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Corte d'Appello di Salerno, Sentenza n. 99/2025 del 06-02-2025

... in conformità agli esiti della CTU espletata da un cardiochirurgo e da un medicolegale. Sulla base di quanto accertato il Tribunale affermava che: ### paziente vasculopatico aterosclerotico con precedente lobectomia polmonare dx nel 2016 per K, pregresse ### per papillomatosi vescicale, diabetico, iperteso e obeso decedeva a causa di un'insufficienza multi organo da shock cardiogeno, dovuto ad infarto miocardico acuto; la diagnosi di Ima conseguiva al dolore toracico, agli esiti degli ECG delle 5.33 e delle 5.36 che riportavano IMA acuto anteriore e alla positività della troponinemia già presente alle ore 6.04; il decesso era conseguenza della responsabilità dei medici del PS dell'ospedale di ### e al mancato trasferimento presso unità cardiologica attrezzata ed individuata per il trattamento dell'ìnfarto; più precisamente il paziente necessitava al più presto di un'angioplastica di salvataggio e in ogni caso l'altra procedura praticata, quella della trombolisi, si rivelava del tutto inutile dopo sette ore dall'insorgenza dell'infarto; in particolare dopo una prima fase nella quale il trasferimento presso l'ospedale più vicino poteva essere conseguenza di difficoltà (leggi tutto)...

testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI SALERNO ### sezione civile La Corte di Appello di ### sezione civile riunita in camera di consiglio nelle persone dei### dr.### d.ssa ### d.ssa ### rel. est.  ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile n.234/2022 #### in persona del lr pt rappresentata e difesa dall'avv.### ed elettivamente domiciliata presso la ### dell'ASL di ### sita in ### alla via ### n.146- appellante E #### e ### in proprioe quali eredi di ### rappresentati e difesi dall'avv.### ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in #### alla via ### n.6 - appellati ###: appello avverso l'ordinanza ex art.702 bis cpc del Tribunale di ### emessa a definizione del proc. RGN 5387/2021 in data ### e pubblicata e notificata l'11/2/2022.   ### l'appellante: chiedeva in via preliminare la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato; nel merito chiedeva l'accoglimento dell'appello e conseguentemente che fosse revocata in toto l'ordinanza censurata; in subordine e nella denegata ipotesi in cui la Corte avesse ritenuto sussistente una minima corresponsabilità dei sanitari del ### di ### in ordine al decesso, chiedevano che fosse rideterminato il quantum debeatur, il tutto con la vittoria delle spese del doppio grado del giudizio; per gli appellati: chiedevano che l'appello fosse dichiarato inammissibile ex art.342 cpc e che nel merito fosse rigettato con la condanna degli appellanti al pagamento a loro favore delle competenze professionali.
Con ordinanza del 28 settembre 2022 la Corte rigettava la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordinanza impugnata. 
La causa passava in decisione mediante il deposito di note di trattazione scritta, pervenute prima del 3 ottobre 2024 e con ordinanza del 10 ottobre 2024 venivano concessi i termini di cui all'art.190 cpc per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.  RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis cpc #### e ### in proprio e quali eredi di ### convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di ### l'ASL di ### al fine di far dichiarare la responsabilità della struttura sanitaria e degli stessi medici per il decesso di ### e, per l'effetto, di condannare la resistente al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non nella misura quantificata e/o da quantificarsi, oltre interessi e rivalutazione. 
I ricorrenti chiedevano fissarsi la prima udienza di comparizione delle parti in modo da permettere, nelle more, il completamento dell'accertamento tecnico preventivo e deducevano che ai sensi dell'art.696 bis cpc ricorrevano al Tribunale di ### chiedendo la nomina di un CTU al fine di accertare le cause del decesso del loro familiare, le responsabilità dell' ASL di ### e dei medici, il nesso di causalità tra la loro condotta e l'evento morte ed i relativi danni. 
Esponevano che tale richiesta conseguiva al verificarsi dei seguenti fatti: in data ### verso le ore 4.30 ### allertava il 118 riferendo di avere forti dolori toracici e dispnea e di essere un cardiopatico con gravi difficoltà respiratorie; l'autoambulanza giungeva alle ore 5.00 e i sanitari intervenuti non eseguivano nell'immediatezza un ECG come da protocollo operativo, esame che avrebbe consentito di rilevare la presenza di uno ### e trasportavano il paziente al P.S. di ### malgrado l'espressa richiesta dei familiari di condurlo presso l'### di ### o di ### in quanto provvisti, a differenza di quello di ### dell'### al ### di #### veniva sottoposto ad un primo elettrocardiogramma alle ore 05.33 che per scarsa qualità tecnica comportava l'effettuazione di un secondo ECG alle 5.36; mediante tale secondo accertamento veniva accertata la presenza di uno #### e solo alle 12.00 dopo oltre sei dall'accesso veniva intrapresa la terapia con aspirina 300 mg e con eparina sodica per via endovenosa; inoltre alle 11.59 veniva effettuato un nuovo elettrocardiogramma che mostrava un nuovo e più marcato sopraslivellamento del tratto ST ovvero un chiaro peggioramento della situazione; la mancata esecuzione della riperfusione ed il ritardo di circa 10 ore rispetto ai 120 minuti previsti dalle buone pratiche mediche, avevano causato una grave lesione dell'integrità psico-fisica ed il successivo ed evitabile decesso di ### che, se fosse stato trattato nel rispetto delle linee guida e delle raccomandazioni, avrebbe avuto una speranza di vita superiore o intorno al 95%, come accertato anche dai consulenti nominati dalla ### della Repubblica di #### di ### si costituiva eccependo la mancanza di responsabilità rispetto all'evento morte e concludendo per il rigetto del ricorso. 
Acquisiti gli atti del procedimento di ### all'udienza del 18/1/2022 la causa passava in decisione.
Il Tribunale accoglieva la domanda e accertata la responsabilità della resistente la condannava al risarcimento dei danni non patrimoniali iure proprio in favore dei ricorrenti medesimi, liquidati nella complessiva somma di € 165.000,00 oltre interessi legali, in favore di ciascuno dei due figli di ### ossia ### e ### e nella somma di € 304.000,00 in favore di ### oltre interessi e la condannava al risarcimento del danno patrimoniale in favore di ### liquidato in € 100.000,00 oltre interessi al tasso legale dalla data di deposito della sentenza; applicava, infine, in tema di spese comprensive di quelle di ### il principio della soccombenza.   Il Giudice di primo grado perveniva a tale decisione, sulla base della configurabilità di una responsabilità contrattuale, in conformità agli esiti della CTU espletata da un cardiochirurgo e da un medicolegale.   Sulla base di quanto accertato il Tribunale affermava che: ### paziente vasculopatico aterosclerotico con precedente lobectomia polmonare dx nel 2016 per K, pregresse ### per papillomatosi vescicale, diabetico, iperteso e obeso decedeva a causa di un'insufficienza multi organo da shock cardiogeno, dovuto ad infarto miocardico acuto; la diagnosi di Ima conseguiva al dolore toracico, agli esiti degli ECG delle 5.33 e delle 5.36 che riportavano IMA acuto anteriore e alla positività della troponinemia già presente alle ore 6.04; il decesso era conseguenza della responsabilità dei medici del PS dell'ospedale di ### e al mancato trasferimento presso unità cardiologica attrezzata ed individuata per il trattamento dell'ìnfarto; più precisamente il paziente necessitava al più presto di un'angioplastica di salvataggio e in ogni caso l'altra procedura praticata, quella della trombolisi, si rivelava del tutto inutile dopo sette ore dall'insorgenza dell'infarto; in particolare dopo una prima fase nella quale il trasferimento presso l'ospedale più vicino poteva essere conseguenza di difficoltà respiratorie in un paziente che da poco aveva patito un intervento di lobectomia polmonare, la successiva condotta sanitaria era censurabile e si sostanziava nella mancata diagnosi di Ima nell'unica cartella cardiologica riportata in cartella e priva di orario, pur in presenza di tutti i sintomi di tale grave patologia; invero dopo il ricovero in rianimazione, nonostante la stabilizzazione del paziente tra le 8. 30 e le 11.59 non veniva effettuato alcun altro accertamento e al paziente veniva lasciata solo una chance di peggioramento; in tale situazione ### doveva essere trasferito nell'immediatezza in un centro hub dotato di emodinamica; invece, quando la diagnosi di Ima veniva riconfermata alle 11.59 qualsiasi altro comportamento sanitario era ormai inutile; in conclusione, secondo la logica del più probabile che non ovvero sulla base dell'accertamento dell'aumento del rischio, sotto il profilo causale il non aver trattato tempestivamente la cardiopatia ischemica insorta aveva certamente favorito il determinarsi dello shock cardiogeno e nello stesso tempo un corretto approccio diagnostico e terapeutico ( coronografia in emergenza con eventuale ### avrebbe determinato una maggiore probabilità di evitare il decesso.   In ordine al quantum del danno il Tribunale riconosceva ai figli ### e ### pur non conviventi con il padre, in ragione dello stretto rapporto di parentela, secondo l'id quod plerumque accidit ed in mancanza di elementi probatori contrari, un forte legame affettivo con la vittima, con conseguente configurabilità del danno non patrimoniale subito in conseguenza della menomazione definitiva del predetto vincolo ex art. 2059 cc; sulla base di tanto il danno veniva quantificato sulla base dei criteri tabellari elaborati dal Tribunale di Roma rivalutati al 2019, anche in un'ottica di personalizzazione del risarcimento, in € 165.000,00 in ragione della non convivenza di ### con i figli, dell'età della vittima pari a 69 anni al momento del decesso, dell'età dei figli e della consistenza del nucleo familiare composto da due figli superstiti e dal coniuge. 
Il Giudice di primo grado riconosceva, infine, a favore del coniuge ### dell'età di 66 anni all'atto del decesso del coniuge E 304.000,00, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, sulla base dei parametri delle tabelle del Tribunale di Roma e 100 mila E, in via equitativa, per il danno patrimoniale conseguente alla perdita del coniuge percettore di reddito da pensione. 
L'### ha presentato appello avverso la predetta ordinanza deducendo i seguenti motivi: 1)omessa valutazione di tutte le deduzione ed eccezioni sollevate in primo grado e in particolare le condizioni gravissime del paziente che non avrebbero consentito un trasferimento presso altro nosocomio per effettuare l'angioplastica; sotto tale profilo reiterava le contestazioni sollevate in primo grado e chiedeva il rinnovo della CTU non emergendo da quella espletata una prova scientifica in ordine al nesso eziologico lamentato dai ricorrenti; 2)la quantificazione del danno non era condivisibile in quanto erano state utilizzate genericamente le tabelle di ### invero con ogni probabilità il decesso era avvenuto per la sussistenza di altri fattori quali patologie congenite pregresse e considerata l'aspettativa di vita del paziente sia per l'età che per le predette patologie, l'appellante escludeva la possibilità di aderire al calcolo elaborato dal giudice di prime cure ed alla relativa applicazione delle tabelle del Tribunale di ### basata su un decorso della esistenza umana nella prospettiva di una morte naturale ordinaria del soggetto, piuttosto che patologica.  #### e ### in proprio e quali eredi di ### si costituivano e chiedevano in primis che l'appello fosse dichiarato inammissibile ex art.342 cpc. 
Nel merito affermavano che: la controparte si era limitata a lamentare una presunta mancata valutazione, da parte del giudice di prime cure, delle proprie difese delle quali, tuttavia, non vi era alcun preciso e specifico richiamo in atti; in ogni caso in primo grado l'appellata si era limitata a difendere l'operato dei propri sanitari e ad evidenziare le condizioni di salute del paziente e tali argomentazioni erano state pienamente sconfessate dalle relazioni medico-legali e dalla documentazione sanitaria prodotta in atti; in ordine al quantum, gli appellati evidenziavano che, diversamente da quanto affermato da controparte, le tabelle di quantificazione del danno adottate dal giudice di prime cure erano quelle elaborate dal Tribunale di Roma e non dal Tribunale di ### e la scelta operata era stata adottata al fine di pervenire ad una corretta quantificazione del danno, oltre a costituire espressione di un potere discrezionale del giudice, insindacabile in assenza di concrete e specifiche contestazioni.   Va valutato in primis se l'appello sia inammissibile ai sensi dell'art.342 cpc. ### va rigettata, in quanto in tema di specificità dei motivi di appello la giurisprudenza di legittimità è ripetutamente intervenuta con molteplici arresti al fine di stabilire la corretta interpretazione dell'art. 342 cpc, così come novellato dalla riforma del 2012, chiarendo come la modifica introdotta non abbia sconvolto i tradizionali connotati dell'atto di appello, restando invariata la natura di "revisio prioris instantiae" di tale giudizio, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. 
Pertanto l'atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti della sentenza impugnata e, con essi, le relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa volta a confutare e a contrastare le ragioni addotte dal primo giudice, non richiedendosi l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata( sent. Cass. civ. sez. un. n.27199/2017; ord. Cass. n.7675/2019; sent. 
Cass. n.24262/2020).
Sulla scorta di tali rilievi, deve dichiararsi l'ammissibilità del suddetto gravame in quanto pienamente conforme al disposto dell'art.  342 cpc, nella formulazione introdotta dalla legge n. 134/12, avendo l'appellante specificato con sufficiente chiarezza le censure relative alla statuizione di primo grado e le modifiche richieste con la formulazione di pertinenti ragioni di dissenso, rispetto alle argomentazioni addotte dal primo giudice. 
Nel merito l'appello è infondato e come tale va rigettato.   Con il primo motivo l'appellante ha censurato la decisione affermando che le deduzioni e le eccezioni prospettate in primo grado non erano state valutate dal Tribunale.   Va premesso che chi ha appellato ha fatto solo un generico richiamo a quanto dedotto in primo grado e non ha contestato alcunché durante lo svolgimento della CTU nel corso del procedimento per accertamento tecnico preventivo.   In ogni caso l'appellante ha evidenziato che le condizioni critiche del paziente non avrebbero mai consentito un trasferimento presso altra struttura ove sarebbe stato possibile effettuare un'angioplastica.
In realtà nella vicenda in esame è rimasto del tutto indimostrato tale assunto perché non veniva proprio diagnosticata l'Ima nella cartella cardiologica riportata in cartella e priva di orario, pur in presenza di tutti i sintomi di tale grave patologia ( all'atto dell'arrivo in PS il paziente avesse anamnesi positiva per cardiopatia, fosse iperteso, obeso, diabetico con sintomatologia anginosa, ECG positivo per sopraslivellamento in anteriore e troponinemia elevata) e dopo il ricovero in rianimazione, nonostante la stabilizzazione del paziente tra le 8. 30 e le 11.59 non veniva effettuato alcun altro accertamento e al paziente veniva lasciata solo una chance di peggioramento; in tale situazione ### doveva essere trasferito nell'immediatezza in un centro hub dotato di emodinamica; invece, quando la diagnosi di Ima veniva riconfermata alle 11.59 qualsiasi altro comportamento sanitario era ormai inutile.  ### collegiale è stato affermato, infatti, che sotto il profilo causale il non aver trattato tempestivamente la cardiopatia ischemica insorta aveva certamente favorito il determinarsi dello shock cardiogeno e nello stesso tempo un corretto approccio diagnostico e terapeutico ( coronografia in emergenza con eventuale ### avrebbe determinato una maggiore probabilità di evitare il decesso. 
Inoltre, anche se si fosse ritenuto che tale consulenza cardiologica - priva di riferimento all'ora di espletamentofosse stata effettuata più tardi delle ore 8.30- orario in cui era stata richiesta - sarebbe stato necessario inviare l'ECG alla centrale operativa più vicina e neanche tale condotta era stata posta in essere.  ### ha anche censurato la CTU espletata in primo grado affermando che mediante la stessa non era stato accertato il nesso causale tra le condotte dei sanitari ospedalieri che si erano occupati di ### e il suo decesso.   In realtà prima di tutto è stata espletata una CTU collegiale così da ottenere un contributo sia da parte dello specialista in cardiochirurgia sia da parte del medico legale, poi, le risultanze in termini di individuazione di una responsabilità medica sono state espresse proprio in relazione al nesso causale secondo il principio del “più probabile che non” ovvero sulla base dell'accertamento dell'aumento del rischio,
In considerazione di tanto la consulenza collegiale espletata non è censurabile essendo pienamente condivisibile e, pertanto, la stessa richiesta di rinnovazione della CTU articolata in appello. in assenza di esplicite, specifiche e fondate censure , peraltro, neanche espresse in primo grado, non può essere accolta. 
Il secondo motivo relativo alla quantificazione del danno è da rigettare in quanto assolutamente generico. 
A conferma di tanto l'appellante ha fatto riferimento alle tabelle di ### mentre nel caso di specie sono state applicate le tabelle di ### Le spese seguono la soccombenza ( scaglione: 520.001,00 E- 1.000.000,00 - valori minimivanno riconosciute la fase dello studio, la fase introduttiva e quella decisionale; per la fase della trattazione va riconosciuto il 50% per la sua scarsa significatività) La Corte dà atto che vi sono i presupposti per l'appellante per l'applicazione dell'art.13 c.1 quater DPR 115/2002 PQM La Corte d'Appello, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, deduzione ed eccezione, così provvede: 1)rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; 2) condanna l'appellante a pagare le spese del giudizio a favore degli appellati, spese che liquida in E 11.167,00 E oltre IVA e CPA se dovute come per legge e il 15% per spese generali.  3) dà atto della sussistenza dei presupposti perché l'appellante sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art.13- comma 1 quater DPR 115/2002 ### 22 gennaio 2025 ### estensore ### d.ssa ### dr.

causa n. 234/2022 R.G. - Giudice/firmatari: Pizzillo Marcella, Vito Colucci

M

Tribunale di Roma, Sentenza n. 6184/2024 del 10-04-2024

... paracardiaca…"; in relazione a tale profilo il dottor ### cardiochirurgo, ha evidenziato, dopo aver visionato personalmente le immagini della ### che non era presente alcun segno particolare di diastasi sternale e che "la raccolta retrosternale evidenziabile alla TAC risulta essere un reperto normale dopo un recente intervento di cardiochirurgia" (vedi pagina 26 della ###; pertanto, contrariamente a quanto prospettato da parte attrice, la quale ha dedotto la sussistenza di un ritardo nella formulazione della diagnosi, non è ravvisabile alcun elemento di censura nell'operato del personale sanitario in riferimento alla lettura delle immagini della ### 9) il paziente viene sottoposto a due ulteriori toracentesi, la prima in data 26 luglio 2012, la seconda il 2 agosto 2012; 10) fino al 10 agosto 2012, non si ravvisano problematiche flogistiche locali o alterazioni della ferita chirurgica sternale; 11) in data 10 agosto 2012, riscontrata la presenza di una mobilità sternale, viene posta indicazione all'intervento di resintesi sternale , che viene eseguito il giorno successivo e descritto nel modo che segue : "presenza di deiscenza dello sterno con fratture multiple, all'esame macroscopico non si (leggi tutto)...

testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA TREDICESIMA SEZIONE CIVILE Il Giudice Unico Dott.ssa ### nella causa N.R.G. 55929/2019 pervenuta all'udienza del 28 settembre 2023 per la spedizione a sentenza , vertente tra: ####, ####, ####, ####, in proprio e quali eredi di ### deceduto il 28 agosto 2012 , difesi giusta delega in atti dall' Avv.  ### E ### I di #### (da ora in avanti la ### , difesa giusta delega in atti dall' Avv. ###: responsabilità medicadecesso - infezione nosocomiale ### come precisate all'udienza del 28 settembre 2023 con note di trattazione scritta Ha pronunciato SENTENZA MOTIVI DELLA DECISIONE In via pregiudiziale si precisa che la presente sentenza viene redatta secondo lo schema contenutistico delineato dagli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., come modificato dalla legge 69/2009 , e quindi con omissione dello svolgimento del processo ed espressione succinta delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ; si premette la conoscenza dell'atto di citazione , della comparsa di costituzione e risposta di parte convenuta , delle memorie autorizzate e di tutti gli altri atti e documenti di causa, che qui integralmente si richiamano. 
Gli attori analiticamente indicati in epigrafe (tutti legati da rapporto di parentela con ### , segnatamente il coniuge e i figli) , deceduto il 28 agosto 2012, premesso che : in data 11 giugno 2012 ### veniva ricoverato presso il ### del ### I, ove stava prestando servizio come guardia giurata, a causa di una sindrome coronarica acuta; nello stesso giorno veniva sottoposto ad intervento di rivascolarizzazione miocardica; terminato l'intervento chirurgico, il paziente veniva trasferito in terapia intensiva ove rimaneva fino al 7 luglio 2012; il decorso post operatorio era complicato dal deterioramento degli scambi gassosi successivamente alla estubazione, con la necessità prima di reintubazione e poi di tracheotomia in data 21 giugno 2012; in data 7 luglio 2012 il paziente veniva trasferito nel reparto di cardiochirurgia, in condizioni emodinamiche e respiratorie riferite stabili e senza febbre; nel reparto di cardiochirurgia il paziente veniva sottoposto a toracentesi ; durante la permanenza nel reparto di cardiochirurgia il ### effettuava numerosi esami clinici e strumentali, veniva sottoposto a diverse sedute di dialisi ed effettuava molteplici consulenze infettivologiche, psicologiche e nefrologiche; inoltre eseguiva diversi esami ematochimici e colture di materiali biologici; per ben sessanta giorni il personale sanitario della ### non aveva sospettato nè rilevato alcun segno di infezione del sito chirurgico; solamente il 10 agosto 2012 i medici, allarmati dal progressivo peggioramento delle condizioni respiratorie e da un rialzo febbrile, riscontravano una deiscenza della sternotomia; il paziente veniva quindi trasferito d'urgenza nel reparto di rianimazione per essere sottoposto in data 11 agosto 2012 a nuovo intervento chirurgico di revisione della sternotomia, dalla cui descrizione, si apprendeva, peraltro, la presenza di deiscenza dello sterno con fratture multiple; nei giorni immediatamente successivi all'intervento di revisione sternale dell'11 agosto 2012 le condizioni cliniche del paziente peggioravano progressivamente ed inesorabilmente sino ad arrivare al 22 agosto 2012 quando, valutata una mobilità dello sterno preternaturale, veniva sottoposto nuovamente ad intervento chirurgico, a causa di una grave infezione, successivamente rivelatasi mortale; dalla nota operatoria del terzo intervento poteva apprendersi: "… Si espone l'osso sternale che appare malacico… secreto purulento soprattutto nella porzione superiore… osseo sternale e porzione mediale costale che appaiono macroscopicamente malacici. Tali tessuti vengono inviati per esame colturale"; l'esame del materiale biologico evidenziava l'isolamento della ### dal drenaggio pericardico con infezione a livello mediastinico da ### multi resistente e fuoriuscita di materiale purulento dalla ferita; in data 28 agosto 2012 ### in ### all'età di anni 59 decedeva a causa della diffusione dello shock settico; il decesso era riconducibile a complicanze infettive e shock settico insorto a causa di una infezione del sito chirurgico, cutaneo, muscolare ed osseo; che veniva quindi esperita mediazione obbligatoria, nell'ambito della quale veniva disposta consulenza tecnica con affidamento dell'incarico ad un medico legale; che dalla consulenza disposta in mediazione si evinceva la responsabilità della ### per le plurime infezioni correlate alle assistenza contratte dal paziente, che avevano poi condotto all'exitus; che inoltre dal referto anatomopatologico (in atti) risultava che la morte era riconducibile a "mediastinite anteriore acuta (raccolta purulenta nel tessuto sottocutaneo in corrispondenza di recente ferita chirurgica come da sternotomia, con interessamento dei piani muscolare ed osseo). Recente infarto del miocardio della parete anterosettale associato ad esiti di pregresso infarto nelle medesime aree in soggetto portatore di triplice by pass aortocoronarico. Broncopolmonite bilaterale da ### pneumoniae, spp pneumonia. 
Edema e congestione polmonare bilaterale. Pleuropericardite acuta in fase di organizzazione. 
Arteriosclerosi aortica, delle coronarie e arterioarteriosclerosi renale bilaterale" ; che, in diritto, era configurabile la responsabilità della ### per negligenza, imperizia ed imprudenza nella gestione nel trattamento delle plurime infezioni nosocomiali contratte dal paziente; che la responsabilità del personale sanitario era altresì ravvisabile nel ritardo diagnostico in riferimento alla TAC eseguita in data 7 luglio 2012, che aveva già messo in evidenza la diastasi sternale, diastasi tuttavia non ravvisata e non apprezzata dal radiologo; detto ritardo diagnostico avrebbe poi determinato una concatenazione di eventi infausti che di lì a poco avrebbero condotto all'exitus; che era quindi interesse di essi attori conseguire il risarcimento dei danni patrimoniali (in riferimento al mancato apporto reddituale del de cuius ai bisogni del nucleo familiare composto all'epoca dei fatti dalla moglie e dal figlio ### convivente, vedi certificato di stato di famiglia in atti) e non patrimoniali, segnatamente il danno da perdita del rapporto parentale; il danno esistenziale; il danno biologico iure hereditatis, nella duplice veste di danno biologico terminale e danno da lucida agonia; tanto premesso, hanno convenuto in giudizio la ### , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, come sopra specificati, il tutto previo accertamento della responsabilità della ### nella causazione della morte.   ### ha contestato la domanda risarcitoria avversaria, sia nell'an che nel quantum, concludendo per il rigetto della medesima.   Così sia pure sinteticamente delineato il tema del decidere, ferma la procedibilità della domanda tenuto conto della mediazione infruttuosamente esperita, venendo ora al merito della domanda risarcitoria , occorre scindere la domanda risarcitoria da perdita del rapporto parentale, domanda azionata iure proprio dai congiunti del paziente deceduto, dalla domanda avente ad oggetto il ristoro del danno non patrimoniale patito da ### , a cagione delle sofferenze fisiche e morali subite , posta risarcitoria che dal paziente deceduto si trasferisce iure successionis agli eredi (danno biologico iure successionis) . 
In relazione al danno da perdita del rapporto parentale (morte quale conseguenza dell'errore medico) ,ritiene il Tribunale doveroso preliminarmente inquadrare sotto il profilo normativo e giurisprudenziale la responsabilità medica allorquando a richiedere il risarcimento del danno da asserita malpractice sia non il paziente asseritamente danneggiato dal negligente ed imperito operato del personale sanitario, bensì il congiunto o i congiunti del paziente deceduto in conseguenza di dedotti errori ed omissioni del personale medico. 
Nella ipotesi , infatti, in cui la prospettata malpractice sanitaria abbia condotto al decesso del paziente , i congiunti di quest'ultimo, che agiscano per il risarcimento del danno, non possono invocare l'esistenza di un rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura ,ma devono agire ai sensi dell'art. 2043 c.c. a titolo di responsabilità extracontrattuale. 
Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, perché, fatta eccezione per il circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, trova applicazione il principio generale di cui all'art. 1372, comma 2, c.c., con la conseguenza che l'autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall'inadempimento dell'obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, con tutte le conseguenze caratterizzanti l'istituto della responsabilità aquiliana in tema di assolvimento degli oneri di allegazione e prova . 
La giurisprudenza di legittimità, con condivisibile orientamento, ha chiarito che il rapporto contrattuale che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria ha efficacia ultra partes allorché costituisca fonte di obbligazioni aventi ad oggetto prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione; viene in considerazione, in particolare, il contratto stipulato dalla gestante, avente ad oggetto la prestazione di cure finalizzate a garantire il corretto decorso della gravidanza oppure l'accertamento, e correlativa informazione, di eventuali patologie del concepito, anche in funzione del consapevole esercizio del diritto di autodeterminarsi in funzione dell'interruzione anticipata della gravidanza medesima (Cass. 14615/2020; 16754/2012; 11503/1993).  ### esecuzione della prestazione che forma oggetto di tali rapporti obbligatori, infatti, incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre perché la tutela contro l'inadempimento deve necessariamente essere estesa a tali soggetti, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati. 
Al di fuori di questa specifica ipotesi, poiché l'esecuzione della prestazione che forma oggetto dell'obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi, torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (articolo 1372 comma 2 c.c.); pertanto, per un verso non è predicabile un effetto protettivo del contratto nei confronti dei terzi, per altro verso non è identificabile una categoria di terzi (quand'anche legati da vincoli rilevanti, di parentela o di coniugio, con il paziente) quali "terzi protetti dal contratto". 
Ciò non vuol dire che i prossimi congiunti del creditore, ove abbiano subito in proprio delle conseguenze pregiudizievoli, quale riflesso dell'inadempimento della struttura sanitaria, non abbiano la possibilità di agire in giudizio per ottenere il ristoro di tali pregiudizi. 
Il predetto inadempimento, tuttavia, potrà rilevare nei loro confronti esclusivamente come illecito aquiliano ed essi saranno dunque legittimati ad esperire, non già l'azione di responsabilità contrattuale (spettante unicamente al paziente che stipula il contratto), ma quella di responsabilità extracontrattuale, soggiacendo alla relativa disciplina, anche in tema di onere della prova ( Civ. 11320/2022) . 
Ferma l'elaborazione giurisprudenziale di cui sopra, acclarato che l'azione di responsabilità per conseguire il ristoro del danno da perdita del rapporto parentale in questa sede esperita va collocata nell'alveo della responsabilità extracontrattuale , con tutto ciò che ne consegue non solo in tema di assolvimento dell' onere di allegazione e prova e di ripartizione, dunque, dei rispettivi oneri probatori, ma anche in termini di individuazione del termine prescrizionale da applicarsi nella fattispecie (nel caso di specie, giova comunque puntualizzare che il termine prescrizionale quinquennale risulta interrotto dapprima con la missiva raccomandata a.r. del 5 febbraio 2014, documento 6 del fascicolo di parte attrice e poi dalla procedura di mediazione successivamente azionata sino ad arrivare all'instaurazione del presente giudizio avvenuta nel 2019) , devesi ora inquadrare, a livello normativo e giurisprudenziale, il danno biologico iure successionis richiesto dagli odierni attori.  ### la costante giurisprudenza della Suprema Corte, dal decidente condivisa, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della ### sanitaria per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. Civ. 18392/2017; 975/2009 ; 17143/2012; 21177/2015). 
Più specificamente, nel campo della responsabilità sanitaria, quanto al principio di allegazione della condotta inadempiente, ritenuta fonte di danno, occorre far riferimento a quanto indicato dalla giurisprudenza di cui a Cass. SSUU 577/2008 , rilevante per dirimere il caso concreto: "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia, ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante".   ### rilevante, nell'ambito dell'azione di responsabilità medica, per il risarcimento del danno nelle obbligazioni, così dette, di comportamento non è, dunque, qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. 
Ciò comporta che l'allegazione del paziente-creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, o comunque genericamente dedotto, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato e cioè "astrattamente efficiente alla produzione del danno" (così chiosa Cass. SSUU 577/2008) . 
Conseguentemente, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. Civ. 27606/2019; 3704/2018; 5128/2020). 
Premesso in diritto quanto sopra, la CTU a firma del Dott. ### , medico-legale ed infettivologo, e del Dott. ### , specialista in cardiochirurgia, redatta con professionalità, con adeguata conoscenza della letteratura scientifica e delle linee guida vigenti in materia, nonché immune da vizi logici e/o di altra natura tale pertanto da potere essere integralmente condivisa dal decidente, ha ripercorso la storia anamnestica e clinica di ### attraverso la disamina della documentazione sanitaria allegata al libello introduttivo. 
Va evidenziato in particolare dall'excursus compiuto dal collegio peritale che: 1) in data 11 giugno 2012 ### già affetto da ipertensione arteriosa e diabete mellito insulino-dipendente, si ricovera presso il ### I per un dolore precordiale; sottoposto a coronarografia in urgenza, viene posta diagnosi di sindrome coronarica, con indicazione all'intervento cardiochirurgico di rivascolarizzazione miocardica, intervento che viene eseguito nella stessa giornata; 2) l'intervento viene portato a conclusione "con la dovuta perizia", come osservato dal collegio peritale (va peraltro evidenziato che parte attrice nessun elemento di censura ha prospettato in relazione all'esecuzione di intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica con inserimento di bypass aortocoronarico), 3) successivamente il paziente viene sottoposto a dialisi a causa della insorgenza di una insufficienza renale acuta ; 4) in data 15 giugno 2012 viene osservata positività colturale nel tracheo aspirato allo ### aeruginosa e alla ### oxytoca, in considerazione della quale viene "correttamente" (vedi pagina 30 della ### impostata terapia antibiotica, avuto riguardo alla consulenza infettivologica del 16 giugno 2012; 5) in data 21 giugno 2012, a causa del persistere di disagio nel respiro, viene effettuata una tracheostomia; gli esami colturali effettuati quel giorno rilevano positività anche su catetere venoso centrale e su catetere di #### per ### aeruginosa; 6) il 7 luglio 2012 il paziente viene trasferito nel ### di ### con necessità di ossigenoterapia di supporto, catetere venoso periferico e catetere venoso centrale; viene inoltre sottoposto a nutrizione parenterale ed è emodinamicamente stabile; osservano in proposito i periti d'ufficio: "tutti i sistemi descritti possono essere considerati come porte d'ingresso facilitate per il contagio da parte di germi presenti nell'ambiente ospedaliero, soprattutto se non viene adeguatamente effettuata la sorveglianza microbiologica secondo le regole descritte nel capitolo dedicato alla normativa" (vedi pagina 31 della ###; 7) il 12 luglio 2012 il paziente risulta positivo allo ### aureo; 8) in data 17 luglio 2012 viene eseguita una TAC del torace senza mezzo di contrasto con il seguente referto: "… ### di sternotomia mediana. Cospicua quota di versamento pleurico bilaterale più evidente a sinistra con associato addensamento del parenchima polmonare adiacente bilateralmente. Addensamento parenchimale a livello del lobo medio in sede basale anteriore paracardiaca…"; in relazione a tale profilo il dottor ### cardiochirurgo, ha evidenziato, dopo aver visionato personalmente le immagini della ### che non era presente alcun segno particolare di diastasi sternale e che "la raccolta retrosternale evidenziabile alla TAC risulta essere un reperto normale dopo un recente intervento di cardiochirurgia" (vedi pagina 26 della ###; pertanto, contrariamente a quanto prospettato da parte attrice, la quale ha dedotto la sussistenza di un ritardo nella formulazione della diagnosi, non è ravvisabile alcun elemento di censura nell'operato del personale sanitario in riferimento alla lettura delle immagini della ### 9) il paziente viene sottoposto a due ulteriori toracentesi, la prima in data 26 luglio 2012, la seconda il 2 agosto 2012; 10) fino al 10 agosto 2012, non si ravvisano problematiche flogistiche locali o alterazioni della ferita chirurgica sternale; 11) in data 10 agosto 2012, riscontrata la presenza di una mobilità sternale, viene posta indicazione all'intervento di resintesi sternale , che viene eseguito il giorno successivo e descritto nel modo che segue : "presenza di deiscenza dello sterno con fratture multiple, all'esame macroscopico non si apprezzano infezioni alle strutture sottostanti; rottura dei punti metallici. Lisi delle aderenze pericardiche, mobilizzazioni delle tenaci aderenze pleuriche per rendere possibile il posizionamento del tubo di drenaggio pleurico sinistro. 
Aspirazione di liquido pleurico sinistro. Curettage chirurgico, rimozione dei punti in acciaio e prelievo di materiale che viene inviato per esame colturale. Sintesi sternale con doppia gabbia secondo ### Si posizionano un drenaggio pericardio - mediastinico…"; gli esami colturali evidenziarono positività di un campione da drenaggio pericardico per ### multi resistente. In relazione a tale ultimo profilo il c.t.u.  infettivologo ha evidenziato "che nel referto fu segnalata la presenza di deiscenza dello sterno con fratture multiple; l'assenza di segni di infezione delle strutture sottostanti all'esame macroscopico; le aderenze pericardiche che vennero lisate e tenaci aderenze pleuriche che vennero mobilitate per effettuare il posizionamento del drenaggio pleurico sinistro. Infatti la semplice ferita deiscente è di per sé ad altissimo rischio di contagio: la ferita sternale del ### era una facile porta d'ingresso dei germi e le plurime operazioni peggiorarono il rischio di contaminazione. ### da ### tuttavia era in atto , come attestato dall'esito dell'esame colturale. Il germe fu contratto in ospedale, era multiresistente e le condizioni del signor ### non migliorarono ma, nonostante le corrette terapie antibiotiche indicate dai consulenti infettivologi, si complicarono ulteriormente, in relazione alla presenza del versamento pleurico, all'aggravarsi della broncopolmonite, all'evidenza di altre infezioni da germi di origine nosocomiale (### e ### aeruginosa), e alla delicata gestione dei drenaggi pleuropolmonari per la presenza di perdite aeree" (vedi pagina 34 della ###; 12) eseguite successive emocolture con riscontrata positività alla ### multiresistente e allo ### aeruginosa, in data 21 agosto 2012 il paziente lamenta dolore diffuso al torace; il giorno successivo viene segnalata la presenza di ferita chirurgica deiscente per un tratto di circa 7 cm a livello del terzo distale e, nello stesso giorno del 22 agosto 2012, il paziente viene sottoposto ad un terzo intervento chirurgico di asportazione del residuo sternale e stabilizzazione mediante plastica dei muscoli pettorali; l'esame colturale sul materiale prelevato (osseo e inorganico) a livello toracico conferma la positività a ### multiresistente; l'intervento, o meglio, la descrizione del medesimo evidenzia testualmente: "… l'osso sternale, che appare malacico, secreto purulento soprattutto nella porzione superiore… ### dei punti metallici che stabilizzano lo sterno, tali tessuti vengono… per esame colturale. Si effettua bonifica del tessuto osseo sternale e porzione mediale costale… macroscopicamente malacici… Si apprezzano preesistenti numerose lesioni di continuo a carico della pleura di sinistra e del polmone. Si procede ad allestimento di lembo di muscolo gran pettorale bilateralmente i quali vengono posizionati con tecnica doppio petto a ricoprire la perdita di sostanza ossea sternale”; il decorso post operatorio fu caratterizzato dalla presenza di febbre, dalla necessità di ventilazione meccanica, di emodialisi e di emotrasfusioni; 13) il 27 agosto 2012 viene riscontrata nel corso della medicazione della ferita sternale la fuoriuscita di abbondante materiale purulento dal terzo distale; il 28 agosto 2012 alle ore 12:00 vengono segnalate condizioni generali gravissime e alle 16:40 interviene l'exitus del paziente per shock settico causato da mediastinite infettiva e broncopolmonite da ### pneumoniae, insufficienza respiratoria, insufficienza renale acuta, postumi di infarto del miocardio . 
Ripercorsa la storia clinica di ### ravvisata l'insussistenza di elementi di censura in relazione alla lettura delle immagini della TAC del 7 luglio 2012, contrariamente a quanto prospettato da parte attrice nel libello introduttivo, osserva il Tribunale che le condivisibili risultanze della CTU medico-legale, unitamente alla risposta fornita dai periti d'ufficio alle osservazioni dei consulenti di parte convenuta, autorizzano tuttavia a ritenere sussistente la responsabilità della ### per le numerose infezioni di chiara matrice e derivazione nosocomiale contratte dal paziente, le cui condizioni particolarmente delicate tenuto conto dell'importante quadro di comorbidità da cui era affetto, avrebbero imposto l'adozione in concreto di protocolli di sanificazione e, più in generale, di misure preventive adeguate tese a scongiurare il rischio di contrarre infezioni correlate all'assistenza durante la permanenza in ospedale. 
Va evidenziato in particolare che parte convenuta non ha fornito prova di aver applicato in concreto i protocolli di igiene e profilassi.  ### contratto le plurime infezioni in ambiente ospedaliero, successivamente ad intervento chirurgico indica inequivocabilmente che non vennero applicate in concreto le metodiche di profilassi antinfettiva; il fatto che la ### sia munita di un ### , competente a predisporre le misure di profilassi idonee a prevenire le infezioni correlate all'assistenza, o la circostanza che la ### abbia adottato dei protocolli per la sanificazione degli ambienti ospedalieri non autorizza a ritenere, in difetto di prova che è onere della ### (e, quindi, di parte convenuta) fornire, che i protocolli di prevenzione e di profilassi siano stati applicati in concreto, per quel paziente, e nel reparto ove lo stesso era ricoverato. 
Le plurime infezioni contratte dal paziente , in diversi distretti anatomici (mediastinite , broncopolmonite bilaterale da ### pneumoniae, pleuropericardite acuta), hanno determinato lo shock settico che ha poi condotto all'exitus. 
Il collegio peritale, con convincente ragionamento, ha evidenziato che le infezioni che si manifestano più di quarantott'ore dopo l'ingresso in ospedale e che non erano in incubazione all'ingresso sono di solito considerate infezioni nosocomiali. 
Nel caso che ci occupa successivamente all'intervento chirurgico dell'11 giugno 2012 si è assistito ad una progressiva escalation del quadro infettivo del paziente che ha richiesto la sottoposizione dello stesso a due ulteriori interventi chirurgici. 
Lo shock settico fu la concausa efficiente e determinante del decesso e la principale malattia che condusse all'exitus, come anche indicato nella stessa scheda RAD di dimissione ospedaliera, exitus, si ripete, favorito dalla condizione di numerose comorbidità : "… Si può affermare con ragionevole probabilità che la contaminazione da ferita da ### pneumoniae, causa della mediastinite che determinò la grave necrosi dello sterno e la broncopolmonite fu dovuta ad un germe di origine nosocomiale. Si trattò quindi di una complicanza post chirurgica di natura settica prevedibile, nonché prevenibile, se fossero state attuate e documentate idonee procedure di controllo e prevenzione delle infezioni in ambiente ospedaliero, opportune per la realizzazione di un'efficace azione di controllo e prevenzione ambientale da parte dei competenti ### igienico sanitari della ### ospedaliera a questo preposti. ### di tale attività prevista dalle regole della normativa già vigente al tempo del ricovero del signor ### doveva essere dimostrata in atti dall'esibizione da parte della stessa ### degli atti che attestano sia il varo di regolamenti inerenti al controllo delle malattie infettive in ambiente ospedaliero, sia la presenza di documenti riguardanti l'effettiva ricezione delle regole e la loro attestata applicazione. In relazione all'assenza di tali elementi in atti le predette carenze della ### ospedaliera del ### I sono da porre in nesso causale con il decesso del ### secondo il criterio dell'elevata probabilità scientifica…" vedi pagina 40 della ###. 
Ferme le condivisibili risultanze dell'elaborato peritale, come sopra esplicitate, va dunque affermata la responsabilità di parte convenuta per il decesso di ### non avendo la ### dimostrato l'applicazione in concreto di adeguati protocolli di sanificazione nel periodo in cui il paziente venne ricoverato; la ### va quindi condannata al risarcimento dei danni in favore di parte attrice nei termini di cui si dirà infra. 
Venendo ora alla quantificazione del danno, in relazione alle varie poste risarcitorie prospettate da parte attrice, si osserva, in primo luogo, che ### ha patito un danno biologico, inteso come lesione della struttura fisio-psichica dell'organismo umano di natura areddituale, che si trasmette dal de cuius agli eredi, odierni attori. 
Invero il paziente si è trovato a subire una condizione di inabilità temporanea assoluta, segnatamente dall'11 giugno 2012 al 28 agosto 2012, arco temporale pari a 79 giorni caratterizzati dalla sottoposizione ad esami di vario genere, accertamenti diagnostici , cure antibiotiche e a ben tre interventi chirurgici . 
Il danno biologico è liquidabile sia nella componente fisica (d. biologico terminale) che morale (danno catastrofale o da lucida agonia) , tenuto conto del fatto che il danno da lucida agonia implica che il paziente sia pienamente consapevole dell'approssimarsi dell'exitus; nel caso di specie dall'esame della cartella clinica e dalla disamina delle numerose consulenze neuropsichiatriche effettuate, ivi trascritte, risulta che il paziente era in uno stato di perenne ansia-agitazione a causa del progressivo deterioramento delle proprie condizioni di salute, deterioramento al quale stava lucidamente e consapevolmente assistendo . 
Applicando il criterio equitativo, avuto riguardo all'età del paziente ,alla durata della inabilità assoluta, stimasi costituire adeguato ristoro la somma di euro 1200,00 attuali per ciascun giorno di inabilità temporanea (di cui euro 1000,00 per il danno biologico terminale ed euro 200,00 per il danno morale soggettivo), per il complessivo importo di euro 94.800,00 attuali, da ripartire tra gli odierni attori secondo i criteri della successione legittima.   Va inoltre risarcito il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto . 
Ritiene il giudicante che nella liquidazione di tale danno , da compiersi con criteri necessariamente equitativi, vada ricompreso non solo il ristoro per il dolore e la sofferenza contingenti, patiti dagli attori a seguito dell'evento luttuoso, ma anche la perdita del rapporto parentale secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità , senza che ciò possa comportare un rischio di duplicazione del risarcimento (Cass. Civ. 1.3.2004 n.4118). 
Ritiene il decidente di fare applicazione delle ### adottate dal Tribunale di ### per l'anno 2023 , fondate sul valore del punto pari ad € 11356,15 che va moltiplicato per n punti fondati a loro volta sulla relazione di parentela col de cuius, sull'età della vittima , sull'età del superstite , sul rapporto di convivenza con il de cuius . 
A ### vanno riconosciuti i seguenti punti: 20 punti per la relazione con il de cuius; 2,5 punti per l'età del de cuius (che aveva 59 anni al momento della morte); 2 punti per l'età del congiunto (62 aa al momento dell'exitus); 4 punti per la convivenza tra il congiunto e il de cuius ; si perviene alla somma di € 323.650,27 espressa in valori monetari attuali (€ 11356,15 per 28,5 punti). 
Ai figli ### , ### e ### vanno riconosciuti i seguenti punti : 18 punti per la relazione con il de cuius; 2,5 punti per l'età del de cuius (che aveva 59 anni al momento della morte); 3,5 punti per l'età del congiunto (### aa 37 al momento dell'exitus; ### 33 aa al momento della morte ; ### 36 aa al momento della morte) . 
A ciascun figlio va liquidata a titolo di ristoro del danno da perdita del rapporto parentale la somma di € 272.547,6 espressa in valori monetari attuali (€ 11356,15 per 24 punti) . 
Nulla è dovuto a titolo di ristoro del danno patrimoniale , tenuto conto del fatto che il coniuge ad oggi percepisce pensione di reversibilità e che i figli hanno una età tale che induce a ritenere che gli stessi siano ormai autosufficienti ed economicamente indipendenti . 
Si impone dunque la condanna della parte convenuta al pagamento della complessiva somma di euro 1.236.093,07 in favore di parte attrice, oltre interessi legali sull'importo da ultimo indicato, devalutato alla data del 28 agosto 2012 (giorno del decesso) e rivalutato anno dopo anno secondo gli indici ### sul costo della vita dall'evento al saldo (### 1712/1995). 
Le spese di lite seguono la soccombenza a norma dell'art. 91 c.p.c., e vengono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014 (scaglione da € 1.000.001,00 ad € 2.000.000,00, avuto riguardo alle quattro fasi del giudizio e alla somma liquidata a titolo di risarcimento ) , con distrazione in favore del procuratore di parte attrice . 
Sentenza a debito.  P.Q.M.  Il Tribunale in composizione monocratica , definitivamente pronunciando , così provvede: a) condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice della somma di € 1.236.093,07, oltre interessi legali sull'importo da ultimo indicato , devalutato alla data del 28 agosto 2012, e rivalutato anno dopo anno secondo gli indici ### sul costo della vita, dal dì dell'evento al saldo, a titolo di risarcimento del danno ; b) pone in via definitiva a carico di parte convenuta le spese di CTU ; c) condanna parte convenuta alla refusione delle spese di causa in favore degli attori , che si liquidano in € 518,00 per esborsi, € 37.951,00 per compenso , rimb. forf. sp. gen., IVA e CPA come per legge, spese da distrarsi in favore dell'Avv. ### che le ha anticipate ; d) sentenza a debito. 
Così deciso in ### il 9 aprile 2024 ### 

