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TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Giudice del lavoro, Dott. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al ### di ### per l'anno 2022 al n.247 e ritenuta per la decisione alla pubblica udienza del 16.4.2025, vertente tra ### rappresentato e difeso dagli Avv.ti ### e ### e con essi domiciliat ####### n.2, in virtù di procura speciale in calce al ricorso ricorrente contro E-### S.p.A. (già ### S.p.A.) - Società con unico socio (### S.p.A.), in persona della procuratrice Avv. ### in virtù dei poteri conferiti con procura per ### di ### del 12.12.2017, Rep. 55629, Racc. n.27976, rappresentata e difesa dagli Avv.ti ### e ### con domicilio eletto nello studio dell'Avv. ### in #### n.58, giusta procura in calce alla memoria di costituzione resistente ### del giudizio: risarcimento danni da malattia professionale. Conclusioni: per ciascuna parte, quelle del rispettivo atto costitutivo, da intendersi qui integralmente riportate. ### ricorso depositato il ###, ### ha convenuto in giudizio innanzi il Tribunale di ### la E-### S.p.A. (già ### S.p.A.), deducendo di essere stato dipendente dell'azienda convenuta dal 1.6.1967 al 31.5.2004, con mansioni di addetto alla costruzione e manutenzione di elettrodotti aerei e sotterranei a media e bassa tensione, e di aver contratto patologie di origine professionale al sistema osteoarticolare e neurotendineo, segnatamente alla colonna vertebrale, agli arti e all'apparato uditivo. Ciò in quanto aveva operato su cantieri disagiati, quale operaio specializzato di rete impiegato per connettere alla rete elettrica le aree metropolitane, i piccoli centri urbani e le comunità montane. Tali gravose attività, protrattesi senza l'uso di dispositivi di protezione individuali, avevano provocato le patologie di cui sopra, oltre a diversi infortuni sul lavoro. Nonostante le numerose segnalazioni, l'azienda era rimasta inerte, con conseguente violazione delle basilari norme di prevenzione e sicurezza della salute dei lavoratori. Al termine del rapporto di lavoro (maggio 2004), aveva presentato tre domande di malattia professionale all'I.N.A.I.L., cui erano conseguiti giudizi nei quali era stata accertata una percentuale di invalidità del 14% e gli era stato liquidato un indennizzo una tantum di €.7.961,06. Tuttavia, aveva diritto ad un risarcimento integrale del danno, da quantificarsi con le tabelle della responsabilità civile, detratto quanto corrisposto dall'I.N.A.I.L.. Su queste premesse, l'attore ha chiesto l'accertamento della responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta e, per l'effetto, la condanna della stessa al risarcimento del danno subito, pari ad €.34.369,00 (€.46.266,00 con personalizzazione), a titolo di danno biologico, oltre al danno alla salute (cd. da cenestesi lavorativa) e al danno biologico complementare (comprensivo delle lesioni non indennizzate dall'I.N.A.I.L.) dalla data della messa in mora (17.1.2009) sino al soddisfo. Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si è costituita tempestivamente in giudizio la società convenuta, eccependo l'inammissibilità delle domande perché precluse dalle precedenti rinunce del lavoratore. Infatti, in data ### il ricorrente aveva sottoscritto un accordo di incentivo all'esodo ed aveva percepito la somma di €.72.000,00 con espressa rinuncia alla rivendicazione di qualsiasi diritto relativo al rapporto di servizio, ivi compreso il risarcimento del danno biologico e/o professionale e/o morale (cfr. punto 3). La convenuta ha anche eccepito la prescrizione estintiva, in quanto il ricorso era stato notificato in data ###, a distanza di 18 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro (avvenuta in data ###), con conseguente decorso del termine di prescrizione decennale, che non poteva ritenersi interrotto dalla lettera del 17.1.2009, in quanto si trattava di una generica impugnativa della dichiarazione di rinuncia, non recante alcuna specifica costituzione in mora o espressa intimazione di pagamento di somme ai fini risarcitori ex artt.2043 e 1219 c.c. Vi era poi stata una ulteriore lettera interruttiva datata 14.12.2018, recapitata sempre oltre il termine decennale dalla cessazione del rapporto di lavoro. La convenuta ha poi eccepito l'inopponibilità ad ### delle risultanze peritali nei giudizi intentati avverso l'I.N.A.I.L. in cui ### non era stata parte. In ogni caso, in relazione alle predette risultanze, andava osservato che la domanda di malattia professionale era stata presentata dall'attore soltanto in data ### (5 anni dopo la cessazione del rapporto), e che nessuna patologia era stata accertata durante i 37 anni di lavoro. Gli infortuni richiamati riguardano poi episodi estranei alle sofferenze del rachide lamentate in ricorso. Non era poi condivisibile la stima del 14% di inabilità stabilita dalla Corte d'Appello di ### all'esito dei giudizi promossi dall'attore contro l'I.N.A.I.L., probabilmente dovuta ad una ricostruzione inveritiera delle condizioni di lavoro, determinatasi in assenza di contraddittorio con ### La convenuta ha poi evidenziato l'insussistenza di una responsabilità di ### in base a criteri civilistici (danno differenziale), ai sensi dell'art.10 D.P.R. n.1124/65, trovando la responsabilità per danno differenziale un inderogabile presupposto nella ricorrenza di una fattispecie di reato procedibile d'ufficio, ancorché non accertato in sede penale. Sul punto la Corte Costituzionale, con sentenza n.74/1981, ha precisato che la responsabilità del datore sussiste qualora venga ad integrare un'ipotesi di reato colposo, lesivo dell'incolumità del lavoratore, con conseguente venir meno dell'esonero da responsabilità civile, laddove, in difetto di condanna in sede penale ovvero di esclusione da parte del giudice di merito dell'esistenza di un fatto reato, il datore va esente dalla predetta responsabilità. La convenuta ha poi rilevato la carenza di allegazione e prova sulle mansioni e sull'asserito inadempimento di ### dovendosi escludere qualsivoglia ipotesi di responsabilità oggettiva del datore. La resistente ha anche evidenziato la inammissibilità della prova testimoniale, emergendo per tabulas che le mansioni cui era adibito il ### erano diverse da quelle indicate nel ricorso, non avendo l'attore mai fatto parte di "### ed essendo prevalentemente adibito ad attività operative previste dalla sua declaratoria professionale. La convenuta ha poi sottolineato l'infondatezza delle doglianze attoree circa la responsabilità ex art.2087 c.c. per danno differenziale, che non era imputabile al datore di lavoro, in quanto dalla normativa in materia di valutazione dei rischi non scaturivano affatto obblighi di sorveglianza sanitaria periodica per le specifiche mansioni. Dunque non c'era stata alcuna violazione di tutele nominate e, peraltro, neanche c'era stata allegazione in ordine alle misure che il datore avrebbe dovuto approntare per evitare rischi intrinseci alla tipologia di lavorazioni. In relazione alle presunte omissioni datoriali, quanto asserito dal ricorrente non rispondeva al vero, anche perché la vigilanza periodica era stata introdotta solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro, come anche l'obbligo della tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio. Il lavoratore non aveva comunque mai denunciato la gravosità delle mansioni in punto di sicurezza, né aveva prodotto certificazioni mediche attestanti l'esistenza di patologie. In generale, non era mai pervenuta ad ### alcuna denuncia o formale contestazione da parte delle ### circa le condizioni o i carichi lavorativi degli operai delle squadre, in quanto ### aveva organizzato le attività in maniera da attenuare al massimo gli sforzi fisici e le attività faticose prolungate. Inoltre, da quanto risultava dal DVR del 1996, non poteva affatto sostenersi che fosse stata omessa la valutazione dei rischi per patologie da ###posture incongrue/vibrazioni, restando invece estranee le patologie osteoarticolari ricomprese nelle tabelle I.N.A.I.L. solo nel 2008. Con riferimento, infine, al contenzioso seriale nei confronti di ### a partire dal 2007 i lavoratori interessati alle medesime domande del ricorrente si erano costituiti in associazione allo scopo di richiedere l'indennizzo prima all'I.N.A.I.L. e poi ad ### anche a distanza di molti anni, a riprova che le patologie lamentate erano strettamente collegate all'età e non già all'attività lavorativa. Non sussisteva poi il nesso di consequenzialità fra patologia e condizioni lavorative, trattandosi di malattia ad eziologia multifattoriale insorta a distanza di moltissimi anni dalla fine delle lavorazioni ritenute gravose, con conseguente esclusione di un ruolo causale diretto e sufficiente delle situazioni lavorative nel determinismo della patologia artrosica. Sul danno biologico, la convenuta ha dedotto che lo stesso era incluso nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria gestita dall'### ex D.P.R. n.1124/65 e dunque ne era stata già operata una quantificazione con liquidazione dalla data della domanda amministrativa. La convenuta ha poi contestato la personalizzazione del danno biologico operata in ricorso e, sul danno da cenestesi lavorativa, che non andava confuso con la perdita di chances, ha eccepito il difetto di prova. Sul danno biologico complementare, la convenuta ha sostenuto che la relativa domanda era inammissibile, in quanto era stata attivata fruttuosamente l'assicurazione ### In ogni caso era arbitraria la quantificazione del 40%. Su queste premesse, la convenuta ha chiesto, in via preliminare, di dichiarare le domande attoree improponibili ed inammissibili perché precluse dalle rinunzie da lui espresse con dichiarazione del 27.11.2003, non suscettibile di successiva impugnativa per intervenuta decadenza e perchè concernente diritti disponibili, come tali liberamente rinunciabili. Nel merito, la convenuta ha chiesto di rigettare tutte le domande formulate dal ricorrente, in quanto inammissibili nelle prospettazioni e, comunque, infondate in fatto e in diritto, nonché prescritte. Esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, la causa, istruita con la produzione dei documenti, l'escussione dei testimoni ammessi e l'espletamento di una C.T.U. medico legale, è stata infine discussa e decisa all'udienza del 16.4.2025, con il dispositivo riportato in calce, di cui si è data pubblica lettura. MOTIVI DELLA DECISIONE Le domande attoree meritano accoglimento, nei limiti e per i motivi appresso indicati. Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di parte convenuta di inammissibilità delle domande attoree per intervenuta rinuncia e transazione, risultando in atti che il documento sottoscritto tra le parti in data ### - nel quale il ricorrente rinunciava alla rivendicazione di qualsiasi diritto relativo al rapporto di servizio, ivi compreso il risarcimento del danno biologico e/o professionale e/o morale (cfr. punto 3) - intervenne quando l'attore neanche aveva consapevolezza del diritto risarcitorio maturato in suo favore a seguito della responsabilità datoriale per le patologie sofferte.
