testo integrale
REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI ROMA ### IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice, dott.ssa ### all'esito della camera di consiglio del 26/09/2022, dà lettura della seguente sentenza nella causa iscritta al n. ###/2021 R.G. controversie lavoro promossa da ### rappresentato e difeso dall'####, per procura allegata al ricorso, RICORRENTE contro ### S.R.L., in persona del rappresentante pro tempore, con sede ###, ###: rapporto di lavoro subordinato e differenze retributive. CONCLUSIONI: per la parte ricorrente, come nei suoi scritti difensivi, nei verbali e nelle note scritte di udienza.
FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di ricorso depositato in forma telematica il ### il ricorrente in epigrafe conveniva in giudizio la società ### S.r.l., esponendo di avere lavorato alle sue dipendenze, presso i locali siti in #### n. 39, dall'1/9/2016 al 25/5/2020, data nella quale il rapporto era stato interrotto per iniziativa datoriale in forma orale.
Deduceva, il ricorrente, di essere stato continuativamente assoggettato al vincolo della subordinazione, essendo tenuto a conformare la propria prestazione agli ordini ed alle direttive impartitigli dal legale rappresentante ### nonostante l'iniziale formalizzazione del rapporto, fino al 30/4/2017, con reiterati contratti di collaborazione occasionale, e la prosecuzione dello stesso, nel periodo successivo, in assenza di alcuna pattuizione.
Rappresentava di avere svolto, per la società, le mansioni di grafico per la correzione delle illustrazioni che dovevano essere stampate per la produzione e vendita dei prodotti aziendali, nonché di traduttore cinese-italiano, con orario di lavoro a tempo pieno dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 17:00, senza fruizione quotidiana di pause pranzo e, nel periodo, di ferie e permessi.
Ritenendo di essere stato retribuito in misura insufficiente in relazione alla qualità e quantità di lavoro prestato, il ricorrente concludeva domandando, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso alle dipendenze della società convenuta e del proprio diritto all'inquadramento nel IV livello del C.C.N.L. ###, per la condanna del datore di lavoro al pagamento in suo favore dell'importo complessivo di € 45.986,31 a titolo di differenze retributive, per i titoli meglio precisati nei conteggi allegati all'atto introduttivo, cui aggiungersi l'importo di € 5.875,97 a titolo di ### mai percepito.
Nonostante la rituale instaurazione del contraddittorio, ometteva di costituirsi in giudizio la ### S.r.l., la quale, pertanto, all'udienza del 22/3/2022 era dichiarata contumace.
La controversia veniva istruita mediante l'acquisizione della documentazione allegata all'atto introduttivo, nonché con prova orale per interpello e testimoni.
All'udienza del 2/5/2022, fissata per l'assunzione del mezzo di prova, il legale rappresentante della società convenuta ometteva di presentarsi a rendere interrogatorio formale, senza giustificazione, nonostante la rituale notificazione del verbale ammissivo del mezzo di prova.
Autorizzato il deposito di note scritte e disposta contestualmente con decreto, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, lettera b), n. 7), del D.L. 125/2020, la sostituzione della odierna udienza di discussione con lo scambio di note scritte, a cagione della emergenza sanitaria nazionale per il rischio di contagio da ###19, lette le note di discussione depositate dalla parte ricorrente, la controversia è stata assunta nella odierna camera di consiglio per la decisione.
Così ricostruito l'iter procedimentale, il ricorso è fondato, nei limiti di cui in prosieguo.
È noto che le domande di natura retributiva azionate dal lavoratore traggono fondamento dall'asserita sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, sussumibile nella nozione generale contenuta nell'art. 2094 c.c., con le mansioni, l'orario e la durata dedotti in ricorso. ### il principio generale stabilito dall'art. 2697 c.c. grava sul lavoratore che agisce in giudizio l'onere di provare i fatti posti a fondamento della sua domanda, cioè l'espletamento dell'attività lavorativa descritta in ricorso in favore di parte convenuta e la sussistenza di un vincolo di subordinazione idoneo a giustificare le differenze retributive e gli altri emolumenti postulati, mentre la domanda non può trovare accoglimento ove non sia stata adeguatamente provata.
