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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE PRIMA CIVILE in persona del dott. ### in funzione di Giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. ###/2013 R.G. promossa da: ### (C.F. ###), ### (C.F. ###), ### (C.F. ###), #### (C.F ###), ### (C.F. ###), tutti res. in Grugliasco, rappresentati e difesi per procura a margine della citazione dagli avv. ### URSITTO e ### - con studio in ### 12 10138 TORINO - attori contro ### (C.F. ###), rappresentata e difesa per procura generale 2.10.2012 dall'avv. ### - con studio in ### 6 10123 TORINO - convenuto/i ####: Per gli attori, come in citazione: “- dichiarare che il contratto di conto corrente n. 18327 e quello di apertura di credito a valere sullo stesso, sono anche disgiuntamente tra loro nulli e inefficaci per mancanza di forma scritta e/o per non aver provveduto l'### di credito provveduto a consegnare all'attrice una copia sottoscritta dei contratti; - dichiarare che sul contratto di apertura di credito a valere sul c/c n. 18327 sono stati applicati interessi ultralegali, anatocistici con capitalizzazione trimestrale, usurari, c.m.s., costi competenze e remunerazioni e comunque altri corrispettivi, in violazione di norme imperative e/o comunque in difetto di valida convenzione tra le parti; - dichiarare che ### S.r.l. non è debitrice di ### ma è creditrice della somma che andrà determinata in corso di causa; … omissis … Con vittoria di spese”.
Per la convenuta, come in comparsa di risposta: “nel merito, respingere le domande tutte proposte dagli attori nei confronti di ### e per l'effetto dichiarare che nessuna somma è dovuta ad alcun titolo da parte della convenuta; in via subordinata, per la denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere dovuta una qualsiasi somma dalla convenuta in favore dell'attrice; previa declaratoria di intervenuta prescrizione dell'avversa domanda di ripetizione di indebito per il periodo antecedente al 30.6.2003 o la diversa data accertanda in corso di giudizio; limitare tale condanna alla minor somma accertanda in corso di causa, tenuto conto dei criteri di verifica e esistenza di tali somme come indicate in narrativa. Con vittoria di spese”. #### S.r.l. e i suoi fideiussori ### e ##### e ### hanno agito nei confronti di ### in accertamento negativo del saldo debitore del c/c n. 18327, acceso a nome di ### S.r.l.. Hanno dedotto la nullità dei contratti di c/c e di apertura di credito per carenza di forma scritta a pena di nullità e/o per non averne ricevuto copia, l'applicazione sul c/c di interessi ultralegali, anatocistici, usurari e di c.m.s. e spese non dovute.
Chiesto conseguentemente il ricalcolo del saldo dare-avere e la condanna della banca a corrispondere alla ### S.r.l. le somme indebitamente corrisposte.
La banca, tempestivamente costituitasi in giudizio, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità dell'azione di ripetizione dell'indebito, essendo il c/c ancora acceso alla data della citazione, e delle eccezioni di nullità proposte dai garanti, per l'autonomia dell'obbligazione di garanzia rispetto al debito principale. Nel merito ha eccepito la prescrizione delle competenze indebite, pagate oltre dieci anni prima della notifica della citazione (30.6.2013), e chiesto il rigetto di tutte le domande.
La causa è stata istruita tramite C.T.U. contabile. All'udienza di p.c. gli attori hanno dato atto del fallimento di ### S.r.l.. Il giudice ha dichiarato interrotto il processo limitatamente alla posizione della detta società e trattenuto la causa a decisione nei rapporti tra i fideiussori e la banca.
Gli attori non hanno depositato conclusionale. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La dichiarazione di fallimento della ### S.r.l. ha implicato l'interruzione del processo, senza che peraltro la curatela abbia ritenuto di riassumere il giudizio, con riguardo al correntista. Ciò implica una restrizione del giudizio, sia sul piano soggettivo, restando in causa contro la banca soltanto i garanti, sia conseguentemente sul piano oggettivo, poiché la sola correntista ha chiesto “condannare ### alla restituzione in favore della ### S.r.l. delle somme indebitamente addebitate e/o riscosse, così come sopra accertate e dichiarate” e quindi proposto domanda di ripetizione.
I fideiussori, per quanto di loro interesse, hanno chiesto l'accertamento negativo del saldo debitore del c/c n. 18327, eccependo anch'essi l'assenza di forma scritta dei contratti di c/c e aperture di credito collegate, la nullità di clausole contrattuali, l'indebita e-o illecita applicazione di interessi e competenze. 2. La banca s'è difesa nei confronti dei garanti, contestando anzi tutto la facoltà di avvalersi delle eccezioni spettanti al debitore principale, per aver essi rilasciato (cfr. doc. 2 banca) garanzie autonome a prima richiesta e senza eccezioni e non ordinarie fideiussioni. Deduce tale natura dall'art. 7 delle condizioni generali di contratto, che prescrive al fideiussore di pagare immediatamente “a semplice richiesta scritta di codesta banca e indipendentemente da eventuali eccezioni del debitore” e dall'art. 8 che fa salva la validità della garanzia, indipendentemente dalla validità dell'obbligazione principale.
È infondata. 1) Il tenore letterale delle garanzie qualifica chiaramente in più luoghi l'impegno assunto come “fideiussione”, di modo che, se anche esistesse un dubbio, ma così non è, il criterio dell'interpretazione contro il predisponente (art. 1370 c.c.) dovrebbe ricondurre la figura alla fideiussione regolata dal codice civile anziché alla garanzia autonoma. 2) ###. 7 nella parte in cui prevede l'impegno del fideiussore a pagare immediatamente non configura una garanzia autonoma, astratta rispetto all'obbligazione principale, poiché non prevede che le eccezioni pertinenti al rapporto principale siano sic et simpliciter irrilevanti nei rapporti tra garante e creditore. 3) Si trae conferma della natura accessoria e non autonoma della garanzia dall'art. 81 che, per l'eventualità che il rapporto principale sia dichiarato nullo, fa salvo l'obbligo di garanzia del fideiussore nei limiti “delle somme comunque erogate”: ergo, implicitamente, ma in modo comunque non equivoco, consente al fideiussore di far valere la nullità del rapporto principale al fine di esonerarsi dal pagamento di interessi ultra-legali, spese e ogni altra competenza della banca diversa dal puro e semplice rimborso della sorte capitale (id est le “somme comunque erogate”). ### contrattuale in esame pertanto, irriducibile a una garanzia autonoma, deve propriamente qualificarsi in sintonia con la condivisa giur. di legittimità (cfr. Cass. 21.2.2008 n. 4446; 28.2.2007 n. 4661) come clausola di solve et repete. Tale qualifica avvia il discorso a conclusione, visto che “in presenza della c.d. clausola di solve et repete il garante può far valere le eccezioni inerenti direttamente al contratto di fideiussione, quelle relative all'invalidità dello stesso, quelle concernenti la contrarietà del comportamento del beneficiario ai principi di correttezza e buona fede e, infine, quelle relative alla nullità del contratto da cui deriva l'obbligazione principale” (Cass. 29.3.1996 n. 2909).
Sono quindi ammissibili le eccezioni di assenza e/o nullità dei contratti e delle clausole contrattuali e di invalidità/illegittimità degli addebiti conseguenti. 3. La banca ha contestato in citazione l'ammissibilità di un'azione di ripetizione dell'indebito perché proposta prima della chiusura del c/c. ### ha perso di consistenza per due concorrenti ordini di motivi. In primo luogo, la domanda di ripetizione non appartiene più al thema decidendum a seguito del fallimento della correntista (§ 1). ### la dichiarazione di fallimento ha determinato lo 1 Art. 8: “Invalidità dell'obbligazione garantita. - Nell'ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione si intende fin d'ora estesa a garanzia dell'obbligo di rimborso delle somme comunque erogate” . scioglimento del contratto di conto corrente (art. 78 l.f.), con conseguente chiusura del c/c e cristallizzazione del saldo.
È quindi certamente decidibile, in disparte ogni altra considerazione in merito all'ammissibilità della domanda di ricalcolo del saldo proposta a c/c ancora aperto, la domanda di accertamento negativo del saldo debitore proposta dai fideiussori. È superfluo osservare che essi hanno pieno, perfino ovvio, interesse ad agire, per far accertare giudizialmente che il debito, di cui rispondono come garanti, non esiste o esiste per un ammontare inferiore rispetto alla pretesa ex adverso. 4. Gli attori contestano la carenza di forma scritta dei contratti di c/c e di apertura di credito. La banca ha prodotto (doc. 8; vedilo riprodotto anche in all. C.T.U.) il contratto di c/c, datato 18.4.1990, intestato a ### S.n.c.2, e ha prodotto (sub doc. 10) tutte le diverse aperture di credito in c/c concesse alla società, dal 1990 in avanti (vedi riepilogo a pag. 12 C.T.U.).
