratta esclusivamente la somma corrispondente alla componente relativa al danno biologico indennizzato dall'### pari a euro 14.934,55 (come da informative acquisite presso l'###. 
Nulla rileva il fatto che il danno non patrimoniale qui riconosciuto sia riferito ad un'invalidità temporanea, laddove l'### ha costituito la rendita in favore del sig.  ### sul presupposto dell'esistenza di postumi permanenti.   ### riconosciuto dall'### è, infatti, comunque riferito ad un danno non patrimoniale e pertanto deve essere detratto. 
Residua dunque un danno di euro 126.369,20 (141.303,75 - 14.934,55) e così euro 126.400,00 per arrotondamento. 
Tale danno viene equitativamente quantificato nell'attualità. 
Sulla somma così liquidata spettano poi la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalla data del sentenza sino al saldo ai sensi dell'art. 429 c.p.c., norma applicabile anche il risarcimento del danno subito dal lavoratore per la mancata predisposizione, da parte dell'imprenditore, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti, essendo tale danno di origine contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass., 8 aprile 2002, 5024; Cass., 18 febbraio 2004, n. 3213; Cass., 1 luglio 2004, n. 12098; Cass., 10 settembre 2010, n. 19348; Cass., 1 luglio 2011, n. 14507).   Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.   Poiché nella fattispecie sono ravvisabili gli estremi del reato p. e p. dall'art. 589 c.p.  in relazione alla malattia professionale che ha causato il decesso del sig. ### deve essere disposta la trasmissione degli atti alla ### della Repubblica di ### per le determinazioni di competenza sull'azione penale.  P.Q.M.  Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione: - dichiara tenuta e pertanto condanna ### di ### del ### (già ### di ###, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore: - a corrispondere ai ricorrenti, pro quota, in qualità di eredi di ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dal de cuius, la somma di euro 126.400,00, oltre interessi e rivalutazione sulla somma annualmente rivalutata dalla data della presente sentenza al saldo; - a corrispondere ad ### e ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio sofferto per la morte del padre ### la somma di euro 190.000,00 ciascuno, oltre interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo; - a corrispondere a ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio sofferto per la morte del coniuge ### la somma di euro 240.000,00, oltre interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo; - rigetta le domande proposte nei confronti di C.U.L.M.V. ### Coop. a r.l.; - condanna ### di ### del ### a rifondere ai ricorrenti le spese di lite, che liquida in complessivi euro 20.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, rimborso contributo unificato ed accessori di legge; - condanna ### di ### del ### a rifondere a C.U.L.M.V. le spese di lite, che liquida in complessivi euro 13.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; - pone definitivamente a carico di ### di ### del ### le spese di ### - riserva il termine di 60 giorni per il deposito dei motivi della decisione.  ### 8 marzo 2018 ### n. 4874/2016

causa n. 4874/2016 R.G. - Giudice/firmatari: Scotto Maria Ida, Peruzzo Franco

M

Tribunale di Genova, Sentenza n. 662/2017 del 02-10-2017

... esso, fiorisce un collocamento illegale (il cosiddetto caporalato) che, a differenze del primo, non si limita ad inviare il numero di lavoratori richiesti secondo l'ordine di iscrizione negli elenchi, ma ingaggia la manodopera secondo i desideri del datore di lavoro, organizzandola in squadre. Questo fenomeno esisteva ampiamente nei primi venti anni di questo secolo nei porti italiani, nei quali gli operai, quasi sempre organizzati in cooperative o associazioni di fatto, affiancate a partiti politici, spesso erano costretti a rivolgersi ai cosiddetti "assuntori" o "caporali", i quali si incaricavano di reclutare le squadre da avviare al lavoro e pretendevano per questa funzione di intermediari, compensi non di rado esosi. … A partire dal 1923 ci furono vari interventi legislativi, destinati a porre ordine nel settore del lavoro portuale, e tale evoluzione si è conclusa con il codice della navigazione e il relativo regolamento, che hanno dettato una minuziosa disciplina del lavoro portuale. Tale disciplina è durata per circa 50 anni, fino a quando, cioè, a causa di alcune distorsioni derivanti dal regime di monopolio, in cui operavano le compagnie portuali, e la necessità di adeguare la (leggi tutto)...

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R.G. 282/2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GENOVA Il Giudice Monocratico - ### del ### in persona della dott. ssa ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa promossa da #### e ### rappresentati e difesi, in forza di procura a margine del ricorso, dagli avv. ### e ### presso il cui studio sono elettivamente domiciliati ricorrenti ### AUTORITA' ### (già ### di ###, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. ### rappresentata e difesa, in forza di procura depositata telematicamente, dall'Avv. ### e dall'Avv. ### elettivamente domiciliata presso la prima convenuta C.U.L.M.V. - ### Coop. a r.l., in persona del ### pro tempore, sig.  ### rappresentata e difesa, in forza di procura a margine della memoria di costituzione, dall'avv. ### presso il cui studio è elettivamente domiciliata terza chiamata ### delle parti: come da rispettivi atti di costituzione in giudizio MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 28 gennaio 2016 i sig. #### e ### premesso di essere eredi del sig. ### e della di lui vedova ### esponevano: - che il sig. ### aveva lavorato, come addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci, per la ### del ### di ### (di seguito ### dal 1946 al 1984; - che i lavoratori portuali addetti alle operazioni di imbarco / sbarco operavano in squadre e venivano avviati giornalmente nelle diverse zone del porto, a bordo nave o a terra, a seguito della c.d. “chiamata”, non avendo una postazione fissa di lavoro; - che la formazione delle squadre e l'assegnazione della zona di lavoro avvenivano sulla base di un piano predisposto dall'allora ### del ### di ### (di seguito ###, che stabiliva la nave, la sua dislocazione, la composizione delle squadre, le tempistiche e ogni altra informazione relativa all'attività da eseguire e alle misure di sicurezza da adottare; - che il lavoro si svolgeva sotto la sorveglianza dei funzionari del ### cd. gestori di calata, che sorvegliavano il lavoro, intervenivano per rilevare infrazioni alla disciplina del lavoro o l'inosservanza alle misura di sicurezza, ricevevano le segnalazioni dei capi squadra in caso di problemi tecnici o di sicurezza e prescrivevano le misure necessarie, disponendo se del caso la sospensione del lavoro; - che il piano predisposto dal CPA stabiliva le misure organizzative e di sicurezza da adottare; - che l'attività di direzione e coordinamento tra il lavoro delle squadre e quello dei mezzi di sollevamento e trasporto era svolta dai funzionari del ### - che i rapporti con l'utenza (navi, imprese di spedizioni e altre imprese svolgenti servizi portuali) erano di competenza dei funzionari del ### - che i corrispettivi dell'attività prestata dai lavoratori della ### addetti alle operazioni di carico /scarico erano fatturati dal ### che provvedeva poi a versarne una quota alla ### - che tra i materiali movimentati dai lavoratori addetti all'imbarco / sbarco delle merci nel porto di ### vi era anche, in notevole quantità, l'amianto; - che tutte le operazioni di movimentazione dell'amianto avvenivano senza alcuna precauzione volta a evitare il sollevamento e la dispersione di polveri contenti amianto e senza che, sino alla fine degli anni '70, ai lavoratori fosse stata fornita alcuna informazione circa la nocività del materiale maneggiato e senza che venisse adottata alcuna misura di prevenzione e/o protezione; - che ad agosto 2005 al sig. ### era stato diagnosticato un mesotelioma pleurico, a seguito del quale egli era deceduto il 17 ottobre 2005; - che il mesotelioma erano causalmente collegato all'esposizione lavorativa ad amianto; - che l'organizzazione lavorativa portuale era di competenza del CAP ai sensi del R.D.  n. 801/1936, del codice della navigazione e del relativo ### di attuazione; - che pertanto ### di ### era responsabile dei danni cagionati al lavoratore per inadempienza agli obblighi di informazione, prevenzione e tutela che facevano capo all'allora CAP quale soggetto titolare dell'organizzazione (ed in concreto esercente la) attività produttiva nella quale i lavoratori della ### erano inseriti come prestatori di manodopera, nonché quale soggetto titolare ex lege di poteri autoritativi di organizzazione, direzione e sorveglianza del lavoro fornito dalle maestranze portuali, inclusi gli iscritti ai registri della ### - che, in ragione della posizione di garanzia attribuita dalla legge al CAP nei confronti di tutti i lavoratori portuali, la responsabilità del ### doveva essere ascritta alla violazione dell'art. 2087 c.c. (e pertanto essere qualificata come di natura contrattuale), o comunque doveva essere ascritta alla violazione del principio del neminem laedere di cui agli artt. 2043 e 2050 I ricorrenti convenivano pertanto in giudizio ### di ### (di seguito ###, poi divenuta in corso di giudizio ### di ### del ### ai sensi del d.lgs. n. 169/2016, formulando le seguenti conclusioni: “ritenuta per i motivi esposti la responsabilità della convenuta per la malattia e la morte del sig. ###, previa ogni occorrenda pronuncia, condannare A.P.G. al risarcimento in favore dei ricorrenti - quali eredi del sig. ### - del danno non patrimoniale complessivamente patito dal dante causa, da quantificarsi in euro 150.000 od altra somma da determinarsi secondo il criterio di liquidazione meglio ritenuto dal Giudice Ill.mo; al risarcimento in favore dei ricorrenti, anche in qualità di eredi della sig.ra ### al risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del congiunto, da determinarsi come segue: euro 250.000 per danno conseguente alla perdita del coniuge da parte della sig.ra ### euro 180.000 per capite per danno conseguente alla perdita del padre; con salvezza di diversa determinazione equitativa da parte del Tribunale, ### le spese e competenze di giudizio, da liquidarsi con distrazione in favore dei difensori antistatari”.   APG si costituiva ritualmente eccependo: - l'ascrivibilità del mesotelioma ad esposizione ad amianto durante l'attività lavorativa prestata dal lavoratore in epoca anteriore o successiva al rapporto di lavoro dedotto in giudizio; - il difetto di prova circa la legittimazione a agire dei ricorrenti in qualità di eredi del sig.  ### e della sig.ra ### - la nullità del ricorso per mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento delle domande (in particolare per mancata specificazione della natura contrattuale o extracontrattuale dell'azione di responsabilità esercitata); - l'intervenuta prescrizione dei diritti fatti valere; - il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendo la responsabilità essere imputata al datore di lavoro, ossia alla ### e/o alle imprese che, all'epoca, svolgevano i servizi portuali; - il proprio difetto di legittimazione passiva, per non essere APG soggetto successore, tantomeno a titolo universale, del ### - l'incompetenza per materia del giudice del lavoro, non essendo mai intercorso alcun rapporto di lavoro tra il lavoratore e ### - l'infondatezza nel merito delle pretese, essendo errata la diagnosi di mesotelioma pleurico; - l'infondatezza nel merito delle pretese, anche in ragione: a) dell'insussistenza del nesso di causalità tra l'attività lavorativa svolta dal lavoratore in ambito portuale e la patologia denunciata; b) dell'insussistenza di profili di colpa per omissione da parte del ### non essendovi all'epoca consapevolezza a livello scientifico della pericolosità delle polveri di amianto (anche sotto il profilo della loro cancerogenicità e della correlazione tra esposizione ad amianto e mesotelioma pleurico), essendo quindi l'evento imprevedibile; - l'erroneità della quantificazione del danno.   APG chiedeva, inoltre, la chiamata in causa della ### sia perché ritenuta l'unica responsabilità dei fatti di causa, sia, in ogni caso, per essere da quest'ultima manlevata.   APG formulava pertanto le seguenti conclusioni: “Piaccia all'###mo Tribunale di ### - Giudice Monocratico del ### ogni contraria domanda, eccezione ed istanza respinta: 1. in via pregiudiziale, dichiarare il difetto di competenza funzionale del Giudice adito per le ragioni di cui in narrativa; 2. sempre in via pregiudiziale dichiarare il difetto assoluto di prova circa la legittimazione ad agire e circa la titolarità del diritto in capo ai ricorrenti; 3. sempre in via pregiudiziale, dichiarare la nullità per mancanza dei requisiti di legge del ricorso proposto nei confronti dell'### di ### per le ragioni di cui in narrativa; 4. in via preliminare graduata, previo l'espletamento di quanto previsto dall'art. 420 c.p.c. e/o l'adozione di ogni provvedimento meglio visto e ritenuto: - disporre la chiamata in causa della ### (già ### fra i ### delle ### del ### di ###, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, C.F. ###, corrente in #### affinché le domande delle ricorrenti si estendano a detto soggetto, in quanto unico ed esclusivo soggetto responsabile per le motivazioni di cui in narrativa e comunque per l'accertamento della sua esclusiva responsabilità in relazione alle domande delle ricorrenti e per i fatti di causa - ovvero, in subordine, per l'accertamento della sua, concorrente e/o in solido e/o pro-quota e/o nella forma meglio vista, responsabilità - e l'adozione di ogni relativo provvedimento di condanna nei confronti della stessa, come anche meglio esposto nelle conclusioni sub 6-7-8 che seguono. 