Circostanza che si ricava dal fatto che soltanto il ### l'attore depositò i primi certificati medici di malattia professionale (cfr. docc. nn.21, 22 e 23 ###. Quindi, la conoscenza da parte del ricorrente della malattia e della sua origine professionale è maturata in epoca successiva alla sottoscrizione del richiamato documento. Ne consegue che, pur trattandosi di diritti all'epoca esistenti, essi erano ancora ignoti al titolare e quindi non potevano essere consapevolmente oggetto di disposizione. Venendo al merito della causa, osserva il ### che è emerso dal giudizio che effettivamente l'attore ebbe a contrarre le malattie professionali della “lombalgia cronica da protrusioni discali multiple” e della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale”, nel corso del rapporto di lavoro con la convenuta, e che da tali malattie gli sono derivati danni morali e danni alla sua integrità psico-fisica che vanno addebitati alla responsabilità del datore di lavoro. A queste conclusioni si può arrivare esaminando le circostanze di fatto che emergono da quanto riferito dai testi escussi, che hanno evidenziato che nell'intero periodo di lavoro il ricorrente ha subito una ciclica esposizione a molteplici fattori morbigeni susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa propedeutica e conseguenziale alla elettrificazione. In particolare, dalle dichiarazioni dei testi di parte ricorrente - che hanno tutti lavorato a stretto contatto con il ricorrente e gli hanno visto svolgere le attività indicate in ricorso - emerge la gravosità delle lavorazioni svolte dal ricorrente, che eseguiva direttamente i lavori anche nel limitato periodo in cui è stato capo nucleo. Nello specifico, il teste ### che ha lavorato con il ricorrente, anche negli stessi cantieri, fino al suo pensionamento, ha dichiarato che: “### nella stessa squadra e facevamo buche, anche su rocce, mettevano pali, e questo quotidianamente … Ci occupavano anche del posizionamento di contatori … Le ditte esterne sono arrivate solo in un secondo momento, ma si sono però occupate solo di lavori su linee più grandi … I lavori che comportavano la messa in opera di 4 o 5 pali li facevamo invece noi operai ### … ### attività io le ho svolte fino a 4 o 5 anni fa … Su queste linee facevamo tutti i lavori, dagli scavi alla messa in opera dei pali, all'armamento dei pali stessi.” Il teste ha confermato che i lavori di scavo per la sola posa dei conduttori vennero sì appaltati a ditte esterne da un certo momento in poi, ma gli operai ### hanno continuato ad effettuare gli scavi per i pali: “### fatto anche gli scavi con gli escavatori, ma soltanto fino a quando abbiamo avuto gli escavatori, non so dire fino a quando, poi se ne sono occupate le ditte esterne. Sto parlando degli scavi per la messa a terra di cavi. ### invece continuato a fare le buche per i pali per le linee di 4 o 5 pali che abbiamo continuato a fare noi operai ### Per fare le buche su terra usavano la mototrivella che tenevamo in 4 perché serviva molto forza. Per fare buche su terreni più duri usavamo martelli pneumatici… ### tutti i giorni facevamo le linee di 4 - 5 pali e usavamo i mezzi di cui ho parlato. Ho usato le mototrivelle fino a quando sono state usate in azienda, non ricordo fino a che anno le abbiamo usate, penso fino a 15 anni fa, ma non lo ricordo con precisione. Facevamo anche attività di manutenzione, con la messa in opera dei giunti sotterranei. La buca per mettere i giunti veniva fatta con l'escavatore e poi - nell'ultima parte - a mano per non rovinare i cavi. Per riparare i cavi emettere i giunti occorreva un lavoro di un'ora, un'ora e mezzo, anche due. Con i cavi di mezza tensione ci poteva volere anche mezza giornata. Si doveva lavorare stando piegati sulle ginocchia o con le ginocchia a terra.” Il teste ### ha anche precisato che in caso di pioggia gli interventi che richiedevano il ripristino di energia venivano comunque eseguiti, nonostante il maltempo: “Se era urgente un intervento lo effettuavamo anche con il maltempo, mettendo un telo di copertura”. Il teste ha inoltre chiarito che quando i contratti con le ditte esterne scadevano si trovavano a svolgere anche i lavori di taglio alberi con motoseghe: “Nel pronto intervento dovevamo fare anche lavori di taglio di alberi con la motosega. I lavori di taglio di alberi in prevenzione venivano fatti da ditte esterne, ma quando i contratti con queste ditte scadevano potevano esserci periodi in cui lo facevano anche noi operai ###” Il teste ### ha poi chiarito che: “i trasformatori venivano portati con la gru e posati davanti alla cabine e da qui sistemati da noi spingendoli all'interno delle cabine, molti avevano le ruote di metallo.
Nelle cabine portavamo anche i sezionatori del peso di circa 1 quintale, che venivano spostati a mano da un paio di persone e che sistemavamo con un paranchino … I lavori in altezza sui pali li facevano salendo coi ramponi e poi posizionavamo la mensola stando con l'addome all'altezza della cima del palo e tirando su la mensola con le braccia. Il lavoro si faceva anche stando posizionati lungo in posizione quasi orizzontale”. Il teste ### ha poi riferito anche sui turni reperibilità: “### reperibilità per una volta al mese, ma spesso si faceva due volte al mese, per sostituire colleghi assenti. Io sono arrivato a fare anche 5 settimane di reperibilità consecutive. I riposi compensativi li facevamo, ma in casi di emergenza saltavano” La gravosità del lavoro svolto dall'attore è confermato anche dal teste ### che ha così dichiarato: “### anni ‘70, '80 e '90, avvicinandosi verso il 2000, l'attività è sempre stata molto pesante … ### l'attività sui pali è stata sempre svolta da noi”. Conformemente il teste ### ha dichiarato: “La squadra aggiunte ogni giorno movimentava pali di castagno che pesavano da 1 quintale a 2 quintali, che andavano portate a spalla dai dipendenti compreso il ricorrente per essere posizionati.” Dall'esame delle complessive risultanze istruttorie fornite dai testi addotti da parte ricorrente - la cui particolare attendibilità è da riconnettere alla circostanza che hanno tutti lavorato a stretto contatto con il ricorrente - emerge quindi l'adibizione dell'elettricista del nucleo di distribuzione, quale era l'attore, alle diverse attività manuali descritte, eseguite esclusivamente all'aperto su cantieri temporanei e mobili, generalmente distanti dai centri urbani e spesso in luoghi inaccessibili ai mezzi meccanici, questi ultimi peraltro non sempre disponibili. Dalla prova è emerso che tutte le attività della filiera hanno comportato l'abituale esposizione del ricorrente ad un concorso di diversi rischi specifici tra loro concatenati, esplicatisi con vibrazioni, posture incongrue e microtraumi ripetuti. La gravosità del lavoro era poi accentuata da motivi prettamente organizzativi, da correlarsi all'omesso avvicendamento del personale operativo; all'inadeguatezza o assenza dei mezzi speciali (anche il teste di parte convenuta ### ha confermato che i cestelli elevatori sono stati consegnati solo dal 2000); all'inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuali; all'assegnazione di turni di reperibilità fino a due o tre volte superiori a quelli contrattualmente previsti; all'omessa formazione e informazione sui rischi. Le richiamate risultanze relative all'esame dei testi addotti da parte ricorrente non trovano smentita nell'esame dei testi addotti da parte resistente. Si osservi che il teste ### non ha saputo riferire nello specifico sul lavoro svolto dall'attore. Invero, il teste ha dichiarato di aver lavorato nel distretto ### fino al 2004 e di essere giunto nel ### solo successivamente, affermando che “E' possibile che abbia anche incontrato il ricorrente ma non lo posso affermare con certezza”. Anche il teste ### ha precisato di essere stato il responsabile dell'attore a ### per soli 2 anni: “### stato responsabile della ### di ### dal 2002 al luglio 2007, il ricorrente ha lavorato con me fino a quando è andato in pensione nel 2004”. Il teste ### ha anche dichiarato che: “Dal 1985 al 1987 sono stato a ### e ho visto che non c'erano squadre cd. aggiunte”, ovvero le squadre adibite alle gravose lavorazioni di cui hanno parlato i testi addotti da parte ricorrente. Il teste ha aggiunto: “anche negli anni successivi ho svolto mansioni nel ### che mi consentivano di verificare e oggi di dire che anche dopo non ci sono state squadre aggiunte”. La circostanza è però smentita dal curriculum aziendale rilasciato all'attore dalla stessa ### (doc. n.1 ###, nel quale si richiamano appunto le squadre distaccate, come quella di ### attive certamente fino a tutto il 2002. Il teste ### ha anche dichiarato che gli elettricisti provetti del nucleo di distribuzione, quale era l'attore, svolgevano quale attività corrente, quella del “montaggio di contatori”, usando “la normale cassettina con gli attrezzi”. Ciò in quanto “almeno il 95% dei lavori più pesanti” era affidato a ditte esterne … le attività di manutenzione più leggere venivano fatte dagli operai ### le più pesanti da imprese esterne.” In ordine a queste dichiarazioni, deve però osservarsi che l'attore operava quale “### provetto (e poi esperto) del nucleo di distribuzione”, attività distinta da quella dell'operaio addetto esclusivamente all'utenza, identificato come “letturista” o “monoperatore”, che operava da solo, in assenza di lavori pesanti. Il teste ### ha poi fatto riferimento ai lavori sugli elettrodotti ad alta tensione e media tensione superiori a 3 km, che a partire dalla fine degli anni ottanta sono stati effettivamente appaltati a ditte esterne, ma dalla prova è emerso che, invece, i lavori di costruzione degli elettrodotti a media e bassa tensione fino a 3 km, sono rimasti per tutto il periodo di lavoro del ### a carico esclusivo degli elettricisti del nucleo di distribuzione (provetti ed esperti). Tali lavori erano ugualmente pesanti (come si ricava anche dalla schede metodo e dalle schede tecniche acquisite in atti, nonché dal tipo di macchinari usati e dell'ambiente e clima in cui si svolgevano). Rispetto questi elettrodotti gli elettricisti del nucleo di distribuzione dovevano curare anche la manutenzione ordinaria e straordinaria. La circostanza che, poi, con l'introduzione dei nuovi contatori elettronici gli operai ### siano stati impegnati nell'attività di sostituzione dei contatori non esclude poi che gli stessi abbiano continuato a svolgere anche i ben più pesanti lavori di costruzione e manutenzione di elettrodotti, ossia sulle reti di distribuzione. Così ha riferito il teste ### “Ci siamo occupati anche della sostituzione dei contatori quando si è passati dal contatore analogico a quello elettronico.” ### canto, lo stesso teste ### ha riferito che i mezzi necessari per eseguire i lavori in altezza (ovvero i cestelli elevatori), che costituiva parte rilevante del lavoro gravoso, siano stati forniti soltanto a partire dal 2000, ossia poco prima del pensionamento dell'attore. Dalla prova, in definitiva, è emerso è emerso che la prevalenza delle lavorazioni erano manuali (per via dell'inaccessibilità della maggior parte dei cantieri) e che anche quando potevano essere meccanizzate, gli operai erano in ogni caso esposti a molteplici rischi, ivi incluso quelli degli stessi mezzi meccanici, in quanto fonti di evidenti rischi di vibrazioni meccaniche trasmesse al corpo intero o al sistema mano-braccia. ### ha anche evidenziato che la convenuta omise l'adeguamento dei mezzi speciali al numero effettivo di operai (squadre