Ciascuno di questi documenti reca sottoscrizione in calce per la società. Ad es. il contratto di c/c è firmato da ### e ### Non è contestata l'autenticità delle firme, né la legittimazione dei soci a impegnare la società. Manca in taluni dei documenti prodotti la sottoscrizione della banca, ma questa carenza non appare inficiare la conclusione del contratto in forma scritta. 4.1. I commi 1 e 3 dell'art. 117 TUB prevedono rispettivamente che “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” e che “nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”. Analogamente l'art. 23 del TUF prevede che "i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento (...) sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (...) Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo".
Nessuna di queste previsioni normative discosta la forma del contratto concluso dall'intermediario bancario o finanziario dal comune onere di forma scritta a pena di nullità, il quale è soddisfatto se la dichiarazione, fatta per iscritto, è anche sottoscritta dalla parte che si obbliga: sottoscrizione che al contempo individua l'autore dell'atto e ne implica la volontà di impegnarsi giuridicamente.
Poiché nel contratto di conto corrente di corrispondenza entrambe le parti assumono obblighi, non soltanto il cliente, ma anche l'intermediario bancario ha l'onere di sottoscrivere affinché il contratto possa ritenersi esistente, secondo le regole di diritto comune.
Non offre argomenti di segno contrario, per l'esonero della banca dalla sottoscrizione, l'art. 127 TUB o l'art. 23 co. 3 del TUF che, regolando il regime rimediale, riserva al cliente l'eccezione di nullità delle disposizioni in tema di trasparenza o ne consente al giudice il rilievo officioso soltanto nell'interesse del cliente.
Con riguardo all'onere di forma scritta, la riserva al cliente dell'eccezione implica, con evidente 2 Si tratta della stessa società, trasformatasi in S.r.l. con atto 16.6.2006 (vedi visura camerale in atti, ). deroga al regime della nullità di diritto comune, che il cliente possa far valere esistenza ed effetti del contratto bancario amorfo, agire per il suo adempimento, contestare alla banca la responsabilità contrattuale per l'inesatta esecuzione dei servizi resi, pur senza un titolo contrattuale scritto e sottoscritto dalla banca. Reciprocamente, l'intermediario non può far valere la nullità, per mancanza della propria sottoscrizione, al fine di esimersi dalla prosecuzione del contratto e/o dalla sua esecuzione, secondo la diligenza del banchiere professionale, proprio perché l'eccezione è riservata al cliente (cfr. per alcune delle implicazioni dell'art. 127 TUB, applicato all'onere di forma scritta a pena di nullità ### Torino 31.10.2014, ### Torino 11.3.2015, ### Torino 2.7.2015). ###. 127 TUB indubbiamente pone il cliente dell'intermediario bancario finanziario in posizione migliore rispetto al contraente di diritto comune, consentendogli l'azione in giudizio, non soltanto per la nullità, ma anche per l'adempimento pur quando non abbia a sue mani un esemplare sottoscritto dall'intermediario.
È tuttavia norma sugli effetti/rimedi e non offre elementi per decidere se, per la formazione di un valido contratto, siano necessarie le sottoscrizioni di entrambe le parti o del solo cliente, né se il contratto bancario si qualifichi amorfo in assenza dell'una o dell'altra firma oppure della firma del solo cliente. La risoluzione della questione, pertinente alla fattispecie, interessa il solo art. 117 il quale, come già detto, non contiene elementi per disattendere il modello del codice.
Al contempo, gli artt. 117 TUB e 23 TUF non consentono di affermare che il contratto dell'intermediario bancario o finanziario sia soggetto a regole di formazione e prova in giudizio diverse e più rigorose di quelle previste per i contratti di diritto comune, da farsi per iscritto a pena di nullità. In particolare, deve ritenersi ammissibile la conclusione mediante scambio di corrispondenza (inter absentes), visto che l'art. 117 co. 1 TUB non prescrive che risultino da unico documento le sottoscrizioni di entrambe le parti.
Seguendo questa modalità formativa, il contratto consta da uno scambio di proposta e accettazione, o dalla redazione in più esemplari, di cui ogni contraente sottoscrive il solo esemplare che lascia a mani dell'altro.
Condizioni per la valida conclusione per corrispondenza sono che: 1) il regolamento di interessi sia fatto per iscritto; 2) proposta e accettazione, scritte e di identico contenuto, siano sottoscritte da ambedue le parti; 3) il proponente abbia conoscenza dell'accettazione dell'oblato, scritta e sottoscritta.
Date queste condizioni, il contratto si perfeziona nel momento in cui giunge al proponente conoscenza dell'accettazione (art. 1326 c.c.). 4.2. La prova in giudizio del contratto, soggetto a forma scritta a pena di nullità e concluso per scambio di corrispondenza, presenta profili peculiari, che non si manifestano nel caso in cui il contratto si formi per sottoscrizione contestuale di una dichiarazione comune.
Il punto critico verte sulla prova della sottoscrizione propria della parte che fa valere in giudizio il documento (per comodità “l'attore”) e dell'identità di contenuto tra proposta e accettazione. Solo dalla riunione di entrambi gli esemplari può verificarsi la duplice sottoscrizione e l'identità dei contenuti, ma in una lite in cui si controverta di validità e adempimento del contratto, la parte (per comodità “il convenuto”) nei cui confronti il contratto è fatto valere, per i suoi effetti negoziali, naturalmente non ha interesse a produrre l'esemplare a sue mani.
La prova di esistenza dell'esemplare contenente la sottoscrizione dell'attore non può neppure essere offerta per testi o presunzioni, salvo il caso di perdita incolpevole (art. 2724 n. 3 c.c.). La più recente giurisprudenza esclude, tuttavia, che la volontaria consegna al convenuto dell'esemplare sottoscritto integri la nozione di “perdita” del documento, o di perdita incolpevole, pur nel caso in cui il convenuto rifiuti la restituzione, ed esclude pertanto l'ammissibilità della prova per testi e/o presunzioni della circostanza della consegna, anche al limitato fine di ottenere un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. (Cass. 3.4.1970 n. 880; Cass. 6.5.1980 n. 2989; Cass. 26.3.1994 n. 2951; Cass. 19.4.1996 n. 3722; Cass. 23.12.2011 n. 28639). In senso contrario, con specifico riguardo al contratto fatto per corrispondenza, hanno affermato che il rifiuto del convenuto integra un caso di “perdita incolpevole” del documento agli effetti dell'art. 2724 n. 3 c.c. i precedenti di Cass. 29.12.1964 n. 2974; 11.6.1971 n. 1781; Cass. 12.11.1975 n. 3813. ### un ampio filone giurisprudenziale (tra molte Cass. 7.10.1982 n. 5148; Cass. 12.8.1992 9525; Cass. 4.6.1993 n. 6232; Cass. 2.1.1997 n. 2; Cass. 6.12.2007 n. 25435), neppure può darsi prova indiretta dello scritto, e della sottoscrizione dell'attore, tramite dichiarazioni confessorie del convenuto, visto che la forma prevista a pena di nullità è materia indisponibile dall'autonomia negoziale. Per lo stesso motivo, ribadito dall'espresso divieto di legge (art. 2739 c.c.), non è ammesso il giuramento sulla conclusione del contratto solenne.
Evidente, tuttavia, che non si può ammettere lo scambio di corrispondenza, come mezzo idoneo alla conclusione di contratti soggetti a forma scritta a pena di nullità, e al contempo negare (non di diritto, ma senz'altro in via di fatto) la prova dell'avvenuta conclusione del contratto nel caso di controversia.
Avvertendo ciò, per circa un settantennio, la giurisprudenza di legittimità (il primo precedente noto risulta essere Cass. 19.7.1946 n. 926; cfr. in seguito Cass. 16.10.1969 n. 3338; Cass. 22.5.1979 2952; Cass. 29.4.1982 n. 2707; Cass. 18.1.1983 n. 469; Cass. 17.6.1994 n. 5868; Cass. 11.3.2000 2826; Cass. 1.7.2002 n. 9543; Cass. 17.10.2006 n. 22223; da ultimo Cass. 22.3.2012 n. 4564) ha riconosciuto che la produzione in giudizio da parte dell'attore della scrittura firmata dal solo convenuto (“scrittura mono-firma”) costituisce valido equipollente della sottoscrizione dello stesso attore, ai fini del perfezionamento del contratto, a condizione che: a) l'attore faccia valere gli effetti negoziali del contratto; b) il convenuto non abbia, medio tempore, revocato la proposta; c) la scrittura non sia fatta valere dagli eredi o aventi causa di una delle parti dato che costoro non potrebbero efficacemente accettare in luogo del loro autore, non subentrando di regola nella posizione di oblato (artt. 1329 e 1330 c.c.); simmetricamente, non è consentito produrre la scrittura contro gli eredi o aventi causa della parte firmataria.
