testo integrale
###### di #### e ### in funzione del giudice monocratico dr.ssa ### all'udienza cartolare del 20/06/2022, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 6502/2018 del R.G. Sez. ### e ### TRA #### E ### nelle loro qualità di eredi di ### e di ### elett.te dom.ti presso lo studio dell'avv. ### che li rapp.ta e difende come da mandato in atti ### E ### in persona del legale rapp.te p.t., rapp.to e difeso dagli avv.ti ####### elett.te domiciliata presso lo studio di quest'ultima in virtù di procura in atti.
RESISTENTE OGGETTO: risarcimento danni non patrimoniali iure hereditatis per decesso per malattia professionale; risarcimento danni da perdita del rapporto parentale. RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 25/10/ ricorrenti e la sig ### deceduta poi in corso di causa, esponevano che il loro congiunto ### deceduto in data ###, era stato dipendente della ### s.p.a. c/o lo stabilimento di C/### di ### dal 01/11/1956 al 29/02/1992, svolgendo attività lavorativa con le mansioni di “saldatore elettrico”.
Deducevano che era stato in contatto con l'amianto nell'esercizio delle proprie mansioni, svolte senza l'utilizzo di alcun mezzo di protezione, e con l'amianto aerodisperso; illustravano, quindi, il contenuto delle mansioni svolte dal loro congiunto. Precisavano che il defunto sig. ### aveva contratto una malattia absesto-correlata a causa dell'esposizione all'amianto, riconosciuta prima dall'### al 4% e poi con sentenza di questo ### n. 1376/2015 al 10%, con condanna dell'### al pagamento di una somma in capitale a far data dalla domanda amministrativa. A seguito del decesso di #### riconosceva ai superstiti la rendita,.
Quindi, invocata la responsabilità contrattuale della società datrice di lavoro e dedotta l'esistenza di colpa a suo carico, per assenza di adozione di misure precuzionali contro i danni da amianto, chiedevano la condanna del soggetto datore di lavoro al risarcimento del danno biologico differenziale non patrimoniale subito iure hereditatis, e iure proprio per perdita del rapporto parentale per le somme ivi specificamente indicate, con personalizzazione massima, oltre accessori di legge, spese vinte.
Si costituiva in giudizio la convenuta ### s.p.a. la quale eccepiva, in via preliminare, l'inammissibilità della domanda di automatico riconoscimento del danno biologico differenziale sia ex art. 13 L. n. 38/2000, sia per mancata prova della configurabilità in concreto di un fatto-reato commesso dal datore di lavoro; eccepiva la carenza di nesso causale, per mancata prova di esposizione a fibre di amianto, negando anche l'esistenza di colpa datoriale e del danno, con vari argomenti in fatto ed in diritto; contestava la fondatezza della domanda, chiedendone il rigetto, spese vinte.
In corso di causa era ammessa ed espletata la ctu medico legale e veniva espletata la prova testimoniale. ### il processo, in data ### la ricorrente ### decedeva e ciò veniva comunicato da un altro dei ricorrenti-eredi solamente in data ###; all'udienza del 22.02.2022 a trattazione scritta veniva dichiarata l'interruzione del processo, che veniva riassunto con deposito del ricorso in riassunzione da parte degli eredi #### e ### in data ###. La resistente si costituiva in giudizio con memoria difensiva il ### e la causa veniva fissata per la discussione all'odierna udienza del 20/06/2022.
All'odierna udienza cartolare, all'esito del deposito di note conclusionali a trattazione scritta, il ### decideva con la presente sentenza. *****
In via preliminare, la resistente ### s.p.a. eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, ritenendo, come unico responsabile del danno lamentato l'### a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 13 d.lgs. n. 38/2000. Ritiene invero applicabile al caso di specie l'art. 13 del d.lgs 38/00 sostenendo la necessità della configurabilità in concreto di un fatto-reato.
Affrontando la problematica in via generale, questo giudice condivide l'orientamento giurisprudenziale che, in materia di danno differenziale, ha asserito che l'indennizzo erogato dall'### per ristorare il lavoratore da tale danno presenta caratteristiche ontologicamente diverse dal risarcimento dello stesso tipo di danno in materia di responsabilità civile, considerato che le prestazioni assicurative ### vengono erogate a prescindere dall'esistenza di un illecito civile e della colpa dell'autore della condotta dannosa (e, dunque, a prescindere da tale accertamento) ed anche prescindendo dall'esistenza di un responsabile diverso dal danneggiato.
Dunque deve ritenersi che le caratteristiche proprie dell'indennizzo ### rendano tale forma di tutela del lavoratore completamente distinta da qualsiasi categoria risarcitoria; conclusione avvalorata anche dalla considerazione che l'indennizzo dell'I.N.A.I.L. non copre, tra gli altri, il danno biologico per invalidità permanenti inferiori al 6%.
Va, ancora, rilevato che l'art. 13 d.lg. n. 38 del 2000 circoscrive la propria portata limitandola "ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali".
In particolare, nella nuova disciplina (art. 13 comma 1° ### citato) la nozione del danno biologico viene espressa come "la lesione dell'integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona", ma "in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento".
Come si desume dal tenore letterale del citato articolo e come risulta ancor meglio specificato nel secondo comma, l'erogazione dell'### è, pertanto, un indennizzo del danno biologico e si colloca (v. art. 13 comma 2° ### citato) "nell'ambito del sistema di indennizzo e sostegno sociale" e, quindi, non può certo garantire la totalità del risarcimento (Cass., Sez. Lav, n. 777 del 19.1.2015).
La norma previdenziale in esame, quindi, prevede la corresponsione di un minimun sociale garantito nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile la colpa di alcuno; per questo motivo attraverso la copertura sociale si indennizza, ma non si risarcisce integralmente.
Pertanto, se l'### non copre integralmente il danno biologico, per quella parte non indennizzata non vi è prestazione previdenziale e viene meno, quindi, l'esonero del datore di lavoro.
Tanto chiarito, alla stregua delle considerazioni che precedono, ritiene il giudicante che, anche in seguito all'entrata in vigore dell'articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, spetti al lavoratore il risarcimento del danno differenziale in caso di lesione dell'integrità psicofisica.
Pertanto il giudice, una volta accertata la responsabilità civile del datore di lavoro o del danneggiante in relazione al danno subito dal lavoratore, secondo i principi e i criteri civilistici, deve riconoscere al lavoratore il danno biologico da invalidità escluso dalla sfera dell'assicurazione ### applicando a tal fine i criteri equitativi utilizzati per liquidare questo tipo di danno in materia di responsabilità civile.
In definitiva, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 13 d.lg. 23 febbraio 2000 n. 38, che ha esteso la copertura dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali al danno biologico, sussiste la responsabilità civile del datore di lavoro per la parte di danno risarcibile che eccede l'indennizzo dovuto dall'### in relazione a quella copertura assicurativa.
Quanto, poi, al problema della c.d. pregiudiziale penale, si precisa, innanzitutto, che il presupposto dell'azione risarcitoria del lavoratore non è l'esistenza di un provvedimento di condanna, ma la sussistenza di responsabilità penale del datore di lavoro accertabile autonomamente ed incidentalmente nell'ambito del giudizio civile. Osserva, poi, la Corte che, "per costante giurisprudenza, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, e delle inerenti pronunce della Corte cost., riguarda l'ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica. Invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte cost. n. 356 e 485 del 1991 e con il conseguente orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell'assicuratore - tale esonero non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all'art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro (cfr., ex aliis, Cass. n. 8182/2001 e successive conformi)".
