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Corte di Cassazione, Ordinanza del 17-01-2024

... per il quale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti (leggi tutto)...

ORDINANZA sul ricorso n. 14235/2018 proposto da: INAIL, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv.  ### ed elettivamente domiciliat ###### via IV Novembre 14; -ricorrente contro #### e ### rappresentati e difesi dagli Avv.ti ### lli e ### ed elett ivamente domicilia ti presso lo studio ### & ### in #### 18; -controricorrenti - nonché ### - intimato - avverso la SENTENZA della Corte d'appello di Genova, n. 414/2017, pubblicata il 13 gennaio 2017. 
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal ### SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con due ricorsi distinti depositati presso il Tribunale di La Spezia il 13 marzo 2015 e il 16 marzo 2015 ##### e ### medici specialisti ambulatoriali titolari di incarico libe ro professionale con l'### hanno chiesto che fosse accertata l'illegittimità del provvedimento del 23 luglio 2014 con il quale lo stesso ### aveva ridotto le ore dei rispettivi incarichi lavorativi, con condanna dell'istituto stesso a ristabilire l'orario settimanale precedente e a corrisponde re le differ enz e retributive maturate. 
Il Tribunale di La Spezia, riuniti i ricorsi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 115/2017, li ha accolti. 
L'### ha p roposto appello che la Corte d'appello di Genova, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 414/2017, ha rigettato. 
L'### ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.  #### nio ### e ### si sono dif esi con controricorso.  ### non ha svolto difese. 
La parte ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie.  MOTIVI DELLA DECISIONE 1) Con il primo motivo la parte ricorrente contesta la viola zione o falsa applicazione dell'art. 97 Cost. e degli artt. 1362 e 2237 c.c. in quanto, venendo in rilie vo un'ipotesi di recesso da un libero rapporto professionale, avrebbe dovuto essere applicato l'art . 2237 c.c., ai sensi del quale il cliente d'opera sarebbe stato tenuto solo a rimborsare al prestatore le spese sostenute e il compenso per l'attività svolta. 
In particolare, anche ove il diritto di recesso fosse stato esercitato, come nella specie, per il venire meno delle relative esigenze, non poteva avere fondamento la domanda del medico di ripristino, anche parziale, del rapporto. 
Non sarebbe stata ammissibile, quindi, una tutela reale, con conseguente diritto al ripristino del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in presenza di una riduzione dell'orario del medico perché non più rispondente alle esigenze pubbliche. 
La contrattazione collettiva non avrebbe regolato la materia siccome l'art. 5 dell'Accordo collettivo nazionale ### per la disciplina dei rapporti con i ### non prevedeva che, in ipotesi di illegittimità del recesso della P.A., potesse essere ripristinato l'orario ridotto. 
Non sarebbe stato possibile, quindi, ai sensi degli artt. 1362 ss. c.c., interpretare detto contratto nel senso che avesse derogato all'art. 2237 La doglianza è inammissibile. 
Innanzitutto, si osserva che oggetto del contendere non è il recesso da un contratto di lavoro autonomo, ma la riduzione unilaterale dell'orario, sulla base del quale era determinato il compenso dei medici. 
Questi ultimi hanno contestato un inadempimento della controparte e hanno chiesto, quindi, il pagamento di ciò che sarebbe stato loro dovuto, esercitando un'azione di esatto adempimento. 
Si esula , pertanto, a strett o rigore, dalla questione del recesso e, quindi , dall'ambito dell'art. 2237 A prescindere da ciò, si evidenzia, poi, che l'### chiede, nella sostanza, di chiarire se l'art. 5 dell'Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni per il quadriennio 2006-2009 deroghi o meno al disposto dell'art. 2237 c.c., integrandolo nel senso di stabilire in quali casi detto recesso è possibile. 
Al riguardo, si osserva che l'art. 4 d i detto ### collettivo nazionale, denominato ### operativa: riorganizzazione degli orari e mobilità, prescrive, al comma 1, che: “Ferma restando la garanzia, in via generale, del mantenimento dell'orario complessivo di incarico dello specialista, fatta salva la verifica annuale di cui al successivo art. 16, comma 6, al fine del migliore funzionamento del ### l'### può adottare provvedimenti di flessibilità operativa anche temporanea come di seguito specificato”. 
Il successivo art. 5, invece, intitolato significativamente “### o soppressione dell'orario - ### dell'incarico”, recita che: “In caso di persistente contrazione del numero degli infortuni e delle malattie professionali o delle richieste di attività specialistiche afferenti i compiti affidati all'### - documentata attraverso le statistiche sanitarie rilevate nell'arco di un anno e secondo il numero delle prestazioni sanitarie erogate e dei parametri di ponderazione delle stesse di cui all'art. 16, comma 6 - nell'impossibilità di dare corso alle misure di flessibilità operativa di cui all'art. 4, l'### nella figura del Dirigente Responsabile de lla ### che ha conferito l'incarico, può disporre la riduzione o la soppressione dell'orario di attività di uno specialista, dandone comunicazione all'interessato.  ### provvedimento di riduzione o di revoca di cui al comma 1 ha comunque effetto non prima di 45 giorni dalla comunicazione. 
Avverso la decisione dell'### l'interessato può proporre ricorso al ### di cui alla norma particolare n. 2 entro 15 giorni dal ricevimento della relativa comunicazione scritta.  ### ha effetto sospensivo sull'adozione del provvedimento. 
Il Comit ato ### decide sull'op posizione sentito l'interessato e pre vio parere del ### di cui all'art. 11 da esprimersi entro 30 giorni dalla richiesta. 
Lo specialista può chiedere la riduzione dell'orario di attività in misura non superiore alla metà delle ore di incarico assegnate, con un preavviso non inferiore a 60 giorni. Una successiva richiesta potrà essere presentata solo dopo un anno dalla data di decorrenza dell'orario ridotto”. 
Dalla lettura delle disposizioni risulta, innanzitutto, che la contrattazione in esame ha introdotto all'art. 4 una garanzia generale di mantenimento dell'orario complessivo di incarico dello specialista. 
Inoltre, l'art. 5, comma 1, ha precisato le circostanze in presenza delle quali è possibile, per l'### ridurre o sopprimere l'orario di attività di uno specialista (ossia, “In caso di persistente contrazione del numero degli infortuni e delle malattie professionali o delle richieste di attività specialistiche afferenti i compiti affidati all'### - documentata attraverso le statistiche sanit arie rile vate nell'arco di un anno e secondo il numero delle prestazioni sanitarie erogate e dei parametri di p onderazione delle stesse di cui all'art. 16, comma 6 - nell'impossibilità di dare corso alle misure di flessibilità operativa di cui all'art. 4 (…)”). 
Nessun ambito di applicazione vi è, quindi, ove voglia discutersi di riduzioni o soppressioni dell'orario di attività in esame, per l'art. 2237 Una volta chiarito ciò, deve sottolinearsi che la corte territoriale ha accertato, comunque, che non era stato rispettato il procedimento previsto dal citato art.  5 e che non ne ricorrevano i presupposti di applicazione.  ### alla contestazione di parte ricorrente concernente l'infondatezza della domanda del medico di ripristino, anche parziale, del rapporto, si osserva che, nella specie, la corte territoriale non ha concesso una non prevista tutela reale delle ragioni dei lav oratori, ma, semplicement e, ha riattivato il corret to svolgimento del rapporto di lavoro autonomo in corso fra le parti, interrotto dall'inadempimento della medesima ### 2) Con il secondo motivo l'### contesta la violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost., dell'art. 115 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c. in quanto esso avrebbe effettuato le rilevazioni previste dall'art. 5 del citato ### collettivo. La corte territoriale avrebbe pure ripartito in maniera non corretta l'onere della prova, siccome veniv a in rilievo un rappo rto di lavoro autonomo, con la conseguenza che i fatti in base ai quali si sarebbe proceduto a ridurre l'orario di lavoro sarebbero state le prestazioni degli stessi medici interessati e che, quindi, questi ultimi avrebbero dovuto provare la non veridicità delle rilevazioni citate. 
Inoltre, i detti medici non avrebbero contestato siffatte rilevazioni. 
Infine, sarebbe stato dato troppo peso alle dichiarazioni del dott. ### La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata. 
Risulta inammissibile con riferimento al dedotto compimento delle rilevazioni previste dall'art. 5 del citato ### collettivo. 
Infatti, l'### non ha criticato in maniera puntuale la sentenza della Corte di appello di Genova ove questa ha accertato, alle pagine da 8 a d 11, l'inattendibilità in concreto degli accertamenti effettuati sulla base dei parametri di un ### adottato in epoca successiva al periodo in valutazione. Tale inattendibilità era stata riconosciuta, peraltro, ad avviso del giudice di secondo grado, dalla stessa P.A., che aveva operato una correzione ex post dei dati, “integrandoli in forma presuntiva”.  ### al princip io di no n contestazione, parte ricorrente ha fatto delle considerazioni estremamente generiche, senza riportare le difese sul punto dei medici interessati. 
Per ciò che concerne il dott. ### si osserva che è il giudice del merito l'unico legittimato a stabilire il peso da dare alle prove legittimamente acquisite agli atti. 
Infine, il motivo è infondato per quel che interessa la ripartizione dell'onere della prova, atteso che, venendo in rilievo un'azione di esatto adempimento, trova applicazione il principio per il quale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). 
Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al credito re istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come q uello di informazione, ovvero p er mancata osservanza dell'ob bligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001).  3) Con il terzo motivo l'### contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. nell'interpretazione del menzionato ### collettivo e dei successivi ### del 20 dicembre 2012 e del 17 luglio 2013 in quanto sarebbe stata priva di fondamento l'affermazione della corte territoriale in ordine alla retroatt ività del nuovo sistema di ponderazione. Detto nuovo si stema, comunque, avrebbe favorito i medici. Inoltre, avrebbe dovuto tenersi conto che l'amministrazione non aveva alcun obbligo di implementare i turni esistenti. 
La dog lianza è inammissibile per le ragioni che ha nno condotto alla dichiarazione di inammissibili tà del p rimo motivo e perché l'### non si confronta con l'affermazione dell a Corte d'appello di Genova in ordine all'inattendibilità in concreto del nuovo ### 4) Il ricorso è rigettato. 
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tranne che nei confronti di ### il quale è rimasto intimato. 
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, legge 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo, per la parte ricorrente, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato p ari a quello dovuto per l'impug nazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).  P.Q.M.  La Corte, - rigetta il ricorso; - condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lit e in favore dei controricorrenti, che liquida in € 7.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari; - dà atto che sussiste l'obbligo per la parte ricorrente, ai sensi dell'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata, se dovuto. 
Così deciso in ### nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 19  

Giudice/firmatari: Di Paolantonio Annalisa, Cavallari Dario

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Tribunale di Bari, Sentenza n. 3061/2024 del 26-06-2024

... ha specificato che in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice (leggi tutto)...