Evidente in queste condizioni (“b”, “c” in particolare) che la giurisprudenza dà alla produzione in giudizio connotati ed effetti di un'ordinaria accettazione negoziale, ma l'assimilazione tout court appare affrettata ove si consideri l'ulteriore questione: i quando il contratto si abbia per perfezionato; i da quando decorrano gli effetti.
Alla questione ha risposto Cass. 24.3.2016 n. 5919 (poi seguita da altre pronunce di legittimità, tra cui vedi Cass 19.5.2016 n. 10331, Cass. 14.3.2017 n. 6559, Cass. 3.4.2017 n. 8624) assumendo che il contratto si abbia per concluso ex art. 1326 c.c. solo nel momento in cui la scrittura è prodotta in giudizio e che esso non possa regolare il tratto di tempo e le condotte anteriori alla sua produzione: “non può verificarsi se non ex nunc, e non ex tunc (ed infatti il contratto formale intanto si perfeziona ed acquista giuridica esistenza, in quanto le dichiarazioni di volontà che lo creano siano state per l'appunto formalizzate”.
Dal che una duplice incongruenza. ### ogni proposta perde effetto, ancorché non revocata né irrevocabile, dopo che è decorso il termine per l'accettazione (stabilito dal proponente, dalla natura dell'affare o dagli usi: cfr. art. 1326 co. 2 c.c.). Poiché nessuna proposta può restare indefinitamente pendente per anni, in attesa di essere accettata (scilicet, tramite produzione in giudizio), coerenza sistematica vorrebbe che la produzione in giudizio non possa mai avere effetto sostitutivo dell'accettazione, salvo il caso improbabile che il giudizio venga iniziato nel breve termine ex art. 1326 co. 2 c.c.. ### la decorrenza ex nunc degli effetti svuota di significato la produzione in giudizio della scrittura mono-firma, malgrado la dichiarata equiparazione quoad effectum, ogni qual volta sia rilevante il comportamento tenuto dalle parti nel tratto di tempo tra la formazione della scrittura monofirma (recte, tra lo scambio di dichiarazioni, una delle quali soltanto prodotta) e la sua produzione in giudizio.
Se ad es. il promissario acquirente dichiara di essere receduto da un contratto preliminare di compravendita immobiliare per inadempimento del promittente venditore e ne chiede la condanna in duplum, producendo la dichiarazione negoziale firmata dal convenuto, l'accoglimento della domanda richiede che: i la mancata conclusione del definitivo, per fatto del promittente venditore, sia qualificata come inadempimento, id est violazione di un obbligo contrattuale. Se il contratto deve però davvero intendersi formato solo in corso di giudizio e con effetti ex nunc, non è possibile un inadempimento anteriore; i sia riconosciuta efficacia alla dichiarazione di recesso del promissario acquirente. Prima del giudizio non può tuttavia esercitarsi fondatamente alcun potere contrattuale, per le stesse considerazioni che precedono.
La domanda del promissario, seguendo Cass. 24.3.2016 n. 5919, dovrebbe quindi respingersi, poiché i comportamenti delle parti e i poteri esercitati nell'intervallo tra la formazione della scrittura monofirma e la sua produzione in giudizio, che sono senz'effetto prima della conclusione, inefficaci devono restare pur dopo perché anteriori al dies a quo di efficacia del contratto.
La più avvertita giurisprudenza di legittimità ha evitato queste incongruenze, riconoscendo che la produzione in giudizio della scrittura mono-firma “non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza della sottoscrizione di detta parte con effetti retroagenti al momento della stipulazione”: così Cass. 29.4.1982 n. 2707 in tema di adempimento di patti contenuti in un contratto di compravendita di immobili. ### ex tunc è riconosciuta, all'effetto di far salvo il contratto di lavoro subordinato a termine, evitandone la riconduzione al tempo indeterminato, anche da Cass. lav. 12.11.1992 n. 12166. Altre sentenze, pur senza far applicazione al caso di specie dell'equivalenza tra produzione e sottoscrizione, per l'esistenza di un'impediente revoca della proposta, hanno nondimeno ribadito la retroattività degli effetti (Cass. 15.5.1998 n. 4905; Cass. 19.2.1999 n. 1414; Cass. 11.3.2000 n. 2826).
La difficoltà di assimilare la produzione in giudizio della scrittura mono-firma a un'ordinaria accettazione - la “proposta” (recte l'esemplare prodotto) pare restare indefinitamente in piedi se non espressamente revocata, il contratto concluso retroagisce negli effetti alla data della scrittura - costringe l'interprete a spostare il punto di osservazione dalle regole di conclusione del contratto, che appaiono offrire un modello esplicativo non adeguato, verso le regole di prova in giudizio di contratti già conclusi.
Da questa diversa angolazione, di taglio processuale, una magistrale dottrina ha rilevato che la regola giurisprudenziale “tende a scindere il contratto nei suoi due momenti (la dichiarazione di chi invoca la scrittura; la dichiarazione di colui, contro cui la scrittura si invoca); e ad assoggettare alla forma solo questo secondo elemento”, dispensando l'attore dall'onere di provare per iscritto il proprio consenso¸ prestato ora o in allora tramite l'esemplare consegnato a mani del convenuto, poiché la giurisprudenza “ricorre[ndo] ad una finzione, equipara la invocazione in giudizio alla sottoscrizione e alla recezione”. ###. 2702 c.c. conforta questa ricostruzione, poiché, ai fini delle regole sulla prova, qualifica la scrittura privata come il documento sottoscritto dalla parte contro la quale viene fatta valere, disinteressandosi della sottoscrizione di colui che la produce in giudizio. I limiti legali alla prova per testi e presunzioni non offrono indicazioni di segno contrario. Se è indiscusso che tali limiti presidiano l'onere di provare per iscritto il contratto, e segnatamente il contratto che deve farsi per iscritto a pena di nullità (art. 2725 cpv. c.c.), secondo la massima lettres passent témoins, essi non hanno estensione più ampia dell'art. 2702 c.c.. Egualmente è a dirsi per l'art. 2724 n. 3 c.c.. Come è stato ricordato, la norma richiede la perdita incolpevole del documento per ammettere l'attore alla prova per testi. La giurisprudenza discute (vedi sopra) se equivalga a “perdita incolpevole” la volontaria consegna della scrittura al convenuto. La questione appare tuttavia mal posta, ai fini che ne occupano, visto che l'attore non ha bisogno dell'esemplare a sua firma per far valere in giudizio il contratto, dal momento che la produzione costituisce e ha costituito per settant'anni idoneo equipollente. Ha brillantemente rilevato al riguardo Cass. 3.4.1970 n. 880 (in motivazione, in ### civ. 1970, I, 982) che “il documento che, sul piano meramente probatorio, era destinato a fornire la prova di interesse [dell'attore], era quello che, firmato dal promesso venditore, era (appunto a tale fine) rimasto in suo possesso, stante l'incondizionata possibilità di completarlo con la propria sottoscrizione e di realizzare così un mezzo autosufficiente anche sul piano negoziale, e non quello a sua firma che si assume consegnato [al convenuto]”.
Anche l'art. 2724 n. 3 riguarda quindi la sola scrittura privata prevista dall'art. 2702 c.c., ossia un documento recante la sottoscrizione del convenuto - sia esso l'unico esemplare firmato da entrambi o il frammento di contratto firmato dal solo convenuto nel caso di conclusione mediante scambio di corrispondenza.
In conclusione, il divieto di prova per testi e presunzioni ha per ratio di impedire che l'attore attribuisca al convenuto la volontaria assunzione del vincolo, tramite dichiarazioni rese senza la forma prescritta o provate in giudizio “in virtù di mezzi probatori di non elevata attendibilità” e lo onera di produrre la scrittura recante la firma del convenuto.
Chiarito dunque che l'attore è dispensato dalla prova del proprio consenso scritto; che di tale dispensa l'attore ha interesse ad avvalersi precisamente quando il contratto si conclude per scambio di corrispondenza, avendo a sue mani solo l'esemplare a firma del convenuto; che l'equiparazione della produzione alla sottoscrizione è una fictio juris che opera sul terreno della prova e non della formazione dei contratti, l'ultima questione che mette conto di esaminare è: i quando il contratto si abbia per perfezionato; i da quando decorrano gli effetti.
Alla questione non sembra lecito dare una risposta uniforme, poiché dipende dal materiale probatorio a disposizione stabilire quando il proponente abbia avuto conoscenza dell'accettazione ai sensi dell'art. 1362 c.c.. 4.3. Caso lineare ricorre quando l'attore abbia assunto nella contrattazione la posizione di proponente e disponga di un'accettazione scritta, dal contenuto della quale risulti che essa è stata preceduta da una proposta, che viene ritrascritta nel corpo del documento.