Si chiede, altresì, l'immediata estromissione dell'### di ### dal presente giudizio; - disporre la chiamata in causa della ### (già ### fra i ### delle ### del ### di ###, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, C.F. ###, corrente in #### affinché la stessa manlevi e/o tenga indenne in tutto e/o in parte, anche in relazione ad una responsabilità concorrente ed anche per i titoli e le ragioni di cui sopra ed anche in via di regresso, l'### di ### da ogni pretesa avversaria per le motivazioni di cui in narrativa, come anche meglio esposto nelle conclusioni sub 6-7-8 che seguono; 5. nel merito, rigettare tutte le domande formulate dai ricorrenti, in quanto improponibili, improcedibili, inammissibili, infondate in fatto e in diritto e comunque non provate, afferenti ad eventuali diritti prescritti e/o viziate per difetto di legittimazione passiva e rivolte nei confronti di soggetto estraneo ai fatti di causa, assolvendo integralmente e in ogni caso l'### di ### da ogni richiesta avversaria; 6. in via subordinata, salvo gravame, per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, assolvendo integralmente 1'### di ### da ogni richiesta avversaria, con ogni consequenziale ed eventuale pronuncia di condanna nei confronti della terza chiamata; 7. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, sempre per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, accertare e dichiarare la concorrente responsabilità della ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e la misura di questa, con ogni conseguente pronuncia di condanna, anche in via di regresso; 8. in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, sempre per il denegato caso di accoglimento totale o parziale delle domande dei ricorrenti, nei confronti di ### di ### dichiarare tenuta e, pertanto, condannare la ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore. a garantire e/o tenere indenne e/o manlevare l'### di ### dalle domande stesse, nonché a rimborsare ad ### di ### quanto la stessa dovesse essere condannata a corrispondere a parte ricorrente. anche in via di regresso.  9. In ogni caso. con vittoria di spese, diritti ed onorari”.   Autorizzata la chiamata di causa della ### (di seguito ###, quest'ultima si costituiva ritualmente in giudizio contestando la fondatezza delle domande proposte da APG nei suoi confronti e chiedendone pertanto la reiezione.   ### sosteneva, in particolare, di aver svolto, anteriormente alla riforma portuale del 1994, funzione di mero collocamento di mano d'opera e non già di datore di lavoro delle maestranze portuali, in quanto nel regime giuridico in allora vigente le compagnie portuali esercitavano direttamente attività di impresa soltanto ove operassero in forza di concessione ex art.111 cod. nav., nella specie mai intervenuta.   ### formulava pertanto le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, dichiarare inammissibili e/o rigettare tutte le domande azionate dall'### di ### mediante chiamata in causa di ### Coop a.r.l., mandando quest'ultima assolta anche nell'eventualità in cui le ricorrenti intendessero valersi dell'estensione delle domande stesse nei confronti della conchiudente.   Con la vittoria delle spese, diritti e onorari del giudizio”.   Parte ricorrente dichiarava espressamente di non voler estendere la domanda nei confronti di ### Acquisita documentazione, espletata CTU medico legale, all'udienza del 27 luglio 2017, dopo la discussione orale, la causa veniva decisa mediante lettura in aula del dispositivo.  ### di incompetenza funzionale del Giudice del lavoro ### è infondata. 
La controversia rientra, infatti, nella competenza del Giudice del lavoro, in quanto “per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell'art. 409, n. 1, c.p.c., debbono intendersi non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l'eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro (Cass., 8 ottobre 2012 17092; v. Cass. 22-3-2002 n. 4129; nonché Cass., 11 ottobre 2012, n. 17334, con specifico riferimento all'azione risarcitoria introdotta nei confronti di un'### dagli eredi di un lavoratore portuale deceduto per malattia professionale).   Pertanto anche le domande risarcitorie proposte nel presente giudizio devono essere trattate con il rito del lavoro, essendo tale rito applicabile, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., a qualsiasi controversia che trovi nel rapporto di lavoro la ragione giustificativa della domanda, ancorché la causa si tenga tra soggetti diversi da quelli del rapporto di lavoro medesimo. 
E' dunque infondata l'eccezione di incompetenza del Giudice del ### sollevata dalla difesa della convenuta (rectius di inapplicabilità del rito del lavoro, posto che a seguito dell'istituzione del giudice unico di primo grado, la ripartizione delle funzioni tra sezione lavoro e sezioni ordinarie del tribunale non implica l'insorgenza di una questione di competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli affari giurisdizionali all'interno dello stesso ufficio: cfr. Cass., ord. 23 settembre 2009, n. 20494; Cass., ord. 9 agosto 2004, n. 15391; Cass., Sez. Un., 28 settembre 2000, n. 1045).  ### di nullità del ricorso ### è ugualmente infondata.   Il ricorso introduttivo del giudizio specifica, infatti, in modo chiaro: - l'attività lavorativa prestata dal lavoratore e il periodo lavorativo dedotto in giudizio (addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci di ### dal settembre 1946 al 29 febbraio 1984); - la malattia che si assume derivata dall'esposizione lavorativa ad amianto (mesotelioma pleurico); - le ragioni di diritto per le quali parte ricorrente attribuisce al CAP il potere di organizzazione, direzione e sorveglianza del lavoro e l'obbligo di predisporre le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori; - i profili di colpa addebitati al CAP (adozione di modalità di movimentazione della merce inidonee ad evitarne la dispersione nel trasbordo, mancata adozione di mascherine, omessa informazione dei lavoratori in ordine alla nocività delle polveri di amianto…); - il tipo di responsabilità azionata (contrattuale, ex art. 2087 c.c., ed anche ex art. 2043 e 2050 c.c.); - l'importo richiesto a titolo di risarcimento del danno.   Petitum e causa petendi risultano quindi chiaramente indicati.  ### di difetto di prova circa la legittimazione ad agire e circa la titolarità del diritto in capo ai ricorrenti I ricorrenti agiscono, per alcune delle voci di danno, in qualità di eredi del padre ### e della madre ### A dimostrazione della loro qualità di eredi i ricorrenti con il ricorso introduttivo del giudizio hanno prodotto soltanto due dichiarazioni sostitutive di atto notorio, la prima relativa agli eredi del sig. ### e la seconda relativa agli eredi della sig.ra ### APG sostiene che tali dichiarazioni non sarebbero in sé sufficienti a provare la qualità di eredi dei ricorrenti e che inoltre la dichiarazione relativa agli eredi del sig. ### sarebbe “estremamente generica e priva del carattere di specificità (inesistenza di altri eredi, capacità di agire, ecc…”. 
In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000 non costituisce di per sé prova idonea a dimostrare la qualità di erede, esaurendo i suoi effetti nell'ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi (Cass., Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 12065). 