La nozione di subordinazione per pacifica giurisprudenza è ricostruibile ex post soltanto alla luce di alcuni elementi sintomatici, tra cui, soprattutto, assume natura caratterizzante l'assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo del datore di lavoro, che si traduce nella presenza di un potere gerarchico, organizzativo e disciplinare, da cui evincerne l'eterodeterminazione, peraltro non da valutare in astratto, ma da apprezzare in concreto, con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, nonché alle caratteristiche organizzative e dimensionali dell'impresa datoriale (cfr., Cass., n. 11207 del 14/5/2009); a ciò fanno, poi, da corollario altri indici presuntivi, quali la collaborazione, l'assenza di rischio, la natura dell'oggetto della prestazione, la continuità di essa, la forma della retribuzione e l'osservanza di un orario, che possono avere una portata sussidiaria ai fini della prova della subordinazione e possono essere decisivi solo se valutati globalmente e non singolarmente (cfr., per tutte, Cass. 20/7/2003, 9900 e Cass. 19/5/2000, n. 6570).
È, quindi, proprio il requisito dell'assoggettamento del lavoratore al potere gerarchico e disciplinare altrui, derivante dallo stabile e continuo inserimento nell'apparato aziendale del datore di lavoro, che vale in primo luogo a caratterizzare il tipo contrattuale, dovendosi utilizzare gli altri elementi discriminanti solo nel caso di oggettiva difficoltà a ricostruire quest'ultimo in maniera attendibile (cfr., Cass., sez. lav., 11/4/2008, n. 9545 e Cass., sez. lav., 5079 del 3/3/2009).
Nel caso in esame, la parte ricorrente ha dedotto la sussistenza di un rapporto di lavoro protrattosi per quasi quattro anni, dapprima fittiziamente formalizzato con quattro contratti di collaborazione occasionale fino al 30/4/2017 e indi proseguito in assenza di formalizzazione alcuna, sempre, di contro, connotato dal suo obbligo di conformarsi alle direttive datoriali, impartitegli dal legale rappresentante ### e di rispettare un orario di lavoro, da rendersi presso la sede aziendale, per lo svolgimento delle attività a lui specificamente affidate.
Le deduzioni contenute nell'atto introduttivo hanno trovato puntuale riscontro all'esito dell'istruttoria.
Invero, il teste ### amico del ricorrente, ha dichiarato di essere stato lui, nell'anno 2016, a presentare ### al legale rappresentante dell'### S.r.l., che gli aveva rappresentato "che cercava una persona in grado di elaborare la grafica delle etichette delle scatole, che conoscesse sia l'italiano che la lingua cinese", sicché "sapendo che il mio amico ### parla il cinese, fui io stesso a presentarglielo, accompagnandolo nel magazzino di cui ho detto".
Negli anni, poi, il teste ### ha dichiarato di avere continuato a recarsi con frequenza presso il magazzino, andando ogni volta a salutare il ricorrente, che trovava intento a lavorare, durante la settimana, sempre dalle 9:00 alle 17:00, senza ricordare che mai, in nessuna occasione, gli sia stato detto che era assente perché in ferie.
Di contro, nulla il teste ha saputo riferire in ordine alle ragioni di interruzione del rapporto.
Del tutto conformi sono le dichiarazioni dell'altro testimone ascoltato, ### anch'essa amica del ricorrente, la quale, confermato che il ricorrente parlasse la lingua cinese, ha ricordato come lo stesso nel 2016 le avesse detto di avere trovato lavoro presso un negozio di cinesi, dove doveva tradurre le etichette dal cinese all'italiano.
La teste ha riferito di essere stata spesso a trovare ### presso il luogo di lavoro "anche un paio di volte alla settimana", essendo il magazzino non lontano dal suo luogo di residenza, sapendo di trovarlo tutti i giorni, durante la settimana, grosso modo tra le 8:30-9:00 e le 17:00.
Ha escluso, la teste ### che il ricorrente abbia mai goduto di ferie "neppure nei mesi di agosto".
Quanto alla cessazione del rapporto, la teste, dopo avere confermato che "è durato fino al 2020, in piena pandemia da coronavirus", ha ammesso di non saper riferire per quale ragione si sia interrotto.
Le dichiarazioni dei testimoni trovano riscontro nella documentazione allegata all'atto introduttivo, in specie negli estratti di messaggistica ### e nelle e-mail con esempi di lavori svolti, i quali forniscono conferma di una prestazione resa dal ### in conformità alle puntuali direttive impartite dal datore di lavoro.
