testo integrale
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE ### DI MESSINA La Corte di Appello di Messina, ###, riunita in camera di consiglio, composta dai magistrati: 1) Dott. ### 2) Dott. ### 3) Dott. ### relatore ### causa civile in grado di appello iscritta al n. 520/18 R.G., posta in decisione il ###, vertente TRA ### (C.F. L###) nato a ### di #### il ###, residente ###, e D'### (C.F. ###) nato a #### l'01/01/1953, ivi residente ###, entrambi elettivamente domiciliat ###, presso lo studio dell'Avv. ### che li rappresenta e difende, unitamente e separatamente all'avv. ### per procura rilasciata su foglio separato in calce all'atto di appello, #### e ###, #### (C.F. ###), nato a #### il ###, residente ###, con domicilio eletto in ### via S. ### n. 39, presso lo studio dell'Avv. ### che lo rappresenta e difende come da procura versata in atti #### APPELLATO - ####À ### (C.F. ###), nato a #### il ### e residente ###, elettivamente domiciliat ###, presso e nello studio degli avvocati ### e ### che lo rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente tra loro, giusta procura speciale posta in calce all'atto di costituzione in appello ### avv.archimede(@pec.it, avvantoniomariacardillo(@pec.it APPELLATO - ### OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 2723/2017, emessa e pubblicata in data ### dal Tribunale di ### in composizione monocratica, nella causa civile iscritta al n. 4943/2007 RG, in materia di risoluzione contratto preliminare, risarcimento danni e altro. ###: Si dà atto, in proposito, che all'udienza del 21.10.2022 le difese delle parti costituite insistevano nei propri petita - di cui alle note di trattazione depositate in modalità telematica, ex art. 83 comma 3 lettera h) r.l. 18/2020. ### atto di citazione, ritualmente notificato, ### e D'### hanno impugnato davanti a questa Corte, nei confronti di ### la sentenza indicata in oggetto con cui il Tribunale di ### in accoglimento delle domande proposte da quest'ultimo, ha disposto la risoluzione del contratto preliminare di permuta stipulato tra le parti in data 2 maggio 2001, per l'effetto condannando i convenuti in solido al pagamento, in favore dell'attore, della somma di 150.000,00 €, quale risarcimento del danno dallo stesso subito, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese di lite.
Premettevano di aver stipulato in data 2 maggio 2001 un contratto preliminare di permuta in cui si erano obbligati a trasferire al ### (dopo averne, a loro volta, acquistato la proprietà “nel più breve tempo possibile, e, comunque, subito dopo l'approvazione del progetto di costruzione ...”) un terreno edificabile sito nella frazione ### del ### di ### identificato in catasto con le partt. 954 e 955 del foglio 4, nonché una striscia di terreno agricolo adiacente al suddetto terreno edificabile, mentre quest'ultimo si impegnava alla realizzazione, su detto terreno, di un complesso di villette con l'obbligo, poi, di trasferirne due ai promittenti venditori a titolo di corrispettivo. ### positivo dell'operazione era, dunque, subordinato alla condizione sospensiva che venisse presentato (ad opera dei promissari venditori ma a spese del promissario acquirente per il tramite di un tecnico di sua fiducia) ed approvato il relativo progetto costruttivo.
Successivamente, il ### lamentando un grave inadempimento da parte dei promittenti venditori agli impegni contrattuali presi con la citata scrittura privata, ha chiesto al Tribunale di ### in via principale, di ritenere avverata la condizione sospensiva apposta al contratto preliminare, con conseguente trasferimento in suo favore - con sentenza sostitutiva del consenso ex art. 2932 c.c. - dei terreni previsti in contratto, alle condizioni ivi stabilite; in via subordinata, ha chiesto la risoluzione del preliminare di permuta per grave inadempimento dei convenuti, con condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni subiti per la perdita dell'operazione edilizia, oltre al danno biologico e morale provocato dallo stress psicologico della vicenda de quo.
Si costituivano gli odierni appellanti, che contestavano le avverse domande perché ritenute inammissibili ed infondate, mentre in via riconvenzionale chiedevano che venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare stipulato tra le parti per grave inadempimento dell'attore agli obblighi contrattualmente assunti e, previa autorizzazione del G.I., chiamavano in giudizio l'### COTRUZZOLA' ### affinché rispondesse in solido con l'attore di tutti i danni subiti e subendi e in ogni caso per manlevarli dalle pretese attrici.
Costituitosi in giudizio, il terzo chiamato, in via preliminare, chiedeva di essere estromesso dal giudizio per difetto di legittimazione passiva, mentre nel merito, contestando ogni assunto avversario, chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti, con condanna dei convenuti per lite temeraria.
Disposta ed espletata ### Il Tribunale di ### con la sentenza impugnata così provvedeva: "- in accoglimento della domanda subordinata svolta dall'attore, dichiara la risoluzione del contratto preliminare del 02.05.2001 per inadempimento dei convenuti; - condanna i convenuti in solido al pagamento, a favore dell'attore, della somma di € 150.000,00 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi di legge dalla domanda al saldo; - rigetta le domande riconvenzionali svolte dai convenuti; - condanna i convenuti in solido al pagamento, a favore dell'attore e del terzo chiamato, delle spese di lite che si liquidano, per il primo, in complessive € 13.790,00, di cui € 360,00 per spese ed € 13.430,00 ( valori medi dello scaglione) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali, Iva e c.p.a. come per legge, e, per il secondo, da distrarsi in favore del procuratore antistatario Avv. ### , in € 8.580,00 (di cui € 1.500,00 per fase di studio, € 800,00 per fase introduttiva, € 3.780,00 per fase istruttoria ed € 2.500,00 per fase decisoria) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali, Iva e c.p.a. come per legge; - pone le spese di c.t.u. a carico dei convenuti in solido ".
Con atto di citazione, notificato in data ###, ### e D'### proponevano appello avverso la citata sentenza, nelle parti e per i motivi di cui si dirà infra, chiedendo che, in riforma della stessa, previa sospensione della sua efficacia esecutiva, fossero rigettate tutte le domande di controparte, non sussistendo nessun inadempimento da parte loro.
Instaurato il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva nel presente grado di giudizio ### che contestava l'impugnazione e proponeva appello incidentale, chiedendo, in parziale riforma della sentenza impugnata, la condanna degli odierni appellanti al risarcimento di tutti i danni subiti per la perdita dell'operazione immobiliare, da liquidarsi quantomeno nella somma stimata dal CTU pari ad € 625.809,06, oltre rivalutazione ### ed interessi legali.
Successivamente, si costituiva anche l'### COTRUZZOLA' ### il quale, resistendo all'impugnazione, ne chiedeva il rigetto, con conferma della sentenza gravata e vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio.
Superato il vaglio preliminare di non inammissibilità dell'appello ex art. 348bis c.p.c. e respinta l'istanza di inibitoria - come da ordinanza di questa Corte del 11 gennaio 2019 -, veniva fissata l'udienza del 6 aprile 2020 per la precisazione delle conclusioni, la quale veniva dapprima differita, per carico di ruolo, all'udienza del 21 dicembre 2020 e successivamente anticipata, previa istanza dei difensori degli appellanti, al 18 maggio 2020 per i medesimi incombenti.
All'esito della suddetta udienza il Collegio riservava la decisione.