lavoro) ed alle reali condizioni morfologiche dei cantieri e non valutò i rischi specifici connessi ai lavori in altezza, alle vibrazioni al sistema mano-braccia ed al corpo intero, alla movimentazione manuale dei carichi, al sovraccarico biomeccanico, alle posture incongrue e coatte ed al microclima sfavorevole. La convenuta omise poi la sorveglianza sanitaria periodica annuale, obbligatoria a decorrere dal D.P.R. 303/56 per le vibrazioni e gli scuotimenti e dal D.Lgs 626/94 per la movimentazione manuale dei carichi. E fu anche omessa la formazione/informazione dei lavoratori, obbligatoria a decorrere dal D.P.R. 303/56. E' risultata così provata in giudizio l'esposizione a rischio ambientale negata dalla convenuta. ### C.T.U. medico-legale ha poi confermato la natura professionale di alcune delle patologie di cui soffre l'attore, da correlare all'esposizione continuativa ai rischi di cui si è dato conto, patologie che comportano a carico del ### un danno biologico in misura del 7%. ###.T.U., in particolare, ha evidenziato che il ricorrente, è affetto dallo stato patologico dedotto in ricorso, che attualmente consiste in: ### cervicalgia cronica da protrusioni discali da ### a ### e cervico-artrosi con associata sofferenza neurogena cronica nel territorio ###-### sinistro e ###-###-### destro EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### lombalgia cronica da protrusioni discali multiple da ### a ###, con segni EMG di sofferenza cronica da ###-###-### bilaterale EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### segni EMG (03/2015) di sindrome del tunnel carpale di grado moderato a destra ad attuale lieve impegno funzionale; ### ipoacusia neurosensoriale bilaterale; ### ernia ombelicale. Il perito, esaminata la storia occupazionale del ricorrente - desunta dalla documentazione versata in atti dalle parti e dalla lettura delle deposizioni dei testi escussi nel corso del giudizio - ha evidenziato che il ricorrente, che è in pensione dal maggio 2004, specie nella prima parte della propria esperienza professionale presso la convenuta, ha svolto attività comportanti la movimentazione manuale di carichi pesanti e ha operato, seppure in modo non continuo, con e in prossimità di attrezzature di lavoro con emissione di rumore a livelli otolesivi (cfr. esame audiometrico del 1989 ove si fa riferimento all'impiego di “strumenti con aria compressa e motori a scoppio”). Peraltro, il perito, quanto alle patologie di cui ai punti ###, ### e ### in precedenza indicati - patologie del rachide cervicale e dell'arto superiore destro, oltre che l'ernia ombelicale - ha evidenziato che non vi sono allo stato in letteratura elementi a sostegno dell'ipotesi che le stesse possano essere state sostenute, sul piano eziologico, dai fattori di rischio professionale cui è stato esposto il ricorrente (ovvero la movimentazione manuale dei carichi e il rumore). In effetti, per quanto attiene alla patologia disco-artrosica del rachide cervicale, il perito ha osservato che essa, segnalata per la prima volta dal ricorrente alla metà degli anni '90 e documentata dal 1995 con esami di diagnostica strumentalenon può essere ricondotta, stante la letteratura scientifica disponibile, alle noxae occupazionali cui lo stesso è stato esposto perché i dati statistico epidemiologici disponibili non mostrano, nei soggetti addetti ad analoghe mansioni, una significativa maggiore incidenza della patologia denunciata. In effetti, non sono presenti nella letteratura scientifica dati epidemiologici conclusivi che associno l'esposizione ad attività di movimentazione manuale dei carichi con le patologie osteoartrosiche e discali della colonna cervicale. Riguardo la patologia che interessa l'arto superiore, il C.T.U. ha evidenziato che anche essa, emersa soltanto nel 2015 (oltre 10 anni dopo la cessazione dell'attività lavorativa) da esame elettromiografico e mai rilevata sul piano clinico-specialistico, non può essere ricondotta, stante la letteratura scientifica disponibile, alle noxae occupazionali cui lo stesso è stato esposto in quanto i dati statistico epidemiologici disponibili non mostrano, nei soggetti addetti ad analoghe mansioni, una significativa maggiore incidenza della patologia denunciata. In effetti, non sono presenti nella letteratura scientifica dati epidemiologici conclusivi che associno l'esposizione ad attività di movimentazione manuale dei carichi con le patologie dei nervi periferici da compressione canalicolare dell'arto superiore. Infine, riguardo la patologia che interessa la parete addominale, il perito ha evidenziato che neanche essa, emersa soltanto nel 2010 (oltre 5 anni dopo la cessazione dell'attività lavorativa) dalla certificazione medico-legale del Dott. ### del 20.5.2010, può essere ricondotta, stante la letteratura scientifica disponibile, alle noxae occupazionali cui è stato esposto il ricorrente, essendo viceversa pacifico che essa deriva piuttosto da meiopragia d'organo ovvero dalla lassità della parete addominale che di per se sola è in grado di spiegare l'erniazione del viscere. ###.T.U ha sottolineato, al riguardo, che, sulla base dei dati di letteratura, condizioni necessarie per la fuoriuscita di un'ernia acquisita sono la predisposizione anatomica della parete addominale e l'incremento della pressione addominale. Ciascuno dei due elementi citati non rappresenta invece, singolarmente considerato, ragione sufficiente per lo sviluppo della patologia. Il secondo fattore concausale dell'ernia inguinale ovvero l'incremento della pressione addominale, può essere a sua volta legato a svariate situazioni, molte delle quali direttamente dipendenti dal soggetto (come, ad esempio, le forze generate da situazioni fisiologiche come la defecazione o la tosse, la scarsa forma fisica, l'abitudine al fumo di tabacco), altre da situazioni ambientali e/ lavorative, come ad esempio la movimentazione manuale dei gravi. Quali siano i fattori prevalenti nella causazione dell'incremento della pressione endoaddominale, e dunque, nella erniazione del viscere (se prevalgano cioè i fattori costituzionali e/o fisiologici o quelli legati alla movimentazione manuale dei gravi) non è completamente noto. ### la letteratura scientifica, in molte attività lavorative l'incremento della pressione addominale legata allo sforzo raramente supera le forze generate dalle normali funzioni fisiologiche. Quanto alle altre due patologie riscontrate a carico del ricorrente - la patologia muscoloscheletrica del rachide lombo-sacrale e la patologia uditiva - il perito ha inquadrato le affezioni in oggetto con riguardo alle conoscenze scientifiche relative alla loro possibile eziologia professionale. Con particolare riguardo alla patologia che interessa il rachide lombo-sacrale, il C.T.U. ha evidenziato che gli agenti eziologici dell'infermità non sono completamente noti, poiché la medesima viene considerata patologia cronico-degenerativa che interessa tutti gli elementi dell'unità discovertebrale, e per questo è riconducibile all'invecchiamento delle strutture articolari dell'unità medesima (ivi comprese le superficie articolari e il disco intervertebrale). Il disco intervertebrale è una struttura interposta tra le vertebre, costituito da tessuto cartilagineo, sprovvisto di vasi sanguigni, indispensabile a garantire l'articolazione dell'unità disco-vertebrale. Proprio perché privo di vasi sanguigni, esso viene nutrito mediante un meccanismo di diffusione, direttamente influenzato dalla pressione che grava sul disco. Se la pressione applicata sul disco è superiore ad un livello di “pressione critica”, si verifica la spremitura dello stesso con fuoriuscita di liquidi (e la conseguente espulsione di cataboliti, ovvero di sostanze di rifiuto). Quando, viceversa, la pressione applicata sul disco è inferiore al suddetto limite, si ha un richiamo dei liquidi all'interno del disco (in questo modo il disco assorbe sostanze in nutrienti dai tessuti viciniori). È proprio il continuo alternarsi di queste fasi (che sono caratterizzate da iper-pressione e ipo-pressione sul disco) che consente la periodica espulsione di cataboliti e l'assorbimento delle sostanze nutritive, e, dunque, una corretta nutrizione del disco. La permanenza per periodi prolungati, alcune ore, in posizioni che comportano una pressione discale costantemente al di sopra o al di sotto del valore "critico" citato, comporta l'arresto dei meccanismi di ricambio (oppure una inadeguatezza degli stessi meccanismi), con conseguente malnutrizione e precoce invecchiamento del disco stesso. In tali situazioni il disco può dunque andare incontro a rotture (ed erniazioni) con maggiore frequenza e più precocemente. La “discopatia” è la patologia degenerativa causata da usura ed invecchiamento del disco (il disco diventa meno resistente perché con minor contenuto d'acqua e minore elasticità). Ad essa può seguire, a causa della rottura della capsula esterna del disco, l'erniazione del disco stesso (ernia del disco). Tale degenerazione, che procede fisiologicamente con l'età e in funzione delle caratteristiche individuali del soggetto, indipendentemente dall'attività lavorativa svolta, è favorita da tutte quelle noxae che incidono negativamente sulla nutrizione del disco intervertebrale e che possono alterare le forze di carico che gravano sulla colonna medesima. Trattasi dunque di infermità a genesi plurifattoriale, di diffuso riscontro nella popolazione generale e molto spesso priva di specifici connotati eziopatogenetici. Sul piano epidemiologico è noto che le sindromi artrosiche sono in ### le affezioni più diffuse e si osservano in tutte le collettività lavorative (dell'industria, dell'agricoltura e del terziario). Per le esposte considerazioni, il perito ha evidenziato che il riconoscimento del nesso causale con l'attività svolta di tali infermità può essere considerata credibile solo qualora siano chiaramente dimostrati alcuni specifici requisiti. In particolare, l'anamnesi lavorativa deve evidenziare l'esistenza di un rischio professionale di natura, entità, durata ed intensità tali da far ragionevolmente considerare la sua influenza di grado superiore, o quanto meno uguale, a quella esercitata da fattori extraprofessionali e/o individuali; il quadro clinico, anatomo-funzionale e radiologico deve presentare caratteristiche specifiche, per intensità, precocità e localizzazione del fenomeno morboso, rispetto alla normalità della popolazione; infine, i dati statistico epidemiologici devono mostrare una significativa ed univoca maggiore incidenza della patologia presso quella determinata categoria professionale. Nel caso di specie, il C.T.U. ha osservato che i requisiti suddetti sono soddisfatti in quanto: 1) le caratteristiche del rischio professionale (movimentazione manuale di gravi di peso ingente che si svolgeva su terreni accidentati e impervi), la durata dell'esposizione lavorativa (oltre 30 anni), e l'intensità della esposizione al rischio (attività svolta con continuità nel corso della giornata lavorativa) possono essere considerati sufficienti alla causazione delle infermità; 2) il quadro clinico, anatomo-funzionale e radiologico presenta caratteristiche specifiche rispetto alla normalità della popolazione, sia per intensità (protrusioni discali multiple che coinvolgono porzione significativa del rachide lombo-sacrale), sia