La stessa pronuncia delle ### precisa peraltro che il giudice deve tuttavia “adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell'art. 115 cod. proc. civ., come novellato dall'art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell'ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta”.   Più in particolare, “le modalità di tale contestazione, al fine di impedire gli effetti favorevoli che possono prodursi in favore di chi tale qualità di erede fa valere in assenza di contestazione di quanto contenuto nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, debbono essere necessariamente correlate alle caratteristiche di specificità della dichiarazione sostitutiva, posto che una deduzione sulla qualità di erede formulata in termini eccessivamente generici non può comportare che un onere di contestazione altrettanto generico.   Più specificatamente, è evidente anzitutto la diversità, ai fini di ritenere una dichiarazione sostitutiva più o meno sufficientemente circostanziata, della ipotesi in cui l'interessato si limiti a dichiararsi erede di colui che aveva partecipato al precedente grado di giudizio, rispetto a quella in cui invece egli si dichiari unico erede di quest'ultimo ovvero coerede, fornendo specifiche indicazioni, in tale secondo caso, sulle generalità degli altri coeredi.   Inoltre acquista rilievo, sempre ai fini della valutazione del grado di specificità della dichiarazione sostitutiva di un atto di notorietà sulla qualità di erede del dichiarante, l'indicazione o meno della natura della delazione ereditaria da cui deriva tale qualità, in relazione alle due forme di delazione previste dal nostro ordinamento, quella legittima e quella testamentaria (art. 457 c.c.), con la specificazione, nel primo caso, della categoria dei successibili (art. 565 c.c.) nella quale rientra il dichiarante e, nel secondo caso, della natura del testamento (e degli estremi di esso) dal quale discende la sua istituzione quale erede (ai sensi dell'art. 601 c.c. e ss.).   Pertanto l'onere di contestazione del contenuto della suddetta dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà posto a carico della parte nei cui confronti tale dichiarazione viene prodotta onde impedire l'operatività del principio di non contestazione nei termini sopra evidenziati, deve essere caratterizzato da un grado di specificità strettamente correlato e proporzionato al grado ed alle modalità di specificazione della qualità di erede contenuti nella dichiarazione sostitutiva medesima”.   Nella specie, entrambe le dichiarazioni elencano gli eredi, sia pure senza esplicitare l'assenza di altri coeredi e senza precisare, con riferimento alla successione del sig.  ### se si tratti di delazione legittima o testamentaria.   Tali dichiarazioni sono dunque in parte generiche, ma anche le contestazioni della convenuta sono in parte generiche, essendo specifiche soltanto con riferimento alla mancata esplicitazione della inesistenza di altri coeredi e - quanto alla successione del sig.  ### - al tipo di successione.   Le dichiarazioni in atti, contestate in modo non del tutto specifico, risultano pertanto idonee ad integrare una c.d. "pista probatoria" qualificata, tale da sollecitare il giudice ad un'integrazione istruttoria mediante l'esercizio dei poteri officiosi ex art. 421 c.p.c.   ###, ex art. 421 c.p.c., della denuncia di successione relativa alla successione del sig. ### nonché delle risultanze anagrafiche del Comune di ### consentono di ritenere dimostrate da un lato la qualità di eredi dei ricorrenti (sia con riferimento al padre ### sia con riferimento alla madre ###, dall'altro l'inesistenza di altri coeredi.   ### è pertanto infondata.  ### di difetto di legittimazione passiva di APG per non essere quest'ultima soggetto successore, tantomeno a titolo universale, del ### questa eccezione è infondata.   Come è noto, le autorità portuali sono state istituite dall'art. 6 della legge 28 gennaio 1994 n. 84, di riordino della legislazione in materia portuale.   Ai sensi del successivo art. 20 co. 5°, come sostituito dal D.L. n. 535/1996, “le ### portuali dei porti di cui all'articolo 2, sono costituite dal 1° gennaio 1995 e da tale data assumono tutti i compiti … e ad esse è trasferita l'amministrazione dei beni del demanio marittimo compresi nella circoscrizione territoriale … le ### portuali subentrano alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso”.   Sulla base di tale disposizione l'### di ### è quindi succeduta al ### del ### di ### (Cass. 4 febbraio 1998 n. 1152).   In applicazione della normativa citata, il decreto n. 1/COMM del 5 gennaio 1995 del commissario ### (in atti) ha disposto che “l'### subentra all'### - CAP di ### nella proprietà e nel possesso dei beni ed in tutti i rapporti in corso”.   APG è dunque succeduta ex lege nei rapporti di debito e credito facenti capo al soppresso ####à prestata dal lavoratore nel porto di ####à prestata dal lavoratore nel porto di ### non è stata contestata.   E' dunque pacifico che il sig. ### abbia lavorato per ### come addetto alle operazioni di imbarco / sbarco delle merci dal settembre 1946 al 29 febbraio 1984.   Neppure risultano specificamente contestate la presenza di amianto nell'ambito del porto di ### negli anni in cui il lavoratore vi ha prestato la sua attività, e le modalità di movimentazione dell'amianto descritte in ricorso.   Le allegazioni contenute al riguardo in ricorso trovano in ogni caso pieno riscontro nella relazione dell'### e ### degli ### della U.S.L.  3 Genovese del 1 ottobre 1999 (in atti), che da un lato dà conto degli ingenti quantitativi di amianto movimentati nel porto di ### (di cui precisa l'esatta quantità), dall'altro riferisce che “inizialmente l'amianto sbarcato arrivava sfuso o in sacchi di iuta dalle tre provenienze geografiche principali (#### e ###; successivamente, intorno agli anni '70, soprattutto in relazione alla trasformazione marittima dei vettori (oltre che per iniziali criteri di cautela igienistica) l'amianto ha cominciato ad arrivare in confezioni diverse: sacchi di carta collocati su pallets e fasciati da teli di plastica (provenienza ###, sempre più frequentemente containes per le altre due provenienze (in particolare quella canadese).   ### imbarcato a ### era per lo più costituito da amianto lavorato o da manufatti di amianto… ### alle mansioni coinvolte nei lavori a contatto con l'amianto si ritiene che le maggiori esposizioni fossero a carico della mansione di caricatori scaricatori, sia a bordo che a terra… inizialmente esistevano all'interno della compagnia portuale due sezioni ben distinte, la ### che forniva squadre per il lavoro a bordo, e la ### che forniva squadre per il lavoro a terra sulle banchine. Nel tempo si è persa questa divisione tra squadre di terra e di bordo mentre è perdurato il meccanismo della “chiamata”, per cui i lavoratori non hanno posti fissi di lavoro o tipologie costanti di merci da movimentare, ma possono venire adibiti di giorno in giorno indifferentemente in aree diverse e a cicli lavorativi anche molto differenziati tra di loro...   ### alle modalità di lavoro, vari lavoratori portuali da noi intervistati hanno riferito che inizialmente i sacchi erano di iuta, perdevamo cospicuamente materiale e facevano polvere, che si spandeva nell'aria, sollevata spesso dal vento presente nelle banchine. Successivamente, dopo i primi anni '70, sono comparsi i sacchi di carta, che però spesso di rompevano, rovesciando il contenuto.   E' ricorrente, nei racconti di lavoratori anziani, presenti nella ### negli anni '50 - '60 il riferimento al fatto che a volte d'inverno gli uomini della squadra si riposavano sdraiandosi nei magazzini o nelle stive delle navi sui cumuli dei sacchi di amianto (che, da ottimo coibente, è materiale termicamente confortevole)”.   La descrizione della movimentazione dell'amianto contenuta nella citata relazione della USL 3 conferma pienamente le allegazioni contenute in ricorso, allegazioni peraltro - lo si ribadisce - non specificamente contestate.  ### del lavoro portuale nel periodo per cui è causa e il ruolo della ### Al riguardo, deve essere richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui “il rapporto di lavoro fra compagnie portuali - costituite in forma cooperativa ed aventi personalità giuridica - e singoli lavoratorisoci si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l'attività di impresa per le operazioni di carico e scarico e non anche quando le compagnie medesime si limitano a fornire la manodopera qualificata alle imprese portuali, ipotesi quest'ultima nella quale la compagnia portuale funziona, in pratica, da ufficio di collocamento - restando inapplicabile, nel regime giuridico prece dente la L. 28 gennaio 1994, n. 84, il divieto di appalto di manodopera di cui alla L. n. 1369 del 1960 - e rimane pertanto esente da ogni responsabilità, anche in sede di rivalsa, per gli infortuni occorsi ai lavoratori. Ne deriva che in tale seconda ipotesi, e con riferimento alla domanda risarcitoria per infortunio promossa dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro, non è configurabile litisconsorzio necessario tra la compagnia portuale che si limiti a fornire lecitamente manodopera al soggetto esercente l'attività imprenditoriale nell'ambito della quale si sia verificato l'infortunio (vedi, per tutte: Cass. 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. 6 agosto 1998, n. 7733; Cass. 15 marzo 1995, n. 2992; Cass. 13 maggio 1992 n. 5710; Cass. 8 novembre 1984 n. 5646; Cass. 29 ottobre 1981 n. 5706; Cass. 3 marzo 1981 1233; Cass. 12 gennaio 1979 n. 249; Cass. 15 ottobre 1968 n. 3300; Cass. 11 ottobre 1956 n. 3943; Cass. 4 luglio 1956 n. 2412)” (Cass., 10 dicembre 2014, n. 26037).   Le ragioni dell'orientamento, del tutto consolidato, della Suprema Corte sono ampiamente spiegate nella pronuncia, risalente, ma tuttora assolutamente condivisibile, della Cassazione civile, 15 marzo 1995, n. 2992, che dà conto dei motivi di infondatezza delle domande proposte da APG nei confronti di ### Infatti, come argomentato nella citata pronuncia, “il rapporto di lavoro fra le compagnie portuali e singoli lavoratori soci si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l'attività d'impresa per le operazioni di carico e scarico e non anche quando le compagnie medesime si limitano a fornire la manodopera alle imprese portuali.   In tale ipotesi la compagnia portuale si limita a fornire la manodopera qualificata da tali impresa richiesta, funzionando in pratica da ufficio di collocamento (vedi per la giurisprudenza civile Cass. 13 maggio 1992 n. 5710; Cass. 8 novembre 1984 n. 5646; Cass. 29 ottobre 1981 5706; Cass. 3 marzo 1981 n. 1233; Cass. 12 gennaio 1979 n. 249; Cass. 15 ottobre 1968 n. 3300; Cass. 11 ottobre 1956 n. 3943; Cass. 4 luglio 1956 n. 2412).   ### questa funzione intermediatrice nel collocamento della manodopera è insita nella struttura stessa del lavoro portuale, che, tranne il caso dell'esercizio di un'impresa portuale da parte della compagnia, consiste in genere in una pluralità di rapporti di breve durata a favore di imprese diverse.   Per prestazioni di lavoro di questo tipo è spesso indispensabile il ricorso a intermediari il cui unico compito è quello di stabilire i necessari contatti fra domanda e offerta di lavoro (vedi ad esempio le agenzie teatrali per il lavoro artistico).   È vero che per reclutare la manodopera occorrente esiste l'ufficio di collocamento, a cui il datore di lavoro è obbligato a rivolgersi, ma, accanto ad esso, fiorisce un collocamento illegale (il cosiddetto caporalato) che, a differenze del primo, non si limita ad inviare il numero di lavoratori richiesti secondo l'ordine di iscrizione negli elenchi, ma ingaggia la manodopera secondo i desideri del datore di lavoro, organizzandola in squadre.   Questo fenomeno esisteva ampiamente nei primi venti anni di questo secolo nei porti italiani, nei quali gli operai, quasi sempre organizzati in cooperative o associazioni di fatto, affiancate a partiti politici, spesso erano costretti a rivolgersi ai cosiddetti "assuntori" o "caporali", i quali si incaricavano di reclutare le squadre da avviare al lavoro e pretendevano per questa funzione di intermediari, compensi non di rado esosi. … A partire dal 1923 ci furono vari interventi legislativi, destinati a porre ordine nel settore del lavoro portuale, e tale evoluzione si è conclusa con il codice della navigazione e il relativo regolamento, che hanno dettato una minuziosa disciplina del lavoro portuale.   Tale disciplina è durata per circa 50 anni, fino a quando, cioè, a causa di alcune distorsioni derivanti dal regime di monopolio, in cui operavano le compagnie portuali, e la necessità di adeguare la nostra legislazione alla decisione della Corte di Giustizia della ### in data 10 dicembre 1991, la regolamentazione di questo settore è profondamente mutata (vedi legge 28 gennaio 1994 n. 84).   Ma questa legge non si applica al caso in esame.   I brevi richiami storici sopraindicati, servono a comprendere le ragioni del penetrante intervento del legislatore in questa materia e l'indirizzo da esso seguito. … Nei porti di maggior traffico i lavoratori sono coattivamente organizzati in compagnie, costituite in forma cooperativa e aventi personalità giuridica. In quelli di minor traffico, invece, i lavoratori sono organizzati in associazioni di fatto, sfornite di personalità giuridica.   Entrambe queste organizzazioni sono soggette ala vigilanza dell'autorità, preposta alla disciplina del lavoro portuale, e il regolamento dette norme minuziose per il loro funzionamento e per la disciplina della loro esistenza (costituzione, funzione, soppressione ecc.).   ### delle operazioni portuali è riservata a tali organizzazioni (art. 110 cod. nav.), ma, per evitare rendite di posizione, derivanti dal regime di monopolio instaurato con tale riserva, le tariffe per le attività portuali sono fissate dalla pubblica autorità.   ### del porto non può ingaggiare il personale occorrente rivolgendosi direttamente ai lavoratori portuali iscritti nei pubblici registri, ma deve necessariamente rivolgersi alla loro organizzazione (compagnia o gruppo).   In tale ipotesi il console della compagnia o il capo gruppo provvedono all'avviamento e all'avvicendamento degli operai al lavoro, secondo i criteri fissati dall'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale e rispondono direttamente alla suddetta autorità del regolare andamento del lavoro.   Si è molto discusso in dottrina sulla posizione che assume la compagnia in questo rapporto….   Non sembra che si possa condividere l'opinione di chi ravvisa nella specie un appalto di servizio, consistente nella fornitura delle maestranze necessarie per l'esecuzione del carico e scarico delle navi.   ###à di servizio si sostanzia infatti nella prestazione di un "facere" come elemento primario della fattispecie, capace di soddisfare particolari bisogni degli utenti e suscettibile di autonoma organizzazione e valutazione economica: il servizio consiste, dunque, in un risultato economico nuovo e originale, dotato di un'entità propria, che non si esaurisce nella sommatoria delle utilità fornite dai beni preesistenti.   Ora il servizio di carico e scarico non si ottiene, come una volta, mediante l'impiego di facchini che trasportano la merce sulle loro spalle, ma attraverso un largo impiego di strumenti e attrezzature, che alleviano notevolmente la fatica dell'uomo e rendono più rapide le relative operazioni: sicché detto servizio si ottiene solo mediante l'organizzazione e l'impiego di vari fattori produttivi (personali e materiali), organizzazione che compete esclusivamente all'impresa portuale, che effettua per conto proprio o per conto terzi le operazioni medesime.   ### l'obbligo dei lavoratori designati ad effettuare le prestazioni richieste, più che dal legame societario che li vincola alla compagnia, trova fondamento nel fatto che essi, proprio perché svolgono un'attività in regime di monopolio, sono tenuti a presentarsi regolarmente alla chiamata e al lavoro e a non assentarsi da esso (art. 159 regol.), pena la cancellazione dai registri e quindi la perdita dell'abilitazione all'esercizio professionale, in caso di assenze reiterate (art. 156 n. 5 regol.).   Va poi rilevato che l'art. 193 del regol. parla di "avviamento" degli operai al lavoro, espressione questa tipica della funzione intermediaria di collocamento, che le compagnie portuali sono chiamate a svolgere: la legge sul collocamento 29 aprile 1949 n. 264 si intitola infatti "provvedimenti in materia di avviamento al lavoro".   La funzione intermediaria della compagnia si completa poi attraverso la fatturazione e l'incasso, in nome proprio ma per conto dei lavoratori, dei compensi dovuti.   Questa particolare situazione è rispecchiata anche nelle disposizioni, contenute nel T.U. 30 giugno 1965 n. 1124 sull'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro che (riproducendo norme già contenute nell'art. 5 del r.d. 25 gennaio 1937 n. 200) nell'art. 9 indica fra i datori di lavoro, obbligati all'assicurazione, la compagnia portuale nei confronti dei propri iscritti di rivalersi della relativa spesa nei confronti delle persone o degli enti, nell'interesse dei quali le operazioni portuali vengono compiute (rivalsa che viene concretamente attuata mediante un'addizionale alla tariffa delle prestazioni della manodopera vigente in ciascun porto, addizionale fissata anch'essa dall'autorità portuale).   In questa situazione normativa occorre individuare quale sia effettivo datore di lavoro, nei confronti del quale vale l'esonero della responsabilità civile o si esercita l'azione di rivalsa, previsti dall'art. 10 T.U..   Per risolvere questo problema occorre considerare che l'infortunio consiste in un evento dannoso alla capacità lavorativa del prestatore d'opera, avvenuto per causa violenta in occasione del lavoro.   Tranne quindi l'ipotesi dell'infortunio in itinere, che presenta tutt'altra problematica, l'infortunio professionale è essenzialmente collegato all'ambiente di lavoro e richiede necessariamente un rapporto fra il lavoratore e il rischio, posto in essere dall'organizzazione creata dal datore di lavoro, che ne è il responsabile.   Solo chi inserisce i lavoratori negli altri elementi organizzati ad impresa è infatti in grado di valutare i rischi connessi allo svolgimento del lavoro in quelle determinate condizioni di tempo e di luogo ed è in grado di assumere i concreti accorgimenti imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni e di adottare tutte le altre misure che, secondo l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (art. 2087 c.c.).   Sono queste le ragioni di fondo che giustificano la previsione di una rivalsa legale del premio di assicurazione pagato dalla compagnia per la manodopera impiegata nelle operazioni di carico e scarico.   ### eccezionalità di tale previsione trova fondamento logico e giuridico solo nella opinione del legislatore che le compagnie portuali in tali ipotesi non possono considerarsi appaltatrici per la fornitura di un servizio, ma sono strumenti per l'avviamento al lavoro degli operai necessari all'esecuzione delle suddette operazioni di carico e scarico. Così si spiega perché sono da ritenersi effettivi datori di lavoro l'armatore o il terzo richiedente la manovalanza, mentre la compagnia è solo formalmente indicata come datrice di lavoro in considerazione del fatto che per i veri datori di lavoro sarebbe oltremodo difficile poter, tempestivamente e diligentemente, osservare tutte le formalità richieste per la regolarità dell'assicurazione (soprattutto per quanto riguarda la denuncia degli infortuni e le registrazioni sui libri di matricola e paga) data la breve durata del lavoro e l'instabilità della maestranza.   Né a questi effetti ha alcun rilievo il fatto che nella squadra di lavoratori assegnati dalla compagnia per l'esecuzione di una determinata operazione venga assegnato volta per volta un capo squadra, perché costui ha solo compiti di carattere interno e disciplinare nei confronti dei lavoratori, ma non assume alcun incarico di carattere tecnico-direttivo in relazione alle operazioni che i lavoratori debbono eseguire per conto dell'impresa richiedente.   ### spesso gli infortuni accadono a causa degli impianti utilizzati per le operazioni di carico e scarico o per improvviso movimento di strutture della nave non adeguatamente ancorate (come è avvenuto nella specie), per causa cioè di impianti e strutture, che si sottraggono a qualsiasi disponibilità e controllo da parte del caposquadra dei portuali.   Appare dunque ancora da condividere la costante giurisprudenza di questa Corte in sede civile, secondo la quale la compagnia portuale si limita ad avviare la manodopera richiesta dagli utenti del porto e che la direzione dei lavoratori e la responsabilità anche nei confronti di terzi per sinistri cagionati da essi spetta a detti utenti e non alla compagnia nemmeno in sede di rivalsa (vedi giurisprudenza già citata).   Diversa è l'ipotesi in cui è la stessa compagnia portuale ad assumere, in forza di concessione, la configurazione di impresa per l'esercizio delle attività portuali: in questo caso, infatti, la compagnia assume quale appaltatrice la responsabilità del risultato finale e risponde, quale effettiva datrice di lavoro, sia dei danni cagionati a terzi dai propri dipendenti, sia delle conseguenze degli infortuni da essi subiti, nei limiti di cui all'art. 10 T.U. sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni.   Ma è pacifico in causa che nella specie la compagnia non agiva quale concessionaria di un'impresa di operazioni portuali, ma si era limitata ad avviare all'utente richiedente la manodopera necessaria ad eseguire lo scarico della merce dalla nave …” (Cass. civile, 15 marzo 1995, n. 2992).   Ed ancora, come chiarito da altra pronuncia: “Dal complesso di tale normativa discende, come esattamente osserva il ricorrente, che: a) il lavoratore assume un rapporto di carattere pubblicistico con l'### (artt. 142, 143 e 159 R.N.M.) che provvede con propri atti alla organizzazione del lavoro, al controllo e alla vigilanza sull'esecuzione delle operazioni portuali, all'iscrizione e cancellazione del lavoratore dai ruoli, al passaggio di categorie, alla formulazione delle tariffe; b) il lavoratore ha, invece, un rapporto di carattere privatistico con la ### di cui fa parte che, da parte sua, costituisce una società cooperativa con carattere coattivo (in quanto la partecipazione alla stessa avviene automaticamente, con l'iscrizione del lavoratore nel registro di cui all'art. 350 R.N.M.). Il rapporto con la ### è di carattere associativo e non di dipendenza. Il lavoratore, infatti, partecipa alla vita della società, alla costituzione degli organi, alla formazione ed approvazione del bilancio, esercitando come "socio" tutti i poteri connessi a una tale qualifica; c) in un tale contesto, il rapporto di lavoro subordinato non può che sorgere, a seguito dell'avviamento operato dalla ### tra il lavoratore e l'impresa portuale, come del resto deve desumersi dal contenuto degli artt. (che affida alle imprese portuali, a seguito di concessione, l'esecuzione delle operazioni portuali e che fa divieto alle imprese medesime di avvalersi, appunto per l'esecuzione delle operazioni peritali, di maestranze non rientranti nelle compagnie o nei gruppi) e 1172 C.N. (che punisce l'inosservanza da parte delle imprese delle norme sull'impiego delle maestranze, sempre nell'esecuzione delle operazioni portuali).   Ha, quindi, ragione il ricorrente nell'affermare che la ### una volta avviato il proprio socio lavoratore, non partecipa al processo esecutivo dell'operazione portuale che viene, invece, svolta sotto l'organizzazione imprenditoriale, la direzione tecnica e la responsabilità dell'impresa portuale, che assume la funzione di solo ed esclusivo "datore di lavoro", con tutti gli obblighi e i doveri connessi a tale posizione e qualifica giuridica, tra i quali l'apprestamento dei mezzi di prevenzione anti infortunistica. Se ciò non fosse, rimarrebbe, oltre tutto, inspiegabile per quale motivo le imprese aspiranti alla concessione per l'esecuzione delle operazioni portuali siano tenute (art. 197 RNM) alla produzione di documentazione o certificazione comprovante la propria capacità tecnica a esercitare attività di impresa portuale. Ulteriore conferma, nel senso qui esposto, si trae anche dal disposto dell'art. 200 R.N.M dal cui n. 2 risulta che la concessione all'impresa portuale può essere sospesa o revocata "quando l'impresa non osserva le norme relative al lavoro portuale ovvero (n.3) quando risulta che la capacità tecnica o finanziaria dell'impresa è ridotta in modo tale da non dare più affidamento per il regolare esercizio dell'attività.   Da ultimo può essere ricordato, sempre nello tesso senso, l'art. 9 del DPR n. 1124/1965 che dispone che "agli effetti del presente titolo sono inoltre considerato datori di lavoro.... le compagnie portuali nei confronti dei propri iscritti....". A parte il tenore già indicativo dell'espressione adoperata "sono considerati", la norma (inserita nel T.U. delle disposizioni per l'### contro gl'infortuni sul lavoro) trova giustificazione nell'impossibilità o estrema difficoltà di intrattenere rapporti (al fine preminente del prelevamento dei prescritti versamenti contributivi) con le imprese, sempre diverse, con cui i lavoratori portuali svolgono la propria attività; da cui la necessità di indicare la ### portuale come il soggetto tenuto alla gestione dei rapporti con l'ente assicurativo. È, inoltre, evidente che, se le compagnie portuali fossero state "datori di lavoro" in senso proprio e tecnico, non vi sarebbe stato bisogno alcuno di "considerarle" datori di lavoro ai fini che interessano la norma in questione".   Tali conclusioni non sono scalfite né dal fatto che i lavoratori cono pagati mensilmente dalle compagnie (cui è affidata, ex art. 174 R.N.M., la gestione dei proventi di.... patrimoniale della ### stessa e alla conseguente necessità di costituire un fondo di riserva annuale (art. 185 R.N.M.) e di effettuare delle trattenute su proventi medesimi ex. art. 185 n. 5 R.N.M.), né dal fatto che nel regolamento interno della compagnia sia prevista, tra l'altro, anche "la custodia, la distribuzione, l'uso e la riconsegna degli strumenti di lavoro" (art. 188 n. 4 C.N.: trattasi, con ogni evidenza, di disposizione del tutto generica, in quanto la predisposizione e fornitura degli appropriati mezzi di protezione non può far carico che all'impresa portuale la quale soltanto è in grado di individuarli e di assicurare la concreta utilizzazione, in relazione al particolare tipo di operazione da compiere e delle relative modalità esecutive (che, per necessità di cose, non possono essere note alla ###.   Sulla base di tutti i rilievi che precedono, deve pervenirsi alla conclusione che il … vice console della compagnia, non può essere annoverato tra i destinatari della normativa anti infortunistica. Il vice console ha, in base all'art. 175 RNM, funzioni vicarie del console, le cui funzioni sono tassativamente indicate dall'art. 174, senza cenno alcuno alla normativa antinfortunistica. Il disposto dell'art 193 RNM, co. 2 ("il console e il capo gruppo rispondono direttamente del regolare andamento del lavoro") ha chiaramente un ambito limitato al settore amministrativo, in riferimento al chiaro contenuto normativo dell'art. 174...” (Cass. pen, 10 marzo 1995, n. 4557).   Nel presente giudizio è pacifico che la ### non abbia mai agito in forza di una concessione ex art. 111 cod. nav., concessione che, come ampiamente evidenziato, nel previgente quadro normativo costituiva il presupposto imprescindibile perché la compagnia portuale potesse svolgere direttamente attività di impresa. 