Con ordinanza del 20 novembre 2020, la Corte, ritenuto che l'istanza istruttoria di rinnovo della CTU doveva essere decisa unitamente al merito, rinviava la causa per precisazione delle conclusioni all'udienza del 4 aprile 2022, che, per ragioni organizzative e di sovraccarico del ruolo nonché per assenza del giudice relatore, veniva differita d'ufficio al 21 ottobre 2022.
In tale udienza, svoltasi in modalità cartolare ex art. 221, comma 4, legge 77/2020 (e succ. mod. e int.), preso atto delle note di trattazione scritta tempestivamente depositate dalle parti, la causa veniva assunta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve preliminarmente esaminarsi l'eccezione di inammissibilità in rito del gravame proposto, stante la specifica deduzione delle parti appellate. ### di indeterminatezza dell'appello ex art. 342 c.p.c. non implica un giudizio avente ad oggetto la fondatezza del gravame proposto, attenendo unicamente alla redazione delle argomentazioni a sostegno della domanda di riforma della sentenza di primo grado ed imponendo che il gravame non sia meramente devolutivo, ma si esplichi in una richiesta di revisione della decisione in chiave critica delle argomentazioni del giudice a quo. La sollevata eccezione dev'essere, nello specifico, disattesa anche alla luce dei principi affermati da Cass. SS.UU. n. 27199/2017, tenuto conto del fatto che l'appellante ha sufficientemente indicato e chiarito i capi della sentenza che intende impugnare e i relativi motivi, idoneamente sviluppando la parte volitiva e quella argomentativa.
La nuova formulazione dell'art. 342 c.p.c., nel testo novellato dal d. l. n. 83 del 2012 (conv. con modif. nella l. n. 134 del 2012), qui applicabile ratione temporis, non pare, infatti, comportare una significativa novità dei principi già in precedenza stabiliti in materia di specificità dei motivi d'appello, né la osservanza di particolari tecniche redazionali, dovendosi sempre tenere presente l'obiettivo della previsione che è quello di porre sia il Giudice sia la parte appellata in grado di conoscere compiutamente le critiche svolte rispetto alla sentenza, per quest'ultima al fine di poter esplicare il suo esercizio di difesa in merito. Tali requisiti risultano nella specie soddisfatti e tanto si evince anche dalla piena estrinsecazione del contraddittorio, essendo risultato che i motivi di appello sono stati inequivocabilmente e pienamente intesi dall'appellata.
Sotto il secondo profilo (348 bis c.p.c.) la Corte ha già disatteso l'eccezione con l'ordinanza emessa alla prima udienza, con la quale è stata di seguito fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni, momento di per sé incompatibile con l'adozione di un provvedimento ai sensi della norma invocata.
Sul punto, è appena il caso di precisare che “la scelta del giudice d'appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l'accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l'inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell'art. 348-ter, comma 1, c.p.c., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l'appello, che è l'unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, "in procedendo" o "in iudicando", e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate” (###, per tutte: Cass. Civ., Sez. VI-L., Ordinanza n. ### del 29.11.2021). ### 1. Venendo al merito dell'impugnazione sub iudice, con il primo motivo d'appello, #### e D'### lamentano la violazione e falsa applicazione dei principi di cui agli artt. 1359 e 2697 del c.c. in combinato disposto con l'art. 115 del c.p.c..
Sostengono, infatti, che erroneamente l'odierno appellato abbia invocato l'art. 1359 c.c., ponendo a fondamento delle proprie domande la circostanza secondo cui la condizione sospensiva a cui era sottoposto il preliminare di permuta, sottoscritto dalle parti in data ###, non si sarebbe verificata per cause a loro imputabili, in quanto avrebbero avuto interesse contrario al verificarsi della condizione medesima.
Evidenziano, invece, come l'interesse ad ottenere il rilascio della concessione edilizia indispensabile per l'operazione di permuta dedotta nel preliminare del 02.05.2001, fosse reciproco tra le parti in causa, mentre divergente era solo l'interpretazione sulla procedura da seguire per conseguire il medesimo risultato.
A sostegno della propria doglianza, richiamano conforme giurisprudenza sul punto secondo cui “La norma dell'art. 1359 cod. civ., secondo cui la condizione del contratto si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento di essa.” In ogni caso - continua parte appellante - gravava sullo stesso attore l'onere di dimostrare quale fosse l'interesse contrario all'avveramento della condizione prevista nel preliminare di permuta del 2 maggio 2001, a cui le parti avevano subordinato l'insorgere dell'obbligazione di trasferimento della proprietà del terreno de quo.
Rappresentano, infatti, come non vi sia agli atti alcun elemento probatorio idoneo a sostenere l'esistenza di un siffatto interesse, non potendolo di certo desumere dalla circostanza che avessero richiesto, per conseguire il rilascio di un regolare permesso a costruire, un percorso amministrativo diverso da quello dedotto da controparte, percorso che, sicuramente, non era di ostacolo al verificarsi della citata condizione.
Pertanto, concludono gli appellanti, non è possibile applicare al caso in esame la norma prevista dall'art.1359 del c.c., che peraltro, stante la sua eccezionalità, in quanto prevede una "fictio iuris", non è suscettibile di interpretazione analogica.
Il motivo è inammissibile. ###.1359 c.c., a mente del quale “La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa”, trova applicazione solo nelle fattispecie in cui, la parte non inadempiente, decida di agire per l'adempimento del contratto e non anche per la sua risoluzione, come nel caso che ci occupa.
Appare, pertanto, irrilevante interrogarsi, oggi, sull'esistenza o meno in capo agli odierni appellati di un interesse contrario all'avveramento della condizione sospensiva cui il preliminare era sottoposto, poiché ciò sarebbe funzionale all'avverarsi, ex art. 1359 c.c., della suddetta condizione e, quindi, al mantenimento degli effetti del contratto, circostanza esclusa nel caso che ci occupa dalla scelta processuale operata dal ### nel corso del giudizio.
La parte attrice, infatti, sebbene avesse agito in giudizio al fine di ottenere in via principale il trasferimento coattivo, ex art. 2932 c.c., del terreno edificabile oggetto del preliminare e solo in via subordinata la dichiarazione di risoluzione di quest'ultimo per grave inadempimento della controparte, in sede di note conclusive ha rinunciato alla domanda proposta in via principale e chiesto, ai sensi dell'art. 1453 c.c., esclusivamente la risoluzione del contratto preliminare di permuta stipulato tra le parti, sulla quale, dunque, il Tribunale si è poi pronunciato.
Pertanto, a parere della Corte, la censura mossa ignora totalmente la risposta data dal Tribunale, opponendovi obiezioni del tutto estranee alle motivazioni della sentenza di primo grado, la quale si basa solo ed esclusivamente sull'inadempimento di non scarsa importanza dei convenuti, tale da giustificare una declaratoria di risoluzione del contratto ai sensi degli art. 1453 e 1355 c.c..
La sentenza appellata, infatti, non contiene alcun riferimento al predetto articolo 1359 c.c., il quale non solo non è stato posto a fondamento del decisum, ma non risulta neanche richiamato in premessa o in via di argomentazione logico giuridica a sostegno delle decisioni assunte.
Sul punto, anche alla luce dell'orientamento maggioritario, i ### di ### hanno statuito che “E' inammissibile l'appello nel quale le doglianze proposte dall'appellante “non dialoghino” con la pronuncia di primo grado ove le deduzioni sono del tutto inconferenti rispetto al decisum e non siano pertinenti rispetto alle soluzioni accolte dal primo giudice” (Cassazione Civile, ### II, Ordinanza n. 21824/2019).
