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Corte di Cassazione, Ordinanza n. 19955/2025 del 17-07-2025

... prevedeva espressamente quella che può qualificarsi come condizione risolutiva potestativa». ### è corretta. Infatti, non può qualificarsi come nuova una domanda - già proposta in primo grado - che la Corte di appello abbia solo qualificato diversamente dal giudice di primo grado. Vale ribadire: «il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura del le vicende dedot te e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospett azione letterale del la prete sa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale» (così, tra le altre Cass. n. 118/2016). Il primo motivo è rigettato. 2. - Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1321 ss. c.c., 1453 e 1456 c.c. Sotto u n primo profilo, si contesta la qualificazione della clausola contrattual e de qua come risolutiva potestativa. Si afferma che (leggi tutto)...

testo integrale

ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 16862/2020 R.G. proposto da: ### & ### rappresentata e difesa dall'avvocato ### (###) ed elettivamente domiciliata all'indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE; -ricorrente contro ### rappresentata e difesa dagli avvocati D'### ( ###), ### (###) ed elettivamente domiciliata agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE; -controricorrente avverso SENTENZA di CORTE D'### n. 222/2020 depositata il ###. 
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal ### 2 di 7 ### 1999 la ### & ### s.n.c. prometteva di vendere alla ### s.r.l. un suolo sito in ### identificato nel foglio 92, particella 663, p er la realizzazione di un programma edilizio ### (la cui promessa di vendita si traduce va in atto definitivo in data ###). Inolt re, la ### concedeva un'opzione gratuita sulla particella 662 per la realizzazione dell'intero progetto edilizio. Nel 2001 la ### prometteva di cedere alla ### tozzi cubatura edilizia da mettere a frutto sulla predetta particella 662, con corrispettivo di 500.000.000 di lire, versato integralmente. 
Il contratto del 2001 prevedeva alla lettera d) che, qualora il piano non fosse stato approvato dal Comune e reso esecutivo entro sei mesi dalla firma della scrittura privata, il contratto avrebbe perso efficacia e la ### av rebbe d ovuto re stituire l'intera somma ricevuta. Alla lettera e) si introduceva inoltre una clausola di rinnovo automatico. Le parti convenivano che il contratto si sarebbe rinnovato ogni sei mesi, sal vo che nel frattemp o il piano edilizio venisse appro vato o che la ### non esercitass e il diritto di richiedere la restituz ione delle somme versate . Mancata l'approvazione del piano ed ilizio, nel 201 1 la cedente ### lli comunicò la volontà di rivedere i patti, mentre l'acquirente ### nella primavera del 2013 conveniva la cedente dinanzi Tribunale di ### per la restituzione della somma versata (domanda dapprima formulata in via subordinata rispetto all'azione ex art. 2932 c.c. e divenuta poi unica domanda con la prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.). In primo g rado il ### ale rigettava la dom anda di restituzione, sulla considerazione che l'inadempimento amministrativo, che impediva la realizzazione della cessione di cubatura, non fosse imputabile alla cedente. Il giudice si richiamò al programma unitario del 1999 e ascrisse la condotta delle parti alla loro volontà di proseguire il progetto nonostante i contrasti. La Corte d'appello ha riformato la d ecisione di primo grado, rilevando 3 di 7 l'autonomia della scrittura del 2001 rispetto al precedente accordo del 1999, la natura potestativa della clausola di recesso esercitato quindi legittimamente dall'acquirente, nonché l'assen za di giustificazione per la ritenzione del co rrispettivo da parte de lla cedente e condannando la società convenuta alla restituzione di € 258.228,44. 
Ricorre in cassazione la cedente convenuta con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste l'attrice acquirente con controricorso e memoria.  RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 345 c.p.c. per aver ammesso in appello la domanda di accertamento del recesso formulata dalla ### per la prima volta in secondo grado. Si sostiene che il passaggio da domanda di risoluzione a domanda di accertamento del recesso è inammissibile. 
Il primo motivo è infondato.  ### agli atti di causa (consentito dalla censura di error in procedendo) conferma l'argomentazione della Corte di appell o secondo cui non è nuova la domanda di accertamento del recesso. 
Infatti nell'atto di citazione l'acquirente aveva proposto in via principale domanda ex art. 2932 c.c., relativa alla cessione della cubatura e in subordine domanda di restituzione di corrispettivo, mentre nella prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. aveva rinunciato alla domanda principale, insistendo su quella subordinata e fondandola sia sull'asserito mancato rinnovo del vincolo contrattuale, in virtù della ‘disdetta' asseritamente operata dalla venditrice, sia sulla specifica clausola contrattuale - alla fine della lett. e) - che prevedeva la richiesta di restituzione delle somme quale causa risolutiva dell'accordo. In appello la Corte si è limitata a conferire valore a questa seconda qualificazione della domanda restitutoria, mentre in primo grado il ### - secondo la ricostruzione della stessa Corte di appello - aveva valorizzato invece «l'istanza di restituzione nell'ottica 4 di 7 di una domanda implicita di risoluzione del contratto, valutando le condotte ritenute inadempienti, con argomenti che avevano ragion d'essere in forza della domanda principale di esecuzione in forma specifica, e che però non si attagliano alla domanda subordinata; infatti, non pare che il ### abbia mai esaminato la clausola che prevedeva espressamente quella che può qualificarsi come condizione risolutiva potestativa».  ### è corretta. 
Infatti, non può qualificarsi come nuova una domanda - già proposta in primo grado - che la Corte di appello abbia solo qualificato diversamente dal giudice di primo grado. Vale ribadire: «il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura del le vicende dedot te e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospett azione letterale del la prete sa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale» (così, tra le altre Cass. n. 118/2016). 
Il primo motivo è rigettato.  2. - Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1321 ss.  c.c., 1453 e 1456 c.c. Sotto u n primo profilo, si contesta la qualificazione della clausola contrattual e de qua come risolutiva potestativa. Si afferma che tale clausola no n era configurabile ai sensi dell'art. 1456 c.c. e che la Corte non ha considerato il carattere condizionale della clausola, dipendente dalla volontà della pubblica amministrazione. Sotto un secondo profi lo, si contesta l'errata esclusione del collegamento funzional e tra le due scritture contrattuali del 1999 e d el 2001, so stenendo che il pro gramma edilizio comune giustificava il collegamento. 5 di 7 Il secondo motivo è infondato. 
Quanto al primo profilo, nella disamina del primo motivo si è già chiarito che la Corte di appello ha qualificato la domanda restitutoria come esercizio della facoltà prevista nella lett. e) del contratto del 2001, per cui corretta è la conclusione (sentenza, p. 6) che «La previsione di una risoluzione legata alla sola volontà di una delle parti, da esercitarsi mediante mera richiesta di restituzione della somma, e la carenza di previsione circa la necessaria motivazione dell'esercizio di tale facoltà, è da qualificarsi quale condizione risolutiva potestativa». ### correzione (meramente terminologica) è che tale clausola si qualifica meglio come contenente un patto di recesso unilaterale ex art. 1373 Quanto al secondo profilo del motivo, esso si scontra con l'ampia motivazione con cui la Corte di appello ha ricostruito, in modo ineccepibile in sede di giudizio di legittimità, i rapporti tra i due accordi (1999, 2001), pervenendo alla conclusione che «la scrittura del 2001 si pone come autonoma pattuizione anche derogatoria rispetto al programma» (del 1999). 
Il secondo motivo è rigettato.  3. - Il terzo motivo di ricorso denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento alla valutazione della documentazione prodotta nel giudizio di appello. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello ha trascurato elementi documentali rilevanti ai fini della decisione, in particolare il decreto della ### n. 167 del 23/03/2015 e il ### della ### n. 46 del 2/04/2015. Secondo il ricorrente, questi documenti attestavano l'approvazione definitiva dell'accordo di programma, determinando così la concreta edificabilità delle aree oggetto della cessione volumetrica. Si afferma 6 di 7 che la sentenza impugnata non ha adeguatamente considerato il rilievo di tali atti e la loro incidenza sulla controversia, limitandosi ad affermare in maniera generica che la loro portata decisoria era limitata. 
Il terzo motivo è rigettato. 
Lungi dall'essere contraddittoria, la motivazione della Corte sul punto è coerente con la ricostruzione, rie vocata nell'esaminare il primo e il secondo motivo, che vede la domanda restitutoria dell'acquirente ancorata alla facoltà unilaterale di recesso riconosciuta alla lett. e) del contratto.  4. - Il quarto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, sostenendo che la Corte di appello non si sia espressa sulle specifiche domande proposte in sede di gravame. ### la ricorrente, la sentenza ha accolto la domanda già proposta in primo grado e non ritualmente riproposta in appello, senza esaminare le istanze avanzate nel secondo grado di giudizio. 
Si afferma che la Corte non ha statuito sugli inadempimenti delle parti né sulle eccezioni sollevate, ma ha configurato una fattispecie contrattuale non conforme ai documenti e alle circostanze emerse nel processo. In particolare, la ricorrente evidenzia che la ### nel proporr e appello, aveva chiesto l'accertam ento del legittimo esercizio del diritto di recesso e, in via subordinata, l'accertamento dell'inadempimento contrattuale della ### Tuttavia, la sentenza non avrebbe esaminato queste richieste, limitandosi a confermare la condanna alla restit uzione delle som me senza una motivazione puntuale sulle domande avanzate in appello. 
Il quarto motivo è rigettato. 
Per un verso, tale motivo ripropone un profilo già fatto valere nel primo motivo di ricorso. Per un altro verso, esso non riflette la realtà processuale, che ha visto l'appellante formulare tre domande (una principale e due subordinate) dirette allo stesso scopo pratico della restituzione della somma. 7 di 7 5. - Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. 
Inoltre, ai sensi dell'art. 13 co. 1-quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un'ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell'art.  1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.  P.Q.M.  La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 7.000,00, oltre a € 200,00 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. 
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un'ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto. 
Così deciso in ### nella camera di consiglio della ###  

Giudice/firmatari: Falaschi Milena, Caponi Remo

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Corte di Cassazione, Ordinanza n. 10362/2025 del 19-04-2025

... oneame nte qualificato la clausola alla stregua di una condizione potestativa semplice anziché di una condizione meramente potestat iva, affetta da nullità ex art. 1355 c.c., ma avrebbe anche omesso di considerare, sul piano dell'inte rpretazione de lla clausola, che lo sgravio accordat o alla società si protrae da quasi tren ta anni, evento che confermere bbe, secondo la ricorrente, la tesi della natura meramente potestativa della clausola. Il Tribunale non avrebbe neanche effettuato una interpretazione secondo buona fede della volontà delle parti, avendo omesso di prendere in considerazione la situazione di fatto desumibile dalla lettura della cla usola che espressamen te prevede il carattere temporaneo dello sgravio fiscale. 5. Questi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati. Rileva a tal fine l'af fermaz ione contenut a nella sentenza impugnata circa il fatto che la pre visione relativa allo sgravio concesso a favore dele unità immobiliari della società costruttrice, al perman ere delle condizioni ivi elencate , è contenuta in un regolamento contrattuale predisposto dallo st esso costruttore e pacificamente richiamato per (leggi tutto)...