La stessa ### che pure sostiene che ### avrebbe svolto attività di impresa, non allega che ### abbia mai agito in forza di concessione ex art. 111 cod. nav., né tanto meno ne offre prova.   Alla luce dei principi ora richiamati, deve allora escludersi la configurabilità in capo a ### di una posizione di garanzia in relazione alla sicurezza sul lavoro dei lavoratori portuali (anche in caso di nomina di un capo squadra, così come chiarito dalla già citata sentenza Cass. civile, 15 marzo 1995, n. 2992).   Ne consegue l'infondatezza delle domande avanzate, a qualsiasi titolo, da APG nei confronti di ### Tutte le domande formulate da APG nei confronti di ### devono pertanto essere respinte.   Non sussiste, invece, alcun profilo di inammissibilità della chiamata in causa di ### in quanto si verte in un'ipotesi di garanzia propria e ciò perlomeno con riferimento alla domanda di accertamento della corresponsabilità di ### in merito all'evento dannoso per cui è causa e di ripartizione delle relative quote interne.   In particolare, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, si ha garanzia propria quando la causa principale e quella accessoria abbiano in comune lo stesso titolo e anche quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande; mentre si ha garanzia impropria quando il convenuto tenda a riversare le conseguenze del proprio inadempimento su di un terzo in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale (Cass., 15 maggio 2009, n. 11362; Cass., 29 luglio 2009, n. 17688; Cass., 30 settembre 2005, n. 19208; Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 12968; Cass., 8 agosto 2002, 12029).   Nella specie il fatto generatore della pretesa responsabilità, sia del ### sia di ### è unico e consiste nella prestazione di attività di lavoro subordinato da parte del lavoratore addetto alle operazioni di carico e scarico nel porto di ### In ogni caso, il titolo in base al quale la convenuta ha esercitato l'azione di manleva ed il titolo fatto valere in giudizio sono strettamente connessi e tale connessione (sulla base della prospettazione della domanda) deriva direttamente dalla disciplina di legge e precisamente dall'art. 2055 Come affermato dalla Corte di Cassazione, “in tema di infortuni sul lavoro, va qualificata come domanda di garanzia propria quella proposta dal datore di lavoro, convenuto in sede di regresso dall'### per essere garantito dal proprio assicuratore o dall'impresa committente i lavori, non ricorrendo fra i titoli delle domande un rapporto puramente occasionale, ma essendo anzi unico il fatto generatore della responsabilità, sia verso l'assicuratore, in ragione del suo obbligo di garanzia per l'infortunio, sia verso il committente, in relazione alla causazione dell'infortunio per effetto della prospettata concorrente violazione da parte di questo dell'obbligo di prevenzione e sicurezza. Ne consegue che il giudice della causa principale, in funzione di giudice del lavoro, è competente a conoscere anche le anzidette cause connesse per garanzia” (Cass., 16 aprile 2014, n. 8898). 
Ne consegue la possibilità di trattazione unitaria delle domande, con applicazione, ex art. 40 c.p.c., del rito del lavoro (ferma l'infondatezza nel merito delle domande formulate da APG nei confronti di ###.  ### di una posizione di garanzia in capo all'allora ###'esistenza di una posizione di garanzia in capo al CAP è desumibile dalle seguenti norme, all'epoca vigenti: - dall'art. 108 cod. nav., ai cui sensi “la disciplina e la vigilanza delle operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale nel porto sono esercitate dal comandante del porto, secondo le norme stabilite dal regolamento”; - dall'art. 109 cod. nav., ai cui sensi “nei porti, nei quali l'importanza del traffico lo richieda, la disciplina delle operazioni portuali è affidata ad uffici del lavoro portuale..”; - dall'art. 140 del D.M. n.328/1952, contenente il ### di esecuzione del codice della navigazione, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, agli effetti degli articoli 110 e 149 del codice, è … nei porti nei quali ha sede un ufficio del lavoro, il direttore dell'ufficio....”; - dall'art. 142 del medesimo ### ai cui sensi “gli uffici del lavoro portuale: 1) tengono i registri dei lavoratori e quelli delle imprese per operazioni portuali; 2) custodiscono gli atti concernenti l'istituzione e il funzionamento delle compagnie portuali; 3) controllano la gestione e il funzionamento delle compagnie; 4) stabiliscono i criteri per l'avviamento al lavoro e per l'avvicendamento della mano d'opera; 5) provvedono all'organizzazione del lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico del porto e vigilano sulla osservanza delle norme e delle tariffe relative al lavoro portuale; 6) vigilano sulla esecuzione delle operazioni portuali; 7) verificano e vistano, su richiesta degli interessati, le note di lavoro e le fatture; 8) provvedono alla liquidazione ed alla riscossione dei contributi e dei proventi previsti da leggi speciali; 9) curano l'esecuzione delle decisioni del consiglio del lavoro portuale; 10) adempiono a ogni altro incarico previsto dal codice e dal presente regolamento o che venga ad essi affidato dal ### per la marina mercantile o dal capo del compartimento”; - dall'art. 150 del medesimo regolamento, ai cui sensi “i lavoratori portuali sono iscritti in registri conformi al modello approvato dal ministro per la marina mercantile. Tali registri, distinti a seconda delle categorie, sono tenuti dall'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale”; - dal successivo art. 153, ai cui sensi la domanda di ammissione nei ruoli dei lavoratori portuali doveva essere presentata all'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale; - dall'art. 157, ai cui sensi “nessun lavoratore può essere temporaneamente adibito a lavori di una categoria, diversa da quella nei cui registri trovasi iscritto, senza autorizzazione dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. Nei casi in cui il personale di una categoria sia esuberante in rapporto all'entità del traffico, la predetta autorità procede al trasferimento definitivo dei lavoratori eccedenti il fabbisogno in altre categorie affini in cui si riscontri deficienza di personale e per le quali i lavoratori abbiano la capacità tecnica necessaria. I criteri per tale passaggio sono fissati dall'autorità predetta, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale”; - dall'art. 158, ai cui sensi “qualora il personale iscritto nei registri divenga esuberante in rapporto all'entità del traffico, l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, di cui all'articolo 140, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale, può procedere alla graduale riduzione dei ruoli ….; - dall'art. 167, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, oltre ad esercitare i poteri ad essa riconosciuti dall'articolo 142, cura l'osservanza, da parte delle compagnie, delle disposizioni del codice e del regolamento”; - dall'art. 193, ai cui sensi “l'avviamento e l'avvicendamento degli operai al lavoro sono regolati dal console della compagnia o dal capo gruppo secondo i criteri dell'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. Il console e il capo gruppo rispondono direttamente alla suddetta autorità del regolare andamento del lavoro”; - dall'art. 202, ai cui sensi “l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale, sentito il consiglio o la commissione del lavoro portuale, stabilisce gli orari di lavoro e le norme relative alla esecuzione delle operazioni Portuali”; - infine dall'art. 1249 cod. nav., ai cui sensi l'autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale esercita il potere disciplinare sulle imprese, sui datori di lavoro nei porti e sui lavoratori portuali.   In applicazione dei principi normativi appena richiamati il R.D. 16 gennaio 1936 801, di costituzione del ### del ### di ### attribuiva all'Ente neocostituito, tra l'altro, il compito di “coordinare … tutti gli altri servizi ed operazioni svolgentisi nel porto; a regolare e disciplinare in tutto l'ambito del porto, con autorità e poteri di regolamentazione e di determinazione delle tariffe, sia verso i datori di lavoro, sia verso gli eventuali intermediari ed i lavoratori, le operazioni e il lavoro del porto, nonché a risolvere in via amministrativa, a mezzo dei propri organi, tutti i reclami in ordine al lavoro ed alle operazioni suddette” (art. 1 punto 6).   A sua volta, il ### adottato dal CAP con decreto del Presidente ### del 1953 prevedeva, tra l'altro: - all'art. 1 che “il ### provvede direttamente a disciplinare il lavoro portuale, a determinare le tariffe e ad esercitare il potere disciplinare sui lavoratori e sui datori di lavoro che vi sono addetti”; all'art. 2 che “il lavoro portuale disciplinato dal presente regolamento è quello che si compie nell'ambito della circoscrizione territoriale del ### e riguarda tutte le operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere di merci e bagagli che implichino prestazioni personali nonché le operazioni sussidiarie e complementari svolte da imballatori barilai e cassai, pesatori, commessi, misuratori e chiattaiuoli che del pari implichino prestazioni personali”; - all'art. 3 che “il ### provvede a: tenere i ruoli dei lavoratori e gli elenchi delle imprese per operazioni portuali…..controllare la gestione e il funzionamento delle compagnie; stabilire i criteri per l'avviamento al lavoro e per l'avvicendamento della mano d'opera e curarne l'osservanza; organizzare il lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico del porto e vigilare sulla osservanza delle norme, delle tariffe e degli orari relativi al lavoro portuale; vigilare sulla esecuzione delle operazioni portuali, verificare e vistare, su richiesta degli interessati, le note di lavoro e le fatture.... deliberare su tutto quanto attiene all'ordinamento generale del lavoro nel porto e fare eseguire le decisioni dei propri organi deliberativi in materia”; - all'art. 4 che “sono considerati lavoratori portuali agli effetti del presente regolamento quelli addetti alle operazioni di cui al primo comma dell'art. 2…i lavoratori portuali sono iscritti in appositi ruoli, distinti per categorie, tenuti dal ### lavoro portuale e gestioni dirette del ### autonomo del porto”; - all'art. 12 che “i lavoratori portuali devono….usare rispetto verso i funzionari del ### del ### della capitaneria di porto, della dogana e della forza pubblica e ubbidire agli ordini che da essi venissero impartiti in merito alla disciplina del lavoro e alla sicurezza e polizia portuale”; - all'art. 23 che ”il consorzio autonomo del porto, oltre ad esercitare i poteri di cui al precedente art. 3, cura l'osservanza, da parte della compagnia, delle disposizioni di legge e del presente regolamento”; - all'art. 50 che “l'avviamento e l'avvicendamento al lavoro dei lavoratori iscritti nei ruoli sono regolati dal console della compagnia secondo i criteri stabiliti dal ### del Porto”; - all'art. 62 che “il ### del ### a norma delle disposizioni della propria legge istitutiva, stabilisce gli orari di lavoro e le norme relative all'esecuzione delle operazioni portuali”; - all'art. 65 che “il ### del ### provvede a stabilire con regolamenti speciali le norme tecniche di lavoro particolari di ogni categoria di lavoratori e a fissare i relativi orari, le tariffe e la composizione e la resa base delle squadre. ### del ### esercita una funzione di vigilanza a mezzo di propri agenti, al visto dei quali devono essere sottoposte tutte le note di lavoro delle ### portuali”; - all'art. 74 che “il ### del ###.. esercita la vigilanza sul lavoro del porto a mezzo del ### lavoro portuale e gestioni dirette, al quale sono in particolare affidati i seguenti compiti: curare l'osservanza delle leggi, del presente regolamento e di tutte le altre speciali disposizioni del lavoro; provvedere alle disposizioni sulla previdenza sociale di cui all'art.  49… curare l'applicazione delle sanzioni disciplinari, secondo le norme relative”.   Alla luce della disposizioni normative sopra richiamate il CAP risultava titolare del potere / dovere di disciplinare e organizzare sia il lavoro portuale, sia i luoghi di lavoro ove i lavoratori portuali svolgevano la loro attività, e del conseguente potere / dovere di far rispettare la normativa di sicurezza relativa a tali lavoratori.   Per contro la ### era mera intermediatrice di manodopera, fornendo, in allora in modo del tutto legittimo e conforme alla speciale normativa del settore, la manodopera richiesta dal ### il quale era, invece, destinatario, fruitore e unico utilizzatore delle prestazione lavorativa delle maestranze portuali.   