Nel caso oggetto di decisione, le deduzioni di parte appellante contenute nel primo motivo di appello sono del tutto inconferenti rispetto al decisum, poiché il Tribunale ha accolto la domanda formulata dall'attore promissario acquirente non già in applicazione dell'art. 1359 c.c., bensì in applicazione dell'art.1453 c.c., avendo quest'ultimo legittimamente esercitato la facoltà di scelta concessa dalla citata norma e chiesto la risoluzione del contratto per grave inadempimento della controparte, con conseguente risarcimento del danno.
Ne discende che il motivo in esame non si confronta con il contenuto della decisione impugnata e non merita, per tali ragioni, accoglimento.
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che la disciplina dell'art. 1359 c.c., relativa agli effetti del mancato avveramento della condizione per fatto imputabile alla parte avente interesse contrario all'avveramento, non è applicabile alla "condicio iuris" sospensiva, non potendosi sostituire con una semplice finzione legale la effettiva emanazione dell'atto amministrativo di autorizzazione, richiesto dalla legge come requisito dell'efficacia del negozio e come tale, eventualmente, considerato dalle stesse parti private (Cass. Civ., Sent. n. 3942/2002). 2. Con il secondo motivo di gravame, le parti appellanti si dolgono dell'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice di prime cure ha dichiarato risolto il contratto preliminare in oggetto per grave inadempimento loro attribuibile, in quanto non avrebbero consentito l'approvazione del progetto ed il rilascio della conseguente concessione o permesso a costruire (condizione sottesa al preliminare stesso) a causa della mancata sottoscrizione di una istanza da inoltrare al ### di ### al fine di conseguire l'allaccio del realizzando complesso immobiliare alla rete fognaria comunale.
In particolare, rilevano come il Tribunale, sulla scorta delle risultanze della CTU a firma dell'#### sia giunto a una siffatta conclusione disattendendo quello che era il punto focale dell'intera vicenda, ovvero che per il rilascio della predetta concessione, trattandosi di zona non urbanizzata, era necessaria la lottizzazione del terreno de quo, a cui, invece, l'odierno appellato, in malafede, non ha voluto provvedere.
Evidenziano come il nominato CTU sia pervenuto al convincimento che non fosse necessario il citato piano di lottizzazione sulla base di una interpretazione alquanto discutibile della delibera n. 67/79 del summenzionato ### la quale "zonizzava" tutto l'ambito territoriale del ### in maniera molto generica, senza dare alcuna certezza sulla concreta realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione ivi previste e, dunque, sulla non obbligatorietà di un piano di lottizzazione nella aree oggetto di contestazione.
All'uopo, rilevano che detta delibera, non idonea e generica, viene categoricamente smentita dall'attestazione dell'U.T.C. di ### prot. n. 15310/2016 del 10/11/2016, allegata agli atti del giudizio di primo grado, e dall'attestato, rilasciato in data ###, prot. n. 4524, dal ### di ### prodotto nel fascicolo appello.
In particolare, a detta degli appellanti, quest'ultimo documento elimina qualsivoglia possibile dubbio sulla necessità della presentazione di un piano di lottizzazione relativamente al terreno oggetto dell'intercorso preliminare e, soprattutto, esclude che il ### di ### avesse cambiato idea - diversamente da quanto affermato dal nominato CTU - sulla possibilità di rilasciare la chiesta concessione edilizia anche senza la presentazione di detto piano.
Pertanto - concludono - il Tribunale di ### che sulla base di una erronea interpretazione della raccomandata del 15/09/2003 prot. 15249, ha ritenuto che il ### di ### avesse rivisto la propria posizione rispetto al piano di lottizzazione originariamente richiesto, avrebbe dovuto, invece, rigettare la domanda attorea di risoluzione del preliminare de quo ed accogliere la loro domanda riconvenzionale, giacché il ### avrebbe intentato l'odierna azione giudiziaria al solo fine di tirarsi fuori da una operazione immobiliare ormai rivelatasi antieconomica e rispetto alla quale aveva perso qualsivoglia interesse.
Sostengono, infatti, che si sarebbe potuto dare corso al contratto preliminare, se solo il ### avesse manifestato la propria disponibilità a collaborare con l'autorità amministrativa per l'approvazione del progetto (anziché creare contenzioso), comportandosi lealmente e correttamente nel rapporto contrattuale volto alla realizzazione della citata operazione edilizia.
Rilevano, inoltre, che il ### dell'attore, ### Cotruzzolà, avrebbe comunque potuto dare seguito alla richiesta del ### di cui alla lettera del 15.09.2003, presentando autonomamente il progetto - come accaduto in precedenza per le varianti - e quanto necessario per conseguire l'allaccio alla rete fognaria anche senza la loro firma, necessaria solo per il rilascio della concessione edilizia dopo l'approvazione del progetto ma, sicuramente, non in quel momento.
Il motivo, nella sua esposizione ripetitiva e tutt'altro che organica, va disatteso nel merito e pertanto rigettato per le ragioni di cui si dirà infra.
La valutazione del primo decidente risulta, infatti, coerente con le risultanze probatorie emerse nel primo grado di giudizio.
Preliminarmente occorre osservare che, come affermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 1887/2018; Cass. Civ., Sent. n. 3207/2014), la parte che si è obbligata o ha alienato un bene sotto la condizione sospensiva del rilascio di determinate autorizzazioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l'altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (art. 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l'avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A. provveda sul rilascio delle autorizzazioni; con la conseguenza che deve rispondere delle conseguenze del suo inadempimento nei confronti dell'altra parte, la quale può chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni conseguenti, da accertare secondo il criterio della regolarità causale, che consente di riconoscere il danno nel caso in cui, avuto riguardo alla situazione di fatto esistente nel momento in cui si è verificato l'inadempimento, debba ritenersi che la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo possibile il legittimo rilascio delle autorizzazioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile (Cass. Civ., Sent, n. 6676/1992; Cass. Civ., 3084/1996).
Pertanto, secondo la Suprema Corte, colui che si è obbligato sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determinata autorizzazione amministrativa necessaria perché si realizzi la finalità economica del contratto, ha il dovere di compiere tutte le attività che da lui dipendono perché la pubblica amministrazione sia posta in grado di provvedere positivamente sul rilascio della autorizzazione medesima (Cass. Civ. 4110/2001), ritenendo, in caso di inadempimento, ammissibile la risoluzione per inadempimento del contratto in seguito alla violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c.(Cass. Civ., Sent. n. 3942/2002). ###. 1358 c.c. sancisce una specifica applicazione del generale principio di correttezza in materia contrattuale per ogni tipo di condizione alla quale le parti subordinano la produzione o l'eliminazione degli effetti della pattuizione (con esclusione della sola condizione meramente potestativa, che non conferisce all'altra parte alcuna aspettativa tutelabile o coercibile), imponendo alla parte condotte tali da conservare integre le ragioni dell'altra. ### il periodo di pendenza della condizione, il contratto vincola i contraenti al puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte: la condizione rende infatti incerta la produzione (o l'eliminazione) degli effetti contrattuali ma il vincolo pattizio appare già fermo e irrevocabile (Cass. n. 14006/2014). Ne deriva che la mancata o inesatta osservanza dell'obbligo di buona fede, dalla quale derivi pregiudizio alla realizzazione del complessivo assetto di interessi sotteso all'atto di autonomia privata (ossia la tenuta di un comportamento scorretto che vanifichi la realizzazione del programma negoziale), identifica una fattispecie di inadempimento attuale e immediatamente rilevante.
