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+ 573/2023 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA PRIMA SEZIONE CIVILE Riunita in camera di consiglio e composta dai sigg.: Dott. ##### rel./est. ha pronunciato la seguente ### cause civili riunite iscritte al n. r.g. 142/2022 ed al n. 573/2023 promosse da: ### (C.F. ###), con il patrocinio dell'avv. ### elettivamente domiciliat ###VIA ### 42 93015 NISCEMI.
APPELLANTE contro FLOR-EUR dei F.lli ### s.r.l. (già ### s.n.c.) (C.F. ###), con il patrocinio dell'avv. ### elettivamente domiciliat ### 95041 CALTAGIRONE, presso il difensore avv. ####'udienza del 3.4.2024 venivano chiamati l'appello proposto da ### nei confronti di ### - Eur di ### & C. s.n.c. (già ### - Eur di ### & C. s.n.c.) avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Caltagirone 263/2021, pubblicata in data ### (R.G. Appello n. 142/2022) e l'appello sempre proposto da ### nei confronti della medesima società avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Caltagirone n. 473/2022, pubblicata in data ### (R.G.
Appello n. 573/2023).
Per entrambi gli appelli l'udienza del 3.4.2024 costituiva quella, all'esito della quale, la causa sarebbe stata trattenuta in decisione soltanto che, siccome l'appello contraddistinto dal numero di ruolo generale 573/2023 era regolato dalla novella introdotta dal D. Lgs. 149/2022, in relazione a quest'ultima causa le parti discutevano oralmente ai sensi dell'art. 350 bis, c.p.c. mentre, nell'appello n. 142/2022, le parti si limitavano a precisare le conclusioni.
Il collegio, quindi, tratteneva entrambe le cause in decisione assegnando alle parti, solo nell'appello n. 142/2022, i termini abbreviati di gg. 20 + 20 ai sensi dell'art.190 c.p.c. ************************************************
R.G. 142/2022 ### ritiene il collegio che le due cause vadano riunite presentando le stesse almeno un profilo di connessione che verrà meglio esplicitato nell'esame del secondo motivo di gravame spiegato avverso la sentenza n. 473/2022, e ciò fermo restando che gli appelli verranno separatamente esaminati prendendo le mosse da quello contraddistinto dal n. 142/2022 R.G.
Con sentenza n. 263/2021, pubblicata in data ###, il Tribunale di Caltagirone accoglieva in parte da domanda proposta da ### di ### & C. s.n.c. nei confronti di ### avente ad oggetto il risarcimento dei danni arrecati alla detta società da quest'ultimo nella veste di suo amministratore e derivanti, in particolare, dalla “revoca dei contributi a fondo perduto concessi dal Ministero delle ### a seguito della partecipazione all'undicesimo bando industrie del 2001 e, per l'effetto, lo condannava al risarcimento del danno patrimoniale subito dalla società quantificato in complessivi euro 1.129.300,76, di cui euro 848.300,76 a titolo di danno emergente ed euro 281.000,00 a titolo di lucro cessante”.
Regolava le spese di lite secondo la soccombenza e poneva a carico del convenuto anche le spese di CTU separatamente liquidate.
In estrema sintesi il primo giudice riteneva che la revoca del finanziamento ottenuto dall'attrice fosse attribuibile alla condotta imperita del suo amministratore ### e conseguentemente lo condannava al pagamento sia dell'importo pari ai contributi erogati (rispetto ai quali era stata escussa dall'ente concedente la garanzia prestata da ### S.p.A. la quale, a sua volta, aveva ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti della società attrice e dei suoi fideiussori) ed erogandi (ossia la tranche di contributi non erogati attesa la revoca nelle more intervenuta), sia al risarcimento del lucro cessante (determinato in via equitativa), consistente nell'utile perduto in forza della mancata realizzazione dell'investimento finanziato con le agevolazioni revocate, sulla base della CTU a firma del dott. ### disposta dopo che altra CTU affidata al dott. ing. Angelico aveva ritenuto di non potersi pronunciare sul punto.
Avverso la sentenza ### proponeva appello.
Si costituiva in giudizio ### dei F.lli ### s.r.l. (già ### di ### & C. s.n.c.) chiedendone il rigetto.
All'udienza del 3.4.2024, sulle conclusioni formulate dalle parti, la causa veniva trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.
R.G. 142/2022 APPELLO MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente è opportuno riportare alcuni passaggi della sentenza appellata in cui sono riassunti, in punto di fatto e sotto il profilo normativo, i termini della vicenda in relazione a cui è stata ravvisata la responsabilità dell'appellante: “… la ditta “### dell'#### & C. S.n.c.”, in data ###, presentava domanda al Ministero delle ### per partecipare all'undicesimo bando industria del 2001 ed ottenere le agevolazioni economiche di cui alla legge 488/1992 per realizzare un impianto per la trasformazione di prodotti agricoli, per investimenti previsti pari ad euro 1.541.107,39, sulla base del progetto redatto dall'ing. ### e per il quale era stata ottenuta una prima concessione edilizia (la n. 11 del 12.3.2001) ed una successiva concessione in variante (la n. 23 del 28.6.2001). La domanda veniva accolta e, con D.M. n. 112858 del 12.2.2002, veniva provvisoriamente concesso, previa presentazione di polizza fideiussoria, il contributo di euro 688.168,48, che sarebbe stato erogato in due quote annuali. Con nota del 13.2.2002, il Banco di ### sede di ### informava la società istante che la stessa avrebbe dovuto attenersi alle istruzioni indicate nella ### del Ministero delle ### n. 900315 del 14.7.2000 sia nella fase prodromica della predisposizione della documentazione necessaria all'erogazione sia nella successiva fase di attuazione dell'investimento, che sarebbe stato oggetto di monitoraggio. ### di ### previo esame della documentazione consegnata dalla società, in data ###, erogava la prima tranche dell'agevolazione.