testo integrale

ORDINANZA sul ricorso ###-2019 proposto da: ###L ### elettivamente domiciliata in #### 33, presso lo studio dell'avvocato ### che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro Composta dagli ###mi Sig.ri Magistrati: ###. ### - Presidente - ### Dott. ### - ### - Dott. ### - #### - Ad. 10/04/2025 - ###. ### - ### - R.G.N. ###/2019 Dott. ### - ### - ### Ric. 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -2- ### 88 ### elettivamente domiciliata in #### MAZZINI 114/b, pre sso lo studio dell'avvocato ### MELUCCO, rappresentata e difesa giusta procura in calce al controricorso dall'avvocato ### - controricorrente avverso la sentenza n. 1906/2019 della CORTE ### di ### depositata il ###; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal #### Lette le memorie delle parti; MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto d i citazione notifica to in d ata 1° ottobre 2010 la società ### 'L s.r.l. (di seguito “###L”) con veniva, innanzi al Tribunale di V elletri, sezione distaccata di A lbano ### la società ### 88 s.r.l. (di seguito “### 88”), chiedendo di accertare e dichiarare l'inapplicabilità dell'art.  19 del reg olamento d i ### del ### - espressamente richiamato al momento della conclusione dell'atto con il quale l'attrice avev a acquista to dala stessa convenuta la proprietà dei locali ogg etto di causa - e ciò in quanto ritenuto lesivo d ei diritti dei condomini, essendo perciò priva di fondamento la pretesa allo sgravio del 90% delle spese condominiali in favore della società ### 88 previsto dal citato art. 19. Ric. 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -3- Si costit uiva in giudizio ### . 88 al fin e di ottenere il rigetto della domanda attorea, chiede ndo con domanda riconvenzionale la condanna dell'attrice al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.  ### ale adito, con sentenza n. 2 03 del 31 maggio 2 013 , rigettava la domanda proposta dalla società attrice e la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per lite temeraria. 
La società ###L interponeva appello avverso tale sentenza, chiedendo di accertare e dichiarare il carattere lesivo dei diritti dei condomini, anacronistico e privo di fond amento logicogiuridico, dell'art. 19 del citato regolamento di ### minio del ### essendo venuti meno i presupposti originari per la sua operatività e per l'effe tto dic hiarare inapplicabile lo sgravio fiscale in favore della ### 88. 
In particolare, l'appellante riteneva che la clausola contrattuale, contenente la previsione dello sgravio degli oneri condominiali in favore dell'appellata, senza fissazione di alcun termine, in vigore da oltre venti anni, dovesse essere considerata vessatoria e come tale affetta da nullità in quanto non approvata, specificatamente, dai condomin i al momento dell'acquis to dell e unità immobiliari. 
Tale clausola doveva comunque essere rite nuta tempo ranea e quindi non più applicabile. 
Si costit uiva in giudizio ### 88 eccependo l'inammissibilità dell'impugnazione proposta e chiedendo il rigetto di ogni domanda con la conseguente conferma della sentenza. 
La Corte d'Appello di ### con sentenza n. 1906 del 21 marzo 2019, nel rigettare l'impugnazione e ritenere efficace la clausola in quan to oggetto di ulteriori decisioni passate in giudicato, ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -4- evidenziava che, trattandosi di rego lamento condominiale di natura contrattuale, in quanto redatto dall'originario costruttoreproprietario, la relativa clausola fosse modifica bile solo con l'unanimità dei consensi dei partecipanti, pena la sua nullità. 
La Corte t erritoriale e videnziava poi l'efficacia d el riparto delle spese condominia li sulla base dell'assenza di prova circa la vendita o la locazione a terzi dei locali della società ### 88, circostanza p osta quale condizione per il venir meno del suddetto beneficio fiscale a favore della società. 
Il giud ice di secondo grado, infine, esclude va il carattere vessatorio della suddetta clausola relativa allo sgravio fiscale in quanto, facendo il regola mento convenzionale corpo con il contratto di compraven dita de i singoli appartamenti dell'edificio condominiale, pur non essendo materialmente inserito nel relativo testo, le sue clausole rientravano “per relationem” nel contenuto dei suddetti contra tti di acquis to. Inoltre, il richiamo “per relatio nem” ad opera d i entrambi i contraen ti esclud eva, secondo il giudice di merito, l'applicazione dell'art. 1341 c.c. che si riferisce, invece, alle clausole predisposte da una soltanto delle parti contrattuali.  2. Per la cas sazione di tal e sentenza la società ###L ha proposto ricorso sulla base di due motivi. 
La società ### 88 resiste con controricorso. 
Le parti hanno depositato memorie.  3. Preliminarmente deve esser disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto pre sentato dalla società ricorrente in data successiva a quella in cui è stata sottoposta la ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -5- procedura di concordato preventivo, e senza avere previamente richiesto l'autorizzazione alla sua proposizione. 
Rileva a tal fine il principio affermato dalle ### di questa Corte, second o cui la domanda gi udiziale pro posta da un imprenditore che abbia presentato istanza d i ammission e al concordato preventivo n on necessita, ai fini della sua ammissibilità, della previa autorizzazione del tribunale ai sensi dell'art. 161, comma 7, L.F ., in quanto la man canza di tale autorizzazione, necessaria ai fini del compimento d egli at ti urgenti di straordinaria am ministraz ione, produce conseguenze esclusivamente sul piano dei rapporti sostanziali (Cass. S.U., 28/05/2020, n. 10080), la cui portata appare suscettibile di estensione anche al caso in esame.  4. Ciò chiarito e passando all'esame dei motivi, il primo di essi denuncia, ai sensi degli artt. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 99, 112, 115 c.p .c., 2697 e 2 907 c.c. in relazione agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. su lle regole di ripartizione dell'onere della prova nonché l'inesistenza o, in subordine, l'apparenza della motivazione e l'omesso esame di un fatto decisivo, per aver la Corte territoriale errone amente ritenuto efficace la clausola contrattuale sulla base della sua mancata contestazione in giudizio e sull'accertamento della sua validità contenuto in altre decisioni. 
In partico lare, a parere della ricorrente, il g iudice di secondo grado, nel l'affermare la sussistenza di precedenti gi udicati intercorsi tra le parti circa l'efficacia e la legittimità della clausola, non solo avrebbe omesso di farne menzione, ma avrebbe anche ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -6- trascurato che la loro asserita m ancata conte stazione non può essere considerata come tacita ammissione della circostanza. 
Inoltre, la decisione di seconde cu re, nel riferirsi ai precedenti giudicati, non consentirebbe di ricostruire l'iter logicomotivazionale seguito dalla Corte ne ll'assunzione del provvedimento impugnato. 
Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi degli artt. 360, co.  1, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt.  1353,1355,1362,1366,1370,1371 c.c., nonché degli artt. 99, 112, 183 c.p.c., 2697 e 2907 c.c. in relazione agli artt. 14 18, 1419 e 1421 c.c. sulle regole di ripartizione dell'onere della prova per aver la Corte territoriale e rroneame nte affe rmato che lo sgravio del le spese condominiali accordato a ### 88 debba ritenersi efficac e per essere la clausola contenuta in un regolamento condominiale di natura contrattuale e per l'assenza di prova circa la vendita o la locazione a terz i dei local i di proprietà della società costruttrice. 
Il mot ivo denuncia altresì un vizio di motivazione e di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, co. 1 , n. 5, c. p.c. per av er la Corte t erritoriale effettuato un errato ragionamento inferenziale. In particolare, a parere della ricorrente, mancherebbe consequenziali tà logico-giuridica tra la premessa e la conclusione in qua nto affe rmare che la clausola sarebbe valida ed efficace perché le pattuizioni sulla ripartizione delle spese contenute in regolame nti condominiali di natura contrattuale sono efficaci sarebbe esclusivamente una petizione di principio, non avente contenuto dimostrativo e quindi privo di passaggi motivazionali. Ric. 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -7- Sotto il profilo della v iolazione delle regole di ermeneu tica, inoltre, non solo il giud ice di merito avre bbe err oneame nte qualificato la clausola alla stregua di una condizione potestativa semplice anziché di una condizione meramente potestat iva, affetta da nullità ex art. 1355 c.c., ma avrebbe anche omesso di considerare, sul piano dell'inte rpretazione de lla clausola, che lo sgravio accordat o alla società si protrae da quasi tren ta anni, evento che confermere bbe, secondo la ricorrente, la tesi della natura meramente potestativa della clausola. 
Il Tribunale non avrebbe neanche effettuato una interpretazione secondo buona fede della volontà delle parti, avendo omesso di prendere in considerazione la situazione di fatto desumibile dalla lettura della cla usola che espressamen te prevede il carattere temporaneo dello sgravio fiscale.  5. Questi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati. 
Rileva a tal fine l'af fermaz ione contenut a nella sentenza impugnata circa il fatto che la pre visione relativa allo sgravio concesso a favore dele unità immobiliari della società costruttrice, al perman ere delle condizioni ivi elencate , è contenuta in un regolamento contrattuale predisposto dallo st esso costruttore e pacificamente richiamato per relationem nell'atto di acquisto da parte dell a ricorrente delle unità immobiliari ubicate n el condominio per cui è causa (affermazione questa espressamente presente nella sentenza impugnata, al fine di disatt endere l‘eccezione di ome sso rispetto dei requisiti formali di cui al secondo comma dell'art. 1341 c. c., e che è anche confermata dalla difesa della ricorrente, che alla pag. 9, nota 3 del ricorso ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -8- specifica che il regolame nto nel qu ale è in serita la clausola de qua, forma parte integrante del contratto di compravendita delle sue unità immobiliari).   Ad avviso del Collegio già questa sola considerazione consente di confermare la corrette zza in d iritto della soluzione cui è pervenuta la Corte d'appello, prescinde ndo quindi anche dalla verifica circa la suffi cienza d el richiam o operato in sentenza a precedenti giudicati inte rvenuti tra le parti, e circa l‘effettiva idoneità di tali sentenze a rappresentare un valido accertamento in ordine alla vincolatività della clausola.  ###. 19 oggett o di causa, esp ressamente prevede che: ”La società ### Com. 88 fino a quando non avrà trasfe rito in vendita, o locazione a terzi, per i locali ancora rimasti invenduti sarà sgravata dell'90% delle spese condominiali ad essa spettanti per i millesimi di propria competenza. 
Non appena i locali commerciali - sano essi negozi o depositi - saranno trasferiti o locati, l'acquirente, il proprietario o chi per lui sarà obbligato al pagamento dell'intera quota condominiale” Trattasi all'eviden za di una clausola con la quale la società convenuta, nella qualità di costruttrice ha inteso assicurarsi, nella specie per un perio do di temp o la cui indiv iduazione è condizionata all'evento futuro ed incerto dell'avvenuta vendita o locazione dei locali di cui conservava la proprietà, il vantaggio di una consistente riduzione degli oneri condominiali gravanti sulla sua prop rietà, ponendo quindi in e ssere una convenzione in deroga al criterio de lla ripartiz ione proporzionale dettato in via generale dell'art. 1123 c.c. Ric. 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -9- La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato nel corso degli anni la validità di siffatte convenzioni in deroga, anche nel caso in cui le stesse si ano cont enute nel regolame nto contrattuale unilateralment e predisposto dal costruttore ed approvato, sebbene per relationem, negli atti di acquisto da parte di coloro che subentrano nel condominio per effetto dell'acquisto dall'originario unico proprietario, aggiungendosi come le stesse conservino valore vincolant e e precettivo, non essendone possibile la modifica se non per effetto di una nuova convenzione che preveda il consenso unanime di tutti i condomini. 
In questo senso si segnala Cass. n. 21086/2022, che ha ribadito che la conven zione sulla ri partizione delle spese in d eroga ai criteri legali, ai sensi dell'art. 1123, comma 1, c.c., deve essere approvata da tutti i condomini, ha efficacia obbligatoria soltanto tra le part i, n on vincolando essa gli aventi causa da queste ultime, è modificabile unicamente tramite un rinnovato consenso unanime e presuppone una dichiarazione di accettazione avente valore negoziale, espressione di autonomia pr ivata, la quale prescinde dalle formalità richieste per lo svolgime nto del procedimento collegiale che regola l'ass emblea e può pe rciò manifestarsi anche mediante su ccessiva adesione al contratto, con l'osservanza della forma prescritta per quest'ultimo. 
Tale precedente, nell'affrontare il problema, che qui non ricorre, dell'opponibilità della convenzione ai successivi aventi causa, atteso che nella fattispecie le parti in causa sono proprio, da un lato, la società costruttrice, e dall'altro, la società che si è resa acquirente dei beni dalla prima con un atto di vendita che contiene un espresso rinvio al re golamento, in motivazi one ha ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -10- espressamente precisato che i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall'art. 1123 c.c., possono essere derogati, come p revede la stessa norma, e la re lativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripa rtizione può essere contenuta sia nel regolame nto condomin iale (che perciò si definisce "di natura contrattual e"), ovver o in una deliberazion e dell'assemblea che venga approvata all'unanimità, o col consenso di tutti i condomini (ad esempio, Cass. 17 gennaio 2003, n. 641). 
La natura delle disposizioni contenute negli artt. 1118, comma 1, e 112 3 c.c. non preclude , infatti, l'adozione di disciplin e convenzionali che differenzino tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di gestione del condominio, attribuendo gli stessi in proporzione maggiore o min ore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà. 
La "diversa convenzione", ex art. 1123, comma 1, c.c., è un a dichiarazione negoziale, espressi one di autonomia privata, con cui i condomini (ovvero la società costruttrice, con il regolamento predisposto in vista della successiva alienazione delle u nità edificate) programmano che la portata d egli obblighi di contribuzione alle spese sia determinata in modo difform e da quanto previsto negli artt. 1118, 1123 e ss. c.c. e 68 disp. att.   Ove per ò sia stata disposta u na derog a ai criteri di cui all'art .  1123 c.c. con accordo u nanime o con re gola mento predispo sto unilateralmente dal costruttore, la successiva modifi ca non può che passare at traverso una nuova unanime manifestazione di volontà dei condomini, restando altrimenti vincolante tra le parti ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -11- originarie la deroga conve nzionalmen te pattuita (Cass. n .  6735/2020). 
Va pertanto ribadita la legittimità della convenzione modificatrice della disciplina legale di cui all'art. 1123 c.c., contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattua le, ovvero nella deliberazione dell'assemblea, quan do approvata da tutti i condomini (Cass. n. 484 4/2017; Cass. n. 641/2 003; Cass. 5975/2004 che arriva ad ammettere anche una deroga ch e implichi l'esenzione totale o quasi integ rale a favore di un determinato condomino). 
Tale conclusione ha peraltro anche ricevuto l'avallo delle ### che nella sentenza n. 1 8477/2010, in ordine alla approvazione delle tabelle millesimali, alla pag. 2 0 hanno espressamente affermato che “sulla base di tali p remesse non sembra, in li nea di p rincipio, non sembra poter rico noscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell 'art. 68 disp. att. cod. civ. , siano allega te ad un regolamento di origine c.d. "contrattu ale", ove non risulti espressamente che si sia i nteso de rogare al regime legale d i ripartizione delle spe se, si sia inteso, cioè, approvare quella "diversa convenzione" di cui all'art. 1123 c.c. , comma 1 , (in senso conf orme cfr. implicitame nte la sentenza 2 giugno 1 999 n. 5399, la quale, con riferimento ad una ipotesi in cui le tabelle allegate al c.d. regolamento contrattuale non avevano rispettato il princip io della proporzionalità di cui all'art. 68 disp. att. cod.  civ., ha affermato che le tab elle millesimali allegat e a regolamento contrattuale non possono essere modificate se non ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -12- con i l consenso unan ime di tutti i condomini o per atto dell'autorità giudiziaria). 
Trattasi di affermazioni che ribad iscono l'ammissibilità di un a convenzione in deroga ai criteri dettati dall'art. 1123 co. 1 c.c., il che impone di dover ritenere che la clausola oggetto di causa sia destinata a spiegare efficacia vincolante, non incorrendo in alcuna delle ipotesi di nullità denunciate dalla ricorrente. 
Ed, infatti , una volta ribadita l‘ammissibili tà di una deroga destinata a protrarsi per un tem po indeterminato, risponde ndo questa all'interesse dell'originaria costruttrice, e senza che per ciò solo incorra in un divieto normativo, alcuna consegu enza può trarsi dall'assenza di un termine finale cui correlare la parzia le esenzione. Del pari, la p revisione che àncora il venir meno dell'esenzione all'evento futuro e d incerto della vendita o locazione a te rzi d elle unità immo biliari della controricorren te, lungi dal configu rarsi come una cond izione meramente potestativa (essendo evidente come t ale evento risponda all'interesse della costruttrice di coll ocare sollecitamente sul mercato le unità realizzate, dando quindi concreta attuazione alla finalità primaria dell'attiv ità edificato ria svolta in maniera professionale), costituisce piuttosto una previsione di favore per gli altri condo mini, in qu anto, pur potendo la costrutt rice in ipotesi conservare a tempo indeterminato il diritt o al parziale esonero, lo ha inteso limitare nel tempo sino al momento in cui nella titolarità delle unità beneficiate subentri un soggetto terzo, al quale non ha inteso estendere il vantaggio sul piano del riparto delle spese condominiali. Ric. 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -13- Non ricorre al cuna violazione delle regole di ermeneu tica, in quanto anche a voler acced ere all'interpretazione ch e della clausola offre la ricorrente, la sola prevision e di un esonero parziale e per un tempo in poten za indefinit o non comporta alcuna nullità d ella stessa (il che rende del tutto prive di fondamento le deduzioni difensi ve con le quali si invoca il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità in base ai principi affermati da Cass. S.U. n. 26242/2014). 
Inoltre, alla luce del chiaro tenore lette rale della clausola non possono trovare applicazione le regole di int erpretazione oggettiva (in particolare quelle di cui agli artt. 1370 e 1371 c.c.), che assumo carattere chiaramente recessivo ove non residuino dubbi sulla scorta del criterio letterale. 
Infine, non ignora la Co rte il principio di recente affermato da Cass. n. 20007/202 2, secondo cui la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell'edificio e ric hiamato nel contratto di vendita dell'unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, pu ò considerarsi vessatoria, ai sensi dell'art. 33, comma 1, d.lgs. n. 206 del 2005, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d'ufficio dal giudice nell'ambito di un giudizio di cui siano parti i sog getti con traenti del rapporto di consumo e sempre che determin i a carico del consum atore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida s ulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall'alienante, o sull'obbligo di pagamento del prezz o gravante sull'acquirente, ### 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -14- restando di regola estraneo al prog ramma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo app artamento l'obbligo del venditore di contribuire alle spe se per le parti comuni in proporz ione al valore delle restanti unità imm obiliari che tuttora gli appartengano. 
Tuttavia trattasi di precedent e che non risulta ap plicabile alla fattispecie, sia perché la sentenza impu gnata ha ch iaramente escluso la possibilità di invocare la previsione di cui all'art. 1341 c.c. (con affe rmazione che non risulta censurata da p arte ricorrente), sia per evidenti ragioni di carattere temporale, risalendo l'acquisto della ricorrente al 10 luglio 1992 ancor prima della data della ### n. 93/13/Cee che ha dettato la disciplina delle clausole vessatorie, sia, ed in manera ancor più assorbente, per l'impossibilità di riconoscere alla ricorrente, per la sua qualità soggettiva (trattasi di società), la qualifica di consumatore.  6. Il ricorso è rigettato ed al rigetto consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del grado che si liquidano come da disp ositivo, con attribuzione all'avvocato ### dichiaratosene anticipatario.  7. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi d ell'art. 1, comma 17, della legge 24 dic embre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurie nnale dello Stato - ### di stabilità 2 013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ult eriore imp orto a titolo di contribut o unific ato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. Ric. 2019 n. ### sez. ### - ad. 10-04-2025 -15- ### il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 4.700,00, di cui € 200 ,00 per esborsi, oltre spese g enerali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge , con attribuzione all'avvocato ### dichiaratosene anticipatario; ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, co. 17, l. n. 228 /12, d ichiara la sussiste nza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a t itolo di contributo un ificato p er l'impugnazione a norma dell'art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. 
Così deciso in ### nella ### a di consigl io della ### 

Giudice/firmatari: Orilia Lorenzo, Criscuolo Mauro

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Corte di Cassazione, Ordinanza n. 9356/2025 del 09-04-2025

... della clausola sul la cessione per avere pre visto una condizione meramente potestativa ed una condizione sulla inopponibilità da far valere sine die, nonché la nullità della stessa clausola per mancata sottoscrizione come clausola vessat oria, ne ha rileva to l'inammissibilità, trattandosi di eccezioni nuove, m ai sollevate in primo grado e come tali vietate dall'art. 345 cod. proc. 3. ### s.p.a., quale incorporante per fusione di Ubi 4 ### s.p.a., p ropone ricorso per la cassazione d ella suddetta decisione, con due motivi, cui resiste l'### n. 1 ### - ### - L'### mediante controricorso. 4. Il ricorso è stato avv iato pe r la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc civ., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‹‹### di legge per contrasto all'art. 1260 c.c. ed agli artt. 69 e 70 RD 2440/23 in relazione all'art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ravvisato la carenza di legittimazione attiva in capo alla ### s.p.a. e conseguentemente ritenuto la cessione del credito non opponibile alla (leggi tutto)...