causa n. 55929/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Amelia Pellettieri

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Corte d'Appello di Lecce, Sentenza n. 304/2024 del 05-04-2024

... tecnica chirurgica. A dire del perito, la condotta del cardiochirurgo rivela dei profili di responsabilità professionale per prestazione negligente ed imperita per errore nella tecnica chirurgica nell'atto di chiusura sternale, condotta che si pone in correlazione causale con l'attuale situazione in cui versa il sig. ### che presenta uno sterno completamente disastato, con segni importanti di pseudoartrosi. Le predette considerazioni non risultano confutate alla luce dei motivi d'appello, non potendo in particolare essere valorizzati in tal senso i fattori di rischio preoperatori rappresentati dalle pregresse condizioni del paziente (affetto da obesità, diabete e ###. Il consulente, infatti, pur avendo dato atto della sussistenza di detti rischi, li ha ritenuti non rappresentativi nel caso di specie (v. pag. 20 CTU) e ha concluso per la preponderanza causale dei fattori intraoperatori dovuti ad una tecnica chirurgica errata. Nessun rilievo può poi all'evidenza essere attribuito al fatto che la scelta terapeutica sia stata corretta, atteso che oggetto del giudizio non sono le conseguenze dannose ascrivibili alla procedura in sè di rivascolarizzazione miocardica mediante ### cui il ### è (leggi tutto)...

testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Lecce - ### civile - composta dai ### 1) Dott. ### - Presidente 2) Dott.ssa ### - ### 3) Dott.ssa ### - ### rel.  ha pronunciato la seguente ### nella causa in grado d'appello iscritta al n. 696/2021 del ###, promossa DA ### S.P.A. (P.IVA ###), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti ###, ### e ### mandato in atti ####À ### & ### S.R.L. (P.IVA ###), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti #### di #### e ### mandato in atti ### CONTRO ### (C.F. ###), rappresentato e difeso dall'Avv. ### mandato in atti ### e ### NONCHÉ CONTRO #### e ### nella qualità di eredi di #### procuratori delle parti hanno precisato le loro conclusioni come da note scritte depositate per l'udienza del 07.11.2023, da intendersi qui per integralmente riportate.  ### atto di citazione del 20.03.2015, ### - premesso che: -dall'08.10.2009 al 10.10.2009 il deducente si trovava ricoverato presso l'U.O. di cardiologia di ### di ### S.r.l. dove, a seguito di esame coronografico, gli veniva riscontrata la presenza di “stenosi critica del ramo discendente anteriore ostiale ed occlusione totale poco dopo l'origine”; -pochi giorni dopo veniva nuovamente ricoverato e, in data ###, veniva sottoposto ad intervento di “rivascolarizzazione miocardica a cuore battente mediante anastomosi, longitudinale mediana”; -in data ###, in seguito ad esame radiografico di controllo, emergeva “irregolarità diffusa del disegno polmonare da bronco pneumopatia cronica ostruttiva da pregressa sternotomia mediana”, tanto che il ### veniva nuovamente sottoposto ad intervento chirurgico di confezionamento di flap di muscoli pettorali; -nei mesi successivi, a seguito di esami di controllo, emergeva la presenza di diastasi dello sterno e alterazioni morfostrutturali con lamentata “toracoalgia mediana, subcontinua, esacerbazione della sintomatologia alla massima espansione del mantice respiratorio che risulta limitata ed associata a crepiti ossei”; -le condizioni in cui versa il sig. ### sono diretta conseguenza della negligente ed imprudente condotta tenuta dai sanitari che hanno eseguito gli interventi, in conseguenza della quale lo stesso lamenta allo stato un danno biologico permanente quantificabile nella misura del 6% del totale, oltre all'inabilità temporanea; -la responsabilità dei danni è da attribuirsi alla struttura sanitaria presso la quale il deducente è stato sottoposto alle cure sopra descritte - conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di #### di ### S.r.l., al fine di far accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della convenuta per tutti i danni non patrimoniali subiti e, per l'effetto, ottenere la condanna di quest'ultima al risarcimento del pregiudizio subito, quantificato nella somma di euro 22.701,72. 
Instaurato il contraddittorio, si costituiva ### di ### S.r.l., chiedendo in via preliminare di essere autorizzata alla chiamata in giudizio del dott. ### primo operatore della procedura chirurgica eseguita sull'attore, per essere da questo manlevata in caso, denegato, di condanna. Nel merito, in via principale chiedeva il rigetto della domanda avanzata nei suoi confronti e, in subordine, la condanna del dott. ### a risarcire i danni occorsi all'attore; in via gradata chiedeva altresì, previo accertamento e determinazione delle rispettive responsabilità, dichiararsi ### di ### S.r.l. tenuta al risarcimento limitatamente alla sua quota di competenza e dichiararsi il terzo chiamato tenuto a rimborsare alla stessa la somma da questa dovuta all'attore, in forza del vincolo di solidarietà passiva; sempre in via subordinata, dichiarare il dott. ### tenuto a manlevare e tenere indenne ### di ### S.r.l. da quanto quest'ultima fosse stata tenuta a pagare in ragione di sue accertate responsabilità e, per l'effetto, condannarlo al pagamento di tanto in favore di parte attrice. 
Autorizzata la chiamata, si costituiva il dott. ### il quale chiedeva, in via preliminare, di essere autorizzato a chiamare in causa la ### S.p.A. al fine di essere manlevato in ipotesi di sua soccombenza. Nel merito, chiedeva il rigetto di tutte le domande di parte attrice poiché infondate in fatto ed in diritto; in subordine, di limitare la somma da risarcire in quella ritenuta di giustizia, dichiarando la propria assicuratrice tenuta a manlevarlo e tenerlo indenne da quanto fosse obbligato a pagare in conseguenza dei fatti descritti in citazione e, per l'effetto, condannarla al pagamento di ogni somma posta a suo carico; in ogni caso, ai sensi dell'art. 1917, terzo comma, c.c., porre a carico della convenuta compagnia assicurativa le spese da esso sostenute per resistere all'azione promossa nei suoi confronti. 
Autorizzata la chiamata, si costituiva l'### S.p.A. la quale chiedeva di dichiarare inammissibile la domanda avanzata nei confronti del dott. ### e di accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva del proprio assicurato nonché la responsabilità diretta ed esclusiva di ### di ### S.r.l. anche per quanto riferibile al medico intervenuto, laddove fosse configurabile un inadempimento colpevole. Nel merito, in via principale, chiedeva il rigetto di tutte le domande avanzate nei confronti del dott. ### siccome infondate in fatto ed in diritto; in via subordinata, in caso di accertata responsabilità professionale del medico convenuto, di accertare e dichiarare la responsabilità risarcitoria diretta ed esclusiva, in ragione del suo operato, della struttura sanitaria o, comunque, il diritto del dott. ### ad essere tenuto indenne da quest'ultima e/o dalla compagnia assicuratrice dell'ente, con conseguente condanna di queste ultime a pagare direttamente ex art. 1917 c.c. a parte attrice il risarcimento eventualmente dovuto. In via ulteriormente subordinata, per il caso di mancata stipula della polizza assicurativa da parte della struttura sanitaria convenuta o di mancata operatività della garanzia, chiedeva di accertare l'inadempimento di quest'ultima all'obbligo imposto ex lege e dal contratto collettivo di stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità verso terzi in favore del proprio personale sanitario e, conseguentemente, di condannarla a risarcire il dott. ### dei danni subiti in dipendenza di detto inadempimento; in via ulteriormente subordinata, rigettare la domanda proposta dalla struttura verso il dott. ### siccome inammissibile e infondata. In ulteriore subordine, laddove il giudizio dovesse estendersi anche in punto di quantum, accertare e dichiarare l'esatta natura ed entità dei danni effettivamente risarcibili; quanto ai rapporti assicurativi con le compagnie assicuratrici della struttura sanitaria, chiedeva di accertare e dichiarare la operatività delle polizze stipulate da quest'ultima anche in favore del dott. ### e quindi il diritto dello stesso ad essere tenuto indenne da ogni conseguenza pregiudizievole; per l'effetto, condannare direttamente la compagnia di assicurazione della struttura ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1917 secondo comma c.c. a corrispondere a parte attrice quanto fosse ritenuto dovuto. Infine, con riferimento alla domanda di garanzia proposta dal dott. ### nei propri confronti chiedeva il rigetto della domanda in quanto eccepiva l'inoperatività della polizza non vertendosi in tema di colpa grave; in via subordinata chiedeva di accertare e dichiarare la operatività in secondo rischio della polizza stipulata con ### S.p.A.. 
La causa veniva istruita a mezzo prova documentale e c.t.u. medico-legale. 
All'esito, con sentenza n. 1498/2021, depositata in data ###, il Tribunale adito: 1. condannava ### di ### S.r.l. al pagamento in favore di ### della somma di euro 11.747,00, oltre interessi legali dal dì della liquidazione sino al soddisfo, a titolo di risarcimento danni, condannandola altresì al pagamento delle spese di lite e c.t.u.; 2. condannava il dott. ### a rifondere la struttura di quanto tenuta a corrispondere a titolo di risarcimento danni e spese di lite e c.t.u.; 3. condannava ### S.p.A. a manlevare e tenere indenne il sanitario per quanto costretto a corrispondere a ### di ### S.r.l.. 
Avverso tale sentenza, ### S.p.A. ha proposto appello, dinanzi a questa Corte, per le ragioni che saranno in seguito prese in esame.  ### di ### & ### S.r.l.  ### altresì ### il quale ha proposto a sua volta appello incidentale.  #### e ### nella qualità di eredi di ### pur regolarmente citati, sono rimasti contumaci. 
All'udienza del 07.11.2023, i procuratori delle parti precisavano le conclusioni a mezzo deposito di note di trattazione scritta e il Collegio tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c.  MOTIVI DELLA DECISIONE I primi tre motivi d'appello principale e il motivo d'appello incidentale, attesa l'intrinseca connessione, meritano trattazione congiunta. 
Con il primo motivo d'appello, la ### S.p.A. censura la decisione del Tribunale nella parte in cui ha condannato il dott. ### a rifondere integralmente alla struttura sanitaria quanto da essa dovuto al paziente a titolo di risarcimento danni. A dire dell'appellante, il decisum si pone in contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte che ritiene che, nell'ipotesi di colpa esclusiva del medico, la responsabilità deve essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, eccetto che negli eccezionali casi d'inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata. Viene pertanto esclusa la possibilità che la struttura, nel caso di colpa esclusiva del sanitario, ad eccezione del caso in cui si manifesti un evidente iato tra (grave e straordinaria) malpractice e fisiologica attività economica d'impresa, eserciti un diritto di rivalsa integrale nei confronti del medico. Fermi i limiti della rivalsa, atteso che nel caso di specie non appaiono ravvisabili i presupposti di una grave e straordinaria malpractice, l'appellante contesta altresì che sia ravvisabile una colpa nella condotta tenuta dal dott. ### e ciò in considerazione sia della storia clinica del paziente, sia della complessità della vicenda, sia della correttezza, attestata dal ### dell'opzione terapeutica adottata nella scelta della rivascolarizzazione miocardica mediante ### sia infine del fatto che il secondo intervento chirurgico riparatore eseguito da altra equipe, di cui non faceva parte il dott. ### si è rivelato inadeguato e non risolutivo. 
Con il secondo motivo, l'appellante si duole, ancor più specificamente, che il Tribunale abbia definito la condotta del medico come “gravemente colposa”, ovverosia connotata da grossolana trascuratezza, nonostante alcuna prova possa dirsi raggiunta in tal senso. 
Con la prima parte del terzo motivo, l'appellante evidenzia che il Tribunale ha errato nel ritenere operante la garanzia assicurativa in favore del sanitario: l'art. 16 punto 4 delle condizioni generali di contratto esclude la copertura in caso di azione di rivalsa esercitata dalla struttura nei confronti del medico, a meno che questi non abbia agito con colpa grave, situazione questa che, nel caso di specie, come già ribadito, non si è verificata e comunque non è stata dimostrata. 
Con un unico motivo di appello incidentale, il dott. ### si duole, al pari di quanto dedotto dall'appellante principale, che il Tribunale abbia ritenuto la sua condotta caratterizzata da grave negligenza. Più precisamente, il deducente sostiene che si sarebbe dovuto tenere in adeguato conto innanzitutto che l'intervento oggetto del presente giudizio e da questi effettuato era di chirurgia di alta specializzazione ed inoltre che il secondo intervento, al quale invece egli non aveva preso parte, non è stato risolutivo, come emerso in sede di c.t.u.: per tali ragioni, al massimo potevano essere ritenuti sussistenti profili di colpa lieve. In subordine, a suo dire, la rivalsa della ### doveva almeno contenersi nella misura del cinquanta per cento. 
Il primo motivo di appello principale e l'appello incidentale sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito indicate. 
In primo luogo deve ritenersi l'infondatezza delle doglianze avanzate dagli odierni istanti in ordine all'assenza di colpa nella condotta del dott. ### Dalla lettura della perizia in atti redatta dalla dott. ### medico legale, emerge invero che l'evento “diastasi sternale” rappresenta una complicanza nota della sternotomia mediana post intervento cardiochirurgico, correlabile ad un fattore di rischio intra-operatorio da errata tecnica chirurgica. A dire del perito, la condotta del cardiochirurgo rivela dei profili di responsabilità professionale per prestazione negligente ed imperita per errore nella tecnica chirurgica nell'atto di chiusura sternale, condotta che si pone in correlazione causale con l'attuale situazione in cui versa il sig. ### che presenta uno sterno completamente disastato, con segni importanti di pseudoartrosi. 
Le predette considerazioni non risultano confutate alla luce dei motivi d'appello, non potendo in particolare essere valorizzati in tal senso i fattori di rischio preoperatori rappresentati dalle pregresse condizioni del paziente (affetto da obesità, diabete e ###. Il consulente, infatti, pur avendo dato atto della sussistenza di detti rischi, li ha ritenuti non rappresentativi nel caso di specie (v. pag. 20 CTU) e ha concluso per la preponderanza causale dei fattori intraoperatori dovuti ad una tecnica chirurgica errata. Nessun rilievo può poi all'evidenza essere attribuito al fatto che la scelta terapeutica sia stata corretta, atteso che oggetto del giudizio non sono le conseguenze dannose ascrivibili alla procedura in sè di rivascolarizzazione miocardica mediante ### cui il ### è stato sottoposto. 
Tanto premesso, infondata deve altresì ritenersi la censura in ordine all'assenza di colpa grave nella condotta del cardiochirurgo. 
Come noto, la condotta del medico va esaminata con riguardo alla specializzazione esercitata, adeguata alla natura e al livello di pericolosità della prestazione, implicante scrupolosa attenzione ed elevata preparazione professionale: in altri termini, ai diversi gradi di specializzazione corrispondono diversi gradi di perizia, per cui chi assume un'obbligazione nella qualità di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale attendersi dalla sua categoria. 
Orbene, nel caso di specie, cinque mesi dopo l'intervento, il ### presentava una deiescenza sternale con diastasi riparata in quanto dolorosa ed instabile; in buona sostanza presentava uno sterno completamente disastato. 
Come argomentato dal consulente d'ufficio, la diastasi sternale rappresenta una complicanza nota della sternotomia mediana post-intervento cardiochirurgico: era dunque ragionevole attendersi che l'operatore prestasse particolare cura al fine di ottenere una fissazione stabile e duratura, anche perché erano presenti dei fattori di rischio pre-operatori. Né risulta dimostrato che nel corso dell'operazione siano intervenute delle complicanze che abbiano influito negativamente sulla chiusura sternale. Non ultimo, spettava al chirurgo valutare attentamente i fattori di rischio e, se del caso, optare per un approccio mini-invasivo, atteso che le tecniche oggi disponibili sono le più varie e la scelta chirurgicoterapeutica deve essere ristretta all'opzione interventistica che dimostri basse recidive e/o complicanze (vedi ###. 
Le predette considerazioni portano a ritenere che nel caso di specie la condotta del sanitario sia stata caratterizzata da un grave errore tecnico, attesa la divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi da uno specialista di nota competenza e preparazione, e ciò a maggior ragione a voler considerare che si trattava di un intervento d'elezione. 
Quanto al fatto che il successivo intervento riparatore, al quale il dott. ### non ha preso parte, si sia dimostrato inadeguato e non risolutivo, la circostanza non vale ad esimere da responsabilità il professionista, atteso che, come sopra argomentato, il danno lamentato dal sig. ### è riconducibile agli errori compiuti nel corso dell'intervento da quest'ultimo eseguito. 
Passando all'esame del motivo attinente il quantum della rivalsa disposta dal Tribunale in favore della ### di ### S.r.l., va richiamata la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui “nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, in ipotesi di rivalsa, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva del medico dev'essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo di cui all'art. 1298 c.c., comma 2, e art. 2055 c.c., comma 3, ciò in quanto, la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, imprevedibile ed improbabile devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione. Vi è da precisare che, per superare l'assetto anche interno così ricostruito, non è sufficiente ritenere che l'inadempimento sia ascrivibile alla condotta del medico, ma occorre considerare il composito e duplice titolo in ragione del quale la struttura risponde solidalmente del proprio operato, pertanto sarà onere del solvens: a) provare non solo la colpa esclusiva del medico riguardo all'evento di danno, ma la derivazione causale di quell'evento dannoso da una condotta del tutto distaccata rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un'ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni; b) provare che alla descritta colpa del medico si affianchi l'evidenza di un difetto di correlate trascuratezze nell'adempimento del contratto di spedalità da parte della struttura, comprensive di controlli finalizzati ad evitare rischi dei propri incaricati, da valutare in fatto, da parte del giudice di merito, in un'ottica di duttile apprezzamento della fattispecie concreta ( così tra molte Cassazione civile sez. III, 16/06/2023, n.17405). 
In linea con il predetto orientamento, deve dunque ritenersi che, in assenza di prova in ordine al fatto che la condotta tenuta dal sanitario, odierno appellato, dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, imprevedibile ed improbabile devianza del medesimo dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione, e potendosi viceversa escludere la sussistenza di indizi probatori in tal senso, il diritto di rivalsa della ### di cura nei confronti del medico va limitato alla metà di quanto essa dovrà corrispondere al sig. ### in adempimento della condanna di cui al capo 1 della sentenza impugnata. 
Per ragioni di pregiudizialità logico giuridica, prima della seconda parte del terzo motivo e prima del quarto motivo, va esaminato il quinto motivo con cui l'appellante si duole che il Tribunale abbia rigettato la richiesta di annullamento del contratto sulla base del combinato disposto degli artt. 17 delle condizioni generali di contratto e 1892 c.c.. A parere dell'appellante, inverosimile appare la circostanza che, al momento della stipula del contratto di assicurazione, il dott. ### non fosse a conoscenza della richiesta di risarcimento danni avanzata dal ### o non potesse ipotizzare che tale richiesta avrebbe potuto essere proposta, in quanto, per un verso, risulta poco credibile che la struttura sanitaria, ricevuta la richiesta risarcitoria, non abbia chiesto un resoconto di quanto accaduto al medico operante, e, per altro verso, perché lo stesso era consapevole dell'intervento eseguito e degli esiti che questo aveva avuto e dunque ben avrebbe potuto ritenere quantomeno probabile che tale richiesta sarebbe stata avanzata: per tali ragioni il Tribunale doveva annullare il contratto di assicurazione, avendo l'assicurato reso dichiarazioni inesatte o reticenti con dolo o colpa grave, tali che l'assicuratore non avrebbe dato il proprio consenso se avesse conosciuto lo stato reale delle cose. 
La censura è infondata. 
A giudizio della Corte gli assunti dell'appellante si fondano su asserzioni ipotetiche che, all'esito del giudizio, risultano prive di prova. Nessuna prova vi è infatti che il dott. ### al momento della stipula del contratto di assicurazione (17.10.2013), fosse stato messo a conoscenza da parte della ### della richiesta risarcitoria alla stessa pervenuta dal ### con lettera del 13.12.2012. Né risulta dimostrato che il predetto sanitario sapesse che nel corso dell'esame radiografico eseguito sul paziente in data ### era stata rilevata una diastasi sternale. 
Condivisibile appare peraltro la decisione del primo Giudice laddove ha ritenuto di non ammettere le prove testimoniali richieste dalla ### di ### in quanto i capitoli dedotti, lungi dal fare specifico riferimento al caso di specie, miravano alla generica ricostruzione delle prassi, a suo dire, normalmente in uso presso la ### di cura. 
Il motivo va pertanto rigettato. 
Con la seconda parte del terzo motivo l'appellante lamenta il mancato esame da parte del primo giudice di quanto già eccepito in primo grado con riferimento all'obbligo in capo alla struttura sanitaria di fornirsi di adeguata copertura assicurativa anche in favore dei medici operanti al proprio interno: a suo dire, da tale obbligo, imposto per legge, deriva, da un lato, la circostanza per cui la struttura non poteva esercitare azione di rivalsa nei confronti del medico, perché quest'ultimo doveva essere tutelato dallo stesso contratto di assicurazione della struttura e, d'altro lato, che, nella denegata ipotesi in cui la struttura non si fosse fornita della copertura assicurativa, la stessa azione di rivalsa sarebbe stata paralizzata dall'eccezione di inadempimento opponibile dal medico. In entrambi i casi, dunque, l'azione di rivalsa non avrebbe comunque meritato accoglimento. 
Il motivo è infondato. 
Gli obblighi normativi cui fa riferimento l'appellante (v. art. 25 CCNL di lavoro per il personale medico dipendente delle strutture sanitarie associate #### “### sanitarie debbono garantire il medico, relativamente all'attività di servizio, mediante polizza di assicurazione adeguata alla tipologia della ### presso una società assicuratrice di importanza nazionale, per la responsabilità civile derivante da eventuali azioni giudiziarie promosse da terzi..”) attengono incontestatamente al personale medico dipendente delle strutture sanitarie private. 
Il dott. ### viceversa, operava presso la ### di ### in regime libero-professionale, tant'è che il contratto sottoscritto tra il predetto e la struttura, per l'effettuazione di prestazioni di chirurgia cardiotoraco-vascolare ed assistenza di reparto, prevedeva espressamente a carico di ogni sanitario dell'equipe l'obbligo di stipulare, in proprio, una polizza assicurativa RC professionale di primo rischio. 
Il motivo va pertanto rigettato. 
Le argomentazioni sopra svolte risultano assorbenti rispetto al quarto motivo d'appello, con cui la ### si duole dell'illegittimità della sentenza impugnata laddove, nell'accogliere integralmente la rivalsa, ha posto a carico del medico un risarcimento imputabile pro quota anche alla struttura, senza considerare, nel rapporto contrattuale, la limitazione della copertura alla sola quota di responsabilità diretta dell'assicurato.  >>>>>>>> Alla parziale riforma della sentenza di primo grado non consegue un nuovo governo delle spese di lite, così come richiesto con il sesto motivo d'appello, rimanendo invariati, sia pur nella riduzione della misura della rivalsa, i valori tabellari di riferimento dei compensi. 
In applicazione del principio di soccombenza, ### di ### S.r.l. va condannata alla rifusione in favore di ### e di ### S.p.a. delle spese del presente grado, liquidate come in dispositivo.  P. Q. M.  La Corte di Appello di ### - ### - definitivamente pronunciando sull'appello proposto da ### S.p.A. nei confronti di ### di ### & ### S.r.l., nonché ##### e ### nella qualità di cui in epigrafe, avverso la sentenza del Tribunale di ### n. 1498/2021, depositata in data ###, così provvede: 1) Accoglie l'appello principale e l'appello incidentale per quanto di ragione e, per l'effetto, in riforma del capo sub 4 della parte dispositiva dell'impugnata sentenza, condanna il dott.  ### a rivalere ### di ### nella misura della metà di quanto la stessa sarà tenuta a corrispondere a parte attorea e allo Stato in virtù delle statuizioni di condanna di cui ai capi 1, 2 e 3; 2) conferma nel resto la sentenza impugnata; 3) condanna ### di ### S.r.l. alla rifusione in favore di ### S.p.a. e di ### delle spese di lite che liquida, per ciascuno, in euro 3.000,00 per onorari ed euro 355,50 per contributo, oltre ### CPA e rimborso forfetario. 
Così deciso in ### nella ### di Consiglio della ### della Corte d'Appello, in data 19 marzo 2024 ### rel. ###.ssa #### 