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I ### iscritta al n. 19568/2014 RG, avente ad oggetto “responsabilità professionale”, promossa da: ### con il patrocinio dell'avv. #### contro ### S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. #### nonché contro ### con il patrocinio dell'avv. ### Convenuto nonché contro ### con il patrocinio dell'avv. ### Convenuto Conclusioni: come da note depositate per l'udienza del 26.6.2024 - sostituita dal deposito di note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. - quivi da intendersi integralmente trascritte.  MOTIVI DELLA DECISIONE Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45 c. 17 L. n. 69/2009. 
Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. 
Con atto di citazione notificato in data #### ha convenuto in giudizio la ### di ### S.p.A., il Dr. ### ed il Dr. ### per l'udienza del 30.4.2015 per sentirli condannare in via esclusiva o in solido tra loro ed ognuno per quanto di sua competenza, previo accertamento della loro responsabilità, al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti nella misura di euro 44.695,90 o di quella maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria. 
A sostegno della domanda, l'attrice ha dedotto che: - in data ###, lamentando una amenorrea di sei settimane e 3 giorni e temendo di essere in stato di gravidanza, ella si rivolgeva al ### della ### presso la ### di ### per essere sottoposta a visita; in tale occasione veniva eseguita ecografia transvaginale che confermava una gravidanza corrispondente a sei settimane e conseguentemente la predetta attrice chiedeva di essere sottoposta ad interruzione volontaria di gravidanza (d'ora in poi I.V.G.); - in data ###, previo ricovero, l'attrice veniva sottoposta ad istero-suzione; stante il persistere e l'aggravarsi di intense algie pelviche, in data ### veniva ricoverata d'urgenza presso la medesima struttura, dove veniva eseguita ecografia da cui emergeva la presenza di una camera gestazionale; gli esami ematochimici evidenziavano un peggioramento dello stato di anemia ed una emorragia endoaddominale in atto; - in data ###, poiché i valori dei GR diminuivano ulteriormente, i sanitari effettuavano intervento urgente di “salpingectomia dx laparoscopica” con emotrasfusione; - in data ### l'attrice veniva dimessa; - alla luce di quanto innanzi, l'attrice veniva sottoposta in via d'urgenza, a causa di una gravidanza ectopica, ad una salpingectomia dx; i sanitari sono stati palesemente negligenti specie nella fase preI.V.G; la gravidanza extrauterina è sì un evento eccezionale ma è altrettanto possibile ed un'ecografia totale avrebbe potuto diagnosticarla al fine di evitare l'esame celioscopico; - in virtù di tali elementi, sarebbe ravvisabile la negligente ed imperita condotta professionale dei medici e della struttura sanitaria che avevano avuta in cura l'attrice, per non aver diagnosticato prima e/o durante l'intervento di I.V.G. la presenza di una gravidanza extrauterina in atto; nella specie al dr. ### è contestato di aver omesso di vigilare e controllare sull'operato dell'ecografista-ginecologo, mentre al dr. ### è contestato l'omesso rilievo della presenza di una gravidanza uterina ed extrauterina, obbligando l'attrice a sottoporsi ad un intervento salvavita di salpingectomia, più invasivo e demolitivo, rispetto al raschiamento tubarico, esperibile qualora la diagnosi fosse stata tempestiva, determinando la riduzione della propria fertilità di oltre il 50%, attesa la giovane età (33 anni) al momento dell'I.V.G., un danno biologico del 12% nonché un danno biologico temporaneo di sessanta giorni (I.T.T.) e di novanta giorni (I.T.P.), aumentabile fino al 28% tenuto conto del grave pregiudizio di natura non patrimoniale subito (stress psico-fisico, danno esistenziale), oltre interessi e svalutazione monetaria.  ### di ### S.p.A. si è costituita in data ###; essa ha eccepito la nullità dell'atto di citazione per omesso avvertimento ex art. 163 c. 3 n. 7 c.p.c. e ha contestato la prospettata responsabilità nella causazione dei fatti di causa e dei pregiudizi lamentati, rilevando che quanto eventualmente subito dalla ### presentava i caratteri della imprevedibilità ed imprevenibilità, spiegando domanda di regresso e/o rivalsa condizionata all'accertamento della colpa grave del dr. ### sanitario dipendente che ebbe in cura l'attrice e di conseguenza disporre la condanna dello stesso alla restituzione di tutte le somme che la ### di ### dovesse essere condannata a pagare all'odierna attrice, nonché spiegando domanda di regresso e/o rivalsa nei confronti del sanitario dr. ### non legato alla ### di ### da alcun rapporto di lavoro subordinato, condannando lo stesso alla restituzione di tutte le somme che dovesse essere tenuta a pagare all'odierna attrice. 
Inoltre, la convenuta, riguardo al quantum, ha contestato le richieste risarcitorie poiché non provate e spropositate.  ### si è costituito l'8.4.2015, contestando la domanda attorea in ordine all'an e al quantum. In particolare, ha escluso la propria responsabilità, evidenziando di aver eseguito il solo intervento di I.V.G. in forza di quanto diagnosticato nella fase di “prericovero”, a cui non aveva partecipato, e di aver agito con la dovuta diligenza in ossequio alla normale procedura chirurgica; inoltre, egli ha dedotto che l'errata diagnosi non poteva essere riscontrata né durante né dopo l'intervento di I.V.G., per le modalità in cui viene eseguito detto intervento, e che, quantunque la gravidanza extra-uterina fosse stata tempestivamente diagnosticata, comunque sarebbe stato eseguito intervento di salpingectomia, poiché la scienza medica all'epoca sconsigliava, al fine di non sottoporre la paziente ad ulteriori rischi, l'intervento di salpingotomia, fermo restando che il trattamento di metotrexato è stato introdotto solo nel 2008 in ### inoltre, in ordine al quantum, egli ha contestato l'entità ed i criteri di calcolo per la loro quantificazione.  ### si è costituito il ###, eccependo la nullità dell'atto di citazione per mancato avvertimento ex art. 163 c. 3 n. 7 c.p.c. per cui ha chiesto la fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini. 
Alla I udienza del 6.5.2015, a seguito dell'eccepita nullità della citazione ai sensi dell'art.  163 c. 3 n. 7 c.p.c, è stata fissata la nuova udienza del 7.10.2015 ai sensi dell'art. 164 c.p.c. 
Con memoria di costituzione depositata il #### ha contestato la domanda attorea in quanto infondata, deducendo l'assenza assoluta di colpa professionale e specificando di aver eseguito alla ### ecografia alla sesta settimana circa, ovvero in epoca in cui è difficilmente riscontrabile l'individuazione del battito cardiaco ed ancor più la presenza della camera gestazionale extrauterina in mancanza di un apparecchio ecografico sofisticato, con la conseguenza che l'evenienza subita dalla ### presentava i caratteri dell'imprevedibilità e della imprevenibilità, in quanto l'attrice non presentava né livelli di HCG (gonadotropina corionica) più bassi del normale, né dolori al basso ventre, né tantomeno sanguinamenti irregolari che potessero far pensare alla presenza di una gravidanza eterotopica. 
La causa è stata istruita con l'interrogatorio formale dell'attrice e C.T.U. medico legale e, all'esito, è stato disposto il rinvio per la decisione nelle forme di cui all'art. 281 sexies c.p.c. 
In via preliminare, va osservato che la causa è matura per la decisione. 
Scendendo al merito della questione, va osservato quanto segue. 
Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo latu sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze; ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto (cfr., ex multis, Cass. n. 18610/2015; n. 13953/2007). 
I fatti di causa risalgono al 2006, ossia anteriormente all'entrata in vigore (dal 1.1.2013) del D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1 come modificato dalla legge di conversione 189/2012 e anteriormente all'entrata in vigore (dal 1.4.2017) della L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che le norme sostanziali contenute nella L.  n. 189/2012 (c.d. Legge Balduzzi), al pari di quelle di cui alla L. n. 24/2017 (c.d. Legge GelliBianco), non hanno portata retroattiva e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, a differenza di quelle che, richiamando gli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni private in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi (cfr. Cass. n. 28994/2019); inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in ogni caso, l'art. 3 c. 1 D.L. n. 158/2012, come modificato dalla L. n. 189/2012 (come visto comunque inapplicabile nella specie), nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve" e fermo restando in tali casi "l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile", non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve (cfr. Cass. n. 8940/2014). 
Configurata in termini contrattuali la predetta responsabilità, di recente la giurisprudenza di legittimità ha specificato che in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione (cfr. Cass. n. 28991/2019; in senso conforme, n.18102/2020; n. 26907/2020). 
Nella specie, risulta incontestato che ### si sia rivolta per le cure del caso presso la ### di ### come peraltro desumibile dalla documentazione allegata all'atto di citazione; inoltre, ella ha allegato il nesso causale tra la condotta dei sanitari e la lesione del bene salute a mezzo di C.T.P. a firma del Dott. ### e cartelle cliniche depositate in atti (cfr. all.ti nn. 1-3 del fascicolo attoreo). 
Dirimente è la C.T.U. svolta nel presente giudizio dalla dott.ssa ### depositata il ### e successivamente integrata il ###, che ha consentito di accertare i seguenti aspetti: - in data ### i sanitari della ### di ### di ### che effettuarono l'esame ecografico e la visita della paziente omisero di porre diagnosi di gravidanza extrauterina tubarica e la sottoposero ad una inutile istersuzione; tanto comportò un ritardo diagnosticoterapeutico che si risolse nella rottura della tuba destra, con consensuale emorragia addominale ed intervento di salpingectomia d'urgenza; non vi erano preesistenze che abbiano avuto un ruolo causale e/o concausale nell'evento; gli attuali disturbi lamentati sono da ricondursi all'errato operato dei succitati sanitari; - la diagnosi di gravidanza extrauterina può non essere di immediata risoluzione, ma risulta ampiamente effettuata dagli specialisti nel campo ginecologico-ostetrico; - la paziente è attualmente affetta da una condizione di assenza della salpinge destra; per tale danno biologico è riconosciuta una percentuale massima dell'8% (### 2016); nella prospettiva medico-legale, a fronte di una condotta dei sanitari non conforme, nessun elemento può essere d'aiuto nell'indicare quale sarebbe stata nel concreto l'evoluzione che si sarebbe realizzata; in tal senso quindi, non potendosi fornire dati di tipo probabilistico, quel che può affermarsi è che l'omissivo comportamento ha privato la ###ra ### di possibilità terapeutiche; tanto in termini operativi si traduce nel realizzarsi di una perdita di chance; inoltre se da un lato non risultano documentate concrete problematiche di tipo psichiatrico depressivo, sicuramente la condizione di pericolo vissuta, l'ulteriore intervento chirurgico e la successiva perdita della tuba, hanno avuto ed hanno ancora oggi un significativo risvolto negativo esistenziale; al fine pertanto di modulare adeguatamente l'entità del danno conseguenza, bisognerà tener conto della menomazione attualmente patita, della sua incidenza nell'ambio del più ampio alveo esistenziale del soggetto, ma si dovrà altresì relativizzare il computo alla reale percentuale di danno da perdita di chance, ovvero a quanto è addebitabile all'operato dei sanitari della ### di ### di ### elemento di certezza è invece rappresentato dal periodo di incapacità temporanea totale e parziale patita dalla ricorrente a causa dell'errore sanitario; su di esso è doveroso effettuare un calcolo differenziare per giungere a considerare il maggior danno conseguente all'errato operato dei sanitari; può quindi motivatamente prospettarsi che la incapacità temporanea totale si sia protratta per un periodo pari a complessivi 4 giorni (durante i quali la paziente fu degente presso la ### di ### per le complicanze del quadro dovute al ritardo diagnostico), mentre la incapacità temporanea parziale possa essere considerata di ulteriori 15 giorni al 50%; - i singoli sanitari dr. ### e dr. ### sono da considerarsi egualmente corresponsabili (50% - 50%) nella causazione degli eventi oggetto di causa; in particolare, il dr. ### diagnosticò erroneamente, in data ###, come camera gestazionale intrauterina quella che, invece, era una reazione deciduale consensuale e tanto senza misurare, come sarebbe stato doveroso, il sacco vitellino ed il polo embrionario, rilievi tecnici che permettono di dirimere la diagnosi, e che, per ovvie logiche patogenetiche (trattandosi di reazione deciduale), non potevano essere misurati; il dr. ### senza controllare il precedente dato ecografico, pur avendone l'obbligo, oltre che le competenze tecniche, effettuò l'intervento chirurgico di isterosuzione (10.7.2006); di seguito (16.7.2006) si verificò in capo all'attrice, quindi, per il progredire di una gravidanza ectopica (non considerata dai ###, un emoperitoneo da rottura della tuba uterina; il grado di colpa, in entrambi i casi, tuttavia, non assurge a colpa grave, nonostante i due sanitari coinvolti si distaccarono (almeno in parte, per quanto sopra descritto) dal comportamento doveroso così come individuato dalle ### valide all'epoca dei fatti [### 2006] ovvero dalle buone pratiche clinico - assistenziali. 
Alla luce di tanto, il danno patito dall'attrice - assenza della tuba destra - è da ricondursi causalmente alla condotta del dr. ### e dr. ### per avere questi omesso di diagnosticare una gravidanza extrauterina ed eseguito un'operazione chirurgica che ha comportato per la paziente un aggravamento della propria condizione clinica, senza aver avuto la possibilità di eseguire un intervento chirurgico di tipo conservativo e/o meno demolitivo che poteva (e doveva) essere proposto in prima istanza, in occasione del primo ricovero, ritenendosi, conseguentemente, soddisfatto il nesso eziologico tra danno lamentato e condotta dei medici, al fine dell'accoglimento della domanda, il tutto fermo restando che i convenuti non hanno dimostrato la sussistenza di cause imprevedibili ed inevitabili in ordine all'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione. 
Affermata la responsabilità in parte qua, occorre procedere alla liquidazione dei danni (c.d.  aestimatio). 
Il C.T.U. nell'elaborato peritale ha concluso per la sussistenza di un danno biologico permanente valutabile nella misura dell'8% in relazione perdita anatomica o funzionale di una salpinge in età fertile, un danno biologico temporaneo pari a 4 giorni al 100% e 15 giorni al 50%. 
Per la quantificazione dei postumi tanto permanenti quanto temporanei deve applicarsi l'art. 7, comma 4, della l. n. 24 del 2017, sostanzialmente riproduttivo dell'art. 3, comma 3, del d.l.  158 del 2012 (convertito dalla l. n. 189 del 2012) - il quale prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 (### delle assicurazioni private) per le lesioni entro il 9% - ed applicabile “anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul "quantum"), in quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno” (cfr. Cass. 28990/2019). 
In applicazione, dunque, delle citate tabelle (come da ultimo aggiornate) - considerati l'età (33 anni) dell'attrice al momento del fatto e i punti d'invalidità riconducibili all'evento lesivo (8%) - va liquidato il danno biologico da invalidità permanente in complessivi euro 13.972,65; a tale importo va aggiunto il danno temporaneo pari a complessivi euro 630,20; il tutto, per un totale di euro 14.602,85. 
Nessuno incremento a titolo di personalizzazione può invece essere riconosciuto all'attrice, atteso il difetto di specifiche allegazioni che possano giustificarla, né sono emerse o sono state provate, nel caso di specie, circostanze peculiari tali da giustificare, in un'ottica di personalizzazione del danno, un ulteriore incremento dei predetti importi. 
Come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, il grado di invalidità permanente espresso da un baréme medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima; pertanto, una volta liquidato il danno biologico convertendo in denaro il grado di invalidità permanente, una liquidazione separata del danno estetico, alla vita di relazione, alla vita sessuale, è possibile soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate nonché provate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età (cfr. Cass. n. 28988/2019; 7513/2018; n. 24471/2014), nella specie non provate. 
Né può essere meritevole di accoglimento il danno da riduzione della fertilità, inquadrabile nell'ambito del danno di natura morale/psicologico ed esistenziale e risolvibile in chiave di personalizzazione del danno biologico. 
È pur vero che l'attrice a causa dell'asportazione della tuba destra potrà incontrare possibili difficoltà nella procreazione, sebbene non ancora concretamente accertate. 
Tuttavia, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento (cfr., ex multis, Cass. n. 5865/2021). 
Orbene, relativamente al caso di specie, non risulta che l'attrice abbia assolto a tale onere di circostanziata allegazione, né a tal fine possono soccorrere le indicazioni del C.T.U. (la quale ha rappresentato una sofferenza della paziente a seguito degli eventi oggetto di causa), atteso che, da un lato, compito del perito è esclusivamente di valutare la sussistenza di un errore da parte dei sanitari, e, dall'altro, spettava all'attrice dimostrare la sussistenza di una significativa sofferenza interiore e/o il radicale cambiamento delle ordinarie abitudini di vita in ambito endofamiliare e nelle relazioni sociali: sul punto, va rilevato che non risultano avanzate richieste istruttorie in tal senso da parte dell'attrice e che la C.T.U. non può essere utilizzata per colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa una delle parti o per alleggerirne l'onere probatorio, non potendo la parte, infatti, sottrarsi all'onere probatorio di cui è gravata ai sensi dell'art. 2697 c.c., e pensare di poter rimettere l'accertamento dei propri diritti all'attività del consulente (cfr., ex multis, Cass. n. 19631/2020; n. ###/2019). 
Pertanto, in favore dell'attrice va riconosciuto solo il danno biologico, temporaneo e permanente, come sopra liquidati. 
Sulla somma come sopra liquidata non può riconoscersi la rivalutazione monetaria poiché la misura del risarcimento è già espressa in valori attuali, mentre vanno riconosciuti gli interessi legali, previa devalutazione al momento del fatto (luglio 2006) e rivalutazione di anno in anno secondo gli indici ### dal fatto alla data della presente pronuncia (cfr. Cass. n. 1712/1995). 
Alla luce di tanto, i convenuti ### di ### S.p.A., ### e ### vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento in favore dell'attrice della complessiva somma di euro 14.602,85, oltre interessi legali nella misura sopra indicata. 
Passando alla domanda di rivalsa proposta dalla ### di ### nei riguardi dei convenuti ### e ### va osservato che la domanda è solo parzialmente fondata e va accolta nei limiti di cui innanzi. 
Va preliminarmente rilevato che nella specie non trova applicazione l'art. 9 della legge 24/2017 (che limita la rivalsa ai casi di dolo o colpa grave), norma sopravvenuta rispetto ai fatti di causa e allo stesso giudizio. 
Sul punto dev'essere, invero, evidenziato che secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità “in tema di azione di rivalsa nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria ed il medico la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione” ( 28987/2019). 
A fondamento del decisum la Suprema Corte ha osservato come “il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l'attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente isolata dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante, mentre il già citato art. 1228, cod. civ., fonda, a sua volta, l'imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell'obbligazione di decidere come provvedere all'adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d'impresa ("cuius commoda eius et incommoda") ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell'esecuzione di prestazioni complesse”. 
In altri termini, a parere della Suprema Corte, se la struttura si avvale della "collaborazione" dei sanitari persone fisiche (utilità) si trova del pari a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati ###: la responsabilità di chi si avvale dell'esplicazione dell'attività del terzo per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non già in una colpa "in eligendo" degli ausiliari o "in vigilando" circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione (Cass. 6243/2015), realizzandosi l'avvalimento dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino ( Cass. n. 12833/2014). 
Ne discende l'impredicabilità di un diritto di rivalsa integrale della struttura nei confronti dei medici, in quanto, diversamente opinando, l'assunzione del rischio d'impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d'insolvibilità del medico così convenuto dalla stessa. 
Alla luce di quanto innanzi e ferma la circostanza che la ### di cura non ha dimostrato un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza dei sanitari dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione, la domanda di rivalsa proposta dalla ### di ### va astrattamente accolta nei limiti del 50% di quanto la struttura sarà tenuta a corrispondere in favore dell'attrice, essendosi raggiunta la prova della responsabilità paritaria dei sanitari ### e ### nella determinazione dell'evento lesivo in questione. 
Avendo la struttura sanitaria richiesto l'accoglimento della rivalsa nei confronti del dr. ### solo in caso di “colpa grave” (cfr. comparsa di costituzione e risposta) ed essendosi accertato che nella specie non vi fu colpa grave (cfr. C.T.U.), la domanda di rivalsa nei confronti del dr.  ### deve essere rigettata. 
Con riguardo al dott. ### avendo la struttura richiesto la rivalsa senza specificazione del grado di colpa e sul presupposto che egli non fosse legato alla struttura da un rapporto di lavoro subordinato, la domanda è accoglibile nei limiti che seguono. 
Posto che il 50% della somma da versare all'attrice è comunque da porsi in capo alla struttura sanitaria, quest'ultima a titolo di rivalsa ha diritto a vedersi riconosciuta da parte del dott.  ### la quota parte del restante 50%, ossia il 25%, vista la paritaria responsabilità dei sanitari nella causazione del danno. 
Quanto alle spese processuali, va osservato che: - nei rapporti tra l'attrice ed i convenuti, le spese seguono la soccombenza solidale di questi ultimi ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come da dispositivo in base al D.M. n. 55/2014 e ss.mm.ii. (per il giudizio di merito: tabella n. 2; valori medi dello scaglione n. 3, in considerazione del decisum; per la fase della mediazione: tabella n. 25 bis; valori medi dello scaglione 3, in considerazione del decisum; con esclusione della voce di compenso relativa alla conciliazione, nella specie mancante); - nei rapporti tra la ### di ### ed i sanitari ### e ### in ragione dell'accoglimento soltanto parziale della domanda di manleva e dell'intervento chiarificatore sulla rivalsa da parte della Suprema Corte avvenuto nel 2019 dopo l'introduzione del presente giudizio, le spese vanno integralmente compensate ex art. 92 c.p.c; - le spese di C.T.U., già liquidate con decreti depositati il ### ed il ###, vanno definitivamente ed integralmente poste a carico dei convenuti nella misura di 1/3 cadauno.  P.Q.M.  il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, ogni contraria o diversa istanza o deduzione disattesa, così provvede: - in parziale accoglimento della domanda attorea, accerta e dichiara la responsabilità della ### di ### S.p.A., di ### e di ### in ordine ai fatti di causa, e, per l'effetto, condanna ### di ### S.p.A., ### e ### in solido tra loro, a risarcire in favore di ### la complessiva somma di euro 14.602,85 a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi legali come da parte motiva; - rigetta nel resto le domande attoree; - in parziale accoglimento della domanda di manleva formulata da ### di ### S.p.A. nei confronti di ### condanna ### a corrispondere in favore di ### di ### S.p.A. il 25% di quanto questa dovrà pagare in favore di ### in virtù della presente sentenza; - rigetta nel resto la domanda di manleva formulata da ### di ### S.p.A. nei confronti di ### e rigetta la domanda di manleva formulata da ### di ### S.p.A. nei confronti di ### - condanna ### di ### S.p.A., ### e ### in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali in favore di ### liquidate in euro 6.400,00 per compensi professionali ed in euro 611,90 per esborsi documentati, oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A., se dovuta, come per legge, da versarsi direttamente in favore del difensore, dichiaratosi anticipatario; - compensa integralmente le spese di lite nei rapporti tra ### di ### S.p.A., da un lato, e ### e ### dall'altro; - pone le spese di C.T.U. definitivamente a carico di ### di ### S.p.A., ### e ### nella misura di 1/3 cadauno. 
Manda alla ### per gli adempimenti di competenza.  ### 26.6.2024 ### D'### n. 19568/2014

causa n. 19568/2014 R.G. - Giudice/firmatari: D'Amore Nicola Antonio

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Tribunale di Roma, Sentenza n. 6528/2024 del 04-06-2024

... dell'onere probatorio in materia contrattuale, rispetto alla quale in dottrina e giurisprudenza erano affiorate soluzioni variegate e differenziate. Al fine di dirimere il contrasto interpretativo esistente in seno anche alla giurisprudenza di legittimità, ed assicurare così la funzione nomofilattica, le ### della Suprema Corte hanno affermato il principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che agisca per la risoluzione, che per l'esatto adempimento, che per il risarcimento del danno, l'attore si può limitare a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento, mentre grava sul convenuto dimostrare l'esatto adempimento, cioè il pagamento dell'importo dovuto, così estinguendo il diritto azionato, ovvero l'impossibilità sopravvenuta a sé non imputabile (cfr., (leggi tutto)...

REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI ROMA ### IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giudice, dott. ### visto l'art. 429 c.p.c., udita la discussione orale, dà lettura della seguente s e n t e n z a nella causa iscritta al n. ###/2022 R.G. controversie lavoro promossa da ### rappresentato e difeso dall'avv. ### per procura allegata al ricorso, - ricorrente contro ### s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. ### per mandato in calce alla memoria di costituzione, e I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. ### giusta procura alle liti del 23 gennaio 2023 a rogito notaio ### di ### - resistenti - OGGETTO: rapporto di lavoro subordinato - differenze retributive e contributive.  CONCLUSIONI: per le parti, come nei rispettivi atti difensivi e nel verbale di udienza del 4 giugno 2024. 
FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato il 13 ottobre 2022 il ricorrente in epigrafe ha convenuto in giudizio la ### s.r.l. e l'Inps, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, esponendo: - di avere prestato attività lavorativa subordinata alle dipendenze della convenuta dall'1 aprile 2017 all'8 aprile 2022, data delle dimissioni per giusta causa; - di essere stato inquadrato nel 6° livello del C.C.N.L. Pubblici esercizi, con la qualifica di commis di sala; - di avere, per contro, svolto fin dall'inizio mansioni di cameriere, con diritto all'inquadramento nel 4° livello della contrattazione collettiva applicata al rapporto; - di avere reso la prestazione lavorativa presso il ristorante “La Capricciosa”, gestito dalla resistente e ubicato in ### largo dei ### 8; - di essere stato assunto con contratto di lavoro a tempo pieno, ma di avere osservato costantemente un orario lavorativo superiore a quello ordinario, specificamente articolato dalle 10:00 alle 16:00 e dalle 18:30 alle 24:00 per sei giorni a settimana; - di avere percepito esclusivamente il trattamento retributivo indicato in busta paga, inferiore a quanto a lui spettante in ragione della qualità e della quantità delle mansioni disimpegnate; - di avere diritto al ricalcolo delle retribuzioni percepite in ragione del livello di inquadramento a lui spettante, nonché all'indennità per il lavoro straordinario espletato: - di avere subito a partire da dicembre 2021 una decurtazione del trattamento economico percepito, sull'inveritiero presupposto, emergente dalle buste paga, secondo cui egli avrebbe osservato un orario lavorativo inferiore rispetto a quello prestato in precedenza; - di essersi dimesso per giusta causa, con diritto all'indennità sostitutiva del preavviso e al risarcimento del danno, dovendosi equiparare le dimissioni per giusta causa al licenziamento senza giusta causa; - di non avere percepito il t.f.r., nemmeno per l'importo, riconosciuto dallo stesso datore di lavoro, di € 5.955,46; - di avere maturato un credito, per i titoli retributivi meglio indicati nel conteggio predisposto in seno al ricorso, di importo pari a € 70.050,81, al cui pagamento ha chiesto la condanna del datore di lavoro. 
Alla stregua di queste premesse, il ricorrente ha formulato le seguenti conclusioni: “A) in via preliminare, in relazione al TFR come risultante dalle buste paga in atti, emettere ordinanza ex art. 423 c.p.c. di ingiunzione del credito non contestato pari ad € 5.955,46; B) nel merito: accertare e dichiarare che a decorrere dal 01/04/2017 al 08/04/2022 o nel diverso periodo che verrà accertato in corso di causa, tra il ricorrente ed la società convenuta è intercorso un rapporto di lavoro subordinato e che il ricorrente aveva diritto ad essere inquadrato ### nel 4° livello del ### per i dipendenti da pubblici esercizi o in quel diverso livello accertato in corso di causa o ritenuto di giustizia ed a percepire il relativo trattamento economico, se del caso ex art. 36 della ### e comunque un trattamento superiore a quello di fatto corrispostogli; C) conseguentemente e comunque condannare la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente, per i titoli risultanti da conteggio allegato, della somma di € 70.050,81 o di quell'altra maggiore o minore che risulterà accertato in corso di causa o comunque ritenuta di giustizia; D) condannare la società convenuta a regolarizzare presso l'### - ### della ### la posizione contributiva del ricorrente per i periodi di irregolare contribuzione, oltre sanzioni ed interessi come per legge o, in subordine, condannare la convenuta in favore del ricorrente, a titolo di risarcimento del danno per mancata contribuzione previdenziale, ad un importo pari all'omessa contribuzione, se del caso anche in via equitativa, ex art. 432 c.p.c., o tramite CTU contabile; ### E) ### accertare e dichiarare la giusta causa delle dimissioni del lavoratore e per l'effetto condannare la società convenuta al risarcimento del relativo danno nella misura di sei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, ovvero nella diversa misura che risulterà accertato in corso di causa o comunque ritenuta di giustizia oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; F) condannare la società convenuta a corrispondere al ricorrente la somma complessiva di € 11.360,98, a titolo di trattamento di fine rapporto di cui € 9.552,55 a titolo di T.F.R. e € 1.808,43 a titolo di indennità di mancato preavviso, come risultante dal conteggio in calce o di quell'altra maggiore o minore che risulterà accertato in corso di causa o comunque ritenuta di giustizia; G) condannare la società convenuta a corrispondere al ricorrente, su tutte le somme che risulteranno dovute, i danni da svalutazione monetaria e gli interessi sulle somme via via rivalutate da quando spettava, ex art. 429 c.p.c.. 
H) Con vittoria di spese e compensi di giudizio, oltre spese generali (15%), ### IVA come per legge, da liquidarsi in favore del procuratore antistatario”. 
Ritualmente instaurato il contraddittorio, si è costituita in giudizio la società resistente, contestando la fondatezza delle domande e chiedendone il rigetto. 
Si è altresì costituito l'### previdenziale, rappresentando la propria estraneità ai fatti di causa e chiedendo, qualora dall'istruttoria emergano elementi tali da configurare la fondatezza delle ragioni di parte ricorrente, di dichiarare e accertare che il datore di lavoro è tenuto a versargli la contribuzione che dovesse risultare per dovuta nel corso del giudizio, nel limite dei termini prescrizionali di cui all'art. 3 della legge n. 335/1995, oltre oneri accessori, come per legge. 
All'udienza del 30 marzo 2023 è stata disposta nei confronti della ### s.r.l., in via provvisoria, ordinanza di pagamento, ex art. 423 c.p.c., per l'importo di 5.955,46, dovuto a titolo di t.f.r. 
La causa è stata istruita con l'acquisizione dei documenti prodotti e con prova orale. 
Indi, assegnato termine per il deposito di note scritte, sulle conclusioni delle parti, di cui ai rispettivi atti difensivi e al verbale di udienza del 4 giugno 2024, la controversia è stata decisa.  2. Così ricostruito l'iter processuale, il ricorso è parzialmente fondato e va accolto nei termini che seguono. 
Non sussiste contestazione tra le parti in merito alla sussistenza del rapporto di lavoro subordinato nel periodo dedotto in ricorso, né l'applicazione del C.C.N.L. Pubblici esercizi, sulla base delle cui previsioni - come peraltro risulta anche dalle buste paga - è stata attribuita al lavoratore la qualifica di commis di sala e il 6° livello di inquadramento.  ### del contendere, invero, concerne la tipologia di mansioni effettivamente espletate dal lavoratore, che secondo quanto prospettato in ricorso sarebbero state di cameriere di ristorante, con conseguente diritto al riconoscimento del superiore 4° livello, nonché l'orario di lavoro espletato, avendo la parte datoriale fermamente contestato quello indicato nell'atto introduttivo del giudizio e, in ogni caso, il superamento dei limiti ordinari della prestazione lavorativa resa.  3. Con riferimento a quest'ultimo profilo, il giudice di legittimità ha ormai univocamente chiarito che “Il lavoratore che agisca per ottenere il compenso per il lavoro straordinario ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre l'orario normale di lavoro e, ove egli riconosca di aver ricevuto una retribuzione ma ne deduca l'insufficienza, è altresì tenuto a provare il numero di ore effettivamente svolto, senza che eventuali - ma non decisive - ammissioni del datore di lavoro siano idonee a determinare una inversione dell'onere della prova” (cfr. Cass., sez. lav., n. 3714 del 16 febbraio 2009 e Cass., lav., n. 12434 del 25 maggio 2006). 
Più di recente, la Suprema Corte ha ribadito che “Il lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per il lavoro straordinario ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre l'orario normale di lavoro, senza che l'assenza di tale prova possa esser supplita dalla valutazione equitativa del giudice, utilizzabile solo in riferimento alla quantificazione del compenso” (cfr. Cass., sez. lav., n. 4076 del 20 febbraio 2018) e, nello stesso senso, che “Sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell'onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice” (Cass., sez. lav., n. 16150 del 19 giugno 2018). 
Orbene, alla stregua di questi principi, a parere del decidente l'onere probatorio gravante sul lavoratore non è stato assolto. 
Anzitutto, sussiste una rilevante carenza allegativa, implicante una intrinseca contraddizione. 
Nella parte espositiva, invero, il ricorrente ha riferito di avere sempre e costantemente osservato un orario di lavoro articolato dalle 10:00 alle 16:00 e dalle 18:30 alle 24:00 per sei giorni a settimana, senza dare conto né di periodi di chiusura del ristorante, né di periodi di sua assenza dal lavoro. 
Tuttavia, nei conteggi predisposti nel corpo del ricorso emergono numerosi mesi in cui la prestazione lavorativa è stata resa per un numero esiguo di giornate, ovvero non è stata resa del tutto, come ad esempio a gennaio, febbraio e marzo 2018, da gennaio a maggio 2019 - e, seppure in modo meno significativo, nell'anno 2019 anche ad agosto e novembre - in tutto l'anno 2020, da gennaio a maggio 2021, nonché ad agosto 2021. 
I capitoli di prova testimoniale sono stati formulati sul presupposto di un orario lavorativo prestato in modo continuativo, per ogni settimana del rapporto, nei termini anzidetti, senza tenere in alcuna considerazione le giornate effettivamente lavorate e i periodi di assenza dal lavoro. 
Orbene, alla stregua di questi rilievi non può essere ritenuta attendibile al fine di comprovare le eventuali prestazioni di lavoro eccedenti l'orario ordinario la deposizione del teste ### il quale ha riferito in modo assiomatico, come se il ricorrente fosse stato sempre presente per tutti e cinque gli anni del rapporto (cfr. verbale di udienza del 19 ottobre 2023). 
Peraltro, quanto dichiarato dal teste è stato del tutto negato dal teste ### il quale, avendo anche lui lavorato nel ristorante, nel periodo controverso, come cameriere, ha riferito che sia lui che il ricorrente iniziavano a lavorare alle ore 12:00 e che, sulla base della sua conoscenza dei turni di servizio, il ricorrente prestava attività nel turno serale solo per due o tre volte a settimana. 
Assolutamente priva di valore probatorio è la deposizione di ### il quale ha avuto una frequentazione assolutamente episodica del ristorante (un paio di volte a pranzo, due o tre volte a cena), sì da risultare del tutto inidoneo a comprovare se e quando il ricorrente abbia superato l'orario di lavoro. Privo di valore probatorio è il riferimento, peraltro generico, fatto dal teste alle circostanze, prive di contestualizzazione sul piano temporale, in cui incontrava il ricorrente dopo l'orario di lavoro, giacché non è indicativa sull'orario in cui questi terminava l'attività lavorativa. 
Parimenti non conferente è, infine, la deposizione del teste ### il quale ha anzitutto deposto con riguardo a un periodo circoscritto e non meglio precisato (sino al 2019 o al 2020), ha, poi, sempre lavorato solo sul turno di mattina o su quello di sera, sì da non essere in grado di deporre sull'orario complessivo osservato dal ricorrente durante ciascuna giornata di lavoro, e ha fatto riferimento a un orario di cd. “lunga”, dalle 13:00 alle 18:30, che non soltanto è del tutto estraneo alle allegazioni del ricorso - di cui non è fatta la minima menzione - ma rende non credibile la deposizione nel suo complesso. 
Se, invero, il teste lavorava o di mattina o di sera - come espressamente dichiarato - non poteva vedere per intero l'inizio e la fine del turno di lunga del ricorrente, da lui riferito come se si fosse trattato di circostanze sempre constatate direttamente. 
In definitiva, il contenuto complessivo delle prove testimoniali raccolte non consente di supportare con pieno ed esaustivo rigore la durata della prestazione di lavoro resa dal ricorrente in ciascuna delle settimane in cui si è svolto il rapporto, con conseguente rigetto di tutte le domande economiche che si fondano su questa premessa di fatto. 
A nulla rileva, sul punto, quale fosse l'orario di apertura e chiusura del locale, per come risultante dal sito web dell'impresa, giacché a prescindere da questo dato formale l'oggetto del presente accertamento non riguarda la prova dell'apertura del ristorante, ma la presenza in esso del ricorrente intento a rendere la prestazione lavorativa.  4. È, viceversa, fondata la domanda volta ad accertare il diritto a un livello di inquadramento diverso rispetto a quanto pattuito, avendo tutti i testi escussi confermato che coloro che lavoravano in sala svolgevano le mansioni tipiche del cameriere, a prescindere dall'inquadramento formale posseduto, specificamente prendevamo gli ordini dei clienti e servivano ai tavoli. 