In particolare, il rimedio risolutorio è stato riconosciuto applicabile anche al contratto sottoposto alla condicio iuris del rilascio di determinate autorizzazioni amministrative che sia rimasto inefficace per il mancato avveramento della condizione medesima, in tal caso può essere dichiarato risolto in danno della parte colpevole - con la conseguente condanna al risarcimento dei danni - per essere stati violati (con dolo o con colpa o con specifici atti diretti ad impedire, il verificarsi dell'evento), oltre che il generico dovere di lealtà e correttezza imposto dall'art. 1375 c.c., lo specifico obbligo previsto dall'art. 1358 stesso codice di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine di incertezza insito nell'evento condizionato, onde conservare integre le ragioni dell'altra parte.
Da tempo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Civ., Sent. n. 6676/1992; Cass. Civ., S.U., 18450/2005; Cass. Civ., Sent. n. 3207/2014; Cass. Civ., Sent. n. 24977/2018) ha ricostruito la struttura dell'illecito contrattuale per mancata osservanza del comportamento leale in pendenza della condizione in maniera autonoma, sia da specifiche previsioni contrattuali, come pure dal generale dovere del neminem laedere.
Orbene, gli odierni appellanti, con il loro immotivato ostruzionismo hanno tenuto un comportamento contrario a buona fede (in violazione degli artt. 1358 e 1375 c.c.), impedendo così l'avverarsi della condizione sospensiva a cui il contratto preliminare era sottoposto, ovvero il rilascio da parte dell'Ente comunale della concessione edilizia propedeutica alla realizzazione dell'operazione edilizia originariamente concordata.
Tra l'altro, con la scrittura privata del 2 maggio 2001, ### e D'### si erano assunti sia l'obbligo giuridico di collaborare secondo buona fede per l'ottenimento del rilascio della concessione edilizia, sia l'obbligo contrattuale di provvedere alla sottoscrizione e presentazione del progetto, nonché al compimento di tutte le attività connesse da essi dipendenti, ma, alla luce delle risultanze processuali, è emerso inequivocabilmente come entrambi gli obblighi siano stati violati a causa del loro grave inadempimento.
Infatti, mentre la parte attrice ha diligentemente provveduto a compiere tutti gli atti necessari ai fini dell'ottenimento della concessione edilizia indispensabile per il buon fine dell'operazione edilizia, quella convenuta, contravvenendo ai doveri di lealtà e correttezza, ha mancato da un certo momento in poi di prestare la collaborazione necessaria per realizzare le condizioni richieste affinché l'amministrazione comunale provvedesse sulle domande di autorizzazione.
Infatti, così come correttamente stabilito dal primo Giudice, appare ingiustificato il rifiuto dei due appellanti - nonostante le molteplici richieste da parte del ### - a sottoscrivere l'istanza richiesta dal ### al fine di ottenere la preventiva approvazione delle opere necessarie per l'allaccio alla rete fognaria comunale, nonché assolutamente pretestuosa la ostinata richiesta di presentazione di un piano di lottizzazione.
A parere della Corte, le condotte ostruzionistiche e poco collaborative tenute dagli odierni appellanti hanno, certamente, pregiudicato il buon esito dell'affare e vanno, pertanto, censurate.
A nulla valgono i tentativi di parte appellante di giustificare l'opposto rifiuto di collaborare con la controparte spostando il fulcro della questione sulla necessità, stante l'asserita mancata urbanizzazione dell'area, di provvedere alla predisposizione e presentazione di un piano di lottizzazione, producendo in giudizio, perfino, documenti nuovi.
A tale ultimo riguardo occorre richiamare la giurisprudenza di legittimità secondo cui "La nuova formulazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c., introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, che prevede il divieto di ammissione, in appello, di nuovi mezzi di prova e documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrre per causa non imputabile, trova applicazione, in difetto di un'espressa disciplina transitoria ed in base al generale principio processuale "tempus regit actum", quando la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l'11 settembre 2012"(Cass. Sez. II, n. 21606/2021).
Nel caso di specie, sebbene il fascicolo di primo grado risulti iscritto nel 2007, la sentenza è stata pubblicata nel 2017, dunque, diversamente da quanto sostenuto da parte appellante, nella vigenza della nuova formulazione dell'art. 345 comma 3 c.p.c..
Il suddetto divieto impedisce, quindi, che possano essere prospettate nel giudizio di appello ragioni di indagine diverse da quelle sviluppate ed esplorate dal giudice di primo grado, non attinenti a eccezioni in senso lato rilevabili anche di ufficio che si sottraggono al divieto di cui all'art. 345 c.p.c., sempre che emergano da documenti o altre prove già ritualmente acquisite al processo.
Ciò posto, con il proposto motivo di gravame l'appellante introduce nuove allegazioni in fatto mai formulate in primo grado che, alla luce dell'ormai consolidato principio giurisprudenziale (Cass. Sez. III sent. n. 9211 del 22.03.2022), secondo cui "il divieto di 'nova' in appello riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma altresì le allegazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado", devono considerarsi inammissibili, tanto più che nulla impediva agli allora convenuti di produrle nel giudizio di primo grado.
Tra l'altro, tale documentazione è, in ogni caso, totalmente in conducente, non modificando in alcun modo la sostanza della questione. Infatti, seppur nella zona alcune opere di urbanizzazione primaria sono state eseguite in epoca successiva ai fatti di causa, ciò non esclude che per l'approvazione del progetto, in quel dato momento storico, sarebbe stata sufficiente la sola realizzazione di una condotta fognaria a cura della ditta costruttrice.
Ad ogni buon conto, anche a prescindere dalla novità delle argomentazioni difensive, ciò che forma oggetto di disputa non è stabilire se nelle aree interessate fosse o meno necessario un piano di lottizzazione - sebbene la risposta del CTU in tal senso debba considerarsi più che esaustiva: "si può asserire che la zona B in questione (sita nella fraz. di #### si poteva ritenere urbanizzata in quanto nei pressi vi erano le principali opere di urbanizzazione primaria ( rete idrica, viaria, e fognante), quindi si poteva rilasciare la concessione edilizia diretta senza necessita di dover presentare piani di lottizzazione , il tutto per come asserito dal geom. Alacqua (responsabile del procedimento) con l'ultima richiesta formulata dal ### di ###- bensì valutare se il comportamento assunto dai promittenti venditori abbia impedito l'avverarsi della condizione sospensiva da cui dipendeva il buon esito operazione edilizia.
Ebbene, l'ingiustificato rifiuto a sottoscrivere l'istanza richiesta in ultima analisi dal ### di ### con nota del 15.09.2003, dalla quale emerge l'intendimento del predetto Ente a non richiedere più - per lo meno nella fase di riesame della pratica - il piano di lottizzazione al fine dell'approvazione del progetto (nella stessa, infatti, si invitava la ditta proprietaria ### non più, a predisporre il piano di lottizzazione, ma in accoglimento delle osservazioni presentate, a presentare istanza preventiva, corredata da idoneo progetto "ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione all'esecuzione ,nel tratto di strada comunale, dei lavori relativi alla posa in opera del condotto di allaccio della fognatura al pozzetto più vicino ubicato nella via ### - S. ### nelle vicinanze dell'ex frantoio ###), costituisce un chiaro inadempimento degli obblighi assunti con la sottoscrizione del preliminare, avendo palesemente ostacolato l'iter del procedimento necessario per ottenere la concessione edilizia, che era, invece, preciso obbligo dei promittenti venditori curare.