Conseguentemente, nel contesto dell'attività portuale presso il porto di ### il CAP era l'unico soggetto dotato di caratteristiche imprenditoriali, essendo inoltre a piena conoscenza (e responsabile) della movimentazione di ingenti quantità di amianto.   A tale soggetto deve conseguentemente essere ricondotta “l'esclusiva incombenza del rispetto della normativa ex art. 2087 c.c. indipendentemente dalla diretta dipendenza dei lavoratori, che eseguono la propria attività in un contesto nel quale una sola è la figura imprenditoriale di preminenza" (Cass., 11 ottobre 2012, n 17334; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17172; Cass., 8 ottobre 2012 n. 17092).   “###. 2087 cod. civ., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, obbligandolo a provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori, benché da lui non dipendenti, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire” (Cass., 9 maggio 2017, n. 11311; Cass., 11 ottobre 2012, n 17334; Cass., 9 ottobre 2012, n. 17172; Cass., 8 ottobre 2012 n. 17092).   Poiché la responsabilità del CAP deve essere ricondotta all'art. 2087 c.c., detta responsabilità ha natura contrattuale.   Tale conclusione trova conferma nei più recenti approdi di dottrina e giurisprudenza, secondo cui la responsabilità deve essere qualificata come contrattuale (cioè come la responsabilità in cui incorre, ai sensi dell'art. 1218 c.c., "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta"), non soltanto quando l'obbligo di prestazione violato derivi da un contratto, nell'accezione di cui all'art. 1321 c.c., ma anche in ogni caso di inesatto adempimento di obblighi di comportamento, preesistenti alla condotta lesiva, quale che ne sia la fonte.   Come chiarito dalle ### della Corte di Cassazione, “è opinione ormai quasi unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell'accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte. In tale contesto la qualificazione "contrattuale" è stata definita da autorevole dottrina come una sineddoche (quella figura retorica che consiste nell'indicare una parte per il tutto), giustificata dal fatto che questo tipo di responsabilità più frequentemente ricorre in presenza di vincoli contrattuali inadempiuti, ma senza che ciò valga a circoscriverne la portata entro i limiti che il significato letterale di detta espressione potrebbe altrimenti suggerire. Pur non senza qualche incertezza, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali situazioni, un determinato comportamento. Così, ad esempio, è stato attribuito carattere contrattuale non soltanto all'obbligazione di risarcimento gravante sull'ente ospedaliero per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un medico operante nell'ospedale, ma anche all'obbligazione del medico stesso nei confronti del paziente, quantunque non fondata sul contratto ma sul solo contatto sociale, poiché a questo si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi che si manifestano e sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (cfr. Cass. n. 9085 del 2006, Cass. n. 12362 del 2006, Cass. n. 10297 del 2004, Cass. n. 589 del 1999 ed altre conformi); e natura contrattuale è stata riconosciuta anche alla responsabilità del sorvegliante dell'incapace, per i danni che quest'ultimo cagioni a se stesso in conseguenza della violazione degli obblighi di protezione ai quali il sorvegliante è tenuto, sul presupposto che quegli obblighi derivino da un rapporto giuridico contrattuale che tra tali soggetti si instaura per contatto sociale qualificato (cfr. Cass. n. 11245 del 2003).   Ne deriva che la distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sta essenzialmente nel fatto che quest'ultima consegue dalla violazione di un dovere primario di non ledere ingiustamente la sfera di interessi altrui, onde essa nasce con la stessa obbligazione risarcitoria, laddove quella contrattuale presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti). In quest'ottica deve esser letta anche la disposizione dell'art.  1173 c.c. che classifica le obbligazioni in base alla loro fonte ed espressamente distingue le obbligazioni da contratto (da intendersi nella più ampia accezione sopra indicata) da quelle da fatto illecito...” (Cass., Sez. Un., 26 giugno 2007 n. 14712).   Tali principi possono trovare applicazione anche alla specifica materia lavoristica, nella quale è già stata ricondotta all'ambito della responsabilità ex art. 1218 e ss. c.c. la responsabilità dell'ex datore di lavoro che, successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, fornisca informazioni inesatte all'ex dipendente, così causandogli un pregiudizio alla posizione previdenziale (cfr. Cass., 21 luglio 2011 n. 15992).   Anche la responsabilità facente capo a soggetti che, se pur diversi dal datore di lavoro, siano titolari per legge di posizioni di garanzia nei confronti del lavoratore deve dunque ascriversi alla responsabilità ex art. 1218 e ss. c.c., traendo essa origine da inesatto adempimento di obblighi di comportamento preesistenti alla condotta lesiva. 
La responsabilità del CAP e quindi di APG (oggi ### di ### del ### Dimostrata la “nocività” dell'attività lavorativa, ai fini dell'affermazione della responsabilità della convenuta, devono richiamarsi i seguenti principi di diritto, ormai del tutto consolidati: - “la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata dalla norma l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81” (Cass., 5 agosto 2013, n. 18626); - “in materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell'art.  2087 c.c., a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli artt. 174 e 175 del d.P.R. n. 1124 del 1965 all'art. 21 del d.P.R. n. 303 del 1956, norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini) di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza, comporta che non sia sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. tlv, "threshold limit value") poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte” (Cass., 21 settembre 2016, n. 18503); - “all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro … era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto…. Da tali premesse… derivava l'obbligo del datore di lavoro, evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di adottare misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art.  2087 c.c. e più specificamente al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce, recependo le indicazioni prevenzionistiche già affermatesi, che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendosi che le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Soccorrono quindi le norme dello stesso D.P.R. n. 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione (Cass., 30 marzo 2015, 6352); - in ogni caso, vale il principio di chiusura per cui, “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, 291).   In particolare, quanto alla tesi di parte convenuta per cui non potrebbe ravvisarsi colpa in capo alla convenuta, poiché all'epoca presumibile della contrazione della malattia la pericolosità dell'amianto non sarebbe stata ancora nota ed inoltre sarebbe mancata una normativa specifica in materia di protezione dall'inalazione di amianto, deve rilevarsi che “già il R.D. 14 giugno 1909, n. 442 che approvava il regolamento per il T.U. della legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'art. 29, tabella B, n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non era assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l'esecuzione della legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgs. 6 agosto 1916, n. 1136, art. 36, tabella B, n. 13 e il R.D. 7 agosto 1936, n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui era consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell' amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Lo stesso R.D. 14 aprile 1927, n. 530 , tra gli altri agli artt. 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche. ### canto l'asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del ‘900 e fu inserita tra le malattie professionali con la L. 12 aprile 1943, n. 455 . In epoca più recente, oltre alla ### 12 febbraio 1955, n. 52 , che, all'art. 1, lett. F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 e alle visite previste dal D.P.R.  20 marzo 1956, n. 648 , si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960, n. 1169 ove all'art. 1 si prevede, specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio si può infine ricordare che il premio supplementare stabilito dal T.U.  n. 1124 del 1965, art. 153 per le lavorazioni di cui all'allegato n. 6, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi.   ### canto l'imperizia, nella quale rientra l'ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico-scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro.   Da quanto esposto discende che all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa degli odierni ricorrenti [n.d.r.: 1956 - 1987] era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto, tanto che l'uso di materiali che ne contengono era sottoposto a particolari cautele, indipendentemente dalla concentrazione di fibre (per fattispecie con periodi temporali di attività lavorativa analoghi …. v. Cass. n. 8204 del 2003; Cass. n. 16645 del 2003; Cass. n. 14010 del 2010; Cass. n. 2491 del 2008; Cass. n. 15156 del 2011; Cass. n. 26590 del 2014; da ultimo Cass. n. 22710 del 2015 che ha ribadito non solo l'irrilevanza della circostanza che il rapporto di lavoro si fosse svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali d'amianto, ma anche che a detta epoca non si sapesse che anche singole fibre d'amianto inalate potessero essere letali).   Si imponeva dunque, anche per il periodo per cui è causa, l'adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c. e più specificamente al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 ove si stabilisce, recependo le indicazioni prevenzionistiche già affermatesi, che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendosi che le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione, cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Devono altresì essere tenute presenti altre norme dello stesso D.P.R. n. 303 ove si disciplina il dovere del datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: così l'art. 9, che prevede il ricambio d'aria, l'art. 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'art. 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'art. 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'art. 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'art. 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione.   ###. 2087 c.c. in generale e il D.P.R. n. 303 del 1956 in particolare imponevano quindi di adottare provvedimenti idonei ad impedire o a ridurre lo sviluppo e la dispersione delle polveri nell'ambiente di lavoro, a prescindere peraltro dall'accertamento di una specifica nocività rispetto a determinate patologie, essendo comunque accertata la nocività della polvere (di qualsiasi sostanza) per l'apparato respiratorio (cfr. Cass. n. 6352 del 2015).   Gravava pertanto sulla società datrice di lavoro l'onere della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno attraverso l'adozione di cautele previste in via generale e specifica dalle suddette norme…” (Cass., 23 agosto 2016, n. 17252).   Nella specie parte convenuta non ha dimostrato di aver posto in essere tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno. 
In particolare, ai sensi dell'art. 21 D.P.R. n. 303/1956 (vigente nel periodo per cui è causa): “Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambito di lavoro, nell'ambiente di lavoro. 
Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera.   Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad impedirne la dispersione. ### deve essere effettuata, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri.   Quando non siano attuabili le misure tecniche di prevenzione indicate nel comma precedente, e la natura del materiale polveroso lo consenta, si deve provvedere all'inumidimento del materiale stesso.   Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e la eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse possano rientrare nell'ambiente di lavoro..”.   Ai sensi dell'art. 19 del medesimo D.P.R. n. 303/1956: “il datore di lavoro è tenuto ad effettuare ogni qualvolta è possibile in luoghi separati le lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporvi senza necessità i lavoratori addetti ad altre lavorazioni”. 
Ai sensi del successivo art. 25, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, i lavoratori devono essere forniti di apparecchi di protezione. 
Nella specie, la convenuta non ha dato prova di aver adottato tali prescrizioni, anzi - al contrario - dagli elementi agli atti è risultata positivamente dimostrata la relativa violazione. 