Frattanto, il ### - anche nella qualità di progettista e direttore dei lavori - in data ### iniziava l'esecuzione delle opere. La società beneficiata inviava al ### di ### in data ###, una richiesta di proroga della durata di dodici mesi per il completamento del programma di investimento. Con successivo verbale del 1.12.2004 il Ministero delle ### accertava che l'importo investito dalla ### ammontava ad euro 152.000,00, mentre il programma di investimento prevedeva che a quella data sarebbe dovuto essere speso quanto meno il cinquanta percento dell'importo previsto. Orbene, la normativa di riferimento è costituita dalla legge 19 dicembre 1992 n. 488 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, recante modifiche alla legge 1 marzo 1986, n. 64, in tema di disciplina organica dell'intervento straordinario nel ### e norme per l'agevolazione delle attività produttive”, dal D.M. 20 ottobre 1995, n. 527 “Regolamento recante le modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore delle attività produttive nelle aree depresse del Paese” e dalla ### esplicativa n. 900315 del 14.7.2000 “Decreto del ### dell'### del ### e dell'### n. 527 del 20 ottobre 1995 modificato ed integrato dai ### n. 319 del 31 luglio 1997 e n. 133 del 9 marzo 2000, concernente il regolamento di cui all'art. 5, comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 1993, n. 96, sulle modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni alle attività produttive nelle aree depresse del #### esplicativa. ### fattispecie in esame - essendo stata prevista la corresponsione dell'agevolazione in due sole tranches - rientra nell'ipotesi di cui all'art. 7.1 (della circolare), con la conseguenza che la ### avrebbe dovuto completare i lavori programmati nel termine di ventiquattro mesi dal decreto di concessione provvisoria, dunque entro il ###, salvo chiedere una proroga nei termini e con le modalità previste dalla medesima circolare, ossia quattro mesi prima della detta scadenza (12.10.2003) per eccezionali cause di forza maggiore e per soli sei mesi. ###, l'art. 9.1 della ### prevede la possibilità di rimodulare il regime di erogazione delle agevolazioni da due a tre quote annuali … omissis…” (v. pp. 4 - 8 della sentenza appellata).
A fronte delle dette premesse il Tribunale quindi riteneva che: “Nel caso in esame, in violazione delle regole sopra esposte, l'amministratore unico della ### 1) Non ha completato l'esecuzione dei lavori entro il termine previsto, per circostanze che sono rimaste ignote e in merito alle quali lo stesso non ha tentato di addurre alcuna spiegazione; 2) Non ha potuto dimostrare, tramite S.A.L., che alla data del 18.4.2003 - quando la seconda quota dell'agevolazione era stata resa disponibile - aveva speso almeno il cinquanta percento della somma concessa; 3) Ha presentato una richiesta di proroga difforme da quanto consentito dalla normativa di riferimento, perché fuori termine (essendo stata inviata soltanto nel febbraio del 2004), per un periodo superiore rispetto a quello ammissibile (dodici mesi in luogo di sei) e senza alcuna indicazione delle “eccezionali cause di forza maggiore” che avrebbero giustificato l'istanza. Vengono, infatti, indicati come ragione della richiesta di proroga: a) un generico ed indefinito “rallentamento nel recepimento dei mezzi propri per il completamento del programma di investimento”; b) la altrettanto indeterminata “impossibilità consequenziale di ultimare i lavori, acquistare i macchinari ed ultimare l'investimento”; 4) Non ha presentato alcuna istanza di rimodulazione delle agevolazioni da due a tre quote annuali, in presenza della quale sarebbe stato possibile consentire un allungamento dei tempi di esecuzione del programma di investimento.
Può, pertanto, ritenersi che il ### nella fase esecutiva del programma di investimento non abbia rispettato quelle poche e chiare regole previste dalla normativa di settore, senza che lo stesso abbia individuato ragioni giustificative tali da escludere o limitare l'imputabilità di tale inosservanza. La condotta tenuta ha dato luogo ad una situazione nella quale il Ministero ha proceduto alla revoca delle agevolazioni, ai sensi dell'art. 8 lettere c1) e d) del ### (D.M. 20 ottobre 1995, n. 527) e dell'art. 9.1 della ### più volte citata. ### tutto legittimamente, dunque, il Ministero delle ### ha revocato per intero le agevolazioni concesse; con la precisazione che mentre per la prima quota si è trattato di una vera e propria restituzione, tramite escussione della polizza fideiussoria (con rivalutazione monetaria e maggiorazione degli interessi legali, cfr. art. 8, comma VI, del ###, in relazione alla seconda quota è stato sufficiente non accreditare la stessa sul conto corrente intestato alla società beneficiaria. Al riguardo, il secondo consulente nominato ha potuto appurare che, sebbene già in data ### il ### di ### avesse chiesto la revoca delle agevolazioni ai sensi dell'art. 8, lettere c1) e d) del D.M. 527/1995, soltanto con decreto dirigenziale n. 161339 del 7.12.2011 il Ministero dello ### ha provveduto alla revoca definitiva, ordinando: a) l'incameramento della cauzione di cui all'art. 5.3 della ### pari ad euro 4.230,36; b) la restituzione nel termine di sessanta giorni della somma erogata per euro 344.084,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria, pena il recupero in via coattiva. A fronte dell'inadempimento della ### la ### S.p.A. notificava a quest'ultima, in data ###, la cartella di pagamento n. ###423751000, con motivazione “### - ### agevolazioni”, per l'importo di euro 548.214,90, oltre aggio di euro 25.491,99. Anche tale richiesta di pagamento rimaneva inevasa. Quindi, il ### procedeva con il recupero della somma tramite escussione della polizza fideiussoria a carico della ### per euro 615.703,42, importo comprensivo di interessi moratori ed aggio di riscossione. Per tale somma la società assicurativa ha ottenuto, in data ###, l'emissione da parte del Tribunale di Verona del decreto ingiuntivo n. 7959/2015 nei confronti della ### di ### & C. S.n.c., dei soci illimitatamente responsabili ### e ### e degli ex soci illimitatamente responsabili ### e ### Il decreto, esecutivo il ###, veniva opposto e l'opposizione rigettata. Veniva, inoltre, iscritta ipoteca giudiziale su tutti i beni intestati alla ### e ai soci ### e ### Tuttavia, non risulta che la somma escussa sia stata da alcuno degli ingiunti restituita alla ### Assicurazioni” (v. pp. 8 - 11 della sentenza appellata).