In tale caso, l'attore può, producendo la dichiarazione dell'oblato, provare per iscritto la conclusione del contratto, in quanto l'accettazione costituisce in tal caso prova scritta anche della proposta ( Cass. 12.12.2007 n. 26010, in motivazione).
Sussistono infatti nella fattispecie tutti gli elementi sopra enunciati come necessari alla conclusione tra assenti di un contratto soggetto a forma scritta a pena di nullità. 1) Il regolamento contrattuale è stato fatto per iscritto. 2) La scrittura mono-firma contiene l'accettazione e al contempo offre rappresentazione diretta dell'esistenza di una proposta di contenuto conforme.
Della proposta trascritta manca la sottoscrizione. Ma poiché è il proponente a far valere in giudizio la scrittura mono-firma, la circostanza non può essere ostativa a riconoscere esistente un contratto, secondo il principio di diritto già espresso sub § 4.2.
Cass. 24.3.2016 n. 5919 contesta che la ricezione della proposta possa essere provata per il tramite di ammissioni e/o confessioni dello stesso accettante (nella specie la clausola, ricorrente nella prassi, recitava “### atto che una copia del presente contratto ci viene rilasciata debitamente sottoscritta da soggetti abilitati a rappresentarvi”), argomentando dalla già rilevata inammissibilità, di dichiarazioni confessorie su contratti soggetti a forma scritta a pena di nullità.
La questione appare impostata non correttamente. Indubbiamente, il contratto che deve farsi per iscritto deve altresì essere provato per iscritto (art. 2725 co. 2 c.c.). ### del limite probatorio verte tuttavia sulla dichiarazione ### e sulla sua paternità ###, non sugli altri elementi pur necessari al perfezionamento della fattispecie contrattuale, come la ricezione e conoscenza delle dichiarazioni da parte dei loro destinatari.
La condivisa giur. di legittimità ammette infatti che la conoscenza delle dichiarazioni recettizie “può essere provata con qualsiasi mezzo attendibile e concludente” (Cass. 23.6.1972 n. 2082; a seguire Cass. 18.4.1977 n. 1434) e soprattutto che tale circostanza “può esser testimonialmente provata indipendentemente dalla forma prescritta per la validità del contratto (art. 1350 cod. civ.)” ( 1.9.1997 n. 8328).
Ammessa la prova testimoniale della ricezione, a fortiori deve riconoscersi valore di prova prima facie all'ammissione del convenuto, salva la prova diretta del mancato scambio scritto di consensi, ad esempio perché l'esemplare (c.d. copia cliente) consegnato dalla banca e prodotto in giudizio dal cliente per farne valere la nullità è risultato privo di firma - circostanza questa verificatasi proprio nel caso deciso da Cass. 24.3.2016 n. 5919 - oppure è stato firmato da soggetto senza poteri. 3) Il proponente ha avuto notizia dell'accettazione, notizia implicita nel possesso del documento.
Su queste premesse, il contratto deve intendersi concluso ex art. 1326 c.c. alla data della scrittura mono-firma; a ciò segue la naturale decorrenza degli effetti da quella data, senza che debba farsi neppure questione di retroattività (cfr. § 4.2). Appare perfino dubbio che possa ostare alla sua futura efficacia alcuna delle circostanze impedienti (revoca, decesso della parte firmataria ecc.) che la tradizionale giurisprudenza individua come limiti al perfezionamento del contratto tramite produzione in giudizio. Quest'ultima questione è, tuttavia, priva di rilievo visto che gli attori non hanno revocato il consenso e che le parti sono le stesse firmatarie dei contratti. Nel senso che non costituisce revoca del consenso l'eccezione di nullità del contratto per carenza di forma scritta cfr. in ogni caso 7.8.1992 n. 9374. 4.4. Il caso testé esaminato ricorre anche nella controversia all'odierno esame.
Sub 1). La banca ha prodotto un esemplare del contratto di apertura del c/c di corrispondenza, con le relative condizioni generali (doc. 8) e le lettere di concessione di apertura di credito in c/c dal 1990 in avanti (sub doc. 10).
La condizione sub 2) è egualmente presente. La banca ha fatto valere in giudizio i contratti.
Gli esemplari sia del contratto di apertura del c/c di corrispondenza, sia delle lettere di concessione di fido (doc. cit.) recano ciascuno la sottoscrizione della società cliente in persona dei soci. Queste dichiarazioni negoziali valgono, nello scambio di corrispondenza, come accettazione della proposta della banca. Ciò è particolarmente evidente per quanto concerne i documenti sub doc. 10, che contengono accettazione della (lettera di) concessione di fido, ritrascritta per intero. È vero, tuttavia, anche per quanto concerne il c/c di corrispondenza che, pure, fa riferimento a una previa lettera della banca comunicante l'accensione del c/c.
Il possesso da parte della scrittura, sottoscritta dalla cliente, in originale o in copia di cui non è contestata la conformità all'originale, dimostra che la banca ha avuto rituale conoscenza dell'accettazione. Il visto di conformità alla sottoscrizione del contratto di c/c, apposto da un funzionario di banca, è indice, tanto più in assenza di specifiche contestazioni o contrarie risultanze istruttorie, che la banca abbia avuto a sue mani l'accettazione alla data risultante dal documento (doc. 8). Anche il requisito sub 3) è dunque adeguatamente dimostrato. 5. Il ricalcolo del saldo dare-avere deve attenersi ai seguenti principi.
Prescrizione. La convenuta ha prodotto estratto conto 30.6.2003 con saldo a credito della correntista per € 1.554,69. Poiché la citazione è stata notificata a dicembre 2013, è tesi della convenuta che il passaggio a credito del c/c abbia implicato l'estinzione per prescrizione di ogni competenza indebitamente annotata nel decennio anteriore.
È infondata.
Soltanto la rimessa solutoria, su c/c non affidato o con saldo debitore oltre i limiti del fido, è idonea a determinare uno spostamento patrimoniale con carattere di definitività, ossia un pagamento, e a far decorrere il termine di prescrizione per la ripetizione dell'indebito, secondo i principi di espressi da Cass. sez. un. 2.12.2010 n. 24418.
Segue a dette premesse che non equivale a pagamento, né può implicare la decorrenza del termine di prescrizione, la rimessa che determini il passaggio a credito di un c/c con saldo bensì debitore, ma contenuto nei limiti del fido.
In specie, come traspare dalla tabella pag. 12 C.T.U., il c/c è sempre stato affidato (cfr. le lettere di fido sub doc. 10 banca) e ciò vale a escludere che il saldo creditore verificatosi in data prossima anteriore ai dieci anni prima della notifica della citazione valga ex se a dimostrare la prescrizione dei vantati crediti restitutori.
Sotto ogni altro profilo, l'eccezione di prescrizione è infondata. ###.T.U. ha infatti evidenziato (relazione pag. 12) di aver lavorato esclusivamente sui riassunti scalari, dai quali risultano i numeri debitori, ma non le singole rimesse. ###.T.U. non è stato quindi in grado di individuare e indicare in perizia specifiche rimesse che, in quanto intervenute su un saldo debitore oltre il limite del fido, possano assumere carattere solutorio e determinare la decorrenza immediata del termine prescrizionale per l'azione di indebito.
Interessi. Il contratto di c/c (doc. 8), risalente al 1990, non contiene l'indicazione del tasso di interesse ultra-legale. Egualmente risulta priva di indicazioni la lettera di concessione fido, debitamente sottoscritta dal legale rappresentante della società in data ### (sub doc. 10 conv., pag. 20).
Correttamente il C.T.U. ha pertanto ritenuto doversi stornare gli interessi ultra-legali addebitati dalla banca e applicare in loro vece prima gli interessi al tasso legale ex art. 1284 c.c., poi (dal 1992) i tassi minimi BOT previsti come tasso sostitutivo dall'art. 5 legge 17.2.1992 n. 154 e poi dall'art. 117 co. 7 TUB.
Il tasso risulta invece pattuito per iscritto a decorrere dalla successiva lettera di concessione di fido 17.8.1995 (sub doc. 10, pag. 18-19), debitamente fatta per iscritto: a decorrere da quella data, il regolamento dare-avere deve dunque farsi avuto riguardo al tasso convenzionale.
Capitalizzazione trimestrale degli interessi. ###. 7 delle condizioni del contratto di c/c (doc. 8 cit.) prevede la capitalizzazione su base trimestrale degli interessi maturati sui c/c “anche saltuariamente” creditori. Per il tratto dall'accensione al 30.6.2000, il contratto viola l'art. 1283 c.c. come interpretato dall'ormai stabile giur. (da ultimo sez. un. 2.12.2010 n. 24418). La violazione persiste anche per il tratto successivo dall'1.7.2000 alla chiusura.
Infatti, l'art. 7 cpv. della delibera 9.2.2000 del CICR: "[2] ### le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30/6/00, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella ### della ###. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il ###. [3] Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela".