Segnatamente, alla luce delle già descritte modalità operative con cui si svolgeva la movimentazione dell'amianto, il CAP risulta aver omesso di predisporre tutte le misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica del lavoratore sul luogo di lavoro sotto i seguenti profili: - poiché tutte le operazioni che implicavano l'esposizione ad inalazione di amianto venivano effettuate sostanzialmente senza alcuna precauzione volta ad evitare o ad abbattere l'inalazione di polveri contenti amianto; - poiché la movimentazione dell'amianto veniva effettuata senza utilizzare contenitori sigillati e resistenti agli urti, idonei ad esitare la dispersione di polvere di amianto; - poiché il CAP non adottava misure organizzative per confinare le lavorazioni comportanti produzione di polveri nocive dalle altre attività; - poiché all'interno del porto non veniva esercitata vigilanza sull'effettivo uso dei mezzi individuali di protezione contro le polveri nocive: come è noto, ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 4 lett. c) D.P.R. n. 547/1955, all'epoca vigente, il titolare dell'obbligo di sicurezza è tenuto non soltanto a predisporre le misure necessarie a garantire l'incolumità del lavoratore, ma anche ad esigere che i lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione, con conseguente responsabilità dell'imprenditore per il danno conseguente all'omessa vigilanza sull'utilizzo dei d.p.i.; - poiché il lavoratore non era stato informato della pericolosità delle polveri contenenti fibre di amianto e delle cautele da adottare in presenza di tali polveri.   Sostiene la convenuta che, qualunque cautela fosse stata adottata all'epoca dell'esposizione, l'evento si sarebbe ugualmente prodotto, non esistendo in allora idonee ed adeguate misure di prevenzione atte ad impedire l'insorgenza della patologia.   Al riguardo deve rilevarsi che il CAP non ha adottato neppure quelle misure minime previste all'epoca per contrastare l'inalazione di polveri di amianto e quindi non ha rispettato l'obbligo di cui all'art. 2087 c.c. assumendosi i rischi di eventuali tecnopatie.   Come affermato dalla Corte di Cassazione, “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, n. 291).  ### di prescrizione ### è infondata. 
I ricorrenti spiegano nel presente giudizio domande di risarcimento del danno sia iure proprio, sia iure hereditatis.   I ricorrenti chiedono, iure proprio, il risarcimento del danno non patrimoniale patito dagli stessi ricorrenti a seguito del decesso del padre, nonché, in qualità di eredi della sig.ra ### (madre dei ricorrenti e coniuge del sig. ### a sua volta deceduta in data 15 aprile 2014), il risarcimento del danno patito da quest'ultima a seguito del decesso del marito.   I ricorrenti chiedono poi, in qualità di eredi del padre ### il risarcimento del danno non patrimoniale subito da quest'ultimo nel breve periodo intercorrente tra la diagnosi del mesotelioma ed il decesso. 
Tanto premesso, deve rilevarsi che - con riferimento a tutti i danni dedotti in giudizio - la prescrizione risulta validamente interrotta con la raccomandata spedita in data 12 marzo 2015, pervenuta a APG il 17 marzo 2015 (doc. 20 parte ricorrente).   A tale data non era certamente spirato il termine prescrizionale per il risarcimento del danno sofferto dai congiunti del sig. ### per la morte di quest'ultimo, avvenuta il 17 ottobre 2005.   Trova, infatti, applicazione l'art. 2947 co. 3° prima parte c.c., ai cui sensi “in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile”.   Ai sensi dell'art. 157 co. 1° e co. 6° c.p., in caso di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro il termine di prescrizione è di 12 anni dalla data del decesso.   Per quanto riguarda, poi, il danno patito dal defunto sig. ### nel periodo intercorrente tra la diagnosi del mesotelioma ed il decesso (danno per il quale i ricorrenti agiscono iure hereditatis), il termine prescrizionale deve essere fatto decorrere dalla data della diagnosi del mesotelioma pleurico, diagnosi avvenuta con certezza soltanto in data 22 agosto 2005 e “fortemente sospetta” a partire dalla TC 16 agosto 2005 (così come evidenziato dal CTU nella propria relazione e ancor più nettamente nei chiarimenti resi all'udienza dell'11 maggio 2015).   In tale contesto deve concludersi che la prescrizione per il danno iure hereditatis ha iniziato a decorrere soltanto dall'agosto 2005.   Infatti, secondo principi giurisprudenziali ormai pacifici, elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione principalmente in riferimento all'art. 112 del TU sugli infortuni sul lavoro, in caso di malattia di professionale la prescrizione inizia a decorrere soltanto quando il lavoratore abbia potuto avere piena consapevolezza sia della malattia, sia sua eziologia professionale (Cass. 2 agosto 2003 n. 11785, Cass. 24 maggio 2000 n. 6828). 
Poiché, come già detto, la prima richiesta di pagamento del risarcimento del danno (sia iure proprio sia iure successionis) è stata formulata dai ricorrenti con raccomanda spedita in data 12 marzo 2015, pervenuta a APG il 17 marzo 2015, la prescrizione non risulta certamente maturata. 
Il nesso causale tra la nocività dell'attività lavorativa e la patologia contratta dal sig.  ### la CTU medico legale, il CTU ha concluso che il sig. ### è deceduto a causa di mesotelioma pleurico: “la diagnosi di mesotelioma pleurico maligno sinistro di tipo epitelioide è abbondantemente circostanziata e può essere ritenuta praticamente certa”.   Quanto al nesso causale tra detta patologia e l'attività lavorativa svolta nel porto di ### è pacifico che il sig. ### abbia lavorato settembre 1946 al 29 febbraio 1984 presso la ### operando nel carico/scarico delle merci varie a bordo nave. 
Il sig. ### non risulta aver svolto alcun'altra attività lavorativa, né prima né dopo il rapporto di lavoro per cui è causa.   ### ha pertanto ritenuto che “circa la possibilità che il mesotelioma sia stato causato o concausato da altri fattori diversi dal lavoro portuale, non sono emerse altre possibili esposizioni ad amianto” e che pertanto “ nel caso in esame appare fortemente probabile che il mesotelioma dal quale il sig. ### è risultato affetto sia stato causato o concausato da inalazione di amianto avvenuta durante le lavorazioni svolte nell'ambito del porto di Genova”.   In risposta agli ulteriori quesiti, il CTU ha poi affermato: - che gli accorgimenti di cui all'art. 21 D.P.R. n. 303 del 1956 e/o dei presidi che la tecnica dell'epoca poneva a disposizione avrebbero probabilmente ridotto il rischio di contrarre un mesotelioma, senza annullarlo del tutto; - che sulla base delle conoscenze oggi disponibili, non è possibile dire se, con l'adozione degli accorgimenti di cui all'art. 21 D.P.R. n. 303 del 1956 e/o dei presidi che la tecnica dell'epoca poneva a disposizione, la malattia si sarebbe verificata in epoca significativamente posteriore; - che l'intensità della malattia, una volta iniziato il processo patologico, è indipendente dall'esposizione.   All'udienza dell'11 maggio 2017 il ### chiamato a chiarimenti, ha confermato le proprie conclusioni anche valutando l'accertamento del nesso di causalità (in ordine al c.d.  giudizio controfattuale) sulla base del criterio del “più probabile che non”, altrimenti detto della probabilità prevalente, cioè tenendo conto dell'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili.   In tal senso il CTU ha dichiarato che: “gli accorgimenti di cui all'art. 21 D.P.R.  303/1956 e/o i presidi che la tecnica dell'epoca poneva a disposizione avrebbero ridotto la probabilità di contrarre un mesotelioma, senza annullarla del tutto; nessun presidio avrebbe azzerato il rischio, però la probabilità di contrarre mesotelioma è in parte legata all'intensità dell'esposizione”.   Le conclusioni del CTU - non contestate da alcuna delle parti - meritano di essere condivise, in quanto fondate su un accurato esame della documentazione in atti e sorrette da corretta ed esauriente motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta.   Le conclusioni del CTU devono peraltro essere inquadrate nell'ambito dei principi giuridici che regolano il nesso di causalità.   Segnatamente, in assenza di norme civili che specificamente regolino il rapporto di causalità, occorre fare riferimento ai principi generali di cui agli artt. 40 e 41 c.p.   In base a tali principi un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo in assenza del secondo non si sarebbe verificato hic et nunc ovvero nei termini di tempo e nelle precise circostanze in cui si è manifestato ( pen. Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 576).   La valutazione del nesso di causalità, sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, deve essere compiuta sulla base delle migliori cognizioni scientifiche disponibili.   Ove, tuttavia, esse non consentano una assoluta certezza della derivazione causale, la regola di giudizio muta sostanzialmente nel processo penale ed in quello civile, “in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. ###, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l'identità di tali standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso vedansi: Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n. 582. 
Cass.16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238). … Il principio ha avuto larga diffusione in tema di prova del nesso causale. Anche la Corte di ### è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (### 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno del consumatore se "appaia sufficientemente probabile" che l'intesa tra compagnie assicurative possa avere un'influenza sulla vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza, ha ritenuto che "occorre postulare le varie concatenazioni causa-effetto, ad fine di accogliere quelle maggiormente probabili").   Detto standard di "certezza probabilistica" in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d.  probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d.  probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni).   Sennonché esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorché vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. 
Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all'interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perché in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all'una o all'altra ipotesi” (Cass., 5 maggio 2009 n. 10285, ex multis).   Deve poi aggiungersi che, in ipotesi di imputazione dell'evento di danno a omissione colposa, la riferibilità causale dell'evento alla condotta omissiva postula l'accertamento che l'evento non si sarebbe verificato se l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi.   ### del rapporto di causalità ipotetica passa dunque attraverso il giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, al fine di verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato.   Anche in questo caso lo standard di "certezza probabilistica" richiesto non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), dovendo, invece, essere verificato - come già detto - sulla base degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d.  probabilità logica o baconiana).   Segnatamente, tale metodo baconiano è basato sull' induzione eliminatoria, nel senso che un asserto è considerato tanto più probabile quante più ipotesi alternative ad esso sono state considerate e poi eliminate per falsificazione.   Alla stregua dei principi ora riferiti, poiché, come già detto, le norme di prevenzione violate sono molte e non è possibile escludere un'incidenza causale di ciascuna di esse nella riduzione del rischio, sulla base del principio "del più probabile che non" deve ritenersi dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra la condotta omissiva della convenuta e la patologia che ha causato il decesso del sig. ### In ogni caso, come pure già evidenziato, ai sensi dell'art. 2087 c.c., “il dovere del datore di lavoro era di escludere comunque l'esposizione alla sostanza pericolosa, anche se ciò avesse imposto l'adozione di interventi drastici fino alla stessa modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (Cass., 14 maggio 2014, n. 10425; Cass. 10 gennaio 2017, n. 291). 
La quantificazione del danno jure proprio ###à del vincolo familiare che legava i ricorrenti al de cuius, l'accertata convivenza della moglie con la vittima al momento del decesso, l'accertata assistenza prestata dalla famiglia durante la malattia (cfr. cartella clinica ### doc. 9), la mancata deduzione di contrasti e dissapori tra i familiari consentono di presumere - secondo l'id quod plerumque accidit - l'esistenza di un danno non patrimoniale dei congiunti a seguito del decesso del sig. ### La famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost., è, infatti, secondo il comune sentire, luogo privilegiato per l'instaurarsi di peculiari rapporti di affetto, solidarietà, frequentazione e reciproco affidamento.   Ai fini della quantificazione del danno, la giurisprudenza di legittimità, in considerazione delle esigenze, di rilievo costituzionale, di perequazione dei risarcimenti nel territorio nazionale e di certezza del diritto, ha indicato quali necessari parametri di riferimento le tabelle milanesi (cfr. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; Cass., 7 novembre 2014, n. 23778; Cass., 13 novembre 2014, n. 24205) .   Le tabelle citate indicano quali parametri per la quantificazione del danno non patrimoniale conseguente alla morte di un congiunto una somma compresa tra un minimo di euro 163.990,00 ed un massimo di euro 327.990,00.   Nella specie, considerata l'età avanzata del sig. ### al momento del decesso (80 anni) si reputa equo quantificare il danno in misura non molto distante dal limite minimo e precisamente in euro 200.000,00 quanto alla moglie (convivente e coniugata da molti anni, ma tuttavia anch'ella non più giovane e certamente non più impegnata nella crescita dei figli) ed invece in euro 170.000 quanto a ciascuno dei figli (non conviventi, già adulti al momento della malattia e con vita propria vita ed autonoma al di fuori della famiglia di origine), somme necessariamente quantificate in via equitativa ed equitativamente determinate al valore attuale.   Non sussistono motivi per la personalizzazione del danno, non essendo state indicate circostanze che la giustifichino, ulteriori rispetto a quanto già considerato.   Sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno jure proprio, spettano gli interessi di legge dalla data della sentenza al saldo.   Infatti, “con la sentenza definitiva che decide sulla liquidazione di un'obbligazione di valore, da effettuarsi in valori monetari correnti, si determina la conversione del debito di valore in debito di valuta con il riconoscimento da tale data degli interessi corrispettivi. Ne consegue che è preclusa l'ulteriore rivalutazione monetaria derivante dall'eventuale ritardo nell'esecuzione del giudicato, valendo, in tale ipotesi, i criteri previsti dalla legge per il debito di valuta” (Cass., 14 aprile 2011, n. 8507). 