A ciò si aggiunga che gli odierni appellanti hanno perfino rifiutato la proposta con cui il ### dichiaratosi disposto a procedere con il piano di lottizzazione, chiedeva, a ragione, la revisione delle originarie condizioni del contratto in modo da ripartire equamente sia la perdita di cubatura sia i maggiori costi.
Si rammenti, altresì, che per orientamento ormai consolidato sul punto, qualora il fatto dedotto in condizione sia un provvedimento amministrativo, la prova relativa alla realizzazione delle condizione non può avere ad oggetto la certezza che il provvedimento positivo vi sarebbe stato, ma solo lo stabilire se, nella situazione data, una legittima conclusione positiva del procedimento fosse possibile (Cass. Civ., Sent. 15-6-2011 n. 13099).
È evidente, dunque, che tale giudizio deve essere condotto verificando se sussistono, così come nel caso di specie, circostanze tali da fare ragionevolmente presumere che il procedimento amministrativo avrebbe avuto esito favorevole.
Parimenti da censurare è l'ulteriore considerazione secondo cui per la presentazione di tale istanza con annesso progetto non era necessaria la firma dei proprietari del fondo, ben potendo essere sostituita da quella del solo tecnico.
A rigore, va evidenziato che per effettuare i lavori di allacciamento degli scarichi di un immobile alla fognatura comunale è necessario ottenere apposita autorizzazione, la cui domanda, ai sensi del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, deve essere debitamente presentata e firmata dal proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo (o dal legale rappresentante) dello stabile per cui si richiede l'allacciamento e dal tecnico responsabile del progetto.
Correttamente, dunque, in questo contesto di fatto e diritto, il primo Giudice ha giudicato gravemente inadempienti i convenuti rispetto alle obbligazioni assunte con il preliminare stipulato in data 2 maggio 2001, trattandosi senz'altro di inadempimento di non scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del ### alla realizzazione dell'operazione edilizia.
Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni tale motivo non è meritevole di accoglimento. 3. Il terzo motivo dell'impugnazione principale censura la sentenza gravata nella parte in cui ha accolto la domanda risarcitoria proposta dal ### nonostante la stessa fosse assolutamente generica sia sull'an che sul quantum debeatur.
Deducono gli appellanti che l'attore non ha mai precisato né le voci né l'ammontare dell'asserito danno, neanche a seguito dell'espletata ### mentre ne aveva il preciso onere, mantenendo fino alla fine la sua domanda generica e indeterminata per ciò che attiene al quantum e priva di allegazioni sul piano probatorio.
Sostengono, peraltro, che la ### non avendo funzione esplorativa, in mancanza di specifiche allegazioni dell'attore, non poteva essere presa come riferimento per la quantificazione dei danni, per cui non può essere neanche condiviso il percorso argomentativo del Tribunale che ha portato al riconoscimento di danni non specificati, insussistenti e non provati.
Infine, rilevano come i danni reclamati dall'odierno appellato non possono comunque quantificarsi nella eccessiva somma liquidata dal Tribunale, la quale ha avuto come riferimento, sia pure con gli opportuni correttivi, l'astratta relazione del CTU che risulta priva di qualsivoglia riferimento al caso concreto.
Infatti, aggiungono che le affermazioni del ### in ordine all'utile d'impresa, sono smentite dalle indagini di mercato sulle vendite e sui costi di costruzione, nonché dal computo metrico estimativo prodotto in atti, sulla base dei quali il guadagno netto presunto per l'impresa costruttrice non sarebbe andato oltre € 56.757,73, cifra che avrebbe fatto desistere chiunque dal portare a compimento l'opera. 4. Col quarto motivo la decisione del Tribunale di ### viene censurata anche con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 del c.c. in relazione all'art. 1453 Infatti, secondo gli appellanti, il Tribunale avrebbe omesso di considerare quale fosse l'epoca cui andava riferito il risarcimento, chiesto ai sensi dell'art.1453 del c.c., che consente, in via eccezionale, la mutatio libelli in corso di causa.
Orbene, continuano le parti appellanti, avendo l'odierno appellato rinunciato alla domanda di adempimento dell'intercorso preliminare, optando per la risoluzione del contratto medesimo, con le note conclusive del 30 ottobre 2017, è a tale data che il Tribunale avrebbe dovuto riferirsi per la determinazione del risarcimento del danno.
Sostengono, inoltre, indicando specifica giurisprudenza sul punto, che il risarcimento dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione, imputabile al promittente venditore, del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, consisterebbe nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (ovvero al tempo in cui l'inadempimento è divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito.
Nella fattispecie concreta, il preteso risarcimento avrebbe dovuto, dunque, essere pari alla differenza tra il valore commerciale del bene promesso in vendita, ovvero il terreno di proprietà degli appellanti, al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (cioè al tempo in cui l'inadempimento è divenuto definitivo), ed il corrispettivo della vendita, costituito dal valore delle due villette promesse in permuta dal promissario acquirente.
Rilevano, altresì, che il presunto danno avrebbe dovuto essere liquidato tenendo conto delle circostanze emerse in corso di causa e nei limiti del prevedibile, anche in considerazione del fatto che il valore del terreno promesso in vendita era diminuito e che le villette promesse in permuta non avrebbero potuto essere realizzate così come era stato originariamente progettato.
Dunque, alla data predetta, sempre secondo gli appellanti nessun risarcimento era dovuto sia sotto il profilo del “danno emergente”, inteso quale pregiudizio effettivo della sfera patrimoniale del danneggiato, sia sotto quello del “lucro cessante”, inteso quale mancato guadagno o perdita di chance in termini di certezza o elevata probabilità, in quanto non provati ed indicati in maniera del tutto generica ed ipotetica.
A riguardo sostengono, inoltre, che l'appellato non avrebbe subito alcun pregiudizio economico, avendo lo stesso riconosciuto l'antieconomicità dell'operazione immobiliare originariamente concordata, che peraltro, non era più in grado di realizzare, in quanto non svolgeva più alcuna attività imprenditoriale dall'1 giugno 2012.
I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, non appaiono meritevoli di accoglimento.
Preliminarmente, giova ricordare che la disposizione posta dal II comma dell'art. 1453 c.c., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l'adempimento, fissa un principio di contenuto processuale, in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell'altra parte ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione - non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c. - sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi, e, quindi, inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria (Cass. Civ., Sent. n. 8234/2009; Cass. Civ., Sent. 13003/2010; Cass. Civ., Sent. n. 15461/2016).
Nel caso in esame, il Tribunale non si è discostato dagli enunciati principi, ritenendo ammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore, proposta nel corso del giudizio di primo grado dall'attore, in sostituzione di quella di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, azionata con l'atto introduttivo del giudizio. Infatti, l'attore ha posto a base della domanda di risoluzione - proposta comunque già nell'atto introduttivo come domanda subordinata - gli stessi fatti (rifiuto della controparte ad eseguire la propria prestazione, allorquando il promissario acquirente si era attivato per ottenere l'esecuzione del contratto) dedotti a fondamento della domanda principale/originaria.