Per quanto riguarda poi il caso specifico, si evidenzia che il danno non patrimoniale iure hereditatis o danno terminale rientra nei cd. danni complementari, ovvero nei danni non coperti dall'indennizzo ### e, come tali, integralmente risarcibili a carico del datore o differenziale in senso lato o qualitativo, a differenza del danno differenziale in senso stretto o quantitativo, per il quale il risarcimento è ammesso solo nella parte eccedente l'indennizzo assicurativo. Ricondotto il pregiudizio di cui si discute alla categoria del danno complementare e non a quella del danno differenziale, diventa poi a questo punto superflua, come si è accennato sopra, ogni valutazione sul punto dell'invocato esonero da responsabilità del datore di lavoro in conseguenza dell'assicurazione obbligatoria.
In via ancora preliminare occorre qualificare l'azione per risarcimento del danno iure hereditatis quale azione di responsabilità contrattuale (art. 2087 c.c.) o extracontrattuale (art. 2043 c.c.), al fine di individuare la disciplina applicabile ed, in particolare, il criterio di ripartizione dell'onere della prova.
Trattandosi di causa fondata sulla violazione della norma contenuta nell'art. 2087 cod. civ., incombe sull'attore l'onere di provare l'inadempimento, il danno ed il nesso causale tra il danno e la condotta del datore di lavoro, il quale, per contro, ha l'onere di provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza di legittimità successiva cfr. tra le altre Cass. sez. L. n. 21590/2008 e n. 15078/2009).
Ritiene questo giudicante di dover recepire quest'ultimo indirizzo interpretativo, ovvero che trattasi di responsabilità contrattuale, autorevolmente fondato su pronunce delle ### e basato su una lettura costituzionalmente orientata delle regole in materia. Da ciò consegue, in termini di ripartizione probatoria, che il lavoratore danneggiato può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento (Cass. n. 9817/2008 citata) ed, invece, l'infortunato non è gravato dell'onere di provare il "fatto" costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza. In definitiva, il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro o malattia professionale si pone negli stessi termini dell'art. 1218 cod. civ. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro o malattia professionale deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno ( civ., sez. lav., nn. 9817 e 21590 del 2008). ******
Parte ricorrente ha allegato e provato l'esistenza dell'obbligazione lavorativa; trattasi, d'altro canto, di una circostanza pacifica tra le parti in causa oltre che documentalmente provata dalla documentazione in atti.
Sono stati sentiti i testi ### e ### entrambi colleghi di lavoro di ### Dalle deposizioni testimoniali espletate in corso di causa, da ritenersi certamente attendibili in quanto rese da ex colleghi di lavoro del ### è inoltre emersa la fondatezza delle circostanze dedotte nel corpo del ricorso introduttivo in ordine alle mansioni svolte dal ### alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa di quest'ultimo, e in ordine alla presenza dell'amianto all'interno della ### con esposizione, anche indiretta, di ### alle fibre di amianto.
Ha riferito il teste ### di avere lavorato sempre in squadra con ### ha dichiarato che lavoravano sempre a bordo nave, in un ambiente dove vi era amianto aerodisperso, senza protezioni individuali e senza sistemi di areazione, tranne i piccoli aspiratori, detti estrattori, che usavano durante il lavoro, e che operavano in ambiente promiscuo con altri lavoratori anche quando le ditte esterne operavano la coibentazione a spruzzo con l'amianto. Usavano teli di amianto, che si frantumavano e provocavano dispersione di polvere di asbesto. ### la spazzatura a terra provocava l'alzata di polvere di asbesto residuata dalle lavorazioni.
Ha dichiarato inoltre in particolare: “### lavoravamo a contatto con l'amianto. I pannelli di amianto venivano messi nelle cabine, per coibentare; nel cofano macchine l'amianto veniva spruzzato dagli addetti sui tubi del motore, che veniva rivestito di amianto che veniva spruzzato dai coibentatori. Io e Discolo lavoravamo a stretto contatto con i coibentatori come anche con tutti gli altri. Provvedevamo a saldare i manicotti vicino al pannello contenente amianto e ogni cosa ci fosse da saldare, ma sempre vicino a questi pannelli di amianto.
Adr; il contatto con materiali contenenti amianto era con i teli di amianto, le guarnizioni, i pannelli per la coibentazione, le polveri della spruzzatura.
Noi abbiamo lavorato sempre a stretto contatto con queste lavorazioni; il motore della nave portava diversi tubi e questi tubi andavano coibentati perché si surriscaldavano.
Dopo aver coibentato le pareti se serviva qualche passaggio di un tubo tra una parete e l'altra veniva forato prima la parete e poi il pannello vicino per creare un passaggio per i tubi e questo comportava lo sfaldamento di questi materiali e la dispersione di polvere. ### nelle giunture di tubi si usavano guarnizioni di amianto.” ### il teste ### ha riferito le stesse circostanze, e ha anche detto che “Noi saldatori eravamo comunque sempre a contatto con l'amianto. Quando dovevamo fare delle saldature facevamo un buco nella parete o nel soffitto e si sprigionava quel pulviscolo di amianto, dovuto alla rottura del pannello.
Lavoravano insieme a noi anche altri operai, come i carpentieri, falegnami elettricisti, un po' tutti.
Quando lavoravano i coibentatori anche loro lavoravano insieme a noi. Impastavano della roba e la mettevano vicino alle pareti. ### delle spatole. Poi spruzzavano l'amianto sulle pareti e rivestivano i tubi con l'amianto. Era una ditta esterna che faceva la coibentazione. ### era tutto polveroso, quando poi facevano le pulizie si alzava la polvere di tutti i materiali usati, tra cui la polvere di amianto dappertutto.
Adr: noi usavamo i grembiuli e i guanti che erano di amianto; quando lavoravamo per proteggerci dai fuochi della saldatura. Sembrava che fossero di pelle invece erano di amianto.
Adr lo abbiamo saputo dopo che erano fatti di amianto. Pensavamo che era una pelle che ci proteggeva dai danni della saldatura.
Adr: non abbiamo mai usato mascherine di protezione, non ce le hanno mai date.
Adr: non c'erano areatori ma solo piccoli tubi aspiranti che usavamo noi saldatori. Ma non riuscivano ad estrarre quasi niente come fumi e pulviscoli.
Adr: quando saldavamo usavamo dei teli per proteggere dal fuoco le zone dove lavoravamo. Il telo non so di che cosa era fatto, faceva fumo se ci cadeva il fuoco della saldatura ma non bruciava. Non sapevamo di cosa fossero fatti questi teli, abbiamo saputo dopo che erano di amianto.
Adr: i teli li levavano le ditte della pulizia. Noi, finite la lavorazione li lasciavamo la non li levavamo.
In genere rimanevano integri ma qualche volta si rompevano e il pericolo era li, quando si rompevano, che provocavano polvere. ### saputo dopo questo però.
Nessuno ci ha avvertito di niente, non ci hanno mai dato nè mascherine nè qualcosa per proteggerci.
Noi lavoravamo nello stesso ambiente tutti insieme e anche con i coibentatori.
Adr: non usavamo mascherine, non c'erano areatori a parete, non ci hanno informato sul rischio amianto. Io non ho mai fatto visite mediche. Si andava dal dottore interno per i controlli di routine.
Non ci controllavano se usavamo mascherine e non c'era cartellonistica.
Non uscivamo quando lavoravano i coibentatori.” Com'è evidente, i testi hanno riferito circostanze precise e di diretta percezione. Essi sono apparsi intrinsecamente attendibili e le loro dichiarazioni si riscontrano a vicenda. Dalla prova testimoniale emerge senza ombra di dubbio che l'uso di amianto nelle forme sopra descritte abbia costituito un veicolo di inalazione di polveri di amianto, essendo le modalità complessive di lavoro idonee a una dispersione aerea di polveri di asbesto nei luoghi di lavoro, in considerazione sia della tipologia del materiale sia delle lavorazioni compiute con e su di esso, e che i lavoratori, soprattutto quelli che svolgevano mansioni a bordo delle navi, come ### fossero esposti a tali polveri.