Ora, per qualificare la variazione come “modifica non peggiorativa” (comma 2) o “peggiorativa” (comma 3), non v'è che un criterio plausibile: confrontare il regolamento del rapporto prima e dopo la variazione.
Se per il tratto anteriore al 30.6.2000 è indiscusso che la banca non poteva e non può legittimamente addebitare interessi su interessi, per il tratto successivo l'introduzione ex novo del meccanismo di capitalizzazione, sia pure su base di pari periodicità, ma con (ovvia, peraltro legittima) disparità nei tassi creditori e debitori, rappresenta un intuitivo peggioramento delle condizioni contrattuali ed esige specifica approvazione per iscritto (art. 7.3.) - mediante sottoscrizione ad hoc ex art. 1341 c.c. - come è previsto in via generale dall'art. 6 delibera ### 9.2.2000 per i nuovi contratti (cfr. ad es. ### Mantova 12.7.2008 e ### Mondovì 17.2.2009 entrambi su Il caso).
Vero è quindi che l'art. 7 co. 2 è stato scritto sul presupposto della salvezza retroattiva (art. 25 comma 3 d. lgs. 4.8.1999 n. 342) delle clausole anatocistiche contenute nei contratti anteriori. Caduta la norma primaria con efficacia ex tunc a seguito della dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost. 17.10.2000 n. 425), non può che cadere anche la norma secondaria che quella presupponeva, recte la qualificazione della modifica contrattuale come “non peggiorativa”.
Questa considerazione - l'efficacia ex tunc della pronuncia di incostituzionalità - sembra sfuggita ad ### Torino 2.5.2012 n. 740 (ne Il caso) che ha ritenuto di poter fare salva la variazione introdotta dalla banca mediante semplice pubblicazione in G.U. sul presupposto ### della “vigenza all'epoca del detto adeguamento (giugno 2000) della disciplina transitoria prevista dall'art. 25 terzo comma d. lg. 4 agosto 1999 n. 342”.
In conclusione, dopo il ### la banca non ha contrattualizzato la clausola di capitalizzazione trimestrale, poiché il successivo contratto (### soluzioni, 4.1.2006: doc. 9 conv.) tace sul punto, e non può vantare alcun anatocismo trimestrale (né con altra periodicità: cfr. Cass. sez. un. 24418/2010) per tutta la durata del rapporto.
C.m.s.. La commissione di massimo scoperto, pur applicata dalla banca a decorrere dall'accensione del conto (v. riepilogo pag. 17 C.T.U.), deve essere stornata per tutta la durata. Nel contratto di c/c e nella concessione di fido 17.10.1990 (doc. cit.) non consta alcuna previsione. ###.T.U. attribuisce rilevanza alla successiva lettera di fido 19.8.2003 (doc. 10 cit., pag. 11) che regola sia la c.m.s. sul fido, sia quella sui superi di affidamento. La previsione è, tuttavia, non adeguatamente determinata, non essendovi alcuna indicazione (se non l'acronimo M.S.T.) riguardo a condizioni applicative, modalità di calcolo e periodicità di addebito della commissione.
Non può aver rilievo, al fine di aggirare l'indeterminatezza, la circostanza che i profili rimasti indeterminati nella pattuizione (anzitutto la stessa periodicità) siano stati determinati a posteriori per il tramite di una prassi applicativa costante nel tempo, poiché il patto nullo non è suscettibile di convalida (art. 1423 c.c.).
Usura. In punto verifica del rispetto della soglia d'usura, il C.T.U. ha ricevuto l'incarico di determin[are] per ciascun trimestre il tasso effettivo globale (### applicato dalla banca: - seguendo i criteri stabiliti dalla legge 7.3.1996 n. 108 e le ### della ### d'### vigenti pro tempore, tenendo conto di tutti i costi e le remunerazioni comunque collegate all'erogazione del credito (compresa la c.m.s. anche per il tratto anteriore all'agosto 2009; da qualificare come "onere"), ad eccezione di imposte e tasse; - c.s. ma attenendosi alle ### della ### di ### anteriori al 2009 e perciò senza computo ai fini del tasso soglia della c.m.s. (all'epoca rilevata separatamente). Verifichi a seguire che il TEG rientri nei limiti dei tassi soglia previsti dai D.M. trimestrali emessi in base alla legge 7.3.1996 n. 108. Nel caso in cui il TEG applicato ecceda il tasso soglia applicabile ratione temporis, provveda al ricalcolo del debito: - stornando gli interessi ex art. 1815 co. 2 c.c. se il tasso risulta usurario già al momento della conclusione del contratto (o modifica dello stesso); - riducendo il tasso contrattuale nei limiti del tasso soglia se il tasso è divenuto usurario in epoca successiva alla conclusione del contratto”. ###.T.U. ha rilevato che, conteggiando la c.m.s. come “onere” s'è verificato un superamento del tasso soglia d'usura, per 1,14 p.p., nel II trimestre 2003, con maggior addebito (da stornare) di € 229,81 mentre utilizzando le ### vigenti ratione temporis non s'è verificato alcun superamento del tasso soglia.
La somma di € 229,81 deve essere stornata per le seguenti considerazioni di diritto. 5.1. Il tema all'odierno esame è se la c.m.s. entri nella verifica di usura e con quali modalità.
È noto che una condivisa giurisprudenza penale di legittimità (Cass. pen. 19.2.2010 n. 12028; conforme Cass. pen. 14.5.2010 n. 28743) ha ritenuto che: i la c.m.s. è costo inerente alla concessione del credito “giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente [recte il fido], e funge da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente" (così in tal senso Cass. pen. 19.2.2010 n. 12028; conforme Cass. pen. 14.5.2010 n. 28743). In quanto costo collegato all'erogazione del credito deve rientrare nella verifica di usura dell'operazione creditizia, ai sensi dell'art. 644 co. 4 c.p.; i non osta all'inclusione della c.m.s. nella verifica di usura la circostanza che la ### d'### nelle ### per la rilevazione dei tassi medi anteriori all'agosto 2009 abbia previsto la separata rilevazione della commissione di massimo scoperto e che i DM pubblicati, a partire dal primo, abbiano determinato la tabella dei tassi di interesse effettivi globali medi, precisando che "i tassi non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente applicata", poiché la funzione affidata all'autorità amministrativa è di “fotografare, secondo rigorosi criteri tecnici, l'andamento dei tassi finanziari”; i l'intervento tecnico dell'### di vigilanza per “fotografare” l'andamento dei tassi finanziari postula scelte interpretative (classificazione delle operazioni omogenee, individuazione dei costi inerenti all'erogazione del credito e pertanto da includere o escludere ecc.), da compiere nel rispetto dell'art. 644 co. 4 c.p.; i quest'interpretazione è avvalorata dal d.l. 29.11.2008 n. 185 conv. in legge 28.1.2009 n. 22 che all'art. 2-bis comma 2 ha ribadito che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice civile, dell'articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”. La disposizione infatti non ha alcuna portata innovativa e anzi “può essere considerata norma di interpretazione autentica dell'art. 644 c.p., comma 4 in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme”.
Sull'inclusione della c.m.s. nella verifica d'usura s'è pronunciata Cass. civ. 22.6.2016 n. 12965 (poi seguita da Cass. 3.11.2016 n. 22270), assumendo scelte interpretative radicalmente difformi dalle cit. sentenze penali: i nell'interpretazione della ### d'### la c.m.s. è “non già un costo diretto per l'erogazione del credito, bensì un corrispettivo per una prestazione diversa, sia pure collegata alla prima”, tanto da essere separatamente rilevata, ciò ancorché “il dettato dell'art. 644, co. 4, c.p. può lasciare intendere che qualsiasi costo derivante dalla concessione di credito debba essere preso in considerazione ai fini della determinazione del tasso usurario”; i l'art. 2-bis comma 2 del d.l. 29.11.2008 n. 185 (conv. in legge 28.1.2009 n. 22) non ha funzione di norma di interpretazione autentica dell'art. 644 c.p., ma “integr[a] un vero e proprio mutamento innovativo nella disciplina complessivamente intesa (inclusi ovviamente gli atti di valore regolamentare, fino a quel momento lasciati dal legislatore a regolare la materia) e dunque in tema di ### laddove il congegno ricognitivo-determinativo primario, fino all'entrata in vigore della riforma, espressamente escludeva quest'ultima dal calcolo del TEGM”. Conferma la valenza innovativa della norma, “la contemporanea fissazione di un dies a quo per attribuire rilevanza alla c.m.s. nel calcolo del ### e, soprattutto, la devoluzione all'autorità amministrativa del compito di fissare un periodo transitorio per consentire alle banche di adeguarsi alla normativa”; i infine, nella rilevazione dei tassi usurari, devono utilizzarsi “dati tra loro effettivamente comparabili. Come osservato in dottrina, la fattispecie della cd. usura oggettiva ###, o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso-soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l'applicazione di uno spread sul ### posto che il ### viene trimestralmente fissato dal Ministero dell'### sulla base delle rilevazioni della ### d'### a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate ### è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del ### e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell'ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il ### rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché - se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo - il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato”.