Con l'atto di appello ### ha criticato la sentenza impugnata deducendone la erroneità sulla base di una serie di profili che nel prosieguo si elencano: non è vero che esso appellante, nel periodo rilevante ai fini dell'addebito mossogli, fosse amministratore unico della società atteso che il punto 7) dell'atto costitutivo del 20.1.2000 stabilisce che soltanto l'amministrazione ordinaria e la rappresentanza della società erano attribuite, in via esclusiva, al ### mentre per l'amministrazione straordinaria era prevista la firma congiunta dei due soci; a far data dal 28.12.2004 esso appellante era cessato dalla carica di amministratore e nella compagine sociale avevano fatto ingresso nuovi soci; a far data dal 30.11.2005 esso appellante era receduto dalla società (come da sentenza non definitiva del Tribunale di Caltagirone n. 415/2018 in data ###); quale amministratore avrebbe potuto rispondere limitatamente alle attività ricomprese nell'oggetto sociale riguardante la vendita all'ingrosso ed al dettaglio di frutta ed ortaggi, rispetto al quale la costruzione dell'impianto oggetto del finanziamento era estranea; “Non vi è traccia negli atti di causa che il ### abbia assunto specifiche obbligazioni inerenti l'esecuzione del finanziamento a fondo perduto richiesto ed ottenuto dalla ### e nemmeno il Collegio di prime cure, nella sentenza impugnata, ha dato atto di avere rinvenuto, nell'istruttoria della causa, atti e documenti che provano l'assunzione di obblighi specifici del ### in merito alla perfetta realizzazione dell'esecuzione degli atti afferenti il procedimento amministrativo del finanziamento ex L. 488/92” (v. p. 18 dell'atto di appello); il finanziamento era stato revocato solo in data ###, anni dopo l'uscita dell'appellante dalla società e la cessazione dalla carica di amministratore; la società non aveva impugnato la revoca del finanziamento e “in mancanza di impugnazione non è dato sapere se il procedimento posto in essere dal ministero fosse effettivamente legittimo” (v. p. 20 dell'atto di appello).
Sulla base dei predetti elementi l'appellante sostanzialmente si doleva di essere stato considerato l'unico responsabile della revoca del finanziamento e si doleva altresì del fatto che il primo giudice non avesse tenuto conto della responsabilità dei nuovi soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della relativa qualità secondo quanto stabilito dall'art. 2269 Ritiene la Corte che tutti gli argomenti enunciati nell'atto di appello siano erronei o irrilevanti e che nessuno di essi possa indurre a riformare la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la responsabilità del ### con riferimento all'addebito formulato nei suoi confronti.
Invero, premesso che non risponde affatto alla lettera dell'atto costitutivo l'affermazione secondo cui l'assunzione del finanziamento per la realizzazione dell'impianto da adibire a trasformazione e confezionamento di prodotti agricoli sarebbe estranea all'oggetto sociale (atteso che, al punto 2) dell'atto costitutivo, è scritto che: “La società ha per oggetto l'attività di: omissis … la costruzione e/o la gestione di complessi agricoli e industriali, di impianti e di attrezzature atti alla lavorazione, produzione, conservazione e commercializzazione di prodotti agricoli …. Omissis… ### potrà compiere le operazioni necessarie od utili per il raggiungimento dell'oggetto sociale, potrà compiere ogni operazione mobiliare e immobiliare, finanziaria e commerciale, stipulare contratti di appalto, leasing, factoring, contrarre mutui, anche ipotecari ….”), innanzitutto sfugge al collegio su quale base si fondi l'assunto secondo cui la responsabilità dell'amministratore sarebbe limitata alle sole sue condotte riconducibili all'oggetto sociale (quando invece, esattamente all'opposto di quanto sostenuto dall'appellante, proprio l'esecuzione di attività dannose extra oggetto sociale costituisce pacifica ipotesi di responsabilità dell'amministratore) ed ancor di più non si comprende il riferimento alla mancata “assunzione di obblighi specifici del ### in merito alla perfetta realizzazione dell'esecuzione degli atti afferenti il procedimento amministrativo del finanziamento ex L. 488/92”, fondata sull'evidente presupposto - del tutto erroneo - che, stante la mancata assunzione degli obblighi specifici in questione, l'amministratore sarebbe giustificato in presenza di qualsivoglia sua condotta imperita che, in spregio all'ordinaria diligenza che l'amministratore della società deve prestare nello svolgimento del suo incarico, abbia causato la revoca del finanziamento.
In chiave di oggettiva estraneità rispetto alle questioni per cui è causa si pone poi il reiterato richiamo alla responsabilità dei nuovi soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della relativa qualità, risultando del tutto irrilevante che i nuovi soci illimitatamente responsabili debbano rispondere dell'obbligo di restituire il finanziamento ricevuto dalla società e poi revocato.
Quanto alla doglianza riguardante l'essere stato solo esso ### attinto dall'azione di responsabilità sebbene al predetto, statutariamente, fosse riservata in via esclusiva la sola amministrazione ordinaria della società e la corrispondente rappresentanza, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione era prevista l'amministrazione e la rappresentanza congiunta, premesso che la corretta e tempestiva esecuzione delle attività (anche di tipo burocratico) che avrebbero consentito la realizzazione del progetto finanziato con i fondi della L. 488/92 (peraltro redatto dall'odierno appellante e di cui lo stesso era direttore dei lavori) non passava di certo soltanto attraverso il compimento di atti di straordinaria amministrazione, è opportuno ricordare come l'art. 2260 (applicabile anche alla s.n.c. ai sensi dell'art. 2293 c.c.) stabilisca che: “I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato. Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l'adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa”. ### di ipotetiche, peraltro nemmeno specificamente denunciate, responsabilità in capo all'altro socio amministratore, stante la responsabilità solidale esistente tra gli stessi, non farebbe in ogni caso venir meno quella dell'appellante il quale, se avesse voluto sottrarsi ad essa, avrebbe dovuto curarsi di dimostrare che fosse esente da colpa, mentre invece, a fronte della sentenza di primo grado in cui doviziosamente si indicava la normativa applicabile nel caso di specie e si evidenziavano tutte le manchevolezze che connotavano la condotta dell'amministratore appellante, costui si limitava a dolersi della mancata impugnazione della revoca del beneficio da parte della società senza nemmeno indicare perché - specie a fronte, ancora una volta, della sentenza impugnata che si era data carico di esaminarne analiticamente la sussistenza dei relativi presupposti, per il vero platealmente sussistenti giusta quanto sopra esposto - la revoca sarebbe stata illegittima, nonché a dolersi della inerzia dimostrata dalla società dopo che lo stesso era cessato dalla carica di amministratore, ancora una volta senza considerare, in risposta altresì all'argomento, di tipo cronologico, secondo cui la revoca era intervenuta a distanza di anni dalla cessazione dalla carica, che i presupposti per la revoca del finanziamento erano per intero maturati ben prima di tale data (considerato che il progetto avrebbe dovuto essere completato entro il ###, che il verbale con cui gli ispettori del ### delle ### avevano accertato la realizzazione di opere del valore di € 152.000,00, pari al 9,8% della spesa programmata, era stato redatto in data ###, mentre la cessazione dalla carica era intervenuta solo in data ###), e quando ancora ### era amministratore della società, a nulla valendo che la revoca sia stata formalmente disposta solo in seguito.