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ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 6061/2022 R.G. proposto da: ### S.P.A., incorporante per fusione la ### s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall'avv. ### ri, domiciliata digitalmente ex lege - ricorrente - contro ### N. 1 ###'### in persona del ### pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall'avv. ### domiciliata digitalmente ex lege ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. ### - controricorrente - avverso la sentenza della Corte d'appello di L'### n. 1143/2021, pubblicata in data 20 luglio 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal ### dott.ssa ### A. P. ### 1. Il Tribunale di L'### pronunciando sulla domanda, proposta da ### actor s.p. a. nei confronti d ella ### - ### - L'### di pagamento della somma di euro 482.189,74 derivante da debiti maturati nei conf ronti della ### s.r.l. e ceduti a ### s.p.a., accog lieva l'eccezione di difetto di legittimazione attiv a sollevata dalla convenuta, risultando pacifico che l'attrice avesse notificato la cessione del credito alla ### ma ch e questa non l'avesse accettata. 
Il Giudice di primo grado rilevava, in particolare, che nel contratto sottoscritto tra le parti era previ sto che , nel caso di ce ssione del credito, la Asl avesse facoltà di accettarla entro trenta giorni e che, in difetto di tale accettazione, essa non fosse opponibile alla ### sanitaria, non poten dosi interpretare il cont ratto ne l senso che la cessione, d ecorsi trenta giorni, d ovesse intendersi accettat a, per avere la Asl pe rso la faco ltà di rifiutare . Evidenziava, altresì, che comunque la Asl aveva pagato l'intero credito al creditore cedente, in tal modo liberandosi dal debit o, come riconosciuto dalla stessa ### s.p.a.  2. La Corte d'appello di L'### ha rigettato il gravame proposto dalla soccombente. 
Ha osservato che: a) il credito oggetto di causa, ceduto dalla ### di cura ### s.r.l. alla ### s.p.a., riguardava il periodo gennaio - dicembre 2008 ed atteneva a prestazioni assistenziali della 3 casa di cura; b) il contratto relativo a tale annualità prevedeva alla lettera l) che “nel caso di cessione, a qualsiasi t itolo, de i crediti derivanti dall'esecuzione del pre sente contratto, l'erogatore si impegna a notificare l'att o d i cessione alla ASL che ha facoltà di esprimere l'accettazione entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi e per gli effetti degli artt. 69 e 70 del ### decreto n. 2440 del 18 novembre 1923”; c) per effett o di tale pattuizione, la cessio ne dei crediti, per poter avere efficacia nei confronti della Asl ed essere ad essa oppon ibile, richiedeva l'accettazione da parte de lla ### sanitaria e ogni diversa interpretazione risultava contraria al tenore letterale della clausola negoziale; d) la disciplina prevista dagli artt.  69 e 70 del r.d. n. 2440 del 1923, che prescrive l'adozione di atti formali per la cessione dei crediti, non era applicabile se non in caso di contratti di durata come appalti o somministrazioni e non in casi come q uello in esame; e) nella specie, la cess ione del credito non risultava essere stata acce ttata dalla As l, né emerge va alcun comportamento concludente nel senso di una accettazione implicita, cosicché doveva ritenersi la cessione non opponibile alla Asl e la ### s.p.a. carente di legittimazione attiva.   La Corte t erritoriale, i nfine, esaminando gli al tri motivi di gravame volti a de durr e la mancat a conoscenza della clausola di incedibilità dei crediti, l'applicabilità della disciplina del T.U. in materia bancaria e creditizia con formazione d el silenzio assenso, la n ulli tà della clausola sul la cessione per avere pre visto una condizione meramente potestativa ed una condizione sulla inopponibilità da far valere sine die, nonché la nullità della stessa clausola per mancata sottoscrizione come clausola vessat oria, ne ha rileva to l'inammissibilità, trattandosi di eccezioni nuove, m ai sollevate in primo grado e come tali vietate dall'art. 345 cod. proc.  3. ### s.p.a., quale incorporante per fusione di Ubi 4 ### s.p.a., p ropone ricorso per la cassazione d ella suddetta decisione, con due motivi, cui resiste l'### n. 1 ### - ### - L'### mediante controricorso.  4. Il ricorso è stato avv iato pe r la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc civ., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.  RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‹‹### di legge per contrasto all'art. 1260 c.c. ed agli artt. 69 e 70 RD 2440/23 in relazione all'art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ravvisato la carenza di legittimazione attiva in capo alla ### s.p.a. e conseguentemente ritenuto la cessione del credito non opponibile alla Asl››. 
Sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe affermato che la cessione di credito non fosse opponibile all'### sanitaria, posto che la incedibilità prevista nel contratto sottoscritto dalla Asl e dalla ### di ### non era nota alla cessionaria, la quale, non avendo preso parte alla negozia zione de qua, non poteva consid erarsi destinataria di quella clausola che, q uindi, non pot eva esplicare effetti, come previsto dal second o comm a dell'art. 1260 cod. civ.; inoltre, alla ### intermediario finanziario soggetto al ### in materia ### e creditizia, doveva applicarsi l'art. 117 d.lgs.  163/06, sicché la cessione, stipulata mediante atto pubblic o o scrittura privata autenticata e notificata all'amministrazione debitrice, era opponibile alla P.A. qualora non rifiutata con comunicazione d a notificarsi al cedente ed al cessionario entro 45 giorni dall'avvenuta notifica, con ciò consentendo, in deroga all'art. 70 r.d. 2440/1923, l'applicazione dell'istituto del silenzio - assenso.   Addebita alla Corte di non essersi avveduta che la ### s.p.a. aveva messo il debitore ceduto nella condizione di conoscere il 5 nuovo titolare d el credito mediante la t empestiva e rituale notifica della cessione del credito ed aggiunge che, dovendo essere adottata una interpretazione restrittiva del secondo comma dell'articolo 1260 cod. civ., la presenza di clausola che prevedeva il patto di incedibilità all'interno di documenti cont rattuali, seppure non conosciuta, ma conoscibile dal cessionario, n on comportava consegue nze pregiudizievoli nei confronti di quest'ultimo, atteso che il pactum de non cedendo era opp onibile allo stesso solo laddove il ce ssionario avesse accettat o consapevolmente di acquistare u n credito convenzionalmente non trasferibile.  2. Con il secondo motivo è dedotta ‹‹### delle eccezioni sollevate dalla difesa di ### relativamente all'applicazione della disciplina del TU in materia bancaria e creditizia con formazione del silenzio assenso, della nullità della clausola sulla cessione per avere previsto una condizione meramen te potestat iva ed una condizio ne sulla inopponib ilità da far valere sine die, non ché della nullità per mancata sottoscrizione come clausola vessatoria### di legge per contrasto all'art. 1421 c.c. nonché all'art. 117 d.lgs. n. 163/2006 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto la inammissibilità dei motivi di gravame proposti da UBI inammissibili in quanto eccezioni “nuove” in relazione agli artt.  112, 115 c.p.c., nonché 1355, 1418, 1421 ed agli artt. 69 e 70 RD 2440/1923››. La ricorrente impugna la decisione d'appello nella parte in cui ha ritenuto tardivi gli altri motivi di gravame da essa proposti in secondo grado. 
Sostiene che la Corte territoriale non ha conside rato che l'eccezione di nul lità del contratto, ovvero il rilievo d 'ufficio di u na nullità negoziale è sempre consentito, alla luce della pronuncia delle ### n. 26 242/2014, qu alora difetti la formazione di giudicato sul punto, e che il percorso argomentativo seguito risulta 6 viziato per non avere considerato che il soggetto cessionario (### s.p.a.) era u na banca/in termediario fin anziario, soggetta all'applicazione del ### in materia bancaria e creditizia, ed in particolare, all'art. 117, sicché la cessione stipulat a mediante atto pubblico o scrittura privat a auten ticata e notificata all'amministrazione debitrice era da rite nersi efficace ed opponibile alla P.A. qualora non rifiutata da quest a con comunicazione da notificarsi al cedente entro 45 gior ni dall'avvenuta notif ica, con conseguente applicazione dell'istituto del silenzio-assenso, trattandosi di cessione di credito verso una pubblica amministrazione derivante da un appalto di servizi. 
Soggiunge che la clausola sub lettera l) dell'accordo intercorso tra la ### s.p.a. e la Asl n. 1 di ### - ### - L'### risultava in ogni caso nulla ex art. 1355 cod. civ., posto che essa costituiva una condizione meramente po testativa, essendo l'adesione all'eventuale cessione d ei crediti, n el frattempo intervenut a, rimessa al mero arbitrio dell'### ceduta, e comunque perché, così come formulata, consentiva alla Asl di far valere l'inopponibili tà della cessione senza alcun limite temporale; la clausola, inoltre, avrebbe dovuto essere dichiarata n ulla per inosserva nza della specifica approvazione per iscritto ex art. 134 1 cod. civ., richiesta per dimostrare che il sottoscrittore n e avesse recep ito e comp reso il contenuto e la portata.  3. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.  3.1. Con la censura viene, anzitutto, riproposta la questione della conoscenza/conoscibilità della cessione, argomento che, tuttavia, non può essere pres o in considerazione in questa sede ###ritua lmente introdo tto in primo grado e dichiarato, dalla Corte d'appello, inammissibile per novità, ai sensi dell'art. 345 cod.  proc. civ.; tale ultima statuizione non risulta idoneamente attinta da 7 impugnazione in questa sede, poic hé la ricorrente si limit a ad invocare la rilevanza del secondo comma dell'art. 1260 cod. proc.  ed a svolge re cons iderazioni in tema di oppo nibilità del pactum de non cedendo, senza tut tavia dimostrare di avere temp estivamente fatto valere tale profilo di doglianza in primo grado e senza illustrare le ragioni per cui il tema di indagine qui riproposto dovesse essere considerato tempestivo dal giudice d'appello. Ne consegue che, sotto tale profilo, la censura incorre nella sanzione d'inammissibilità.  3.2. Per il resto, la censura è infondata.  ### la consolidata giuris prudenza di questa Corte, con riferimento alla disciplina dell a cessione dei crediti verso la P.A., il divieto di cessione senza l'adesione della P.A., di cui all'art. 70 del r.d.  18 novembre 1923, n. 2240, si applica solamente ai rapporti di durata come l'appalto e la somministrazione (o fornitura), rispetto ai quali il legislato re ha ravvis ato, in deroga al principio ge nerale previsto dal codice civile (art. 1260 cod. civ.), il consenso del debitore ceduto per l'effica cia della cessione di credito, per l'esigenza di garantire la regolare esecuzione de lla prestazione contrattuale, evitando che durante la m edesima possa no venir meno le risorse finanziarie del soggetto ob bligato verso l'ammi nistrazione e possa risultare così compromessa la rego lare prosecuzione del rapporto (Cass., sez. 6 - 1, 15/09/2021, n. 24758; Cass., sez. 1, 24/10/2023, n. 29420 ). La legge di contabilità d i Stato stab ilisce che, quale condizione di efficacia de lla cessione, è necessaria, oltre che la notificazione, l'espressa accettazione da parte della ### interessata della cessione (Cass., sez. 3, 06/02/2007, n. 2541). 
Occorre, poi, precisare che l'art. 69 del r.d . n. 2440 del 1923 , trattandosi di norma eccezionale, rigu arda la sola amministrazione statale ed è pert anto ins uscettibile di applicazione analogica o estensiva, sicché essa è app licabile solo in favore degli enti locali , 8 mentre le ### sanitarie locali sono persone giuridiche autonome rispetto agli enti locali stessi e sono enti pubblici estranei al novero delle amministrazioni s tatali (Cass., sez . 3, 21/12/2017 , n. ###; Cass., sez. 3, 13/12/2019, n. ###). 
Nel caso de quo, tuttavia, come rilevato dal giudice d'appello, la clausola di cui alla lettera l) del contratto da cui scaturivano i crediti attinenti alle prestazioni assiste nziali rese dalla ### di cura conteneva un espresso rife rimento agli artt. 69 e 70 r.d.  2440/1923, tanto che prevedeva ch e: “nel caso d i cessione, a qualsiasi titolo, dei crediti derivanti dall'esecuzione del present e contratto, l'erogatore si impegna a notificare l'atto di c essione alla ASL che ha facoltà di esprimere l'accettazione entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi e per gli effetti degli artt. 69 e 70 del ### decreto n. 2440 del 18 novembre 1923”. 
Tale previsione, con cui le parti hanno esteso al loro negozio ed alle sue successive vicende la più stringente disciplina prevista per i contratti della amministrazione statale, subordina l'opponibilità della cessione alla ### sanitaria alla “espressa accettazione” da parte di quest'ultima e impone, pertanto, un quid pluris alla condizione di efficacia della cessione nei confronti del ceduto, e cioè una esplicita manifestazione di consenso all'altrui negoz io e, quindi, la forma scritta ad substantiam di detta adesione: poiché questa è mancata, deve reputarsi che, del tutto legittimam ente, la ### sanitaria abbia eseguito l'integrale pagamento del debito in favore della ### di ### s.r.l., con la conseguenza che ### s.p.a.  nulla poteva pretendere dalla ### perché care nte di legittimazione attiva, avendo la Corte di merito accertato l'avvenuto pagamento delle somme oggetto di cessione, da parte dell'### da sanitaria, in favore del creditore cedente.  4. Il secondo motivo è inammissibile. 9 Va, anzitutto, rilevat o che, sebbene la nul lità di clausole contrattuali sia rilevabile d'uf ficio, e quin di la nullità possa essere denunciata dalle parti, nel corso del giu dizio, anche in relazione a profili di nullità non originariamente denunciati, ciò non esclude che tale principio si debba coordinare con gli oneri di allegazione, e che quindi le nuove censure p ossan o e debbano e ssere prese in considerazione solo se si fondano su temp estiv e allegazioni : nella specie, il rilie vo mosso alla valutazio ne di tardivit à, operata d alla Corte d'appello, non risulta rispettoso dell'art. 366, primo comma, 6, cod. proc. civ., in quanto non emerge dal ricorso che l'eccepita nullità si fondasse su allegazioni ritualmente introdotte e comunque emergenti dagli atti di causa, con con seguen te inammissibilità del profilo di doglianza in esame. 
Allo stesso mod o la mancata speci fica approvazione per iscritt o delle clausole onerose di cui all'art. 1341 cod. civ. ne com porta la nullità, eccepibile da chiunque ne abbia interesse e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, sempreché i presupposti di fatto della det ta nullità (carattere vessatorio della clausola ed inesistenza della prescritta approvaz ione per iscritto) ri sultino già acquisiti agli atti di causa (Cass., sez. 2, 18/01/2002, n. 547; Cass., sez. 3, 14 /07/2009, n. 16394 ); ma, nella sp ecie, la ricorrent e in violazione dell'art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., trascura di specificare in ricorso se tali elementi di fatto risultassero acquisiti agli atti di causa, sicché, anche sotto tale profilo, la censura si rivela inammissibile. 
La censura d ifetta, d'al tro canto, di specif icità in ordine alla invocata applicabili tà del testo ### in materia bancaria, e , segnatamente, del l'art. 117, posto che la ricorre nte neppure si sofferma a chiarire le ragioni per cui la disciplina richiamata avrebbe potuto essere rilevata d'ufficio dal giudice d'appello. 10 5. Alla inammissibilit à ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso. 
Le spese d el giudizio di legit timità seguo no la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.  P.Q.M.  La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controrico rrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 13.200,00, di cui euro 13.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore dell a controricorrente. 
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell'ulteriore importo a titolo d i cont ributo unificato pari a quello previ sto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. 
Così deciso in ### nella camera di consig lio della ### ione 

Giudice/firmatari: Scarano Luigi Alessandro, Condello Pasqualina Anna Piera

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Corte d'Appello di Messina, Sentenza n. 736/2023 del 08-09-2023

... Suprema Corte, colui che si è obbligato sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determinata autorizzazione amministrativa necessaria perché si realizzi la finalità economica del contratto, ha il dovere di compiere tutte le attività che da lui dipendono perché la pubblica amministrazione sia posta in grado di provvedere positivamente sul rilascio della autorizzazione medesima (Cass. Civ. 4110/2001), ritenendo, in caso di inadempimento, ammissibile la risoluzione per inadempimento del contratto in seguito alla violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c.(Cass. Civ., Sent. n. 3942/2002). ###. 1358 c.c. sancisce una specifica applicazione del generale principio di correttezza in materia contrattuale per ogni tipo di condizione alla quale le parti subordinano la produzione o l'eliminazione degli effetti della pattuizione (con esclusione della sola condizione meramente potestativa, che non conferisce all'altra parte alcuna aspettativa tutelabile o coercibile), imponendo alla parte condotte tali da conservare integre le ragioni dell'altra. ### il periodo di pendenza della condizione, il contratto vincola i contraenti al puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni (leggi tutto)...