Lo scrivente ritiene di doversi motivatamente discostare dagli orientamenti espressi da Cass. 22.6.2016 n. 12965. 5.2. Il primo punto è se la c.m.s. “storica” (anteriore alla legge 2/2009) sia costo collegato all'erogazione del credito e quindi compreso nel campo di applicazione dell'art. 644 c.p. e della legge n. 108/96.
Al quesito deve darsi risposta affermativa.
Riportando le parole delle cit. Cassazioni penali la c.m.s. rappresenta un costo manifestamente collegato all'erogazione del credito “giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente [recte il fido], e funge da corrispettivo per l'onere, a cui l'intermediario finanziario si sottopone, di procurarsi la necessaria provvista di liquidità e tenerla a disposizione del cliente".
La stessa ### d'### - ed è un punto che appare completamente sfuggito a Cass. 22.6.2016 12965 - riteneva la c.m.s. “storica” costo collegato all'erogazione del credito, pur rilevandola separatamente dalle altre voci di costo.
Si legge infatti nella circolare n. 12 del 2.12.2005, con la quale la ### d'### ha esplicato le modalità di verifica del rispetto della soglia d'usura nei rapporti in cui sia applicata la c.m.s.. Si legge nella nota 2.12.2005 che: i la c.m.s. applicata deve essere raffrontata con la c.d. c.m.s. soglia, pari alla percentuale pubblicata, vigente ratione temporis, aumentata della metà; i l'eventuale superamento della c.m.s. soglia non determina usurarietà, se la differenza può essere recuperata nel margine disponibile tra il tasso soglia e il TEG dell'operazione creditizia (computato al netto della commissione separatamente rilevata, evidentemente)3.
Poiché soltanto costi inerenti all'erogazione del credito possono concorrere alla verifica del rispetto del tasso-soglia ex art. 644 co. 4 c.p. e la c.m.s., sia pure per il supero, concorre ciò vuol dire che anch'essa è costo inerente all'erogazione del credito.
Appaiono altresì sfuggite a Cass. 22.6.2016 n. 12965 le ragioni della separata rilevazione della c.m.s., prima delle ### dell'agosto 2009: non consistenti nella ritenuta eterogeneità rispetto a “interessi, commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese”, ma nella ritenuta difficoltà di prevedere, con prognosi ex ante, l'effettiva incidenza della c.m.s. “storica” sul complessivo costo del credito4.
Il costo della c.m.s. “storica” dipende infatti dal puro e semplice utilizzo dei fondi, indipendentemente dalla durata nel tempo dell'utilizzo, diversamente dagli interessi, con incidenza quindi inversamente proporzionale all'utilizzo medio del credito nel trimestre. 5.3. Il secondo punto è quale sia la funzione che la legge n. 108/96 ha attribuito all'autorità 3 Circolare 2.12.2005: “Peraltro, l'applicazione di commissioni che superano l'entità della “CMS soglia” non determina, di per sé, l'usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l'importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (“margine”)”. 4 Cfr. circolare 2.12.2005: “La scelta [separata rilevazione] è coerente con la circostanza che l'entità della CMS dipende dalle modalità di utilizzo del credito da parte del cliente, limitandosi l'intermediario unicamente a predeterminarne la misura percentuale”. amministrativa. ###. 2 della legge 7.3.1996 n. 108 così definisce le funzioni del Ministero dell'### i “rileva[re] trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche […] nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura” (co. 1); i classificare “[le] operazioni per categorie omogenee, tenuto conto della natura, dell'oggetto, dell'importo, della durata, dei rischi e delle garanzie è effettuata annualmente con decreto del ### del tesoro, sentiti la ### d'### e l'### italiano dei cambi e pubblicata senza ritardo nella ### Ufficiale” (co. 2); i rendere noto alla generalità di banche e intermediari, per ciascuna categoria di operazioni, “il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, limite stabilito nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella ### ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di uno spread.
Come la giurisprudenza penale della Cassazione ha ripetutamente evidenziato (oltre alla già citata giurisprudenza penale della Cassazione, cfr. tra molte Cass. pen. 18.3.2003 n. 20148) l'autorità amministrativa ha la funzione di “fotografare” l'andamento dei tassi medi di mercato (praticati dal sistema bancario-finanziario e distinti per classi omogenee di operazioni), ossia di fare una rilevazione statistica del costo medio (###.
Come ogni rilevazione statistica, tale “fotografia” richiede una metodologia di selezione e organizzazione dei dati. La facoltà di selezione dei dati, rispetto alla quale appare indiscusso che ### d'### eserciti discrezionalità tecnica (Cass. pen. 12028/2010 e Cass. pen. 46669/11), implica anche quella di escludere certe operazioni creditizie o certi costi inerenti che, per loro caratteristiche, appaiano non significativi oppure non idonei a fornire una rappresentazione fedele del costo medio ### del credito. i Operazioni creditizie. Le istruzioni escludono talune tipologie di operazioni dalla “rilevazione a fini statistici, ma non dall'applicazione della ### 108/96” (par. ###). In particolare, oltre ai conti inutilizzati (senza saldi a debito, con utilizzo contabile nullo), vengono in considerazione operazioni in valuta, operazioni a tasso agevolato o a tassi di favore, finanziamenti infragruppo, posizioni classificate a sofferenza, crediti ristrutturati, finanziamenti revocati entro la fine del trimestre.
Tratto comune delle operazioni non rilevate è un elemento di specialità non generalizzabile (crediti “difficili”, agevolati, in valuta forte), tale da inquinare la serie dei dati rilevati, alterando con prognosi ex ante la rappresentazione del normale costo del credito. Nondimeno tutte queste operazioni sono - lo ribadisce ### d'### - soggette all'applicazione della legge n. 108. Quindi dovranno essere scrutinate, ai fini della verifica di usura, utilizzando un ### che è stato formato dichiaratamente ignorandole. i Costi concorrenti alla determinazione del ### La mora è esclusa dalla rilevazione del ### ed è evidente che sia così, visto che il costo medio fisiologico non può essere inquinato da un addebito pertinente al momento patologico del ritardo nell'adempimento. Pur tuttavia, per stabile e condiviso indirizzo giurisprudenziale (almeno a partire da Cass. civ. 22.4.2000 n. 5286) la mora concorre ai fini della determinazione del ### 5.4. Quesito successivo è se l'esclusione dalla rilevazione statistica (### di costi inerenti - specificamente la c.m.s. - implichi anche la loro esclusione dalla verifica di usura ex art. 644 co. 4 c.p.. In altri termini, se il Ministero dell'### abbia ricevuto dalla legge il potere, sentita la ### d'### di definire la fattispecie usuraria ex art. 644 co. 4 c.p., determinando in modo vincolante per l'interprete quali costi inerenti alla concessione di credito siano rilevanti ai fini d'usura e quali esclusi (ancorché inerenti).
Solo ammettendo l'esistenza di questo potere ad excludendum, può convenirsi con Cass. n. 12965/16 che “è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del ### e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale”.
Viceversa, se la legge non ha attribuito al MEF il potere di definire la fattispecie usuraria, appare del tutto ragionevole attendersi che il calcolo dello specifico TEG contrattuale risponda al criterio previsto dall'art. 644 co. 4 c.p. (“commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”).
Al quesito deve darsi risposta negativa.
Nella parte in cui concerne la fattispecie di usura c.d. oggettiva, l'art. 644 co. 4 c.p. è norma penale ### autosufficiente. Il nucleo dell'incriminazione è descritto in modo compiuto nella norma penale, senza alcun rinvio a fonti secondarie - “farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari”.
La norma secondaria non appare autorizzata a escludere dalla verifica di legalità costi inerenti all'erogazione del credito. ###. 2 co. 1 ripete la medesima formula dell'art. 644 c.p. (tasso medio degli interessi praticati “comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, ecc.”), senza fare cenno alcuno a un preteso potere ad excludendum di ### d'### né indicarne i criteri di esercizio. A sua volta, l'art. 644 co. 4 prevede che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese” senza fare rinvio a un aggregato di costi predeterminato dalla normazione secondaria (istruzioni, d.m.). Anzi, il nomen juris è espressamente tenuto per irrilevante, visto che la remunerazione entra nel calcolo del tasso usurario “a qualsiasi titolo” (art. 644) e “comunque denominata” (art. 2-bis comma 2 del d.l. 185/2008), purché sia onere funzionalmente collegato all'erogazione del credito.
È indubbio che l'art. 644 c.p. è norma penale in bianco, ma soltanto nel senso che non può operare senza la pubblicazione in d.m. del ### da cui ricavare il tasso-soglia, per il tramite dello spread (1,5; 1,25 + 4 p.p.).