In definitiva, quindi, sotto tutti i profili sopra esaminati l'appello si appalesa infondato e merita di essere rigettato.
A diverse conclusioni ritiene invece la Corte di pervenire con riferimento al capo di sentenza con cui l'appellante è stato condannato al risarcimento del danno da perdita del lucro cessante.
Va premesso che, in dipendenza della affermazione della responsabilità per l'addebito sopra più volte richiamato e consistente nell'avere fatto perdere alla società il finanziamento erogatole ai sensi della L. 488/92 per la realizzazione dell'impianto di lavorazione e trasformazione di prodotti agricoli, il ### è stato condannato al risarcimento del danno come di seguito liquidato: danno emergente di complessivi € 848.300,76, ripartito come segue: “1) euro 688.168,00 quale importo erogato a titolo di contributo e perduto; 2) euro 155.902,40 quale rivalutazione monetaria ed interessi legali dovuti per la restituzione della prima quota, secondo quanto disposto dall'art. 8, comma VI, del ###; 3) euro 4.230,36 a titolo di cauzione ex art. 5.3 della Circolare”; lucro cessante pari ad € 281.000 riconosciuto sulla base della presunzione “che l'apertura di un nuovo stabilimento e il conseguente allargamento della produzione, in condizioni di normalità del mercato, conduca con elevata probabilità ad un incremento degli utili. Essendo la società di nuova costituzione, non sono presenti altri elementi, anche indiziari, da raffrontare (attraverso un giudizio di concordanza) con la superiore presunzione. Tuttavia, secondo l'id quod plerumque accidit, può ritenersi comunque raggiunta la prova del lucro cessante sotto il profilo della sua sussistenza. Quanto alla sua quantificazione bisognerà ricorrere ad un criterio equitativo, ai sensi dell'art. 1226 c.c.” individuato in quello proposto dal secondo CTU nominato, dott. ### come di seguito riportato: “### base dei dati statistici rilevati e degli studi effettuati dal C.N.R. e dall'I.R.A.T., infatti, l'indice di redditività del capitale investito nell'industria agroalimentare in ### nell'anno 2007, è pari al 2,78%. Poiché il reddito operativo aziendale è pari all'indice di redditività per il capitale investito, considerato che l'investimento programmato dalla ### ammonta ad euro 1.543.690,00, fissando come anno a regime dell'investimento il quinto anno successivo al suo avvio, ossia il 2007, il reddito operativo aziendale annuale va quantificato in euro 42.914,54, arrotondato in euro 42.000,00. Poiché, inoltre, l'investimento riguarda fattori produttivi immobilizzati, il consulente tecnico ha reputato congruo calcolare il lucro cessante prendendo in considerazione un arco temporale decennale (di ammortamento dei beni), tenendo conto di un tasso di attualizzazione del 7,99%. Dunque, secondo la formula matematica indicata nella relazione peritale, il lucro cessante andrebbe determinato in euro 281.000,00” (v. p. 16 della sentenza appellata).
Con l'ultimo motivo di gravame il ### senza spiegare alcuna censura in ordine al danno emergente riconosciuto dal Tribunale (dovendosi in proposito evidenziare come, opportunamente, il primo giudice, nel ricondurre al detto alveo anche la parte del finanziamento anticipata e non ancora restituita dalla società a fronte della quale era stata escussa la fideiussione prestata da ### soc. coop., aveva richiamato la giurisprudenza, anche di legittimità, secondo cui: “In tema di liquidazione del danno, la locuzione “perdita subita”, con la quale l'art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il “vinculum iuris”, nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare. (Nella specie, relativa ad una ipotesi di responsabilità per ingiustificata interruzione di trattative concernenti la vendita di un immobile, la S.C. ha ritenuto suscettibile di ristoro l'impegno di spesa, assunto dalla parte che aveva fatto ragionevole affidamento sul buon esito dell'affare, comprovato dai preavvisi di parcella del tecnico e del fiscalista, pur non risultando avvenuto il pagamento delle somme ivi documentate)”, così Cass., sez. II, 10 marzo 2016, n. 4718 ed anche Cass., sez. III, 10 novembre 2010, n. 22826), ha criticato il capo della sentenza impugnata relativo al lucro cessante denunciando che lo stesso risulta inammissibilmente fondato su un ragionamento presuntivo del tutto inattendibile, sì come del resto dimostrato dalla circostanza che il primo CTU nominato dal Tribunale, dott. ### si era pronunciato nel senso che, in mancanza di documentazione di dettaglio, non fosse possibile determinare la perdita di utile derivante dalla mancata realizzazione dell'impianto.
Ritiene il collegio che il motivo di appello in esame sia fondato.
Invero, premesso che, come riconosciuto dal primo giudice, l'appellata era una società di nuova costituzione e che quindi non sussistono elementi contabili, di tipo storico, per apprezzarne la redditività nel tempo, il ragionamento del Tribunale secondo cui la mera realizzazione di un impianto industriale, di per sé, determina la realizzazione di utili, di talché, nell'an, la perdita del lucro cessante sarebbe certa, non appare condivisibile, in quanto non tiene minimamente conto delle numerosissime variabili da cui dipende la redditività dell'investimento (e ciò anche senza considerare che pure in relazione al quantum la soluzione adottata dal primo giudice si appalesa troppo grossolana, atteso che fa riferimento alla generica redditività dell'industria agroalimentare, senza alcun concreto richiamo, quanto meno, allo specifico settore in cui si sarebbe inserita quella la cui realizzazione era stata finanziata).
Del resto lo stesso CTU nominato per primo dal Tribunale si era già espresso per la impossibilità, in mancanza di elementi contabili concreti, di determinare l'utile asseritamente non acquisito in dipendenza della mancata realizzazione dell'impianto.
Ne consegue che, stante l'incertezza in ordine alla voce di lucro cessante in questione, in parte qua la sentenza impugnata va riformata con il rigetto della domanda attorea.
La parziale riforma della sentenza appellata, ferma la soccombenza dell'appellante e quindi la sua condanna al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio secondo l'esito finale della lite, impone di liquidare nuovamente le spese anche del primo grado di giudizio tenendo conto della riduzione del condannatorio intervenuta in appello.
R.G. 473/2023 ### ricorso ai sensi dell'art. 28 D.Lgs. 5/2003 in data #### (R.G. 1305/2005) rappresentava di avere receduto, con raccomandata indirizzata ai soci in data ### (e con altra raccomandata in data ###), dalla ### di ### & C. s.n.c. e di avere richiesto la liquidazione della sua quota.
Rappresentava che i soci #### e ### con nota del 30.11.2005, gli avevano comunicato che il valore della sua quota ammontava ad € 113.589,36.