Il teste ### ha precisato che il titolare dava indicazioni su chi dovesse lavorare ai tavoli dentro il locale e chi su quelli posti all'esterno e che tutti facevano un po' di tutto, anche servendo ai tavoli, aiutandosi l'un l'altro. 
Il teste ### cuoco del ristorante, ha peraltro confermato che gli ordini dei clienti venivamo trasmessi tramite computer in cucina e recavano l'indicazione del cameriere che li aveva raccolti. In particolare, premesso che all'interno del ristorante il ricorrente era chiamato “Marco”, il teste ha riconosciuto i documenti di cui all'allegato m) del ricorso, mostratigli dal giudice, così dichiarando: “### che quelli che mi vengono mostrati sono gli scontrini relativi alle comande che mi venivano inviate dai camerieri e in base alle quali preparavamo i piatti”. 
Anche il teste ### sia pur nella sua episodica frequentazione del locale, ha confermato che il ricorrente svolgeva mansioni di cameriere, servendo ai tavoli, portando i menù ai clienti e raccogliendo le loro ordinazioni. 
Né, poi, è stato rappresentato alcunché di diverso dal teste ### Posto che la raccolta degli ordini presuppone, di norma, la spiegazione dei piatti ai clienti, previa illustrazione del menù loro fornito, in assenza di elementi da cui evincere che il ricorrente fosse un mero aiuto degli altri camerieri, svolgendo soltanto alcuni specifici compiti su loro indicazione, non resta che concludere che questi svolgesse mansioni tipiche di cameriere di ristorante, inquadrato nel 4° livello dal C.C.N.L. pacificamente applicato al rapporto. 
Del resto, lo stesso legale rappresentante, in sede di interrogatorio libero - sia pur privo, pertanto, di valore confessorio - ha rappresentato che il ricorrente prendeva le comande dei clienti e si faceva aiutare dagli altri camerieri, perché “lui non ce la faceva”, così confermando non soltanto la mansione tipica del cameriere, che consiste nell'interfacciarsi con i clienti, raccogliendo le ordinazioni e trasmettendole alla cucina, ma anche che il ricorrente si faceva aiutare da altri e non era lui un semplice aiuto addetto a svolgere compiti elementari assistendo altri dipendenti.  5. Consegue a detto riconoscimento il diritto del lavoratore alla riliquidazione dei compensi percepiti in costanza di rapporto sulla base del livello superiore a lui spettante. 
Nei conteggi analitici predisposti nel corpo del ricorso il ricorrente ha provveduto a quantificare detti crediti, indicando la retribuzione effettivamente percepita, per come risultante anche dalle buste paga e dalle conseguenti giornate lavorate, nonché quella spettante come differenza sul trattamento ordinario percepito, sulle mensilità accessorie (13^ e 14^), sull'indennità per ferie e sul t.f.r., dovendosi escludere soltanto i compensi invocati a titolo di lavoro straordinario. 
Detti conteggi, pertanto, detratti gli importi per i quali difetta la prova dei fatti costitutivi, possono essere utilizzati dal decidente per quantificare i crediti del lavoratore, avendo la società resistente omesso di contestarli specificamente, sicché gli stessi vincolano il decidente. 
Com'è noto, secondo l'insegnamento della Corte regolatrice nel rito del lavoro il convenuto ha l'onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore, ai sensi degli art. 167, comma 1, e 416, comma 3, c.p.c., con la conseguenza che la mancata o generica contestazione in primo grado - rappresentando, in positivo e di per sé, l'adozione di una linea incompatibile con la negazione del fatto - rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva e inammissibile (cfr. Cass., sez. III, 21 marzo 2008, n. 7697 e Cass., sez. lav., n. 563 del 17 gennaio 2012). 
Siffatto onere, peraltro, opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell'esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all'attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato (cfr. Cass., sez. lav., 19/8/2009, n. 18378 e Cass., sez. lav., 19/1/2006, n. 945). 
Alla stregua di questi parametri, i crediti retributivi del lavoratore ammontano a € 2.742,42 per l'anno 2017, a € 1.931,48 per l'anno 2018, a € 1.921,19 per l'anno 2019, a € 658,19 per l'anno 2020, a € 2.961,79 e a € 1.061,16 per l'anno 2022, per un importo complessivo di € 11.276,23, al cui pagamento va condannata la parte datoriale. 
Una volta accertata la sussistenza del rapporto e l'insorgenza di obbligazioni retributive, il datore di lavoro è infatti tenuto a provare di avere corrisposto al proprio dipendente gli emolumenti retributivi richiesti, estinguendo così le relative obbligazioni, secondo il riparto dell'onere della prova in materia di lavoro codificato dalle previsioni generali di cui agli artt.  1218 e 2697 Com'è noto, costituiva vexata quaestio quella relativa al riparto dell'onere probatorio in materia contrattuale, rispetto alla quale in dottrina e giurisprudenza erano affiorate soluzioni variegate e differenziate. 
Al fine di dirimere il contrasto interpretativo esistente in seno anche alla giurisprudenza di legittimità, ed assicurare così la funzione nomofilattica, le ### della Suprema Corte hanno affermato il principio di diritto secondo cui in materia contrattuale, sia che agisca per la risoluzione, che per l'esatto adempimento, che per il risarcimento del danno, l'attore si può limitare a provare la fonte dell'obbligazione ed allegare l'inadempimento, mentre grava sul convenuto dimostrare l'esatto adempimento, cioè il pagamento dell'importo dovuto, così estinguendo il diritto azionato, ovvero l'impossibilità sopravvenuta a sé non imputabile (cfr., sul riparto dell'onere probatorio, Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533). 
Il principio enunciato dalle ### è divenuto pacifico nella successiva giurisprudenza di legittimità (### Cass., Sez. 3, n. 982 del 28 gennaio 2002, Cass., Sez. 2, n. 13925 del 25 settembre 2002, Cass., Sez. 3, 18315 del 01 dicembre 2003, Cass., Sez. 3, n. 6395 del 01 aprile 2004, Cass., Sez. 3, n. 8615 del 12 aprile 2006, Cass., Sez. 1, n. 13674 del 13 giugno 2006, Cass., Sez. 1, n. 1743 del 26 gennaio 2007). 
Nel merito, la resistente non ha fornito elementi per evincere che il ricorrente abbia percepito importi retributivi in misura maggiore rispetto a quanto riconosciuto nei conteggi da lui predisposti.  6. Con riferimento alla quantificazione del t.f.r., la parte datoriale ha contestato il profilo, di carattere generale, relativo al livello di inquadramento spettante al lavoratore e all'orario di lavoro osservato. 
A tale riguardo, occorre rilevare che con ordinanza provvisoria di pagamento ai sensi dell'art. 423 c.p.c. è stata disposta la condanna della parte datoriale al pagamento in favore del lavoratore dell'importo di € 5.955,46, accantonato dallo stesso datore di lavoro in busta paga sulla base del trattamento retributivo corrisposto al prestatore di lavoro, inquadrato nel 6° livello del C.C.N.L. 
A detto importo, pertanto, pacificamente dovuto, va aggiunto l'incremento spettante sulla base dell'inquadramento nel superiore livello 4°, che sulla base della differenza mensile con il 6° - pari a circa € 145 - e agli indici annui di rivalutazione ammonta a € 687,82, per un importo complessivo di € 6.643,28, al cui pagamento va condannato il datore di lavoro, detratto quanto eventualmente già corrisposto in esecuzione dell'ordinanza di pagamento pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale.  7. Non è dovuto, a parere del decidente, alcun compenso per le dimissioni rassegnate dal lavoratore. 
Come noto l'art. 2119 c.c., nell'individuare una deroga al regime ordinario di libera recedibilità nei rapporti di lavoro subordinato previo preavviso in favore dell'altro contraente, fornisce una generica nozione di giusta causa, definendola come “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” e che, di conseguenza, giustifica il diritto del lavoratore a ricevere anche l'indennità sostitutiva, nella misura indicata nell'articolo 2118 Sotto un primo profilo, contrariamente a quanto asserito in ricorso, la giurisprudenza di legittimità ha da lungo tempo chiarito che ai sensi dell'art.  2119 c.c. così come al datore di lavoro che licenzi un lavoratore inadempiente è precluso di domandare il risarcimento del pregiudizio sofferto per trovarsi costretto a reperire sul mercato un nuovo collaboratore a condizioni meno vantaggiose, non è consentito al lavoratore dimissionario per giusta causa ottenere altro che l'indennità di preavviso a compenso del pregiudizio specifico determinato dalla risoluzione del rapporto (cfr. Cass., sez. lav., n. 13782 del 7 novembre 2001). 
Di recente, il Supremo Collegio con la pronuncia 28 dicembre 2021, 41731 ha ribadito il “consolidato indirizzo di questa Corte, per il quale (in particolare, stigmatizzata l'erronea assimilazione dell'esistenza di un comportamento datoriale, idoneo ad integrare giusta causa di dimissioni, al licenziamento illegittimo, posto che, in presenza di dimissioni ancorché dovute a giusta causa, l'effetto risolutorio del rapporto si ricollega sempre ad un atto di volontà del lavoratore: Cass. 7 novembre 2001, n. 13782) al lavoratore dimissionario per giusta causa spetta, a compenso del pregiudizio specifico determinato dalla risoluzione del rapporto, soltanto l'indennità di preavviso, così come al datore di lavoro, che licenzi un lavoratore inadempiente, ai sensi dell'art. 2119 c.c., è precluso domandare il risarcimento del pregiudizio sofferto per trovarsi costretto a reperire sul mercato un nuovo collaboratore a condizioni meno vantaggiose (Cass. 7 novembre 2001, n. 13782; Cass. 6 settembre 2003, n. 13060; Cass. 28 dicembre 2017, n. ###)”. 
Posto che, pertanto, in assenza di allegazione e prova di fatti legati al comportamento datoriale che siano idonei, di per sé, a ergersi a fonte di danno ulteriore, come nel caso del mobbing e del demansionamento - nemmeno prospettati -, in ogni caso va rigettata la richiesta di corresponsione dell'indennità prevista dall'art. 9 del d. lgs. n. 23/2015 per il caso di licenziamento illegittimo. 
Nel caso di specie, poi, non ricorre la giusta causa invocata dal prestatore di lavoro, il quale, contrariamente a quanto esposto nell'atto introduttivo, non è stato privato della retribuzione per varie mensilità consecutive. 
Invero, dalla disamina dei conteggi emerge che nell'anno 2022 questi abbia percepito € 1.147,75 per 21 giornate di lavoro di gennaio, € 765,17 per 14 giorni di lavoro a febbraio e € 1.330 per 26 giornate lavorate a marzo, sicché non si profilano i presupposti per potere ragionevolmente sostenere l'inesigibilità dello svolgimento della prestazione anche nel periodo di preavviso, giustificando il recesso ad nutum. 
Ne segue il rigetto dei relativi capi di domanda.  8. Il datore di lavoro va altresì condannato al pagamento della regolarizzazione della posizione contributiva del ricorrente, in ragione del maggior trattamento retributivo a lui spettante in forza del livello superiore riconosciuto, con riferimento a un rapporto svolto per le giornate mensili indicate nei conteggi analitici predisposti in ricorso e alla contribuzione già versata, per come risultante dall'estratto contributivo prodotto dall'### 9. Conclusivamente, la ### s.r.l. va condannata a pagare al ricorrente, a titolo di differenze sulla retribuzione ordinaria e accessoria e di t.f.r., l'importo complessivo di € 17.919,51 (di cui € 6.643,28 a titolo di t.f.r.), oltre interessi al tasso legale sul capitale via via rivalutato annualmente (cfr., per tutte, Cass., S.U., 29 gennaio 2001, n. 38), secondo la previsione generale dell'art. 429, comma 3, c.p.c., dalla scadenza delle rate di credito sino all'effettivo soddisfo, detratto quanto eventualmente corrisposto medio tempore sulla base dell'ordinanza di pagamento pronunciata ex art. 423 c.p.c. 
La società resistente va altresì condannata alla regolarizzazione della posizione contributiva, mediante l'incremento della contribuzione già - pacificamente - versata sulla base del 4° livello di inquadramento nel C.C.N.L.  pubblici esercizi, mentre il ricorso va rigettato per il resto.  10. Le spese di lite tra le parti del rapporto di lavoro seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, sulla base dei parametri di cui al d.m. n. 147/2022 e dello scaglione di valore della causa riferito all'importo riconosciuto al lavoratore, con distrazione in favore del procuratore, dichiaratosi antistatario. 
La società convenuta va, altresì, condannata al pagamento delle spese di lite nei confronti dell'### parimenti liquidate come in dispositivo.  P.Q.M.  Uditi i procuratori delle parti, definitivamente pronunciando, condanna la ### s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, a pagare in favore del ricorrente, per i titoli di cui in parte motiva, l'importo di € 17.919,51, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione delle rate di credito al saldo, come per legge, detratto quanto eventualmente corrisposto medio tempore sulla base dell'ordinanza di pagamento ex 423 c.p.c. 
Condanna la società resistente alla regolarizzazione della posizione contributiva del ricorrente, integrando i contributi già versati sulla base del 4° livello di inquadramento nel C.C.N.L. pubblici esercizi. 
Condanna la ### s.r.l. a rifondere a parte ricorrente le spese di lite, che liquida in complessivi € 5.388, oltre rimborso forfettario spese generali, i.v.a. e c.p.a., come per legge, disponendone la distrazione in favore del procuratore antistatario. 
Condanna la ### s.r.l. al pagamento delle spese di lite nei confronti dell'### che liquida in complessivi € 1.500, oltre rimborso forfettario spese generali, i.v.a. e c.p.a., come per legge.  ### 4 giugno 2024.  