Del lavoro di elaborazione dei dati ciò che però l'art. 644 c.p. recupera e recepisce è il risultato di sintesi, il numero finale che esprime il costo medio. Nel fuoco di questa sintesi si consumano e perdono rilevanza le singole voci. Sulla base di questo costo medio, incrementato dello spread, la banca può modulare l'offerta di credito fissando liberamente interessi, commissioni e spese, purché appunto il risultato finale non superi la soglia. ### e TEG sono dunque omogenei, ma soltanto nel senso che unico è il criterio normativamente previsto di rilevanza, ossia l'inerenza alla concessione di credito.
Esiste per vero una norma secondaria, l'art. 3 dei d.m. man mano emanati, che ha la pretesa di chiudere il cerchio ### prescrivendo alle banche di verificare la legittimità del tasso usando le istruzioni della ### d'### Se questa norma ha per scopo o per effetto di restringere il perimetro di rilevanza dei “costi inerenti” a quelli soli considerati nel ### essa viene a trovarsi in conflitto con l'art. 644 c.p. e deve perciò essere disapplicata ai sensi dell'art. 5 All. E.
In conclusione. Le istruzioni della ### d'### non entrano in conflitto con la norma primaria, perché le loro funzioni sono diverse, rispettivamente di rilevazione statistica del ### nel primo caso e verifica di legalità del contratto nel secondo. Ma se conflitto vi fosse, la sua risoluzione non potrebbe che consistere nella disapplicazione della fonte secondaria, atteso che la legge non autorizza la ### d'### o il ### a determinare con effetti vincolanti l'aggregato di costi rilevante ai fini del ### Per la rilevanza ai fini del TEG della polizza assicurativa vedi ### Torino 20.12.2013 e App. Milano 22.8.2013, entrambe su Il caso, e da ultimo Cass. 5.4.2017 n. 8806. Per la rilevanza della c.m.s. vedi tra molte le già cit. Cass. pen. 19.2.2010 n. 12028 e Cass. pen. 14.5.2010 n. 28743. 5.5. Dopo aver ammesso che la c.m.s. “storica” è costo inerente all'erogazione del credito e deve entrare nella verifica del TEG ai sensi dell'art. 644 co. 4 c.p., nonostante la contraria previsione delle istruzioni anteriori ad “Agosto 2009”, questione ulteriore è con quali modalità deve essere verificato il rispetto della soglia d'usura.
In linea teorica si danno tre possibili modalità: i il c.d. regime del margine, previsto dalla cit. circolare 2.12.2005 di ### d'### i il ricalcolo ab ovo del ### di periodo, comprensivo della c.m.s.; i l'applicazione del ### e del tasso soglia pubblicato, senza incrementi.
Il regime del margine è così descritto nella circolare 2.12.2005 (per quanto interessa): “In tale contesto la verifica del rispetto delle “soglie” di legge da parte di ciascun intermediario richiede: - il calcolo del tasso in concreto praticato - sommando gli interessi rapportati ai numeri debitori e gli oneri in percentuale sull'accordato, secondo le metodologie indicate al punto ### - e il raffronto di tale tasso con la relativa soglia di legge; - il confronto tra l'ammontare percentuale dalla CMS praticata e l'entità massima della CMS applicabile (cd. CMS soglia), desunta aumentando del 50% l'entità della CMS media pubblicata nelle tabelle.
Peraltro, l'applicazione di commissioni che superano l'entità della “CMS soglia” non determina, di per sé, l'usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate.
A tal fine, per ciascun trimestre, l'importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l'ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (“margine”). ### l'eccedenza della commissione rispetto alla “CMS soglia” sia inferiore a tale “margine” è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge».
In base al regime del margine, il superamento del limite di usurarietà può dirsi avvenuto soltanto nel caso in cui l'eventuale differenza positiva della c.m.s. rispetto alla “c.m.s. soglia” (c.m.s. pubblicata aumentata della metà) non sia compensata dalla differenza negativa degli interessi rispetto al tasso soglia (### aumentato della metà). Oscuramente e in modo un po' confuso, senza mai citare la fonte, anche Cass. 12965/16 si riferisce al regime del margine come metodo idoneo di verifica di usura in presenza dell'applicazione di una c.m.s. “storica”.
Ostano tuttavia all'applicazione del regime del margine un'evidente incompatibilità di sistema con la legge n. 108/96 e al contempo le aporie e irrazionali disparità di trattamento cui l'applicazione di tale regime darebbe luogo.
Anzitutto, il tasso medio rilevato è “globale” (art. 2 co. 1 legge n. 108/96) e per essere onnicomprensivo non può che essere unico. Segue dunque anche l'unicità del “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” (art. 644 co. 3 c.p.), che è determinato nel “tasso medio risultante dall'ultima rilevazione [… ] aumentato dello spread. O il costo è inerente alla concessione di credito, e allora deve rientrare nel ### (art. 2 co. 1 legge n. 108/96) e rientra senz'altro nel TEG (art. 644 co. 4 c.p.), oppure ne è estraneo.
Viceversa, il regime del margine introduce due distinte coppie di tassi medi e relative soglie, una pertinente la globalità della remunerazione dell'intermediario, l'altro la sola c.m.s.. Ciò rende frastagliato e non uniforme “il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, visto che l'eccedenza della c.m.s. applicata rispetto alla soglia può essere recuperata nel margine esistente sul ### ma dichiaratamente non si dà il caso contrario, ossia l'eccedenza sul TEG non può trovare copertura nel margine disponibile sulla “c.m.s. soglia”, di modo che, a parità di costo del credito, il primo caso resterebbe nel limite della legalità e il secondo darebbe luogo a illecito penale.
Questa considerazione implica un'evidente disparità di trattamento in violazione della legge n. 108 e prima ancora dell'art. 3 Cost. e può essere generalizzata in questi termini, anche al di là delle perplessità tecniche sulla nota 2.12.2005: la c.m.s. non può essere rilevante ai fini della verifica di legalità e al contempo “separatamente rilevata” poiché il limite di non usurarietà del credito, per la medesima classe di operazioni, non può declinarsi secondo due diversi ordini di grandezza (tasso soglia + c.m.s. soglia; solo tasso soglia), così che a parità di costo un caso si qualifichi lecito e l'altro illecito, in base al dato accidentale che il singolo contratto preveda oppure no l'applicazione della c.m.s..
Il ricalcolo ab ovo del ### includendovi i dati rilevati - pur esso ammesso da Cass. 12965/16 - appare egualmente impraticabile, per un motivo di indole processuale e uno di carattere tecnico. Sul piano processuale, assorbente, nessuna delle parti ha chiesto la rielaborazione della C.T.U. seguendo detto metodo. Sul piano tecnico, per quanto noto allo scrivente, la massa di dati utilizzati dalla ### d'### per la rilevazione statistica non è accessibile al pubblico e quindi non è possibile, oltre che del tutto anti-economica nell'ottica della singola causa, la rielaborazione ab ovo del ### comprensivo della c.m.s. “storica”. 5.6. Per esclusione, deve ammettersi il raffronto tra il TEG del contratto, compresi i costi addebitati per la c.m.s., e il tasso soglia determinato a partire dal ### pubblicato nel d.m., senza incrementi.
Riguardo a questo metodo, occorre farsi carico dell'obiezione, centrale nell'impianto del discorso, di Cass. n. 12965/16: “è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del ### e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale” poiché “se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato”.
Se con “metodologia di calcolo” s'è inteso fare riferimento alla formula, la questione può rapidamente accantonarsi. È certamente possibile conteggiare la c.m.s. “storica”, non rilevata nel ### utilizzando la formula indicata nelle istruzioni emanate da ### d'### per la rilevazione del ###, includendo la somma addebitata nel secondo addendo (“oneri”).
La stessa ### d'### nelle istruzioni “agosto 2009”, ha compreso nel calcolo del ### la commissione di massimo scoperto, rilevandola negli oneri, senza avere necessità di modificare la propria formula, già divulgata nelle precedenti edizioni delle ### Più probabilmente Cass. 12965/16 dubita che siano misurabili tra loro due grandezze (### tasso soglia ricavato dal ### definite con un aggregato di costi differente, ossia conteggiando nell'una, ma non nell'altra la c.m.s..
Due grandezze sono tuttavia comparabili se omogenee, ossia espresse nella medesima unità di misura e seguendo i medesimi criteri di calcolo. Nella specie, il tasso soglia ricavato dal ### e il TEG sono omogenei in quanto esprimono tassi percentuali ricavati dall'applicazione della formula di calcolo delle istruzioni di ### d'### ai costi inerenti all'erogazione del credito, tale essendo anche la c.m.s.. Che il TEG consideri ai fini della verifica di legalità un costo non rilevato nel ### non nuoce alla sua comparabilità col tasso soglia; è anzi da rimarcare che il tasso soglia stesso non coincide col ### risultando dall'applicazione al ### dello spread normativamente previsto.