Agli atti vi sono, poi, documenti che attestano il fatto che presso i cantieri navali di ### di ### nel periodo nel quale vi lavorò il ricorrente venisse utilizzato amianto per la costruzione delle navi: in tal senso concordano ampiamente i documenti ### riguardanti la costituzione della rendita ### per malattia professionale, nonché la sentenza di riconoscimento della malattia professionale emessa dal ### di ### Seppure i documenti ### hanno pieno valore solo in ambito previdenziale e non sono affatto vincolanti nei confronti dei terzi quale è il datore di lavoro, sotto altro profilo non può negarsi che il giudice possa sempre utilizzare tale accertamento effettuato da un organo pubblico per fondare la propria decisione anche nei confronti del datore di lavoro.
L‘### nel 1977 aveva già assegnato al de cuius ### una rendita per danno biologico al 25% per bronchite cronica in soggetto esposto ai fumi di saldatura. ### relativo alla successiva domanda all'### per malattia professionale sulla base della diagnosi ### di asbestosi effetuata nel 2013, si è poi concluso con il riconoscimento della patologia “pleuropatia asbestosica”, di origine professionale, ritenuta invalidante al 4% il ### (la successiva collegiale medica ha concluso poi in maniera discorde sulla valutazione del danno).
Impugnato l'esito avanti a questo ### il ctu evidenziava che il sig ### era affetto da: − fibrillazione atriale permanente in paziente iperteso con episodi di scompenso cardiaco; − broncopneumopatia cronica ostruttiva; − pleuropatia asbestosica senza evidenza strumentale di interstiziopatia asbestosica.
In particolare, nelle conclusioni, il ctu nominato in quel procedimento, RG 6695/13, rilevava che la dispnea era prevalentemente da ascrivere alla patologia ostruttiva già valutata (e quindi non più valutabile) e alla compromissione cardiaca marcata, e la presenza delle patologie concomitanti (patologia marcata di grado ostruttivo-foriera di rendita per danno biologico al 25% dal 1977- e la condizione clinica che lo rendeva incompatibile con esame spirometrico) non permetteva di sapere se ci fosse un deficit di tipo restrittivo.
Il ctu riteneva comunque presente con alto grado di probabilità il deficit restrittivo, pur non essendo clinicamente e strumentalmente definibile a causa delle menomazioni preesistenti, e, non potendo clinicamente né strumentalmente definire la quota di deficit respiratorio ascrivibile alle placche pleuriche, concludeva nel senso che : “le placche sono pleuriche, multiple e diffuse su tutta la pleura parietale e diaframmatica bilateralmente e seppur la diffusione non è massiva si può ipotizzare che in un soggetto non affetto da altre menomazioni concorrenti determinerebbe un deficit respiratorio di tipo restrittivo di grado lieve valutabile nel range 6-15%”, concludendo per un 10% di danno biologico permanente. Concludeva nel senso che le sole placche pleuriche comportavano un deficit della funzionalità respiratoria e un danno biologico pari al 10%, foriero quindi di indennizzo.
La sentenza emessa nell'ambito del procedimento RG 6695/2013, ha quindi confermato l'esistenza del nesso causale tra malattia asbestosica e attività professionale già riconosciuto dall'### ed ha accertato un aggravamento al 10%. ###, come emerge da tutta la letteratura scientifica, è "una pneumoconiosi dovuta all'inalazione prolungata di fibre del minerale amianto, caratterizzata da una fibrosi polmonare progressiva di tipo interstiziale". Essa è malattia tabellata in lista I, ovvero è indicata tra le malattie la cui origine professionale è di elevata probabilità. Che essa derivi direttamente dall'inalazione di fibre di amianto è certezza scientifica.
Invero nella letteratura scientifica internazionale è ormai unanimemente accertata l'esistenza di un rapporto di causalità diretta fra insorgenza dell'asbestosi e l'esposizione professionale e/o ambientale alle fibre di amianto.
Da quanto emerge dagli atti (attestazione ### di ###), il ricorrente risulta essere deceduto il ### per “causa iniziale: asbestosi polmonare”, e per la seguenti complicazioni: “insufficienza cardiorespiratoria, arresto cardio respiratorio”.
E' stata disposta ctu al fine di accertare il nesso causale tra la malattia professionale e il successivo decesso.
Il ctu concludeva nel senso che “la causa della morte e‟ da ricercare in un evento acuto cardiaco / polmonare che agiva su di un sistema cuore polmone già in riserva funzionale. Delle concause concorrenti presistenti e necessarie alla produzione dell'evento morte quella asbestosica, da quanto acquisito dagli atti, può essere considerata responsabile nella misura di un terzo del decesso. (33 %) da un punto di vista della rilevanza proporzionale .” Nei chiarimenti richiesti ribadiva che: “La malattia asbestosica per il prevalente impegno pleurico (placche ed esiti fibrosici da pachipelurite) aveva una incidenza funzionale sulla ventilazione polmonare di moderata entita', tant'e' che i sanitari ### in data ### consideravano il danno biologico da asbesto valutabile nella misura del 4 %.
La bronchite cronica di converso aveva una rilevanza clinica di gran lunga maggiore atteso le frequenti riacutizzazioni e la maggiore influenza in peius sullo scambio gassoso alveolare-capillare per la diffusa alterazione del rapporto ventilo-perfusorio ### l'### valutava il danno da bronchite cronica nella misura del 25% .
La patologia a maggiore rilievo clinico era comunque quella cardiaca atteso la presenza di una cardiopatia dilatativa complicata da fibrillazione atriale da cui la necessità' di un impianto permanente di un pacemaker per favorire la contrazione dei ventricoli.
Questo era dunque lo stato clinico che precedeva il decesso del ### Appare di palmare evidenza che la grave malattia cardiaca in uno con la patologia polmonare mista (bronchite cronica -pleuropatia asbestosica) convivevano in un precario equilibrio clinico retto dalla riserva funzionale del sistema cuore - polmone che inesorabilmente cedeva in occasione dell'evento acuto mortale verosimilmente cardiaco.
Pertanto l'exitus del ### era da correlare ad una insufficienza cardio respiratoria da patologia cardiaca primitiva aggravate dalla broncopatia cronica e dalla malattia asbestosica. Erano dunque presenti nel ### almeno tre concause concorrenti, preesistenti e necessarie alla produzione dell'evento morte: quella asbestosica poteva essere considerata responsabile del decesso nella misura di 1/3 (33 %) in ragione della sua minore rilevanza clinica proporzionale rispetto alla patologia cardiaca, che dai dati in possesso, assumeva il ruolo di patologia predominante.” Come la Suprema Corte ha già avuto modo di affermare, allorquando non si pervenga a ravvisare la sussistenza di una causa sopravvenuta idonea a determinare in via autonoma ed esclusiva il danno evento (cfr. Cass., 28/9/2018, n. 23450; Cass., 6/5/2015, n. 9008; Cass., 13/1/2015, n. 280; Cass., 23/9/2013, n. 21715; Cass., 17/2/2011, n. 3847; Cass., 21/7/2003, n. 11316), il problema del concorso di cause delle cause trova soluzione nell'art. 41 c.p., in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l'esclusiva efficienza causale di una di esse (v. Cass., 28/7/2017, n. 18753; Cass., 14/7/2011, n. 15537; Cass., 2/2/2010, n. 2360), trattandosi di ipotesi di concorso di più cause efficienti nella determinazione del danno (cfr. Cass., 9/4/2014, n. 8372; Cass., 3/3/2010, n. 7618; Cass., 9/11/2006, n. 23918. Cfr. altresì Cass., 11/5/2012, n. 7404).