Al quadro fattuale emergente dalla deposizione dei testimoni e dalla documentazione prodotta si aggiunge il mancato espletamento dell'interrogatorio formale, per l'ingiustificata assenza del legale rappresentante della società convenuta all'udienza fissata per l'assunzione del mezzo di prova, nonostante la rituale notificazione del verbale ammissivo del mezzo istruttorio.
La Corte di legittimità ha, infatti, precisato che la valutazione, ai sensi dell'art. 232 c.p.c., della mancata risposta all'interrogatorio formale rientra nell'ampia facoltà del giudice di merito di desumere argomenti di prova dal comportamento delle parti nel processo, a norma dell'art. 116 c.p.c.; in particolare, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio stesso quando la parte non si presenti a rispondere senza giustificato motivo, valutando ogni altro elemento probatorio, che non deve risultare ex se idoneo a fornire la prova del fatto contestato - poiché, in tal caso, sarebbe superflua ogni considerazione circa la mancata risposta all'interrogatorio -, ma deve soltanto fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento del giudice sui fatti dedotti nell'interrogatorio medesimo ( Cass., Sez. 6 - 3, n. 10099 del 26/4/2013).
Nel caso in esame deve, pertanto, ritenersi che l'odierna società convenuta abbia tenuto una condotta idonea a fornire un pieno ed univoco riscontro al quadro probatorio sopra ricostruito tramite le dichiarazioni rese dai testimoni, secondo il disposto generale dell'art. 232 c.p.c., di guisa da comprovare definitivamente, con pieno ed esaustivo rigore, l'inserimento stabile e continuativo del ricorrente nell'organizzazione datoriale sin dal settembre 2016, con assoggettamento al vincolo della subordinazione, orario di lavoro a tempo pieno e mansioni di grafico e traduttore, fino al maggio 2020.
Quanto alla cessazione del rapporto di lavoro, di contro, l'assoluta irrilevanza delle dichiarazioni testimoniali acquisite rende priva di attitudine probatoria la mancata comparizione del convenuto a rendere l'interrogatorio formale, in quanto, a norma dell'art. 232 c.p.c., i fatti oggetto dell'interrogatorio non tenuto possono essere considerati accertati in via definitiva soltanto in ragione dell'intero quadro probatorio e la sottrazione al mezzo di prova può servire a comprovare un quadro indiziario, ma non costituire, da sola, prova piena dei fatti controversi in assenza di riscontri estrinseci.
Al riguardo, la Suprema Corte è ferma nel ritenere che “la mancata comparizione della parte all'interrogatorio formale costituisce un comportamento la cui valutazione, sul piano probatorio, è rimessa all'apprezzamento di fatto del giudice di merito, il quale, fermo l'obbligo di motivazione, può negare ad esso qualsiasi valore, qualora ritenga che i fatti dedotti non siano suffragati da alcun elemento di riscontro” (cfr. Cass., sez. III, n. 5240 del 10/3/2006).
Non è dovuta, per tale ragione, l'indennità sostitutiva del preavviso non concesso, in assenza di prova delle modalità di cessazione del rapporto e, in specie, del recesso in tronco intimato da parte datoriale.
Quanto alle pretese retributive, è opportuno trattare separatamente i vari capi di domanda.
Una volta accertata la sussistenza del rapporto e l'insorgenza di obbligazioni retributive, il datore di lavoro è tenuto a provare di avere corrisposto al proprio dipendente gli emolumenti retributivi richiesti, estinguendo così le relative obbligazioni, secondo il riparto dell'onere della prova in materia di lavoro codificato dalle previsioni generali di cui agli artt. 1218 e 2697 c.c..
Al riguardo, le ### della Suprema Corte hanno affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che agisca per la risoluzione, che per l'esatto adempimento, che per il risarcimento del danno, l'attore si può limitare a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento, mentre grava sul convenuto dimostrare l'esatto adempimento, cioè il pagamento dell'importo dovuto, così estinguendo il diritto azionato, ovvero l'impossibilità sopravvenuta a sé non imputabile (cfr., sul riparto dell'onere probatorio, Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533).