Fatta questa premessa, diversamente da quanto dedotto nell'atto di appello, secondo cui l'inadempimento sarebbe divenuto definitivo solo con la rinunzia fatta con le note conclusive del 30 ottobre 2017, va ricordato che per orientamento ormai consolidato della Corte di legittimità: "in caso di inadempimento dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva ai sensi dell'art. 1358 c.c., il momento dell'inadempimento utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza va individuato in quello ### in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della "condicio facti" e non già nel successivo momento della proposizione della domanda giudiziale di risoluzione del contratto (già inefficace per mancato avveramento della condizione)" (Cass. Civ., Sez. II, Ordinanza 21427/2022; Cass. Civ., Sent. n. 1887/2018; ### n. 3207/2014).
Ritiene, dunque, la Corte che il tempo in cui si è verificato l'inadempimento degli odierni appellanti all'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva debba essere ravvisato nel limite della pendenza, ossia in quello della scadenza del termine ultimo di cui alla diffida ad adempiere del 31 ottobre 2005, che ha reso impossibile l'avveramento della condizione e dunque la stipula del contratto definitivo.
Prospettare che l'inadempimento sia divenuto definitivo solo all'atto della proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento del preliminare da parte dei promittenti venditori - con le note del 30 ottobre 2017 - significa disconoscere l'autonomia della diversa fattispecie di inadempimento da violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c..
Pertanto, il risarcimento del danno andrà commisurato, in termini di lucro cessante, sulla base dei presumibili utili che sarebbero stati ricavati qualora non vi fosse stato l'ingiustificato ritardo imputabile agli appellanti.
Va disattesa, inoltre, la censura secondo cui la domanda di risarcimento danni avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile giacché generica sull'an e sul quantum debeatur.
La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che una richiesta di risarcimento dei "danni subiti e subendi" va qualificata come generica quando non sia accompagnata dalla concreta descrizione del pregiudizio di cui si chiede il ristoro, così da non consentire né al giudice, né al convenuto, di sapere di quale concreto pregiudizio si chieda il ristoro, impedendo, altresì, di far sorgere in capo al giudice il potere-dovere di provvedere" (Cass. Civ., Sez. III, n. 13328/2015,).
Ma nel caso che ci occupa non sussiste alcuna genericità nella domanda di risarcimento danni formulata dall'attore, avendola egli fin da principio formulata in maniera specifica, identificando il pregiudizio subito nella totale perdita degli utili che sarebbero derivati se l'operazione edilizia concordata fosse andata a buon fine, secondo i criteri indicati dal proprio tecnico - ### CUTROZZOLA' - nella relazione tecnica allegata agli atti.
La risoluzione del contratto per inadempimento comporta ex se il diritto della parte non inadempiente di chiedere il risarcimento del danno per la cui determinazione i criteri da applicare sono quelli di cui all'art. 1223 c.c.; pertanto, sono risarcibili i danni conseguenza diretta e immediata dell'inadempimento, comprensivi tanto della perdita subita, quanto del mancato guadagno: "…il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, la cui delimitazione e' determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato…." (Cass. Civ. Sez. II, ### n. 18832/2016).
Quanto al danno da mancato guadagno, incombe sul danneggiato l'onere di provare che, ove l'altro contraente fosse stato adempiente, avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, che invece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (cfr. ex multis Cass. Civ., Sez. III, ### n. 24632/2015; conf. Cass. Civ., Sez. III, ### n. 1752/2005).
Tutto quanto precede ha certamente generato in capo all'odierno appellato una perdita da mancato guadagno e il conseguente diritto al risarcimento del danno nei limiti in cui si dirà.
Si tratta, infatti, di danni certi nel loro verificarsi ma non agevolmente provabili sul piano del quantum, cosicché il Giudice di prime cure ha correttamente fatto ricorso alla valutazione equitativa, applicando la regola dell'art. 2056 c.c., comma I, che richiama l'art. 1226 c.c. - secondo cui "se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa"-, conformemente alla consolidata interpretazione che di tale norma ha dato la Suprema Corte, per cui l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al Giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (cfr. Cass. Civ. Sez. III, ### n. 8615/2006; Cass. Civ. Sez. III, ### n. 9244/2007; Cass. Civ. Sez. III, ### n. 20990/2011; Cass. Civ., Sez. VI, - L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011; Cass. Civ. Sez. III, ### n. del 08/01/2016).
Nella specie, non può considerarsi incongruente il ragionamento seguito dal primo Giudice, il quale, ritenuto corretto il criterio di calcolo basato sulla differenza tra l'utile ragionevolmente ricavabile dall'operazione immobiliare e il costo della medesima, ha determinato in via equitativa l'ammontare del risarcimento, utilizzando come base di calcolo l'utile individuato dal CTU nella sua relazione di perizia versata in atti - pari a complessivi € 625.809,06 - decurtato nella misura che ha ritenuto di giustizia in considerazione di tutta una serie di variabili che potevano incidere sul buon esito dell'operazione commerciale.
Orbene, dalla disamina della citata CTU emerge che il perito nominato dal Tribunale, #### sulla scorta delle indicazioni del mandato conferito - "e accerti il ctu, in caso di risposta negativa al superiore quesito, gli utili ricavabili dall'attore per effetto dell'operazione commerciale" -, ha, in primis, chiarito che la predetta stima era data dalla differenza tra il valore presunto delle villette, con annesso terreno, già realizzate e pronte per essere vendute (incasso lordo) e i costi per la realizzazione di dette unità immobiliari, comprese le villette concesse in permuta (costi di produzione).
Successivamente, dall'esame complessivo della documentazione in atti e sulla scorta dei prezzi di mercato riferiti al periodo in questione per l'acquisto di immobili dello stesso tipo nella fraz. ### di #### - desunti da indagini di mercato, dalle agenzie immobiliari e dall'osservatorio immobiliare dell'agenzia delle entrate -, si è proceduto alla stima di quelli che potevano essere i presumibili incassi per la vendita delle villette (con esclusione di quelle che dovevano essere cedute ai promittenti venditori) e del relativo terreno al lordo delle spese, calcolando un utile complessivo di € 3.535.500,60., a cui è stato sottratto l'ammontare dei costi produzione, che in una operazione immobiliare di siffatto genere - considerate le spese presunte da sostenere per realizzare i manufatti, le spese di progettazione , quelle di sistemazione degli spazi interni e di quant'altro previsto e necessario ecc.. - si aggiravano intorno al 70% dell'incasso finito, per un valore stimato pari a 2.909.691,54 €.
Dunque, secondo il consulente tecnico, l'utile presunto ricavabile dall'attore per effetto dell'operazione commerciale non andata in porto (dato dalla differenza tra il prevedibile risultato utile dell'affare - 3.535.500,60 € - e le spese per la realizzazione dell'intera operazione - 2.909.691,54 €), riferito al periodo in questione (data in cui le opere dovevano essere realizzate), sarebbe pari ad € 625.809,06.
Tali conclusioni, cui il CTU è pervenuto, eseguendo le verifiche e i conteggi richiesti con il mandato peritale sulla scorta dei documenti prodotti e di apposite indagini di mercato, benché logicamente motivate e per molti aspetti condivisibili, possono però essere utilizzate, così come avvenuto in prime cure, solo come riferimento per poter procedere ad una quantificazione del danno in via equitativa, che tenga conto di tutte le variabili in grado di incidere sull'esito finale dell'operazione edilizia.