In base al principio di equivalenza delle cause ex artt. 40 e 41 c.p. è necessario tener conto di qualunque fattore anche remoto che abbia cooperato a creare nel soggetto una situazione favorevole al prodursi della malattia, sicché solo quando si possa individuare un fattore estraneo all'attività lavorativa che abbia causato la malattia stessa, il nesso deve escludersi (Cass. n. 6105/15 ed altre), mentre, in assenza di ciò, anche la modesta efficacia del fattore professionale è sufficiente a rendere operativo il principio di equivalenza (Cass. n. 7551/1987 e Cass. n. 21021/2007).
I principi di diritto più volte affermati dalla Suprema Corte, secondo i quali in caso di concorso tra causalità umana e causalità naturale, si esclude che si possa dar luogo ad una riduzione proporzionale di responsabilità, e quindi conducono ad affermare che, in caso di concorso tra causalità umana e concausa naturale, il responsabile dell'illecito risponde per l'intero poichè una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli Cassazione civile sez. III, 06/07/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 06/07/2020), n.13864; nell'ipotesi in cui la persona danneggiata sia, per la propria condizione soggettiva, più vulnerabile dei soggetti della stessa età e dello stesso sesso, tale circostanza non incide nè sul nesso di causa, nè sull'attribuzione della colpa, nè sulla liquidazione del danno (Cass. n. 28811 del 2019; ### 3 -, Ordinanza n. 20836 del 21/08/2018; ### 3, Sentenza n. 8995 del 06/05/2015, Rv. 635338 - 01; ### 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011).
Allegata e provata l'obbligazione lavorativa, la nocività dell'ambiente di lavoro e la malattia professionale (dalla documentazione medica in atti, dalla documentazione ### e dalla ctu espletata), nel caso che occupa gli aventi causa del lavoratore deceduto hanno allegato l'omessa adozione di qualsivoglia cautela atta a prevenire o a limitare gli effetti dannosi della lavorazione. Grava, quindi, in tali casi sul datore di lavoro l'onere di provare di essersi attivato per preservare l'integrità psico fisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio (Cass. n. 9238/2011 cit.).
La consapevolezza da parte dell'azienda della nocività della lavorazione e della pericolosità dell'amianto è (o quantomeno avrebbe dovuto essere) certamente desumibile dalla letteratura scientifica già abbondante in quel periodo e dalla normativa in vigore.
In realtà già all'epoca dei fatti la società avrebbe dovuto adottare i dispositivi per l'aspirazione delle polveri, imposti dal d.p.r. 303/1956, mentre dall'istruttoria svolta è emerso che alcun dispositivo di protezione, individuale o collettiva, era stato installato o consegnato all'interno dei luoghi di lavoro. ### se non risolutivi, i dispositivi di aspirazione avrebbero potuto quantomeno ridurre l'inalazione le polveri o le fibre di amianto ed i conseguenti rischi per la salute. Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte è pacifica: “Per quanto l'art. 2087 cod. civ. non configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute incombe l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro e il nesso causale fra questi due elementi.
Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.” ### 303/1956 prescriveva all'art. 21 in tema di lavorazioni polverose che "Nei lavori che danno luogo normalmente alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambito di lavoro, nell'ambiente di lavoro. Le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione nella atmosfera. Ove non sia possibile sostituire il materiale di lavoro polveroso, si devono adottare procedimenti lavorativi in apparecchi chiusi ovvero muniti di sistemi di aspirazione e di raccolta delle polveri, atti ad impedirne la dispersione. ### deve essere effettuata, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo di produzione delle polveri. Quando non siano attuabili le misure tecniche di prevenzione indicate nel comma precedente, e la natura del materiale polveroso lo consenta, si deve provvedere all'inumidimento del materiale stesso. Qualunque sia il sistema adottato per la raccolta e la eliminazione delle polveri, il datore di lavoro è tenuto ad impedire che esse possano rientrare nell'ambiente di lavoro." Vi erano, poi, obblighi di natura generale relativi alla pulizia dei locali che doveva essere effettuata in modo da ridurre al minimo il sollevamento della polvere nell'ambiente oppure mediante aspiratori (art. 15), allo svolgimento in luoghi separati delle lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporvi i lavoratori addetti ad altre lavorazioni (art. 19); alla fornitura di dispositivi di protezione ai lavoratori che operavano in luoghi ove ci fosse il dubbio sulla salubrità dell'atmosfera (art. 25).
Tutti gli obblighi suddetti sono stati violati dal datore di lavoro, come si è evidenziato nell'esame delle condizioni di lavoro emerse dalle risultanze istruttorie, da cui deriva che non soltanto la convenuta non ha provato di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno alla salute dei propri dipendenti, ma risulta anzi positivamente dimostrata l'omissione da parte della società dell'adozione anche delle misure minime previste dalla legge.
La pericolosità dell'amianto era già nota fin dal 1909 quando il R.D. 14 giugno 1909 n. 442 includeva la filatura e la tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi vietati alle donne minorenni ed ai fanciulli o sottoposti a speciali cautele. A seguire, la legge 455/1943 sull'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi, e il D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303, sopra riportato. Fin dal dopoguerra, sono poi stati condotti studi scientifici, sia all'estero che in ### che hanno resi noti i rischi connessi all'inalazione di fibre di amianto. Pertanto, tenendo conto dell'importanza del gruppo industriale convenuto, che imponeva obblighi di informazione particolarmente elevati, in relazione ai rischi già conosciuti e alla normativa esistente all'epoca in tema di amianto, risultava del tutto esigibile la condotta alternativa lecita, essendo prevedibile la lesione alla salute che la normativa violata in materia di sicurezza mirava a evitare.
Una volta allegato e provato che sia stata svolta un'attività lavorativa in un certo ambiente di lavoro, in cui era presente amianto ed il predetto nesso di causalità tra malattia e nocività dell'ambiente lavorativo, il datore di lavoro deve comunque dare perlomeno la prova che siano state predisposte appunto le misure di sicurezza minime, previste per tutti i lavoratori presenti a prescindere dalle mansioni specifiche espletate.
Ebbene, tale prova non è stata fornita.
Infine, quanto sopra esposto appare sufficiente anche al fine di provare la responsabilità penale; la giurisprudenza, come sopra si accennava, ha avuto modo di affermare che gli elementi propri della responsabilità penale vanno accertati in sede ###i criteri propri del processo civile, ivi compreso l'utilizzo delle disposizioni sul riparto dell'onere probatorio in caso di mancanza di prova (in particolare per quel che interessa il presente procedimento con riferimento agli artt. 1218 e 2087 c.c.) e il ricorso alle presunzioni (Cass. 4184/2006). Tutte le risultanze istruttorie portano a configurare ipotizzabile l'omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
Quindi dall'istruttoria espletata in corso di causa e dalla ctu può, quindi, ritenersi provato il nesso causale tra la malattia professionale con conseguente decesso e l'attività lavorativa svolta presso il cantiere ### di ### di ### nonché il comportamento colposo, omissivo, negligente, imprudente del datore di lavoro il quale, in violazione delle norme e misure di sicurezza sul lavoro più volte richiamate, consentiva che i suoi dipendenti lavorassero in condizioni di rischio.
Può dunque affermarsi che ### è deceduto in conseguenza di uno scompenso del sistema cardiaco respiratorio, che trovava anche nell'asbestosi una causa concorrente. ### è stata contratta nell'esercizio dell'attività lavorativa per il continuo contatto e la conseguenziale inalazione di polveri di amianto, a causa e per colpa del datore di lavoro che non ha provveduto ad applicare ai lavoratori le cautele e le misure di prevenzioni previste dalle norme di legge, e non ha provato di avere adottato le cautele minime per evitare il danno e quindi la non imputabilità del danno.
Per quanto concerne la richiesta di risarcimento del danno biologico, si osserva quanto segue.