per precocità (i sintomi d'esordio dell'infermità descritta sono riferiti già alla fine degli anni '60 con intensificazione negli anni ‘80 in un soggetto, all'epoca, poco più che trentenne), sia per localizzazione del fenomeno morboso. Nel caso di specie, la patologia degenerativa del rachide ha interessato, all'esordio, l'ultima parte del rachide lombare e la cerniera lombo-sacrale, e cioè il tratto della colonna maggiormente esposto al rischio perché sollecitato dalla attività di movimentazione manuale. Essa, in epoca successiva alla cessazione dell'attività lavorativa, è andata incontro a ulteriore progressione anatomo-radiologica e funzionale in parte attribuibile alla fisiologica senescenza delle strutture osteo-articolari; 3) in relazione all'infermità in esame sono disponibili dati statistico epidemiologici conclusivi che dimostrano una particolare frequenza della stessa nei soggetti addetti ad analoghe mansioni che comportano il ricorso alla forza manuale anche attraverso l'utilizzo di strumenti vibranti. Infatti, indagini epidemiologiche hanno fornito una sufficiente evidenza epidemiologica per la presenza della relazione causale tra attività lavorative “gravose”, comportanti movimentazione manuale di gravi, e patologia degenerativa dei dischi intervertebrali della colonna lombare e sacrale. Il perito ha anche osservato che, nel caso del ricorrente, la patologia osservata in sede di operazioni di consulenza non aveva all'epoca del pensionamento le attuali caratteristiche d'impegno anatomoradiologico e clinico-funzionale. In effetti, dall'esame radiografico della colonna cervicale e lombare eseguito circa 5 anni dopo il pensionamento ovvero l'11.09.2009 si evince un quadro consistente in “segni di spondilosi margino-somatica diffusa a tutto il rachide” e “modesta riduzione in ampiezza dello spazio intersomatico L-5-### nel suo versante posteriore”, mentre la disamina delle certificazioni disponibili mostra un soggetto già da anni sintomatico con documentati ricorrenti episodi di lombosciatalgia (e con la necessità di un ricovero ospedaliero nel 1999). Dalla documentazione in atti si evince altresì una marcata evoluzione del quadro anatomo-radiologico in epoca prossima al 2015, progressione che ad avviso del C.T.U. non può essere attribuita, se non in misura marginale, all'attività lavorativa svolta dal ricorrente alle dipendenze della società convenuta. Per quanto esposto il perito ha ritenuto che lo stato patologico descritto può essere posto, seppure parzialmente, in correlazione causale con le vicende lavorative occorse al ricorrente alle dipendenze della società convenuta. Dalla predetta patologia sono residuati postumi menomativi di carattere permanente consistenti in: “sindrome algodisfunzionale del rachide lombo-sacrale di grado moderato consistente in lombalgia cronica da protrusioni discali multiple da ### a ###, con segni EMG di sofferenza cronica da ###-###-### bilaterale EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024”. È evidente - ha osservato il perito - la sussistenza di esiti di carattere permanente con incidenza sulla preesistente integrità psicofisica del ricorrente, non solo in riferimento agli aspetti statico-funzionali della lesione, ma anche sulla base dei riflessi dinamico-relazionali che essi determinano rispetto alle attività, alle situazioni e ai rapporti in cui il soggetto esplica se stesso nella propria vita di tutti i giorni (comuni attività “esistenziali”). E, in concreto, la menomazione descritta, incidendo negativamente sulla funzionalità della colonna lombosacrale, agisce sulla tolleranza allo sforzo e sulla resistenza nel corso di attività manuali complesse, durature e impegnative e nel corso di attività che richiedano continui piegamenti della cerniera dorsolombare, il mantenimento continuo della posizione ortostatica o seduta, la corsa e la deambulazione su scale e terreni scoscesi, e, infine, la pratica di molte attività sportive (ancora in parte ammesse, ma con non trascurabili limitazioni). Per la valutazione del danno biologico, il C.T.U. ha fatto riferimento alla tabella delle menomazioni I.N.A.I.L. sul danno biologico di cui al ### 12/07/2000 e alla tabella allegata all'ultima edizione delle ### della ### di ### e delle ### (2016), le quali, nelle loro proposte valutative per le menomazioni del rachide lombosacrale presentano orientamenti piuttosto omogenei. E dunque, sulla base dei suddetti riferimenti tabellari, tenuto conto del fatto che l'ingravescenza anatomo-radiologica e funzionale della menomazione de quo osservata in epoca successiva al pensionamento non può essere attribuita, se non in misura marginale, alle vicende lavorative per cui è causa, la menomazione dell'apparato muscolo-scheletrico in esame, riconducibile alla sopra indicata eziologia lavorativa, comporta la presenza di esiti permanenti che il perito ha valutato nella misura del 6% con riferimento al danno biologico, con decorrenza dalla data del pensionamento (2004). Venendo all'infermità della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale”, il perito ha osservato che è evidente che l'utilizzo, per lungo tempo, di strumenti e attrezzature di lavoro particolarmente rumorosi abbia determinato l'insorgenza della decritta infermità, la quale, in ragione delle sue caratteristiche e natura così come deducibili dal tracciato audiometrico del 1989, nel caso di specie conserva tutti i requisiti dell'ipoacusia da rumore. Essa è infatti di tipo neurosensoriale, è bilaterale e sufficientemente simmetrica e interessa prevalentemente le alte frequenze del campo tonale. Anche in questo caso il perito ha evidenziato che la patologia osservata in sede ###aveva le attuali caratteristiche morfologiche, d'impegno audiologico e clinico-funzionale. In effetti, dall'esame audiometrico eseguito circa 15 anni prima del pensionamento ovvero nel 1989 si evince un quadro assai verosimilmente riconducibile in modo esclusivo a trauma acustico cronico (la curva assume la classica forma a cucchiaio) consistente in una ipoacusia neurosensoriale bilaterale “iniziale” con ### interessamento bilaterale della sola frequenza di 4 kHz con minus pari a 60dB a destra e 55dB a sinistra, il cui danno biologico, utilizzando la formula di ### indicata nelle tabelle S.I.M.L.A. e I.N.A.I.L. citate, è valutabile nella misura dello 0.6%, arrotondato 1%, mentre dall'esame audiometrico eseguito circa 10 anni dopo il pensionamento. ovvero nel 2014 (quando il ricorrente aveva 65 anni), si evince quadro assai verosimilmente in parte riconducibile a trauma acustico cronico (la curva perde la classica forma a cucchiaio è in discesa sulle alte frequenze del campo tonale) consistente in una ipoacusia neurosensoriale bilaterale “avanzata” con ### interessamento delle frequenze di 2kHz con minus pari a 35dB a destra e 35dB a sinistra e 4 kHz con minus pari a 75dB a destra e 70dB a sinistra, il cui danno biologico, utilizzando la formula di ### indicata nelle tabelle tabelle S.I.M.L.A. e I.N.A.I.L. è valutabile nella misura del 2,96%, arrotondato, 3%) e, infine, dall'esame audiometrico eseguito circa 20 anni dopo il pensionamento ovvero nel 2024 (quando il ricorrente aveva 75 anni) si evince quadro assai verosimilmente in piccola parte riconducibile a trauma acustico cronico (la curva perde la classica forma a cucchiaio è in discesa sulle alte frequenze del campo tonale), ma più propriamente riconducibile a marcata componente presbiacusica associata alla vasculopatia e alla neuropatia periferica indotta dall'ipertensione arteriosa e dal diabete mellito, consistente in una ipoacusia neurosensoriale bilaterale “avanzata” con interessamento delle frequenze di 1kHz con minus pari a 45dB bilateralmente, di 2kHz con minus pari a 70dB a destra e 75dB a sinistra, di 3kHz con minus pari a 85dB a destra e 80dB a sinistra, e, infine, di 4 kHz con minus pari a 95dB a destra e 100dB a sinistra, il cui danno biologico, utilizzando la formula di ### indicata tabelle S.I.M.L.A. e I.N.A.I.L., è valutabile nella misura del 2,96%, arrotondato, 3%). E dunque, tenuto conto del fatto che l'ingravescenza audiologica e funzionale della menomazione de quo osservata in epoca successiva al pensionamento non può essere attribuita alle vicende lavorative per cui è causa, la menomazione dell'apparato uditivo in esame (“ipoacusia neurosensoriale bilaterale”), riconducibile alla sopra indicata eziologia lavorativa presso la convenuta, comporta la presenza di esiti permanenti che sono stati valutati dal C.T.U. nella misura pari al 1,5%-2% (un punto e mezzo - due punti percentuali) con riferimento al danno biologico, con decorrenza dalla data del pensionamento (2004). Il danno biologico attribuibile complessivamente alle infermità della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale” e della “sindrome algo-disfunzionale del rachide lombosacrale di grado moderato consistente in lombalgia cronica”, sulla base dei criteri comunemente utilizzati nella valutazione di menomazioni coesistenti, è stato valutato dal CTU nella misura complessiva del 7% (sette per cento), con decorrenza dalla data del pensionamento (2004). Si osservi che il ### della parte convenuta ha concordato sulle conclusioni peritali, sia in merito alla esclusione della riconducibilità a cause lavorative della patologia del rachide cervicale, della sindrome del tunnel carpale destra e dell'ernia ombelicale, sia in merito alla riconducibilità a cause lavorative e alla valutazione medico-legale del danno biologico conseguente del 7% delle patologia del rachide lombare e di quella dell'apparato uditivo. ### della parte ricorrente ha invece contestato le conclusioni raggiunte dal perito in merito alla esclusione della riconducibilità a cause lavorative della patologia del rachide cervicale, osservando che la patologia del rachide cervicale era stata già riconosciuta come malattia professionale dalla Corte d'Appello di ### che in letteratura esistono studi che ne sostengono l'eziologia professionale, che la patologia in questione sarebbe riconducibile a causa professionali per via dalle posture mantenute dal ### con il capo in iperestensione, per via anche dell'uso del caschetto che riduce il campo visivo in verticale, e che a tale menomazione può essere attribuito un coefficiente di danno biologico del 12%. ###.T.P. ha poi osservato che la patologia del rachide lombare “già di per sé aggravata dalla presenza di una radicolopatia degli arti inferiori” sarebbe “tale da meritare una valutazione in termini di danno biologico nella misura non inferiore al 14%” e che la patologia uditiva in diagnosi sarebbe “valutabile nella misura non inferiore all'otto per cento”. ###.T.P. ha anche asserito che anche la “sindrome del tunnel carpale bilaterale” sarebbe riconducibile a eziologia lavorativa per via dell'esposizione del ricorrente a vibrazioni e che il danno biologico complessivo dovrebbe essere valutato nella misura del 27%. Ha osservato in ultimo il C.TP. che il C.T.U. ha valutato il caso “in ambito prettamente assicurativo ### e non nell'ambito specifico che ci occupa” e che “le patologie osteoarticolari-degenerative debbono essere valutate non fino all'epoca di cessazione del rapporto di lavorativo, bensì successivamente per il carattere ingravescente delle stesse, ferma restando la sussistenza dei nocivi fattori