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE ### DI MESSINA La Corte di Appello di Messina, ###, riunita in camera di consiglio, composta dai magistrati: 1) Dott. ### 2) Dott. ### 3) Dott. ### relatore ### causa civile in grado di appello iscritta al n. 520/18 R.G., posta in decisione il ###, vertente TRA ### (C.F. L###) nato a ### di #### il ###, residente ###, e D'### (C.F. ###) nato a #### l'01/01/1953, ivi residente ###, entrambi elettivamente domiciliat ###, presso lo studio dell'Avv.  ### che li rappresenta e difende, unitamente e separatamente all'avv. ### per procura rilasciata su foglio separato in calce all'atto di appello, #### e ###, #### (C.F. ###), nato a #### il ###, residente ###, con domicilio eletto in ### via S. ### n. 39, presso lo studio dell'Avv. ### che lo rappresenta e difende come da procura versata in atti #### APPELLATO - ####À ### (C.F. ###), nato a #### il ### e residente ###, elettivamente domiciliat ###, presso e nello studio degli avvocati ### e ### che lo rappresentano e difendono, congiuntamente e disgiuntamente tra loro, giusta procura speciale posta in calce all'atto di costituzione in appello ### avv.archimede(@pec.it, avvantoniomariacardillo(@pec.it APPELLATO - ### OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 2723/2017, emessa e pubblicata in data ### dal Tribunale di ### in composizione monocratica, nella causa civile iscritta al n. 4943/2007 RG, in materia di risoluzione contratto preliminare, risarcimento danni e altro.  ###: Si dà atto, in proposito, che all'udienza del 21.10.2022 le difese delle parti costituite insistevano nei propri petita - di cui alle note di trattazione depositate in modalità telematica, ex art. 83 comma 3 lettera h) r.l. 18/2020.  ### atto di citazione, ritualmente notificato, ### e D'### hanno impugnato davanti a questa Corte, nei confronti di ### la sentenza indicata in oggetto con cui il Tribunale di ### in accoglimento delle domande proposte da quest'ultimo, ha disposto la risoluzione del contratto preliminare di permuta stipulato tra le parti in data 2 maggio 2001, per l'effetto condannando i convenuti in solido al pagamento, in favore dell'attore, della somma di 150.000,00 €, quale risarcimento del danno dallo stesso subito, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese di lite. 
Premettevano di aver stipulato in data 2 maggio 2001 un contratto preliminare di permuta in cui si erano obbligati a trasferire al ### (dopo averne, a loro volta, acquistato la proprietà “nel più breve tempo possibile, e, comunque, subito dopo l'approvazione del progetto di costruzione ...”) un terreno edificabile sito nella frazione ### del ### di ### identificato in catasto con le partt. 954 e 955 del foglio 4, nonché una striscia di terreno agricolo adiacente al suddetto terreno edificabile, mentre quest'ultimo si impegnava alla realizzazione, su detto terreno, di un complesso di villette con l'obbligo, poi, di trasferirne due ai promittenti venditori a titolo di corrispettivo.  ### positivo dell'operazione era, dunque, subordinato alla condizione sospensiva che venisse presentato (ad opera dei promissari venditori ma a spese del promissario acquirente per il tramite di un tecnico di sua fiducia) ed approvato il relativo progetto costruttivo. 
Successivamente, il ### lamentando un grave inadempimento da parte dei promittenti venditori agli impegni contrattuali presi con la citata scrittura privata, ha chiesto al Tribunale di ### in via principale, di ritenere avverata la condizione sospensiva apposta al contratto preliminare, con conseguente trasferimento in suo favore - con sentenza sostitutiva del consenso ex art. 2932 c.c. - dei terreni previsti in contratto, alle condizioni ivi stabilite; in via subordinata, ha chiesto la risoluzione del preliminare di permuta per grave inadempimento dei convenuti, con condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni subiti per la perdita dell'operazione edilizia, oltre al danno biologico e morale provocato dallo stress psicologico della vicenda de quo. 
Si costituivano gli odierni appellanti, che contestavano le avverse domande perché ritenute inammissibili ed infondate, mentre in via riconvenzionale chiedevano che venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare stipulato tra le parti per grave inadempimento dell'attore agli obblighi contrattualmente assunti e, previa autorizzazione del G.I., chiamavano in giudizio l'### COTRUZZOLA' ### affinché rispondesse in solido con l'attore di tutti i danni subiti e subendi e in ogni caso per manlevarli dalle pretese attrici. 
Costituitosi in giudizio, il terzo chiamato, in via preliminare, chiedeva di essere estromesso dal giudizio per difetto di legittimazione passiva, mentre nel merito, contestando ogni assunto avversario, chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti, con condanna dei convenuti per lite temeraria. 
Disposta ed espletata ### Il Tribunale di ### con la sentenza impugnata così provvedeva: "- in accoglimento della domanda subordinata svolta dall'attore, dichiara la risoluzione del contratto preliminare del 02.05.2001 per inadempimento dei convenuti; - condanna i convenuti in solido al pagamento, a favore dell'attore, della somma di € 150.000,00 a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi di legge dalla domanda al saldo; - rigetta le domande riconvenzionali svolte dai convenuti; - condanna i convenuti in solido al pagamento, a favore dell'attore e del terzo chiamato, delle spese di lite che si liquidano, per il primo, in complessive € 13.790,00, di cui € 360,00 per spese ed € 13.430,00 ( valori medi dello scaglione) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali, Iva e c.p.a. come per legge, e, per il secondo, da distrarsi in favore del procuratore antistatario Avv.  ### , in € 8.580,00 (di cui € 1.500,00 per fase di studio, € 800,00 per fase introduttiva, € 3.780,00 per fase istruttoria ed € 2.500,00 per fase decisoria) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali, Iva e c.p.a. come per legge; - pone le spese di c.t.u. a carico dei convenuti in solido ". 
Con atto di citazione, notificato in data ###, ### e D'### proponevano appello avverso la citata sentenza, nelle parti e per i motivi di cui si dirà infra, chiedendo che, in riforma della stessa, previa sospensione della sua efficacia esecutiva, fossero rigettate tutte le domande di controparte, non sussistendo nessun inadempimento da parte loro. 
Instaurato il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva nel presente grado di giudizio ### che contestava l'impugnazione e proponeva appello incidentale, chiedendo, in parziale riforma della sentenza impugnata, la condanna degli odierni appellanti al risarcimento di tutti i danni subiti per la perdita dell'operazione immobiliare, da liquidarsi quantomeno nella somma stimata dal CTU pari ad € 625.809,06, oltre rivalutazione ### ed interessi legali. 
Successivamente, si costituiva anche l'### COTRUZZOLA' ### il quale, resistendo all'impugnazione, ne chiedeva il rigetto, con conferma della sentenza gravata e vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio. 
Superato il vaglio preliminare di non inammissibilità dell'appello ex art. 348bis c.p.c. e respinta l'istanza di inibitoria - come da ordinanza di questa Corte del 11 gennaio 2019 -, veniva fissata l'udienza del 6 aprile 2020 per la precisazione delle conclusioni, la quale veniva dapprima differita, per carico di ruolo, all'udienza del 21 dicembre 2020 e successivamente anticipata, previa istanza dei difensori degli appellanti, al 18 maggio 2020 per i medesimi incombenti. 
All'esito della suddetta udienza il Collegio riservava la decisione. 
Con ordinanza del 20 novembre 2020, la Corte, ritenuto che l'istanza istruttoria di rinnovo della CTU doveva essere decisa unitamente al merito, rinviava la causa per precisazione delle conclusioni all'udienza del 4 aprile 2022, che, per ragioni organizzative e di sovraccarico del ruolo nonché per assenza del giudice relatore, veniva differita d'ufficio al 21 ottobre 2022. 
In tale udienza, svoltasi in modalità cartolare ex art. 221, comma 4, legge 77/2020 (e succ. mod. e int.), preso atto delle note di trattazione scritta tempestivamente depositate dalle parti, la causa veniva assunta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.  MOTIVI DELLA DECISIONE Deve preliminarmente esaminarsi l'eccezione di inammissibilità in rito del gravame proposto, stante la specifica deduzione delle parti appellate.  ### di indeterminatezza dell'appello ex art. 342 c.p.c. non implica un giudizio avente ad oggetto la fondatezza del gravame proposto, attenendo unicamente alla redazione delle argomentazioni a sostegno della domanda di riforma della sentenza di primo grado ed imponendo che il gravame non sia meramente devolutivo, ma si esplichi in una richiesta di revisione della decisione in chiave critica delle argomentazioni del giudice a quo. La sollevata eccezione dev'essere, nello specifico, disattesa anche alla luce dei principi affermati da Cass. SS.UU. n. 27199/2017, tenuto conto del fatto che l'appellante ha sufficientemente indicato e chiarito i capi della sentenza che intende impugnare e i relativi motivi, idoneamente sviluppando la parte volitiva e quella argomentativa. 
La nuova formulazione dell'art. 342 c.p.c., nel testo novellato dal d. l. n. 83 del 2012 (conv. con modif.  nella l. n. 134 del 2012), qui applicabile ratione temporis, non pare, infatti, comportare una significativa novità dei principi già in precedenza stabiliti in materia di specificità dei motivi d'appello, né la osservanza di particolari tecniche redazionali, dovendosi sempre tenere presente l'obiettivo della previsione che è quello di porre sia il Giudice sia la parte appellata in grado di conoscere compiutamente le critiche svolte rispetto alla sentenza, per quest'ultima al fine di poter esplicare il suo esercizio di difesa in merito. Tali requisiti risultano nella specie soddisfatti e tanto si evince anche dalla piena estrinsecazione del contraddittorio, essendo risultato che i motivi di appello sono stati inequivocabilmente e pienamente intesi dall'appellata. 
Sotto il secondo profilo (348 bis c.p.c.) la Corte ha già disatteso l'eccezione con l'ordinanza emessa alla prima udienza, con la quale è stata di seguito fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni, momento di per sé incompatibile con l'adozione di un provvedimento ai sensi della norma invocata. 
Sul punto, è appena il caso di precisare che “la scelta del giudice d'appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l'accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l'inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell'art. 348-ter, comma 1, c.p.c., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l'appello, che è l'unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, "in procedendo" o "in iudicando", e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate” (###, per tutte: Cass. Civ., Sez. VI-L., Ordinanza n. ### del 29.11.2021).  ### 1. Venendo al merito dell'impugnazione sub iudice, con il primo motivo d'appello, #### e D'### lamentano la violazione e falsa applicazione dei principi di cui agli artt. 1359 e 2697 del c.c. in combinato disposto con l'art. 115 del c.p.c.. 
Sostengono, infatti, che erroneamente l'odierno appellato abbia invocato l'art. 1359 c.c., ponendo a fondamento delle proprie domande la circostanza secondo cui la condizione sospensiva a cui era sottoposto il preliminare di permuta, sottoscritto dalle parti in data ###, non si sarebbe verificata per cause a loro imputabili, in quanto avrebbero avuto interesse contrario al verificarsi della condizione medesima. 
Evidenziano, invece, come l'interesse ad ottenere il rilascio della concessione edilizia indispensabile per l'operazione di permuta dedotta nel preliminare del 02.05.2001, fosse reciproco tra le parti in causa, mentre divergente era solo l'interpretazione sulla procedura da seguire per conseguire il medesimo risultato. 
A sostegno della propria doglianza, richiamano conforme giurisprudenza sul punto secondo cui “La norma dell'art. 1359 cod. civ., secondo cui la condizione del contratto si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento di essa.” In ogni caso - continua parte appellante - gravava sullo stesso attore l'onere di dimostrare quale fosse l'interesse contrario all'avveramento della condizione prevista nel preliminare di permuta del 2 maggio 2001, a cui le parti avevano subordinato l'insorgere dell'obbligazione di trasferimento della proprietà del terreno de quo. 
Rappresentano, infatti, come non vi sia agli atti alcun elemento probatorio idoneo a sostenere l'esistenza di un siffatto interesse, non potendolo di certo desumere dalla circostanza che avessero richiesto, per conseguire il rilascio di un regolare permesso a costruire, un percorso amministrativo diverso da quello dedotto da controparte, percorso che, sicuramente, non era di ostacolo al verificarsi della citata condizione. 
Pertanto, concludono gli appellanti, non è possibile applicare al caso in esame la norma prevista dall'art.1359 del c.c., che peraltro, stante la sua eccezionalità, in quanto prevede una "fictio iuris", non è suscettibile di interpretazione analogica. 
Il motivo è inammissibile.  ###.1359 c.c., a mente del quale “La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all'avveramento di essa”, trova applicazione solo nelle fattispecie in cui, la parte non inadempiente, decida di agire per l'adempimento del contratto e non anche per la sua risoluzione, come nel caso che ci occupa. 
Appare, pertanto, irrilevante interrogarsi, oggi, sull'esistenza o meno in capo agli odierni appellati di un interesse contrario all'avveramento della condizione sospensiva cui il preliminare era sottoposto, poiché ciò sarebbe funzionale all'avverarsi, ex art. 1359 c.c., della suddetta condizione e, quindi, al mantenimento degli effetti del contratto, circostanza esclusa nel caso che ci occupa dalla scelta processuale operata dal ### nel corso del giudizio. 
La parte attrice, infatti, sebbene avesse agito in giudizio al fine di ottenere in via principale il trasferimento coattivo, ex art. 2932 c.c., del terreno edificabile oggetto del preliminare e solo in via subordinata la dichiarazione di risoluzione di quest'ultimo per grave inadempimento della controparte, in sede di note conclusive ha rinunciato alla domanda proposta in via principale e chiesto, ai sensi dell'art. 1453 c.c., esclusivamente la risoluzione del contratto preliminare di permuta stipulato tra le parti, sulla quale, dunque, il Tribunale si è poi pronunciato. 
Pertanto, a parere della Corte, la censura mossa ignora totalmente la risposta data dal Tribunale, opponendovi obiezioni del tutto estranee alle motivazioni della sentenza di primo grado, la quale si basa solo ed esclusivamente sull'inadempimento di non scarsa importanza dei convenuti, tale da giustificare una declaratoria di risoluzione del contratto ai sensi degli art. 1453 e 1355 c.c.. 
La sentenza appellata, infatti, non contiene alcun riferimento al predetto articolo 1359 c.c., il quale non solo non è stato posto a fondamento del decisum, ma non risulta neanche richiamato in premessa o in via di argomentazione logico giuridica a sostegno delle decisioni assunte. 
Sul punto, anche alla luce dell'orientamento maggioritario, i ### di ### hanno statuito che “E' inammissibile l'appello nel quale le doglianze proposte dall'appellante “non dialoghino” con la pronuncia di primo grado ove le deduzioni sono del tutto inconferenti rispetto al decisum e non siano pertinenti rispetto alle soluzioni accolte dal primo giudice” (Cassazione Civile, ### II, Ordinanza n. 21824/2019). 
Nel caso oggetto di decisione, le deduzioni di parte appellante contenute nel primo motivo di appello sono del tutto inconferenti rispetto al decisum, poiché il Tribunale ha accolto la domanda formulata dall'attore promissario acquirente non già in applicazione dell'art. 1359 c.c., bensì in applicazione dell'art.1453 c.c., avendo quest'ultimo legittimamente esercitato la facoltà di scelta concessa dalla citata norma e chiesto la risoluzione del contratto per grave inadempimento della controparte, con conseguente risarcimento del danno. 
Ne discende che il motivo in esame non si confronta con il contenuto della decisione impugnata e non merita, per tali ragioni, accoglimento. 
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che la disciplina dell'art. 1359 c.c., relativa agli effetti del mancato avveramento della condizione per fatto imputabile alla parte avente interesse contrario all'avveramento, non è applicabile alla "condicio iuris" sospensiva, non potendosi sostituire con una semplice finzione legale la effettiva emanazione dell'atto amministrativo di autorizzazione, richiesto dalla legge come requisito dell'efficacia del negozio e come tale, eventualmente, considerato dalle stesse parti private (Cass. Civ., Sent. n. 3942/2002).  2. Con il secondo motivo di gravame, le parti appellanti si dolgono dell'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il Giudice di prime cure ha dichiarato risolto il contratto preliminare in oggetto per grave inadempimento loro attribuibile, in quanto non avrebbero consentito l'approvazione del progetto ed il rilascio della conseguente concessione o permesso a costruire (condizione sottesa al preliminare stesso) a causa della mancata sottoscrizione di una istanza da inoltrare al ### di ### al fine di conseguire l'allaccio del realizzando complesso immobiliare alla rete fognaria comunale. 
In particolare, rilevano come il Tribunale, sulla scorta delle risultanze della CTU a firma dell'#### sia giunto a una siffatta conclusione disattendendo quello che era il punto focale dell'intera vicenda, ovvero che per il rilascio della predetta concessione, trattandosi di zona non urbanizzata, era necessaria la lottizzazione del terreno de quo, a cui, invece, l'odierno appellato, in malafede, non ha voluto provvedere. 
Evidenziano come il nominato CTU sia pervenuto al convincimento che non fosse necessario il citato piano di lottizzazione sulla base di una interpretazione alquanto discutibile della delibera n. 67/79 del summenzionato ### la quale "zonizzava" tutto l'ambito territoriale del ### in maniera molto generica, senza dare alcuna certezza sulla concreta realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione ivi previste e, dunque, sulla non obbligatorietà di un piano di lottizzazione nella aree oggetto di contestazione. 
All'uopo, rilevano che detta delibera, non idonea e generica, viene categoricamente smentita dall'attestazione dell'U.T.C. di ### prot. n. 15310/2016 del 10/11/2016, allegata agli atti del giudizio di primo grado, e dall'attestato, rilasciato in data ###, prot. n. 4524, dal ### di ### prodotto nel fascicolo appello. 
In particolare, a detta degli appellanti, quest'ultimo documento elimina qualsivoglia possibile dubbio sulla necessità della presentazione di un piano di lottizzazione relativamente al terreno oggetto dell'intercorso preliminare e, soprattutto, esclude che il ### di ### avesse cambiato idea - diversamente da quanto affermato dal nominato CTU - sulla possibilità di rilasciare la chiesta concessione edilizia anche senza la presentazione di detto piano. 
Pertanto - concludono - il Tribunale di ### che sulla base di una erronea interpretazione della raccomandata del 15/09/2003 prot. 15249, ha ritenuto che il ### di ### avesse rivisto la propria posizione rispetto al piano di lottizzazione originariamente richiesto, avrebbe dovuto, invece, rigettare la domanda attorea di risoluzione del preliminare de quo ed accogliere la loro domanda riconvenzionale, giacché il ### avrebbe intentato l'odierna azione giudiziaria al solo fine di tirarsi fuori da una operazione immobiliare ormai rivelatasi antieconomica e rispetto alla quale aveva perso qualsivoglia interesse. 
Sostengono, infatti, che si sarebbe potuto dare corso al contratto preliminare, se solo il ### avesse manifestato la propria disponibilità a collaborare con l'autorità amministrativa per l'approvazione del progetto (anziché creare contenzioso), comportandosi lealmente e correttamente nel rapporto contrattuale volto alla realizzazione della citata operazione edilizia. 
Rilevano, inoltre, che il ### dell'attore, ### Cotruzzolà, avrebbe comunque potuto dare seguito alla richiesta del ### di cui alla lettera del 15.09.2003, presentando autonomamente il progetto - come accaduto in precedenza per le varianti - e quanto necessario per conseguire l'allaccio alla rete fognaria anche senza la loro firma, necessaria solo per il rilascio della concessione edilizia dopo l'approvazione del progetto ma, sicuramente, non in quel momento. 
Il motivo, nella sua esposizione ripetitiva e tutt'altro che organica, va disatteso nel merito e pertanto rigettato per le ragioni di cui si dirà infra. 
La valutazione del primo decidente risulta, infatti, coerente con le risultanze probatorie emerse nel primo grado di giudizio. 
Preliminarmente occorre osservare che, come affermato dalla Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 1887/2018; Cass. Civ., Sent. n. 3207/2014), la parte che si è obbligata o ha alienato un bene sotto la condizione sospensiva del rilascio di determinate autorizzazioni amministrative necessarie per la realizzazione delle finalità economiche che l'altra parte si propone, ha il dovere di compiere, per conservarne integre le ragioni, comportandosi secondo buona fede (art. 1358 c.c.), tutte le attività che da lui dipendono per l'avveramento di siffatta condizione, in modo da non impedire che la P.A.  provveda sul rilascio delle autorizzazioni; con la conseguenza che deve rispondere delle conseguenze del suo inadempimento nei confronti dell'altra parte, la quale può chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni conseguenti, da accertare secondo il criterio della regolarità causale, che consente di riconoscere il danno nel caso in cui, avuto riguardo alla situazione di fatto esistente nel momento in cui si è verificato l'inadempimento, debba ritenersi che la condizione avrebbe potuto avverarsi, essendo possibile il legittimo rilascio delle autorizzazioni amministrative con riguardo alla normativa applicabile (Cass. Civ., Sent, n. 6676/1992; Cass. Civ., 3084/1996). 