Il danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psicofisica, è diverso ontologicamente sia dal danno c.d. morale sia dal danno da mancato reddito in dipendenza della perdita o diminuzione della capacità lavorativa. A seguito di ampia elaborazione giurisprudenziale, la Suprema Corte individua ad oggi come pregiudizi risarcibili unicamente le due categorie del: - danno patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c. nelle due componenti del danno emergente e del lucro cessante) e del - danno non patrimoniale (risarcibile ex art. 2059 c.c. costituzionalmente reinterpretato e, quindi, senza limitazioni), comprendendo in questo ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona e quindi sia il danno morale c.d. soggettivo, sia il danno biologico, sia infine il danno conseguente alla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (sentenze n. 8827 e 8828 del 31.5.2003 della Corte di Cassazione, 2008, n. 26972 delle ### e n. 233/2003 della Corte Costituzionale).
Il perimetro di valutazione del danno è contrassegnato da due limiti: il divieto di automatismi risarcitori e il divieto di duplicazioni. All'interno si collocano l'integrale riparazione del danno e la esigenza di garantirne la personalizzazione, ove ve ne siano i presupposti. In concreto ciò significa che se le proiezioni negative patite non divergono da quelle subite da altre vittime nella medesima condizione il danneggiato non avrà diritto al riconoscimento di un quid pluris. ### personalizzato del danno non patrimoniale è possibile solo in presenza di allegazione e prova specifica di un pregiudizio eccedente quello normalmente correlabile al tipo di lesione asseritamente subita. La personalizzazione in ragione della sofferenza morale, può comportare, quindi, l'applicazione dell'aumento personalizzato. Ma tale aumento può essere riconosciuto solo in presenza di una specifica allegazione e di una specifica prova di una sofferenza fisica o psichica ulteriore rispetto a quella da considerarsi intrinseca ad ogni lesione dell'integrità psicofisica di gravità pari a quella di cui si tratta. In via esemplificativa si possono indicare le seguenti ipotesi: a) un trattamento terapeutico particolarmente pesante, doloroso, disagevole; b) un iter clinico particolarmente lungo, stressante, con ricoveri lunghi e ripetuti; c) l'uso di presidi, ortopedici o di altro tipo, notevolmente limitativi; d) somministrazione consistente di analgesici per lenire un dolore intenso; e) dolore superiore a quello normalmente correlabile alla lesione dell'integrità psicofisica in questione, a causa di ben determinate caratteristiche personali del danneggiato (ad es. intolleranza soggettiva specificamente documentata).La personalizzazione, adeguata all'effettiva consistenza delle sofferenze fisiche e psichiche, postula la prova di un pregiudizio specificamente ancorato alla concreta fattispecie. ### tabellare, pertanto, contraddice la personalizzazione di cui parlano le ### Questo giudice, in continuità con altre decisioni e in adesione a recenti pronunciamenti della S. C., reputa di fare applicazione della tabella elaborata dal ### di Milano dopo la sentenza delle ### n. 26972/08.
Per quanto, poi, concerne la risarcibilità del danno da morte le ### nel 2015 hanno sancito l'irrisarcibilità del danno da morte immediata, atteso che in tal caso vi è sì il danno-evento, che è, appunto, la morte, cioè la lesione del bene supremo, la vita, ma l'immediato decesso della vittima impedisce il verificarsi di danni-conseguenza in capo allo stesso: la vita è il bene più importante, ma, per effetto della morte, non esiste più una sfera verso la quale si possano indirizzare le conseguenze negative della lesione. Abbiamo, dunque, un danno-evento senza un danno-conseguenza. Da qui l'irrisarcibilità del danno da morte immediata. La tutela risarcitoria del bene salute rispetto al bene vita è legata alla funzione compensativa del risarcimento civile; il diritto alla vita trova tutela invece nel sistema penale.
E', invece, risarcibile il danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute cui abbia fatto seguito la morte non immediata dell'offeso, che può identificarsi nel solo danno biologico terminale da invalidità temporanea totale (sempre presente nel caso di morte non immediata, ma seguita dopo un apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo e che si protrae dalla data di esso fino a quella del decesso), cui può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno morale catastrofico o catastrofale) nel caso in cui la vittima sia rimasta lucida e cosciente nell'intervallo (anche minimo) tra l'infortunio e la morte e sia stata, dunque, in condizione di percepire il proprio stato e l'imminenza della propria fine.
Al fine della liquidazione del danno c.d. terminale non sono, dunque, utilizzabili le tabelle per l'invalidità permanente, essendo queste formate sulla base della vita media futura presunta ma, allo stesso modo, non sono neppure utilizzabili i normali criteri tabellari di liquidazione del danno biologico temporaneo che tengono conto di una situazione che porta alla guarigione, ovvero ad un consolidamento dei postumi, circostanza, qui, non ravvisabile. Non sono idonee al caso di specie neanche le recenti tabelle sul danno intermittente che regolano l'ipotesi di un danno biologico permanente a cui consegua, però, prima della liquidazione giudiziale, la morte per una causa diversa.
Per danno intermittente si intende il danno non patrimoniale risarcibile nell'ipotesi in cui un soggetto, che subisca una certa menomazione invalidante a seguito di un evento lesivo, deceda prima della liquidazione del pregiudizio sofferto per una causa esterna ed indipendente dalla lesione subita «danno biologico intermittente» poiché è un danno liquidato in un “intervallo” (tra la data della lesione e la data del decesso). Nell'Assemblea nazionale degli ### svoltasi a ### nel maggio 2017, si è posta l'attenzione sulla peculiarità strutturale che trattasi di danno subito (irreversibilmente e non in modo intermittente) nell'intervallo temporale compreso tra l'illecito da cui deriva la compromissione permanente del bene salute e la morte del soggetto; pertanto, dopo un vivace dibattito, si è preferito il nome «danno da premorienza».
Per liquidare il danno bisogna dunque fare riferimento ai valori stabiliti dalle tabelle del ### di Milano, in vigore al momento della decisione (Cass. 18163/2007, per la quale se le "tabelle" applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale da morte di un prossimo congiunto cambino nelle more tra l'introduzione del giudizio e la sua decisione, il giudice (anche d'appello) ha l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione; Cass. n. 25485 del 2016; n. 7272 del 2012, secondo le quali "la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c.".), visto l'avallo che la giurisprudenza di legittimità ha dato a tali parametri al fine della liquidazione del danno non patrimoniale: (Cass.14402/2011, 12408/2011, che ha elevato tali tabelle a generale parametro risarcitorio per il danno non patrimoniale, affermando che le "tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica" predisposte dal ### di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.).
Le tabelle formate dall'### per la giustizia civile presso il ### di Milano, a cui si fa ricorso per la liquidazione del danno in ossequio alla prassi dell'ufficio e alla loro vocazione nazionale affermata dalla Corte di Cassazione, comprendono una apposita tabella per la liquidazione del danno terminale. In conformità al principio ormai acquisito nel diritto vivente dell'unicità del danno non patrimoniale, le somme indicate nella tabella si devono intendere onnicomprensive e si riferiscono sia alla lesione dell'integrità psico-fisica, sia ai profili di sofferenza interiore riconducibili all'antica categoria di danno morale in senso stretto.
I ricorrenti chiedevano condannarsi la ### s.p.a in persona del legale rap.te p.t a risarcire loro, quali eredi del fu ### il danno subito dal congiunto (jure hereditatis) nella misura di € 284.487,00, ovvero in quella somma maggiore e/o minore che si riterrà di giustizia dal G.L., oltre interessi dal fatto al soddisfo e a risarcire in favore sig.ra ### vedova del fu ### il danno iure proprio, nella misura di € 331.920,00, ovvero in quella somma maggiore e/o minore che si riterrà di giustizia, oltre interessi dal fatto al soddisfo; altresì risarcire in favore dei sigg. #### e ### figli del ### il danno jure proprio, nella misura di € 165.960,00 cadauno, ovvero quella somma maggiore e/o minore da liquidarsi in via equitativa, oltre interessi dal fatto al soddisfo, oltre interessi.