lavorativi derivanti anche dalle ‘mancanze datoriali' di cui sopra”. Orbene, sul primo punto oggetto d'osservazione critica il perito ha convincentemente dedotto che non v'è evidenza alcuna che le patologie artrosico-degenerative del rachide cervicale possano essere sostenute dal sovraccarico biomeccanico mentre v'è qualche evidenza per il rischio posturale, il quale, per via delle caratteristiche delle attività svolte dal ricorrente, non può però essere sostenuto nel caso de quo, non essendo stato il ricorrente impiegato in posture quali quelle assunte da un restauratore, né da un pittore edile, né da un intonacatore. Il perito ha anche osservato che la tabella delle malattie professionali non include, tra le patologie oggetto di tutela, quelle de rachide cervicale, né esse sono contenute nelle liste nel D.M. n.141 del 15 novembre 2023. Sul secondo punto oggetto di osservazione critica da parte del C.T.P., il C.T.U. ha ribadito che l'epoca remota della cessazione dell'attività lavorativa e le molteplici concause sopravvenute (età, sovrappeso - obesità, fattori costituzionali e sovraccarico biomeccanico extra-lavorativo) assorbono del tutto, sul piano quali-quantitativo, l'eziologia dell'ingravescenza sia della patologia uditiva sia di quella del rachide lombare, cui può essere attribuita una valutazione complessiva, in termini di danno biologico, non superiore al 7%. Circa la sindrome del tunnel carpale destra (destra e non “bilaterale”, come sostenuto dal C.T.P.), il C.T.U. ha evidenziato mancano del tutto, nel caso de quo, i fattori di rischio professionali, considerato che essa è comparsa soltanto nel 2015, oltre 10 anni dopo la cessazione dell'attività lavorativa). In definitiva, il perito ha concluso nel senso che il ricorrente è affetto dallo stato patologico dedotto in ricorso, che attualmente consiste in: ### cervicalgia cronica da protrusioni discali da ### a ### e cervico-artrosi con associata sofferenza neurogena cronica nel territorio ###-### sinistro e ###-###-### destro EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### lombalgia cronica da protrusioni discali multiple da ### a ###, con segni EMG di sofferenza cronica da ###-###-### bilaterale EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### segni EMG (03/2015) di sindrome del tunnel carpale di grado moderato a destra ad attuale lieve impegno funzionale; ### ipoacusia neurosensoriale bilaterale; ### ernia ombelicale. Le infermità di cui ai punti ###, ### e ### non sono eziologicamente riconducibili alle vicende lavorative occorse al ricorrente alle dipendenze della società convenuta. Le infermità di cui ai punti ### e ### - “lombalgia cronica da protrusioni discali multiple” e “ipoacusia neurosensoriale bilaterale” - sono, seppure parzialmente, in correlazione causale con le vicende lavorative occorse al ricorrente alle dipendenze della società convenuta. Esse comportano la presenza di esiti permanenti che possono essere valutati nella misura del 7% con riferimento al danno biologico, con decorrenza dall'epoca del pensionamento. Del ricorrente. Orbene, ritiene il ### che non si possa che giungere ad una conclusione di responsabilità del datore di lavoro nella insorgenza delle richiamate due patologie. In particolare, pare evidente che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare precauzioni idonee ad evitare che i dipendenti fossero esposti senza alcuna protezione ai molteplici fattori morbigeni susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa propedeutica e conseguenziale alla elettrificazione. Tale obbligo, essenzialmente, può ricollegarsi all'art.2087 c.c., che in generale impone all'imprenditore di adottare ogni misura idonea a tutelare l'integrità fisica del prestatore di lavoro. In conseguenza della mancata adozione di queste regole di sicurezza, desumibili dalla disposizione generale in precedenza richiamata, va allora affermata la responsabilità - per colpa generica - del datore di lavoro in ordine all'insorgenza a carico dell'attore delle accertate patologie. Per completezza va osservato che la responsabilità civile del datore di lavoro avrebbe potuto essere esclusa solo in caso di dolo del lavoratore o nel caso del cd. rischio elettivo - generato da un comportamento del lavoratore non avente rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa ed esorbitante dai limiti di essa - ma situazioni di tal genere non sono affatto emerse dall'istruttoria. Neanche é stata provata una qualche colpa del lavoratore dovuta ad imprudenza, imperizia, negligenza, atteso che nessun elemento è emerso in giudizio che faccia ritenere che l'attore possa aver anche soltanto concausato l'insorgenza delle riscontrate malattie. In ogni caso, come osservato chiaramente dalla giurisprudenza della Cassazione (cfr., ex plurimis e da ultimo, Cass. n.4980/2023), anche l'accertamento di un'eventuale condotta del lavoratore connotata da imprudenza o disattenzione non rileva quando il datore di lavoro abbia omesso di approntare i mezzi di protezione necessari per garantire l'incolumità del lavoratore o abbia omesso di vigilare sull'utilizzo da parte del lavoratore dei mezzi di protezione per lui predisposti. In tali ipotesi, infatti, la condotta dell'imprenditore si pone quale antecedente causale di per sé sufficiente ad assorbire l'eventuale colpa del danneggiato, con esclusione quindi dell'applicabilità dell'art.1227, 1° comma, c.c. che disciplina la rripartizione dellaresponsabilità nel caso di concorso del danneggiato nella determinazione dell'evento dannoso. In definitiva, l'entità delle conseguenze risarcitorie - nelle ipotesi viste, che ben si attagliano al caso di specie - grava totalmente sul datore di lavoro. La conclusione alla quale si è giunti - della sussistenza, cioè, di una responsabilità del datore di lavoro in ordine alla determinazione della malattia professionale - va vista anche nel quadro dei contrapposti oneri probatori gravanti sulle parti nel caso di malattia o infortunio sul lavoro. Incombe infatti al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, mentre il datore di lavoro ha l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che i danni subiti dal dipendente non siano ricollegabili alla inosservanza di tali obblighi. Nella specie, il convenuto non ha assolto ai suoi oneri probatori, anzi è emersa la mancanza di quelle misure precauzionali che avrebbero impedito l'insorgenza della emersa tecnopatia. Venendo alle conseguenze dell'accertata responsabilità civile del datore di lavoro, osserva il ### che è necessario svolgere una serie di considerazioni, tenuto conto che trova applicazione la normativa prevista dal D. Lgs. 23 febbraio 2000 n.38, che ha esteso la copertura assicurativa in caso di infortuni o malattie professionali anche al risarcimento del danno biologico, con conseguente esenzione da responsabilità civile del datore di lavoro ex art.10 D.P.R. n. 1124/1965. In effetti, dopo la riforma introdotta dal D.Lgs. n.38/2000 la copertura assicurativa dell'I.N.A.I.L. comprende anche l'indennizzo del danno biologico superiore al 6%. Da un punto di vista temporale il problema si pone esclusivamente, come già sottolineato, per gli eventi cui si applica il nuovo sistema assicurativo e dunque, ai sensi dell'art. 13 D.Lgs. n.38/2000, come modificato dall'art.1 D.Lgs. 19 aprile 2001, n.202, per i soli danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate a decorrere dal 25 luglio 2000. Nella specie la normativa in questione risulta applicabile, essendo state le malattie professionali denunciate in epoca successiva al 15.7.2000. Orbene, ai sensi dell'art.10, comma 7°, D.P.R. n.1124/65, "quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate". Si osservi che nel presente giudizio non assumono rilievo le modifiche del richiamato art.10 del D.P.R. n.1124 del 1965, introdotte dall'art.1, comma 1126, della L. n.145 del 2018, giacché la Corte di Cassazione ha chiarito che esse non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell'1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge (cfr. Cass. n.8580/2019). Tanto chiarito, va osservato che l'esonero da responsabilità riconosciuto comunque al datore di lavoro dall'art.10, comma 7°, D.P.R. n.1124/65, nella versione applicabile ratione temporis, fino all'ammontare del danno indennizzato (o indennizzabile) dall'I.N.A.I.L. opera ex lege e non può essere condizionato ad una scelta discrezionale del lavoratore. Si tratta dunque di stabilire se il lavoratore, vittima di un infortunio su lavoro o di una malattia professionale, abbia ancora diritto di chiedere al datore di lavoro - civilmente e penalmente responsabile del fatto - il risarcimento del danno biologico ulteriore (o differenziale) rispetto a quello indennizzato dall'I.N.A.I.L. a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n.38/2000. Ritiene il ### che la complessa e discussa questione richieda alcune premesse si carattere storico e sistematico. ### l'originario impianto del D.P.R. n.1124/65 la costituzione della rendita I.N.A.I.L. presupponeva una menomazione comportante una riduzione della “attitudine al lavoro”. Ai sensi dell'art. 74 D.P.R. n. 1124/65, infatti, “agli effetti del presente titolo deve ritenersi inabilità permanente assoluta la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale la quale tolga completamente e per tutta la vita la attitudine al lavoro”. Tale nozione, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, coincideva sostanzialmente con la “capacità lavorativa generica”. La Corte costituzionale, con sentenza 21 novembre 1997 n.350, ha confermato tale interpretazione, assunta in termini di diritto vivente. ###.N.A.I.L. risarciva quindi un danno di natura patrimoniale. ### I.N.A.I.L. prescindeva - e tuttora prescinde - dall'accertamento di una reale perdita di guadagno dovuta all'impossibilità di svolgere attività lavorative specifiche, tant'è che si fa luogo a risarcimento anche laddove il lavoratore, a seguito del danno, continui a svolgere le stesse identiche mansioni, senza alcuna riduzione retributiva. Non occorreva - e tuttora non occorre - l'esistenza di una effettiva perdita o riduzione dei guadagni, ossia un danno patrimoniale concreto, perché l'assicurazione obbligatoria I.N.A.I.L. non assolve ad una funzione propriamente risarcitoria (cfr., Cass. n.1640 del 16.2.2000; conf. Cass. n.16097/2002). Al momento della emanazione del T.U. n.1124/1965 vi era una sostanziale, ancorché non perfetta, sovrapposizione tra il danno indennizzato dall'I.N.A.I.L. ed il danno quantificabile secondo criteri civilistici. All'epoca, infatti, e fino a quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n.184/1986, ha definitivamente introdotto la nozione di “danno biologico”, il danno risarcibile a seguito della lesione del “bene salute” era essenzialmente patrimoniale (nelle due componenti del “danno emergente” e del “lucro cessante”) e spesso anche in campo civile si faceva riferimento al concetto di perdita della capacità lavorativa generica in luogo del danno emergente e del lucro cessante. In tale contesto si inseriva armonicamente l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile previsto dall'art.10 del D.P.R. n.1124 /1965. Il lavoratore veniva indennizzato dall'I.N.A.I.L. indipendentemente dall'esistenza di una colpa in capo al responsabile civile (ovvero al