causa n. 696/2021 R.G. - Giudice/firmatari: Esposito Antonio Francesco, Sterzi Barolo Federica

M

Tribunale di Napoli, Sentenza n. 806/2024 del 22-01-2024

... Per evitare questi rischi, nel caso di specie il cardiochirurgo risulta aver proceduto a rinforzare la sede di impianto posteriore con una sutura continua. In letteratura sono descritte numerose opzioni alternative per trattare la valvulopatia mitralica in presenza di massiccia calcificazione annulare e ciò implicitamente sta a significare che non v'è una metodica definita più vantaggiosa con risultati nettamente superiori. … Purtroppo, come si è anticipato, ognuna di queste alternative tecniche chirurgiche ha propri pregi e difetti e la loro efficacia è variabile, tanto che, ancora una volta, nessuna viene considerata nettamente preferibile alle altre perché più vantaggiosa. In altri termini, l'impiego dell'una o dell'altra tecnica dipende molto dall'esperienza e dal grado di confidenza del chirurgo, piuttosto che da un registrato concreto superiore outcome. … Orbene, nel caso di specie, una volta constatato il sanguinamento posteriore, il chirurgo operatore ha ripreso la circolazione extracorporea, clampato l'aorta e somministrato soluzione cardioplegica, tentando di riparare la rottura applicando diversi patch in pericardio (lembi costituiti da tessuto biologico di (leggi tutto)...

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n. 8930/2020 r.g.a.c.  REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI VIII Sezione Civile Il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa ### D'### ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile n. 8930/2020 r.g.  avente ad oggetto: responsabilità professionale TRA ### rappresentata e difesa dall'Avv.to ##### - ### - ### in persona del ### legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv.  ####' ###### e ### tutti rappresentati e difesi dall'avv. #### Conclusioni delle parti ###udienza del 28.9.2023, svoltasi con modalità di trattazione scritta ai sensi dell'art. 127 ter cpc, i procuratori delle parti concludevano riportandosi ai propri scritti difensivi, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni ivi formulate, come da verbale di udienza.  RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE A seguito di procedimento ex art. 696 bis cpc, l'attrice ### figlia di ### deceduta il ###, ha proposto domanda di risarcimento danni nei confronti dell'azienda sanitaria convenuta per i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti, iure proprio ed iure ereditario, a causa dell'assistenza medica prestata in favore della madre in occasione dell'intervento cardio-chirurgico del 4.7.2017, lamentando in particolare l'errata esecuzione dell'intervento di sostituzione della valvola mitrale con bioprotesi, che aveva portato alla lesione della parete miocardica ed alla transfissione della coronaria circonflessa, con progressivo peggioramento della contrattilità e successiva dissociazione elettromeccanica, fino al decesso sopraggiunto per shock cardiogeno. 
Ha lamentato inoltre l'inadeguatezza dell'informazione data in funzione del consenso all'intervento, con conseguente lesione del diritto all'autodeterminazione all'intervento. 
Si è costituita in giudizio l'azienda sanitaria dei ### deducendo l'infondatezza della domanda per insussistenza di qualsivoglia responsabilità in capo ai sanitari che ebbero in cura la paziente, sia in ordine all'esecuzione dell'intervento, sia in ordine all'adeguatezza del consenso informato, regolarmente sottoscritto dalla paziente e finanche dalla figlia, evidenziando che il decesso era sopraggiunto per una complicanza non dovuta a colpa dei chirurghi. 
Acquisito il fascicolo del procedimento ex art. 696 bis cpc e la CTU medico legale ivi svolta con l'ausilio dei dott. ### specialista in medicina legale, e ### specialista in cardio chirurgia, sollecitati taluni chiarimenti con ordinanza resa in data ###, con comparse di intervento depositate in data ### e 27.7.2023, si sono costituiti in giudizio quali interventori volontari in adesione alla domanda attorea ### e ###### Infine, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 28.9.2023 la causa è stata assegnata in decisione con concessione dei termini di cui all'art.190 c.p.c. per deposito di comparse conclusionali e repliche ***** ### qualificato contestato dall'attrice alla struttura sanitaria ### dei ### di Napoli verte sostanzialmente sui seguenti punti: - l'errata tecnica operatoria e/o imprecisa e/o incongrua e/o errata manovra chirurgica quale causa della lesione iatrogena della parete miocardica ed anche del ramo circonflesso della coronaria sinistra, che risultava trafitta da un punto di sutura infisso durante la procedura di impianto protesico; - l'omessa considerazione dei fattori di rischio connessi alla presenza di calcificazione, con conseguente omessa attuazione delle necessarie precauzioni per minimizzare il rischio di lesione a strutture adiacenti nel corso della necessaria decalcificazione; - l'omessa percezione dell'errore e, in ogni caso, l'omessa attuazione di un tempestivo intervento diretto ad un recupero della situazione clinica della de cuius ovvero mancata riparazione del danno; - l'informazione insufficiente, inadeguata a realizzare un consenso consapevole all'intervento cardiochirurgico.  ### dell'assistenza prestata alla paziente dai sanitari della struttura ### dei ### di Napoli può esser sintetizzata attingendo all'elaborato di CTU a firma dei dott.ri ### specialista in cardiochirurgia, e ### specialista in medicina legale.  ###, dopo un dovuto approfondimento sulla natura e caratteristiche dell'intervento di sostituzione di valvola mitralica con bioprotesi e sul rischio connesso alla presenza di calcificazioni dell'anello mitralico e sulle specifiche complicanze a ciò connesse, ha ritenuto corretti ed adeguati gli interventi posti in essere dai sanitari, rilevando che la complicanza insorta non è stata loro imputabile, e che la relativa gestione è stata comunque adeguata: “Orbene, nel caso di specie il chirurgo operatore risulta aver correttamente tentato, per quanto possibile, di rimuovere una parte della calcificazione, non essendone consentita la rimozione completa. Si badi che, conformemente alla descrizione del diario operatorio, nel caso di specie la calcificazione si estendeva anche nello spessore ventricolare. 
Questa circostanza rendeva tecnicamente molto complessa e foriera di elevato rischio di rottura cardiaca l'eventuale rimozione completa della calcificazione, tempo operatorio che, per gli scarsi risultati riportati in letteratura, è stato quasi completamente abbondonato. 
Larga parte dei cardiochirurghi rimuove, pertanto, per quanto possibile (come nel caso di specie) le calcificazioni periannulari, per avere la possibilità di poter passare i punti di sutura che dovranno solidarizzare la protesi valvolare all'anello valvolare mitralico. 
Come detto, la permanenza di una calcificazione (o di calcificazioni) nella sede di impianto aumenta il rischio di distacco valvolare (precoce o tardivo) ed il rischio di lacerazione del solco atrio-ventricolare, con conseguente rottura di cuore. 
Per evitare questi rischi, nel caso di specie il cardiochirurgo risulta aver proceduto a rinforzare la sede di impianto posteriore con una sutura continua. 
In letteratura sono descritte numerose opzioni alternative per trattare la valvulopatia mitralica in presenza di massiccia calcificazione annulare e ciò implicitamente sta a significare che non v'è una metodica definita più vantaggiosa con risultati nettamente superiori.  … Purtroppo, come si è anticipato, ognuna di queste alternative tecniche chirurgiche ha propri pregi e difetti e la loro efficacia è variabile, tanto che, ancora una volta, nessuna viene considerata nettamente preferibile alle altre perché più vantaggiosa. 
In altri termini, l'impiego dell'una o dell'altra tecnica dipende molto dall'esperienza e dal grado di confidenza del chirurgo, piuttosto che da un registrato concreto superiore outcome.  … Orbene, nel caso di specie, una volta constatato il sanguinamento posteriore, il chirurgo operatore ha ripreso la circolazione extracorporea, clampato l'aorta e somministrato soluzione cardioplegica, tentando di riparare la rottura applicando diversi patch in pericardio (lembi costituiti da tessuto biologico di derivazione bovina), solidarizzati alla superficie esterna del cuore tramite colla di resorcina-formolo. 
Tale manovra, purtroppo, non è stata efficace ed il mancato controllo dell'emorragia e la prolungata fase di circolazione extracorporea/ischemia miocardica hanno determinato l'exitus della paziente. 
La base fisiopatologica che sottende al trattamento riparativo “esterno” (vale a dire l'applicazione di patch in pericardio o altro materiale biologico) è che si chiuda la breccia interna soprattutto tramite la coagulazione sanguigna. 
Per vero, l'aver tentato tale approccio con la paziente eparinizzata in circolazione extracorporea ha probabilmente ridotto l'efficacia della riparazione, ma è altrettanto vero che l'evento avverso in questione è, comunque, gravato da elevatissima mortalità, qualunque approccio si tenti, sicché non può concludersi che un'alternativa condotta del chirurgo avrebbe probabilmente comportato un outcome più favorevole. 
Per ciò che concerne, invece, la resezione del ramo circonflesso, va ricordato che detta arteria decorre in prossimità dell'anello mitralico posteriore, senza mai essere chiaramente visibile, perché situata sotto lo strato muscolare dell'atrio sinistro. 
Poiché, come detto, questo vaso non è visibile, il chirurgo deve esercitare attenzione nel posizionare le proprie suture in corrispondenza dell'anello mitralico, in quanto suture posizionate più posteriormente e più profondamente potrebbero comportarne una lesione. 
Purtroppo è noto (in quanto descritto in letteratura) che la presenza di depositi calcifici può determinare la dislocazione del decorso (non visibile) di tale arteria, esponendola ad un maggior rischio di lesione. 
Ne consegue che la produzione della lesione non era concretamente prevenibile. 
Circa la diagnosi intraoperatoria di lacerazione, va ricordato che quando la lesione dell'arteria circonflessa avviene senza rottura di cuore, allora la diagnosi risulta più semplice per manifestazioni di ischemia miocardica segmentale nel territorio di vascolarizzazione dell'arteria stessa (parete postero-laterale) quali alterazioni elettrocardiografiche (visibili al monitor o cinetiche (visibili all'ecocardiogramma intraoperatorio). 
In presenza di rottura di cuore, tuttavia, quest'ultimo evento avverso è di tale portata che la diagnosi di lesione dell'arteria circonflessa risulta difficilmente realizzabile. 
Si ribadisce che la rottura di cuore è un evento avverso, abbondantemente descritto nella letteratura degli interventi di sostituzione valvolare mitralica che, come si è detto, è di difficile risoluzione ed è gravato da un elevato tasso di mortalità, qualunque sia la tecnica chirurgica che viene posta in essere per trattarlo. 
Nel caso di specie la tecnica chirurgica non è stata efficace ed il mancato controllo del sito emorragico ha portato all'exitus la paziente ma, tenuto conto di quanto riscontrato in sede di accertamenti autoptici e per quanto premesso e descritto in letteratura, deve concludersi, in risposta ai quesiti di cui al ricorso, che l'operato tecnico dei sanitari del resistente ### di Napoli, risulta complessivamente correttamente eseguito e che il decesso non è etiologicamente imputabile (nell'ottica del più probabile che non) a condotte omissive e/o commissive dei predetti sanitari. 
Gli eventi avversi lamentati non furono, dunque, il risultato di un inadeguato intervento sanitario bensì vanno inquadrati quali complicanze prevedibili ma non concretamente prevenibili della tecnica chirurgica e della patologia di base in sé e per sé considerate.” Ebbene, a seguito dell'approfondito esame della vicenda clinica qui riportata solo in sintesi contenuto in CTU - ed alla cui lettura integrale si rinvia - e della pregevole valutazione di essa sotto il profilo medico legale, deve concludersi che nessuna censura può essere mossa all'operato dei sanitari che operarono la paziente, i quali agirono in maniera adeguata dinanzi alla condizione di calcificazione loro palesatasi ed alla complicanza insorta. 
Vanno condivise in questa sede anche le considerazioni esposte dal CTU avverso le osservazioni critiche di parte attrice, in particolare le seguenti: “Orbene, la letteratura specialistica cardiochirurgica riporta costantemente per un intervento di sostituzione mitralica come quello di specie la possibilità di insorgenza degli eventi avversi in questione, senza tuttavia identificare comportamenti in grado di prevenirli in maniera concreta. 
Ciò significa che è scientificamente noto e pacificamente acquisito che gli interventi di sostituzione mitralica valvolare mitralica in presenza di calcificazione annulare sono gravati dal rischio -tra gli altridi tali eventi avversi, segnalati come costantemente pur se variabilmente ricorrenti nelle esperienze di tutti i centri di chirurgia che li attuano. 
Rischio non legato a colpevole difetto di comportamento tecnico ma alla ancora ineliminabile quota di imponderabilità che governa ogni atto chirurgico. 
Nella fattispecie l'evento avverso in questione non risulta ancora sicuramente domabile con accorgimenti tecnici, sicché la sua insorgenza non può essere intesa come conseguenza di un errato comportamento professionale in assenza del quale esso sarebbe stato prevenuto, tanto più per le motivazioni tecniche cui si è fatto prima riferimento.” Quanto alla parte di domanda volta a far valere l'inadeguatezza dell'informazione funzionale al consenso dato all'intervento cardiochirurgico è emerso in CTU che effettivamente: “In proposito, va riferito che nella cartella clinica disponibile sono presenti moduli di informazione e consenso all'anestesia generale (sintetico e generico), all'intervento di rivascolarizzazione carotidea (minuzioso nell'informativa; incompleto di dati nel consenso) ed all'intervento di sostituzione valvolare. 
Quest'ultimo è quello di maggior interesse stante l'infausta evoluzione della terapia chirurgica e, pertanto, va esaminato in dettaglio. 
Orbene, detto modulo, sottoscritto (da un chirurgo operatore, dalla paziente e da un familiare della paziente medesima) in data 30 marzo 2017, cioè qualche giorno prima dell'intervento, risulta pressoché completamente strutturato sulla stima del rischio di mortalità (entro 30 giorni dall'intervento) mediante il sistema di calcolo ### I. 
Siffatto sistema di determinazione del rischio operatorio, espresso con calcolo additivo, è stato introdotto nel 1999 [### et al. Risk factors and outcome in ### cardiac surgery. ### 1999; 15(6):816-23] ed è stato modificato nel 2003 [### et al. The logistic ####. 2003 May;24(9):882-3], con l'introduzione di una nuova versione basata sul calcolo logistico. 
Per vero, questo sistema di stratificazione del rischio di mortalità ha fatto registrare errori di sovrastima, per cui dal 2012 è stato sostituito dal sistema ### [### et al. ####. 2012;41(4):734-45], perché considerato più attendibile e realistico. 
Ciò precisato, va detto che il modulo di consenso all'intervento cardiochirurgico in atti, oltre ad essere strutturato su un calcolatore di rischio obsoleto (che, però, sovrastima -e non sottostimala mortalità, sicché il suo mancato aggiornamento non rileva nel caso di specie) e pur facendo riferimento ad avvenuta informativa (probabilmente orale), è estremamente sintetico circa la tipologia dell'atto chirurgico ed è anche impersonale, non tenendo conto del rischio aggiuntivo che connotava il caso di specie per la presenza di una marcata e grossolana calcificazione dell'anello mitralico posteriore (di cui si dirà in appresso).” Tuttavia, dovendo in questa sede valutare la ricorrenza di un pregiudizio non già astratto, ma concreto, al diritto di autodeterminazione della paziente, è stato domandato ai ### in sede di chiarimenti, di meglio precisare quale sarebbe dovuta essere la stima reale dei rischi secondo il sistema più attuale e dunque l'informazione ad essi relativa più congruente cui la paziente avrebbe avuto diritto. 
Ebbene i ### hanno evidenziato che: “Circa il calcolo del rischio stimabile in fase pre-operatoria, va riferito che applicando l'### I il rischio chirurgico calcolato era del 6,53%, quindi da considerarsi elevato, mentre in base all'### il rischio operatorio previsto risultava essere del 2,46%, quindi più contenuto rispetto al precedente, anche se pur sempre rilevante. 
Purtroppo non esiste uno score di rischio chirurgico che tenga esplicitamente conto della presenza di calcificazioni dell'anello mitralico. 
Possono, tuttavia, utilmente riportarsi alcuni dati di letteratura dai quali si ricavano agevolmente le ricadute della predetta condizione sul rischio di eventi avversi operatori. 
Ad esempio, in un'ancora recente metanalisi [#### B, ### J-F et al. ### of mitral valve intervention in patients with mitral annular calcification: a systematic review and meta-analysis. ### 2019;1-9] la mortalità perioperatoria di pazienti sottoposti a chirurgia mitralica con calcificazioni estese è risultata essere del 2,3%, mentre la mortalità a medio termine è risultata essere compresa tra il 4% e l'8% per anno.  ### i risultati di un altro studio [### T, ### S, ### E, et al. Characterizing risks associated with mitral annular calcification in mitral valve replacement. ### 2019;106:1761-1767] condotto su 9551 pazienti sottoposti a sostituzione valvolare mitralica, la calcificazione estesa della valvola mitrale di per sé aumenta la mortalità perioperatoria (5,8%) e gli eventi avversi quali sanguinamenti (4,8%) e insufficienza renale post-operatoria (5,2%). 
Infine, secondo i dati di un altro studio [### R, ### B, ### L, et al. Shortand long-term results after prosthetic mitral valve implantation in patients with severe mitral annulus calcification dagger. ### thorac ### 2017;24:876-881] la mortalità perioperatoria dei pazienti sottoposti a chirurgia mitralica in presenza di calcificazioni mitraliche estese è stata del 5,1%, con una sopravvivenza a 5 anni del 68,6%.”. 
Alla luce di quanto esplicitato dai ### deve concludersi che non vi è stata reale lesione del diritto all'autodeterminazione della paziente, in quanto ella aveva espressamente assentito ad un rischio finanche maggiore di quello effettivo, che le era stato erroneamente prospettato nella misura del 6,53%, sicchè è del tutto logico e coerente ritenere che, a maggior ragione, avrebbe senz'altro assentito all'intervento anche qualora il rischio le fosse stato prospettato secondo il più attuale sistema ### (2,46%), o secondo la letteratura specificamente riferita alle calcificazioni dell'anello mitralico (variabile tra 2,3% e 5,8%), tutte dimostrative di un rischio di mortalità perinatale inferiore a quello del 6,53% espressamente accettato. 
Del resto il consenso informato rinvenuto in cartella clinica, oltre a riportare in maniera chiara ed inequivoca il valore numerico percentuale del rischio operatorio riferito dai sanitari pari al 6,53%, con conseguente certa comprensione o comprensibilità del suo significato, reca finanche la doppia firma della paziente e della figlia, attuale attrice. 
Ciò appare dimostrativo della certa esistenza di un momento informativo in ordine all'intervento, che ha visto coinvolta la paziente unitamente alla figlia, proprio al fine di assicurare la piena comprensione degli aspetti tecnici oggetto dell'informativa e dunque la consapevolezza del rischio connesso al delicato intervento cui si apprestava a sottoporsi. 
Le domande, sia dell'attrice che degli interventori, pertanto devono essere rigettate. 
Le spese di lite tra attrice e convenuta relative ad entrambe le fasi del giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico della prima nella misura liquidata in dispositivo, considerato il valore indeterminato della controversia e la complessità media della medesima. 
Le spese di CTU vanno poste in via definitiva a carico di parte attrice soccombente. 
Tra gli interventori e la parte convenuta le spese di lite possono compensarsi tenuto conto dell'intervento avvenuto in fase già avanzata di giudizio.  P.Q.M.  Il Tribunale di Napoli, definitivamente pronunciando nella controversia civile proposta come in epigrafe, così provvede: 1) rigetta la domanda formulata da parte attrice; 2) rigetta la domanda formulata dagli interventori; 3) condanna parte attrice ### al rimborso delle spese di lite in favore della convenuta ### dei ### liquidate in € 3.400,00 per compensi professionali del procuratore relativi alla fase del procedimento ex art. 696 bis cpc ed € 7.500,00 per compensi professionali del procuratore relativi alla presente fase di merito, oltre rimborso spese generali al 15%, cpa ed iva come per legge; 4) compensa le spese di lite tra le restanti parti; 5) pone le spese di ### già liquidate con separato decreto, in via definitiva a carico di parte attrice soccombente.   Napoli, 18.1.2024 