Siccome esso ### non lo riteneva corretto, con il ricorso sopra indicato chiedeva al Tribunale la nomina di CTU affinché determinasse il valore della sua quota.
Il Tribunale nominava CTU la dott.ssa ### la quale depositava la sua relazione di consulenza tecnica in data ###.
Con delibera assembleare del 29.1.2010, ### di ### & C. s.n.c. estrometteva dalla compagine sociale ### In data ### veniva iscritto a ruolo il giudizio n. 227/2010 R.G. avente ad oggetto l'impugnazione, proposta da ### della delibera assembleare sopra indicata con cui lo stesso era stato escluso dalla ### di ### & C. s.n.c.
Si costituiva in giudizio la società chiedendo il rigetto della domanda proposta dal ### Con citazione in data #### spiegava altra domanda giudiziale nei confronti della società mediante cui, richiamati i risultati a cui era pervenuto il CTU dott. ### nominata dal Tribunale in forza del ricorso sopra citato, chiedeva che venisse accertato il valore della sua quota e che la società venisse condannata al pagamento.
La causa veniva iscritta al n. 80/2011 del ###.
Si costituiva anche in questo giudizio la società che, oltre a chiedere il rigetto della domanda attorea, proponeva domanda riconvenzionale con cui chiedeva la condanna del ### al pagamento della somma di € 810.541,90, corrispondente alla quota di debiti della società verso terzi imputabile all'attore alla data del suo recesso.
I due processi venivano riuniti.
Con sentenza non definitiva n. 415/2018 in data ###, il Tribunale dichiarava che il recesso del ### dalla società si era perfezionato in data ### e conseguentemente annullava la delibera del 29.1.2010 con cui il predetto era stato escluso dalla società.
Con separata ordinanza in pari data il Tribunale: “rilevato che in merito alla esatta determinazione del valore della quota sociale da liquidare al socio receduto, nonché dei debiti societari antecedenti al 30.11.2005, sussistono diverse discrasie tanto nelle due consulenze tecniche d'ufficio svolte nel presente giudizio (v. elaborato peritale del 18.11.2014 e del 31.1.2017), quanto nella CTU espletata nell'accertamento tecnico preventivo di cui alla causa civile recante r.g.n. 1305/2005, acquisita all'odierno giudizio (v. elaborato peritale del 24.1.2007)”, rimetteva la causa sul ruolo istruttorio e disponeva il richiamo del ### All'udienza del 17.10.2018 il CTU rendeva i chiarimenti richiesti e quindi la causa, dopo un infruttuoso tentativo di conciliazione, veniva definita con la sentenza 473/2022, pubblicata in data ###, oggetto dell'odierno appello proposto da ### intervenuta dopo - come è noto in forza dell'appello n. 142/2022 R.G. sopra esaminato - che tra le stesse parti il Tribunale di Caltagirone, accogliendo l'azione di responsabilità spiegata dalla società nei confronti del ### con sentenza n. 263/2021 pubblicata in data ###, lo aveva condannato al risarcimento del danno di € 1.129.300,76, derivante dalla revoca dei contributi a fondo perduto concessi dal ### delle ### ai sensi della L. 488/92, sì come imputata alla mala gestio del predetto socio amministratore.
Con la sentenza n. 473/2022, pubblicata in data ###, qui impugnata, il Tribunale, muovendo dal presupposto accertato con la sentenza non definitiva secondo cui il ### aveva receduto dalla società in data ###, liquidava il valore della quota a lui spettante in € 133.259,48, oltre interessi legali, e condannava la società al suo pagamento. Poi, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla società, accertava “che la quota di debito imputabile al socio ### per le attività anteriori al perfezionamento del recesso (30.11.2005) è pari a euro 410.487,83” e per l'effetto lo condannava “a favore della società ### -Eur l'importo di euro 410.487,83, per il titolo sopradescritto, oltre interessi dal dovuto sino al soddisfo”.
Compensava le spese di lite nella misura della metà e condannava ### al pagamento della restante metà.
Poneva le spese di CTU a carico di entrambe le parti in solido.
Con riferimento alla domanda giudiziale del ### volta ad ottenere la liquidazione della sua quota, il primo giudice, dopo avere richiamato la CTU a firma della dott.ssa ### in data ### con cui erano state proposte due diverse valutazioni della quota dipendenti dall'incidenza sul patrimonio sociale del contributo ricevuto dalla ###
Eur di ### & C. s.n.c. per la realizzazione dell'investimento agevolato nell'ambito del c.d. Patto per l'### della ### di ### finanziato ai sensi della L. 662/96, aderiva alla soluzione secondo cui il contributo non avrebbe dovuto essere considerato come “definitivo” e conseguentemente liquidava la quota nella somma sopra indicata (ampiamente inferiore rispetto a quella di € 431.226,17 che sarebbe risultata qualora fosse stata adottata la soluzione opposta secondo cui il contributo questione avrebbe dovuto essere considerato come definitivamente attribuito alla società).
Nel propendere per la soluzione suindicata il Tribunale dava atto della posizione espressa dalla società convenuta nei termini che seguono: “Ad opposta conclusione, invece, giungeva la società convenuta ### la quale al contrario rilevava l'avvenuta revoca del contributo erogato da parte della ### di ### e ciò proprio in ragione della mala gestio del socio ### tanto che la società stessa aveva in precedenza avviato autonomo giudizio per ottenere la condanna del predetto al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dalla società, giudizio incardinato al 1067/2010 e proprio di recente definito con sentenza emessa da questo stesso Tribunale n. 263 del 25.6.2021. Con la citata pronuncia, in effetti, il Tribunale aveva ritenuto accertata la mala gestio del socio ### proprio per la revoca del contributo fissato con il ### per l'### dal ### per le attività produttive, condannando il ### al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dalla società e quantificati in complessivi euro 1.129.300,76. Infatti, nell'ambito di quel giudizio, il CTU incaricato aveva potuto analiticamente quantificare le perdite subite dalla società per la revoca dell'agevolazione in complessivi euro 848.300,76, ripartiti come segue: 1) euro 688.168,00 quale importo erogato a titolo di contributo e perduto; 2) euro 155.902,40 quale rivalutazione monetaria ed interessi legali dovuti per la restituzione della prima quota, secondo quanto disposto dall'art. 8, comma VI, del ###; 3) euro 4.230,36 a titolo di cauzione ex art. 5.3 della Circolare” (v. pp.8 e 9 della sentenza appellata), e quindi affermava che: “ ### osservato, ritiene questo Collegio che, dando atto della accertata revoca del contributo di cui trattasi e rilevato dunque che la stima della quota sociale da liquidare al socio dovrà prendere come riferimento la prima ipotesi elencata dal ### dott.ssa ### il valore della quota liquidabile al ### sarà pari a € 133.259,48” (v. p. 9 della sentenza appellata).