Pertanto, secondo la Suprema Corte, colui che si è obbligato sotto la condizione sospensiva del rilascio di una determinata autorizzazione amministrativa necessaria perché si realizzi la finalità economica del contratto, ha il dovere di compiere tutte le attività che da lui dipendono perché la pubblica amministrazione sia posta in grado di provvedere positivamente sul rilascio della autorizzazione medesima (Cass. Civ. 4110/2001), ritenendo, in caso di inadempimento, ammissibile la risoluzione per inadempimento del contratto in seguito alla violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c.(Cass. Civ., Sent. n. 3942/2002).  ###. 1358 c.c. sancisce una specifica applicazione del generale principio di correttezza in materia contrattuale per ogni tipo di condizione alla quale le parti subordinano la produzione o l'eliminazione degli effetti della pattuizione (con esclusione della sola condizione meramente potestativa, che non conferisce all'altra parte alcuna aspettativa tutelabile o coercibile), imponendo alla parte condotte tali da conservare integre le ragioni dell'altra.  ### il periodo di pendenza della condizione, il contratto vincola i contraenti al puntuale ed esatto adempimento delle obbligazioni rispettivamente assunte: la condizione rende infatti incerta la produzione (o l'eliminazione) degli effetti contrattuali ma il vincolo pattizio appare già fermo e irrevocabile (Cass. n. 14006/2014). Ne deriva che la mancata o inesatta osservanza dell'obbligo di buona fede, dalla quale derivi pregiudizio alla realizzazione del complessivo assetto di interessi sotteso all'atto di autonomia privata (ossia la tenuta di un comportamento scorretto che vanifichi la realizzazione del programma negoziale), identifica una fattispecie di inadempimento attuale e immediatamente rilevante. 
In particolare, il rimedio risolutorio è stato riconosciuto applicabile anche al contratto sottoposto alla condicio iuris del rilascio di determinate autorizzazioni amministrative che sia rimasto inefficace per il mancato avveramento della condizione medesima, in tal caso può essere dichiarato risolto in danno della parte colpevole - con la conseguente condanna al risarcimento dei danni - per essere stati violati (con dolo o con colpa o con specifici atti diretti ad impedire, il verificarsi dell'evento), oltre che il generico dovere di lealtà e correttezza imposto dall'art. 1375 c.c., lo specifico obbligo previsto dall'art.  1358 stesso codice di comportarsi, in pendenza della condizione, secondo buona fede e cioè in modo da non influire sul libero corso della condizione pendente e di non accrescere il margine di incertezza insito nell'evento condizionato, onde conservare integre le ragioni dell'altra parte. 
Da tempo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Civ., Sent. n. 6676/1992; Cass. Civ., S.U., 18450/2005; Cass. Civ., Sent. n. 3207/2014; Cass. Civ., Sent. n. 24977/2018) ha ricostruito la struttura dell'illecito contrattuale per mancata osservanza del comportamento leale in pendenza della condizione in maniera autonoma, sia da specifiche previsioni contrattuali, come pure dal generale dovere del neminem laedere. 
Orbene, gli odierni appellanti, con il loro immotivato ostruzionismo hanno tenuto un comportamento contrario a buona fede (in violazione degli artt. 1358 e 1375 c.c.), impedendo così l'avverarsi della condizione sospensiva a cui il contratto preliminare era sottoposto, ovvero il rilascio da parte dell'Ente comunale della concessione edilizia propedeutica alla realizzazione dell'operazione edilizia originariamente concordata. 
Tra l'altro, con la scrittura privata del 2 maggio 2001, ### e D'### si erano assunti sia l'obbligo giuridico di collaborare secondo buona fede per l'ottenimento del rilascio della concessione edilizia, sia l'obbligo contrattuale di provvedere alla sottoscrizione e presentazione del progetto, nonché al compimento di tutte le attività connesse da essi dipendenti, ma, alla luce delle risultanze processuali, è emerso inequivocabilmente come entrambi gli obblighi siano stati violati a causa del loro grave inadempimento. 
Infatti, mentre la parte attrice ha diligentemente provveduto a compiere tutti gli atti necessari ai fini dell'ottenimento della concessione edilizia indispensabile per il buon fine dell'operazione edilizia, quella convenuta, contravvenendo ai doveri di lealtà e correttezza, ha mancato da un certo momento in poi di prestare la collaborazione necessaria per realizzare le condizioni richieste affinché l'amministrazione comunale provvedesse sulle domande di autorizzazione. 
Infatti, così come correttamente stabilito dal primo Giudice, appare ingiustificato il rifiuto dei due appellanti - nonostante le molteplici richieste da parte del ### - a sottoscrivere l'istanza richiesta dal ### al fine di ottenere la preventiva approvazione delle opere necessarie per l'allaccio alla rete fognaria comunale, nonché assolutamente pretestuosa la ostinata richiesta di presentazione di un piano di lottizzazione. 
A parere della Corte, le condotte ostruzionistiche e poco collaborative tenute dagli odierni appellanti hanno, certamente, pregiudicato il buon esito dell'affare e vanno, pertanto, censurate. 
A nulla valgono i tentativi di parte appellante di giustificare l'opposto rifiuto di collaborare con la controparte spostando il fulcro della questione sulla necessità, stante l'asserita mancata urbanizzazione dell'area, di provvedere alla predisposizione e presentazione di un piano di lottizzazione, producendo in giudizio, perfino, documenti nuovi. 
A tale ultimo riguardo occorre richiamare la giurisprudenza di legittimità secondo cui "La nuova formulazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c., introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, che prevede il divieto di ammissione, in appello, di nuovi mezzi di prova e documenti, salvo che la parte dimostri di non avere potuto proporli o produrre per causa non imputabile, trova applicazione, in difetto di un'espressa disciplina transitoria ed in base al generale principio processuale "tempus regit actum", quando la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l'11 settembre 2012"(Cass. Sez. II, n. 21606/2021). 
Nel caso di specie, sebbene il fascicolo di primo grado risulti iscritto nel 2007, la sentenza è stata pubblicata nel 2017, dunque, diversamente da quanto sostenuto da parte appellante, nella vigenza della nuova formulazione dell'art. 345 comma 3 c.p.c.. 
Il suddetto divieto impedisce, quindi, che possano essere prospettate nel giudizio di appello ragioni di indagine diverse da quelle sviluppate ed esplorate dal giudice di primo grado, non attinenti a eccezioni in senso lato rilevabili anche di ufficio che si sottraggono al divieto di cui all'art. 345 c.p.c., sempre che emergano da documenti o altre prove già ritualmente acquisite al processo. 
Ciò posto, con il proposto motivo di gravame l'appellante introduce nuove allegazioni in fatto mai formulate in primo grado che, alla luce dell'ormai consolidato principio giurisprudenziale (Cass. Sez. III sent. n. 9211 del 22.03.2022), secondo cui "il divieto di 'nova' in appello riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma altresì le allegazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado", devono considerarsi inammissibili, tanto più che nulla impediva agli allora convenuti di produrle nel giudizio di primo grado. 
Tra l'altro, tale documentazione è, in ogni caso, totalmente in conducente, non modificando in alcun modo la sostanza della questione. Infatti, seppur nella zona alcune opere di urbanizzazione primaria sono state eseguite in epoca successiva ai fatti di causa, ciò non esclude che per l'approvazione del progetto, in quel dato momento storico, sarebbe stata sufficiente la sola realizzazione di una condotta fognaria a cura della ditta costruttrice. 
Ad ogni buon conto, anche a prescindere dalla novità delle argomentazioni difensive, ciò che forma oggetto di disputa non è stabilire se nelle aree interessate fosse o meno necessario un piano di lottizzazione - sebbene la risposta del CTU in tal senso debba considerarsi più che esaustiva: "si può asserire che la zona B in questione (sita nella fraz. di #### si poteva ritenere urbanizzata in quanto nei pressi vi erano le principali opere di urbanizzazione primaria ( rete idrica, viaria, e fognante), quindi si poteva rilasciare la concessione edilizia diretta senza necessita di dover presentare piani di lottizzazione , il tutto per come asserito dal geom. Alacqua (responsabile del procedimento) con l'ultima richiesta formulata dal ### di ###- bensì valutare se il comportamento assunto dai promittenti venditori abbia impedito l'avverarsi della condizione sospensiva da cui dipendeva il buon esito operazione edilizia. 
Ebbene, l'ingiustificato rifiuto a sottoscrivere l'istanza richiesta in ultima analisi dal ### di ### con nota del 15.09.2003, dalla quale emerge l'intendimento del predetto Ente a non richiedere più - per lo meno nella fase di riesame della pratica - il piano di lottizzazione al fine dell'approvazione del progetto (nella stessa, infatti, si invitava la ditta proprietaria ### non più, a predisporre il piano di lottizzazione, ma in accoglimento delle osservazioni presentate, a presentare istanza preventiva, corredata da idoneo progetto "ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione all'esecuzione ,nel tratto di strada comunale, dei lavori relativi alla posa in opera del condotto di allaccio della fognatura al pozzetto più vicino ubicato nella via ### - S.  ### nelle vicinanze dell'ex frantoio ###), costituisce un chiaro inadempimento degli obblighi assunti con la sottoscrizione del preliminare, avendo palesemente ostacolato l'iter del procedimento necessario per ottenere la concessione edilizia, che era, invece, preciso obbligo dei promittenti venditori curare. 
A ciò si aggiunga che gli odierni appellanti hanno perfino rifiutato la proposta con cui il ### dichiaratosi disposto a procedere con il piano di lottizzazione, chiedeva, a ragione, la revisione delle originarie condizioni del contratto in modo da ripartire equamente sia la perdita di cubatura sia i maggiori costi. 
Si rammenti, altresì, che per orientamento ormai consolidato sul punto, qualora il fatto dedotto in condizione sia un provvedimento amministrativo, la prova relativa alla realizzazione delle condizione non può avere ad oggetto la certezza che il provvedimento positivo vi sarebbe stato, ma solo lo stabilire se, nella situazione data, una legittima conclusione positiva del procedimento fosse possibile (Cass. Civ., Sent. 15-6-2011 n. 13099). 
È evidente, dunque, che tale giudizio deve essere condotto verificando se sussistono, così come nel caso di specie, circostanze tali da fare ragionevolmente presumere che il procedimento amministrativo avrebbe avuto esito favorevole. 
Parimenti da censurare è l'ulteriore considerazione secondo cui per la presentazione di tale istanza con annesso progetto non era necessaria la firma dei proprietari del fondo, ben potendo essere sostituita da quella del solo tecnico. 
A rigore, va evidenziato che per effettuare i lavori di allacciamento degli scarichi di un immobile alla fognatura comunale è necessario ottenere apposita autorizzazione, la cui domanda, ai sensi del D.Lgs.  11 maggio 1999, n. 152, deve essere debitamente presentata e firmata dal proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo (o dal legale rappresentante) dello stabile per cui si richiede l'allacciamento e dal tecnico responsabile del progetto. 
Correttamente, dunque, in questo contesto di fatto e diritto, il primo Giudice ha giudicato gravemente inadempienti i convenuti rispetto alle obbligazioni assunte con il preliminare stipulato in data 2 maggio 2001, trattandosi senz'altro di inadempimento di non scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del ### alla realizzazione dell'operazione edilizia. 
Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni tale motivo non è meritevole di accoglimento.  3. Il terzo motivo dell'impugnazione principale censura la sentenza gravata nella parte in cui ha accolto la domanda risarcitoria proposta dal ### nonostante la stessa fosse assolutamente generica sia sull'an che sul quantum debeatur. 
Deducono gli appellanti che l'attore non ha mai precisato né le voci né l'ammontare dell'asserito danno, neanche a seguito dell'espletata ### mentre ne aveva il preciso onere, mantenendo fino alla fine la sua domanda generica e indeterminata per ciò che attiene al quantum e priva di allegazioni sul piano probatorio. 
Sostengono, peraltro, che la ### non avendo funzione esplorativa, in mancanza di specifiche allegazioni dell'attore, non poteva essere presa come riferimento per la quantificazione dei danni, per cui non può essere neanche condiviso il percorso argomentativo del Tribunale che ha portato al riconoscimento di danni non specificati, insussistenti e non provati. 
Infine, rilevano come i danni reclamati dall'odierno appellato non possono comunque quantificarsi nella eccessiva somma liquidata dal Tribunale, la quale ha avuto come riferimento, sia pure con gli opportuni correttivi, l'astratta relazione del CTU che risulta priva di qualsivoglia riferimento al caso concreto. 
Infatti, aggiungono che le affermazioni del ### in ordine all'utile d'impresa, sono smentite dalle indagini di mercato sulle vendite e sui costi di costruzione, nonché dal computo metrico estimativo prodotto in atti, sulla base dei quali il guadagno netto presunto per l'impresa costruttrice non sarebbe andato oltre € 56.757,73, cifra che avrebbe fatto desistere chiunque dal portare a compimento l'opera.  4. Col quarto motivo la decisione del Tribunale di ### viene censurata anche con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell'art. 1223 del c.c. in relazione all'art. 1453 Infatti, secondo gli appellanti, il Tribunale avrebbe omesso di considerare quale fosse l'epoca cui andava riferito il risarcimento, chiesto ai sensi dell'art.1453 del c.c., che consente, in via eccezionale, la mutatio libelli in corso di causa. 
Orbene, continuano le parti appellanti, avendo l'odierno appellato rinunciato alla domanda di adempimento dell'intercorso preliminare, optando per la risoluzione del contratto medesimo, con le note conclusive del 30 ottobre 2017, è a tale data che il Tribunale avrebbe dovuto riferirsi per la determinazione del risarcimento del danno. 
Sostengono, inoltre, indicando specifica giurisprudenza sul punto, che il risarcimento dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione, imputabile al promittente venditore, del contratto definitivo di vendita di un bene immobile, consisterebbe nella differenza tra il valore commerciale del bene medesimo al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (ovvero al tempo in cui l'inadempimento è divenuto definitivo) ed il prezzo pattuito. 
Nella fattispecie concreta, il preteso risarcimento avrebbe dovuto, dunque, essere pari alla differenza tra il valore commerciale del bene promesso in vendita, ovvero il terreno di proprietà degli appellanti, al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto (cioè al tempo in cui l'inadempimento è divenuto definitivo), ed il corrispettivo della vendita, costituito dal valore delle due villette promesse in permuta dal promissario acquirente. 
Rilevano, altresì, che il presunto danno avrebbe dovuto essere liquidato tenendo conto delle circostanze emerse in corso di causa e nei limiti del prevedibile, anche in considerazione del fatto che il valore del terreno promesso in vendita era diminuito e che le villette promesse in permuta non avrebbero potuto essere realizzate così come era stato originariamente progettato. 
Dunque, alla data predetta, sempre secondo gli appellanti nessun risarcimento era dovuto sia sotto il profilo del “danno emergente”, inteso quale pregiudizio effettivo della sfera patrimoniale del danneggiato, sia sotto quello del “lucro cessante”, inteso quale mancato guadagno o perdita di chance in termini di certezza o elevata probabilità, in quanto non provati ed indicati in maniera del tutto generica ed ipotetica. 
A riguardo sostengono, inoltre, che l'appellato non avrebbe subito alcun pregiudizio economico, avendo lo stesso riconosciuto l'antieconomicità dell'operazione immobiliare originariamente concordata, che peraltro, non era più in grado di realizzare, in quanto non svolgeva più alcuna attività imprenditoriale dall'1 giugno 2012. 
I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, non appaiono meritevoli di accoglimento. 
Preliminarmente, giova ricordare che la disposizione posta dal II comma dell'art. 1453 c.c., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l'adempimento, fissa un principio di contenuto processuale, in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell'altra parte ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione - non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli artt. 183, 184 e 345 c.p.c. - sempre che non alleghi distinti fatti costitutivi, e, quindi, inadempimenti diversi da quelli posti a base della pretesa originaria (Cass. Civ., Sent. n. 8234/2009; Cass. Civ., Sent. 13003/2010; Cass. Civ., Sent. n. 15461/2016). 
Nel caso in esame, il Tribunale non si è discostato dagli enunciati principi, ritenendo ammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore, proposta nel corso del giudizio di primo grado dall'attore, in sostituzione di quella di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, azionata con l'atto introduttivo del giudizio. Infatti, l'attore ha posto a base della domanda di risoluzione - proposta comunque già nell'atto introduttivo come domanda subordinata - gli stessi fatti (rifiuto della controparte ad eseguire la propria prestazione, allorquando il promissario acquirente si era attivato per ottenere l'esecuzione del contratto) dedotti a fondamento della domanda principale/originaria. 
Fatta questa premessa, diversamente da quanto dedotto nell'atto di appello, secondo cui l'inadempimento sarebbe divenuto definitivo solo con la rinunzia fatta con le note conclusive del 30 ottobre 2017, va ricordato che per orientamento ormai consolidato della Corte di legittimità: "in caso di inadempimento dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva ai sensi dell'art. 1358 c.c., il momento dell'inadempimento utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza va individuato in quello ### in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della "condicio facti" e non già nel successivo momento della proposizione della domanda giudiziale di risoluzione del contratto (già inefficace per mancato avveramento della condizione)" (Cass. Civ., Sez. II, Ordinanza 21427/2022; Cass. Civ., Sent. n. 1887/2018; ### n. 3207/2014). 
Ritiene, dunque, la Corte che il tempo in cui si è verificato l'inadempimento degli odierni appellanti all'obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva debba essere ravvisato nel limite della pendenza, ossia in quello della scadenza del termine ultimo di cui alla diffida ad adempiere del 31 ottobre 2005, che ha reso impossibile l'avveramento della condizione e dunque la stipula del contratto definitivo. 
Prospettare che l'inadempimento sia divenuto definitivo solo all'atto della proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento del preliminare da parte dei promittenti venditori - con le note del 30 ottobre 2017 - significa disconoscere l'autonomia della diversa fattispecie di inadempimento da violazione del dovere di buona fede ex art. 1358 c.c.. 
Pertanto, il risarcimento del danno andrà commisurato, in termini di lucro cessante, sulla base dei presumibili utili che sarebbero stati ricavati qualora non vi fosse stato l'ingiustificato ritardo imputabile agli appellanti. 
Va disattesa, inoltre, la censura secondo cui la domanda di risarcimento danni avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile giacché generica sull'an e sul quantum debeatur. 
La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che una richiesta di risarcimento dei "danni subiti e subendi" va qualificata come generica quando non sia accompagnata dalla concreta descrizione del pregiudizio di cui si chiede il ristoro, così da non consentire né al giudice, né al convenuto, di sapere di quale concreto pregiudizio si chieda il ristoro, impedendo, altresì, di far sorgere in capo al giudice il potere-dovere di provvedere" (Cass. Civ., Sez. III, n. 13328/2015,). 
Ma nel caso che ci occupa non sussiste alcuna genericità nella domanda di risarcimento danni formulata dall'attore, avendola egli fin da principio formulata in maniera specifica, identificando il pregiudizio subito nella totale perdita degli utili che sarebbero derivati se l'operazione edilizia concordata fosse andata a buon fine, secondo i criteri indicati dal proprio tecnico - ### CUTROZZOLA' - nella relazione tecnica allegata agli atti. 
La risoluzione del contratto per inadempimento comporta ex se il diritto della parte non inadempiente di chiedere il risarcimento del danno per la cui determinazione i criteri da applicare sono quelli di cui all'art. 1223 c.c.; pertanto, sono risarcibili i danni conseguenza diretta e immediata dell'inadempimento, comprensivi tanto della perdita subita, quanto del mancato guadagno: "…il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, la cui delimitazione e' determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato…." (Cass. Civ. Sez. II, ### n. 18832/2016). 
Quanto al danno da mancato guadagno, incombe sul danneggiato l'onere di provare che, ove l'altro contraente fosse stato adempiente, avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, che invece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (cfr. ex multis Cass. Civ., Sez. III, ### n. 24632/2015; conf. Cass. Civ., Sez. III, ### n. 1752/2005). 
Tutto quanto precede ha certamente generato in capo all'odierno appellato una perdita da mancato guadagno e il conseguente diritto al risarcimento del danno nei limiti in cui si dirà. 