Il giudice
### n. ###/2022


causa n. 31986/2022 R.G. - Giudice/firmatari: Russo Cesare

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Tribunale di Trapani, Sentenza n. 440/2024 del 24-06-2024

... dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico, deve ritenersi che le fattispecie, come quella per cui è giudizio, perfezionatesi in epoca antecedente all'entrata in vigore della riforma dovranno continuare ad essere regolate dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale, con conseguente applicazione della disciplina prevista in tema di inadempimento anche al medico, la cui responsabilità si fonda, come detto, sulla teoria del contatto sociale. Ne deriva che trattandosi, in entrambi i casi (responsabilità della struttura e responsabilità del medico), di responsabilità contrattuale, con conseguente attenuazione dell'onere probatorio incombente in capo al paziente-danneggiato, deve quest'ultimo limitarsi a fornire la prova del contratto e/o (leggi tutto)...

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI TRAPANI SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1748 /2021 del Ruolo Generale degli ### civili contenziosi vertente TRA ### elettivamente domiciliata in ### alla via F. Petrarca n. 63presso lo studio dell'avv. ### che la rappresenta e difende giusta procura acclusa al ricorso ATTORE
E ### , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. #### giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta ### OGGETTO: RESPONSABILITÀ #### le parti hanno concluso come da note ex art.  127 ter cpc depositate per l'udienza cartolare del 21.2.24 MOTIVI DELLA DECISIONE ### con ricorso ex art. 702 bis cpc, richiamando gli esiti del procedimento ex art. 696-bis c.p.c. (R.G. 118/2020) dallo stesso azionato, ha chiesto la condanna dell'azienda convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quali conseguenze lesive derivanti dagli interventi chirurgici eseguiti presso il P.O. ### di ### In particolare, l'odierno attore ha, in prima battuta, ripercorso l'iter clinico e diagnostico subito, rappresentando che: - dal 19 al 23 marzo 2013 è stato ricoverato presso l'ospedale S. ### di ### per “calcolosi ureterale sx. radiotrasparente” e sottoposto in data ### a posizionamento di stent ureterale mono J sinistro e successivamente in data ### al posizionamento di stent ureterale “doppio J”; - che, a fronte di persistenti disturbi correlati al detto intervento, ha fatto accesso al pronto soccorso del detto nosocomio in data 26 maggio 2013 con diagnosi di “idronefrosi sinistra da calcolo ureterale sinistro e stent verosimilmente ostruito” in soggetto con cardiopatia ischemica cronica, e successivo intervento di “uretroscopia sinistra, uretero litolapessi della citata formazione litiasica ureterale e stenting ureterale dx. Rimosso il catetere vescicale con minzione di urine limpide”, con indicazione a concordare appuntamento per la rimozione dello stent ureterale “doppio J” in situ nel distretto sx, intervento di rimozione poi effettuato in data 12 giugno 2013; - che dal 19 giugno 2013 al 6 agosto 2013, in ragione della persistenza di disturbi dell'apparato urinario, ha eseguito presso la struttura ospedaliera in questione ulteriori visite urologiche e accertamenti diagnostici ove è emerso “Uretero… sin. con edema meato ureterale sin”, prescritta terapia farmacologica”, “### sin con ectasia dell'uretere prossimale”, (in particolare a rx diretta renale, il cui referto ha testualmente riferito: “… non ha evidenziato immagini riferibili a calcoli urinari”, ed ### apparato urinario: “… idronefrosi di terzo grado a sin…”); - nel settembre 2013 è ricorso alle cure presso il reparto di urologia dell'### di ### ove è stato sottoposto ad intervento chirurgico di uretescopia, nefrotomia percutanea, pielografia antero e retrograda con dilatazione stenosi, e dimesso in data ### con diagnosi “stenosi completa ureterale sia con idronefrosi e sospetto atrofia renale secondaria” (riferendo che la scintigrafia renale ivi effettuata riscontrava: “### compromissione funzionale del rene sin ai limiti dell'esclusione…”. Rx torace: “… nefrostomia in sede…”, rx addome post OP: “### gassosa di ansa intestinale in centro addome (iniziale valvolo sigma?) con accennati livelli idroaerei del piccolo intestino. Segni di coprostasi”), e che in data ### veniva sottoposto ad ulteriore intervento in anestesia generale di ureterectomia segmentaria, e dimesso in data ### con diagnosi: “Obliterazione uretere sin”; - in data ### è stato nuovamente ricoverato presso il reparto di ### di ### ove ha eseguito ulteriori controlli ed accertamenti (### reni: “Dx nella norma, possibile doppio distretto escretore. Sin nei limiti, qualche focale lieve assottigliamento del parenchima da pregressa sofferenza da stasi”.  ### vescica: “### mucosa, stent in sede ###cistoscopio e pinza si sospinge estremo distale di mono J, situato nell'uretra bulbare, sino in vescica”) e successivamente il 14.12. 2013 con diagnosi: ### in sposizionamento stent ureterale sin, iperpiressia in infezione vie urinarie da ### Tanto premesso, il ### ha affermato il ricorrere di responsabilità da parte dei sanitari che ebbero in cura ### presso il ### di ### correlati, innanzitutto, alla ritardata rimozione degli stent posizionati all'atto del primo intervento d'urgenza (avvenuta solo all'esito di nuovo accesso al pronto soccorso da parte del paziente per intensa sintomatologia dolorosa, ed in assenza di espresse indicazioni all'atto delle prime dimissioni circa il necessario successivo intervento “risolutivo” da eseguirsi). Ha lamentato anche la negligente gestione della cartella clinica, stante l'assenza della descrizione dell'atto operatorio tale da impedire al paziente di capire le esatte tipologie di interventi chirurgico-urologico eseguiti ed e a quale livello anatomico ureterale fossero stati effettuati, nonché l'effettivo riscontro di calcoli (mai indicati e descritti nel corso degli interventi chirurgici) e quindi della impossibilità di vagliare la sussistenza di una eziologia tra questi ed il successivo peggioramento clinico e radiologico con sviluppo dell'idronefrosi del rene sinistro. In particolare, l'attore ha sostenuto che gli interventi eseguiti presso l'ospedale trapanese ed il ritardo nell'esecuzione degli stessi sarebbero stati causa della evoluzione sfavorevole della funzionalità renale, posto che la stenosi ureterale riscontrata - che per le sue precipue caratteristiche, risulterebbe causata (non già da calcoli, come prospettato dai sanitari della convenuta) da una cicatrice provocata nel corso dei detti interventi - avrebbe determinato la perdita funzionale pressoché completa del rene per idronefrosi. 
Pertanto, l'attore - richiamando gli esiti della CTU espletata in fase di a.t.p., ove è stato affermato che “La condotta degli operatori della struttura ospedaliera convenuta non è conforme alla tecnica medicochirurgica di diligente approccio e si configurano profili di responsabilità sanitaria” - ha chiesto al Tribunale di: “dichiarare la responsabilità dell'ASP di ### in persona del legale rappresentante p.t., per i danni patiti dall'odierno ricorrente, a seguito delle condotte colpose dei sanitari dell'ospedale S.a.  ### di ### e conseguentemente; ### l'Asp di ### in persona del legale rappresentante p.t.,, per le causali di cui in ricorso, al pagamento in favore dell'odierno ricorrente, a titolo di danni patrimoniali e non, della somma di euro 104.508,80, o la maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazioni”. 
Con comparsa del 14.1.22 si è costituita in giudizio l'ASP di ### eccependo preliminarmente la improcedibilità ed inammissibilità della domanda di controparte poiché svolta oltre il termine (in tesi, perentorio) di cui all'art. 8, comma 3, della L. n. 24/2017, e dolendosi della mancata risposta alle osservazioni mosse, in sede di a.t.p., da parte del collegio peritale (correlata, in prima battuta, alla mancata trasmissione della bozza di relazione alla resistente). 
Nel merito, ha contestato le pretese risarcitorie del ### sull'assunto della totale assenza di profili di responsabilità da parte dei sanitari del P.O.  ### che avrebbero seguito un iter diagnostico e terapeutico immune da censure, al pari di quello correlato agli interventi chirurgici praticati sul paziente. Ha, inoltre, eccepito che l'attore avrebbe omesso di allegare parte della documentazione medica offerta in sede di mediazione dalla quale si evincerebbe: - l'esistenza di gravi e diverse patologie da cui era affetto ancor prima degli interventi per cui è causa (diabete mellito, cardiopatia ischemica cronica, neuropatia diabetica ecc.); - la presenza di frammento di calcolo quantificato delle dimensioni di circa 7 mm e ubicato nell'uretere sinistro e l'assenza di stenosi in una fase successiva agli interventi del marzo e maggio 2013 (TC, l'ECO e l'RX dell'8.8.13). In ogni caso, ha evidenziato che gli interventi effettuati presso l'### “S. ### Abate” nelle date 20.3.13, 22.3.13 e 27.5.13 non avrebbero idoneità causale in ordine alla stenosi ureterale lamentata dal paziente (al più riconducibile ai successivi interventi effettuati presso l'ospedale di ###, come dimostrerebbe il fatto che la funzione renale globale fosse nella norma 5 mesi dopo l'ultimo intervento. 
La convenuta, deducendo, dunque, nel merito, il mancato assolvimento dell'onere della prova gravante su parte attrice in ordine all'an e al quantum della pretesa risarcitoria ed in ordine al nesso eziologico tra le condotte dei sanitari ed i danni, ha chiesto, in via principale, l'integrale rigetto delle domande. 
Mutato il rito e concessi i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., è stata disposta integrazione della perizia volta a garantire una risposta alle osservazioni mosse dal Ctp della parte convenuta all'esito della quale, dopo ulteriori chiarimenti da parte del collegio peritale, la causa è stata posta in decisione previa concessione dei termini ex art. 190 cpc.  2. Preliminarmente va evidenziata l'infondatezza dell'eccezione di improcedibilità sollevata dall'ASP di ### Ed invero, va ricordato che il comma 3 dell'art. 8 L. n. 24/2017 L.  24/2017 dispone che “Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, e' depositato, presso il giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'articolo 702-bis del codice di procedura civile. In tal caso il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile”. 
Orbene, sulla scorta dell'interpretazione che appare preferibile, il mancato rispetto del termine di giorno 90 non comporta una pronuncia di inammissibilità o improcedibilità della domanda, assicurando il rispetto di tale termine solo la conservazione degli effetti della domanda, tanto più che in assenza di una espressa qualificazione dello stesso quale termine perentorio da parte del legislatore.  3. Ciò posto, occorre innanzi tutto premettere che in tema di responsabilità medica nota è la distinzione tra responsabilità della struttura sanitaria, la quale trova fonte nel “contratto di spedalità” che si conclude con l'accettazione del paziente in ospedale ai fini del ricovero e/o visita ambulatoriale, e responsabilità del medico, giustificata in base ad un tradizionale indirizzo interpretativo, in virtù del “contatto sociale” che si instaura tra medico e paziente. 
In generale deve, infatti, evidenziarsi che in merito alla responsabilità del medico c.d. “strutturato”, ossia operante all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata, il consolidato diritto vivente riconosceva l'operare del meccanismo della responsabilità di natura contrattuale a fronte del “contatto sociale” tra medico e paziente, cui si affiancava la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria strettamente correlata al c.d. contratto ### di spedalità (Cass. 19670/2016; 20547/2014; 27855/2013; S.U. 589/1999). 
Tale principio giurisprudenziale, elaborato nell'ultimo ventennio dalla Suprema Corte, ha continuato a governare la materia della responsabilità sanitaria - malgrado qualche opinione di dissenziente da parte delle ### di merito - pur dopo l'entrata in vigore dell'art. 3 del d. l. 13 settembre 2012, 158, come modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, avendo la Suprema Corte chiarito, nell'esercizio della propria funzione nomofilattica, che il riferimento all'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile", contenuto nella citata disposizione, non esprime alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma intende solo escluder, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve (Cass. 8940/2014.; in senso conforme, Cass. 27391/2014). 
Il delineato regime giuridico che - alla luce della riferita elaborazione giurisprudenziale - accomunava la responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata e quella del medico “strutturato” è stato profondamente inciso, rispetto alla seconda, dalla legge n. 24/2017, c.d. Gelli-Bianco, entrata in vigore l'1.4.2017, che, in controtendenza rispetto al diritto vivente di matrice giurisprudenziale, ha inteso creare un doppio binario, confermando, da un canto, che la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose, ma qualificando espressamente, dall'altro, la responsabilità del medico come aquiliana ex art. 2043 c.c., con i noti riflessi in termini di aggravamento dell'onere probatorio gravante sul danneggiato (onerato della dimostrazione di tutti gli elementi - soggettivi ed oggettivi - costitutivi dell'illecito) e di riduzione della durata della prescrizione. 
Tuttavia, tale normativa non può trovare applicazione nel caso di specie, tenuto conto del principio della irretroattività della legge di cui all' art. 11 disp.  prel. c.c. In particolare, come pure rilevato in sede di concreta prassi applicativa in fattispecie analoghe a quella per cui è processo, pur non assurgendo il principio di irretroattività della legge in materia civile alla dignità di una norma costituzionale, occorre comunque considerare che qualsiasi intervento legislativo destinato a regolare situazioni pregresse deve essere conforme ai principi costituzionali della ragionevolezza e della tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, nonché al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, anche se finalizzato alla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica o a far fronte ad evenienze eccezionali (cfr. Trib. Avellino, 12.10.2017 che richiama, sul punto, Cass. 27121/2014. Ma v. anche, sempre in tema di responsabilità medica, ### Roma, 4.10.2017). 
Considerato che, differentemente da quanto previsto dalla precedente legge ### l'applicazione della l. 24/2017 a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore inciderebbe negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione - atteso che, come noto, la disciplina in tema di illecito aquiliano pone a carico del danneggiato oneri probatori più rigorosi rispetto a quelli discendenti dall'applicazione della regola di cui all'art. 1218 c.c. - così compromettendo, in maniera che non appare giustificata, il legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico, deve ritenersi che le fattispecie, come quella per cui è giudizio, perfezionatesi in epoca antecedente all'entrata in vigore della riforma dovranno continuare ad essere regolate dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale, con conseguente applicazione della disciplina prevista in tema di inadempimento anche al medico, la cui responsabilità si fonda, come detto, sulla teoria del contatto sociale. 
Ne deriva che trattandosi, in entrambi i casi (responsabilità della struttura e responsabilità del medico), di responsabilità contrattuale, con conseguente attenuazione dell'onere probatorio incombente in capo al paziente-danneggiato, deve quest'ultimo limitarsi a fornire la prova del contratto e/o contatto e dell'aggravamento della situazione patologica o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento e del relativo nesso eziologico con la condotta dei sanitari, “allegando” dunque la colpa medica, mentre rimane a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario ovvero la struttura, in base al principio della vicinanza della prova e/o di riferibilità - “provare” che la prestazione professionale è stata eseguita in maniera diligente e che quegli esiti sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile ovvero che, pur se vi è stato inadempimento, esso non è stato eziologicamente rilevante (cfr. tra le tante Cass. 15993/2011 e, comunque, Cass. S.U. 577/2008), sebbene in caso di intervento di routine, l'insuccesso o il parziale successo dello stesso implica di per sé la prova del nesso di causalità, consistendo tale nesso, in ambito civilistico, nella relazione probabilistica tra il comportamento e l'evento dannoso secondo il criterio del “più probabile che non” (cfr. Cass. 975/2009; cfr. anche per il riparto dell'onere probatorio nei termini indicati, nella giurisprudenza più recente Cass. 26517/2017, là dove è ribadito che “l'accertamento della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell'accertamento della colpa, ed in tema di responsabilità medica non è onere dell'attore provare la colpa del medico, ma è onere di quest'ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente”). 
Orbene, in tema di ripartizione dell'onere della prova tra le parti, secondo l'orientamento oramai consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte “il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. 18392/2017), e precisando che “nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata” (Cass. 27606/2019). 
Spetta, dunque, al paziente provare l'esistenza del contratto (allegandone la violazione) e l'evento dannoso - consistente nell'aggravamento (ovvero, in alcuni casi, nella inalterazione) della preesistente patologia oppure nell'insorgenza di una nuova condizione patologica quale effetto dell'intervento - mentre a carico del medico (o della struttura sanitaria) è lasciato l'onere di provare che la prestazione professionale sia stata eseguita secondo la migliore scienza ed esperienza medica e che l'evento infausto sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile (cfr. Cass. 975/2009), ovvero causalmente estraneo al suo operato, ovvero che l'inadempimento, ove pur esistente, non sia stato la causa dell'evento dedotto, o comunque sia rimasto alieno alla sua sfera soggettiva di signoria, non essendo a lui imputabile ( Cass. 11488/2004; cfr. anche Cass. 26907/2020 secondo cui: “In tema di responsabilità sanitaria, il paziente è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, il nesso di causalità materiale tra condotta del medico in violazione delle regole di diligenza ed evento dannoso, consistente nella lesione della salute (ovvero nell'aggravamento della situazione patologica o nell'insorgenza di una nuova malattia), non essendo sufficiente la semplice allegazione dell'inadempimento del professionista; è, invece, onere della controparte, ove il detto paziente abbia dimostrato tale nesso di causalità materiale, provare o di avere agito con la diligenza richiesta o che il suo inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile”).  3.1. Ciò premesso, nella vicenda oggetto di causa, il rapporto tra il ### e la struttura sanitaria convenuta è pacifico fra le parti, oltre che provato per tabulas mediante la produzione della documentazione a supporto della domanda risarcitoria, ed in particolare delle cartelle cliniche. 