datore di lavoro) e riceveva normalmente un indennizzo non minore del risarcimento che avrebbe ottenuto ove avesse agito civilmente contro il datore di lavoro in colpa, posto che all'epoca in sede civile il danno risarcibile non poteva che avere natura patrimoniale e doveva essere puntualmente provato dal danneggiato. Nel caso in cui il danno avesse superato l'indennizzo corrisposto dall'I.N.A.I.L. il lavoratore era comunque legittimato a chiedere il danno differenziale, ma soltanto ove la condotta del datore di lavoro fosse stata penalmente rilevante, ovvero in presenza di una colpa del datore di lavoro, non puramente generica. Ovviamente anche il danno differenziale non poteva che avere natura patrimoniale e doveva essere puntualmente provato dal danneggiato. Tale sistema garantiva al lavoratore che avesse subito un infortunio sul lavoro un risarcimento sostanzialmente non inferiore a quello a lui spettante ove l'infortunio non fosse avvenuto in occasione di lavoro ed anzi, nei casi in l'indennizzo dell'I.N.A.I.L. risultava più alto del risarcimento dovuto in virtù degli ordinari principi civilistici, il lavoratore godeva di una maggior tutela, maggior tutela peraltro giustificata dalla particolare protezione, costituzionalmente garantita, ai diritti dei lavoratori (desumibile dagli artt. 1, 4, 35 Cost.). Gli equilibri di tale sistema sono stati posti in crisi negli anni '80 dalla comparsa del danno biologico. Tale figura di danno nasce in campo prettamente civilistico quale danno relativo alla lesione del bene salute in sé considerato senza alcuna connotazione patrimoniale. In tal modo il risarcimento del danno civile da lesione non viene più a coincidere con l'indennizzo previdenziale, che risulta nettamente inferiore al danno risarcibile secondo criteri civilistici. Il sistema normativo sin qui descritto viene quindi profondamente modificato o meglio stravolto da una serie di pronunce della Corte Costituzionale. Le prime sentenze della Corte incidono sulla necessità dell'accertamento preliminare e pregiudiziale della responsabilità penale del datore di lavoro al fine della successiva azione volta al risarcimento del danno differenziale. All'esito di tre significative pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n.22/1967; n.102/1981; n.118/1986) l'accertamento della responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore che chieda il risarcimento del danno differenziale (così come nei confronti dell'I.N.A.I.L. che agisca in regresso) è oggi svincolato dagli esiti del procedimento penale, salvo che la parte offesa o l'### non abbiano scelto di partecipare al processo penale. Con tre sentenze intervenute nell'arco dello stesso anno (n.87/1991, n.356/1991 e n.485/1991) la Corte Costituzionale interviene poi sui limiti relativi all'entità del risarcimento che l'infortunato può chiedere al datore di lavoro con l'azione. Con la sentenza n.87/1991 la Corte, dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt.2, 3 e 74 del D.P.R. n.1124/65, afferma espressamente che il danno biologico non rientra nella copertura I.N.A.I.L.. Con la seconda pronuncia (sentenza 18 luglio 1991 n.356) la Corte dichiara costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art.38 Cost., l'art.1916 c.c., nella parte in cui consente all'assicurazione sociale di avvalersi, nell'esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da questi dovute all'assicurato a titolo di risarcimento del danno biologico. La Corte afferma in particolare che "le indennità previste dal D.P.R. n. 1124/65 sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella propria vita". Infine, con la sentenza 27 dicembre 1991 n.485, la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.10 del D.P.R. del 1965 nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare dell'indennità corrisposta dall'I.N.A.I.L. e coerentemente ha ritenuto l'illegittimità dell'art.11 del medesimo decreto nella parte in cui consente all'I.N.A.I.L. l'esercizio del regresso anche per le somme dovute al lavoratore a solo titolo di danno biologico. In precedenza, infatti, la giurisprudenza, per verificare la sussistenza del "danno differenziale" (ai sensi dell'art.10 del D.P.R. del 1965) procedeva ad una mera operazione di sottrazione di grandezze tra loro solo aritmeticamente omogenee e cioè sottraeva il valore capitale della rendita erogata dall'I.N.A.I.L. all'assicurato dall'importo complessivo del risarcimento, includendo in quest'ultimo anche voci di danno (come il danno biologico ed il danno morale) escluse dalla copertura assicurativa. Per effetto di questo meccanismo di calcolo, quando l'ammontare delle prestazioni globalmente erogate dall'I.N.A.I.L. era - come spesso avveniva - superiore alla somma complessivamente liquidabile al lavoratore a titolo di risarcimento del danno alla persona secondo le ordinarie regole civilistiche, nulla risultava dovuto per risarcimento del danno alla salute in sé considerato. A seguito di queste pronunce la regola dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui all'art. 10 D.P.R. n. 1124/65 diviene realmente residuale. Il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno biologico subito dal lavoratore anche nel caso in cui ricorrano gli estremi dell'esonero (per il danno eccedente le prestazioni I.N.A.I.L.). Anche in assenza di illecito penale (ad integrare gli estremi del quale è comunque sufficiente, secondo la costante giurisprudenza, l'inosservanza, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di sicurezza che su di lui incombe ex art. 2087 c.c., essendo indiscussa la indiretta rilevanza penale, sotto il profilo della colpa, di tale norma fondamentale) il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno alla salute patito dal dipendente (sempre che ovviamente ricorrano i consueti presupposti di imputazione della responsabilità civile, cioè un comportamento colposo dell'imprenditore o di un qualsiasi suo dipendente). Del pari - e sempre limitatamente al danno biologico - la pretesa risarcitoria del lavoratore non risulta in alcun modo limitata dal sistema del "calcolo differenziale" di cui all'art.10, comma 6° e 7°, D.P.R. n. 1124/65. In tal modo la regola - già residuale - dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni e le malattie professionali risulta ulteriormente ristretta. ### della sussistenza di un reato rileva quindi ai soli fini del risarcimento del danno non patrimoniale e morale. Nel quadro normativo derivante dai ripetuti interventi della Corte la tutela apprestata dall'assicurazione sociale si riferisce unicamente alla perdita della c.d. capacità lavorativa generica, con esclusione delle altre voci di danno, al cui risarcimento è tenuto il datore di lavoro. Interviene a questo punto l'art.13 D.Lgs. 28 febbraio 2000, n.38, che estende la copertura assicurativa dell'I.N.A.I.L. non soltanto al danno patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa generica, ma anche all'avvenuta lesione permanente dell'integrità psicofisica del lavoratore in sé e per sé considerata. ### la nuova disciplina: - le menomazioni di grado inferiore al 6% non danno luogo ad alcuna prestazione; - il danno biologico temporaneo non è indennizzato dall'I.N.A.I.L.; - le menomazioni comprese tra il 6% ed il 15%, danno luogo ad un indennizzo in somma capitale, rapportata al grado della menomazione; - le menomazioni pari o superiori al 16%, danno luogo ad una rendita ripartita in due quote: la prima quota è determinata in base al grado della menomazione, cioè al danno biologico subito dall'infortunato, la seconda tiene conto delle conseguenze di natura patrimoniale della menomazione, presunte iuris et de iure. Recita testualmente l'art. 13 co. 1° d. lgs. n. 38/2000: “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”. ###.M. 12 luglio 2000 è stata emanata una serie di tabelle che prevedono i gradi percentuali di invalidità corrispondenti a ciascuna singola menomazione; il valore monetario del punto di invalidità, in base al quale liquidare il danno biologico in forma di capitale; il valore monetario delle rendite, in base alle quali liquidare il danno biologico in forma capitale; i coefficienti in base ai quali moltiplicare il reddito dell'infortunato, per liquidare il danno da ridotta capacità lavorativa. ### una tesi minoritaria la nuova estensione della garanzia assicurativa dell'I.N.A.I.L. introdotta dal D. Lgs. n. 38/2000 escluderebbe la possibilità di configurare un danno biologico "differenziale" suscettibile di risarcimento da parte del datore di lavoro (Tribunale di Torino, ### 16 giugno 2003 n. 3393; Tribunale di Vicenza, ### 3 giugno 2004 n. 82). Tale tesi comporta una inammissibile interpretazione abrogatrice dell'art.10, comma 6°, D.P.R. 1124/65 che prevede espressamente - sia come una formulazione letterale che risente dei quattro decenni ormai trascorsi - la configurabilità e la risarcibilità (a determinate condizioni) di un danno differenziale nell'ipotesi in cui le prestazioni erogate dall'I.N.A.I.L. non coprano l'intero danno risarcibile. In realtà il danno differenziale può essere inteso in due accezioni. In senso qualitativo costituiscono danno differenziale le tipologie di danno non riconducibili alla copertura assicurativa obbligatoria, quali ad esempio il danno biologico da invalidità temporanea, il danno morale, i vari tipi di danno esistenziale ecc... Con riferimento a tali tipi di danni non si dubita che perduri la responsabilità del datore di lavoro per i danni non coperti dall'assicurazione I.N.A.I.L.. Prima dell'entrata in vigore dell'art.13 D.Lgs. n.38/2000 era indirizzo giurisprudenziale pacifico quello per cui "in caso di operatività dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell'art.10 D.P.R. n.1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale, riguarda la sfera dell'ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte costituzionale n.356 e 485 del 1991 e con il conseguente nuovo orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell'assicuratore - non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all'art.2059 cod. civ., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro"(Cass., 16 giugno 2001, n.8182 ex plurimis; conf. Cass. n.10834/2010). Il danno differenziale può essere inteso anche in senso quantitativo, correlato essenzialmente alla minor quantificazione economica del danno da invalidità permanente operata dalla tabelle I.N.A.I.L. del 2000 rispetto a quella operata dalle tabelle create ed applicate, in via equitativa, dalla giurisprudenza in materia di responsabilità civile (per esempio le c.d. tabelle del Tribunale di Milano utilizzate anche da questo Tribunale). Ritiene il ### che, come del resto sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza allo stato prevalenti, l'indennizzo del danno biologico, introdotto dalla nuova normativa, non precluda il diritto del danneggiato al risarcimento del danno biologico differenziale inteso anche in questa seconda accezione (ovvero in senso quantitativo). Diversi sono gli argomenti che militano a favore di questa soluzione. In primo luogo, deve rilevarsi che il D. Lgs. 23 febbraio 2000, n.38 è stato emanato in attuazione dell'art.55 lett. a) legge 17 maggio 1999, n.144, che ha delegato il ### ad emanare, entro nove mesi dalla data della sua entrata un vigore, uno o più decreti legislativi