Il principio enunciato dalle ### è divenuto pacifico nella successiva giurisprudenza di legittimità (### Cass., Sez. 3, n. 982 del 28/1/2002, Cass., Sez. 2, n. 13925 del 25/9/2002, Cass., Sez. 3, n. 18315 del 1/12/2003, Cass., Sez. 3, n. 6395 del 1/4/2004, Cass., Sez. 3, n. 8615 del 12/4/2006, Cass., Sez. 1, n. 13674 del 13/6/2006, Cass., Sez. 1, n. 1743 del 26/1/2007), con l'unica eccezione - non ricorrente nel presente giudizio - in cui la parte convenuta deduca a sua volta l'inadempimento della controparte, nello schema dell'eccezione disciplinata dall'art. 1460 c.c..
Sulla base di tali principi generali, è fondata la domanda di pagamento delle differenze retributive, postulata sul presupposto di avere ricevuto per tutto il periodo dall'1/9/2016 al 25/5/2020 una retribuzione inferiore a quella prevista per i lavoratori inquadrati nel IV livello del C.C.N.L. ###, applicabile al rapporto, o, in ogni caso, inadeguata alla prestazione lavorativa espletata.
Come osservato, l'odierno ricorrente ha dimostrato la sussistenza di un rapporto di lavoro a carattere subordinato, continuativamente conformato alle direttive datoriali, a tempo pieno, con mansioni di grafico e traduttore, per tutto il periodo dall'1/9/2016 al 25/5/2020.
Sarebbe gravato sul datore di lavoro fornire prova di avere corrisposto al proprio dipendente emolumenti retributivi maggiori di quelli riconosciuti in ricorso, onere non assolto in dipendenza della mancata costituzione in giudizio.
Al riguardo, occorre tuttavia osservare che non ricorrono le condizioni, individuate dalla costante giurisprudenza di legittimità, per ritenere il datore di lavoro vincolato ad applicare il C.C.N.L. invocato in ricorso, cioè la sua appartenenza alle organizzazioni firmatarie dell'accordo medesimo - tenute a rispettarlo -, ovvero l'applicazione in concreto della normativa collettiva di settore ai propri dipendenti, per avervi, di fatto, aderito (cfr. per tutte, Cass. Un. n. 2665/1997 e Cass. 5/5/2004, n. 8565).
I contratti collettivi postcorporativi di lavoro, non dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della legge n. 741 del 1959, costituiscono atti di diritto comune aventi natura negoziale e privatistica, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi oppure li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza alcuna contestazione, delle rispettive clausole al singolo rapporto (cfr. Cass. n. 2843 del 10/2/2006).
Nel merito, non è stata fornita prova che la società convenuta fosse tenuta ad applicarlo ai propri dipendenti e, specificamente, al ricorrente, non avendo il lavoratore neppure indicato quali sarebbero gli indici fattuali da cui desumere l'applicazione al rapporto della fonte collettiva invocata.
Invero, il ricorrente si è limitato a trarre apoditticamente detta conclusione, senza fornire supporto istruttorio al proprio assunto.
Tuttavia, gli indici retributivi concordati nel contratto collettivo, seppure non applicabili in via diretta, possono essere utilizzati come base parametrica al fine di individuare una retribuzione equa e proporzionata alla qualità e quantità dell'attività lavorativa espletata, di modo da garantire il principio di adeguatezza della retribuzione percepita al lavoro prestato, secondo i dettami stabiliti dell'art. 36 Cost..
Invero, in assenza di elementi di segno contrario, il contratto collettivo rappresenta il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione, anche se limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei compensi aggiuntivi e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima (cfr., di recente, Cass. n. 153 dell'11/1/2012).
Sicché il ricorrente ha diritto alle differenze retributive tra quanto effettivamente percepito, ossia gli importi riconosciuti in ricorso, e quanto dovuto in forza del IV livello del C.C.N.L. ###, applicabile sul piano astratto al rapporto in base alla tipologia di attività lavorativa svolta dalla convenuta e del settore di mercato in cui questa opera, perché ad una disamina dei profili professionali in esso regolati le mansioni sopra accertate possono essere ricondotte nel suddetto livello professionale.
Parimenti, tali indici retributivi possono essere utilizzati per quantificare, alla stregua delle previsioni dell'art. 2120 c.c. e della durata accertata del rapporto, il ### dal momento che quel livello retributivo è idoneo a esprimere, in assenza di prova contraria, non fornita dalla convenuta, la retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro prestato, in ragione del settore di attività in cui essa operava.
Ancora, alla stregua dei suddetti indici può essere quantificata la 13ª mensilità, connaturata, come detto, al concetto di equa retribuzione.