Il giudice
dott.ssa ### D'###


causa n. 8930/2020 R.G. - Giudice/firmatari: Rega Francesca, D'Auria Federica

M

Tribunale di Parma, Sentenza n. 54/2022 del 30-08-2022

... TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA Sezione Lavoro Il Tribunale di Parma, in funzione di giudice del lavoro, nella persona del giudice designato per la trattazione, dott.ssa ### nella causa iscritta al n. 794/2017 R.G., promossa da: #### D'#####'### tutti rappresentati e difesi, in forza di separate deleghe in calce al ricorso, dall'Avv. ### del ### di ### e parimenti tutti elettivamente domiciliati presso il relativo studio sito in ### via ### n. 6; RICORRENTI contro ### in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa per delega in calce alla memoria di costituzione e difesa, dagli Avv.ti ### e ### del ### di ### ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. ### sito in #### al Collegio dei ### n. 5; RESISTENTE e contro #### N.4 ### in persona del ### dell'### di ### nella sua veste di ### rappresentata e difesa giusta procura in calce alla memoria di costituzione e difesa, dagli Avv.ti ### e ### del ### di ### ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. ### sito in #### al Collegio dei ### n. 5; RESISTENTE ha pronunciato la seguente ### del processo - ### della decisione 1. Svolgimento del processo. 1.1. Con ricorso depositato in data ### (leggi tutto)...