al fine di ridefinire taluni aspetti dell'assetto normativo in materia I.N.A.I.L., con previsione in particolare “…nell'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e nell'ambito di un sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di un'idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi”. ### che precluda il diritto del danneggiato al risarcimento del danno biologico differenziale inteso anche in questa seconda accezione (ovvero in senso quantitativo) comporterebbe dunque un evidente eccesso di delega, posto che la legge delega non prevede alcuna riforma o alcun coinvolgimento dell'ordinario sistema risarcitorio civilistico, ma soltanto l'estensione dell'ambito dell'assicurazione I.N.A.I.L. al danno biologico, con l'introduzione di un idoneo indennizzo (e non risarcimento). Vi è poi un elemento testuale dato dal fatto che l'art.13 che qualifica l'emolumento a carico I.N.A.I.L. come "indennizzo". Dal punto di vista della teoria generale del diritto, il termine indennizzo indica un concetto del tutto distinto da quello del risarcimento, posto che il risarcimento è commisurato all'esatta misura del danno, mentre l'indennizzo non copre necessariamente tutte le voci di danno eventualmente scaturite dall'evento. Inoltre, il risarcimento presuppone necessariamente la sussistenza di un illecito (contrattuale od extracontrattuale), mentre le prestazioni assicurative erogate dall'I.N.A.I.L. sono indipendenti dall'esistenza di un illecito civile e sono garantite a prescindere dalla colpa dell'autore della condotta dannosa (e quindi anche in presenza del caso fortuito) e a prescindere anche dall'esistenza di un responsabile diverso dal danneggiato (essendo riconosciute anche in ipotesi di danno verificatosi per esclusiva colpa del danneggiato). Dunque l'indennizzo I.N.A.I.L. si distingue dal risarcimento anche per l'assenza del presupposto della colpa, condizione invece necessaria per la risarcibilità del danno biologico civile. ### obbligatoria I.N.A.I.L. prevede cioè la corresponsione di un minimum sociale garantito anche nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile colpa di terzi: il rischio dell'infortunio dovuto a caso fortuito o a colpa dello stesso lavoratore si sposta così sulla collettività. Da ultimo deve rilevarsi che per postumi inferiori al 6% (e dunque non indennizzati dall'I.N.A.I.L.) nessuno dubita della possibilità del lavoratore danneggiato di agire nei confronti del datore di lavoro per ottenere il risarcimento pieno del danno, certamente quantificato secondo gli usuali criteri civilistici. Del tutto irragionevole ed ingiustificato sarebbe allora riconoscere la piena risarcibilità dei danni di minore entità ed invece la risarcibilità soltanto parziale (ovvero nei limiti dell'indennizzo I.N.A.I.L.) per i danni alla salute di maggior incidenza. Più in generale, ove si ritenesse che la disciplina legislativa del 2000 abbia inteso vincolare il Giudice ad un “tetto massimo” di valutazione del danno biologico patito dal lavoratore, al lavoratore danneggiato verrebbe riconosciuto un trattamento deteriore rispetto al danneggiato non lavoratore (al quale tale limitazione non sarebbe applicabile): il che appare non soltanto illogico - e quindi incostituzionale sotto il profilo del principio di ragionevolezza - ma anche contrario a quel favor lavoratoris che deve permeare tutta la disciplina giuslavoristica in ossequio al dettato degli artt.1 e 35 della nostra ### Si deve infatti ritenere che, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.87 del 1991, "il rischio delle menomazioni dell'integrità psico-fisica del lavoratore, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba di per se stesso godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare". Dunque, se differenziazioni di tutela possono farsi in relazione al fatto che la menomazione dell'integrità fisica si sia verificata a causa o in occasione dello svolgimento di attività lavorativa, tali differenziazioni possono essere soltanto in melius. Deve pertanto concludersi che, come sostenuto in dottrina, l'I.N.A.I.L. non indennizza integralmente il danno biologico. Per la parte non indennizzata, può ritenersi che non vi sia prestazione previdenziale: "se non si fa luogo a prestazione previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l'assicurazione cade l'esonero". Il lavoratore è allora legittimato a richiedere quanto non indennizzato dall'I.N.A.I.L. direttamente al datore di lavoro civilmente responsabile. La ritenuta differenza ontologica tra il risarcimento del danno e l'indennizzo I.N.A.I.L. (anche se relativo al medesimo danno) comporta che non necessariamente debba esservi omogeneità dei parametri valutativi dell'una e dell'altra categoria: sicché non vi è ragione per cui il Giudice della responsabilità civile non possa continuare ad applicare i consueti criteri equitativi di liquidazione del danno anche in presenza di una fattispecie dannosa comportante l'erogazione di prestazioni da parte dell'I.N.A.I.L.. Si aggiunga che, anche dal punto di vista testuale, l'art. 13 D.Lgs. n.38/2000 introduce una definizione di danno biologico: “in via sperimentale”; “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento”; “ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni su lavoro”. Ciò significa che tale definizione non può essere estesa ad altri campi del diritto e in particolare a quello civile, per il quale si resta in attesa di una definizione di carattere generale che fissi i criteri per la determinazione del risarcimento. Si aggiunga che, a distanza di un anno, il legislatore ha introdotto, con l'art.5 della legge n.57/2001, una ulteriore - e diversa - disciplina settoriale del danno biologico, destinata questa volta a valere nell'ambito della responsabilità civile da circolazione stradale e della connessa assicurazione obbligatoria. Un danno biologico pari all'8% patito da un soggetto di anni 50 viene indennizzato dall'I.N.A.I.L. con un importo capitale di £ 10.920.000, pari a €.5.693,71. Lo stesso danno sarebbe stato risarcito in base alle tabelle della L. n.57/2001 in €.8.742,59, oltre all'inabilità temporanea. Dunque, un lavoratore vittima incolpevole di un incidente stradale “in itinere” dovrebbe accontentarsi del risarcimento previsto dal D. Lgs. n. 38/00, non potendo ottenere l'integrale indennizzo del proprio danno alla salute nei confronti dell'assicurazione del responsabile. Ove poi non si tratti né di infortunio sul lavoro, né di sinistro automobilistico, per il medesimo danno verrebbe riconosciuto un risarcimento più elevato in base all'applicazione delle tabelle medicolegali e risarcitorie in uso al Tribunale. In realtà, l'art.5, 4° comma, L. n.57/2001, in materia di responsabilità civile da circolazione stradale, al di là della quantificazione standard - uguale per tutti - del danno biologico, prevede espressamente la possibilità di ottenere giudizialmente un “risarcimento ulteriore” sotto il profilo della personalizzazione e individualizzazione del danno. La mancata previsione di tale possibilità nell'art.13 D. Lgs. n.38/00 trova giustificazione e razionale inquadramento sistematico nella perdurante possibilità di richiedere direttamente al datore di lavoro, responsabile civilmente, il risarcimento del danno differenziale. Deve dunque concludersi che il lavoratore è tuttora legittimato a richiedere direttamente al datore di lavoro civilmente responsabile il risarcimento del danno non indennizzato dall'I.N.A.I.L. (ovvero del c.d. danno differenziale). In caso di mancata denuncia all'I.N.A.I.L. o in caso di mancata liquidazione dell'indennizzo da parte dell'I.N.A.I.L., si pone il problema se il datore di lavoro continui a rispondere integralmente del danno biologico ai sensi dell'art.2087 c.c. anche per malattie professionali manifestatesi dopo il 25 luglio 2000. Il disposto dell'art.10, comma 7°, D.P.R. n. 1124/65, ai cui sensi "quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate", sembra imporre una risposta negativa a tale quesito. ### da responsabilità riconosciuto comunque al datore di lavoro fino all'ammontare del danno indennizzato (o indennizzabile) dall'I.N.A.I.L. opera ex lege e non può essere condizionato da una scelta discrezionale del lavoratore (l'esonero non può, ad esempio, venir meno a seguito dell'inerzia del lavoratore che abbia lasciato decorrere il termine prescrizionale per richiedere le prestazioni I.N.A.I.L.). In altre parole il lavoratore non può legittimamente disporre, annullandolo, del diritto del datore di lavoro al parziale esonero della responsabilità civile ex art. 10 D.P.R. n. 1125/65. La norma di cui all'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965, commi 6 e 7, prevede che il risarcimento spettante all'infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l'ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'I.N.A.I.L. in dipendenza dell'infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno, sia le indennità. Tale danno "differenziale" devo essere, quindi, determinato sottraendo dall'importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli art. 1223 e ss., 2056 ss c.c.) quello delle prestazioni liquidate dall'I.N.A.I.L., riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione (Cass., 25 maggio 2004, n. 10035). A fronte di tale esonero, si deve dunque comunque detrarre dal risarcimento biologico quanto il lavoratore abbia ottenuto dall'I.N.A.I.L. ovvero avrebbe potuto ottenere usando l'ordinaria diligenza (quantum che corrisponde all'esonero cui il datore di lavoro ha diritto). Nella specie, si dovrà quindi tenere conto di quanto liquidato dall'I.N.A.I.L. al ricorrente a titolo di indennizzo ex art.13 D.Lgs. 38/2000 per le malattie professionali per cui è causa, indennizzo pari alla misura di €.8.967,44. Si osservi, al riguardo, che la quota di danno biologico erogata dall'I.N.A.I.L. è stata pari a €.7.561,08 (cfr. prospetto di liquidazione I.N.A.I.L.: doc. n.72 ###, alla data del 22.11.2017. Orbene, ai fini dell'individuazione del danno differenziale è necessario riportare gli importi da sommare ### ad una medesima data (in modo da rendere omogenei i valori da sommare). Pertanto è necessario rivalutare gli importi erogati all'attore dall'I.N.A.I.L. alla data di emissione della ### di ### di riferimento, vale a dire alla data del 04.06.2024. Quindi, procedendo alla rivalutazione di €.7.561,08 dalla data di erogazione del 22.11.2017 alla data della tabella attuariale 04.06.2024 si ottiene la su indicata cifra di €.8.967,44- Orbene, in conseguenza delle svolte considerazioni, accertata la responsabilità di E- ### S.p.A. in ordine all'insorgenza a carico dell'attore ### delle malattie professionali della lombalgia cronica da protrusioni discali multiple e della ipoacusia neurosensoriale bilaterale, dalle quali è derivato al ricorrente un danno biologico in misura del 7%, la resistente va condannata a risarcire al ricorrente il danno non patrimoniale subito, detratto l'indennizzo posto a carico dell'I.N.A.I.L., nei termini sopra specificati. Osserva il ### che si è fatto riferimento genericamente ad un danno non patrimoniale, alla luce del mutamento di indirizzo della Corte di legittimità. La Cassazione ha stabilito che la nuova lettura costituzionalmente orientata dell'art.2059 c.c., che svincola il danno morale dalla ricorrenza di un reato (vedi Corte Cost. n.233/2003) consente oggi una tutela risarcitoria della persona ricondotta ad un sistema bipolare (e non più tripolare) costituito dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale; quest'ultimo a sua volta ricomprende in sé sia il danno biologico in senso stretto (compromissione del bene salute sotto il profilo statico, prima ricondotto nell'art. 2043 c.c.), sia il danno morale soggettivo (il pretium doloris), sia il danno conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti (generalmente definito danno esistenziale). La Corte ha affermato in particolare che il danno non patrimoniale è comprensivo del danno biologico (in senso stretto), del danno morale e della lesione di interessi costituzionalmente protetti; nel vigente assetto dell'ordinamento nel quale assume posizione preminente la ### che all'art. 2 riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, che non si esaurisca nel danno morale e che non sia correlato alla qualifica di reato del fatto illecito ex art. 185 c.p.; unica possibile forma di liquidazione del danno privo delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale ma comprensiva di un pregiudizio non economico (vedi Cass. 2004, n.10157; note “sentenze gemelle” 2003, n.8827; 2003, n.8828). In altri termini, oggi, anche il danno biologico rientra nell'alveo del danno non patrimoniale, accanto al danno morale, esistenziale, professionale che non sono però voci autonome di danno come più avanti meglio si dirà. ###. 