Infine, è dovuta al ricorrente l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, avendo i testimoni riferito di averlo sempre trovato al lavoro, essendo a conoscenza che lo stesso non abbia mai fruito di giorni di ferie, in tutto il periodo, neppure nei mesi di agosto.
Per contro, non è dovuta la 14ª mensilità, istituto di derivazione pattizia, in carenza di prova circa l'applicazione diretta del contratto collettivo invocato in ricorso.
Né risultano dovuti gli emolumenti pretesi a titolo di indennità sostitutiva del preavviso - in carenza di prova delle modalità di cessazione del rapporto - malattia, lavoro festivo, permessi e festività, essendo del tutto risultata carente la prova in giudizio dei fatti costitutivi delle pretese azionate, sicché della omessa retribuzione di un periodo di malattia e della mancata fruizione di permessi - essendo in ricorso unicamente dedotto che "in caso di malattia o di ritardo… era tenuto altresì ad avvertire immediatamente il datore di lavoro, presentando successiva idonea giustificazione" - nonché della prestazione di lavoro in giornate festive.
Alla luce delle tabelle retributive del C.C.N.L. equitativamente utilizzabile per la quantificazione dei compensi, degli importi mensili percepiti e della durata del rapporto di lavoro, a tempo pieno dall'1/9/2016 al 25/5/2020, le differenze retributive ammontano a complessivi € 29.706,22, cui aggiungersi € 5.875,97 a titolo di ### Al riguardo, sono corretti e condivisibili i conteggi analitici predisposti dal lavoratore, in quanto del tutto immuni da vizi logico-motivazionali ed effettuati nel solco di tutti i parametri del rapporto di lavoro sopra accertati, salvo detrarre gli importi risultati non dovuti.
In particolare, i conteggi sono stati effettuati sul trattamento retributivo lordo previsto dalla fonte contrattuale, in linea con il costante insegnamento della Corte di legittimità, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, per cui “l'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall'art. 19, legge 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell'art. 23, comma primo, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire” (cfr., per tutte, 11/7/2000, n. 9198, Cass. 15/7/2002, n. 10258, Cass., n. 18584 del 7/7/2008, Cass. n. 19790 del 28/9/2011).
Nel percorso motivazionale della pronuncia del 7/7/2008, n. 18584, la Suprema Corte ha precisato che, in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde spettanti allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute previdenziali e fiscali prescritte, soluzione coerente in relazione all'autonomia del rapporto tributario e contributivo rispetto a quello di lavoro: la ritenuta d'acconto che il datore di lavoro effettua al momento del pagamento della retribuzione attiene al rapporto tributario per il quale quello di lavoro, ai fini della ritenuta d'acconto effettuata dal sostituto d'imposta, rileva solo quale momento di produzione del reddito.
Alla stregua dell'indirizzo ormai pacifico nella Corte regolatrice, la liquidazione delle differenze retributive va operata detratto dal lordo dovuto il netto percepito.
Conclusivamente, pertanto, la parte datoriale va condannata al pagamento dell'importo complessivo di € 35.582,19, di cui € 5.875,97 a titolo di ### oltre interessi al tasso legale sul capitale via via rivalutato annualmente (cfr., per tutte, Cass., S.U., 29 gennaio 2001, n. 38), secondo la previsione generale dell'art. 429, comma 3, c.p.c., dalla scadenza delle rate di credito sino all'effettivo soddisfo.
Le spese di lite vanno liquidate come in dispositivo alla luce della regola generale sulla soccombenza, nonché delle vigenti tabelle allegate al D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018, con riguardo allo scaglione di valore riconosciuto della causa e debbono essere distratte in favore dell'Avv. ####, dichiaratosi antistatario. P.Q.M. Lette le note di discussione scritta, definitivamente pronunciando, nella contumacia della ### S.r.l., condanna quest'ultima a pagare in favore del ricorrente ### per i titoli di cui in parte motiva, l'importo complessivo di € 35.582,19, di cui € 5.875,97 a titolo di ### oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, come per legge.
Rigetta, per il resto, il ricorso.
Condanna la ### S.r.l. alla refusione delle spese di lite, che liquida in complessivi € 5.000, oltre rimborso forfettario spese generali, I.v.a. e c.p.a., come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. ### 26 settembre 2022. ### n. ###/2021
causa n. 35663/2021 R.G. - Giudice/firmatari: Cerroni Laura