Con riferimento all'inadempimento della prestazione da parte dei sanitari del P.O. ### di ### l'odierno attore ha lamentato il ricorrere di condotte gravemente negligenti da parte degli stessi, causa di un peggioramento della funzione renale sx fino alla pressoché completa esclusione e della perdita dell'80% di funzionalità, riconducibile (non a residui calcolotici degli interventi effettuati) alle lesioni all'uretere di natura jatrogena (connesse ai trattamenti chirurgici ivi espletati), nonché alle omissioni e ritardi nell'espletamento dei necessari interventi diagnostici e chirurgici, dolendosi anche della laconicità ed incompletezza della relativa cartella clinica. 
Orbene, applicando i principi giurisprudenziali sopra richiamati al caso di specie, ed a seguito di un'attenta analisi del compendio probatorio versato in atti, in special modo la c.t.u. vergata dai consulenti nominati nel procedimento ex art. 696-bis c.p.c., ed i successivi chiarimenti resi (cfr. relazioni depositate in data ###, 12.4.23, 23.7.23), le cui risultanze devono appieno condividersi, risulta pienamente raggiunta la prova della responsabilità dei sanitari del P.O.  ### di ### Ed infatti, alle conclusioni del collegio peritale questo giudice ritiene di doversi uniformare, essendo le stesse supportate, oltre che dai necessari rilievi di competenza specifica, da un iter argomentativo lineare e rigoroso ed avendo pure replicato in modo esauriente alle osservazioni critiche mosse dai ccttpp (cfr. sul punto anche Cass. ###/2022 secondo cui: “Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive”). 
Il collegio peritale, sulla scorta dell'esame della documentazione in atti, ha dato precipuamente conto che all'odierno attore, in data 19 marzo 2013, è stato diagnosticato un “calcolo radiotrasparente all'uretere sinistro”. 
Ora i ccttuu - evidenziato preliminarmente come dalla documentazione in atti non emerga se i sanitari abbiano preventimente tentato di trattare tale patologia mediante specifici e possibili trattamenti medici (prima di vagliare la scelta di procedere ad intervento chirurgico) - hanno messo in luce, quale primo profilo di negligenza, come i sanitari abbiano omesso di fornire al paziente specifiche direttive circa la necessaria rimozione dello stent posizionato nel corso del primo intervento del marzo 2013 e della necessità di un nuovo intervento “risolutivo”. I consulenti hanno, infatti, sottolineato come tale sent deve esser rimosso dopo un breve lasso temporale (potendo rimanere sul sito da pochi giorni a qualche settimana), sicché censurabile appare, sul punto, la mancanza di una tale indicazione al paziente all'atto delle prime dimissioni, al pari dell'assenza di informazioni circa le possibili complicanze correlate alla mancata rimozione dello stesso (come poi, in concreto avvenuto a fronte dell'ostruzione del detto stent). Trattasi di informazioni certamente necessarie, come confermato anche dal fatto che all'atto delle seconde dimissioni i sanitari hanno specificamente prescritto al ### di “contattare la nostra UO tra 10 giorni circa per appuntamento per rimozione dello stent ureterale”, informandolo che la mancata rimozione dello stent entro tre mesi dal suo posizionamento avrebbe configurato un rischio di calcificazione dello stent medesimo all'interno della via urinaria, tanto più che in assenza di prova che si trattasse di stent “a lunga permanenza”. 
Ed infatti, il successivo intervento di ureteroscopia (### è stato eseguito d'urgenza a fronte di accesso spontaneo del paziente a fronte cui veniva diagnosticata “### sinistra da stent ureterale ostruito” (dal che si evince un peggioramento della condizione clinica del paziente). 
Altro profilo altamente censurabile - e che si riverbera necessariamente sul giudizio di causalità tra condotte dei medici ed il danno - è la grave lacunosità della cartella clinica in ordine a tale secondo intervento chirurgico (come evidenziato dai ccttuu “in cartella clinica manca la descrizione dell'atto operatorio e si menziona in modo molto generico la rimozione di calcoli. Dal registro operatorio del 27.5.2013 si riporta “### URS + ### Stent “doppio J” in situ […] non vi è alcuna descrizione macroscopica dei calcoli fuoriusciti, non viene eseguito l'esame chimico-fisico dei calcoli né sono stati consegnati i residui in una provetta al paziente per provvedere privatamente all'esame - né, sul punto, rilevano le osservazioni spese dalla difesa dell'Asp convenuta dal momento che, proprio a causa della carenza nella descrizione dell'atto operatorio, non è dato evincersi se si sia o meno proceduto a litrotrissia, ossia alla frantumazione dei calcoli). 
Va, in proposito, rammentato che secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, “l'omessa o lacunosa tenuta della cartella clinica non può riverberarsi negativamente sul paziente, dovendosi addebitare, tale mancanza, esclusivamente al professionista sul quale incombe siffatto obbligo” (cfr. Cass. 7250/2018); ed ancora, la mancata o incompleta redazione della cartella clinica “non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso a presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato” (cfr. Cass. S.U. 577/2008). Ancora più di recente si è puntualizzato che “In tema di responsabilità professionale sanitaria, l'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno” (cfr.  26428/2020). 
Nel caso di specie, i consulenti hanno chiarito che “dopo il ricovero e l'intervento di maggio 2013 e la rimozione dello stent effettuato a giugno 2013 a ### vi è stato un chiaro peggioramento. La sintetica descrizione degli interventi effettuati nell'### del S.A.  ### di ### impedisce di sapere con certezza quale sia stato l'effettivo riscontro di calcoli e l'effettiva partecipazione degli stessi all'ostruzione all'interno dell'uretere”. 
Ciò che risulta di centrale rilievo è anche il riconoscimento da parte del collegio peritale dell'errato trattamento chirurgico eseguito nel luglio 2013, nel corso del quale è stato posizionato, per la terza, volta uno stent. 
Ed infatti, secondo i consulenti per “un'idronefrosi cronica (indicativa di un'ostruzione ureterale persistente a carico dell'uretere) l'unico intervento da effettuare per “mettere in salvo” il rene (a prescindere dalla causa dell'ostruzione stessa ipotizzabile) era la nefrostomia percutanea sinistra per permettere il deflusso dell'urina ed evitare l'insufficienza renale”; ed ancora, “già nel luglio 2013, a distanza di un mese dalla rimozione dello stent effettuata del 12.6.2013, data l'idronefrosi cronica, i sanitari del ### di ### avrebbero dovuto attenersi a una condotta più prudente (anche alla luce dei precedenti infruttuosi tentativi terapeutici) ed effettuare in via cautelare la nefrostomia percutanea sinistra. Non si comprende perché (nonostante i precedenti insuccessi) abbiano trattato per la terza volta il paziente mediante il posizionamento di stent uretrale a sinistra”; “La stenosi ureterale è conseguenza dei trattamenti effettuati al ### di ### e come già detto nella relazione precedente - tale condizione (a prescindere dalla sua causa ovvero dal fatto che potesse essere conseguenza di residui di calcoli nell'uretere o da obliterazione ureterale per il deposito di microcristalli nello spessore della parete ureterale, per processi fibrotici cicatriziali post traumatici di natura iatrogena) avrebbe già dovuto essere trattata con la nefrostomia a luglio 2013 essendo chiaro che il trattamento con stent non era efficace”. 
Conseguentemente l'omesso e necessario intervento di nefrostomia percutanea - realizzato solo presso il reparto di urologia dell'ospedale di ### cui il ### si è rivolto a fronte degli insuccessi delle cure ricevute presso l'ospedale trapanese - ha avuto una eziologia determinante in ordine al pregiudizio alla funzionalità del rene sinistro riscontrato nel ### Né risultano esistenti circostanze fattuali idonee a precludere la percorribilità di una tale scelta operatoria posto che, come ben evidenziato dai consulenti, la terapia farmacologica con cardioasprina seguita dal ### non costituiva un ostacolo all'espletamento del detto intervento, tempestivamente eseguito a ### In definitiva, il peggioramento del quadro clinico del ### e, in particolare, “il danno al rene sinistro riconosce come causa l'idronefrosi cronica secondaria all'ostruzione ureterale che non è stata trattata da dai ### di ### per tempo, in modo adeguato e con la dovuta diligenza e prudenza”, con la specificazione che alcuna efficienza causale hanno avuto le patologie da cui risultava già affetto l'odierno attore, ed in particolare il diabete mellito [i ccttuu, sul punto, hanno chiaramente affermato che “è vero che il diabete mellito tra le sue complicanze annoveri la nefropatia diabetica ma tale condizione non èmonolaterale bensì bilaterale (e il ricorrente ha perso la funzionalità renale solo al rene sinistro). Si esclude quindi che il diabete sia stata causa della perdita del rene sinistro (così come si esclude che il rene sinistro sia stato perso a causa delle altre condizioni patologiche da cui affetto il ricorrente ovvero l'ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica)]. 
Sulla scorta di tali conclusioni, in base alla sopra illustrata regola della preponderanza dell'evidenza (o del “più probabile che non”), il nesso di causalità deve senz'altro ritenersi sussistente.  3.2. Passando ora alla quantificazione del danno patito dall'odierno attore, mette conto evidenziare che la perizia medico-legale ha accertato che la condizione in cui versa il ### - riduzione di funzionalità del rene sn dell'80% (funzionalità residua del 20%) - un danno biologico complessivo permanente tra il 16 ed il 20% di danno biologico, con un periodo di ITA di 28 giorni e di ITP di 40 giorni al 75%; di 60 giorni al 50%; di 60 giorni al 25%. 
Ora, per quanto riguarda la percentuale di danno biologico può riconoscersi al ### un'invalidità pari al 18% (pari al valore medio tra quelli indicati dai ccttuu), tenuto conto del concreto aumento del rischio per la funzionalità renale residua per esser l'attore soggetto affetto da patologie sistemiche. 
Per la liquidazione equitativa del danno come sopra riconosciuto - e cioè del danno “biologico” inteso quale danno all'integrità psico-fisica del soggetto ed appunto comprensivo sia del danno da invalidità permanente sia di quello da invalidità temporanea - questo ### aderisce, com'è noto, ai criteri utilizzati dalle più recenti pronunzie della Corte di Cassazione in materia. 
In particolare, per la liquidazione del danno da postumi stabilizzati il ### applica il criterio del c.d. “punto tabellare”, in virtù del quale l'entità di tale pregiudizio viene calcolata in relazione al grado di invalidità permanente accertato ed all'età della persona lesa: e cioè sulla base della preventiva individuazione di un “valore unitario di danno” per ogni grado di invalidità compreso tra l'1% ed il 100%; e della preventiva individuazione di un “coefficiente di adeguamento” stabilito in ragione dell'età del danneggiato, che consente di adattare il risarcimento all'effettivo valore perduto, che certo decresce al crescere dell'età del soggetto leso. Nel caso di specie troveranno applicazione le tabelle previste dall'articolo 138 del ### delle ### Se esigenze particolari non inducono a derogare a quello che è solo un parametro per una liquidazione equitativa, l'entità del danno biologico da invalidità permanente si ottiene allora moltiplicando il “valore unitario di danno” per il numero che esprime il grado di invalidità e per il “coefficiente di adeguamento” corrispondente all'età del danneggiato. Il parametro tabellare descritto, deve essere integrato al fine di tener conto dell'eventuale pregiudizio patito dall'attore in relazione alla sofferenza transeunte (pregiudizio di ordine meramente morale) legata ad un evento, la cui gravità merita di essere valutata non soltanto in relazione alle conseguenze verificatesi, ma anche a quelle che potevano verificarsi. Tali situazioni devono, pertanto, essere valutate per integrare il risarcimento del danno biologico, quale voce di danno non patrimoniale, e ciò anche alla luce dei recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in materia (cfr. SS.UU. sentenze 11.11.2008 nn° 26972, 26973, 26974 e 26975). 
Difatti, in ordine al rapporto con il danno biologico, anche ai fini del sistema di liquidazione da adottare, viene chiarito che alla nozione di danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva, secondo cui “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito". 
In esso sono quindi ricompresi i pregiudizi attinenti agli "aspetti dinamicorelazionali della vita del danneggiato", con l'effetto che non si potranno più duplicare le liquidazioni del danno biologico e di quello esistenziale; sempre che circostanze connesse alla peculiarità del caso non impongano una personalizzazione del danno. 
Nel caso di specie, in mancanza di qualsiasi allegazione e prova circa possibili diverse, più intense o straordinarie ripercussioni di tipo lato sensu esistenziale, non v'è spazio per alcun incremento personalizzante. 
Orbene, in base al parametro di riferimento rappresentato dalle tabelle elaborate dal ### di Milano per l'anno 2021, spetta ad ### a titolo di danno non patrimoniale di carattere permanente, tenuto conto della invalidità del 18% e dell'età del soggetto all'epoca del fatto (50 anni), la somma complessiva di € 55.940,00 secondo i valori attuali. 
Con riferimento al periodo di inabilità temporanea così come accertato dal collegio peritale, si liquida ad equità - sempre sulla scorta delle tabelle milanesi - la somma di € 99,00 al giorno, per un totale di € 10.197,00 in valori attuali. 
Nella fattispecie in esame, la sommatoria dei due importi appena indicati, pari ad € 66.137,00 costituisce - ad avviso di questo giudice - un ristoro esaustivo del danno non patrimoniale patito dal ricorrente in conseguenza dell'evento oggetto del giudizio. 
Su tale importo, costituente un debito di valore ed espresso in valuta all'epoca del fatto, occorre procedere, previa devalutazione monetaria, ad una rivalutazione fino alla data odierna, con contestuale applicazione degli interessi secondo il meccanismo delineato dalla sentenza delle ### della Cassazione n. 1712/1995 (si rammenta che, per principio ormai consolidato in giurisprudenza, il riconoscimento di rivalutazione ed interessi sui debiti di valore non esige alcuna richiesta specifica della parte, potendo essere accordato anche ex officio, dal momento che tali voci costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e devono, quindi, ritenersi comprese nell'originario petitum della domanda ove non ne siano state espressamente escluse: cfr., tra le tante, Cass. civ. nn. 13666/2003 e 12234/1998). 
Quanto al danno patrimoniale possono esser ritenute congrue e pertinenti le spese di viaggio sostenute dall'attore per raggiungere il centro di ### pari ad € 288,26 (cfr. all. n. 6 fascicolo attore). 
Si giunge così, in definitiva, alla somma di € 73.798,00 al pagamento della quale va condannata l'asp convenuta, il tutto oltre gli interessi legali dalla data della sentenza fino al soddisfo. 
Va, poi, riconosciuto all'attore il rimborso delle spese di CTP (€ 4.270,00) sostenute e debitamente provate mediante allegazione della relativa fattura ( doc. 7 fascicolo attore; cfr. Cass. 21402/2022). Tali somme non possono però essere calcolate ai fini del risarcimento del danno patrimoniale, rientrando esse tra le spese giudiziali e dovendo essere perciò regolate a tale titolo secondo il principio della soccombenza (così, tra le tante, Cass. n. 10173/2015).  4. In ossequio alle regole della soccombenza, parte convenuta è tenuta a rimborsare le spese del giudizio, che si liquidano come in dispositivo, sulla base dei criteri di cui al DM 147/2022, oltre spese generali, iva e cpa come per legge, con rimborso delle spese di mediazione (€ 48,80) debitamente documentate (cfr. doc. 5 fascicolo attore). 
Nella liquidazione si tiene altresì conto delle spese sostenute dalla parte attrice per l'ATP (liquidate secondo i parametri di cui al D.M. 147/2022 per i procedimenti di istruzione preventiva) e delle spese vive sostenute e le spese di consulenza tecnica di parte per come richieste dalla parte attrice e documentate. 
Quanto alle spese delle consulenze tecniche d'ufficio espletate, sia in fase di ATP per come già liquidate con decreto del 21.4.21, sia nel presente giudizio, come liquidate con separato decreto, esse vengono poste definitivamente a carico dell'ASP di ### P.Q.M.  ### definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede: - dichiara la responsabilità dell'### sanitaria provinciale di ### per i danni occorsi all'attore e, per l'effetto, condanna la suddetta convenuta a corrispondere a ### l'importo di euro 73.798,00, oltre interessi al tasso legale dalla data della presente sentenza sino al soddisfo; condanna la convenuta ### sanitaria provinciale di ### in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 11.305,00 (di cui euro 2.977,00 per compensi della fase di ### euro 8.328,00 per compensi del presente giudizio), oltre € 455,30 per esborsi (€ 48,80 spese mediazione, oltre CU e bollo), oltre € 4.270,00 per spese di ### oltre #### rimborso spese generale come per legge; - pone le spese delle due consulente tecniche d'ufficio espletate in ATP e nel presente giudizio, liquidate con separati decreti, definitivamente a carico dell'ASP di #### 22/06/2024 IL GIUDICE ### presente provvedimento viene redatto su documento informatico e sottoscritto con firma digitale dal Giudice dott.ssa ### in conformità alle prescrizioni del combinato disposto dell'art. 4 del D.L.  29/12/2009, n. 193, conv. con modifiche dalla L. 22/2/2010, n. 24, e del decreto legislativo 7/3/2005, n. 82, e succ. mod. e nel rispetto delle regole tecniche sancite dal decreto del ### della Giustizia 21/2/2011, n. 44.  