Ciò, infatti, ha portato il Giudice di primo grado a quantificare in €. 150.000,00 il danno subito dal ### rapportandolo a circa un ¼ della stima operata dal C.T.U, cifra che ad ogni buon conto deve ritenersi riduttiva, alla luce di quanto si dirà nell'esaminare l'appello incidentale proposto dall'appellato.
A conclusione della disamina del presente motivo di gravame, va solo precisato che di contro, non vi sono agli atti prove e/o documenti che possano fare propendere per una quantificazione del danno nei termini richiesti dagli odierni appellanti, secondo i quali il guadagno netto presunto per l'impresa costruttrice non sarebbe andato oltre l'irrisoria somma di €. 56.757,73, cifra del tutto avulsa dalle marginalità economiche delle operazioni nel settore immobiliare e quindi priva di aderenza alla realtà. 5. Con il quinto motivo di gravame, ### e D'### lamentano il mancato accoglimento delle richieste istruttorie così come formulate in prime cure.
In particolare, osservano come le prove richieste - interrogatorio formale dell'attore #### prova per testi, rinnovazione CTU - sarebbero state determinanti ai fini del rigetto delle domande attoree e dell'accoglimento delle proprie domande riconvenzionali.
Il Tribunale di ### invece, ingiustificatamente rigettava siffatte richieste senza addurre alcuna valida pronuncia sul punto.
Tali richieste istruttorie si intendono interamente riproposte nel presente grado di appello.
Anche tale motivo d'appello è infondato.
Per quanto attiene alla reiterata richiesta della prova per testi formulata dagli odierni appellanti (interrogatorio formale dell'attore nonché di prova testimoniale) si rileva che correttamente il primo ### ha ritenuto di disattenderla, in quanto le prove dedotte sono irrilevanti ai fini della decisione, giacché il loro contenuto attiene a circostanze pacifiche e incontestate, già documentalmente provate.
Nel caso di specie, dunque, il Tribunale non ha certamente violato il principio del contraddittorio, in quanto le prove non ammesse, oltre a non essere ammissibili per i motivi già indicati dal primo Giudice, sono anche superflue ed inconducenti rispetto ai fatti di causa, atteso che concernono fatti estranei rispetto all'oggetto della domanda.
Va, all'uopo, rammentato il granitico principio espresso dal ###, per il quale il Giudice adito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee alla sua formazione, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti compiuta una valutazione dei vari elementi acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso, rientrando nei compiti propri del decidente stabilire quale degli stessi sia, nel caso concreto, più funzionalmente pertinente allo scopo di concludere l'indagine sollecitata dalle parti, con conseguente potere del medesimo di basarsi esclusivamente su quanto ritenga, motivatamente, rilevante e influente per la formazione del giudizio richiestogli e di negare ingresso a questioni ritenute del tutto superflue o defatigatorie (v. Cassazione, ordinanze 8 agosto 2019, 21210; n. 16467 del 4 luglio 2017 e n. 742 del 19 gennaio 2015).
Tra l'altro, secondo un principio giurisprudenziale ormai consolidato, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione - in quanto la prova non ammessa e/o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare le circostanze allegate dalle parti a fondamento della propria domanda (ex multis Cass. 11457/07) - ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148).
Con riferimento alla richiesta di rinnovazione della CTU di primo grado la Corte non ha ritenuto necessario disporne un supplemento, dal momento che ai quesiti posti il consulente ha già compiutamente risposto nella propria relazione di consulenza presente in atti.
Sul punto si rigetta, dunque, la richiesta di rinnovazione della ### potendo quest'ultima essere ritenuta superflua anche per implicito.
Peraltro, deve ribadirsi il principio secondo cui "In tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto" (Cass. Civ., sez. II, ### 12/08/2022, n.24801).
In ultimo va attenzionata la posizione del terzo chiamato, ### COTRUZZOLA', nei cui confronti va confermata la statuizione di primo grado per acquiescenza degli appellanti sui capi della sentenza non impugnata, sui quali si è formato il giudicato non essendo stato avanzato specifico motivo di gravame.
La sentenza gravata, infatti, non viene impugnata nella parte in cui dispone: “Di contra nessun inadempimento è riscontrabile nella condotta ..... e del terzo chiamato per la mancata approvazione del progetto edificatorio”, pertanto, poiché, che nel corpo dell'atto d'appello non viene mossa alcuna specifica censura nei confronti del ###, ne deriva che su detti capi è calato il giudicato sostanziale per intervenuta acquiescenza parziale ex art.329 c.p.c..
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, l'appello principale va rigettato in toto. ### 1a. Passando alla disamina delle doglianze dell'appellante incidentale, con un unico motivo d'appello viene censurata la erroneità del ragionamento seguito dal Tribunale di ### nel determinare il quantum risarcitorio, ovvero l'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno, che, alla luce delle conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio nella CTU depositata in atti, avrebbe dovuto essere quantificato in complessivi € 625.809,06, oltre rivalutazione monetaria ### ed interessi legali.
In particolare, il ### ritiene che il Giudice di prime cure abbia errato a tener conto delle "variabili" indicate in sentenza quali fattori incidenti sul mancato utile percepito, operando una eccessiva decurtazione dell'ammontare del risarcimento.
Chiede, pertanto, la riforma della sentenza impugnata nella parte relativa al quantum risarcitorio con conseguente condanna degli appellanti al risarcimento del danno patito che dovrà essere quantificato facendo riferimento alla stima del ### escludendo qualsiasi rilevanza alle predette "variabili" erroneamente prese in considerazione dal primo Giudice, o, comunque ed in subordine, attribuendogli minore valenza e, quindi, effettuando una minore decurtazione.
Come anticipato, tale motivo va parzialmente accolto nei termini che seguiranno.
Preliminarmente va precisato che la fondatezza delle domande dell'odierno appellato - appellante incidentale, vertenti sul risarcimento del danno da lucro cessante subito a causa dell'inadempimento del contratto preliminare di permuta oggetto di causa, dev'essere vagliata alla luce della giurisprudenza sull'onere della prova (che ex art. 2697 c.c. incombe sulla parte che agisca per il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale) espressa dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale, nella sentenza n. 24632 del 3/12/15, ha statuito che "In tema di responsabilità contrattuale ai fini del risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all'inadempimento del contratto non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera del danneggiato, in termini sia di danno emergente sia di lucro cessante, e la sua entità. Il danno patrimoniale da mancato guadagno, in particolare, presuppone la prova, anche presuntiva, dell'utilità patrimoniale che secondo un giudizio di probabilità il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, dovendosi escludere i mancati guadagni meramente ipotetici".
Sul punto il ### ha recentemente statuito che il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici, perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi, offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito (Cass. ordinanza n. 5613/2018; Cass. Civ., Sez. III, n. 25160/2018).
Il risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di "chance" impone, dunque, all'attore danneggiato di fornire la prova, anche in via presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
Nel caso in esame, sebbene sia indubbio il danno subito dal ### in termini di mancato utile, lo stesso non ha però fornito alcuna prova, neppure indiziaria, di aver subito un danno da mancato guadagno - quale conseguenza connessa all'inadempimento del preliminare oggetto di causa - corrispondente al risarcimento richiesto, essendo, quantomeno, necessaria "l'indicazione di concrete differenti occasioni mancate".