Si tratta, infatti, di danni certi nel loro verificarsi ma non agevolmente provabili sul piano del quantum, cosicché il Giudice di prime cure ha correttamente fatto ricorso alla valutazione equitativa, applicando la regola dell'art. 2056 c.c., comma I, che richiama l'art. 1226 c.c. - secondo cui "se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa"-, conformemente alla consolidata interpretazione che di tale norma ha dato la Suprema Corte, per cui l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al Giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (cfr. Cass. Civ. Sez. III, ### n. 8615/2006; Cass. Civ. Sez. III, ### n. 9244/2007; Cass. Civ. Sez. III, ### n. 20990/2011; Cass. Civ., Sez. VI, - L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011; Cass. Civ. Sez. III, ### n. del 08/01/2016). 
Nella specie, non può considerarsi incongruente il ragionamento seguito dal primo Giudice, il quale, ritenuto corretto il criterio di calcolo basato sulla differenza tra l'utile ragionevolmente ricavabile dall'operazione immobiliare e il costo della medesima, ha determinato in via equitativa l'ammontare del risarcimento, utilizzando come base di calcolo l'utile individuato dal CTU nella sua relazione di perizia versata in atti - pari a complessivi € 625.809,06 - decurtato nella misura che ha ritenuto di giustizia in considerazione di tutta una serie di variabili che potevano incidere sul buon esito dell'operazione commerciale. 
Orbene, dalla disamina della citata CTU emerge che il perito nominato dal Tribunale, #### sulla scorta delle indicazioni del mandato conferito - "e accerti il ctu, in caso di risposta negativa al superiore quesito, gli utili ricavabili dall'attore per effetto dell'operazione commerciale" -, ha, in primis, chiarito che la predetta stima era data dalla differenza tra il valore presunto delle villette, con annesso terreno, già realizzate e pronte per essere vendute (incasso lordo) e i costi per la realizzazione di dette unità immobiliari, comprese le villette concesse in permuta (costi di produzione). 
Successivamente, dall'esame complessivo della documentazione in atti e sulla scorta dei prezzi di mercato riferiti al periodo in questione per l'acquisto di immobili dello stesso tipo nella fraz.  ### di #### - desunti da indagini di mercato, dalle agenzie immobiliari e dall'osservatorio immobiliare dell'agenzia delle entrate -, si è proceduto alla stima di quelli che potevano essere i presumibili incassi per la vendita delle villette (con esclusione di quelle che dovevano essere cedute ai promittenti venditori) e del relativo terreno al lordo delle spese, calcolando un utile complessivo di € 3.535.500,60., a cui è stato sottratto l'ammontare dei costi produzione, che in una operazione immobiliare di siffatto genere - considerate le spese presunte da sostenere per realizzare i manufatti, le spese di progettazione , quelle di sistemazione degli spazi interni e di quant'altro previsto e necessario ecc.. - si aggiravano intorno al 70% dell'incasso finito, per un valore stimato pari a 2.909.691,54 €. 
Dunque, secondo il consulente tecnico, l'utile presunto ricavabile dall'attore per effetto dell'operazione commerciale non andata in porto (dato dalla differenza tra il prevedibile risultato utile dell'affare - 3.535.500,60 € - e le spese per la realizzazione dell'intera operazione - 2.909.691,54 €), riferito al periodo in questione (data in cui le opere dovevano essere realizzate), sarebbe pari ad € 625.809,06. 
Tali conclusioni, cui il CTU è pervenuto, eseguendo le verifiche e i conteggi richiesti con il mandato peritale sulla scorta dei documenti prodotti e di apposite indagini di mercato, benché logicamente motivate e per molti aspetti condivisibili, possono però essere utilizzate, così come avvenuto in prime cure, solo come riferimento per poter procedere ad una quantificazione del danno in via equitativa, che tenga conto di tutte le variabili in grado di incidere sull'esito finale dell'operazione edilizia. 
Ciò, infatti, ha portato il Giudice di primo grado a quantificare in €. 150.000,00 il danno subito dal ### rapportandolo a circa un ¼ della stima operata dal C.T.U, cifra che ad ogni buon conto deve ritenersi riduttiva, alla luce di quanto si dirà nell'esaminare l'appello incidentale proposto dall'appellato. 
A conclusione della disamina del presente motivo di gravame, va solo precisato che di contro, non vi sono agli atti prove e/o documenti che possano fare propendere per una quantificazione del danno nei termini richiesti dagli odierni appellanti, secondo i quali il guadagno netto presunto per l'impresa costruttrice non sarebbe andato oltre l'irrisoria somma di €. 56.757,73, cifra del tutto avulsa dalle marginalità economiche delle operazioni nel settore immobiliare e quindi priva di aderenza alla realtà.  5. Con il quinto motivo di gravame, ### e D'### lamentano il mancato accoglimento delle richieste istruttorie così come formulate in prime cure. 
In particolare, osservano come le prove richieste - interrogatorio formale dell'attore #### prova per testi, rinnovazione CTU - sarebbero state determinanti ai fini del rigetto delle domande attoree e dell'accoglimento delle proprie domande riconvenzionali. 
Il Tribunale di ### invece, ingiustificatamente rigettava siffatte richieste senza addurre alcuna valida pronuncia sul punto. 
Tali richieste istruttorie si intendono interamente riproposte nel presente grado di appello. 
Anche tale motivo d'appello è infondato. 
Per quanto attiene alla reiterata richiesta della prova per testi formulata dagli odierni appellanti (interrogatorio formale dell'attore nonché di prova testimoniale) si rileva che correttamente il primo ### ha ritenuto di disattenderla, in quanto le prove dedotte sono irrilevanti ai fini della decisione, giacché il loro contenuto attiene a circostanze pacifiche e incontestate, già documentalmente provate. 
Nel caso di specie, dunque, il Tribunale non ha certamente violato il principio del contraddittorio, in quanto le prove non ammesse, oltre a non essere ammissibili per i motivi già indicati dal primo Giudice, sono anche superflue ed inconducenti rispetto ai fatti di causa, atteso che concernono fatti estranei rispetto all'oggetto della domanda. 
Va, all'uopo, rammentato il granitico principio espresso dal ###, per il quale il Giudice adito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee alla sua formazione, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti compiuta una valutazione dei vari elementi acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso, rientrando nei compiti propri del decidente stabilire quale degli stessi sia, nel caso concreto, più funzionalmente pertinente allo scopo di concludere l'indagine sollecitata dalle parti, con conseguente potere del medesimo di basarsi esclusivamente su quanto ritenga, motivatamente, rilevante e influente per la formazione del giudizio richiestogli e di negare ingresso a questioni ritenute del tutto superflue o defatigatorie (v. Cassazione, ordinanze 8 agosto 2019, 21210; n. 16467 del 4 luglio 2017 e n. 742 del 19 gennaio 2015). 
Tra l'altro, secondo un principio giurisprudenziale ormai consolidato, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione - in quanto la prova non ammessa e/o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare le circostanze allegate dalle parti a fondamento della propria domanda (ex multis Cass. 11457/07) - ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148). 
Con riferimento alla richiesta di rinnovazione della CTU di primo grado la Corte non ha ritenuto necessario disporne un supplemento, dal momento che ai quesiti posti il consulente ha già compiutamente risposto nella propria relazione di consulenza presente in atti. 
Sul punto si rigetta, dunque, la richiesta di rinnovazione della ### potendo quest'ultima essere ritenuta superflua anche per implicito. 
Peraltro, deve ribadirsi il principio secondo cui "In tema di consulenza tecnica d'ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d'ufficio, atteso che il rinnovo dell'indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto" (Cass. Civ., sez. II, ### 12/08/2022, n.24801). 
In ultimo va attenzionata la posizione del terzo chiamato, ### COTRUZZOLA', nei cui confronti va confermata la statuizione di primo grado per acquiescenza degli appellanti sui capi della sentenza non impugnata, sui quali si è formato il giudicato non essendo stato avanzato specifico motivo di gravame. 
La sentenza gravata, infatti, non viene impugnata nella parte in cui dispone: “Di contra nessun inadempimento è riscontrabile nella condotta ..... e del terzo chiamato per la mancata approvazione del progetto edificatorio”, pertanto, poiché, che nel corpo dell'atto d'appello non viene mossa alcuna specifica censura nei confronti del ###, ne deriva che su detti capi è calato il giudicato sostanziale per intervenuta acquiescenza parziale ex art.329 c.p.c.. 
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, l'appello principale va rigettato in toto.  ### 1a. Passando alla disamina delle doglianze dell'appellante incidentale, con un unico motivo d'appello viene censurata la erroneità del ragionamento seguito dal Tribunale di ### nel determinare il quantum risarcitorio, ovvero l'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno, che, alla luce delle conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d'ufficio nella CTU depositata in atti, avrebbe dovuto essere quantificato in complessivi € 625.809,06, oltre rivalutazione monetaria ### ed interessi legali. 
In particolare, il ### ritiene che il Giudice di prime cure abbia errato a tener conto delle "variabili" indicate in sentenza quali fattori incidenti sul mancato utile percepito, operando una eccessiva decurtazione dell'ammontare del risarcimento. 
Chiede, pertanto, la riforma della sentenza impugnata nella parte relativa al quantum risarcitorio con conseguente condanna degli appellanti al risarcimento del danno patito che dovrà essere quantificato facendo riferimento alla stima del ### escludendo qualsiasi rilevanza alle predette "variabili" erroneamente prese in considerazione dal primo Giudice, o, comunque ed in subordine, attribuendogli minore valenza e, quindi, effettuando una minore decurtazione. 
Come anticipato, tale motivo va parzialmente accolto nei termini che seguiranno. 
Preliminarmente va precisato che la fondatezza delle domande dell'odierno appellato - appellante incidentale, vertenti sul risarcimento del danno da lucro cessante subito a causa dell'inadempimento del contratto preliminare di permuta oggetto di causa, dev'essere vagliata alla luce della giurisprudenza sull'onere della prova (che ex art. 2697 c.c. incombe sulla parte che agisca per il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale) espressa dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale, nella sentenza n. 24632 del 3/12/15, ha statuito che "In tema di responsabilità contrattuale ai fini del risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all'inadempimento del contratto non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera del danneggiato, in termini sia di danno emergente sia di lucro cessante, e la sua entità. Il danno patrimoniale da mancato guadagno, in particolare, presuppone la prova, anche presuntiva, dell'utilità patrimoniale che secondo un giudizio di probabilità il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, dovendosi escludere i mancati guadagni meramente ipotetici". 
Sul punto il ### ha recentemente statuito che il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici, perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi, offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito (Cass. ordinanza n. 5613/2018; Cass. Civ., Sez. III, n. 25160/2018). 
Il risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di "chance" impone, dunque, all'attore danneggiato di fornire la prova, anche in via presuntiva, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. 
Nel caso in esame, sebbene sia indubbio il danno subito dal ### in termini di mancato utile, lo stesso non ha però fornito alcuna prova, neppure indiziaria, di aver subito un danno da mancato guadagno - quale conseguenza connessa all'inadempimento del preliminare oggetto di causa - corrispondente al risarcimento richiesto, essendo, quantomeno, necessaria "l'indicazione di concrete differenti occasioni mancate". 
Non è stata, infatti, fornita adeguata prova dell'esistenza di un maggior danno utile per addivenire ad un risarcimento commisurato al valore stimato dal ### Il risarcimento in caso di perdita di chance non può essere proporzionale al "risultato perduto" ma va commisurato, in via equitativa, alla "possibilità perduta di realizzarlo". 
Per tale motivo, come giustamente argomentato dal primo Giudice, bisogna valutare ai fini della determinazione finale del risarcimento del danno da mancato guadagno le molteplici variabili che avrebbero potuto incidere sul buon esito dell'operazione edilizia, quali l'approvazione finale del progetto da parte del ### di ### l'effettiva realizzazione delle villette, nonché la loro successiva vendita, influenzata l'una dalle variazioni al rialzo dei costi di costruzione e l'altra dalle fluttuazioni del mercato immobiliare, notoriamente in crisi. 
Tra l'altro, si tratta di rischi che il ### si era consapevolmente assunto già in sede di stipula del preliminare di permuta oggetto di causa, in quanto insiti nell'alea del mancato avveramento della condizione sospensiva ad esso sottesa. 
Alla stregua di tutto quanto sopra argomentato, la Corte, ritenendo eccessivamente penalizzante per il ### la decurtazione effettuata in prime cure, liquida, in via equitativa, il danno patito dall'appellante incidentale nella misura di circa 1/3 della stima operata dal ### corrispondente all'importo di €. 200.000,00. 
Tale somma (già epurata dai possibili ulteriori guadagni caratterizzati da incertezza - che si stimano, per le variabili sopra indicate, nei 2/3 dell'importo stimato dal ###) si reputa maggiormente rispondente all'utilità patrimoniale che l'imprenditore - con ragionevole elevata probabilità - avrebbe ricavato dall'intera operazione economica e che può ritenersi comprovata - almeno nei termini sopra indicatialla luce della redditività normalmente associata ad operazioni del genere nel settore immobiliare. 
Pertanto, in parziale accoglimento della superiore censura, l'ammontare del risarcimento del danno cagionato al ### dalla perdita dell'utile che avrebbe potuto ricavare dall'operazione immobiliare va riformato e individuato nella misura di € 200.000,00. 
In tema di risarcimento del danno derivato da inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale (in esse comprese quelle di fonte legale contenute in norme imperative, come tali integranti il contratto, anche mediante sostituzione di clausole con esse contrastanti) di natura non pecuniaria (come nel caso di specie), la giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che "### di risarcimento del danno cagionato da inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie costituisce, al pari dell'obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito, non di valuta, ma di valore: al relativo creditore è dunque riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria, applicabile dal giorno di verificazione dell'evento dannoso, e degli interessi compensativi secondo un saggio giudizialmente determinato in via equitativa" (Cass. Civ., sez. I, ### n. 26202/2022). 
Dunque, ai fini dell'integrale risarcimento del danno, che costituisce debito di valore, occorre poi riconoscere al soggetto danneggiato, sulla somma riconosciuta a titolo risarcitorio, sia la rivalutazione monetaria secondo l'indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall'### che attualizza al momento della liquidazione il danno subito, sia gli interessi compensativi (determinati in via equitativa assumendo come parametro il tasso di interesse legale), calcolati sulla somma periodicamente rivalutata, volti a compensare la mancata disponibilità di tale somma fino al giorno della liquidazione del danno e con decorrenza dalla data di cristallizzazione del danno. Il tutto comprensivo, infine, degli interessi legali da calcolare sulla somma complessiva dal giorno della pubblicazione della sentenza - trattandosi di debito di valuta - e sino all'effettivo soddisfo (Cass. Civ., Sez. II, ### n. 1627/2022). 
Detta debenza decorrerà a far data dalla verificazione dell'evento dannoso (mancato rilascio della concessione edilizia preliminare alla realizzazione dell'operazione commerciale indicata in contratto), determinato dall'inadempimento alle obbligazioni assunte dalle parti appellate ed individuato nel termine ultimo di cui alla diffida ad adempiere del 31 ottobre 2005. 
E' bene sul punto precisare che “La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi” (### Cass. Civ. Sez. 3, ### n. 26374 del 16.12.2014). 
Alla luce delle superiori considerazioni l'appello incidentale va parzialmente accolto nei termini sopra esposti. 
Alla totale soccombenza degli appellanti principali nei confronti delle parti costituite segue la condanna in solido degli stessi al pagamento in loro favore delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo nella miniera di seguito indicata e in applicazione dei parametri di cui al D.M. 55/2014, secondo lo scaglione del valore del decisum, ciò rileva sia nei rapporti fra parte appellante e parte appellata sia per quel che riguarda l'attività difensiva spiegata dal terzo chiamato in causa.  ###, infatti, ha comportato un ulteriore costituzione e un ulteriore difesa per entrambe le parti appellate, nonostante il differente rilievo che la controversia possedeva nei confronti di ognuna. 
Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che, unitamente a quello di soccombenza governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo. 
Sul punto, si è recentemente sostenuto da parte della giurisprudenza di legittimità che “### il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria - e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria - legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell'attore, pone a carico di quest'ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorché nel secondo grado del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall'altro, l'onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza - mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l'attore ed il terzo - bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo”(### Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 1123 del 14/01/2022 (Rv.  663523 - 01). 
In particolare, le spese devono liquidarsi in base ai parametri tariffari di cui al D. M. n. 55/2014 come parzialmente modificato da ultimo dal D. M. n. 147/2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022), qui applicabile ratione temporis (secondo l'art. 6 del citato D.M. 147/22 invero “le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore”). Ciò, peraltro, risulta in linea con il principio affermato dalla Suprema Corte cui, parametrandolo alle precedenti modifiche, va data continuità in questa sede ###tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D. M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D. M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c. p. c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d'appello, atteso che l'accezione omnicomprensiva di <<compenso>> evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l'opera prestata nella sua interezza” (Cass. Civ. n. ###/2018). 
Ne discende che, tenuto conto del valore accertato della causa e applicando i valori tariffari prossimi ai minimi in considerazione della peculiare natura della controversia, dell'entità delle questioni trattate e delle relative prestazioni defensionali rese, le spese nei confronti di entrambe le parti costituite, ### e #### debbano essere liquidate, per il presente grado di giudizio in complessivi € 6.200,00 (di cui € 2.100,00 la fase di studio della controversia, € 1.300,00 per la fase introduttiva e € 2.800,00 per la fase decisionale), oltre spese generali, nella misura del 15%, ed IVA e CPA come per legge. 
Stante il rigetto dell'appello, ricorrono, altresì, i presupposti per porre a carico degli appellanti principali il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per l'appello, giusto quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L.228/2012.  PQM La Corte di ### di ### uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da ### e D'### avverso la sentenza 2723/2017, emessa e pubblicata in data ### dal Tribunale di ### in composizione monocratica, nella causa civile iscritta al n. 4943/2007 RG, così provvede: • rigetta l'appello principale; • accoglie parzialmente l'appello incidentale e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna ### e D'### al pagamento in solido, in favore di ### della somma di € 200.000,00 a titolo di risarcimento danni, oltre rivalutazione monetaria e interessi compensativi (a decorrere dalla data di verificazione dell'inadempimento come specificato in motivazione), nonché interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza sino all'effettivo soddisfo.  • condanna ### e D'### al pagamento in favore di #### delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate a titolo di onorario in complessivi € 6.200,00 (come in parte motiva suddivisi), oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, ad IVA e CPA come per legge • condanna ### e D'### al pagamento in favore #### al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio liquidate in complessivi € 6.200,00 (come in parte motiva suddivisi), oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, ad IVA e CPA come per legge.  • Dà atto che ricorrono i presupposti per porre a carico degli appellanti principali il pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello rispettivamente dovuto per l'appello, giusto quanto disposto dall'art. 1 commi 17 e 18 L.228/2012, manda la ### per gli adempimenti concernenti la riscossione. 
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. 
Così deciso in ### nella camera di consiglio (da remoto) del 24 luglio 2023 ### estensore ### (dott.ssa ### (dott.ssa ### La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del funzionario addetto all'### del Processo, dott.ssa ### 