Ciò posto, deve, a questo punto, procedersi alla liquidazione del danno. ### la recente sentenza della CassazioneN. 6503/22, che si pone sulla scia di precedenti analoghe, “### escludersi la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita (Cass., sez. un. nr . 15350 del 2015; v., ex multis, in motiv. Cass. nr. 8580 del 2019), in ragione dell'assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio. Piuttosto, deve ritenersi configurabile e trasmissibile iure hereditatis il danno non patrimoniale nelle due componenti di danno biologico «terminale», cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, configurabile in capo alla vittima nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo (Cass. nr. 26727 del 2018; nr. 21060 del 2016; nr. 23183 del 2014; nr. 22228 del 2014; nr. 15491 del 2014) e di danno morale «terminale o catastrofale o catastrofico», ossia del danno consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di un suo stato di coscienza nell'intervallo tra l'evento lesivo e la morte, con conseguente acquisizione di una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi (Cass. nr. 13537 del 2014; nr. 7126 del 2013; n. 2564 del 2012). ### le tabelle di ### 2021, in vigore al momento della decisione, quindi si assegna a ciascun giorno di sofferenza, nei limiti del tetto di cento giorni complessivi, un valore progressivamente - e convenzionalmente - decrescente, sino ad agganciarsi, al centesimo giorno, alla valutazione del danno biologico temporaneo ordinario. Ferma la necessità di rigorosa prova del danno lucidamente patito in stato di coscienza. Nulla impedisce, naturalmente, che a fronte di un decorso particolarmente lungo, la percezione della fine intervenga in un momento successivo, e solo dal quel momento, dunque, potrà sorgere il danno.
Nel caso in esame, risulta dalla documentazione medica allegata in atti che la malattia veniva accertata il ### nella misura del 4% dall'### e poi aumentata al 10% con sentenza del 2015; la malattia venne confermata il ### dalla collegiale medica #### decedeva in data ###.
Per il danno biologico terminale le tabelle di ### prevedono € 30.000 fino al 3° giorno e poi una somma per ciascun giorno di danno dal 4° al 100° giorno. ### personalizzazione può comportare un aumento sino al 50%: a partire dal quarto giorno, la valutazione giornaliera del danno sarà comunque personalizzabile, in relazione alle circostanze del caso concreto e del particolare sconvolgimento che risulti di volta in volta provato. La liquidazione del danno terminale, proprio in quanto comprensiva di ogni voce di pregiudizio non patrimoniale patita in quel lasso di tempo, esclude la separata liquidazione del danno biologico temporaneo “ordinario”, da intendersi quindi assorbita. Tuttavia la stessa definizione ### esclude che il danno possa protrarsi per un tempo esteso. Pur nella difficoltà di tipizzazione delle possibili variabili, si suggerisce l'individuazione di un numero massimo di giorni (allo stato individuato, convenzionalmente, in 100) al di là del quale il danno terminale non può prolungarsi, tornando ad esser risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario. L' inabilità temporanea assoluta da danno biologico temporaneo è da risarcire secondo le tabelle di ### con 99 € al giorno (€ 72,00 + € 27,00 rispettivamente per le componenti per danno biologico/dinamico relazionale e per danno da sofferenza soggettiva interiore media presumibile).Tale somma è personalizzabile fino al 50%, ovvero fino a € 148,5/die in ragione della particolare situazione del caso concreto.
Per quanto riguarda il danno da sofferenza interiore e la consapevolezza della morte, i testi riferiscono: ### “Adr: Non ci vedevamo tutti i giorni con ### ci siamo incontrati per strada, poi quando la malattia ha avuto il sopravvento non usciva più da casa. Lui camminava con la bombola per respirare.
Non riusciva più a fare tutte quelle cose quotidiane che faceva prima, anche le cose che faceva come la spesa e le cose quotidiane a causa di questa bombola e della difficoltà a respirare. Poi mano mano che la malattia peggiorava le ha fatte sempre di meno finchè non è rimasto a casa e non è uscito più.
ADR: Parecchi mesi è rimasto a casa senza uscire.
Adr: non poteva stare disteso aveva più difficoltà a respirare. Quando andavo a trovarlo a casa lo trovavo seduto con l'ossigeno. Non ce la faceva a respirare, per respirare si doveva curvare.
Adr: io lo vedevo proprio depresso, sapeva quello che aveva contratto e sapeva che doveva morire. Si preoccupava per la famiglia, per i figli, che dovevano studiare. Sapeva che doveva morire. adr: Che io sappia i figli sono tre. Lo accudivano loro e la moglie.” ### “Noi eravamo dello stesso paese abitavamo a distanza di 100/200 mt. Spesso lo incontravo la mattina quando usciva con la bombola di ossigeno e mi diceva che non riusciva a respirare. Lui era molto affaticato non riusciva a respirare. Mi diceva sempre che aveva l'affanno. Era molto triste, era depresso, io cercavo di incoraggiarlo ma lui era molto depresso. Diceva sempre “guarda come sono ridotto” perché camminava curvo. E mi preoccupavo anche di più io per me perchè anche io ho lo stesso problema. ### io ho un ispessimento pleurico con un nodulo al polmone e vivo con la paura di morire.
Adr: ad un certo punto ### ha smesso di uscire e non l'ho visto più. Non sono mai andato a trovarlo a casa. E' morto dopo circa 7/8 mesi -un anno da quando ha smesso di uscire. Gli amici mi dicevano che non stava bene, e che stava peggiorando.
Adr: so che la figlia lo accudiva e che dopo un po' è morta anche la moglie . Non la conoscevo, solo di vista, sapevo che era la moglie ### sono certo che la moglie è morta, poco dopo di lui.” Appare quindi provato che ### abbia subito un danno biologico terminale nella sua duplice componente di danno terminale biologico e di cd. danno catastrofale. I testi, anche in relazione a tale circostanza, riferiscono di fatti di diretta percezione e di stati d'animo di ### a loro personalmente rappresentati e da loro personalmente percepiti.
Quindi tale danno sussiste e va liquidato in base ai criteri innanzi indicati.
Per quanto riguarda i primi 100 giorni si può facilmente presumere che ### venendo a conoscenza di avere l'asbestosi, una malattia legata all'amianto, potenzialmente mortale, che aveva colpito molti suoi colleghi di lavoro anche deceduti, abbia provato una rilevante sofferenza psichica. (i testi riferiscono, come sopra riportato, di che ### era sconvolto ed aveva consapevolezza di dover morire, che era depresso, anche se non collocano temporalmente questa circostanza) Si ritiene quindi equo e conforme a giustizia calcolare il danno terminale dal giorno della scoperta della malattia secondo i canoni stabiliti dalle tabelle di ### e di liquidare il periodo successivo secondo i criteri del danno biologico temporaneo ovvero con € 99 al giorno dal 101 giorno al decesso, personalizzato, in considerazione delle sofferenze subite, fino a €125/die visto quanto riferito dai testi, che riferiscono di un periodo caratterizzato da particolari sofferenze al punto che ### prima usciva solo con la bombola di ossigeno e poi non usciva neanche più di casa, non riusciva a respirare e aveva l'affanno, tanto che per respirare di doveva curvare.
La precisione delle descrizioni fatte dai testi escussi è tale da non lasciare dubbi sulla importanza e rilevanza della insufficienza respiratoria, dovuta all'asbestosi ed anche alla bpco sempre di origine professionale (da fumi di saldatura).
Si ritiene equo quindi liquidare il danno terminale in base a quanto stabilito dalle tabelle di ### per i primi tre giorni la somma di € 30.000, e per i successivi 97 giorni € 53.235, per un totale di € 83.235.
A tale somma va aggiunta la somma di € 94.250 a titolo di danno da inabilità temporanea per il periodo rimanente (754 gioni x 125 €/die).
Per un totale di € 177.485 per danno biologico complessivo da risarcire iure hereditatis.