Relativamente alla domanda riconvenzionale proposta dalla società, poi, dopo avere esaminato gli esiti delle diverse CTU in atti, il Tribunale condivideva quanto indicato dal CTU dott. ### nella relazione del 31.1.2017 secondo cui, alla data del 30.11.2005 (di recesso del ### dalla società), l'importo complessivo dei debiti della società verso terzi ammontava ad € 1.231.586,66, il 33,33% (pari alla quota del ### a cui corrispondevano € 410.487,83, doveva essere imputato a quest'ultimo, con conseguente sua condanna, in favore della società, al relativo pagamento oltre interessi.
Avverso la detta sentenza ### proponeva appello.
Si costituiva in giudizio la società chiedendone il rigetto.
All'udienza del 3.4.2024, a seguito di discussione orale, la causa veniva trattenuta in decisione.
R.G. 473/2023 APPELLO MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di gravame, avente ad oggetto il capo della sentenza impugnata mediante cui è stato determinato il valore della sua quota in € 133.259,48, il ### ha criticato la decisione impugnata per avere il primo giudice ritenuto di optare per la valutazione proposta dal CTU dott.ssa ### fondata sulla non definitività del contributo erogato alla società per la realizzazione dell'impianto ricompreso nel ### per l'### della ### di ### finanziato ai sensi della L. 662/96, ritenendo che detto contributo fosse stato revocato ed utilizzando in proposito, in guisa di giudicato, la sentenza n. 263/2021 dello stesso Tribunale, pubblicata in data ###, che invece era stata impugnata dallo stesso ### con appello pendente dinanzi a questa corte.
Il motivo di gravame è infondato, alla stregua delle considerazioni che seguono.
Va premesso che, malgrado quanto rappresentato negli atti difensivi e come, per la verità, avrebbe dovuto essere chiaro al primo giudice, ### di ### & C. s.n.c., costituita nell'anno 2000 ed inattiva fino al 2002, ha presentato due distinte domande per ottenere contributi a fondo perduto finalizzati alla realizzazione di due impianti industriali per la lavorazione, trasformazione e confezionamento di prodotti ortofrutticoli, e segnatamente ha presentato: 1) nel marzo del 2000 una richiesta di concessione dei benefici previsti dal ### per l'### della ### di ### ex L. 662/96, a fronte della quale le è stato concesso un contributo in conto impianti di € 893.986,89, erogato nella misura del 50% al 31.12.2003 a titolo di anticipazione e di un ulteriore 40% nel corso del 2004 in funzione degli stati di avanzamento raggiunti, in relazione al quale, alla data di redazione della ### restava alla società da riscuotere il saldo, subordinato al positivo accertamento finale, da parte delle autorità competenti, della compiuta realizzazione dell'impianto; 2) in data ### ha presentato ulteriore domanda di finanziamento, al ### delle ### per la realizzazione di diverso programma di investimento in accoglimento della quale, con decreto ministeriale del 12.2.2002 a valere sui fondi ex L. 488/92 11° ### 2001, le veniva concesso un contributo a fondo perduto di € 688.168,00, di cui € 388.684,19, previa presentazione di polizza fideiussoria, veniva anticipato alla società (v. p. 8 della ###.
Nella stessa ### si dà atto che, indiscutibilmente, l'impianto industriale oggetto della seconda domanda di finanziamento (quella, per intenderci, ex L. 488/92, le cui vicende hanno costituito materia della causa oggetto dell'appello n. 142/2022 R.G. sopra esaminato) - che avrebbe dovuto essere realizzato entro due anni - era rimasto largamente incompiuto (come accertato anche mediante sopralluogo dallo stesso ###.
Nello stato patrimoniale della società al 24.7.2005 il CTU inseriva, nell'attivo, i fabbricati realizzati con i due distinti finanziamenti ex L. 662/96 (### per l'### della ### di ### ed ex L. 488/92, oltre al credito del saldo del finanziamento concesso ex L. 662/96, mentre al passivo inseriva il contributo di € 893.986,89 ricevuto ex L. 662/96 (### per l'### della ### di ### e quello di € 388.684,19 ricevuto ex L. 488/92.
Non veniva inserito nell'attivo la parte del finanziamento ex L. 488/92 non ancora riscossa atteso che, come detto, era del tutto pacifico che si trattava di credito ormai sostanzialmente perduto, anche se ancora non era stato emesso il provvedimento di revoca formale della concessione del finanziamento, visto che dell'impianto industriale che avrebbe dovuto essere completato nel 2004, alla data di redazione della CTU (2007), ne era stata realizzata una frazione del valore di appena € 160.877,60 (iscritta, come detto, nell'attivo, come ### ex ### 488/92).
Conseguentemente, vista la situazione concreta che caratterizzava il finanziamento ex L. 488/92 ineluttabilmente destinato alla revoca, in guisa del tutto piana il CTU inseriva l'anticipazione a tale titolo ricevuta dalla società (di € 388.684,19), tra i debiti sociali, visto che si trattava di somme che la stessa avrebbe dovuto senz'altro restituire, senza che in proposito venisse nemmeno accennata qualsivoglia soluzione contabile alternativa (v. p. 33 della ###.
Diverse considerazioni erano invece riservate alla posta debitoria consistente nel finanziamento ex L. 662/96 (### per l'### della ### di ###, che invece riguardava un progetto che risultava essere stato in ampia parte realizzato, sebbene ancora non collaudato ed approvato dall'ente finanziatore: solo e soltanto con riferimento a questa posta debitoria, nelle pp. 33 ss della sua relazione, il CTU dava atto delle ragioni, fondate sui principi contabili (ed in particolare l'OIC n. 16), per cui, in mancanza di titolo di attribuzione definitiva dei contributi, gli stessi avrebbero dovuto essere considerati come debiti che, come tali, impattavano sul passivo e quindi sul patrimonio netto. Solo per completezza, poi, pur dando atto che propendeva per la prima soluzione, il ### alle pp. 37 ss. della sua relazione rappresentava che sarebbe stato anche possibile considerare l'attribuzione dei contributi come “definitiva” sebbene soggetta a condizione risolutiva consistente nella mancata approvazione dell'opera, con conseguente elisione della anticipazione, fintantoché non fosse sopraggiunta la revoca del finanziamento, dai debiti sociali (con gli ulteriori profili riguardanti i riflessi, sull'attivo, di detta impostazione).