testo integrale

TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA Sezione Lavoro Il Tribunale di Parma, in funzione di giudice del lavoro, nella persona del giudice designato per la trattazione, dott.ssa ### nella causa iscritta al n. 794/2017 R.G., promossa da: #### D'#####'### tutti rappresentati e difesi, in forza di separate deleghe in calce al ricorso, dall'Avv. ### del ### di ### e parimenti tutti elettivamente domiciliati presso il relativo studio sito in ### via ### n. 6; RICORRENTI contro ### in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa per delega in calce alla memoria di costituzione e difesa, dagli Avv.ti ### e ### del ### di ### ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. ### sito in #### al Collegio dei ### n. 5; RESISTENTE e contro #### N.4 ### in persona del ### dell'### di ### nella sua veste di ### rappresentata e difesa giusta procura in calce alla memoria di costituzione e difesa, dagli Avv.ti ### e ### del ### di ### ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv.  ### sito in #### al Collegio dei ### n. 5; RESISTENTE ha pronunciato la seguente ### del processo - ### della decisione 1. Svolgimento del processo.  1.1. Con ricorso depositato in data ### e ritualmente notificato, i ricorrenti in epigrafe indicati, eredi legittimi di ### D'### deceduta in data ### per “mesotelioma pleurico”, convenivano in giudizio la ### nonché la ### dell'### n. 4 ### bassa est, datori di lavoro del loro dante causa, sull'assunto che la malattia neoplastica che aveva cagionato la morte del loro congiunto fosse stata cagionata dall'esposizione ad amianto presso l'### di ### ove la ###ra D'### aveva prestato la propria attività lavorativa, sin dal 1988, senza essere stata preventivamente munita di idonei mezzi di protezione atti ad impedire l'inalazione delle fibre di asbesto. 
Chiedevano, quindi, la condanna delle convenute al risarcimento dei danni subiti, proquota, iure hereditatis. 
A tal fine deducevano: a) che la sig.ra D'### aveva prestato la propria attività lavorativa presso l'### di ### (già ### n. 4 ### a far data dal 26.04.1988 e sino al suo decesso - avvenuto nel febbraio del 2013 - come tecnico perfusionista; b) che tale attività - svolta dalla medesima, nel triennio 1988/1991, presso il ### di ### - prevedeva, tra le altre cose, anche la gestione delle varie metodiche di circolazione extra-corporea, della macchina cuore polmone e dell'assemblaggio del macchinario stesso, oltre che il raccordo di alcuni tubi in PVC ad altri tubi coibentati che portavano acqua calda direttamente alla centrale termica; c) che le risultanze delle analisi condotte dallo studio ### - a ciò incaricato dall'### di ### - avevano evidenziato che, all'interno dei campioni prelevati da pavimenti, controsoffitti, pareti e coibentazioni dei tubi del ### erano presenti fibre di amianto crisotilo; d) che la perdurante esposizione della lavoratrice ai materiali contenenti amianto, oltre che la manipolazione ed il contatto diretto con tubi a parete contenenti amianto, avevano esposto la sig.ra ### D'### all'inalazione di fibre del materiale, ingenerando dunque la malattia poi causa del decesso, anche in considerazione dell'assenza, sul luogo di lavoro, di aspiratori e della mancata predisposizione di DPI specifici per il rischio di polveri di amianto; e) che la sig.ra D'### ebbe contezza della patologia contratta nel novembre 2010, a seguito di accertamenti eseguiti dopo la comparsa di dolore toracico, accertamenti successivamente ai quali si era reso necessario il ricovero - dal 28.11.2010 al 04.12.2010 - nonché un primario intervento; f) che, tuttavia, non avendo tale intervento condotto al risultato sperato, la paziente era stata costretta a sottoporsi, nel gennaio 2011, ad un ulteriore ricovero presso la ### del ### and ###s ### di #### di riferimento mondiale per il mesotelioma pleurico; g) che, quivi, a seguito del complicato intervento chirurgico subito dalla sig.ra D'### la medesima si sottoponeva a cicli di chemioterapia; h) che, nel settembre 2012, con la ricomparsa della malattia ed il progressivo peggioramento delle condizioni di salute, la sig.ra D'### non è più stata in grado di gestirsi in autosufficienza, né tanto meno di godere delle piccole abitudini quotidiane come la palestra, la passeggiata con il cane e l'andare a trovare i propri parenti, con un conseguente aggravamento delle già deteriori condizioni psicologiche; i) che, tanto il ### Spaggiari (nella relazione del diario generale ### del 6.09.2011), quanto il ### Galli (in quella del 18.04.2012), così certificavano: “### la latenza i 20 anni circa trascorsi tra l'inizio della verosimile esposizione e la diagnosi sono compatibili con la latenza tipica di questa forma di neoplasia, (…) tale esposizione è da ritenere pertinente al luogo di lavoro e quindi da considerare rischio specifico dal momento che tali circostanze espositive non sono generalizzabili e sovrapponibili a quelle di tutta la popolazione generale” e che la sig.ra era impossibilitata al “normale svolgimento degli atti quotidiani della vita essendo obbligata a trascorrere gran parte della giornata a letto. Respira a fatica ed è in condizioni di non autosufficienza e allettamento pressoché continuo”; l) che, in data ###, l'### riconosceva la natura professionale della patologia contratta dalla sig.ra D'### con costituzione di una rendita per un grado di inabilità dapprima riconosciuto in una misura pari all'80%, e successivamente elevato al 100%; m) che, infine, a seguito del decesso della sig.ra D'### veniva costituita una rendita di reversibilità in favore del coniuge, #### n) che il ### Cucurachi, incaricato di effettuare una valutazione medico legale, nella propria relazione del 31.07.2014, certificava la correlazione tra l'esposizione all'amianto subita dalla sig.ra D'### e la patologia dalla stessa contratta, affermando l'esistenza di un nesso di causalità fra l'esposizione ambientale all'asbesto e lo sviluppo del mesotelioma pleurico maligno, rivelatosi fatale per la donna; o) che le richieste risarcitorie avanzate dagli odierni ricorrenti nei confronti dell'### di ### rimanevano, tuttavia, prive di riscontro, costringendo i medesimi ad adire l'intestato Tribunale. 
Tanto esposto in fatto, i ricorrenti chiedevano l'accoglimento delle seguenti conclusioni: “### il Tribunale in funzione di Giudice del ### l'II.mo adito, ogni contraria istanza disattesa e previa ogni altra opportuna declaratoria di legge: - accertata e dichiarata, per le ragioni e le causali tutte di cui alle premesse, la responsabilità del datore di lavoro della sig.ra D'### già U.S.L. n. 4 ### nella causazione nella persona della dipendente D'### della patologia tumorale - malattia professionale che ne ha determinato il decesso in data ###, conseguentemente dichiarare tenuti e condannare ex D.Lgs n. 502/1992, L. n. 724/1994 e L. 594/1995, i convenuti ### nella persona del Presidente pro tempore nonché il direttore ### dell'### di ### nelle loro suesposte qualità, al risarcimento dei danni non patrimoniali, sofferti in vita dalla sig.ra D'### in ragione della patologia tumorale - malattia professionale ut supra, dalla data di manifestazione conclamata della malattia stessa (ottobre 2010) al suo decesso (04.02.2013), ed acquisito jure hereditario dagli odierni ricorrenti tutti, e così condannarli a pagare il complessivo importo di € 325.972,98=, già de valutato alla data della conclamata manifestazione della patologia (ottobre 2010), da liquidarsi in favore di ciascuno dei ricorrenti in ragione della corrispondente e spettante quota ereditaria, e così nella misura di 2/3 dell'intero importo indicato ovvero ### 217.315,32=, ex art. 582 c.c. in favore del coniuge superstite ### ed il residuo importo ut supra, pari ad un terzo del totale, da dividere pro quota ex artt. 582 e 571 c.c., in favore della madre ### nonché di ciascuna sorella, D'### e D'### il tutto comunque oltre interessi e rivalutazione monetaria dall'ottobre 2010 sino al saldo. Fatta salva in ogni caso la diversa quantificazione che risulterà dovuta e/o di giustizia all'esito dell'istruttoria e del giudizio”.  1.2. Le convenute amministrazioni si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto ritenute infondate in fatto e in diritto.  1.3. La causa veniva istruita con l'acquisizione dei documenti prodotti dalle parti, l'assunzione della prova testimoniale, nonché a mezzo Ctu ambientale e Ctu medicolegale.  1.4. In data ###, a seguito della discussione, il giudice decideva la causa sulle conclusioni rassegnate dalle parti negli scritti difensivi e su quelle della perizia medico svolta dal ### dando lettura del dispositivo della sentenza ex art. 429 c.p.c. e riservando il deposito della motivazione entro il termine di 60 giorni.  2. ### della decisione 2.1. La competenza funzionale del Tribunale del ### In via preliminare, e pregiudiziale, va dichiarata la competenza funzionale del Giudice del lavoro, nei limiti di seguito precisati, in quanto: “per controversie relative a rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell'art. 409, n. 1, c.p.c., debbono intendersi, non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l'eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro” (cfr. Cass., 8 ottobre 2012, n. 17092; Cass. 22 marzo 2002, n. 4129; nonché Cass., 11 ottobre 2012, n. 17334). 
Pertanto, anche le domande risarcitorie proposte nel presente giudizio debbono essere trattate con il rito del lavoro, essendo questo applicabile, ai sensi dell'art. 409 c.p.c., a qualsiasi controversia che trovi nel rapporto di lavoro la ragione giustificativa della domanda, ancorché la causa si tenga tra soggetti diversi da quelli del rapporto di lavoro medesimo. 
Premesso, dunque, che i danni conseguenti al decesso di un soggetto si distinguono tra quelli risarcibili agli eredi iure hereditatis (danni diretti subiti dalla vittima e trasmissibili agli eredi) e quelli risarcibili iure proprio (cd danni riflessi o indiretti), qualora il decesso riguardi un lavoratore subordinato e gli eredi agiscano in giudizio sull'assunto che l'evento morte sia derivato da un inadempimento contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., costituisce ius receptum l'affermazione secondo cui sussiste la competenza per materia del giudice del lavoro in relazione alla domanda di risarcimento dei danni trasmessi agli eredi dal loro dante causa; esulando, per contro, dalla competenza per materia del giudice del lavoro, e restando devoluta alla cognizione del giudice competente secondo il generale criterio del valore, la sola domanda di risarcimento dei danni proposta dai congiunti del lavoratore deceduto non “jure hereditario”, per far valere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro nei confronti del loro dante causa, bensì “jure proprio”, quali soggetti che dalla morte del loro congiunto hanno subìto danno e, quindi, quali portatori di un autonomo diritto al risarcimento che ha la sua fonte nella responsabilità extracontrattuale di cui all'art.  2043 c.c. (ex multis, Cass. Sent. n. 7684/2015, Cass. n. 20355/2005 e n. 3650/2006).  2.2. Sulla legittimazione attiva. 
Sempre in via preliminare, è bene evidenziare che i ricorrenti, come detto, hanno agito, in qualità di eredi di ### D'### e le resistenti non hanno mosso, sul punto, alcuna specifica contestazione, per cui deve concludersi per la sussistenza della loro legittimazione attiva iure hereditatis pro-quota.  2.3. Sul merito della causa. 
All'esito delle prove acquisite, e, in particolare, in virtù della ricostruzione dei fatti operata dal nominato Ctu - #### - sulla base dei dati oggettivi desunti dalla copiosa documentazione versata in atti dalle parti nonché all'esito del sopralluogo eseguito nel corso delle operazioni peritali, può dirsi definitivamente accertato che: - la Sig.ra D'### ha prestato la propria attività lavorativa subordinata quale tecnico perfusionista addetto alla circolazione extra corporea, c.d. CEC o macchina cuore -polmone, presso l'### di ### (già USL n. 4 ###, a far data dal 26/04/1988; - solo a far tempo dall'anno 1991, la U.O. di cardiochirurgia è stata spostata e definitivamente ubicata presso il ### del ### dell'### di ### - la Sig.ra D'### nel triennio 1988-91, ovvero nel periodo in cui il reparto di ### era stato temporaneamente ubicato nel ### di ### (cfr. anamnesi lavorativa redatta dal #### dell'###, ha prestato servizio al primo piano del ### in adiacenza del reparto rene acuti, sostando nei locali adibiti a sale operatorie, nei corridoi, in una stanza riservata ai tecnici e nella sala di terapia intensiva; - durante il sopralluogo n. 2 (cfr. all. verbale) si è appurato che anche al piano seminterrato (locali nn. 019-023, con servizi annessi nei locali nn. 020-021-022 - planimetrie dell'all. 6 di parte ricorrente - valutazione del ### studio ### vi erano locali frequentati dalla ### ra D'### in quanto, nel triennio 1988-91, tali ambienti erano adibiti a spogliatoio per il personale in servizio; - il CTU ha individuato sostanzialmente 3 sorgenti di amianto aerodisperso negli ambienti di lavoro in cui ha operato la ###ra D'### nel triennio 1988-91: 1) Coibentazioni di tubazioni: raccordi in PVC della macchina cuore-polmone, tubi a parete che portavano acqua calda direttamente dalla centrale termica, tubazioni nel locale 019 adibito a spogliatoio: a riguardo, il ### a pag. 6 della relazione, ha precisato: “### che tutte le tubazioni che trasportano fluidi “caldi” (cioè a temperatura superiore a quella ambiente) necessitano di una coibentazione (per ovvie ragioni), all'epoca l'amianto era immancabilmente presente in tali coibentazioni (soprattutto crisotilo, la forma più diffusa delle sei specie di silicati idrati), per le sue ottime qualità termiche e per il suo basso costo)”; 2) Pavimentazione vinilica in tutti gli ambienti di lavoro: a riguardo, il ### a pag. 7 della relazione, ha precisato: “### invece, perfettamente d'accordo con quanto scrive il #### (responsabile ### dello studio ### - pag. 3 all. 6 parte ricorrente): “### del pavimento (campione 155) ha messo in luce la presenza di fibre di amianto nel solo collante, probabilmente appartenente alla pavimentazione vinilica originale e negli anni rimossa e sostituita con la recente pavimentazione senza amianto” Si consideri che il ### F. ### dello studio ### conosce molto bene la realtà degli edifici dell'### di ### per aver personalmente redatto e firmato le ### amianto, relative a tali immobili, degli anni 2012-2013-2014-2015-2016-2017. Da tali relazioni, peraltro, (fornite al sottoscritto CTU ed attentamente esaminate) si evince chiaramente che, ancora oggi la grande maggioranza dei pavimenti vinilici tuttora in sito contiene amianto. 
Figuriamoci nel triennio 1988-91, quando l'uso dell'amianto era consentito. Dunque, si ribadisce, quelle fibre di amianto, rilevate dallo studio ### nel 2010-11, nel solo collante, appartengono alla pavimentazione vinilica originale”; 3) Pannelli di tamponamento (lati esterno ed interno) e porte interne: sul punto, il ### a pagg. 8, 9, 10, 11 e 12 della relazione, ha precisato: “Si tratta di lastre di ### (denominazione commerciale) in resina, compresse e stabilizzate in autoclave, ricoperte con smalto minerale: contengono crisotilo (il più comune delle forme di amianto). Idonee per rivestimenti esterni ed interni. Si è fatto un largo uso di tali pannelli, quali tamponature esterne di molti edifici pubblici, soprattutto negli anni 60- 70… Nell'edificio in esame (### temporaneamente ubicata nella ###, come già detto, i pannelli in ### rivestono i tamponamenti, ai piani rialzato e primo (lati esterno ed interno) e si ritrovano anche nelle porte interne dei medesimi piani (circa una ventina per ognuno dei livelli). Per ribadire la pericolosità delle lastre di ### che il #### dello ### semplicemente ed efficacemente descrive quali “lastre piane di cemento amianto verniciate” è sufficiente leggere quanto egli scrive nell'all. 6 di parte ricorrente. Riportiamo testualmente: “In sintesi, si ritiene non essere presente una situazione di rischio per gli occupanti dell'edificio… salvo l'adozione di una politica più cautelativa che consideri la maggior delicatezza opportuna in un contesto ospedaliero e la frequentazione dei locali da parte del pubblico”… ### il ####: “Pur non ritenendo necessaria l'apposizione di avvertenze ### sui pannelli, si ricorda che deve essere minimizzato il disturbo degli stessi durante le operazioni di manutenzione ordinaria e di pulizia. Gli operatori dovranno essere informati della presenza dell'amianto nei materiali e la pulizia degli stessi potrà avvenire preferibilmente con stracci umidi. Si dovrà assolutamente evitare qualsiasi azione invasiva sul MCA tipo l'uso di utensili ad alta velocità: trapani, mole,ecc”…### prima di tutto, va detto che l'apposizione di avvertenze ### oltre che dalla logica e dal buon senso, è dettata dalla stessa normativa vigente: D.M. 06/09/1994 - punto 4a) - ### di controllo. - fornire una corretta informazione agli occupanti dell'edificio sulla presenza di amianto nello stabile, sui rischi potenziali e sui comportamenti da adottare; …### il decreto ministeriale parla chiaro: bisogna informare non solo gli “operatori”; ma tutti, indistintamente gli occupanti dell'edificio, quindi anche gli utenti che vengono dal di fuori! E come si può fare, se non apponendo avvertenze che informino sui rischi potenziali e sui comportamenti da adottare ?!? In secondo luogo, quello che il #### qualifica “BUONO” (è lo stato di conservazione delle lastre piane di cemento amianto, e delle porte del reparto) sarà stato pure vero nel 2010-2011 (anni in cui è stato redatto l'all. 6 di parte ricorrente), ma certo non nel 2015 e nel 2017. Infatti, dalla copiosa documentazione fornita al CTU dalla ### degli ### di ### citiamo: 1) ### 2015 - ### il ### dal ### del ### e #### 2) ### 2017- firmata il ### proprio dal #### Riportiamo dal secondo documento (il primo è praticamente identico): MCA 21 Parete (pannello lato interno) 10.02 ### e ### in molti locali ai piani primo e rialzato (E' ###. Osservazioni, note, risultanze: Compatto, trattato superficialmente, ma localmente danneggiato (presenza di fori al ### loc 047 e al ### loc 037-050) accessibile, locali frequentati da personale ed utenti) ###: ### consigliata: restauro dei danneggiamenti. E nei documenti forniti al CTU risultano numerose fotografie di pannelli di ### con presenza di fori…La presenza di fori è risultata pure durante i sopralluoghi effettuati dallo scrivente (cfr. all. verbali e documentazione fotografica). 
Dunque, ci sembrano più che lecite le seguenti conclusioni: se ancora oggi a n. 27 ### anni di distanza dalla ### n. 257 del 27/03/1992 (ossia quella della “messa al bando” dell'amianto) e dopo che è stata più che acclarata la estrema pericolosità dei pannelli di ### si continua a reperire fori in tali pannelli, esisteva un qualsiasi impedimento nel triennio 1988-91 alla pratica di forarli per soddisfare le numerose e svariate “esigenze tecniche” ?!? No, nel modo più assoluto! Non esisteva alcun impedimento! La anamnesi lavorativa della ###ra ### D'### effettuata dal #### dell'### di ### per esempio, riporta: “Ricorda anche interventi sulle pareti, ad es. per sostituire prese ed anche da parte dell'idraulico per riparare gli scarichi. Ricorda inoltre che le scaffalature che utilizzava per riporre l'attrezzatura chirurgica erano fissate alla parete e che periodicamente si distaccavano dalla parete stessa, rendendosi necessario l'intervento di manutenzione e ripristino””; - quanto ai quantitativi d'amianto presenti negli ambienti di lavoro in cui ha operato la #### D'### il CTU ha così concluso: “1) Coibentazioni di tubazioni ###lutil (fonte francese) - Dei cartoni in amianto erano stoccati in un magazzino, ma non è stata effettuata alcuna manipolazione durante il campionamento: 30 ff/lt - ### dell'esposizione all'amianto degli operatori dei forni in una vetreria. Si tratta di una esposizione passiva derivante dalla presenza di giunti sotto forma di trecce sui forni: 30 ff/lt. 
Dunque un minimo di strofinio su MCA abbastanza compatti ### ovvero la semplice azione del calore produce tali valori di concentrazioni di fibre. Ma le temperature con cui noi abbiamo a che fare, nel caso in esame, sono notevolmente inferiori, senza alcun dubbio, a quelle che si potevano trovare nei forni di una vetreria. 
Pertanto operiamo una drastica riduzione al 10% dei suddetti valori: ### = 3 ff/lt. Una ulteriore riduzione non è neanche proponibile: significherebbe arrivare praticamente a zero, è ciò equivarrebbe ad ignorare un fenomeno fisico che esiste in modo incontestabile: il decomporsi dell'amianto (con relativa dispersione di fibre) per effetto del calore (cioè lo “stress termico”, di cui s'è già detto); 2) Pavimentazione vinilica in tutti gli ambienti di lavoro.  ### de ### et de ### (### - fonte francese) ### de travail exposant à l'amiante - ### pavimento a secco senza aspirazione con singolo disco ### abrasivo: 1.600 ff/lt; - ### pavimento a umido senza aspirazione con singolo disco ### abrasivo a rotazione lenta: 3,8 ff/lt. 
Il primo dei valori riportati è senza dubbio abnorme; ed enorme la differenza fra i due. 
Saremmo portati a considerare quello più basso, ma cerchiamo qualche conferma. 
Corso di #### sez. ### (del 25/03/2014). Rimozione pavimento in vinil-amianto, rimozione manuale una mattonella per volta. Tipo di campionamento: personale - ### analitica: M.O.C.F. 
Numero di campioni: 15 5 - 15 ff/lt (media 9 “) Nei primi due valori riportati si parla di “pulizia”, gli ultimi considerano la “rimozione”. Nel nostro caso è ipotizzabile che ci siano state sia l'una ###, che l'altra ###.  ### un dato: l'### ha effettuato dal 1992 al 2002 numerose indagini ambientali in n. 59 scuole, in diverse regioni d'### con pavimenti vinilici.  ### analitica: S.E.M. (### a ### Risultati: 0,4 ff/lt (83% dei casi) equivalenti in M.O.C.F. a 4 ff/lt 2,2 ff/lt (17% “ ) “ 22 “ Dunque, nella grande maggioranza dei casi indagati, il valore più basso prima trovato si trova confermato e noi prudentemente lo consideriamo: ### = 3,8 ff/lt; 3) Perforazione di lastre di cemento-amianto ### “### dell'esposizione all'amianto ai fini dei benefici previdenziali” Autori: U. Verdel e G. Ripanucci della ### Perforazione di lastre di cemento amianto: 900 ff/lt Ma tale valore di concentrazione va ridotto in misura congrua. 
Queste, infatti, sono le fibre che “colpiscono” l'operatore e non chi si trova nell'ambiente a qualche metro di distanza: ossia colui che, in linguaggio tecnico, viene denominato “bystander” (cioè l'assistente, colui che sta vicino; ma che materialmente non sta operando). 
In quale misura va effettuata tale notevole riduzione? “Un metodo pratico per la stima dell'esposizione pregressa ad inquinanti aerodispersi di figure professionali bystander” Autori: P. ### e P. Desideri della #### e ### (### Tale lavoro presenta un modello deterministico proposto nel 1999 dal ####. 
Cherrie (noto studioso in materia), che, note le concentrazioni tipiche delle lavorazioni emittenti, le dimensioni del locale frequentato e le condizioni di ventilazione, consente di individuare con ragionevole grado di approssimazione la “notevole riduzione”. 
Valutando quella in esame una situazione intermedia fra il large store (in pratica un ampio capannone industriale) ed una small room (cioè quella delle artigianali vetrerie di ###, si ritiene prudente considerare esattamente un valore medio fra le due situazioni estreme. E questo perché nei locali di ### esisteva un impianto di condizionamento. In altri termini, se considerassimo solo le dimensioni dei locali in esame, dovremmo valutare la situazione - chiaramente peggiorativa - della small room; ma, grazie all'impianto che assicurava ricambi d'aria, possiamo considerare - si ribadisce - una riduzione intermedia: 21% Dunque: 900 ff/lt x 0,21 = 189 ff/lt ### di proseguire, va comunque rilevato che “i ricambi d'aria” sono ben diversi dalle “aspirazioni localizzate”: sono due cose completamente differenti! E su tale aspetto torneremo a breve. 
Ma dobbiamo applicare una ulteriore riduzione. 
Abbiamo considerato un numero annuale di interventi di perforazione/taglio delle lastre di cemento-amianto di: dieci (cioè, in cifra tonda, mediamente uno ogni quaranta giorni), considerati gli ambienti in esame nel loro complesso.   Il numero ipotizzato ci sembra un valore minimo più che verosimile, per i seguenti motivi: a) i locali frequentati dalla ###ra ### D'### erano numerosi: la due sale operatorie, la sala di terapia intensiva, la sala riservata ai tecnici, corridoi, spogliatoio, servizi igienici, ecc.; b) le porte del reparto (anche esse costituite da pannelli di ### erano circa venti (al primo piano ed altrettante al piano rialzato); c) “gli ambienti ospedalieri sono soggetti ad interventi tecnici frequenti, anche in ragione della necessità di mantenere sempre la perfetta efficienza” (### M.### - ### di ###; d) diversi fori e tagli sono presenti ancora oggi ( documentazione fotografica agli atti); e) nel triennio 1988-91 non esisteva alcun motivo ostativo alla effettuazione di fori e/o tagli nelle lastre di cemento amianto: non era ancora scattato lo “allarme amianto” e, di conseguenza, non esisteva alcuna “avvertenza” che vietasse tale pratica (non esiste ancora oggi !?). 
E' più che nota, d'altra parte, la eccezionale persistenza in aria delle fibre aerodisperse; consideriamo che le 189 ff/lt prima valutate “vadano a zero” (in realtà non vanno mai a zero) nella metà del periodo di tempo considerato (cioè in venti giorni) con legge lineare: ciò significa che per venti giorni avremo mediamente 94.5 ff/lt (e, per i restanti venti del periodo considerato: “zero” fibre, rivenienti da perforazione/taglio di lastre di ###. ### si perviene a 94.50 ff/lt per la metà del tempo totale.   Ed alla metà di tale valore, per l'intero arco di tempo; dunque ### = 47,25 ff/lt. 
Concentrazione di fondo ### esista una concentrazione di fondo è decisamente acclarato ed incontrovertibile. 
Che ci piaccia o no, siamo purtroppo soggetti ad una “soglia minima e persistente” di questa fibra “killer” che non è assolutamente possibile eliminare. 
Qual è il valore di questa concentrazione di fondo “naturale”? Ovviamente non è possibile dare una risposta univoca: dipende dagli ambienti (di lavoro e di vita).   Noi abbiamo considerato uno studio effettuato da tre validi studiosi del ### (2005): ### W ### (lo abbiamo già citato), ### and ### Il titolo della ricerca è: “### and risks from wearing asbestos mitts”. Riteniamo che le situazioni riprodotte in tale studio ben si adattino alla nostra: produzione di fibre d'asbesto in locali di dimensioni medio-piccole (cioè non ambienti di “taglia industriale”), in cui vengono anche riprodotte condizioni di ventilazione (“high localised ventilation”, dunque equivalenti al nostro impianto di aria condizionata).   Ebbene, al termine di ogni prova (e dopo la relativa misurazione delle fibre emesse), la “camera di prova” veniva ripulita con una cura che potremmo senz'altro definire “maniacale”: aspirapolvere ad alta efficienza e salviettine bagnate su tutte le superfici! ### aver effettuato tale pulizia (e prima di effettuare la simulazione successiva) si misurava la concentrazione di fibre, per assicurasi che fosse al massimo di 10 ff/lt. In altri termini, sotto a questo valore non si riusciva a scendere: si accettava questa soglia come ineliminabile “concentrazione di fondo”. Ora, nel nostro caso, saranno pure stati ambienti con un notevole livello di pulizia (camere operatorie e terapia intensiva!); ma non riteniamo che si desse la “caccia alle fibre d'amianto” con “aspirapolvere ad alta efficienza e salviettine bagnate su tutte le superfici”! ### nonostante, prudentemente consideriamo la stessa concentrazione di fondo: 10 ff/lt Ma possiamo anche trovare una conferma, percorrendo un'altra strada. 