Il giudice non ritiene che le somme così calcolate, esclusa la risarcibilità del danno permanente, debbano essere ulteriormente decurtate di quanto percepito dall'### La regola dell'esonero - e del suo superamento solo in presenza di illiceità penale - non vale per il danno che esula ab origine dalla copertura assicurativa ### (c. d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo) come il biologico temporaneo, il biologico in franchigia (fino al 5%,) il patrimoniale in franchigia (fino al 15%), il morale ed i pregiudizi esistenziali, il danno tanatologico o da morte iure proprio e jure successionis, la personalizzazione o ricadute soggettive del danno biologico, per ottenere il quale il lavoratore o suoi eredi possono agire nei confronti del datore secondo il diritto civile, azionando anche una domanda per responsabilità contrattuale (oltre che extracontrattuale); avvalendosi quindi se del caso dell'inversione dell'onere della prova della colpa, nella logica oramai assodata della responsabilità contrattuale ex artt. 2087 e 1218 c.c.. (Cass 4972/2018).
Il danno non patrimoniale spettante iure hereditatis non rientra tra le voci indennizzabili dall'### e si colloca, pertanto, tra i danni cd. complementari, rispetto ai quali non si pone un problema attinente ai criteri di scomputo; inoltre la prestazione economica che la legge pone a carico dell'ente previdenziale in caso di morte del lavoratore assicurato, cioè la rendita in favore dei superstiti, costituisce risarcimento del danno patrimoniale subito in dipendenza della morte del congiunto (cfr. Cass. n. 6306 del 2017; n. 19560 del 2003), ed attiene quindi ad una voce eterogenea rispetto al danno non patrimoniale riconosciuto nel caso in esame iure hereditatis, come tale neanche astrattamente scomputabile secondo l'indirizzo consolidato sopra richiamato che esige, comunque, la omogeneità dei pregiudizi e delle corrispondenti poste. Cassazione civile sez. lav., 27/03/2019, (ud. 28/11/2018, dep. 27/03/2019, n.8580).
Nessuna detrazione dovrà, quindi, effettuarsi neanche con riferimento alle somme erogate dall'### a titolo di rendita ai superstiti ai sensi dell'art. 85 DPR 1124/1965. In base a quest'ultima previsione di legge, se l'infortunio o la malattia professionale ha come conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti, che si trovino nelle condizioni di cui all'art. 106 D.P.R. 1124/65, una rendita ragguagliata al cento per cento della retribuzione determinata secondo le disposizioni degli artt. 116-120 D.P.R. 1124/65. La funzione della rendita, secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte, "è palesemente quella di sopperire, sostituendo la retribuzione dell'infortunato, alle necessità economiche dei superstiti", mentre "non vi è traccia, nelle citate disposizioni, di una copertura di danni diversi da quelli patrimoniali" (v., in motivazione, Cass. 6480/2000; conf. Cass. 3069/2002, 5910/1998, 859/1997, 6074/1981).
Pertanto, poiché la domanda dei ricorrenti concerne unicamente il danno non patrimoniale spettante iure proprio e iure hereditatis, è evidente che dalla somma determinata a tale titolo non possono essere detratti gli importi corrisposti agli eredi a diverso titolo, come appunto la rendita di cui all'art. 85 D.P.R. 1124/65.
Per quanto riguarda il danno iure proprio dei congiunti del defunto, sulla base delle tabelle di ### è stato chiesto nella misura di 331.920,00, a favore della vedova sig. ### e di € 165.960 per ogni figlio.
A tal fine, la giurisprudenza della S.C. riconosce la legittimazione attiva dei parenti qualificabili come "immediati" congiunti, e cioe', oltre al coniuge, tutti i parenti di primo grado (genitori, figli, fratelli).
Infatti e' logico presumere ai sensi dell'art. 2727 c.c. che, nella stragrande maggioranza dei casi, tra tali soggetti e la vittima del sinistro esista, oltre al legame di parentela, un effettivo e profondo legame affettivo, sul quale il fatto luttuoso va ad incidere, determinando sia un grave e transeunte perturbamento dell'animo (danno da "shock emotivo") sia per il futuro una irreversibile menomazione della loro sfera degli affetti (danno parentale).
Con la sentenza delle ### U, n. 26972 del 11/11/2008 in virtu' del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, è stata estesa la tutela risarcitoria ai casi di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla ### e, per effetto di tale estensione, è stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2059 c.c., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano subito lesioni ai diritti inviolabili della famiglia (artt. 2,29 e 30 Cost.), con la precisazione che il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidita' del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalita' con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; tale danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona deve essere provato, non essendo lo stesso in re ipsa.
In particolare, "Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall'altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta. In caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato - in forza di quanto previsto dagli artt. 2,29,30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della ### dei diritti dell'uomo e dell'art. 1 della cd. "Carta di ### - è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell'immediatezza dell'illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello "dinamico-relazionale" (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana). Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare" (Cassazione civile sez. III, 26/07/2019, n.20287).
Detto pregiudizio quindi si distingue nettamente sia dal danno biologico che da quello morale soggettivo in quanto non consiste in una lesione dell'integrità psico-fisica della persona, né può ritenersi coincidente con la transeunte sofferenza che naturalmente consegue alla perdita del prossimo congiunto.
In tema di danno non patrimoniale - come, peraltro, sottolineato dalle stesse ### della Suprema Corte di Cassazione nelle note sentenze "gemelle" nn. 269722 6973-2 6974/08, assumono precipuo rilievo le presunzioni, le quali, non costituendo un mezzo di prova di rango inferiore agli altri, possono anche rappresentare l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice.
Si legge nella sentenza Cass., 19/11/2018, n. 29784 “(…) ed infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare e di ribadire, la prova del danno da perdita dello stretto congiunto può essere data anche a mezzo di presunzioni (v. Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828; Cass. 19 agosto 2003, 12124; Cass. 15 luglio 2005, n. 15022), le quali al riguardo assumono anzi precipuo rilievo (v. Cass., Sez. U., 24 marzo 2006, n. 6572); le presunzioni, vale osservare, come affermato in giurisprudenza di legittimità (v. Cass., Sez. U., n. 6572/2006 cit.) e sostenuto anche in dottrina, non costituiscono uno strumento probatorio di rango secondario nella gerarchia dei mezzi di prova e più debole rispetto alla prova diretta o rappresentativa; va anche sottolineato come, alla stessa stregua di quella legale, la presunzione vale sostanzialmente a facilitare l'assolvimento dell'onere della prova da parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria; solo affinchè possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di dello stretto nucleo familiare (es. nonni, nipoti, genero, nuora) è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico; la presenza di un dato esteriore certo, a fondamento costituzionale, che elimina le incertezze in termini di prevedibilità della prova caso per caso - della quale non può escludersi la compiacenza - di un rapporto affettivo intimo intenso, si sostituisce, così, al dato legalmente rilevante della parentela stretta all'interno della famiglia nucleare e, parificato a quest'ultimo, consente di usufruire dello stesso regime probatorio, per presunzione della particolare intensità degli affetti, che la giurisprudenza di legittimità ammette per i parenti stretti (v. Cass. 13 maggio 2011, n. 10527); Dunque la morte di un prossimo congiunto costituisce di per sè un fatto noto dal quale il giudice può desumere, ex art. 2727 c.c., che i familiari stretti dello scomparso, i quali sono stati privati di un valore non economico ma personale, costituito dal godimento della presenza del congiunto ed hanno subito la definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare, abbiano patito una sofferenza interiore tale da determinare un'alterazione della loro vita di relazione e da indurli a scelte di vita diverse da quelle che avrebbero altrimenti compiuto, sicchè nel giudizio di risarcimento del relativo danno non patrimoniale incombe al danneggiante dimostrare l'inesistenza di tali pregiudizi.