causa n. 520/2018 R.G. - Giudice/firmatari: Scolaro Maria Giuseppa, Lazzara Maria Pina

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Tribunale di Bari, Sentenza n. 3883/2025 del 30-10-2025

... pagamento definitivo dell'indennità ad una qualsivoglia condizione, a fortiori se riguardante un evento la cui realizzazione dipende dal mero arbitrio dell'amministrazione espropriante. Inoltre, costituisce parametro utile alla valutazione de qua, l'art. 1355 c.c. che, in tema di contratto condizionato, qualifica come condizione meramente potestativa quella con cui una delle parti subordina l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo ad una condizione sospensiva che dipenda esclusivamente della mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore. A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “La condizione è ‘meramente potestativa' quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili n. 17611/2016 R.G. Dott. ### motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica ‘potestativa' quando l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come (leggi tutto)...

testo integrale

n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI TERZA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico designato, dott. ### ha pronunciato la seguente ### nella causa civile di primo grado iscritta al n. 17611/2016 R.G., avente ad oggetto: “Proprietà”- ### a decreto ingiuntivo n. 3496/2016, vertente tra COMUNE di ### di ### in persona del ### pro tempore, elettivamente domiciliat ###/A, presso lo studio dell'avv. ### rappresentato e difeso dall'Avv. ###, giusta procura in calce all'atto di citazione del 7.11.2016, - ATTORE-Opponente - contro ### elettivamente domiciliat ###, presso lo studio dell'Avv. ### dal quale è rappresentata e difesa giusta procura in calce al ricorso per decreto ingiuntivo del 22.07.2016, - CONVENUTA-Opposta - - ### - All'esito delle note scritte depositate telematicamente dalle parti per l'udienza di precisazione delle conclusioni del 19.06.2025, celebrata mediante trattazione scritta ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., come da precedente provvedimento ritualmente comunicato, le parti hanno concluso riportandosi ai propri scritti difensivi, e la causa è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ex lege di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e di successivi 20 giorni per il deposito di brevi memorie di replica ex art. 190, comma 1, c.p.c.  -RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione del 7.11.2016, ritualmente notificato in pari data, il COMUNE di ### di ### ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 3496/2016 dell'8.09.2016, notificato in data 19- 27.09.2016, deducendo che: 1) l'odierna opposta è proprietaria di un fondo rustico insistente nel territorio di ### di ### oggetto di espropriazione poiché inserito nel progetto di ampliamento della zona ### 2) a seguito della deliberazione della ### comunale n. 17 del 23.01.2014, con cui è stato approvato il progetto definitivo, per complessivi €. 550.000,00, nonché a seguito della dichiarazione di pubblica utilità e dell'approvazione del progetto esecutivo e del piano particellare di esproprio, con deliberazione di ### comunale del 29 gennaio 2015, il medesimo Ente comunale comunicava alla sig.ra ### a mezzo note del 2.11.2015 n. 957 e del 19.02.2015 n. 1473, rispettivamente l'avviso di avvio del procedimento n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### di esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità delle opere approvate; 3) con successivo decreto di esproprio n. 1839 del 3.03.2015, l'ente espropriante quantificava l'indennità provvisoria in €. 332,00, per la particella 2 del foglio 14 di mq 664, e €. 594,00, per la particella n. 149 dello stesso foglio 14 di mq. 1.188, e con il relativo verbale di redazione dello stato di consistenza dell'immobile acquisiva il possesso delle predette aree; 4) per effetto della contestazione dell'indennità provvisoria da parte dell'espropriata e della contestuale richiesta di nomina della commissione tecnica, ex art. 21 e 22, del d.P.R. n. 327/2001, l'ente provvedeva a riquantificare l'indennità in €. 25.928,00 per il fondo, ed in €. 9.750,00 per il manufatto ivi insistente, comunicando alla ### la nuova quantificazione, con nota del 17.09.2015, n. 7871, con la quale veniva, altresì, specificato che “al pagamento della indennità ovvero al deposito presso la ### si procederà utilizzando le somme rinvenienti dalla alienazione degli immobili comunali”; 5) con successiva nota del 10.10.2015, la ### accettava tale offerta, salva l'ulteriore rideterminazione del quantum al fine di conteggiare anche l'indennità spettante al conduttore dell'immobile, successivamente conteggiata dall'Ente per l'importo di €. 2.055,72; 6) con nota del 3.05.2016, l'odierna opposta accettava il predetto importo, oltre che la somma di €. 3.600,00, per il rifacimento della rete metallica di delimitazione dei fondi rimasti in sua proprietà e, al contempo, intimava al Comune il pagamento dell'importo dovuto, contestando la condizione apposta alla proposta comunale di accordo n. 7871/2015; tutto ciò premesso e dedotto, il Comune di ### di ### chiedeva, in via preliminare e in rito, di dichiarare ex art. 133, co. 1, lett. a n. 2), c.p.a., il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo, considerata la qualificazione dell'atto in termini di accordo integrativo di provvedimento ai sensi dell'art. 11, della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii., nonché, in subordine, il difetto di competenza del giudice adito in ragione della competenza funzionale esclusiva e inderogabile della Corte di Appello ex art. 133, co.1, lett. f, c.p.a., e, nel merito, chiedeva l'accoglimento dell'opposizione e, per l'effetto, di annullare, revocare o rendere nullo il decreto ingiuntivo opposto con vittoria delle spese del presente giudizio. 
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in ### in data ### si costituiva nel presente giudizio ### la quale contestava le eccezioni preliminari sollevate dal Comune opponente, e nel merito, instava per il rigetto dell'opposizione in quanto infondata, in fatto e in diritto, poiché “l'Ente non poteva indicare il metodo di pagamento dell'indennità in quanto la modalità è già prevista dal T.U. espropri, ma poteva, in contraddittorio con la parte espropriata, raggiungere l'accordo esclusivamente sul quantum, accordo raggiunto per l'importo di €. 42.845,80” (cfr. pag. 8 comparsa di costituzione e risposta del 7.02.2017), chiedendo, pertanto, la conferma in toto del decreto ingiuntivo, con vittoria delle spese di lite da distrarre in favore del difensore dichiaratosi anticipatario. 
Con provvedimento del 19.12.2024 assunto dall'odierno magistrato divenuto assegnatario del presente giudizio, veniva formulata proposta conciliativa ex art 185 bis c.p.c., considerato che “le parti erano dapprima giunte in data ###4 ad un accordo transattivo che prevedeva la corresponsione da parte dell'Ente opponente della somma omnicomprensiva di € 40.000.00 da versare, secondo quanto prospettato dal medesimo Comune opponente “in due rate di 20.0000 euro cadauna, la prima entro il ### e la seconda entro novembre 2025 nell'ambito della necessaria esigenza organizzativa del Comune di reperire le risorse economiche per dotare il fondo finanziario di competenza”; osservato che la difesa di parte opposta, pur n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### aderendo alla predetta proposta transattiva ha individuato “esclusivamente nel 31 dicembre 2024 e 31 marzo 2025 le uniche due date plausibili di liquidazione delle due rate, come condizione per la sottoscrizione”, in seguito desistendo in ragione delle esigenze di indifferibilità della causa in precedenza rimarcate con l'ordinanza del 31.10.2024; ritenuto, tuttavia, che al fine di non vanificare gli sforzi sinora meritoriamente profusi da entrambe le parti al fine di conseguire una definizione bonaria della controversia; appare opportuno sollecitare la difesa del Comune opponente ad assumere con assoluta priorità le iniziative necessarie ad assicurare un rapido e tempestivo adempimento degli accordi suindicati in ordine al concordato quantum, secondo le scansioni temporali di seguito indicate: 1) “versamento della prima tranche di €. 20.000,00 entro il ###; 2) versamento della seconda ed ultima tranche di €. 20.000,00 entro e non oltre il ###” (cfr. provvedimento ex art 185 bis c.p.c. del 19.12.2024 in atti). 
La causa è stata istruita esclusivamente mediante produzione documentale e, dopo una serie di rinvii disposti anche dal precedente giudice designato in ragione del gravoso carico del ruolo, è stata successivamente introita in decisione da questo Giudice, nelle more designato per la trattazione del presente procedimento, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 19.06.2025, celebrata mediante trattazione scritta ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., come da precedente provvedimento, ritualmente comunicato, non essendo stata chiesta la trattazione nelle forme ordinarie in presenza in aula di udienza, sulle conclusioni rassegnate dalle parti nelle rispettive note scritte depositate telematicamente, e con la concessione dei termini ex lege di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e di successivi 20 giorni per il deposito di brevi memorie di replica ex art.  190, comma 1, c.p.c.  ### è infondata e deve essere rigettata per le ragioni di seguito indicate. 
Va, anzitutto, precisato che l'oggetto della presente controversia risiede nella sostanziale richiesta avanzata dall'opposta in sede monitoria di pagamento dell'indennità di esproprio dovuta dal Comune di ### di ### a seguito dell'espropriazione d'urgenza ex art. 22, d.P.R. n. 327/2001, quantificata in €. 42.845,80 all'esito delle molteplici rideterminazioni effettuate dal predetto Ente in ragione delle contestazioni sollevate dalla ### ex art. 21 T.U. espropri. 
Ed invero, dal combinato disposto dei richiamati articoli, viene in evidenza, per un verso, che, in caso di urgenza nell'esecuzione dei lavori, è concessa all'Ente espropriante la facoltà di derogare all'ordinaria procedura descritta all'art. 20 del medesimo T.U. e di emanare ed eseguire il decreto di esproprio “in base alla determinazione urgente della indennità di espropriazione, senza particolari indagini o formalità. Nel decreto si dà atto della determinazione urgente dell'indennità e si invita il proprietario, nei trenta giorni successivi alla immissione in possesso, a comunicare se la condivide”, e, per altro verso, si evince il diritto del privato espropriato, in caso di disaccordo sul suo ammontare, di chiedere “la nomina dei tecnici, ai sensi dell'art. 21, e se non condivide la relazione finale, può proporre l'opposizione alla stima”. 
Nel caso di specie, dall'esame complessivo della documentazione in atti, risulta, infatti, che l'odierna opposta, con nota del 3.04.2015 (cfr. doc. 3, fasc. parte opponente), ha formulato espressa contestazione dell'indennità provvisoria, così come quantificata nel decreto di esproprio, richiedendo “la nomina dei tecnici per la determinazione dell'indennità definitiva d'espropriazione ai sensi degli artt. 21 e 22 del D.P.R.  327/2001”; nomina che, tuttavia, non è stata effettuata, avendo l'Ente deciso di rideterminare in via bonaria n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### l'ammontare dell'indennità - così accogliendo le osservazioni mosse dalla ### sia con riferimento alla quota parte relativa all'indennità sia alla parte relativa agli oneri accessori, tra cui i costi relativi alla costruzione di eventuali muretti a secco nonché l'indennità spettante al conduttore dell'immobile, tale ### ( docc. 6 e 9, fasc. parte opponente) - e, al contempo, di subordinare il suo pagamento all'“utilizzo di somme rinvenienti dalla alienazione degli immobili di proprietà comunale” (cfr. doc. 5, fasc. parte opponente). Sicché, con nota del 2.05.2016, l'importo così rideterminato è stato espressamente accettato dall'odierna opposta, la quale, pertanto, contestando l'apposizione della predetta condizione sospensiva del pagamento, ne ha richiesto la liquidazione in via monitoria. 
Ne segue, dunque, che, nel giudizio de quo, deve ritenersi incontestato e definitivo nel quantum l'ammontare dell'importo riconosciuto all'odierna opposta a titolo di indennità di esproprio, attese le risultanze documentali presenti in atti, senza che - come si dirà meglio infra - possano venire in rilievo eventuali profili di incertezza legati alla previsione della condizione sospensiva contemplata da parte dell'Ente comunale, potendo, tutt'al più, quest'ultima incidere sulla esigibilità del credito, influenzando le tempistiche della sua liquidazione.   Così delineato il petitum sostanziale del giudizio, è possibile allora scrutinare le eccezioni in rito sollevate dall'odierno Comune opponente e, in particolare, l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo, sollevata in relazione all'art. 133, co. 1, lett. a) n. 2, c.p.a., il quale prevede la giurisdizione esclusiva del G.A. per “le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi ed integrativi di provvedimento amministrativo”.  ### è infondata e deve essere rigettata per le ragioni di seguito indicate. 
Innanzitutto, parte opponente, sostenendo la natura consensuale dell'atto di determinazione dell'indennità di esproprio, in quanto integrativo del decreto di esproprio, ha dedotto la riconducibilità del predetto atto nello schema di accordo sostitutivo/integrativo di provvedimento ex art. 11, della legge n. 241/1990 e ss.mm.i., desumibile, per un verso, dalla mancata impugnazione della clausola contenuta nel decreto di esproprio secondo cui “con la redazione del verbale di consistenza ed immissione in possesso verranno descritti lo stato dei luoghi, la destinazione urbanistica ed eventuali manufatti da demolire, che saranno oggetto di apposito provvedimento integrativo di determinazione”, e, per altro verso, dall'omessa contestazione circa “la volontà di determinare discrezionalmente l'indennità dovuta e di offrirla”, espressa con nota del 23.06.2015, circostanza quest'ultima che avrebbe sancito la rinuncia alla nomina della commissione tecnica preventivamente richiesta dalla ### con la nota del 3.04.2015, e che avrebbe ricondotto la determinazione dell'indennità nell'ambito dell'esercizio del potere vincolato (cfr. p. 6, atto di citazione in opposizione). 
A tale riguardo, vale la pena rammentare che, come noto, le pubbliche amministrazioni, nel tentativo di migliorare l'efficienza dell'attività amministrativa e di ambire ad un rapporto amministrativo più equilibrato, ricorrono in maniera sempre più frequente alla ricerca del consenso del privato ai fini di un più agevole esercizio del proprio potere amministrativo, ciò che determina il suo preventivo esaurimento con la conclusione dell'accordo ex art. 11, l. n. 241/1990; in altri termini, la conclusione dell'accordo - sia esso sostitutivo o integrativo - costituisce un modulo di esercizio del potere amministrativo in forma non autoritativa ma consensuale e cooperativa, il cui elemento distintivo è rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### dell'interesse pubblico; sicché, in un'ottica di ibridazione delle forme, l'accordo, pur assumendo la forma tipica dei contratti, conserva la sua natura pubblicistica. 
Per tale ragione, la volontà della pubblica amministrazione di esaurire in via anticipata il proprio potere non determina, per ciò solo, la natura contrattuale dell'accordo, il quale era -e rimaneun atto amministrativo (non autoritativo), ferma, nei limiti della compatibilità e ove non diversamente previsto, l'applicazione dei principi contenuti nel ### civile in materia di obbligazioni e di contratti. È proprio il rinvio ai predetti principi a determinare una commistione tra il perseguimento dell'interesse pubblico e l'obbligo della PA a dare esecuzione a ciò che è concordato; commistione che spiega la giurisprudenza esclusiva del giudice amministrativo, caratterizzata, rispetto alle altre ipotesi contenute nell'art. 133 c.p.a., da una maggiore ampiezza in quanto non è circoscritta ad uno specifico settore ed è estesa alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi amministrativi. 
Ciò detto, una volta chiarita la natura dell'accordo amministrativo e la ratio sottesa alla previsione della giurisdizione esclusiva del GA, occorre chiarire se, nel caso di specie, la bonaria determinazione dell'indennità di esproprio successiva all'emissione del decreto sia suscettibile o meno di essere ricondotta nell'ambito della fattispecie degli “accordi integrativi” di provvedimento ovvero se essa rimanga confinata sul piano degli accordi di diritto privato e, pertanto, soggetta alla relativa disciplina. 
In proposito, è, anzitutto, utile ribadire che nell'ambito del procedimento di espropriazione ordinaria va distinta la determinazione dell'indennità provvisoria, rispetto a quella definitiva: ed invero, il procedimento di determinazione provvisoria dell'indennità di espropriazione è disegnato dall'art. 20 del d.P.R. n. 327 del 2001, laddove nel comma 3 si precisa che l'autorità espropriante, valutate le osservazioni degli interessati, anche avvalendosi degli uffici degli enti locali, dell'ufficio tecnico erariale o della commissione provinciale di cui all'art. 41, “prima di emanare il decreto di esproprio accerta il valore dell'area e determina in via provvisoria la misura dell'indennità di espropriazione”; mentre, il procedimento di determinazione definitiva delle indennità di esproprio viene collocato nell'art. 21 del medesimo d.P.R. n. ###, proprio nell'ipotesi in cui “manca l'accordo sulla determinazione dell'indennità di espropriazione”. 
In assenza di accordo, quindi, il procedimento espropriativo può dipanarsi o attraverso la nomina dei tecnici, ai sensi del comma 3 dell'art. 21, oppure nell'ipotesi in cui il proprietario non dia la tempestiva comunicazione di designare un tecnico di propria fiducia, attraverso la determinazione dell'indennità da parte della commissione di cui all'art. 41, come previsto dal comma 15 dell'art. 21 del citato d.P.R. n. 327 del 2001. 
Va chiarito, ancora, che in linea generale il decreto di esproprio di cui all'art. 23 del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede l'indicazione dell'indennità “determinata in via provvisoria o urgente”, precisando se la stessa sia stata accettata dal proprietario o successivamente corrisposta (art. 23 lettera c), comunque dando atto “della eventuale nomina dei tecnici incaricati di determinare in via definitiva l'indennità di espropriazione”. 
Da ciò si evince che, se normalmente la determinazione dell'indennità definitiva precede il provvedimento di esproprio, può anche accadere -come è accaduto nel caso di specieche al provvedimento di esproprio faccia seguito la determinazione definitiva. 
La giurisprudenza di legittimità, nella vigenza della normativa precedente in materia di determinazione dell'indennità provvisoria, ha più volte ribadito che: “l'accettazione dell'indennità costituisce una n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### dichiarazione negoziale, il cui incontro con l'offerta formulata dall'espropriante dà luogo ad un accordo, qualificabile come negozio di diritto pubblico, che s'inserisce nel procedimento ablatorio come atto integrativo del procedimento stesso, ma sono tuttavia condizionate alla sua conclusione, cioè alla stipulazione di una cessione volontaria o all'emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall'espropriato all'espropriante e conseguentemente, qualora tali condizioni manchino, l'accordo sull'indennità resta caducato e privo di qualsiasi effetto giuridico” (cfr. Cass. civ., 20.03.2009, n. 6867; civ., 27.11.2003, n. 18110), ed, inoltre, che “l'interpretazione di tale accordo, al pari di quella degli altri atti negoziali, è sottoposta alle comuni regole di ermeneutica contrattuale, e, mirando all'accertamento della volontà delle parti, si configura come un'indagine di fatto, riservata al giudice di merito, il cui risultato è pertanto censurabile in sede di legittimità esclusivamente per violazione delle predette regole ovvero per incongruenza o illogicità della motivazione” (cfr. Cass. civ., 27.12.1999, n. 14587; Cass. civ., sez. I, 12.05.2021, n. 12665). 
Ne consegue che, se è stata riconosciuta la natura contrattuale dell'atto di determinazione provvisoria dell'indennità di esproprio, assunto in via anticipata rispetto all'emanazione del provvedimento conclusivo della procedura ablativa, a fortiori, deve desumersi la natura negoziale dell'eventuale atto sorto per effetto dell'incontro tra l'accettazione del privato e la proposta della pubblica amministrazione manifestata successivamente all'adozione del decreto di esproprio, dovendosi ritenere esaurito in tale ultimo momento l'esercizio del potere espropriativo e, in tal guisa, perfezionato l'effetto traslativo della proprietà. 
In altre parole, atteso che, l'accordo amministrativo ex art. 11 della legge n. 241/1990, contrariamente a quanto potrebbe lasciare intendere il suo nomen iuris, presuppone l'esistenza di un potere amministrativo e che, nell'ambito della procedura espropriativa, tale potere è suscettibile di essere esercitato esclusivamente in due modi, ossia mediante l'adozione del decreto di esproprio ovvero, in alternativa, attraverso l'accordo di cessione volontaria del bene, è agevole ritenere che, una volta adottato l'atto conclusivo del procedimento, il potere amministrativo viene ad esaurimento e gli eventuali accordi successivamente conclusi con la PA non sono ontologicamente suscettibili di essere qualificati come accordi ex art 11. 
In questo modo, dunque, le eventuali e successive contestazioni sollevate dal privato in merito alla rideterminazione del quantum non si inseriscono propriamente nell'ambito della procedura espropriativa, essendosi, come detto, quest'ultima conclusa con l'adozione di uno dei suddetti atti; circostanza quest'ultima che, nella specie, impedisce l'astratta qualificazione come accordo integrativo di provvedimento dell'atto di determinazione bonaria dell'indennità definitiva e che consente di ricondurre quest'ultima nell'ambito di un rapporto obbligatorio di natura patrimoniale in cui l'ente locale ha agito iure privatorum. 
Ad ogni buon conto, la natura negoziale dell'atto è, altresì, desumibile dal dato normativo e, in particolar modo, dal combinato disposto degli artt. 53 del d.P.R. 327/2001 e 133, lettera f) e g) c.p.a., nella parte in cui prevedono che “sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”. 