causa n. 1748/2021 R.G. - Giudice/firmatari: Lipari Federica Emanuela

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Tribunale di Napoli Nord, Sentenza n. 3465/2021 del 09-07-2021

... principi generali in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (si veda ex plurimis Cass., (leggi tutto)...

R.G. 11970/2019 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI NORD Sezione lavoro nella persona del dott. #### ha pronunciato all'udienza del 09/07/2021 la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 11970/2019 R.G. LAVORO TRA ### n. a #### il ###, rappresentato e difeso dall'avv. ### come da procura in atti. 
RICORRENTE E C.T.P. ### s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. ### RESISTENTE E ### in persona del legale rappresentante p.t., RESISTENTE CONTUMACE OGGETTO: T.F.R. e ### come in atti. 
Ragioni di fatto e di diritto Con ricorso depositato in data ### l'epigrafato ricorrente ha dedotto di essere lavoratore dipendente a tempo indeterminato della società ### s.p.a.; di aver aderito in data ### al ### pensionistico complementare ### che a seguito della cessazione del rapporto di lavoro in data ### ha chiesto al ### la liquidazione delle somme accantonate; che con comunicazione del 23.2.2017 il ### ha comunicato il mancato versamento delle quote di T.F.R. di maggio e giugno 2015, da agosto a dicembre 2015, da gennaio a dicembre 2016 per un importo di € 1.063,21; che sussiste la legittimazione ad agire e l'interesse ad agire per chiedere la condanna del datore al versamento di tali importi al fondo complementare al fine di regolarizzare la propria posizione contributiva. 
Egli ha quindi agito in giudizio chiedendo di accertare l'omesso versamento dell'importo di € 1.054,40, da parte della società datrice di lavoro, al ### di previdenza complementare ### e di condannare la società ### spa al versamento in favore del ### complementare ### degli importi non versati, maggiorati dell'incremento percentuale della quota ovvero di condannare la società datrice di lavoro al pagamento di tali importi in favore di parte ricorrente con condanna del ### a provvedere alla liquidazione di quanto dovuto con risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. 
La società datrice di lavoro si è costituita in giudizio chiedendo a vario titolo il rigetto del ricorso.  ### non si è costituito in giudizio e stante la regolarità della notifica se ne dichiara la contumacia. 
All'odierna udienza, dopo la discussione orale ed all'esito della camera di consiglio, il ### ha deciso la causa con sentenza di cui ha dato pubblica lettura. 
In via preliminare, deve essere rigettata l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo proposta da parte resistente. 
Il ricorso, al pari della citazione (art. 163, nn. 1, 2, 3, c.p.c.), è nullo se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti dai numeri 1, 2 e 3 dell'art.  414 c.p.c. La carenza, infatti, della individuazione del giudice adito, della parte e dell'oggetto della domanda si risolve nella mancanza di elementi indispensabili per il conseguimento dello scopo dell'atto (art. 156 c.p.c.). 
In forza di questo stesso principio viene sanzionata da nullità la mancata “esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda" (art. 414, n. 4, cpc), non operando in quest'ultimo caso l'analogia con la previsione dell'art. 164 cpc, perché nel rito del lavoro il difetto del ricorso sul punto dell'esposizione dei fatti pregiudica l'assolvimento dei rigorosi oneri posti a carico del convenuto ed il giudice non potrà mai disporre l'integrazione di un elemento essenziale se questo manca nel contesto dell'atto (cfr. Cass. lav. n. 5586 del 7.6.99). 
Sicchè, ove il ricorso sia privo dell'esatta determinazione dell'oggetto della domanda o dell'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto (art. 414, nn. 3 e 4, cpc), esso - avendo la norma carattere imperativo - è affetto da nullità, in applicazione delle norme generali di cui agli artt. 164 e 156 cpc, non sanabile nemmeno dalla costituzione della controparte (Cass. n. 13066 del 29.12.97; Cass. n. 6778 del 15.6.91). 
Sotto il profilo dell'individuazione delle carenze sanzionabili è noto il consolidato orientamento della Cassazione che subordina la nullità dell'atto introduttivo del giudizio di lavoro all'omissione, ovvero all'assoluta incertezza, sulla base dell'esame complessivo dell'atto, del petitum, sotto il profilo sostanziale e procedurale, nonché delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della pretesa (tra le tante: Cass., 1.3.2000, n. 2257; Cass., 1.7.1999, n. 6714; Cass. 29.1.1999, n. 817; Cass., 27.2.1998, n. 2205; Cass., 27.4.1998, n. 4296; Cass. 30.12.94 n. 11318; 30.8.93 n. 9167). 
Nel caso in esame, il thema decidendum è rappresentato dalla richiesta di condanna, esperita dal lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, di versare i contributi e le quote di T.F.R. maturande al fondo di previdenza complementare cui ha aderito ovvero di condannare il datore al pagamento diretto di tali importi in suo favore. 
Allo stesso modo, deve essere rigettata la richiesta formulata da parte resistente di differimento dell'udienza in quanto come emerge dalla ricevuta di avvenuta consegna depositata da parte ricorrente il ricorso è stato notificato nel rispetto del termine dilatorio di 30 gg di cui all'art. 415 c.p.c. 
Par quanto riguarda il merito, parte ricorrente allega di agire in nome proprio ed a tutela del proprio diritto di credito. 
Risulta, quindi, fondamentale la corretta ricostruzione del quadro normativo di riferimento.  ###. 8 d.lgs. 252/2005 ha previsto per tutti i lavoratori subordinati assunti dopo il 30 giugno 2007, una delle tre seguenti opzioni: 1. manifestazione espressa della volontà di mantenere gli accantonamenti dovuti a titolo di T.F.R. presso il proprio datore di lavoro, senza conferirli in nessuna forma di previdenza complementare. Per i datori di lavoro con media annuale pari o superiore a 50 dipendenti il T.F.R. maturando va comunque versato presso il ### di ### I.N.P.S. in base all'art. 1 co. 755 e segg. l.  296/2006; 2. manifestazione espressa della volontà di conferire le quote di T.F.R. al sistema di previdenza complementare prescelto (fondi pensioni chiusi od aperti ovvero piani pensionistici individuali); 3. mero silenzio del lavoratore, qualificato dal legislatore come silenzio-assenso in ordine al conferimento del T.F.R. maturando al fondo di previdenza complementare individuato con accordo aziendale ovvero, in mancanza, a quello cui aderiscono la maggior parte dei lavoratori dipendenti in azienda, ovvero, in ulteriore subordine, all'apposita forma pensionistica complementare residuale istituita presso l'I.N.P.S. (c.d. Fondinps). 
Tutti i lavoratori assunti successivamente al 30 giugno 2007, invece, devono comunicare, entro i successivi 6 mesi dall'assunzione, la loro scelta in ordine al T.F.R., secondo le modalità summenzionate. 
In base all'art. 8 co. 1 d.lgs. 252/2005, inoltre, “il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del TFR maturando”. 
Il d.lgs. 252/2005 non ha disciplinato espressamente il caso di omesso versamento, nonostante vi fosse un criterio ad hoc nella legge delega [art. 1 co. 2 lett. e) n. 8 l.  243/2004] che non è stato attuato dal decreto delegato. 
Il legislatore delegato, infatti, si è limitato ad utilizzare il termine atecnico di conferimento del T.F.R. Sul punto, neppure la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 4626/2019) ha preso espressa posizione evidenziando che “3.3. La questione più delicata, che interessa il caso di specie, è indubbiamente quella del conferimento del T.f.r., che comporta l'adesione alle forme pensionistiche complementari, nella duplice modalità espressa o tacita (art. 8, comma 7, lett. a), b). Ed infatti, nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il T.f.r.  conferito al fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare, nell'ambito del rapporto associativo tra lavoratore e fondo, intermediato dal datore di lavoro quale debitore delle quote tempo per tempo maturate, il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria (tenuto anche conto della previsione di intervento del ### di ### dell'### a norma del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 5, comma 2, nel caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale). E ciò anche per l'espressione atecnica di "conferimento", che deve essere qualificata giuridicamente e che, se si vuole, costituisce un sintomo ulteriore, sotto il profilo della libertà di selezione dello strumento negoziale, del favor per l'autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio. Sicchè, per una tale qualificazione della posizione individuale del lavoratore rispetto al fondo cui prestata la propria adesione, liberamente negoziabile tra le parti, occorre accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato: se una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di T.f.r. al fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al fondo, o strumenti ad essi assimilabili. E ciò comporta evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarità del credito nei confronti del datore fallito (da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale), a seconda dell'opzione negoziale adottata. 3.4. Ma nel caso di specie, nel quale la Corte territoriale ha ritenuto il diritto del lavoratore di restituzione delle quote di T.f.r. trattenute dal datore di lavoro e non versate al fondo di previdenza complementare, sulla base dell'accertato "accantonamento presso il ### con idonea documentazione" (al primo periodo di pg. 2 del decreto), il fallimento ha completamente omesso la specifica indicazione, prima ancora della trascrizione, del modulo negoziale utilizzato tra le parti. I due motivi sono pertanto generici, in violazione del principio di specificità prescritto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, a fronte di una tale omissione, ostativa alla soluzione della questione in esame da parte di questa Corte (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 23 aprile 2010, 9748; Cass. 4 ottobre 2017, n. 23194; Cass. 4 aprile 2018, n. 8204). 5. Dalle superiori argomentazioni discende l'inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza”. 
Per tali ragioni, ai fini della valutazione dell'ammissibilità e della fondatezza dell'azione di condanna esperita dal lavoratore nei confronti del datore di versare gli accantonamenti dovuti a titolo di T.F.R. al fondo complementare risulta imprescindibile, da un lato, la corretta individuazione delle situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, configurabili in capo al lavoratore, al datore di lavoro ed al fondo percipiente e, dall'altro lato, i diversi rapporti intercorrenti tra tali soggetti alla luce delle caratteristiche del singolo caso concreto e degli specifici rapporti contrattuali intercorsi tra le parti. 
In base agli artt. 1 e 4 dello statuto del fondo previdenziale depositato da parte ricorrente, infatti, deve ritenersi che il ### sia una forma pensionistica complementare di tipo negoziale, costituta in base all'accordo istitutivo sottoscritto dalle parti sociali il ### in favore dei lavoratori subordinati indicati dall'art. 5 dello statuto con le seguenti caratteristiche: - a contribuzione definita in quanto l'importo dei conferimenti periodici risulta determinato in misura fissa mentre risulta variabile l'importo della prestazione da erogare; - a capitalizzazione individuale in quanto i versamenti sono accantonati sul conto individuale dei singoli lavoratori (art. 9 dello statuto); - con gestione multicomparto degli investimenti in quanto le risorse raccolte sono investite in uno dei diversi comparti previsti (art. 6 dello statuto). 
Nel caso in esame, come emerge dalla comunicazione del ### del 10.4.2017, il ricorrente ha aderito a tale forma pensionistica in data ###, con pensionamento dall'1.1.2017, con conferimento delle quote di T.F.R. maturate ed ha scelto di investire l'intera posizione economica individuale nel ### Come emerge, inoltre, dalla comunicazione del 23.2.2017 non risultano versati i contributi da maggio a giugno 2015 e da agosto 2015 a dicembre 2016. 
Per quanto riguarda la disciplina dei conferimenti, il dato normativo di riferimento è rappresentato dall'art. 8 dello statuto, rubricato “Contribuzione”, secondo cui “1. Il finanziamento del ### può essere attuato mediante: i contributi a carico del lavoratore; i contributi a carico del datore di lavoro; il TFR maturando. 2. La misura minima dei contributi a carico, rispettivamente, delle imprese e dei lavoratori aderenti è stabilita dalla fonte istitutiva in misura percentuale secondo i criteri indicati all'art. 8, comma 2, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (e successive modificazioni e integrazioni), di seguito definito "###. 3. Per gli associati con la modalità di cui all'art. 5 comma 13 del presente ### la contribuzione avviene secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali di riferimento e non può essere né revocata né sospesa e non è trasferibile ad altre forme pensionistiche complementari. Tali associati sono liberi di attivare, in aggiunta alla citata contribuzione contrattuale, la quota maturanda di TFR nonché le quote ordinarie di contribuzione a carico proprio e del datore di lavoro previste dalle ### istitutive, tramite sottoscrizione dell'apposita modulistica. 4. Ferme restando le predette misure minime, riportate nella ### informativa, l'aderente determina liberamente l'entità della contribuzione a proprio carico, secondo le modalità stabilite dal Consiglio di amministrazione. 5. ### al ### realizzata tramite il solo conferimento del TFR maturando o degli importi previsti dall'art. 7 co. 9-undecies della L. 125/2015 non comporta l'obbligo di versamento della contribuzione a carico del lavoratore né del datore di lavoro, salvo diversa volontà degli stessi. Qualora il lavoratore contribuisca al ### è dovuto anche il contributo del datore di lavoro stabilito dalle fonti istitutive. 6. ### al ### realizzata tramite il solo conferimento del TFR maturando non comporta l'obbligo di versamento della contribuzione a carico del lavoratore né del datore di lavoro, salvo diversa volontà degli stessi. Qualora il lavoratore contribuisca al ### è dovuto anche il contributo del datore di lavoro stabilito dalle fonti istitutive. 7.  ### di contribuzione al ### a carico dell'impresa cessa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro con il lavoratore dipendente, nonché in caso di trasferimento della posizione individuale dell'aderente presso altro fondo 8. In costanza del rapporto di lavoro l'aderente ha facoltà di sospendere la contribuzione a proprio carico, con conseguente sospensione dell'obbligo contributivo a carico del datore di lavoro, fermo restando il versamento del TFR maturando al ### E' possibile riattivare la contribuzione in qualsiasi momento. 9. In caso di sospensione della prestazione lavorativa, per qualsiasi causa permane la condizione di associato e l'obbligo contributivo a carico dell'azienda e del lavoratore è rapportato alla retribuzione effettiva prevista per ciascuna causa. 10. ### può decidere di proseguire la contribuzione al ### oltre il raggiungimento dell'età pensionabile prevista dal regime obbligatorio di appartenenza, a condizione che alla data del pensionamento, possa far valere almeno un anno di contribuzione a favore delle forme di previdenza complementare. 11. In caso di mancato o ritardato versamento, secondo le fattispecie individuate all'interno del regolamento per la gestione delle irregolarità contributive predisposto dal ### il datore di lavoro è tenuto a reintegrare la posizione individuale dell'aderente e a risarcire il ### per le spese dovute al mancato adempimento contributivo, nel rispetto delle modalità operative e nelle quantità definite nel medesimo regolamento”. 
I contributi dovuti così come le quote del T.F.R., quindi, sono versati direttamente dal datore di lavoro al fondo e la norma in esame disciplina la costituzione, la misura, la sospensione e la cessazione dell'obbligo di versamento al fondo complementare prevedendo all'undicesimo comma, in caso di omessa o ritardato versamento delle quote dovute al fondo, obbligo del datore non solo di versare i contributi dovuti ma di risarcire il danno subìto dal ### secondo le modalità stabilite dal regolamento. 
Tale disposizione, però, non chiarisce quale sia la natura giuridica dello schema negoziale adottato ma deve essere letta in combinato disposto con l'art. 33 dello statuto, rubricato “### di adesione”, secondo cui “1. ### al ### avviene mediante presentazione di apposito modulo di adesione, sottoscritto e compilato in ogni sua parte. ### dei lavoratori che hanno manifestato la volontà di associarsi al ### deve essere preceduta dalla consegna dello ### e della documentazione informativa prevista dalla normativa vigente. 2. ### al ### avviene anche: in conseguenza degli effetti delle disposizioni di cui ai precedenti articoli 1 comma 2 e 5 comma 13; con il tacito conferimento del TFR di cui all'art. 8 comma 7 lett. b) del ### 252/05. 3. All'atto dell'adesione il ### verifica la sussistenza dei requisiti di partecipazione. 4. ### è responsabile della completezza e veridicità delle informazioni fornite al ### 5. La domanda di adesione volontaria è presentata dal lavoratore per il tramite del proprio datore di lavoro che la sottoscrive e, secondo le norme del presente ### e della fonte istitutiva, impegna entrambi nei confronti del ### la stessa contiene la delega al datore di lavoro per la trattenuta della contribuzione a carico del lavoratore. 6. La raccolta delle adesioni volontarie dei lavoratori viene svolta nei luoghi di lavoro dei destinatari, nelle sedi del fondo e dei soggetti sottoscrittori delle fonti istitutive, dei ### nonché negli spazi che ospitano momenti istituzionali di attività del fondo e dei soggetti sottoscrittori delle fonti istitutive. 7. La domanda di adesione volontaria viene inviata al ### tramite l'azienda presso cui il lavoratore è dipendente entro quindici giorni dalla consegna. La domanda viene esaminata dal Presidente o da persona da lui delegata, che nei 30 giorni successivi alla presentazione può richiedere ulteriore documentazione a corredo della domanda oppure rifiutarla, qualora non sussistano i requisiti per la partecipazione al ### in capo al soggetto che ha sottoscritto la domanda. 8. In presenza dei requisiti di partecipazione al ### nonché di domanda di adesione volontaria regolarmente compilata, l'associazione ha effetto dalla data di sottoscrizione del modulo di adesione. 9. A seguito dell'accettazione della domanda di adesione del lavoratore risulta associata al ### anche l'impresa dalla quale il medesimo lavoratore dipende. Per effetto dell'adesione i lavoratori e le imprese dalle quali dipendono, sono obbligati al versamento dei contributi nella misura stabilita dalle norme contrattuali in vigore e sono altresì tenuti all'osservanza delle norme contenute nel presente ### 10. Ai fini delle comunicazioni da parte del ### gli associati - ad esclusione dei rappresentanti dei lavoratori negli organi sociali - possono eleggere domicilio presso l'azienda in cui prestano servizio, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme a tutela della riservatezza dei dati personali. 11. In caso di adesione mediante conferimento tacito del TFR o di adesione contrattuale ai sensi dell'art.5 comma 13, sulla base dei dati forniti dal datore di lavoro, il ### comunica all'aderente l'avvenuta iscrizione e tutte le informazioni necessarie al fine di consentire a quest'ultimo l'esercizio delle scelte di sua competenza”. 
In altre parole, in base al chiaro tenore letterale dei commi quinto e nono della norma in esame, l'adesione al fondo da parte del lavoratore comporta, da un lato, il conferimento della delega al datore per la trattenuta della contribuzione e, dall'altro lato, determina la costituzione di un'obbligazione solidale in capo al lavoratore ed alla parte datoriale per il versamento dei contributi dovuti. 
Sulla base di tale quadro normativo, allora, occorre distinguere tre diversi rapporti giuridici patrimoniali: - il rapporto di provvista tra datore e lavoratore/aderente: il datore di lavoro, in base al rapporto di lavoro subordinato, ha l'obbligo di accantonamento e di versamento del T.F.R. che costituisce un'obbligazione istantanea ad efficacia differita. Tali considerazioni sono condivise anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 19708/2018) pronunciatasi sulla pignorabilità delle quote accantonate secondo cui “anche dopo la riforma del settore disposta con il D.Lgs. n. 252 del 2005, le quote accantonate del trattamento di fine rapporto, tanto che siano trattenute presso l'azienda, quanto che siano versate al ### di ### dello Stato presso l'I.N.P.S.  ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina solo l'esigibilità, con la conseguenza che le stesse sono pignorabili e devono essere incluse nella dichiarazione resa dal terzo ai sensi dell'art. 547 c.p.c.. Tale principio, valevole per i lavoratori subordinati del settore privato, si estende anche ai dipendenti pubblici, stante la totale equiparazione del regime di pignorabilità e sequestrabilità del trattamento di fine rapporto o di fine servizio susseguente alle sentenze della Corte costituzionale n. 99 del 1993 e 225 del 1997"; - il rapporto di valuta tra lavoratore/aderente e fondo di previdenza complementare: il lavoratore, in ragione dell'adesione manifesta o tacita, ha l'obbligo di procedere periodicamente ai conferimenti pattuiti al ### al fine di costituire il proprio montante (capitale accumulato) e maturare la propria posizione previdenziale. Sussiste, quindi, una obbligazione periodica ad esigibilità immediata correlata, stante la funzione previdenziale, alla costituzione di un'autonoma posizione previdenziale in capo al ricorrente volta all'erogazione di trattamenti previdenziali, anche di reversibilità od indiretti, ovvero alla liquidazione di un'indennità una tantum nei casi previsti; - il rapporto previdenziale tra il fondo di previdenza complementare ed il lavoratore/aderente od i suoi eredi: in base all'art. 11 d.lgs. 252/2005, il ### è tenuto all'erogazione, in favore del lavoratore o dei beneficiari designati, della prestazione pensionistica indicata. Si tratta, quindi, di una rendita (obbligazione periodica ad esigibilità immediata) ovvero di un'indennità una tantum (obbligazione ad esecuzione istantanea ed ad esigibilità immediata), correlata, in ordine all'an debeatur, alla maturazione dei requisiti di accesso stabiliti ed, in ordine al quantum debeatur, al montante previdenziale accumulato. Sul punto si evidenzia come la più recente giurisprudenza di legittimità ( 19571/2019), pronunciatasi sull'esercizio del diritto di riscatto in caso di decesso dell'aderente in data antecedente alla maturazione del diritto alla prestazione, seppure sulla normativa vigente prima della modifica attuata dal d.lgs. 147/2018, ha confermato la natura autonoma del diritto alla prestazione previdenziale. 