Una prova del genere non può, evidentemente, consistere, nel caso di detto legame parentale stretto, nella mera mancanza di convivenza, atteso che il pregiudizio presunto, proprio per tale legame e le indubbie sofferenze patite dai parenti, prescinde già, in sè, dalla convivenza; e neanche nella lontananza (Cass 3767/2018); la mancanza di convivenza, quindi, non può rilevare al fine di escludere o limitare il pregiudizio, bensì al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione, tenuto conto di ogni ulteriore elemento utile e così, ad esempio, della consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, delle abitudini di vita, dell'età della vittima, di quella dei singoli superstiti, ecc. (v. Cass. 21 agosto 2018, n. 20844); anche il legame parentale fra nonno e nipote consente di presumere che il secondo subisca un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del primo (per la perdita della relazione con una figura di riferimento e dei correlati rapporti di affetto e solidarietà familiare) e ciò anche in difetto di un rapporto di convivenza, fatta salva, ovviamente, la necessità di considerare l'effettività e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno. Cassazione civile , sez. III , 07/12/2017 , n. 29332 Quindi, riassumendo, secondo la Suprema Corte il danno in esame non è in re ipsa e non esiste, pertanto, un “minimo garantito”: la parte è -come sempregravata dagli oneri di allegazione e prova del danno non patrimoniale subito, fermo il ricorso alla prova per presunzioni; il giudice deve valutare caso per caso, ferma la possibilità di porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (Cass. sentenza n. 25164/2020).
In quest'ottica, il danno da perdita del rapporto parentale è un danno non patrimoniale onnicomprensivo (del danno morale e delle sue ricadute dinamico relazionali) presunto per i congiunti più stretti -tranne prova contraria-; il danno è presunto per gli stretti congiunti sia che convivano, sia che non convivano. Il dato della non convivenza può in tal caso incidere sul quantum ma non sull' an del risarcimento. E' invece oggetto di prova per i congiunti al di fuori dello stretto nucleo familiare, che dovranno provare la relazione affettiva e la consistenza del legame leso, salvo però in caso di convivenza, ove la presunzione semplice opera come per gli stretti congiunti. In linea con il surriferito orientamento giurisprudenziale di legittimità, il soggetto danneggiato non è tenuto a dare prova del danno non patrimoniale effettivamente subìto, spettando, invece, alla controparte offrire elementi di segno contrario atti a superare la cennata presunzione semplice (cfr., in tal senso, Cass. ###/18 e Cass. n. 4253/12).
Il risarcimento del danno da perdita parentale deve essere liquidato in via equitativa, tenendo conto delle tabelle del ### di ### e del rapporto di vicinanza e di affetto, nonché tenendo conto che l'unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto si compone sia dell'interiore sofferenza morale soggettiva, sia di quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, dovendosi liquidare il pregiudizio tenendo conto della sussistenza di uno o entrambi i profili di cui si compone il danno non patrimoniale di che trattasi ed apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi, quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi, la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso (Cassazione civile, sez. III, 11/11/2019, n. 28989).
Le tabelle aggiornate prevedono un minimo e un massimo di risarcimento per la lesione da perdita del rapporto parentale. Il valore monetario, indicato in ### nella prima colonna, è quello denominato “base”: i valori, di cui alla prima colonna, esprimono la “uniformità pecuniaria di base” cui fanno riferimento le note sentenze della Corte costituzionale n. 184/1986 e della Cassazione n. 12408/2011, salva la prova di un'ulteriore “aumento personalizzato” fino ai valori massimi, indicato nella seconda colonna della ### che deve essere, invece, applicato dal giudice solo laddove la parte nel processo alleghi e rigorosamente provi circostanze di fatto da cui possa inferirsi, anche in via presuntiva, un maggiore sconvolgimento della propria vita in conseguenza della perdita del rapporto parentale.
Le tabelle prevedono a favore del coniuge (non-separato), della parte dell'unione civile o del convivente di fatto sopravvissuto nonché del figlio per morte di un genitore il risarcimento da € 168.250,00 a € 336.500,00 .
I testi hanno riferito che la qualità della vita di ### era sensibilmente peggiorata con la malattia; egli girava con la bombola di ossigeno e faticava a respirare; entrambi hanno riferito che nell'ultimo periodo (7/8 mesi -un anno) non usciva più, era sempre a casa sdraiato a letto e che lo accudivano la moglie e i figli; che non riusciva a respirare ed era sempre depresso, con la consapevolezza della morte che incombeva. E' evidente e presumibile quindi la sofferenza che i familiari devono avere subito vedendo il loro marito e padre in tali condizioni, al punto di non uscire più di casa, assistendo e subendo il cambiamento di tutte le abitudini di vita instaurate.
Pertanto ritenuto provato il danno da perdita del rapporto parentale, in base alle presunzioni sopra descritte ed agli esiti della prova testimoniale, con riferimento alle tabelle di ### va liquidato ai congiunti la seguente somma a titolo di danno da perdita del rapporto parentale: appare congruo riconoscere a ### coniuge convivente di ### che aveva l'età di anni 72 al momento del decesso del marito, e che conseguentemente nutriva l'aspettativa di continuare a condividere ancora per alcuni anni la propria vita con il marito, prematuramente scomparso, una somma pari ad euro 170.000,00; a ciascuno dei figli aventi l'età di 50, 44 e 42 anni al momento del decesso del padre e non conviventi, appare congruo liquidare una somma al limite minimo, ossia euro 168.250,00 in considerazione dell'età comunque avanzata del padre, al momento del decesso (76 anni di pochi anni inferiore all'aspettativa di vita media in ### di 82 anni), il che rileva in particolar modo per i figli per i quali l'ordine naturale delle cose prevede di dover assistere, prima o poi, alla morte del proprio genitore.
Sulle somme riconosciute, liquidate all'attualità, vanno riconosciuti gli interessi legali dalla sentenza fino al soddisfo oltre agli interessi legali sulle somme rivalutate alla data dell'evento secondo gli indici ### del cosiddetto costo della vita e annualmente rivalutata dalla data dell'evento dannoso fino ad oggi. ### della lite, favorevole al ricorrente, giustifica la liquidazione delle spese processuali secondo la regola della soccombenza ed è liquidata come da dispositivo.
Le spese di ctu sono poste a carico di parte resistente e sono liquidate come da separato decreto. PQM Il Giudice del ### definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dagli eredi di #### nelle persone di ###### E ### con ricorso depositato in data ### nei confronti della ### s.p.a. in persona del legale rapp.te p.t., e riassunto con ricorso depositato il ###, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - accerta e dichiara che ### è deceduto per “asbestosi polmonare, insufficienza cardiorespiratoria, arresto cardio respiratorio”, e che l'asbestosi è malattia di origine professionale; - accoglie la domanda di risarcimento dei danni spiegata dai ricorrenti nei limiti indicati in parte motiva e, per l'effetto, condanna la ### s.p.a. al pagamento, in loro favore, del danno biologico iure hereditatis, liquidato, complessivamente, in € 177.485,00, oltre accessori di legge, a decorrere dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio; -accoglie la domanda di risarcimento dei danni spiegata dai ricorrenti nei limiti indicati in parte motiva e, per l'effetto, condanna la ### s.p.a. al pagamento, in loro favore, del danno da perdita del rapporto parentale, liquidato per ### nella somma di € 170.000,00 e per #### e ### nella somma di € 168.250,00 ciascuno, oltre accessori di legge, a decorrere dalla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio - condanna la ### s.p.a. al pagamento delle spese processuali che liquida, per tale misura ridotta, in € 20.000 per compenso professionale, con attribuzione, oltre oneri accessori come per legge. - liquida le spese di ctu come da separato decreto. Così deciso in ### udienza a trattazione scritta del 20/06/2022 Il Giudice
del ###ssa ### n. 6502/2018
causa n. 6502/2018 R.G. - Giudice/firmatari: Giusti Cristina