Occorre infine interrogarsi, per esaurire il tema della (pretesa, necessaria) omogeneità tra ### e ### se sia compatibile con la legge n. 108/96, un'interpretazione che delude l'affidamento riposto dal sistema bancario-finanziario sulla non usurarietà della propria offerta economica, delusione consistente nella riconduzione a posteriori nel ### e per intero, di una voce di costo (c.m.s.) che le istruzioni per la rilevazione dei tassi medi hanno “separatamente rilevato” per escludere dal ### (e implicitamente dalla verifica d'usura) e che la circolare 2.12.2005 ha ricompreso, ma soltanto per l'eventuale supero. ### è degno, ma appare non fondato.
Evidente che la legge n. 108/96 ha previsto la conoscibilità ex ante del tasso medio del credito rilevato e pubblicato (art. 2 co. 3 legge n. 108/96): non soltanto per i risvolti penalistici dell'usura, ma altresì per consentire all'intermediario bancario-finanziario di pianificare la propria offerta economica nel rispetto della legalità, anche in ragione della grave sanzione civilistica comminata dall'art. 1815 cpv. c.c..
La denunciata delusione dell'affidamento tralascia tuttavia di considerare che il quadro normativo dev'essere valutato nell'insieme. Se è vero che le edizioni anteriori ad “agosto 2009” delle istruzioni emanate dalla ### d'### prevedevano esclusioni dalla rilevazione statistica non contemplate dalla legge e che gli artt. 3 dei d.m. pubblicati prevedevano la verifica di legalità del contratto secondo gli 5 (### * 36.500 / ###) + (###100 / ###. stessi criteri indicati per la rilevazione, al contempo né l'art. 2 legge n. 108/96 né l'art. 644 c.p. autorizzavano l'autorità di vigilanza a escludere dalla verifica di usura costi inerenti alla concessione del credito.
Come ha rilevato Cass. pen. 46669/11, “le circolari e le istruzioni della ### d'### non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla ### d'### in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della ### d'### neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito”. A tutto concedere, l'esistenza di interpretazioni amministrative, autorevoli ancorché difformi dalla legge, può escludere l'esistenza dell'elemento soggettivo ai fini del reato, ma non vanificare lo stesso elemento oggettivo dell'usurarietà del contratto.
Peraltro, l'incertezza normativa, circa l'inerenza dell'uno o dell'altro costo alla concessione di credito, in ragione di dichiarate esclusioni dalla rilevazione dei tassi medi, non impedisce all'intermediario bancario-finanziario di governare l'incertezza e conservare la prevedibilità della complessiva legalità dell'operazione creditizia, pattuendo in contratto e facendo debita applicazione di una idonea clausola di salvaguardia (c.d. cimatura), che contenga all'interno della soglia il complessivo costo del credito.
Da quest'angolazione, la denunciata delusione dell'affidamento appare un alibi postumo per una condotta di moral hazard.
In conclusione, la c.m.s. non è stata rilevata nel ### È indubbio che tale omissione è frutto di un errore valutativo dell'autorità di vigilanza o di una tardiva elaborazione di istruzioni rispettose del dettato della legge n. 108 (cfr., con riguardo al caso del premio di polizza, Cass. 5.4.2017 n. 8806). Il costo della c.m.s., come il maggior costo del credito rispetto alla media, indotto ad es. dal basso merito creditizio del cliente o da altri fattori che qui non interessa esaminare, le conseguenze giuridiche dell'inadempimento (interessi moratori, penali) e ogni altro onere inerente la concessione di credito, ma eventualmente non considerato, deve trovare copertura nello spread esistente tra il ### e il tasso soglia. 5.7. ### punto controvertibile riguarda l'interpretazione dell'art. 2-bis co. 2 legge n. 22/09.
La disposizione ripete pedissequamente il comma 4 dell'art. 644 co. 4 c.p.. A stento può definirsi norma di interpretazione autentica, non avendo per oggetto o per effetto di sciogliere alcuno dei dubbi emersi nell'applicazione della legge n. 108: non adotta un'interpretazione a discapito di altra, ribadisce alcune ovvietà, tra cui la soggezione degli interessi ### alle disposizioni in tema di usura. ### di novità è semmai rappresentato dalla “remunerazione dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente”. ### evidentemente non riguarda la c.m.s. “storica” che, in generale, trovava applicazione in ragione del mero utilizzo dei fondi, indipendentemente dalla durata dell'utilizzo nel tempo, e che, per questo motivo, è stata colpita di nullità dall'art. 2-bis co. 1 legge n. 22/09. Si lega invece, plausibilmente, alla nuova commissione sull'utilizzato prevista dal cit. comma 1 al fine di assoggettarla all'applicazione della legge sull'usura nei termini più ampi possibili e in qualunque modo formulata o denominata (“commissioni e provvigioni derivanti da clausole, comunque denominate”). Va da sé che le nuove commissioni sono entrate in vigore con la legge di conversione, salva la necessità di adeguamento dei contratti esistenti (co. 3); tale evidenza spiega, in modo ben più lineare rispetto all'interpretazione postulata da Cass. 12965/16, perché il comma 2 qui esaminato faccia riferimento alla “data di entrata in vigore della legge di conversione”.
Di scarso rilievo ai fini della questione che ne occupa - si ribadisce, se la c.m.s. “storica” entri e come nella verifica di usura - appare anche l'ulteriore periodo dell'art. 2-bis co. 2, ove il Ministero è autorizzato a “emanare disposizioni transitorie” per l'applicazione della disciplina vigente “fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.
Appare evidente che le disposizioni transitorie non possono avere portata retroattiva, dovendosi adottare con atto normativo regolamentare (art. 11 preleggi) e in assenza di un'espressa deroga da parte della norma primaria autorizzativa (tra molte, ### Stato 2.9.2011 n. 4914). A riprova della mancanza di retroattività, le uniche attività che le disposizioni transitorie devono regolare sono le rilevazioni dei tassi medi successive all'entrata in vigore della legge, fino all'emanazione di una nuova edizione delle istruzioni di ### d'### elaborata “tenendo conto delle nuove disposizioni” (e si tratta dell'edizione “agosto 2009”).
Evidente quindi che la disciplina transitoria è intesa a regolare il procedimento amministrativo di rilevazione e pubblicazione dei tassi medi, non quello giurisdizionale di verifica del TEG contrattuale, riguardante i trimestri anteriori all'entrata in vigore della legge di conversione. Riguardo alla rilevazione dei tassi, la specifica novità normativa che rende necessaria una disposizione transitoria consiste, con ogni verosimiglianza, da un lato nella cessata applicazione della c.m.s. “storica”, fulminata di nullità a decorrere dall'entrata in vigore della legge (co. 1), dall'altro nella graduale entrata in funzione delle nuove commissioni previste in sostituzione della prima e della conseguente necessità di rimodulare le istruzioni della ### d'### Si tratta, in ogni caso, prima facie, di vicende concernenti il tratto successivo all'entrata in vigore della legge e non, come postula Cass. n. 12965/16, di un'ipotetica norma di salvezza della “prassi amministrativa difforme”. 6. Sulle premesse che precedono, il saldo debitore di € 187.115,67 secondo estratto conto al 24.2.2014 deve ridursi al minor debito di € 41.501,20 in conformità alla ricostruzione 3.2.1. di cui a pag. 23 C.T.U.) e ulteriormente di € 229,81 in ragione della riduzione nei limiti della soglia dei tassi del II trimestre 2003. Il saldo resta dunque debitore per € 41.271,39 alla data del 24.2.2014.
La domanda degli attori deve intendersi respinta, poiché essi chiedevano accertarsi l'esistenza di un credito della società, pure attrice, in seguito fallita, nei confronti della banca. È nondimeno evidente, avuto riguardo agli interessi in gioco che l'azione dei fideiussori, se non ha determinato l'accertamento dell'inesistenza del debito, ha ridotto in modo assolutamente significativo l'esposizione, di modo che ricorre una situazione di soccombenza reciproca che legittima la compensazione integrale delle spese, mentre quelle di C.T.U. già liquidate devono porsi per metà a carico degli attori e per metà a carico della banca. PQM Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria domanda istanza eccezione: dichiara che il saldo debitore del c/c n. 18327, di cui gli attori devono rispondere come fideiussori, ammonta ad € 41.271,39 alla data del 24.2.2014; dichiara interamente compensate le spese di lite; pone le spese di C.T.U. già liquidate per metà a carico degli attori e per metà a carico della banca.
Torino, 15 luglio 2017 Il Giudice
(dott. ### RG n. ###/2013
causa n. 38308/2013 R.G. - Giudice/firmatari: Astuni Enrico