Solo e soltanto rispetto al tema in discussione, vertente sul se i contributi percepiti ex L. 662/96 (### per l'### della ### di ### di € 893.986,89, avrebbero dovuto essere considerati o meno tra i debiti sociali (a seconda che venissero considerati come attribuzioni provvisorie fino all'approvazione finale ovvero definitive ma suscettibili di risoluzione in caso di mancata approvazione), il CTU esponeva le due valutazioni della quota del ### (dipendente dal patrimonio netto pari, nel primo caso, ad € 399.818,42 e ad € 1.293.807,88, nel secondo) meglio specificate nella sua relazione. ### premesso occorre purtroppo constatare che il Tribunale ha adottato la prima soluzione proposta dal CTU agganciando tuttavia la sua decisione ad un argomento, introdotto dalla società convenuta, che non riguardava affatto il trattamento da riservare ai contributi ex L. 662/96 (### per l'### della ### di ### su cui si disputava, bensì che afferiva a quelli ex L. 488/92, pacificamente considerati tra i debiti sociali dal ### e che invece costituivano l'oggetto dell'azione di responsabilità promossa dalla società nei confronti dell'appellante per la revoca del finanziamento in questione definita, in primo grado, con la sentenza n. 263/2021.
Sull'errore commesso dal Tribunale si è avvitato l'appellante articolando un motivo di gravame tutto incentrato sul fatto che il primo giudice si sarebbe fondato su un accertamento non passato in giudicato e rispetto al quale, peraltro, era stato da esso proposto ed era pendente appello dinanzi a questa stessa corte (v. supra).
Orbene, alla stregua di quanto sopra esposto, la sentenza n. 263/2021 con cui il ### è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Caltagirone al risarcimento del danno provocato alla società di cui era socio amministratore per averle fatto perdere il finanziamento concessole ai sensi della L. 488/1992, si appalesa del tutto irrilevante ai fini della decisione di questa causa.
Invero, come già reiteratamente sottolineato, non è questo il contributo ricevuto dalla società dal cui trattamento contabile dipende la valorizzazione della quota sociale del ### sì come chiaramente si evince dalla lettura della ### la quale si occupa soltanto, nei termini problematici a fronte dei quali espone la duplice soluzione su cui il Tribunale si è comunque espresso nella sentenza impugnata, della sorte dei contributi ex L. 662/96 ricevuti dalla società.
È del tutto irrilevante, quindi, se il Tribunale sia incorso in errore nel considerare che l'agevolazione concessa ex L. 488/92 sia stata revocata facendo riferimento alla sentenza n. 263/2021 sebbene non definitiva, dovendosi piuttosto tenere conto della statuizione adottata dal primo giudice con cui lo stesso ha aderito alla prima soluzione proposta dal CTU e della mancata articolazione, da parte dell'appellante, di qualsivoglia pertinente argomentazione in favore della ipotetica correttezza della seconda soluzione proposta dal ### a fronte di cui va senz'altro confermata la sentenza di primo grado dovendosene soltanto emendare la motivazione attraverso il richiamo alle compiute considerazioni di natura tecnico contabile esposte dal CTU dott.ssa ### (sopra sinteticamente riportate) che la hanno indotta a ritenere preferibile la soluzione secondo cui, fino a quando il progetto finanziato non sia stato completato e definitivamente approvato, i contributi erogati costituiscono un debito della società, sembrando appena il caso di osservare, solo per completezza, che se detto tema si era posto, e valeva, per i contributi erogati a ### s.n.c. in ragione del progetto finanziato ex L. 662/96 la cui realizzazione non lasciava intravedere criticità, ancor più non poteva che valere per l'anticipazione erogata alla società ai sensi della L. 488/92 in relazione alla quale il progetto, giusta anche il sopralluogo effettato dal ### pacificamente non era stato realizzato (e questo a prescindere dalle vicende che hanno costituito l'oggetto della causa definita con la sentenza n. 263/2021).
In definitiva, quindi, il motivo di appello in esame si appalesa infondato mentre la sentenza impugnata, con riferimento al capo relativo all'accertamento del valore della quota del ### ed alla condanna della società al suo pagamento, sia pur per le diverse ragioni sopra esposte, merita di essere confermata.
Il secondo motivo di gravame ha ad oggetto il capo della sentenza con cui, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal ### s.n.c., il Tribunale ha accertato quale fosse, alla data del recesso del ### la posizione debitoria verso terzi della società ed ha condannato il predetto, al pagamento, in suo favore, della detta quota di debiti, pari ad € 410.487,83.
Rispetto a questo capo di sentenza il ### senza mai mettere minimamente in discussione che la norma contenuta nell'art. 2290, comma 1, c.c., secondo cui: “Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento”, possa fondare una pronuncia di condanna, in favore della società ed in danno del socio receduto, pari alla quota di debiti sociali esistenti alla data dello scioglimento del rapporto sociale, articolava due critiche: con la prima sosteneva che il Tribunale era incorso in contraddizione insanabile per avere al contempo ritenuto da un canto che il valore della sua quota fosse positivo e, dall'altro, che sussistesse una posizione debitoria della società di cui esso socio receduto avrebbe dovuto rispondere (“A rigor di logica, se al momento del recesso del socio ### la quota liquidabile al socio poteva oscillare da € 133.259,48 a € 431.226,17, a seconda della contabilizzazione o meno del contributo all'agricoltura, come può accadere che, invece, ai fini della domanda riconvenzionale della ### si valuti la situazione debitoria? E che questa vada imputata alla responsabilità del #### senza accertamento e motivazione giurisdizionale? ### non sembra ragionevolmente possibile! ### due l'una! O la società al momento del recesso del #### nel 2005, fosse in attivo come dalle due ipotesi della consulenza tecnica della ###ssa ### oppure fosse in perdita e se ne valuti la situazione debitoria come da CTU del ### Ferraro” (v. pp. 11 e 12 dell'atto di appello), mentre, sotto diverso profilo, censurava la sentenza impugnata per essere intervenuta una seconda volta sulla stessa vicenda - imperniata sulla revoca del finanziamento concesso alla società ai sensi della L. 488/92 - già oggetto della sentenza n. 263/2021 con cui il ### era stato condannato al risarcimento del danno arrecato alla società di € 1.293.807,88, condannando nuovamente il predetto al pagamento di € 410.487,83 a titolo di quota dei debiti sociali di sua pertinenza e realizzando, in tal modo, un inammissibile bis in idem.