Non è stata, infatti, fornita adeguata prova dell'esistenza di un maggior danno utile per addivenire ad un risarcimento commisurato al valore stimato dal ### Il risarcimento in caso di perdita di chance non può essere proporzionale al "risultato perduto" ma va commisurato, in via equitativa, alla "possibilità perduta di realizzarlo".
Per tale motivo, come giustamente argomentato dal primo Giudice, bisogna valutare ai fini della determinazione finale del risarcimento del danno da mancato guadagno le molteplici variabili che avrebbero potuto incidere sul buon esito dell'operazione edilizia, quali l'approvazione finale del progetto da parte del ### di ### l'effettiva realizzazione delle villette, nonché la loro successiva vendita, influenzata l'una dalle variazioni al rialzo dei costi di costruzione e l'altra dalle fluttuazioni del mercato immobiliare, notoriamente in crisi.
Tra l'altro, si tratta di rischi che il ### si era consapevolmente assunto già in sede di stipula del preliminare di permuta oggetto di causa, in quanto insiti nell'alea del mancato avveramento della condizione sospensiva ad esso sottesa.
Alla stregua di tutto quanto sopra argomentato, la Corte, ritenendo eccessivamente penalizzante per il ### la decurtazione effettuata in prime cure, liquida, in via equitativa, il danno patito dall'appellante incidentale nella misura di circa 1/3 della stima operata dal ### corrispondente all'importo di €. 200.000,00.
Tale somma (già epurata dai possibili ulteriori guadagni caratterizzati da incertezza - che si stimano, per le variabili sopra indicate, nei 2/3 dell'importo stimato dal ###) si reputa maggiormente rispondente all'utilità patrimoniale che l'imprenditore - con ragionevole elevata probabilità - avrebbe ricavato dall'intera operazione economica e che può ritenersi comprovata - almeno nei termini sopra indicatialla luce della redditività normalmente associata ad operazioni del genere nel settore immobiliare.
Pertanto, in parziale accoglimento della superiore censura, l'ammontare del risarcimento del danno cagionato al ### dalla perdita dell'utile che avrebbe potuto ricavare dall'operazione immobiliare va riformato e individuato nella misura di € 200.000,00.
In tema di risarcimento del danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale (in esse comprese quelle di fonte legale contenute in norme imperative, come tali integranti il contratto, anche mediante sostituzione di clausole con esse contrastanti) di natura non pecuniaria (come nel caso di specie), la giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che "### di risarcimento del danno cagionato da inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore: al relativo creditore è dunque riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria, applicabile dal giorno di verificazione dell'evento dannoso, e degli interessi compensativi secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa" (Cass. Civ., sez. I, ### n. 26202/2022).
Dunque, ai fini dell'integrale risarcimento del danno, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al soggetto danneggiato, sulla somma riconosciuta a titolo risarcitorio, sia la rivalutazione monetaria secondo l'indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall'### che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza - trattandosi di debito di valuta - e sino all'effettivo soddisfo (Cass. Civ., Sez. II, ### n. 1627/2022).
Detta debenza decorrerà a far data dalla verificazione dell'evento dannoso (mancato rilascio della concessione edilizia preliminare alla realizzazione dell'operazione commerciale indicata in contratto), determinato dall'inadempimento alle obbligazioni assunte dalle parti appellate ed individuato nel termine ultimo di cui alla diffida ad adempiere del 31 ottobre 2005.
E' bene sul punto precisare che “La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi” (### Cass. Civ. Sez. 3, ### n. 26374 del 16.12.2014).
Alla luce delle superiori considerazioni l'appello incidentale va parzialmente accolto nei termini sopra esposti.
Alla totale soccombenza degli appellanti principali nei confronti delle parti costituite segue la condanna in solido degli stessi al pagamento in loro favore delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo nella miniera di seguito indicata e in applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014, secondo lo scaglione del valore del decisum, ciò rileva sia nei rapporti fra parte appellante e parte appellata sia per quel che riguarda l'attività difensiva spiegata dal terzo chiamato in causa. ###, infatti, ha comportato un ulteriore costituzione e un ulteriore difesa per entrambe le parti appellate, nonostante il differente rilievo che la controversia possedeva nei confronti di ognuna.
Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che, unitamente a quello di soccombenza governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo.
Sul punto, si è recentemente sostenuto da parte della giurisprudenza di legittimità che “### il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria - e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria - legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell'attore, pone a carico di quest'ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nel secondo grado del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall'altro, l'onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza - mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l'attore ed il terzo - bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo”(### Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1123 del 14/01/2022 (Rv. 663523 - 01).
In particolare, le spese devono liquidarsi in base ai parametri tariffari di cui al D. M. n. 55/2014 come parzialmente modificato da ultimo dal D. M. n. 147/2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l'art. 6 del citato D.M. 147/22 invero “le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore”). Ciò, peraltro, risulta in linea con il principio affermato dalla Suprema Corte cui, parametrandolo alle precedenti modifiche, va data continuità in questa sede ###tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D. M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D. M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c. p. c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d'appello, atteso che l'accezione omnicomprensiva di <<compenso>> evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera prestata nella sua interezza” (Cass. Civ. n. ###/2018).
Ne discende che, tenuto conto del valore accertato della causa e applicando i valori tariffari prossimi ai minimi in considerazione della peculiare natura della controversia, dell'entità delle questioni trattate e delle relative prestazioni defensionali rese, le spese nei confronti di entrambe le parti costituite, ### e #### debbano essere liquidate, per il presente grado di giudizio in complessivi € 6.200,00 (di cui € 2.100,00 la fase di studio della controversia, € 1.300,00 per la fase introduttiva e € 2.800,00 per la fase decisionale), oltre spese generali, nella misura del 15%, ed IVA e CPA come per legge.
Stante il rigetto dell'appello, ricorrono, altresì, i presupposti per porre a carico degli appellanti principali il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per l'appello, giusto quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L.228/2012. PQM La Corte di ### di ### uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da ### e D'### avverso la sentenza 2723/2017, emessa e pubblicata in data ### dal Tribunale di ### in composizione monocratica, nella causa civile iscritta al n. 4943/2007 RG, così provvede: • rigetta l'appello principale; • accoglie parzialmente l'appello incidentale e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna ### e D'### al pagamento in solido, in favore di ### della somma di € 200.000,00 a titolo di risarcimento danni, oltre rivalutazione monetaria e interessi compensativi (a decorrere dalla data di verificazione dell'inadempimento come specificato in motivazione), nonché interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza sino all'effettivo soddisfo. • condanna ### e D'### al pagamento in favore di #### delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate a titolo di onorario in complessivi € 6.200,00 (come in parte motiva suddivisi), oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, ad IVA e CPA come per legge • condanna ### e D'### al pagamento in favore #### al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio liquidate in complessivi € 6.200,00 (come in parte motiva suddivisi), oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, ad IVA e CPA come per legge. • Dà atto che ricorrono i presupposti per porre a carico degli appellanti principali il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per l'appello, giusto quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L.228/2012, manda la ### per gli adempimenti concernenti la riscossione.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in ### nella camera di consiglio (da remoto) del 24 luglio 2023 ### estensore ### (dott.ssa ### (dott.ssa ### La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del funzionario addetto all'### del Processo, dott.ssa ###
causa n. 520/2018 R.G. - Giudice/firmatari: Scolaro Maria Giuseppa, Lazzara Maria Pina