Sulla base della natura giuridica dei diversi crediti e dei rapporti intercorrenti tra le parti nonché della documentazione summenzionata, è possibile ritenere che il meccanismo in esame sia riconducibile al modello della delegazione di pagamento ex artt. 1268 e segg. c.c. in quanto il lavoratore ### incarica il proprio datore di lavoro ### di versare le quote maturande di T.F.R. al fondo di previdenza complementare ###. 
Il lavoratore delega, in altri termini, il proprio datore di lavoro ad eseguire un pagamento in favore del ### utilizzando come provvista quanto maturato dal lavoratore per T.F.R. sicché con un unico versamento si estinguono due distinte obbligazioni riconducibili sia al rapporto di provvista, tra datore e lavoratore, sia a quello di valuta, tra lavoratore e fondo. 
II pagamento effettuato dal datore di lavoro delegato è infatti adempimento dell'obbligazione del lavoratore nei confronti del ### Ricorre, quindi, un'ipotesi di delegatio promittendi in quanto il datore di lavoro non procede immediatamente al pagamento, come nel caso della delegatio solvendi ex art.  1269 c.c., ma si obbliga ad adempiere in suo favore. 
Tale distinzione strutturale tra le due ipotesi di delegazione è stata evidenziata anche dalla costante giurisprudenza di legittimità (Cass. 7945/2020) secondo cui “la delegazione di debito ha funzione creditoria, aggiungendo un nuovo debitore ### con posizione di obbligato principale accanto al debitore originario ### sì da rafforzare la posizione del creditore delegatario, mentre la delegazione di pagamento ha funzione solutoria, prevedendo che l'obbligazione sia adempiuta da un terzo ### anzichè dal debitore ###, senza per ciò solo aumentare gli obbligati verso il creditore delegatario. ### della delegazione di pagamento da parte del delegato ha rilievo unicamente nel rapporto interno col delegante, nel quale l'incarico di pagamento potrebbe essere rifiutato anche ove vi fosse provvista; con ogni evidenza, quindi, l'assunzione da parte del delegato di un obbligo esterno, verso il creditore delegatario, richiede un quid pluris rispetto all'accettazione dell'incarico di pagamento nel rapporto interno di delegazione. 
Stabilire se trattasi in concreto di delegatio promittendi ex art. 1268 c.c., quindi se il delegato sia direttamente obbligato verso il delegatario e questi possa agire direttamente verso il delegato, o si tratti invece di mera delegatio solvendi ex art.  1269 c.c., senza azione diretta del delegatario verso il delegato, è valutazione di fatto, rientrante nella discrezionalità del giudice di merito, insindacabile in sede ###risultino violati i criteri legali di ermeneutica negoziale. La disciplina degli effetti dell'adesione del delegatario nella delegazione di debito non è applicabile per analogia all'adesione del delegatario nella delegazione di pagamento, essendo le due fattispecie di delegazione passiva analoghe sul piano strutturale, ma eterogenee sul piano funzionale”. 
Per tali ragioni, non appare condivisibile la diversa tesi volta a sussumere il caso in esame nell'ipotesi della cessione del credito futuro. 
In base agli artt. 1260 e segg. c.c., infatti, la cessione del credito rappresenta un'ipotesi di contratto, a titolo oneroso o gratuito, avente ad oggetto il trasferimento della titolarità di una pretesa creditoria non avente carattere personale dal creditore cedente a quello cessionario. Si tratta, quindi, di una vicenda circolatoria dal lato attivo di un diritto di credito mentre la delegatio promittendi non interessa il credito (lato attivo dell'obbligazione) ma il lato passivo del rapporto obbligatorio attraverso la sostituzione ovvero l'aggiunta del debitore delegato a quello delegante a seconda della natura rispettivamente liberatoria o cumulativa della delegazione. 
A tale ricostruzione dogmatica osta anche un secondo argomento attinente alla disomogeneità tra i diversi rapporti obbligatori. 
Come si è già evidenziato, il credito per T.F.R. rappresenta un'obbligazione istantanea ad efficacia differita mentre il dovere di accantonamento presso il ### di previdenza complementare costituisce un'obbligazione periodica ad esigibilità immediata. 
Si tratta, quindi, di due obbligazioni strutturalmente diverse in quanto il lavoratore ha diritto al pagamento per intero del T.F.R. solo alla cessazione del rapporto mentre il ### di previdenza complementare ha diritto al pagamento delle quote alle diverse scadenze. 
Tale diversità strutturale non è superabile neppure ricostruendo la fattispecie in termini di cessione di credito futuro per due ragioni. 
In primo luogo, in base all'art. 1472 c.c. la vendita di cosa futura, cui è assimilabile anche la cessione di credito futuro, rappresenta un'ipotesi di vendita sottoposta a condizione sospensiva in quanto la vicenda traslativa risulta condizionata alla venuta ad esistenza della res. Il credito per T.F.R., invece, non rappresenta un credito futuro ma costituisce un credito attuale ad esigibilità differita. Il che è condiviso dalla consolidata giurisprudenza di legittimità la quale ha confermato l'esperibilità da parte del lavoratore, in costanza del rapporto di lavoro, dell'azione di accertamento della quota di T.F.R. accantonata. ### la Suprema Corte (Cass. 18501/2008), infatti, “10. Coerentemente, non potrebbe essere negato l'interesse, concreto ed attuale, del lavoratore ancora in servizio - alle dipendenze della stessa regione o di altro ente pubblico - a proporre azione di mero accertamento - avente ad oggetto le quote annuali del trattamento in questione (di cui alla cit. L.R. 7 luglio 1981, n. 38, artt. 16, 17 e 18), già maturate alla data della sua abrogazione (30 maggio 2000), al pari delle quote di accantonamento di qualsiasi trattamento di fine rapporto - ancorchè le quote stesse non siano ancora esigibili e, come tali, non possano formare oggetto di azione di condanna (vedi, per tutte, Cass., sez. un., n. 11945/1990; sez. lav., n. 4556, 7081/90; 4329/92; 6046/2000; 20516/2004)”. 
In secondo luogo, dal punto di vista strutturale la cessione del credito presuppone la conservazione, dopo il trasferimento, dell'identità del credito. Nel caso in esame, invece, a seguito della cessione un credito istantaneo ad esigibilità differita diventa un credito ad esecuzione periodica ed immediata. Il che evidenzia come l'ipotesi in esame dovrebbe essere riconducibile al diverso istituto della novazione, contestualmente oggettiva e soggettiva, ex artt. 1230 e segg. c.c. in ragione della profonda trasformazione dell'oggetto del rapporto e tale effetto novativo, inoltre, non potrebbe che essere prodotto da un contratto necessariamente trilaterale con partecipazione di tutti i soggetti interessati. 
In sintesi, per tutte le ragioni summenzionate, deve ritenersi che nel caso in esame ricorra un'ipotesi di delegatio promittendi in quanto il datore ### si obbliga nei confronti del fondo ### a versare le somme via via maturate a titolo di T.F.R.  per conto del lavoratore ### in modo da estinguere sia il debito relativo al rapporto di provvista, tra datore e lavoratore e relativo all'obbligo di accantonamento e di versamento del T.F.R., sia al rapporto di valuta, tra lavoratore e fondo volto all'accumulo del montante previdenziale. 
Il versamento periodico delle quote da accantonare al fondo complementare ha, quindi, effetti liberatori nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente versato. 
Occorre ora analizzare il sistema rimediale in costanza di rapporto di lavoro. In questo caso, il lavoratore/aderente presenta due interessi meritevoli di tutela: 1. in ordine al rapporto di provvista, ha diritto all'accertamento del T.F.R.  maturato, come già evidenziato; 2. in ordine al rapporto di valuta, ha diritto ad essere informato sia dell'andamento del fondo di previdenza complementare sia della situazione concernente la propria posizione previdenziale in base agli artt. 13 bis e segg. d.lgs. 252/2005. 
Una volta ricostruita la fattispecie in termini di delegazione promissoria, è possibile individuare quali azioni possono essere esperite per la tutela delle diverse pretese creditorie. 
In base all'art. 1268 c.c. la delegazione di pagamento è cumulativa salvo volontà liberatoria espressa del delegatario in favore del delegante ma con riconoscimento del beneficium ordinis in favore di quest'ultimo. Tale disposizione, quindi, riguarda solo ed esclusivamente le azioni di condanna ed esecutive esperibili dal delegatario nei confronti del delegato e, successivamente, nei confronti del delegante.  ###. 1270 c.c., inoltre, disciplina, inoltre, l'ipotesi della revoca della delegazione ma la norma codicistica non ha previsto expressis verbis la diversa ipotesi in cui il delegato, seppur obbligatosi, non adempia alla prestazione dovuta ed il delegatario resti inerte. 
In questo caso peculiare, è possibile ritenere che il delegante ha un interesse meritevole di tutela in quanto l'adempimento del delegato nelle mani del delegatario realizza il suo interesse all'estinzione del rapporto di valuta. 
In caso di inerzia del delegatario nel richiedere la prestazione al delegato, il delegante può adempiere direttamente nelle mani del delegatario in ragione della natura cumulativa dell'istituto ex art. 1268 c.c. In questo caso, il delegante adempiendo nei confronti del delegatario estingue il rapporto di valuta ed ha facoltà di agire nei confronti del delegato per conseguire quanto dovuto in base al rapporto di provvista. 
Il che si desume anche a contrario sia dal beneficium ordinis, posto a tutela del delegante e che presuppone la sua responsabilità nei confronti del delegatario, sia dalla revoca ex art. 1270 Per tali ragioni, il delegante non può agire in giudizio per conseguire la condanna del delegato al pagamento in favore del delegatario in assenza di alcuna richiesta da parte di quest'ultimo in quanto col proprio adempimento può soddisfare anche il proprio interesse. 
Per tali ragioni, non può ritenersi esperibile neppure l'azione surrogatoria di cui all'art.  2900 c.c. proprio perché il lavoratore può superare il pregiudizio derivante dall'inerzia del fondo nel richiedere la prestazione al datore di lavoro adempiendo direttamente nelle mani del fondo. Le azioni di cognizione di condanna a favore di terzo sono, infatti, ipotesi eccezionali e si collegano alla tematica della sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. In questo caso il lavoratore farebbe valere in nome proprio il diritto del delegatario a conseguire dal delegato quanto dovuto in base allo stesso rapporto di valuta di cui egli stesso quale delegante risulta debitore.  ### surrogatoria, inoltre, costituisce uno strumento di salvaguardia della garanzia patrimoniale generica del debitore inerte in favore di tutti i suoi creditori, a differenza, ad esempio, dell'azione revocatoria. Nel caso in esame, invece, anche prescindendo dalla natura futura ed incerta del diritto del lavoratore alla prestazione previdenziale nei confronti del ### di previdenza complementare, deve evidenziarsi come il pregiudizio che il lavoratore subirebbe dal mancato adempimento della prestazione non è correlato genericamente alle chances di solvibilità del proprio debitore (fondo di previdenza complementare) e, quindi, ad un autonomo diritto di credito ma al mancato versamento degli accantonamenti dovuti in base allo stesso rapporto di valuta. 
Un ulteriore argomento di ordine sistematico milita in favore della tesi dell'inammissibilità della domanda di condanna in favore del fondo. 
Nell'ambito della tutela esecutiva, infatti, occorre prendere in considerazione gli artt.  475 co. 2 c.p.c. e l'art. 511 c.p.c. In base alla prima disposizione citata, “la spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi soltanto alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o ai suoi successori, con indicazione in calce della persona alla quale è spedita”. 
In altre parole, l'attivazione della tutela esecutiva spetta solo ed esclusivamente al soggetto indicato come titolare del relativo diritto nel titolo esecutivo. Il che non consente di soddisfare l'interesse del lavoratore. Occorre, infatti, evidenziare come l'interesse del lavoratore/aderente risulta soddisfatto solo ed esclusivamente in caso di versamento effettivo degli accantonamenti presso il fondo di previdenza complementare in ragione dell'inapplicabilità del principio di automaticità alla previdenza complementare. Nel caso di contributi dovuti all'### infatti, in base all'art. 2116 c.c. l'ente previdenziale è tenuto all'erogazione delle prestazioni previdenziali “anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza” e, quindi, il montante contributivo del lavoratore, presso l'I.N.P.S., ricomprende anche quei contributi che non siano stati effettivamente riscossi dall'ente previdenziale. Nel caso, invece, della previdenza complementare, il ### previdenziale è tenuto a considerare solo ed esclusivamente i contributi che siano stati effettivamente versati. 
Per tali ragioni, in caso di perdurante inerzia del fondo di previdenza complementare anche successivamente alla formazione del titolo esecutivo giurisdizionale, il lavoratore non potrà mai attivare una procedura esecutiva in favore del fondo inerte. 
Tali considerazioni, d'altra parte, si collegano anche alla seconda disposizione del libro terzo del codice di rito citata.  ###. 511 c.p.c., infatti, disciplina la c.d. sostituzione esecutiva che si differenzia dalla sostituzione processuale, relativa al processo di cognizione, in quanto consente al creditor creditoris di poter partecipare alla distribuzione dalla somma ricavata dalla procedura esecutiva eseguita in danno del debitor debitoris pignorato in sostituzione del proprio debitore.  ### la costante giurisprudenza di legittimità (Cass. 6019/2017), infatti, “la domanda di sostituzione esecutiva prevista dall'art. 511 cod. proc. civ., determina il subingresso del creditore dell'esecutato nella posizione processuale di quest'ultimo e nel diritto al riparto della somma ricavata dall'esecuzione (### 3, Sentenza n. 22409 del 19/10/2006, Rv. 593096). Pertanto, la domanda di sostituzione, pur non essendo propriamente assimilabile nè ad un pignoramento (di cui non ha la forma, mancando soprattutto l'ingiunzione di cui all'art. 492 c.p.c.), nè ad un atto di intervento (essendo, il sostituto, creditore del creditore procedente e non del debitore esecutato), è pur sempre uno strumento esecutivo, in quanto per il suo tramite il sostituto soddisfa forzatamente il proprio credito nei confronti del sostituito. Dunque, quando la domanda di sostituzione è proposta in relazione a un pignoramento presso terzi, il pagamento effettuato dal terzo pignorato estingue, fino alla concorrenza, non solo ### il suo debito nei confronti del debitore esecutato e ### il debito di quest'ultimo nei confronti del creditore procedente, ma anche ### il debito del creditore procedente nei confronti del creditore ad esso sostituitosi. In sostanza, il soggetto passivo della domanda di sostituzione va individuato in persona del creditore sostituito e non già del terzo pignorato o del debitore esecutato, per quali è indifferente che il pagamento avvenga a mani dell'originario pignorante o del suo sostituto. Lo strumento esecutivo di cui all'art. 511 c.p.c., ha ad oggetto il credito azionato dal creditore sostituito, che, in quanto facente parte del suo patrimonio, è a sua volta aggredibile da suoi creditori. 
La domanda di sostituzione, nel caso di pignoramento presso terzi, è quindi dotata di capacità satisfattiva analoga al pignoramento diretto di quanto il creditore sostituito altrimenti recupererebbe dall'azione esecutiva in cui tale istanza viene invece presentata”. 
In altre parole, l'unica ipotesi eccezionale in cui il processo esecutivo consente la partecipazione di un soggetto non titolare delle situazioni giuridiche soggettive cristallizzate nel titolo esecutivo è rappresentata dalla possibilità per il creditore di poter essere soddisfatto a discapito del proprio debitore che sia a sua volta il creditore procedente od intervenuto in una procedura esecutiva. 
Per tali ragioni, deve essere rigettata la domanda di condanna, esperita dal lavoratore, di condanna del datore di lavoro al pagamento in favore del fondo di previdenza complementare. In costanza del rapporto di lavoro, quindi, in caso di inerzia del fondo, il lavoratore può versare gli importi dovuti al fondo complementare ma non può chiedere la condanna del proprio datore a tale versamento in favore del fondo complementare. 
In caso di cessazione del rapporto, come nella fattispecie in esame, invece, restano ferme tutte le considerazioni summenzionate in ordine al rigetto della domanda di condanna al pagamento in favore del fondo di previdenza complementare ma risulta necessaria un'ulteriore precisazione. 
II pagamento effettuato dal datore di lavoro delegato è infatti adempimento dell'obbligazione del lavoratore nei confronti del ### Pertanto, il ### è legittimato ad agire nei confronti del datore di lavoro per ottenere la corresponsione delle somme trattenute quale delegatario, ma ciò non esclude che, in caso di sua inerzia, si possa attivare direttamente il lavoratore per far valere il proprio diritto al pagamento delle quote di TFR non versate. In altri termini, se l'obbligazione non viene adempiuta dal delegato, il credito del lavoratore nei confronti del datore di lavoro non si estingue, ma il delegante resta titolare del proprio diritto al pagamento delle quote di TFR nell'ambito del rapporto di lavoro in ragione della esecuzione della prestazione lavorativa. In questo caso, infatti, alla cessazione del rapporto di lavoro, il credito per T.F.R. risulta estinto per adempimento nei limiti di quanto accantonato dal datore presso il ### complementare. Se nulla è stato accantonato diventa esigibile il credito per T.F.R. per l'intero mentre in caso di versamento parziale diventa esigibile solo la quota di T.F.R. non versata. Per tali ragioni, inoltre, deve essere rigettata la domanda di condanna del ### al pagamento di quanto dovuto in base ai versamenti omessi dal datore di lavoro. 
Sussiste quindi la legittimazione attiva del lavoratore in ordine alla richiesta del T.F.R.  ### i principi generali in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (si veda ex plurimis Cass., Sez. Un., 13533/2001). Nel caso di specie, avendo allegato il ricorrente-creditore l'inadempimento dell'obbligazione avente ad oggetto la corresponsione delle quote di T.F.R. e la cessazione del rapporto di lavoro, incombe sul convenuto-### debitore la prova dell'esattezza dell'adempimento. 
Nel caso in esame, il resistente non ha fornito la prova di tali pagamenti. 
Parte ricorrente, inoltre, con il deposito della comunicazione del ### del 23.2.2017, ha individuato anche le mensilità per cui il datore di lavoro ha omesso di procedere ai relativi versamenti (maggio e giugno 2015 e da agosto 2015 a dicembre 2016), ha depositato tutti i relativi prospetti paga e, pertanto, il datore di lavoro deve essere condannato al pagamento in suo favore dell'importo di € 1.063,21, come richiesto nel corpo del ricorso alla luce delle quote di T.F.R. che dovevano essere accantonate e che sono contabilizzate nei prospetti paga depositati da parte ricorrente, oltre interessi dalla maturazione, rappresentata dalla data di cessazione del rapporto, fino al saldo. 
Deve essere, infine, rigettata la domanda di parte ricorrente di condanna ex art. 96 c.p.c. in quanto non si ritengono sussistenti i relativi presupposti.  ### la costante giurisprudenza di legittimità (Cass. 29737/2019) “Questa Corte ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista da tale norma, in relazione sia alla necessità di contenere il fenomeno dell'abuso del processo, sia all'evoluzione della fattispecie dei "danni punitivi" che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento; al riguardo, è stato affermato che "la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta al contenimento dell'abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo", quale l'aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. 27623/2017) e cioè nell'evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione. Tale pronuncia è stata preceduta da un altro fondamentale arresto secondo il quale "nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quel sanzionatoria della responsabilità civile, sicchè non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei "risarcimenti punitivi"(Cass. SSUU 16601/2017)": nella motivazione della sentenza richiamata l'art.  96 c.p.c., u.c. è stato inserito nell'elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza”. 
La mancata costituzione del ### non comporta la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese di lite. 
Per quanto riguarda i rapporti tra parte ricorrente e la C.T.P., le spese di lite sono compensate nella misura del 30% in ragione dell'accoglimento parziale del ricorso e sono liquidate in dispositivo.  P.Q.M.  Il Tribunale di Napoli Nord, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando così provvede: 1. in parziale accoglimento del ricorso condanna la società ### s.p.a. al pagamento in favore di ### della somma di € 1.063,21 per le causali indicate in parte motiva, oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione al saldo; 2. rigetta per il resto il ricorso; 3. liquida le spese di lite in complessivi € 400,00 oltre rimb. Forf. al 15%, iva e cpa come per legge, di cui compensa il 30% e condanna la società società CTP ### s.p.a. al pagamento in favore di ### del restante 70% delle spese; 4. nulla per le spese nei rapporti tra parte ricorrente ed il ### Aversa, 09/07/2021 

il Giudice
del ### dott. #### n. 11970/2019


causa n. 11970/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Capolongo Barbato

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