La quantificazione del danno jure hereditario ### all'esito della propria consulenza, ha concluso che, in conseguenza della malattia, sono derivati al sig. ### un periodo di invalidità temporanea totale (ITT - 100%) di 9 giorni ed un periodo di invalidità temporanea parziale (### al 90% di 53 giorni, mentre per la brevità della malattia non è possibile indicare una invalidità permanente.   Tali conclusioni - non contestate da alcuna delle parti - meritano di essere condivise, in quanto fondate su un accurato esame della documentazione in atti e sorrette da corretta ed esauriente motivazione, che deve intendersi qui integralmente trascritta.   Le conclusioni del CTU devono peraltro essere inquadrate nell'ambito dei principi giuridici che regolano la materia.   Deve in primo luogo rilevarsi la pacifica trasmissibilità della voce risarcitoria in esame, sulla base del consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile, da liquidarsi in relazione alla menomazione dell'integrità psicofisica patita dal danneggiato per quel periodo di tempo, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento del danno è trasmissibile agli eredi iure hereditatis” ( 28 agosto 2007, n. 18163; Cass. 7 giugno 2010, n. 13672; Cass. 19 ottobre 2016, n. 21060, ex multis).   Deve per contro escludersi, alla luce della recente pronuncia delle ### della Corte di Cassazione, la risarcibilità del danno da perdita della vita.   Infatti, “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità "iure hereditatis" di tale pregiudizio, in ragione - nel primo caso - dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero - nel secondo - della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo” (Cass., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350).   Quanto, poi, alla quantificazione del danno correlabile alla malattia che ha condotto il sig. ### a morte, deve rilevarsi che, laddove la malattia non si risolva in esiti permanenti, ma determini la morte dell'individuo, il danno risarcibile è soltanto quello che la giurisprudenza qualifica come il danno biologico c.d. terminale, costituito sia dalla inabilità temporanea sia - in caso di consapevole attesa della morte - dalla sofferenza psichica, da liquidare tenendo conto della speciale intensità del danno (Cass., 17 ottobre 2016, n. 20922).   Poiché l'inabilità temporanea non si tramuta mai in inabilità permanente, cioè in una condizione stabilizzata, il danno può essere commisurato soltanto all'inabilità temporanea. 
Tuttavia nella relativa liquidazione - e cioè nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto - si deve tener conto del fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte.   Assume dunque rilievo predominante, più che l'intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima, il diverso criterio dell'intensità della sofferenza provata.   Poiché il pregiudizio costituito dalla perdita della vita, come detto, non è risarcibile, la somma da liquidare non può essere rapportata all'aspettativa di vita della vittima, bensì al periodo di vita e di sofferenza effettivamente vissuto dal momento della lesione fino a quella del decesso.   Da ultimo, poiché in via di principio nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi (i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del danno, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo), per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, sembra equo - in assenza di altri parametri - adottare il criterio di liquidazione predisposto dalle recenti tabelle proposte dall'### sulla ### di ### per la liquidazione del c.d. “danno terminale”.   Tali tabelle sono state predisposte tenendo conto dei seguenti principi: - l'unitarietà ed omnicomprensività del concetto di “danno terminale”, che, alla luce dell'insegnamento delle ### nelle sentenze gemelle dell'11 novembre 2008, nn. 26972-3-4-5, ricomprende al suo interno ogni aspetto biologico e sofferenziale connesso alla percezione della morte imminente (e dunque i pregiudizi altrimenti definiti come “danno biologico terminale”, da “lucida agonia” o “morale catastrofale”, nonché il danno biologico temporaneo “ordinario”, da intendersi in esso assorbito); - la durata limitata del danno, derivante dalla stessa definizione del danno come terminale (durata temporanea convenzionalmente stabilita in un periodo massimo di 100 giorni, oltre il quale il danno terminale non può prolungarsi, risultando risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario); - la coscienza del danneggiato, non essendo il danno in re ipsa ed occorrendo quindi la percezione della fine imminente; - l'intensità decrescente, basata sull'esperienza medico legale, secondo la quale il danno tende a decrescere col passare del tempo, dal momento che la massima sofferenza è percepita nel periodo immediatamente successivo all'evento lesivo per poi scemare nella fase successiva (tale criterio verosimilmente non è perfettamente in linea con la gravità ingravescente della patologia che ha condotto a morte il de cuius, ma resta comunque applicabile anche nella presente fattispecie, sia pure con un calcolo a ritroso, ipotizzando la massima sofferenza nei giorni immediatamente precedenti il decesso); - il metodo tabellare, che - pur nella ribadita difficoltà di individuare una “regola” che valga per tutte le variegate fenomenologie di danno terminale - assegna a ciascun giorno di sofferenza, nei limiti del tetto di 100 giorni complessivi, un valore progressivamente - e convenzionalmente - decrescente, sino ad agganciarsi, al 100° giorno, alla valutazione del danno biologico temporaneo ordinario; - la tabella prevede in particolare la liquidazione di un danno terminale massimo, non ulteriormente personalizzabile, fino al tetto di 30.000,00 euro per tre giorni e poi una cifra giornaliera inferiore, decrescente nel tempo (nella presente fattispecie da calcolarsi a ritroso dal giorno del decesso), a partire dal quarto giorno e personalizzabile, in relazione alle circostanze del caso concreto e al particolare sconvolgimento che risulti di volta in volta provato (con una personalizzazione che viene proposta nel limite massimo del 50%). Il valore del 4° giorno è stato individuato in 1.000 euro, mentre la progressiva diminuzione giornaliera è stata calcolata, con i necessari arrotondamenti, in modo tale da giungere, alla fine del periodo, ad un valore (98 euro) pressoché pari a quanto pro die stabilito dalla tabella per il danno biologico temporaneo standard (salva personalizzazione).   Applicando i criteri previsti dalla tabella ora citata il danno terminale nella presente fattispecie deve essere quantificato tenendo conto: - che, nella specie, tra il ricovero del 18 agosto 2005 (che ha segnato la prima manifestazione della patologia) e l'exitus del 17 ottobre 2005 sono intercorsi 62 giorni, distinti dal CTU in 9 giorni di invalidità temporanea al 100% e 53 giorni di invalidità temporanea parziale al 90%; - che, trattandosi degli ultimi giorni di vita del sig. ### deve farsi riferimento ai valori previsti dalla tabella del danno biologico terminale del Tribunale di ### (ovvero - in assenza di altri parametri - dalla tabella proposta dall'### sulla ### di ### per la liquidazione del c.d. “danno terminale”); - che il danno degli ultimi 62 giorni di vita del de cuius deve dunque essere quantificato in euro 94.000,00, sulla base del seguente calcolo: euro 30.000,00 (non ulteriormente personalizzabili) + euro 64.000,00 (ovvero 1.000,00 + 991,00 + 981,00 + 972,00 + 962,00 + 953,00 + 944,00 + 934,00 + 925,00 + 915,00 + 906,00 + 897,00 + 887,00 + 878,00 + 868,00 + 859,00 + 850,00 + 840,00 + 831,00 + 821,00 + 812,00 + 803,00 + 793,00 + 784,00 + 774,00 + 765,00 + 756,00 + 746,00 + 737,00 + 727,00 + 718,00 + 709,00 + 699,00 + 690,00 + 680,00 + 671,00 + 662,00 + 652,00 + 643,00 + 633,00 + 624,00 + 615,00 + 605,00 + 596,00 + 586,00 + 577,00 + 568,00 + 558,00 + 549,00 + 539,00 + 530,00 + 521,00 + 511,00 + 502,00 + 492,00 + 483,00 + 474,00 + 464,00 + 455,00 = 42.917,00, aumentati a 64.000,00 con la personalizzazione massima del 50%); - che la massima personalizzazione è giustificata dalla particolarità della patologia (neoplasia di estrema gravità con prognosi infausta e con evoluzione rapidissima), dalla conseguente inevitabile consapevolezza dell'approssimarsi della fine (che il de cuius non poteva ignorare, pur senza conoscere l'esatta diagnosi, atteso l'affidamento alla ### al solo fine della terapia del dolore, come da cartella clinica), dalle condizioni fisiche in cui versava il de cuius nel periodo di riferimento (“Certamente a partire dal ricovero del settembre 2005 la vita del sig. ### è risultata grandemente limitata; dopo la toracentesi in day hospital del 29/09/2005 fu seguito al domicilio dal personale dell'### e sembra non abbia più lasciato il domicilio se non per le successive toracentesi. In questo periodo presentava dolore toracico di intensità variabile in relazione all'efficacia delle terapie palliative instaurate”); - che pertanto il danno jure hereditario deve essere equitativamente quantificato in euro 94.000 (30.000,00 + 64.000,00). 
Tale danno viene equitativamente quantificato nell'attualità.   Su tale somma spettano poi la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente dalla data del sentenza sino al saldo ai sensi dell'art. 429 c.p.c., norma applicabile anche il risarcimento del danno subito dal lavoratore per la mancata predisposizione, da parte dell'imprenditore, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti, essendo tale danno di origine contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass., 8 aprile 2002, n. 5024; Cass., 18 febbraio 2004, n. 3213; Cass., 1 luglio 2004, n. 12098; Cass., 10 settembre 2010, n. 19348; Cass., 1 luglio 2011, n. 14507).   Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo (quanto ai ricorrenti, con distrazione in favore dei procuratori, antistatari).  P.Q.M.  Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione: - dichiara tenuta e pertanto condanna ### di ### del ### (già ### di ###, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore: - a corrispondere ai ricorrenti, pro quota, in qualità di eredi di ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dal de cuius, la somma di euro 94.000,00, oltre interessi e rivalutazione sulla somma annualmente rivalutata dalla data della presente sentenza al saldo; - a corrispondere ai ricorrenti, pro quota, in qualità di eredi di ### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto da quest'ultima per la morte del coniuge ### la somma di euro 200.000,00, oltre interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo; - a corrispondere a ciascuno dei ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio sofferto per la morte del padre ### la somma di euro 170.000,00, oltre interessi di legge dalla data della presente sentenza al saldo; - rigetta le domande proposte da ### di ### del ### nei confronti di C.U.L.M.V. ### Coop. a r.l.; - condanna ### di ### del ### a rifondere ai ricorrenti le spese di lite, che liquida in complessivi euro 20.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, rimborso contributo unificato ed accessori di legge, con distrazione in favore degli avv. ### e ### - condanna ### di ### del ### a rifondere a C.U.L.M.V. le spese di lite, che liquida in complessivi euro 13.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; - pone definitivamente a carico di ### di ### del ### le spese di ### - riserva il termine di 60 giorni per il deposito dei motivi della decisione.  ### 27 luglio 2017 ### n. 282/2016

causa n. 282/2016 R.G. - Giudice/firmatari: Stuppia Cristina, Scotto Maria Ida

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