Abbiamo già calcolato una concentrazione di fibre (valore medio per il tempo totale) di 94,50/2 = = 47,25 ff/lt (dovuta alla sola perforazione delle lastre di cementoamianto). Ebbene, applichiamo a questo valore di concentrazione la medesima percentuale di riduzione in precedenza già adoperata (e di cui abbiamo già fornito sufficiente spiegazione), cioè 21%. In altre parole, come se ci trovassimo davanti ad un'altra “fonte emittente” e volessimo calcolare la concentrazione dell'ambiente circostante (cioè proprio la “concentrazione di fondo”!), otteniamo: 47,25 x 0,21 = 9,9225 ff/lt (ossia proprio il valore di cui parla ### W ###.   Ma diamo anche uno sguardo alla letteratura in materia.   L'### della ### (### riporta studi che definiscono accettabile (rischio di mesotelioma compreso fra 1/1.000.000 e 1/100.000): 1,0 ff/lt (analisi in ### corrispondenti a 10 ff/lt (valutati in ### Corso di ### - arpa - ### (2014) Valori della “concentrazione di fondo” Zone valutate in SEM valutate in ### Aree urbane: 0,1- 2 ff/lt 1-20 ff/lt ### industriali: 5-40 ff/lt 50-400 ff/lt ### aree industriali: 2-20 ff/lt 20-200 ff/lt ### minerarie attive: 3-10 ff/lt 30-100 ff/lt ### 1-1,5 ff/lt 10-15 ff/lt (### - ### 1992) Ci sembra che il valore della ### di fondo da noi individuato non sia in contrasto con i dati sopra riportati.   Dunque, questo il risultato dei nostri calcoli: E = ### + ### + ### + CF = 64,05 ff/lt E: esposizione alle fibre d'amianto aerodisperso, a cui è andata soggetta la ###ra ### D'### durante il triennio 1988-91, nei luoghi di lavoro presso la Cardiochirurgia” … ### pervenuti, con una serie di valutazioni, di cui abbiamo dato ampie spiegazioni e delucidazioni, ad una esposizione complessiva a fibre di amianto aerodisperse, nel triennio 1988-91, negli ambienti di lavoro della ### (all'epoca ubicata nella ### di: 64,05 ff/lt (valutazione effettuata in ### equivalente a 6,405 ff/lt in ### M.O.C.F. ### in ### di ### S. 
E. M. ### a ### Questa, molto verosimilmente, comunque con probabilità certamente superiore al 50%, era la esposizione a fibre d'amianto aero-disperse, a cui è andata soggetta la ###ra ### D'### negli anni e nei luoghi suddetti. Se confrontiamo tale esposizione con quelle caratteristiche degli opifici industriali (le cosiddette zone calde, in cui “dilagava” un tempo l'amianto) rileviamo che è sicuramente un valore modesto. Teniamo, comunque, presente che le nostre stime sono state sempre “prudenziali”. ### nonostante siamo pervenuti ad un valore superiore al triplo delle 20 ff/lt (valutato in ###, soglia oltre la quale il ### del Ministero della ### del 06/09/1994 parla di “situazione di inquinamento in atto”. Ed abbiamo altresì superato (e, si ribadisce, sempre con valutazioni di estrema prudenza) anche la soglia delle 50 ff/lt, definita dal suddetto D.M. del 6/9/94 “soglia di allarme””. 
In definitiva, pertanto, può ritenersi adeguatamente provato, tenuto conto delle conclusioni cui è pervenuto il ### che, in considerazione del contatto diretto della ###ra D'### con le tre fonti di amianto aerodisperso rinvenibili, nel triennio 1988- 91, presso il ### di ### dell'### di ### - ossia: 1) Coibentazioni di tubazioni; 2) ### vinilica in tutti gli ambienti di lavoro; 3) Pareti in lastre di cemento amianto - oltre che dell'inquinamento di fondo, la lavoratrice ha subito un'esposizione diretta ed indiretta alle fibre di asbesto superiore ai limiti di legge. 
Tanto premesso, in ordine al nesso causale tra la nocività dell'attività lavorativa svolta, la patologia contratta dalla ###ra ### D'### ed il decesso della medesima, si osserva quanto segue.  ### di affrontare la specifica vicenda clinica della ###ra ### D'### è opportuno premettere, tenuto conto delle conoscenze acquisite dalla letteratura scientifica in materia e che sono patrimonio comune, che l'amianto è un minerale fibroso friabile la cui pericolosità per l'apparato respiratorio dipende dalla capacità dei materiali che lo contengono di rilasciare fibre potenzialmente respirabili. 
Infatti, quando queste sono disperse nell'aria per effetto di qualsiasi sollecitazione (manipolazione/lavorazione, vibrazioni, correnti, etc.), se vengono inalate, si concentrano nei bronchi, negli alveoli polmonari e nella pleura, provocando danni irreversibili. Ne consegue che la pericolosità dei materiali/manufatti contenenti amianto (### è proporzionale alla tendenza a rilasciare fibre e quindi i MCA privi di matrice, o con matrice friabile, caratterizzati da estrema facilità di liberazione di fibre, saranno da considerarsi maggiormente pericolosi rispetto a MCA a matrice compatta, come il cemento-amianto o il vinil-amianto, nei quali la matrice trattiene le fibre impedendone l'aerodispersione. Naturalmente anche i MCA originariamente compatti, con l'avanzamento del degrado, tendono a rilasciare via via un maggior quantitativo di fibre. 
Nel 1986, l'OMS ha qualificato come “pericolose” tutte le fibre di amianto di una determinata lunghezza, diametro e rapporto dimensionale lunghezza/diametro, in quanto la pericolosità relativa all'inalazione delle fibre dipende dal grado di penetrazione nelle vie respiratorie, a sua volta dipendente dalle dimensioni delle fibre: quelle a diametro aerodinamico minore (funzione della geometria e della densità della fibra) sono suscettibili di penetrare più a fondo nell'albero bronchiale fino agli alveoli. 
Le fibre sono definite respirabili, ovvero in grado di giungere nella zona alveolare dell'albero respiratorio, quando abbiano diametro inferiore a 3 μm, che nel caso del crisolito corrisponde ad un diametro aerodinamico di circa 10 µm. Le particelle di diametro maggiore, che si depositano nelle vie aree superiori (nasali e tracheobronchiali), possono essere eliminate attraverso il trasporto mucociliare dell'epitelio. 
Riguardo alla lunghezza, è anche opinione diffusa che fibre di lunghezza superiore a 200-250 μm siano troppo grandi per depositarsi nei polmoni e quindi non respirabili a tutti gli effetti. 
Il meccanismo alla base della tossicità dell'amianto prevede, quindi, una complessa interazione tra le fibre minerali e i target cellulari, basata su estensione e reattività della superficie della fibra, la sua dimensione e la biopersistenza. Gli effetti nocivi che si manifestano a seguito dell'inalazione di fibre di amianto sono, pertanto, dovute all'instaurarsi di meccanismi patogenetici di natura irritativa, degenerativa e cancerogena. 
Nello specifico caso che ci occupa, il #### sulla base della documentazione medica presente in atti, ha premesso che la ###ra ### D'### è deceduta in data ### per “### maligno pleurico diffuso di tipo epitelioide” diagnosticato nel novembre 2010 a seguito di controllo dei marker neoplastici. 
Quanto al nesso causale, il perito dell'ufficio ha così argomentato: “### questa premessa, si può affermare che: a) l'esposizione subita dalla sig. D'### pur correlata alla sua attività professionale, risulta prevalentemente un'esposizione da contaminazione “ambientale”; b) l'esposizione calcolata dall'ing. ### è pari a 64 ff/l; c) l'esposizione è limitata ad un periodo di poco superiore a 3 anni. 
Ne deriva che, nel caso in esame, l'assorbimento non può essere stato continuativo (intendo esteso a tutto il turno di lavoro) né intenso, sia come media quantitativa giornaliera che come durata. Dunque, possiamo definire l'entità dell'esposizione, nel caso in esame, come esistente, non trascurabile, ma complessivamente moderata ### dati vanno tuttavia interpretati alla luce del fatto che non esiste una dose soglia al di sotto della quale la probabilità tende allo zero, benché la frequenza di comparsa della malattia aumenti proporzionalmente con l'incremento dell'esposizione. 
Rinviando a successive argomentazioni il fattore esposizione, va preso in esame il secondo fattore determinante per il nesso causale: la latenza, ovvero il periodo di tempo intercorso fra inizio dell'esposizione e manifestazione del tumore. La malattia si può considerare manifestata nell'ottobre 2010 (incremento del Ca125 e riscontro positivo alla TAC torace). Dunque, se l'inizio dell'esposizione è databile all'aprile 1988, il periodo di latenza complessivo risulta pari circa 22 anni; un arco di tempo che, pur inferiore a quello statisticamente prevedibile per il MM (mediana = 40 anni), rende plausibile la correlazione causale fra attività lavorativa svolta dalla D'### e la neoplasia, particolarmente alla luce della concomitante patologia mammaria, di cui si dirà più oltre. 
Nel caso in esame non esiste poi un problema diagnostico: il tumore è stato inequivocabilmente definito, sia sul piano istologico che immunoistochimico e clinico, come mesotelioma. Sottolineo, in particolare, l'esito dei test immunoistochimici, che escludono metastasi del carcinoma mammario (ad esempio: positività per la ### negatività per recettori estrogenici, a fronte di elevata positività nel carcinoma duttale operato). Inoltre, la diagnosi di MM (formulata presso il ### di ### ha trovato conferma nel corso dei ricoveri presso strutture ospedaliere qualificate (### e nei numerosi controlli clinici.  ### parte, un corretto inquadramento della neoplasia risultava imprescindibile ai fini del trattamento (chirurgico e chemioterapico), poiché l'attribuzione della patologia pleurica ad un'evoluzione metastatica del carcinoma mammario avrebbe comportato diverse scelte terapeutiche e un diverso percorso clinico. 
Occorre ora affrontare un punto di non secondaria importanza: l'esistenza di pregresse esposizioni ad amianto.  ### notizia reperibile in anamnesi è relativa ad un'ipotesi di contaminazione indiretta in ambito famigliare (padre vigile del fuoco, convivente fino al 1988). Si tratta di un'informazione vaga, nonostante sia ben nota l'esposizione ad amianto (e il più elevato rischio di patologie asbesto-correlate rispetto alla popolazione non esposta) a cui sono soggetti i vigili del fuoco. 
Si tratterebbe comunque, pur sempre, di un'esposizione indiretta, impossibile da determinare e comunque non paragonabile a quella di operai che negli anni 50-70 erano sottoposti a contaminazione massiva, impregnante anche gli abiti e, conseguentemente, sorgente di diffusione di elevate quantità di fibre nell'ambiente domestico (casi di MM nell'area di ###. 
In assenza di dati più precisi, considerando che si tratterebbe di assorbimento indiretto, verosimilmente modesto (fra l'altro il padre non risulta colpito da MM), questa eventuale esposizione dovrebbe essere considerata non rilevante per il nesso causale, oltre che non determinabile proprio per la sua dimensione. Applicando poi il criterio della dose cumulativa e quello dell'accelerazione dell'evento, l'eventuale contaminazione in ambito famigliare potrebbe aver costituito - al più - la dose iniziale, con ruolo di concausa debole e non sufficiente, sulla quale si è poi aggiunto l'assorbimento nell'ambiente di lavoro, che avrebbe pur sempre aumentato in misura decisiva il rischio di MM e anticipato l'evento morte. Questa ipotesi, ovviamente, è sviluppata considerando - del tutto astrattamente - un'eventuale contaminazione indiretta, di cui per contro non conosciamo né l'effettiva esistenza, né la dimensione e tanto meno la durata. 
In sintesi: un'esposizione indiretta, correlata alla professione del padre, resta una mera ipotesi, non convalidata da alcun dato, non suscettibile di accertamento né di misurazione e probabilmente poco o nulla significativa. 
Infine, controfattualmente, l'assenza di tale esposizione non porterebbe ad alcun indebolimento del ruolo giocato dall'ambiente di lavoro. 
Non la si considererà pertanto come possibile fattore concausale nel determinismo del MM della sig.ra D'### Sembra superfluo aggiungere che altre sorgenti di contaminazione del cancerogeno non sono emerse nel corso dell'istruttoria; in ogni caso non sarebbero compatibili con la storia lavorativa della vittima. 
La ricostruzione del nesso causale dispone, a questo punto, dei seguenti elementi (che potremmo definire come indizi forti e convergenti): 1) nel caso in esame la diagnosi di MM è una diagnosi clinicamente e istologicamente certa, nonché convalidata dai test immunoistochimici (ovvero, non si tratta di carcinoma polmonare né di secondarizzazione della neoplasia mammaria risalente al 2007 e nemmeno di altri tipi di metastasi); 2) lo sviluppo del MM è causalmente riferibile, in via pressoché esclusiva, all'esposizione a fibre di amianto e non ad altri fattori patogeni; 3) la dott.ssa D'### è stata esposta in misura quantitativamente rilevante (CTU ### ad amianto per contaminazione ambientale (ovvero senza intervenire direttamente su manufatti contenenti amianto); 4) l'esposizione ha avuto una durata consistente (non particolarmente prolungata ma nemmeno cronologicamente trascurabile: più di 3 anni); 5) il periodo di latenza fra inizio dell'esposizione e manifestazione del tumore (oltre 20 anni), pur collocandosi fuori range rispetto a quanto statisticamente previsto per il MM, non contraddice la compatibilità fra esposizione in Az. ### e sviluppo del tumore pleurico”. 
Sotto quest'ultimo profilo, il CTU ha, in particolare, precisato: “Il 5° punto merita tuttavia una discussione a parte. Come si è detto, il periodo di latenza, benché significativo e compatibile con l'assorbimento di amianto nel triennio 1988-1991, si colloca al di fuori della media/mediana statistica di durata (40 anni +- 12), indebolendo apparentemente la certezza della correlazione causale. 
Tuttavia, oltre al fatto che si osservano comunque mesoteliomi con latenze analoghe, nel nostro caso entra in gioco un elemento da considerare decisivo, in grado di spiegare e giustificare questa rapidità di sviluppo (in soli 22 anni il mesotelioma ha percorso tutte le tappe, dall'induzione all'evidenza clinica): si tratta della coesistenza del carcinoma mammario e delle relative terapie. È chiaro che la presenza di un carcinoma con invasione dei vasi linfatici, e soprattutto la radioterapia e la chemioterapia da questo richieste hanno agito con potente effetto facilitante sulle cellule del MM attraverso un indebolimento del sistema immunitario (basti dire che i chemioterapici sembrano agire compromettendo l'attività dei linfociti B per un lungo periodo di tempo). Di fatto, si consideri che la scoperta del MM nella sig.ra D'### è del 2011, mentre le terapie per la neoplasia mammaria erano iniziate nel 2007. La contiguità fra le due malattie tumorali è evidente, e consente di ascrivere al primo tumore il ruolo di facilitatore/acceleratore nei confronti del MM. 
Un semplice calcolo ci permette di riconoscere la congruità del periodo riservato alle fasi iniziali del MM: detraendo dalla latenza osservata (22 anni) il periodo compreso fra inizio della chemio-radioterapia relativa alla mammella e la diagnosi di MM (meno di 4 anni), i restanti 18 - 19 anni possono considerarsi sufficienti a “contenere” tutto il periodo di induzione e l'inizio della carcinogenesi da amianto (di fatto, il follow-up fra il 2007 e il 2010 non mostrò mai segni riferibili alla seconda neoplasia). 
Si noti che la precedente conclusione non equivale ad affermare che in assenza del carcinoma duttale infiltrante il MM non si sarebbe mai sviluppato o sarebbe comparso molti anni dopo, poiché si è già ricordato come non esista una dose soglia sotto la quale il rischio è assente; si vuole invece elaborare un modello esplicativo che giustifichi la rapidità di comparsa (rispetto al carcinoma mammario) e la rapidità evolutiva della neoplasia pleurica (in questo caso anche peritoneale e pericardica). 
Procedendo ora alla verifica controfattuale (se, in assenza del carcinoma duttale, sarebbe ugualmente comparso il MM), è evidente che la chemioterapia iniziata nel 2007 non può che aver accelerato/anticipato la comparsa del MM (2010), senza alcun ruolo causale, poiché il periodo di iniziazione/induzione era già da tempo avviato (e valutabile in circa 18 anni). 
In altri termini, il marcato indebolimento del sistema immunitario indotto dalle terapie anti-tumorali (e dalla stessa compresenza di una malattia neoplastica), compreso in un periodo di circa 4 anni, può solamente aver anticipato l'affiorare del mesotelioma sul piano clinico, senza in alcun modo determinarlo. 
Di fatto, la rapidità di comparsa e l'inarrestabile progressione del MM in stretta concomitanza col trattamento descritto per la mammella, confermano indirettamente che il periodo induzione del MM era ormai in stadio molto avanzato. Si potrebbe addirittura ammettere come già iniziato - nel 2007 - l'ultimo stadio di sviluppo del MM, quello della proliferazione e disseminazione irreversibile del processo neoplastico. 
Quest'ultima considerazione soddisfa pienamente la verifica controfattuale, poiché è possibile affermare, con grado di probabilità prossimo alla certezza, che il MM si sarebbe manifestato anche in assenza della neoplasia mammaria e dei relativi trattamenti, che lo hanno solo anticipato. Non solo: tenendo conto del breve intervallo fra chemioterapia per il carcinoma duttale e comparsa delle lesioni pleuriche (solo 4 anni), e, conseguentemente, dello stadio raggiunto dal MM già nel 2007, si può concludere che anche l'anticipo indotto dalla chemioterapia sia stato modesto, benché rilevante. 
Il modello esplicativo relativo alla storia naturale del MM nel caso di specie può dunque essere così descritto. In seguito ad esposizione prevalentemente ambientale subita dalla sig.ra D'### nel triennio 1988-1991, inizia quel processo di induzione che si concluderà con lo sviluppo di un MM. ### non è quantitativamente elevata ma ugualmente rilevante; si protrae per un periodo di tempo non particolarmente prolungato, ma in ogni caso sufficiente per l'innesco: non esiste dose soglia per il MM. ### cessa con trasferimento del ### in altra sede di nuova costruzione. Trascorrono 16 anni asintomatici (19 dall'inizio dell'esposizione). 
Nel 2007 viene diagnosticato un carcinoma duttale infiltrante della mammella, che comporta, oltre alla quadrantectomia e alla radioterapia, l'inizio della chemioterapia, che si protrae fino al settembre 2008. Fra il 2007 e l'ottobre 2010 nessun segno è riferibile a mesotelioma al follow-up per la neoplasia mammaria. Nel novembre 2010 la PET total body risulta positiva per localizzazioni pleuriche di malattia neoplastica ###. Sono trascorsi appena 3 anni dall'inizio della chemioterapia; il che significa che il mesotelioma aveva ormai concluso la fase di induzione progredendo a quella finale di latenza clinica: ed è a questo punto che esplode manifestandosi anche clinicamente, anticipato dal disordine immunitario indotto dal carcinoma mammario e dalle terapie anti-tumorali. Va sottolineato che in questa ricostruzione assumono particolare valore gli approfonditi controlli eseguiti dalla paziente a partire dal 2007, sempre negativi per secondarismi e altrettanto negativi per interessamento delle sierose fino agli ultimi mesi del 2010: la repentina comparsa di lesioni pleuriche nell'ottobre 2010 può significare solo, lo si ripete, che il MM era già presente e in stadio molto avanzato. In buona sostanza, la brevissima latenza di comparsa rispetto al tumore mammario indica che anche in assenza di questo il MM avrebbe presto raggiunto la fase di tumore conclamato. 
Si può quindi concludere che il carcinoma duttale e le relative terapie hanno sì influenzato il MM, ma che questa influenza, lungi dall'essere interpretabile come aggravamento e/o accelerazione dello sviluppo, si è limitata ad anticiparne gli aspetti fenomenici”. 
Il perito dell'### dunque, in risposta al quesito posto dal ### ha concluso nei seguenti termini: “### di elementi concordanti per asserire l'esistenza di un nesso causale fra l'esposizione della sig.ra D'### in Az. ### e lo sviluppo del MM che ha portato la paziente al decesso il ###, a poco più di due anni dalla diagnosi e trascorsi 25 anni dall'inizio dell'esposizione. Insufficiente la rilevanza - sul piano quantitativo - dell'esposizione indiretta in ambito famigliare, di cui peraltro non si hanno notizie, e che resta confinata all'ambito delle mere ipotesi; irrilevante sotto il profilo causale la chemioterapia per carcinoma mammario che ha anticipato l'espressione di un tumore già in stadio avanzato e che si sarebbe comunque manifestato nel breve-medio termine. Del ruolo assunto dalla neoplasia mammaria si è dato ampio riscontro nelle precedenti considerazioni”.   Le conclusioni del consulente d'ufficio, appaiono pienamente condivisibili, in quanto esaurientemente motivate, immuni da vizi logici e giuridici, supportate dagli studi e dalla letteratura scientifica dettagliatamente riportata. 
In ordine alla sussistenza del nesso causale, osserva, in particolare, il giudicante che le conclusioni riferite dal CTU medico legale, debbono peraltro essere inquadrate nell'ambito dei principi giuridici che regolano il nesso di causalità. 
Segnatamente, in assenza di norme civili che regolino il rapporto di causalità, occorre fare riferimento ai principi generali di cui agli artt. 40 e 41 c.p.. 
Ebbene, in base a tali principi, un evento è da considerare “causato” da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo in assenza del secondo non si sarebbe verificato hic et nunc, ovvero nei termini di tempo e nelle precise circostanze in cui si è manifestato (Cass. pen. Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 576). 
La valutazione del nesso di causalità, sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, deve essere compiuta sulla base delle migliori cognizioni scientifiche disponibili. 
Ove, tuttavia, esse non consentano un'assoluta certezza della derivazione causale, la regola di giudizio muta sostanzialmente nel processo penale e in quello civile, “in quanto, nel primo, vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cfr.  Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. ###, Franzese), mentre, nel secondo, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o “del più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e per contro, l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (in questo senso, vedasi: Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n. 582. Cass.16.10.2007, 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238). 
Detto principio ha avuto larga diffusione in tema di prova del nesso causale. 
Si è, in particolare, precisato come lo standard di “certezza probabilistica” in materia civile non possa essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma vada, per contro, verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). 
In tale ottica, nello schema generale della probabilità come relazione logica, va determinata l'attendibilità dell'ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d.  evidence and inference nei sistemi anglosassoni). Sennonché, esigenze di coerenza e di armonia dell'intero processo civile comportano che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorché vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili; in questo caso, la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. 
Occorrerà, cioè, in sede di decisione sul fatto, scegliere l'ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili; trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all'interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perché in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all'una o all'altra ipotesi (vedasi, ex multis, Cass., 5 maggio 2009 n. 10285). 
Tanto premesso in ordine ai principi, sostanziali e processuali, che governano l'accertamento della causalità in sede civile, occorre evidenziare come - secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione penale - in caso di morte conseguente a una grave patologia neoplastica, eziologicamente riconducibile ad esposizione ad amianto avvenuta durante la prestazione di attività lavorativa, la condotta imputabile al soggetto responsabile dell'esposizione ad amianto sia di natura commissiva e non omissiva, venendo in rilievo, prima ancora della mancata adozione di idonee misure di protezione della salute del lavoratore, l'esposizione dello stesso lavoratore all'azione oncogena di uno specifico fattore di rischio. 
A riguardo, si è, in particolare, precisato che “l'esposizione all'agente lesivo in modo improprio è frutto di una determinazione di tipo organizzativo che ha evidentemente un rilievo condizionante, giacché, se il lavoratore non fosse stato addetto a quella pericolosa lavorazione, l'evento non si sarebbe verificato” e che, dunque, “la condotta attribuibile ai responsabili dell'azienda è, nel suo nucleo significativo, attiva” (### 4, n. 43786 del 17/09/2010, ### e altri, Rv. 248943); in tale prospettiva, quindi, “la componente omissiva, in realtà, attiene alla connotazione colposa della condotta, essendo costituita dalla mancata adozione delle misure prevenzionali imposte dalla legge”. 
Ebbene, risulta d'immediata evidenza come un simile rilievo non abbia valore meramente teorico, essendo, per contro, suscettibile di indirizzare l'accertamento giudiziario, sia per il versante del soggetto attivo, che sul piano del nesso di causalità (Cass. pen., 7 dicembre 2017 n. 55005; Cass., pen., 31 gennaio 2018 n. 4560). 
Sotto quest'ultimo profilo, in particolare, la qualificazione della condotta come di natura commissiva semplifica l'accertamento del nesso di condizionamento (che, come noto, in tema di causalità omissiva, si atteggia quale accertamento doppiamente ipotetico), potendosi il giudice limitare, sotto il profilo eziologico, ad escludere l'incidenza, nel caso concreto, di eventuali decorsi alternativi, essendo esonerato dall'ulteriore compito di accertare anche l'idoneità della condotta lecita omessa ad impedire la verificazione dell'evento dannoso. 
Di talché, alla stregua delle conclusioni riportate dal perito dell'ufficio in punto di esclusione di fattori alternativi, deve giocoforza ritenersi accertato, nell'ipotesi de qua, il nesso di causalità tra la nocività ambientale, la patologia neoplastica contratta dalla lavoratrice e il decesso della medesima. 
Ma, anche a voler qualificare la fattispecie in controversia, in aderenza all'indirizzo giurisprudenziale più risalente, quale ipotesi d'imputazione dell'evento di danno ad omissione colposa - ipotesi in cui la riferibilità causale dell'evento alla condotta omissiva postula, oltreché l'esclusione di decorsi alternativi, anche l'accertamento che l'evento non si sarebbe verificato se l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli1 - la conclusione non muta. 
Anche in questo caso, invero, lo standard di “certezza probabilistica” richiesto non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa - statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), dovendo, invece, essere verificato - come già detto - sulla base degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). 
Segnatamente, tale metodo baconiano è basato sull'induzione eliminatoria, nel senso che un asserto è considerato tanto più probabile quante più ipotesi alternative ad esso sono state considerate e poi eliminate per falsificazione. 
A riguardo, giova preliminarmente evidenziare come le norme di prevenzione che risultano violate ad opera di parte datoriale sono molteplici. 
Gli articoli 2087 del c.c. e 32 della ### prevedono espressamente che “l'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” ed “il riconoscimento della tutela della salute come diritto dell''individuo e interesse della collettività”.  ###.P.R. n. 547 del 1955 e il D.P.R. n. 303 del 1956, in relazione alle conoscenze scientifiche del tempo, prevedevano alcuni criteri generali di prevenzione per quanto riguarda le polveri in generale.  1 In tale ipotesi, l'accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa, dunque, attraverso un giudizio doppiamente ipotetico, che pone, al posto dell'omissione, il comportamento alternativo dovuto, al fine di verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato. 
Indicavano, in particolare, le misure da adottare, individuando una serie di sostanze che implicavano “situazioni di maggior gravità” per le quali anche la liberazione di modeste quantità di polveri doveva essere prevenuta con adozione di mezzi generali e individuali di protezione. 
In particolare, il D.P.R. n. 303 del 1956, che riguardava le norme generali per l'igiene del lavoro: - all'Art. 4, rubricato “### dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti”, prevedeva: “I datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovraintendono alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze: a) attuare le misure di igiene previste nel presente decreto; b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza i modi di prevenire i danni derivanti dai rischi predetti; c) fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione; d) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di igiene ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione”; - all'Art. 9, rubricato “### dei luoghi di lavoro chiusi”, prevedeva: “1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente, anche ottenuta con impianti di areazione. 2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori”; - che, all'### 21, rubricato “### contro le polveri”, stabiliva: “Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro. 
Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera. 
Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad impedirne la dispersione. ### deve essere effettuata, per quanto possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri. 
Quando non siano attuabili le misure tecniche di prevenzione indicate nel comma precedente, e la natura del materiale polveroso lo consenta, si deve provvedere all'inumidimento del materiale stesso. 
Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e la eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse possano rientrare nell'ambiente di lavoro. 
Nei lavori all'aperto e nei lavori di breve durata e quando la natura e la concentrazione delle polveri non esigano l'attuazione dei provvedimenti tecnici indicati ai commi precedenti, e non possano essere causa di danno o di incomodo al vicinato, l'### del lavoro può esonerare il datore di lavoro dagli obblighi previsti dai commi precedenti, prescrivendo, in sostituzione, ove sia necessario, mezzi personali di protezione. 
I mezzi personali possono, altresì, essere prescritti dall'### del lavoro, ad integrazione dei provvedimenti previsti al comma terzo e quarto del presente articolo, in quelle operazioni in cui, per particolari difficoltà d'ordine tecnico, i predetti provvedimenti non sono atti a garantire efficacemente la protezione dei lavoratori contro le polveri”.   Nel 1965, con il D.P.R. n. 1124 del 1965 (### unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), è stata emanata la prima norma specifica riguardante l'amianto.  ### (articoli 140-177) sono state, infatti, emanate le disposizioni speciali per la silicosi e l'asbestosi al fine di prevenire, tra le altre cose, le patologie dei soggetti esposti in modo continuativo all'amianto in ambito lavorativo. 
Nel decreto, non si faceva cenno ad alcun limite di concentrazione nell'aria della sostanza, e si sottolineava l'importanza del controllo sanitario degli esposti per prevenire l'asbestosi, controllo che doveva, all'epoca, giovarsi di un periodico esame radiologico effettuato secondo modalità standardizzate e con risposta e classificazione secondo un codice internazionale ### La visita medica doveva essere effettuata secondo precisi indicatori semiologici e il risultato obiettivo e diagnostico trascritto in una dettagliata cartella medica personale. 
Si riportano, in particolare, alcuni articoli: Art. 157: “I lavoratori, prima di essere adibiti alle lavorazioni di cui all'art. 140, e, comunque, non oltre cinque giorni da quello in cui sono stati adibiti alle lavorazioni stesse, debbono essere sottoposti, a cura e a spese del datore di lavoro, a visita medica da eseguirsi dal medico di fabbrica, oppure da enti a ciò autorizzati, secondo le modalità di cui agli artt. 158 e seguenti, allo scopo di accertarne l'idoneità fisica alle lavorazioni suddette. 
Detti accertamenti debbono essere ripetuti ad intervalli non superiori ad un anno, ugualmente a cura e a spese del datore di lavoro”. 
Art. 160: “La visita medica di cui all'art. 157, comprende, oltre l'esame clinico, anche una radiografia del torace comprendente l'intero ambito polmonare”. 
La prima ordinanza specifica per l'amianto è rappresentata dall'Ordinanza del Ministero della ### del 26 giugno 1986, che dispone una restrizione alla commercializzazione e all'uso della crocidolite e dei prodotti che la contengono imponendo come termine ultimo l'aprile 1991. Tale ordinanza scaturisce dalle ricerche scientifiche ed epidemiologiche che, già in quel tempo, avevano accreditato la crocidolite (amianto blu) di un maggiore potere oncogeno. 
Alla predetta ordinanza è seguita la ### del 1° luglio 1986 n. 42 del Ministero della ### che ha fornito indicazioni esplicative per l'applicazione dell'ordinanza del 26 giugno 1986, seguita, infine, dalla ### del Ministero della ### del 10 luglio 1986 n. 45, che ha disposto un “piano di interventi e di misure per l'individuazione e l'eliminazione del rischio connesso all'impiego di materiali contenenti amianto in edifici scolastici e ospedalieri pubblici e privati”. 
Restrizioni più consistenti sono state, quindi, introdotte con il D.P.R. n. 215 del 24 maggio 1988, con cui è stato sancito il divieto di commercializzazione e di uso esteso a tutti i tipi di amianto contenuti in una serie di prodotti anche se, per alcuni di questi prodotti, è stata prevista una deroga sino all'aprile 1991. 
È stata anche disposta l'introduzione dell'etichettatura dei rifiuti contenenti l'amianto ancora in commercio. 
Con la L. n. 257 del 27 marzo 1992, è stato sancito, in ### il divieto di estrazione, importazione, esportazione, commercializzazione, produzione di amianto o prodotti contenenti amianto. 
Con norme successive, che hanno recepito regolamenti europei - come il ### (#####and ### of ### e il CLP (Classification, ### and ### - sono stati, infine, introdotti restrizioni, divieti ed obblighi ulteriori, mediante la predisposizione di norme specifiche per la tutela dei lavoratori dall'esposizione all'amianto; norme che hanno di fatto anticipato le più dettagliate prescrizioni in tema di organizzazione della tutela della salute successivamente introdotte, dapprima con il D.Lgs. n. 626 del 1994, e, poi, con il D.Lgs. n. 81 del 2008.  ### posto, dunque, poiché le norme di prevenzione violate sono molte e non è possibile escludere, sulla base del principio “del più probabile che non”, un'incidenza causale di ciascuna di esse nella riduzione del rischio, anche a voler prescindere dalla ricostruzione di recente patrocinata dalla giurisprudenza penale e qualificare la condotta datoriale come omissiva, dovrebbe, comunque, ritenersi dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra la condotta ### delle convenute e la patologia che ha causato il decesso della sig.ra D'#### posto, giova evidenziare che i ricorrenti hanno agito, iure hereditatis, facendo valere la responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. gravante sul datore di lavoro; la norma citata, secondo la quale “l'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” configura una responsabilità, in capo al datore di lavoro, di natura contrattuale, per i danni alla salute psico-fisica del lavoratore e alla sua personalità morale, atteso che l'art. 2087 c.c. deve essere letto alla luce dell'art. 1218 c.c. e, conseguentemente, provato da parte del lavoratore il danno, l'insalubrità dell'ambiente di lavoro e il nesso causale tra il secondo e il primo, spetta al datore di lavoro provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, provare cioè che l'inadempimento è stato determinato da “impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. 
Come noto, la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, non è, tuttavia, circoscritta alla violazione di regole d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della sua maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico ( ### Sez. L., n.644 del 14 gennaio 2005; ### L., Sentenza n. 24217 del 13/10/2017). 
Dunque, mentre nel caso in esame i ricorrenti - eredi del lavoratore - hanno provato l'insalubrità dell'ambiente lavorativo (esposizione ad amianto) ed il danno (mesotelioma/danno alla salute psicofisica/decesso), alcuna prova hanno dato le resistenti di aver adottato, per tutto il periodo di esposizione, misure atte ad evitare o a ridurre inalazione di fibre di amianto da parte degli operatori sanitari, né predisponendo dispositivi atti ad evitare l'esposizione, né impartendo un'adeguata informazione/formazione ai predetti operatori sui pericoli connessi all'esposizione ad amianto; parte datoriale, anzi, sostenendo la tesi della non conoscibilità, all'epoca della presunta esposizione, della pericolosità dell'amianto (oltreché della presenza di amianto presso gli ambienti di lavoro frequentati dalla ###ssa D'###, hanno implicitamente confermato che alcun accorgimento specifico è stato adottato. 
Non può nemmeno dirsi che il datore di lavoro vada esente da responsabilità in quanto non sia possibile provare che la rigorosa osservanza, da parte sua, della normativa vigente all'epoca in cui si ritiene che la lavoratrice abbia assorbito l'amianto e l'adozione di comportamenti suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche dell'epoca avrebbero evitato l'evento dannoso con alto grado di probabilità. 
Le datrici di lavoro resistenti, infatti, non solo non hanno dimostrato di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma è anche emerso - alla stregua di quanto osservato - che le stesse non hanno adottato alcun mezzo di protezione dei lavoratori affinché gli stessi fossero tutelati dall'inalazione di fibre di amianto. 
Sono state, pertanto, violate le regole enucleabili dall'art. 2087 c.c. ma anche i precetti di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, in precedenza indicati. 
Si osserva, peraltro, come la conoscenza della pericolosità dell'amianto fosse già diffusa all'epoca del verificarsi dell'esposizione della lavoratrice, poiché, come detto, già dal 1943, era in vigore una legge - L. 12 aprile 1943, n. 455 - sull'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi, non rilevando, per contro, ai fini dell'affermazione della responsabilità del datore di lavoro, la conoscenza dell'evento dannoso conseguente alla esposizione insalubre (silicosi, asbestosi, mesotelioma, cancro, placche ecc.), quanto la conoscenza della dannosità della materia alla quale è stata esposta la lavoratrice senza adottare le più opportune precauzioni. 
Peraltro, se fosse dimostrato che l'adozione di alcuna misura era in grado di evitare pericoli per la salute della lavoratrice, si dovrebbe, allora, concludere che la lavoratrice non doveva essere esposta all'inalazione di fibre di amianto. 
Tali conclusioni, oltreché discendere dalla rigorosa applicazione del dettato normativo in precedenza richiamato, sono peraltro pacifiche presso la giurisprudenza di legittimità. 
Anche recentemente la S.C. ha, invero, precisato come “in materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli artt. 174 e 175 del D.P.R. n. 1124 del 1965 all'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 1956 - norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini) di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza - comporta che non sia sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. tlv, “threshold limit value”), poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte” (vedasi, sul punto, Cass. n. 18503 del 21/09/2016) ed, altresì, che “in tema di responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l'esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo, in caso contrario, a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie” (vedasi, sul punto, Cass. n. 10425 del 14/05/2014). 
Facendo, dunque, applicazione dei predetti principi di diritto, deve, dunque, ritenersi, con un grado di probabilità vicino alla certezza, che l'esposizione ad amianto subita presso la datrice di lavoro, abbia causato - per le ragioni ampiamente esposte dal perito dell'### nella consulenza tecnica in atti - il mesotelioma pleurico che ha poi condotto a morte la ###ra ### D'### Deve pertanto accertarsi e accertarsi e dichiararsi che la malattia patita in vita dalla ###ra ### D'### e che ne ha causato la morte (mesotelioma pleurico) è ascrivile alla responsabilità contrattuale delle resistenti, con conseguente obbligo risarcitorio in capo alle stesse.   Quanto al risarcimento del danno non patrimoniale, devono brevemente richiamarsi i principi espressi dalle ### 26972 del 11/11/2018 (c.d. sentenze di ###, secondo le quali l'art. 2059 cod. civ. non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, distinta da quella di cui all'art. 2043 c.c., ma si limita a disciplinare i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 c.c.: e, cioè, la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. ### differenza tra il danno non patrimoniale e quello patrimoniale consiste pertanto nel fatto che quest'ultimo è risarcibile in tutti i casi in cui ricorrano gli elementi di un fatto illecito, mentre il primo lo è nei soli casi previsti dalla legge. 
Ad avviso del S.C., secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art.  2059 cod. civ., che il danno non patrimoniale sia risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge” significa che esso è risarcibile: ### quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; ### quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di un'ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso, la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); ### quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso, la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. 
In tale ultimo caso (danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti), il danno non patrimoniale è risarcibile - sempre sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. - anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: ### che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale; ### che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità; ### che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità. 
Pertanto, il danno non patrimoniale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge, o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla ### è risarcibile sia quando derivi da un fatto illecito, sia quando scaturisca da un inadempimento contrattuale. 
Quanto ai criteri di liquidazione, il S.C. ha, altresì, precisato che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, con la conseguenza che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. Peraltro, quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato, ove tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione. 
Non è, inoltre, ammissibile, nel nostro ordinamento, l'autonoma categoria di “danno esistenziale”, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., interpretato in modo conforme a ### con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel “danno esistenziale” si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 cod.  Nonostante le successive decisioni delle sezioni semplici - le quali paiono discostarsi da tali assunti sotto vari aspetti - ritiene il ### di attenersi ai principi espressi dalle ### che ricostruiscono compiutamente la nozione del danno non patrimoniale. 
Per quanto attiene allo specifico caso in esame, inoltre, vertendosi nell'ambito del risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo alle lesioni, deve rilevarsi come non vi sia alcun contrasto nella giurisprudenza della Corte (che prende le mosse dalla sentenza delle sezioni unite del 22 dicembre 1925) sul diritto iure hereditatis al risarcimento dei danni che si verificano nel periodo che va dal momento in cui sono provocate le lesioni a quello della morte conseguente alle lesioni stesse, diritto che si acquisisce al patrimonio del danneggiato e, quindi, è suscettibile di trasmissione agli eredi.  ### distinzione che si registra negli orientamenti giurisprudenziali riguarda la qualificazione, ai fini della liquidazione, del danno da risarcire che, da un orientamento, con “mera sintesi descrittiva” (cass. n. 26972 del 2008), è indicato come “danno biologico terminale” (cass. n. 11169 del 1994, n. 12299 del 1995, n. 4991 del 1996, 1704 del 1997, n. 24 del 2002, n. 3728 del 2002, n. 7632 del 2003, n 9620 del 2003, 11003 del 2003, n. 18305 del 2003, n. 4754 del 2004, n. 3549 del 2004, n. 1877 del 2006, n. 9959 del 2006, n. 18163 del 2007, n. 21976 del 2007, n. 1072 del 2011) - liquidabile come invalidità assoluta temporanea, sia utilizzando il criterio equitativo puro che le apposite tabelle (in applicazione dei principi di cui alla sentenza n. 12408 del 2011) ma con il massimo di personalizzazione in considerazione della entità e intensità del danno - e che, per contro, da altro orientamento, è classificato come danno “catastrofale” (con riferimento alla sofferenza provata dalla vittima nella cosciente attesa della morte seguita dopo apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni). 
Il danno “catastrofale”, inoltre, per alcune decisioni, ha natura di danno morale soggettivo (cass. n. 28423 del 2008, n. 3357 del 2010, n. 8630 del 2010, n. 13672 del 2010, n. 6754 del 2011, n. 19133 del 2011, n. 7126 del 2013, n. 13537 del 2014) e, per altre, di danno biologico psichico (Cass. n. 4783 del 2001, n. 3260 del 2007, n. 26972 del 2008, n. 1072 del 2011). 
Ma da tali incertezze non sembrano derivare differenze rilevanti sul piano concreto della liquidazione dei danni perché, come già osservato, anche in caso di utilizzazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico psichico dovrà procedersi alla massima personalizzazione per adeguare il risarcimento alle peculiarità del caso concreto, con risultati sostanzialmente non lontani da quelli raggiungibili con l'utilizzazione del criterio equitativo puro utilizzato per la liquidazione del danno morale (vedasi, sul punto, Cass. SS.UU. 15350/2015). 
Da ultimo, deve darsi atto che - poiché, in via di principio, nella liquidazione del danno non patrimoniale, non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura non fondata su criteri obiettivi (i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all'apprezzamento della gravità del danno, delle condizioni soggettive della persona, dell'entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d'animo) - per garantire l'adeguata valutazione del caso concreto e l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, sembra equo, in assenza di altri parametri, adottare il criterio di liquidazione predisposto dalle recenti predisposte dall'### del Tribunale di Milano per la liquidazione del c.d. “danno terminale”. 
Tali tabelle tengono conto dei seguenti principi: - l'unitarietà ed omni-comprensività del concetto di “danno terminale”, che, come detto, alla luce dell'insegnamento delle ### nelle sentenze gemelle dell'11 novembre 2008, nn. 26972-3-4-5, ricomprende al suo interno ogni aspetto biologico e sofferenziale connesso alla percezione della morte imminente (e, dunque, i pregiudizi altrimenti definiti come “danno biologico terminale”, da “lucida agonia” o “morale catastrofale”, nonché il danno biologico temporaneo “ordinario”, da intendersi in esso assorbito); - la durata limitata del danno, derivante dalla stessa definizione del danno come terminale (durata temporanea convenzionalmente stabilita in un periodo massimo di 100 giorni, oltre il quale il danno terminale non può prolungarsi, risultando risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario); - la coscienza del danneggiato, non essendo il danno in re ipsa ed occorrendo, quindi, la percezione della fine imminente; - l'intensità decrescente, basata sull'esperienza medico legale, secondo la quale il danno tende a decrescere col passare del tempo, dal momento che la massima sofferenza è percepita nel periodo immediatamente successivo all'evento lesivo per poi scemare nella fase successiva (tale criterio verosimilmente non è perfettamente in linea con la gravità ingravescente della patologia che ha condotto a morte il de cuius, ma resta, comunque, applicabile anche nella presente fattispecie, sia pure con un calcolo a ritroso, ipotizzando la massima sofferenza nei giorni immediatamente precedenti il decesso); - il metodo tabellare, che - pur nella ribadita difficoltà di individuare una “regola” che valga per tutte le variegate fenomenologie di danno terminale - assegna a ciascun giorno di sofferenza, nei limiti del tetto di 100 giorni complessivi, un valore progressivamente - e convenzionalmente - decrescente, sino ad agganciarsi, al 100° giorno, alla valutazione del danno biologico temporaneo ordinario, dopo di che torneranno ad applicarsi i valori pro die previsti per il danno biologico temporaneo; - la quantificazione del danno sulla base di una tabella che prevede la liquidazione di un danno terminale massimo di ### 30.000 per i primi 3 giorni (valore non ulteriormente personalizzabile), oltre ad ### 53.234 per i giorni residui dal 4° sino ad arrivare al 100° (personalizzabili sino ad un massimo del 50%); ed in ### 149 per ciascuno dei giorni di malattia eccedenti i primi cento (99 euro con aumento personalizzato del 50%). 
Dunque, a mente delle ### del Tribunale di Milano dell'8.3.2021, che qui integralmente si richiamano dandosi per trascritte, tenendo conto dei criteri previsti al caso in esame, il danno deve essere quantificato tenendo conto: - che, nel caso di specie, tra la diagnosi della malattia (che, alla stregua di quanto dichiarato dalla stessa parte ricorrente ed evincibile documentalmente sulla base della cartella clinica della paziente relativa al ricovero all'esito del quale è cronologicamente collocabile la definizione diagnostica della malattia) risalente al 3.12.2010 ed il decesso, occorso in data ###, sono intercorsi 793 giorni; - che, trattandosi degli ultimi giorni di vita della sig.ra D'### deve farsi riferimento ai valori previsti - in assenza di altri parametri - dalla tabella proposta dall'### sulla ### di ### per la liquidazione del c.d. “danno terminale”; - che, quindi, il danno deve essere quantificato in ### 30.000 per i primi 3 giorni oltre ad ### 53.234 per i giorni residui sino ad arrivare a 100 (personalizzati fino al massimo del 50%), ed in ### 103.257,00 per i giorni di malattia eccedenti i primi 100 (somma ottenuta moltiplicando l'importo giornaliero di ### 149,00 - ovvero il massimo riconoscibile per il danno biologico temporaneo - per il periodo antecedente a tali 100 gg e sino al giorno dell'acquisita consapevolezza del certo sopraggiungere della morte e a prescindere dall'entità della malattia sofferta, che, nel caso in esame, per le ragioni anzidette, si ritiene doversi collocare il ###; - che, la personalizzazione nella misura del 50% è giustificata dalla particolarità della patologia (neoplasia di estrema gravità con prognosi infausta), dalla consapevolezza del de cuius dell'approssimarsi della fine e dalle condizioni fisiche in cui versava nel periodo di riferimento2; 2 Sul punto, il CTU ha così argomentato: “### la vicenda di cui ci si occupa merita una proposta valutativa più articolata. Si deve riflettere sul fatto che il livello culturale della sig.ra D'### e la professione del coniuge ### hanno comportato, e fin dall'inizio, piena consapevolezza della gravità della malattia neoplastica diagnosticata nel 2010, nonché delle prospettive di un esito infausto nel breve-medio termine. Ora, nonostante la scelta di sottoporsi a terapie devastanti (pleuropneumonectomia e resezione di metà del diaframma) nonché a plurimi cicli di chemioterapia altamente invalidanti - indicativi di una tenace volontà di arrestare il tumore - è ragionevole - che, pertanto, il danno iure hereditario deve essere equitativamente quantificato in complessivi ### 213.108,00, da corrispondersi a ciascuna delle eredi pro-quota.  ### quanto stabilito con diverse pronunce dalla Suprema Corte (ex multis: Cass., 8 aprile 2002, n. 5024; Cass., 10 settembre 2010, n. 19348; Cass., 1 luglio 2011, 14507), su tale somma spettano poi la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente dalla data della sentenza sino al saldo ai sensi dell'art. 429 c.p.c., norma applicabile anche il risarcimento del danno subito dal lavoratore per la mancata predisposizione, da parte dell'imprenditore, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti, essendo tale danno di origine contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro. 
Quanto al riconoscimento del danno differenziale, il giudicante si limita ad osservare - nei limiti propri della presente motivazione - che esso discende dalla previsione di cui all'art. 10, commi 6 e 7, D.P.R. n. 1124 del 1965 e 1227 Pertanto, il datore di lavoro - qualora non operi la regola dell'esonero - è tenuto a pagare la differenza tra quanto liquidato dall'I.n.a.i.l. e quanto lo stesso è tenuto a pagare in base ai criteri civilistici (c.d. danno differenziale quantitativo) ed a risarcire i danni non coperti dall'assicurazione I.n.a.i.l. (c.d. danno differenziale qualitativo o danno complementare), in quanto “la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale (a norma dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale), riguarda solo le componenti del danno coperte dall'assicurazione obbligatoria, la cui individuazione è mutata nel corso degli anni” ( vedasi Cass. n. 10834 del 05/05/2010).  considerare il potenziale biologico della paziente annullato fin dall'epoca della diagnosi. In altre parole, la piena coscienza di una malattia ad esito sicuramente infausto nel breve termine, congiunta con le gravi sofferenze indotte dalle procedure chirurgiche (anche diagnostiche) e dalla chemioterapia, collocano il soggetto nella prospettiva di annullamento di ciò che si potrebbe chiamare “spendibilità biologica”; viene cioè annientato tutto ciò che attiene all'espressione della propria condizione umana, salvo, appunto, quella patologica”. 
Sebbene l'indennizzo I.n.a.i.l. assolva ad una funzione sociale e sia finalizzato a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore - secondo quanto previsto dall'art. 38 della ### - ed il sistema civilistico sia finalizzato a risarcire il danno nella esatta misura in cui si è verificato, tuttavia, “il principio della compensatio lucri cum damno, in forza del quale il risarcimento non deve costituire fonte di lucro per il danneggiato” comporta che “se dal fatto dannoso derivi qualche vantaggio, se ne deve tenere conto nella liquidazione del danno, sottraendolo al risarcimento” (vedasi Cass n. 23563 del 12/09/2008). 
Nel caso in esame, tuttavia, si verte nell'ipotesi di danno complementare, ovvero di danno per il quale non è prevista la copertura assicurativa trattandosi di danno terminale/tanatologico, morale e danno biologico temporaneo, con i relativi aumenti per la personalizzazione, atteso che “se non si fa luogo a prestazione previdenziale non c'è assicurazione; mancando l'assicurazione cade l'esonero” (### n. 319 del 1989, 356/1991, 485/1991; ed ancora S.C. n. 10834 del 05/05/2010 citata), ove l'esonero può riguardare soltanto le prestazioni contemplate dall'art. 66 TU 1124/1965, avuto riguardo all'art. 13 D.Lgs. n. 38 del 2000, e, quindi, il danno patrimoniale per inabilità temporanea, il danno biologico permanente dal 6%, il danno patrimoniale dal 16%, la rendita ai superstiti, le spese mediche pagate dall'I.n.a.i.l. 
Alla stregua di tutte le considerazioni svolte, deve, dunque, concludersi come da dispositivo.  3. Le spese di lite. 
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.) e si liquidano come da dispositivo. 
Parimenti, le spese di ### come separatamente liquidate in corso di causa, debbono essere poste definitivamente a carico delle resistenti.  P.Q.M.   Il Tribunale di ### - ### in persona del Giudice dott.ssa ### definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, disattesa o assorbita ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) Accerta e dichiara che la malattia patita in vita da ### D'### e che ne ha causato la morte è ascrivibile alla responsabilità di ### e ### dell'### n. 4 ### e, per l'effetto, dichiara tenute e, pertanto, condanna le predette ### in solido, a corrispondere ai ricorrenti, in qualità di eredi di ### D'### a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dal de cuius, la somma complessiva di ### 213.108,00, oltre interessi sulla somma annualmente rivalutata dalla data della presente sentenza al saldo, da corrispondersi a ciascun erede pro-quota.  2) Condanna le ### resistenti, a rifondere alle parti ricorrenti le spese di lite, che liquida in complessivi ### 24.000,00 per compensi professionali, ### 607,00 per spese, oltre ### e rimborso spese forfettarie nella misura del 15%.  3) Pone definitivamente a carico delle ### resistenti le spese di CTU come già separatamente liquidate in corso di causa. 
Indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza. 
Così deciso in ### il 1° marzo 2022.  ###ssa ### n. 794/2017

causa n. 794/2017 R.G. - Giudice/firmatari: Zampieri Ilaria

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