Ritiene la Corte che il primo profilo del motivo di appello in esame sia infondato, a differenza del secondo che, invece, in parte è fondato Il primo profilo del motivo gravame è imperniato sull'evidente errore, frutto di una sovrapposizione dei piani su cui si collocano le norme contenute negli artt. 2289 e 2290 c.c., secondo cui una situazione patrimoniale tale che la quota sociale presenti valore positivo escluderebbe in sé che la società abbia debiti nei confronti di terzi (di cui il socio receduto debba rispondere, lo si ribadisce, nei confronti dei terzi, mentre invece qui è stata la società ad avere ottenuto la condanna del socio prima ancora che la sua responsabilità fosse fatta valere dai terzi).
Si tratta di un assunto, all'evidenza, completamente sbagliato, atteso che la situazione patrimoniale della società si compone degli elementi attivi del patrimonio e di quelli passivi, tra cui, ovviamente, i debiti: un patrimonio netto positivo non esclude affatto, come invece sostiene l'appellante, l'esistenza di debiti, bensì postula soltanto che gli elementi attivi siano superiori ad essi, con la conseguenza che del tutto pacificamente, in presenza di patrimonio positivo, al socio receduto debba essere riconosciuto il valore della sua quota, fermo ed impregiudicato che, anche dopo lo scioglimento del rapporto sociale, costui resta responsabile, verso i terzi, dei debiti sociali fino al giorno dello scioglimento (e peraltro non pro quota, bensì secondo il regime di responsabilità del socio).
Il motivo di gravame in questione, quindi, secondo cui la sentenza impugnata, contraddittoriamente, avrebbe ritenuto che la quota sociale dell'appellante fosse positiva e che al contempo esistesse una posizione debitoria della società, è infondato, non sussistendo alcuna contraddizione sul punto.
A diverse conclusioni ritiene la Corte di pervenire con riferimento all'ultimo profilo oggetto del motivo di appello in esame.
Ha sostenuto il ### che l'accoglimento delle domande spiegate nei suoi confronti dalla società in questo e nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 263/2021 avrebbe comportato una duplice affermazione della sua responsabilità per lo stesso fatto costituito dalla revoca del finanziamento concesso all'appellata ai sensi della L. 488/92.
Ritiene la Corte che, effettivamente, la inemendabile, in difetto di appello, impostazione della sentenza 473/2022, con cui il ### è stato condannato a pagare, pro quota, alla società, la sua parte dei debiti sociali in essere alla data del recesso, imponga di accogliere, nei termini appresso specificati, il motivo di gravame in esame, pena le ingiuste conseguenze paventate dall'appellante.
Come si è sopra esposto nella parte della sentenza dedicata all'appello proposto dal ### avverso la sentenza n. 263/2021, in ragione della, qui confermata, sua responsabilità, nei confronti della società per la perdita del finanziamento concessole ai sensi della L. 488/92, il predetto è stato condannato al risarcimento dei danni da ciò derivati consistenti: a) nella somma pari all'anticipazione del finanziamento ricevuta dalla società pari ad € 388.684,19; b) nella rivalutazione ed interessi legali su detta somma; c) nella tranche di finanziamento non erogata (pari alla differenza tra il finanziamento complessivo di € 688.168,00 e l'anticipazione erogata), oltre che nella cauzione prevista dalla circolare sopra richiamata.
Dall'esame della CTU del 31.1.2017 a firma del dott. ### eseguita nell'ambito del processo conclusosi con la sentenza n. 473/2022 e su cui la stessa si fonda, emerge che il ### al fine di determinare la posizione debitoria della società, ha considerato anche il debito sociale di € 388.684,19 rinveniente dall'anticipazione ex L. 488/92 ricevuta dalla società e che deve essere restituita all'ente finanziatore (v. p. 3 della CTU).
Ciò posto, la peculiare soluzione adottata dal Tribunale, in forza della quale il ### è stato condannato a pagare, alla società, la parte dei debiti sociali in essere alla data del recesso, tra cui quello di € 388.684,19 suindicato, all'evidenza determina una inammissibile duplicazione atteso che, se l'appellante pagasse detta quota di debito, eliderebbe contemporaneamente anche la frazione di danno subita dalla società e quantificata in relazione alla somma che la stessa è tenuta a restituire in forza della revoca del finanziamento ma, del tutto ingiustamente, in mancanza di riforma della sentenza di primo grado sul punto, potrebbe essere chiamato a pagare nuovamente, questa volta a titolo risarcitorio, la medesima somma.
Ne consegue che dal coacervo della situazione debitoria di complessivi € 1.231.586,66, un terzo della quale il ### è stato condannato a pagare in favore della società, va detratto l'importo del debito avente ad oggetto la restituzione dell'anticipazione ricevuta ex L. 488/92 di € 388.684,19, con la conseguenza che l'ammontare dei debiti sociali risulterà pari ad € 842.902,47, mentre il terzo imputabile al ### risulterà pari ad € 280.967,49, a cui dovrà essere ridotta la condanna dell'appellante. ### complessivo della lite che va visto l'accoglimento della domanda del ### ed il parziale accoglimento della riconvenzionale spiegata dalla società, induce a compensare, nella misura dell'intero, le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio ed a porre, nella misura di metà per ciascuno, le spese di CTU già liquidate. P.Q.M. La Corte di Appello, definitivamente decidendo nelle cause nn. 142/2022 + 573/2023 R.G, riunisce la seconda alla prima e, in relazione ad essa, avente ad oggetto l'appello proposto da ### avverso la sentenza del Tribunale di Caltagirone 263/2021, pubblicata in data ###, così statuisce: accoglie parzialmente l'appello e per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, condanna ### al pagamento, in favore dell'appellata, della somma di € 848.300,76; condanna l'appellante al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio che liquida, per ciascuno di essi, in € 15.000,00, oltre spese generali, IVA e ###; conferma nel resto la sentenza appellata; in relazione alla causa n. 573/23 R.G., avente ad oggetto l'appello proposto da ### avverso la sentenza del Tribunale di Caltagirone n. 473/2022, pubblicata in data ###, così statuisce: il parziale accoglimento dell'appello, condanna da ### al pagamento, in favore della società appellata, della somma di € 280.967,49; compensa nella misura dell'intero le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio e pone le spese di ### nella misura della metà, a carico di ciascuna delle parti; conferma nel resto la sentenza appellata.
Così deciso in ### nella camera di consiglio della prima sezione civile, in data 23 maggio 2024 ### est. ### A. ### G. ### n. 142/2022
causa n. 142/2022 R.G. - Giudice/firmatari: Ferreri Giuseppe, Caruso Antonio