Di conseguenza, le norme in questione mettono in risalto la volontà del legislatore di ricondurre, entro il perimetro della giurisdizione del giudice ordinario, tutte quelle controversie attinenti la quantificazione e la n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### liquidazione dell'indennità di esproprio, con ciò volendo implicitamente sottendere la natura di diritto soggettivo della situazione giuridica del privato e, con essa, l'assenza di potere amministrativo. Natura, peraltro, affermata dalla giurisprudenza, sia ordinaria che amministrativa, che, in relazione al procedimento innanzi descritto ed in presenza dei presupposti di legge, ha ritenuto che il privato richiedente sia titolare di un diritto soggettivo perfetto al pagamento dell'indennità di espropriazione (cfr. ex multis, Cass. SS.UU.  18.12.2008 n. 29527; Cons. Stato, 27.02.2008, n. 741; ###-Brescia, 18.04.2018 n. 420; ###, 11.12.2017, n. 12178; ###-Salerno 26.10.2017, n. 1541), e, ancora, che, ai sensi dell'art.  133, comma 1, lett. g), c.p.a. le “controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa” sono rimaste nella giurisdizione del giudice ordinario e, dunque, risultano escluse dalle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fissata dal legislatore, anche nelle ipotesi in cui esse abbiano ad oggetto indennità quantificate mediante accordi successivi all'emissione del decreto di esproprio (cfr. in tal senso Cass. civ., ###, ord. 29.10.2015, n. 22096; e, in generale, v. Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 1998 nr. 53 in Consiglio di Stato sez. IV - 22/06/2011, n. 3787; ancora, tra le tante, ##### III, 9 febbraio 2007, n. 163; ###, #### II, 27 luglio 2006, n. 3129; ###, 9 settembre 2002, n. 768). 
Tali principi, espressione di un orientamento ormai consolidato, sono stati di recente affermati dalla Corte di cassazione, ### I, con la sentenza n. ### del 9.11.2021, secondo cui “In materia di espropriazione per pubblica utilità, la giurisdizione esclusiva, attribuita al Giudice amministrativo da tale disposizione, è infatti circoscritta alle controversie riguardanti atti, provvedimenti, accordi e comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere delle ### e non si estende a quelle aventi ad oggetto la determinazione e la corresponsione delle indennità dovute in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablatoria, le quali, ai sensi della ultima parte della norma in esame e dell'art.  53 del d.P.R. n. 327 del 2001, spettano al Giudice ordinario. Nella specie, pertanto, deve ritenersi devoluta alla giurisdizione amministrativa soltanto la domanda di accertamento dell'obbligo delle ### di provvedere alla definizione del procedimento di espropriazione, mentre quella di accertamento dell'obbligo di corrispondere l'indennità di espropriazione avrebbe dovuto essere proposta dinanzi alla Corte d'appello competente per territorio, ai sensi dell'art. 29, comma secondo, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, richiamato dall'art. 54 del d.P.R. n. 327 del 2001”. 
Il procedimento espropriativo sfocia, infatti, nell'adozione di un atto in relazione al quale (ricorrendone i presupposti di legge, tra i quali la qualità di proprietario o avente diritto, assenza di trascrizioni o iscrizioni di diritti o di azioni di terzi, ecc.) sussiste un vero e proprio diritto soggettivo perfetto del privato che richieda il pagamento dell'indennità di espropriazione. 
Si tratta, dunque, di un tipico giudizio “di spettanza” in materia di diritti, sui quali deve escludersi, per espressa disposizione di legge (art. 133 c.p.a.), la giurisdizione del G.A. (cfr. ### 11.12.2017, 12178; conforme in termini ### 26.10.2017 n. 1541). 
Ne segue che, in virtù dell'ordinario criterio di riparto della giurisdizione che tiene conto non solo della natura della posizione giuridica soggettiva azionata ma anche del rapporto sottostante dedotto in giudizio, n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### l'odierno procedimento rientra nella giurisdizione del giudice ordinario in ragione della natura negoziale e privatistica del rapporto ivi dedotto, fonte di diritti e di obblighi in capo alle parti. 
Ciò premesso in punto di giurisdizione del G.O., si pone il problema di individuare la competenza a decidere la presente controversia. 
Risolto, infatti, il nodo sulla giurisdizione del G.O., resta da indagare quale sia il giudice competente, nell'ambito della cognizione ordinaria, a conoscere della vicenda de qua, atteso il tenore letterale dell'art. 54 del ridetto d.P.R. n. 327/2001, che, al primo comma, prevede: “[…] il proprietario espropriato, il promotore dell'espropriazione o il terzo che ne abbia interesse può impugnare innanzi all'autorità giudiziaria gli atti dei procedimenti di nomina dei periti e di determinazione dell'indennità, la stima fatta dai tecnici, la liquidazione delle spese di stima e comunque può chiedere la determinazione giudiziale dell'indennità. 
Le controversie di cui al presente comma sono disciplinate dall'articolo 29 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”; tale ultima disposizione, infine, prescrive che è competente a conoscere i giudizi di opposizione alla stima di cui all'art. 54 del TU espropri, la Corte d'appello nel cui distretto si trova il bene espropriato. 
Si viene, in tal guisa, a delineare, nell'ambito delle suddette controversie, una competenza “alternativa” tra la Corte d'Appello, competente a conoscere, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, “le sole questioni relative al quantum dell'indennità di espropriazione, ossia alle richieste rivolte ad ottenere una diversa e maggiore liquidazione dell'indennità medesima rispetto a quella stabilita in sede ###mancanza, la determinazione giudiziale del giusto indennizzo” (cfr. Cass civ., sez. 6 - 3, ord. n. 10440 del 3.06.2020; in senso conforme v. anche Cass. civ., sez. 1, 3.08.2007, n. 17053), ed il Tribunale ordinario di primo grado, che, invece, opera quando la domanda di pagamento di una indennità sia già stata definita “inoppugnabilmente” (cfr. Cass. civ., sent. n. 23767/2016) e, dunque, quando vengono sollevate questioni legate alla sua liquidazione. 
Pertanto, esula dalla competenza della Corte d'Appello la domanda dell'espropriato rivolta solamente a conseguire il pagamento dell'importo già definitivamente accertato e non contestato. 
Orbene, nella specie, tenuto sempre conto del petitum sostanziale della domanda e del carattere incontestato del quantum dell'indennità, deve ritenersi inconferente e ininfluente, ai fini della competenza a conoscere la presente controversia, la previsione della condizione sospensiva di pagamento apposta da parte dell'Ente espropriante all'interno della nota del 18.09.2015 (cfr. doc. 5, fasc. parte opponente). 
La sua presenza, invero, non costituisce una circostanza idonea a minare la determinatezza dell'importo, che rimane certo nel suo ammontare, interessando, piuttosto, il merito della domanda monitoria e le specifiche modalità e tempistiche del pagamento e, dunque, per utilizzare il lessico normativo, la sua “corresponsione”. 
Pertanto, può ritenersi che la previsione della condizione non sia inscindibilmente correlata ai profili di determinazione dell'importo in quanto essa riguarda l'adempimento dell'obbligazione indennitaria sorta per effetto dell'adozione del decreto di esproprio produttivo dell'effetto traslativo del diritto di proprietà in capo all'amministrazione espropriante, in ottemperanza al principio di equità che disciplina i rapporti obbligatori. 
Ne segue, in definitiva, che anche l'ulteriore eccezione preliminare sulla competenza funzionale della Corte d'Appello è infondata e deve essere rigettata.  n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### premesso, e venendo al merito della controversia in esame, sempre in limine litis, vale la pena rammentare che, come noto, l'opposizione a decreto ingiuntivo, che si pone come fase ulteriore del procedimento già iniziato con il deposito del ricorso per ingiunzione, dà luogo ad un giudizio di cognizione - che si svolge secondo il rito ordinario in contraddittorio fra le parti - avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore con il ricorso monitorio. In sostanza, il giudice dell'opposizione non si limita ad esaminare se l'ingiunzione sia stata emessa legittimamente, ma procede all'esame del merito della controversia con poteri di cognizione piena, sulla base sia dei documenti prodotti nella fase monitoria che dei mezzi istruttori eventualmente ammessi ed assunti nel corso del giudizio. 
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, a cui questo giudicante ritiene di doversi uniformare, il giudice dell'opposizione è investito del potere - dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione (nonché sulle eccezioni e l'eventuale domanda riconvenzionale dell'opponente) ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all'esito dello stesso (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. 3, 19.01.2007, n. 1184; Cass. civ., sez. 2, 18.04.2000, n. 4974 secondo cui “nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato dall'intimato ex art. 645 c.p.c., l'oggetto del giudizio verte, una volta instauratosi il contraddittorio, non solo - e non tanto - sull'ammissibilità e sulla validità del procedimento monitorio, ma anche - e soprattutto - sulla fondatezza della domanda di merito coltivata dall'opposto, sulla quale il giudice è tenuto a pronunciarsi anche quando, in ipotesi, riscontri una qualsivoglia ipotesi di nullità del ricorso per ingiunzione e del decreto reclamato - queste potendo incidere, al più, sul regolamento delle spese”). 
Una volta proposta l'opposizione, nel giudizio che ne consegue, l'opposto e l'opponente conservano, dunque, le posizioni sostanziali rispettivamente di parte attrice e di parte convenuta e i conseguenti oneri probatori incombono su ciascuna delle parti secondo i principi generali che disciplinano il processo ex art.  2697 c.c., posto che solo da un punto di vista meramente formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto. 
Ne consegue che, mentre al convenuto (opponente-attore in senso formale) compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, è il creditore (opposto-convenuto in senso formale) che continua ad avere la veste sostanziale di attore e a soggiacere ai conseguenti oneri probatori relativamente alla domanda proposta. 
In definitiva, il creditore (al quale compete la posizione sostanziale di attore, per aver richiesto l'emissione del decreto) ha, nella presente fase, l'onere di provare tutti i fatti costitutivi del diritto vantato (cfr., ex multis, Cass. 4.12.1997, n. 12311; Cass., 14.4.1999, n. 3671; Cass., 25.5.1999, n. 5055) e, in particolare, l'esistenza e la misura del credito azionato nelle forme della tutela monitoria. 
Infine, costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare il titolo su cui il credito è fondato ed allegare l'altrui inadempimento, spettando al debitore provare fatti estintivi o modificativi della predetta obbligazione (v., ex multis, Cass. S.U. n. 13533/01, secondo cui, “il creditore che agisca per la n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa”; cfr. altresì, più di recente, Cass. civ., 12.04.2006, n. 8615; Cass. civ., 13.06.2006, n. 13674; Cass. civ., 12.02.2010, n. 3373; Cass. civ., 15.07.2011, n. 15659; Cass. civ., 20.01.2015, n. 826).  ### detto, nella fattispecie che ci occupa, è incontestato e risulta ex actis dalla documentazione allegata agli atti il diritto della ### a ricevere il pagamento dell'indennità di esproprio a seguito della conclusione della procedura di esproprio avviata dal Comune di ### di ### Tali circostanze risultano, infatti, dalla nota del 3.05.2016 con cui la ### ha accettato, nei termini di legge, l'indennità definitiva, secondo l'importo rideterminato dallo stesso Comune di ### di ### e ha inviato la documentazione necessaria a finalizzare la procedura di liquidazione e ad ottenere il pagamento dell'importo concordato (ovverosia, ### di proprietà del suddetto fondo; ### sostitutiva dell'atto di notorietà ex art. 47 D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 sottoscritto dalla ### attestante la piena titolarità della proprietà oggetto dell'esproprio; ### di locazione di fondi rustici - doc. 9, fasc. parte opposta); con ciò dimostrando di aver adempiuto alle obbligazioni su di ella incombenti in forza dell'art. 28 T.U. espropri. 
Nondimeno, a fronte del descritto quadro probatorio, parte opponente, disattendendo l'onus probandi su di essa gravante, si è limitata a contestare in maniera approssimativa e generica l'esigibilità del credito azionato dall'opposta in forza delle incerte tempistiche di corresponsione del credito dovute agli effetti sospensivi prodotti dalla previsione della condizione al momento dell'emissione del decreto ingiuntivo (i.e. 8.09.2016). 
Orbene, a tale riguardo, preliminare e dirimente è la valutazione circa la validità ed efficacia della predetta condizione sospensiva apposta dall'Ente espropriante. 
Ed invero, tenuto conto dei parametri legali applicabili alla vicenda de qua, deve darsi atto dell'assenza di specifiche previsioni normative in merito alle modalità di liquidazione dell'indennità di esproprio, considerato che l'art. 28 del d.P.R. n. 327/2001, in tema di pagamento definitivo dell'indennità, prevede che “l'autorità espropriante autorizza il pagamento della somma depositata al proprietario od agli aventi diritto, qualora sia divenuta definitiva rispetto a tutti la determinazione dell'indennità di espropriazione […]. ### è disposta su istanza delle parti interessate […]”, con la conseguenza che, nella disciplina di settore, non vi è riferimento alcuno in merito alla facoltà dell'Ente espropriante di subordinare sospensivamente il pagamento definitivo dell'indennità ad una qualsivoglia condizione, a fortiori se riguardante un evento la cui realizzazione dipende dal mero arbitrio dell'amministrazione espropriante. 
Inoltre, costituisce parametro utile alla valutazione de qua, l'art. 1355 c.c. che, in tema di contratto condizionato, qualifica come condizione meramente potestativa quella con cui una delle parti subordina l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo ad una condizione sospensiva che dipenda esclusivamente della mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore. 
A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che “La condizione è ‘meramente potestativa' quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica ‘potestativa' quando l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l'interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato” (cfr.  civ., n. 18239/2014; Cass. civ., n. 26590/2021). 
Ne consegue che è sulla scorta di tali criteri che deve essere condotta l'indagine circa la validità della condizione apposta dall'odierno Comune opponente secondo cui “al pagamento dell'indennità ovvero al deposito presso ### si procederà utilizzando le somme rinvenienti dalla alienazione degli immobili di proprietà comunale” (cfr. doc. 5, fasc. opponente); indagine che mette in evidenza profili di dubbia validità della clausola in esame. 
Ebbene, esaminando il quadro probatorio in atti, anche alla luce delle deduzioni spiegate dall'opponente nonché della mancanza di fondate ragioni che giustificano una simile previsione, risulta evidente la volontà dell'Ente espropriante di subordinare l'avveramento della condizione alla realizzazione di un fatto, futuro e incerto, dipendente esclusivamente dalla sua volontà, ossia la necessità di ricavare liquidità dalle alienazioni degli immobili presenti nel patrimonio comunale. 
In questo senso, invero, non può venire in rilievo: A) né la circostanza secondo cui l'Ente ha programmato, con deliberazione del 23.02.2017, la vendita degli immobili da alienare, considerato che i medesimi immobili erano stati oggetto di precedente procedura di alienazione risalente al 2014-2015, già andata deserta (cfr. doc.  5 e allegati, allegato alla memoria n.2); B) né, tanto meno, la circostanza secondo cui l'Ente, nel corso della giunta del 18 maggio 2018, considerata la quantificazione complessiva dell'indennità di esproprio in relazione all'intera area espropriata (i.e. foglio 14) e avvertita “la discrasia tra la quantificazione dell'indennità definita nel decreto di esproprio originario, pari a € 0,50 a mq, e quella individuata nella nota notificata il 17 settembre 2015”, ha nominato un tecnico, ing. ####, ai fini della rideterminazione degli importi e della relativa liquidazione, atteso che tale rilievo è successivo all'accettazione dell'indennità da parte della ### - con nota del 2.05.2016 -, il cui ammontare era, pertanto, già stato definitivamente determinato tra le parti da oltre due anni e avrebbe dovuto essere esclusivamente liquidato dall'Ente comunale.  ###, la consapevolezza della scarsità delle risorse economiche nelle casse comunali e l'incapacità dello stesso Ente di rinvenirle tramite la vendita di immobili appartenenti al patrimonio pubblico emerge, altresì, dalle risultanze della elaborazione peritale a firma del predetto ing. M. ### nella parte in cui il consulente, con riferimento ai termini dell'offerta formulata dal Comune di ### di ### precisa che «###offerta si evidenzia "Al proprietario che accetta l'indennità determinata, è riconosciuto l'aumento del 10%. Detta indennità verrà versata dopo che la presentazione dei documenti attestanti la titolarità della proprietà e libertà della stessa da ipoteche e trascrizioni pregiudizievoli. In caso di rifiuto espresso o silenzio nei 30 giorni successivi alla ricezione della presente si procederà a norma degli artt. 20 e 21 del DPR 327/2001, al deposito della somma presso la ### e ### Al pagamento della indennità ovvero al deposito della ### e ### si procederà utilizzando le somme rivenienti dalla alienazione degli n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### immobili di proprietà comunale". Questa offerta non era fondata su alcuna delibera di consiglio comunale e non aveva come fondamento la ricerca di comparabili. Malgrado la disposizione autonomamente presa da parte dell'### non avviene deposito alcuno alla ### e ### Si cerca di alienare patrimonio immobiliare pubblico, si cerca di vendere suoli ma le uniche transazioni in tutte le aree industriali saranno quelle che si proporranno di seguito. Nel frattempo, in data ###, i vincoli espropriativi sono decaduti ridefinendo l'area come zona bianca» (cfr. p. 25, doc. 1 allegato alle note di trattazione scritta per l'udienza del 15.04.2021). 
Di conseguenza, dalla risultanze documentali innanzi richiamate, si evince l'assenza di qualsivoglia circostanza idonea a giustificare l'apposizione di una simile condizione, considerato, peraltro, che nonostante l'avvenuta aggiudicazione di uno degli immobili di proprietà comunale (cfr. determinazione n. 123 del 23 aprile 2018, doc. oc.4 e doc. 4 bis), alcun pagamento è stato successivamente eseguito in favore della ### In altri termini, nella vicenda de qua risultano sconosciute le circostanze per cui, pur essendosi verificato il parziale avveramento della condizione sospensiva, il Comune abbia perpetrato la propria condotta inadempiente nei confronti dell'opposta (cfr. verbale di vendita ed estratti conto bancari allegati alla memoria ex art. 183 n.1 parte opposta). 
È proprio tale circostanza, del resto, a mettere in evidenza i caratteri meramente potestativi della condizione apposta dall'Ente comunale in quanto, se per un verso, sarebbe stato possibile in astratto ricondurre la medesima nell'ambito delle condizioni c.d. “miste” -dipendendo l'avveramento della condizione anche dalla volontà di un terzo di acquistare i beni alle condizioni ritenute congrue dal venditore-, per altro verso, tale possibilità non è suscettibile di configurarsi nel caso di specie in quanto, nonostante la conclusione della vendita di uno degli immobili, l'ente comunale si è comunque sottratto all'adempimento, ancorché parziale, dell'obbligazione assunta senza addurre seri e apprezzabili motivi circa la mancata esecuzione della propria prestazione. 
Di conseguenza, volendo considerare quale evento sospensivamente condizionante, la conclusione della vendita dei beni a terzi come fatto ascrivibile interamente al debitore, vi sarebbe spazio per affermare che si tratta, nella specie, di una condizione sospensiva meramente potestativa e che, per tali ragioni, la medesima, al momento dell'emissione del decreto ingiuntivo opposto, era inefficace; circostanza quest'ultima che rende il credito azionato certo, liquido ed esigibile. 
In conclusione, l'opposizione deve essere rigettata e conseguentemente deve essere confermato il decreto ingiuntivo opposto che, ai sensi dell'art. 653 c.p.c., va dichiarato definitivamente esecutivo. 
Resta assorbita ogni ulteriore domanda, questione ed eccezione sollevata dalle parti. 
In ordine alla regolamentazione delle spese processuali, le stesse seguono la soccombenza, e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, a carico di parte opponente, giusta la natura ed il valore dichiarato della controversia, in base ai parametri per la liquidazione dei compensi per attività giudiziali di cui al D.M.  55/2014, come modificato e integrato dal D.M. n. 37/2018, e dal D.M. n. 147/2022, tabella 2, quarta colonna (scaglione di riferimento ricompreso tra €. 26.000,01 e €. 52.000,00), non ravvisandosi ragioni per cui discostarsi dai valori medi e con il beneficio della distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore dell'Avv. ### dichiaratosi anticipatario come richiesto con l'istanza di distrazione contemplata nella comparsa di n. 17611/2016 R.G. 
Dott. ### costituzione e risposta (cfr., a tale ultimo riguardo, Cass. civ., sez. 3, 6.04.2006, n. 8085; nonché, Cass. civ., sez. 3, 12.01.2006, n. 412).  P.Q.M.  Il Tribunale Ordinario di #### sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta dal COMUNE di ### di ### avverso il decreto ingiuntivo n. 3496/2016 dell'8.09.2016, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede: 1) rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 3496/2016 emesso in data ###, dichiarandolo definitivamente esecutivo; 2) condanna il COMUNE di ### di ### in persona del ### pro tempore, alla rifusione delle spese processuali sostenute da ### che liquida in complessivi €. 7.616,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie (15% sui compensi, art. 2 D.M. n. 55/2014), C.N.P.A. e I.V.A., se dovuta, come per legge, con distrazione dei compensi in favore dell'Avv. ### Così deciso in ### il ###. 
Si precisa che, in relazione ad eventuali dati sensibili contenuti nel provvedimento, in caso di riproduzione del provvedimento per finalità di divulgazione scientifica non dovrà essere riportata l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi della/e parte/i cui i dati sensibili si riferiscono nei termini di cui alle ### del ### per la ### e ai sensi del d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018, nonché del #### 2016/679 del 27.04.2016.   

Il Giudice
Dott. ###


causa n. 17611/2016 R.G. - Giudice/firmatari: Luca Sforza

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