2059 c.c. è diventato il perno del sistema del risarcimento del danno alla persona (salva la separata risarcibilità del danno patrimoniale) ed è divenuta ampia la nozione di danno non patrimoniale nel quale rientrano in definitiva tutti i danni che possano essere qualificati come l'ingiusta lesione di un interesse inerente la persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica e tali valori devono aver nel nostro ordinamento un rilievo ed una tutela di portata costituzionale. Tale tipo di danno va inteso, quindi, quale danno conseguenza, allegato in giudizio dall'istante e liquidato equitativamente sulla base delle risultanze istruttorie e della comune esperienza. Logico corollario di tale nuova impostazione è addirittura la possibilità di procedere ad una compensazione monetaria cumulativa, nel senso che possono essere inclusi nel medesimo importo il danno biologico in senso stretto (lesione in sé considerata sotto il profilo statico), il danno morale soggettivo ed il ristoro degli ulteriori pregiudizi diversi dalla mera sofferenza psichica. Le sezioni unite 2008, n.26972, nel risolvere il contrasto in punto di esistenza del danno esistenziale (risolto negativamente nel senso dell'inesistenza del danno esistenziale inteso quale autonoma categoria di danno), e nell'approfondire la nozione di danno non patrimoniale, hanno sostanzialmente confermato il contenuto delle sentenze gemelle del 2003, nn.8827 e 8828 completandole e chiarendole nei termini che seguono. In particolare, la Corte ha esposto che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge; tali casi si dividono in due grandi categorie: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad es., nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); e quelle in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art.2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla ### La decisione, esaminando il contenuto della nozione di danno non patrimoniale, ha stabilito che quest'ultimo costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. Non è conforme, dunque, al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell'unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante. Da questo principio è stato tratto il corollario che non è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità d'un danno definito “esistenziale”, inteso quale la perdita del fare areddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato. Quando, per contro, un pregiudizio del tipo definito in dottrina “esistenziale” sia causato da condotte che non siano lesive di specifici diritti della persona costituzionalmente garantiti, esso sarà irrisarcibile, giusta la limitazione di cui all'art. 2059 c.c.. Da ciò le ### hanno tratto spunto per negare la risarcibilità dei danni non patrimoniali cc.dd. “bagatellari”, ossia quelli futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità, ed hanno al riguardo avvertito che la liquidazione (specie nei giudizi decisi dal giudice di pace secondo equità) di danni non patrimoniali non gravi o causati da offese non serie, è censurabile in sede di gravame per violazione di un principio informatore della materia. La sentenza è completata da tre importanti precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, liquidazione e prova del danno. Con riferimento alla responsabilità contrattuale, le ### hanno precisato che anche dall'inadempimento di una obbligazione contrattuale può derivare un danno non patrimoniale, risarcibile nei limiti ed alle condizioni già viste (e quindi o nei casi espressamente previsti dalla legge, ovvero quando l'inadempimento abbia leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla ###. Per quanto attiene, invece, alla liquidazione del danno ed alle modalità di tale liquidazione, le ### hanno precisato che il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, ma senza duplicazioni: deve, pertanto, ritenersi non corretta la prassi di liquidare in caso di lesioni della persona sia il danno morale sia quello biologico; come pure quella di liquidare nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale: gli uni e gli altri, per quanto detto, costituiscono infatti pregiudizi del medesimo tipo. Resta per il giudice solo la possibilità di adeguare il complessivo risarcimento alle peculiarità del caso esaminato. Infine, per quanto attiene la prova del danno, le ###, premessa la necessità di adeguata allegazione e prova del danno in linea generale, hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio. Certamente, infatti, il pregiudizio attiene ad un bene immateriale e si verte nell'ambito della prova di stati soggettivi rispetto ai quali la prova diretta e difficile; pur tuttavia per l'operatività della presunzione e, quindi, per poter risalire al fatto ignoto ### attraverso l'esame dei fatti noti, è sempre necessario che tali ultimi fatti vengano allegati in relazione alla fattispecie concreta e non facendo richiamo a circostanze e formule del tutto astratte e, quindi, di stile. Orbene, volendo applicare i suesposti principi al caso di specie, va osservato, quanto alla lesione alla salute medicalmente accertata (danno biologico), che il ricorrente ha specificamente dedotto di aver subito un danno differenziale quantitativo, ovvero ha sostenuto che la lesione fisica appurata dal C.T.U., se fosse stata valutata secondo le tabelle giurisprudenziali, avrebbe portato ad una percentuale superiore rispetto quella della tutela I.N.A.I.L., ovvero all'applicazione di un coefficiente di quantificazione superiore e che solo questo maggiore ristoro si palesa equo, secondo le circostanze concrete, a riparare le patologie mediche considerate. Parte ricorrente ha poi invocato il risarcimento del danno differenziale qualitativo, ovvero del danno biologico temporaneo, del danno morale e del danno esistenziale, oggi da considerarsi quali mere componenti del danno non patrimoniale in senso ampio, e non dunque figure autonome di danno, alla luce dei richiamati principi esposti dalle sezioni unite della Cass. 2008, n.26972. Orbene, a titolo di complessivo danno non patrimoniale subito dal ricorrente, ritiene il ### che si possa liquidare, la complessiva somma di €.18.178,00, tenuto conto della percentuale di danno biologico subito dal ricorrente, accertata in corso di causa (7%) e dell'età di quest'ultimo (59 anni alla data della messa in mora del 17.1.2009: cfr. doc. 73 ###, nonché delle tabelle del Tribunale di ### predisposte appunto in materia di danno non patrimoniale, che - sulla base dei richiamati parametri - fissano la misura di €10.387,00, con aumento personalizzato massimo del 50%, salvo casi eccezionali. Ritiene il ### che nel caso di specie ricorra una situazione che consente di individuare una percentuale di personalizzazione tale da giungere all'importo di €.18.178,00, sopra indicato, tenuto conto di quanto evidenziato dall'espletata C.T.U e del patema vissuto dall'attore per tutti gli anni di servizio prestato nell'assenza di misure atte a prevenire o ridurre i rischi lavorativi.. Dalle somme sopra indicate, andrà poi detratto l'indennizzo erogato dall'I.N.A.I.L., nella misura sopra indicata.. La convenuta E-### S.p.A. va quindi condannata a risarcire a ### il danno non patrimoniale da questi subito, quantificato in €.18.178,00, oltre interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalla data della presente sentenza al saldo, dal quale va detratto quanto liquidato dall'I.N.A.I.L. al ricorrente a titolo di indennizzo ex art.13 D.Lgs. 38/2000, in misura di €.8.967,44. Vanno invece rigettate le pretese attoree di riconoscimento di “interessi compensativi” sulle somme determinate come sopra, considerato che il risarcimento accordato è già stato calcolato “all'attualità”. In definitiva, per il complesso delle considerazioni che precedono, la causa va decisa nei termini precisati in dispositivo. Il mancato accoglimento, per l'intero, delle domande attoree impone la compensazione tra le parti, nei limiti di 1/3, delle spese di lite, mentre la residua parte va posta a carico di parte convenuta, stante la sua prevalente soccombenza, con liquidazione operata tenendo conto delle previsioni di cui al D.M. 55/2014, come aggiornato dal DM n.147/2022, mediante versamento all'erario. Definitivamente a carico della convenuta rimangono anche le spese del C.T.U., liquidate come da dispositivo P.Q.M. definitivamente pronunciando, così provvede: a) accerta e dichiara la responsabilità di E-### S.p.A. in ordine all'insorgenza a carico dell'attore ### delle malattie professionali della lombalgia cronica da protrusioni discali multiple e della ipoacusia neurosensoriale bilaterale, dalle quali è derivato al ricorrente un danno biologico in misura del 7%; b) per l'effetto, condanna la E-### S.p.A. a risarcire a ### il danno non patrimoniale da questi subito, quantificato in €.18.178,00, oltre interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalla data della presente sentenza al saldo, dal quale va detratto quanto liquidato dall'I.N.A.I.L. al ricorrente a titolo di indennizzo ex art.13 D.Lgs. 38/2000, in misura di €.8.967,44; c) rigetta le altre domande attoree; d) compensa tra le parti, nei limiti di 1/3, le spese di lite, ponendo a carico di parte convenuta la residua parte, che liquida in favore dell'attore in €.3.609,96 per compenso professionale, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfettario del 15% per le spese generali, da distrarsi in favore dei procuratori di parte ricorrente, dichiaratisi antistatari; e) pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese del C.T.U. Dott. ### liquidate in complessivi €.700,00, oltre I.V.A. e C.P.; f) fissa il termine di 60 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza. ### 16.4.2025 Il Giudice
del #### n. 247/2022
causa n. 247/2022 R.G. - Giudice/firmatari: Massimo Lisi