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Corte di Cassazione, Ordinanza del 17-06-2024

... che l'assunzione dovesse essere contestuale alla sua sottoscrizione, era stato pure evidenzia to con chiarezza nel medesimo articolo che detta assunzione era condizionata dalla visita preassuntiva che doveva essere effettuata entro e non oltre il ### e compatibilmente con i tempi della medicina del lavoro che avrebbe dichiarato la data. Sarebbe quindi palese, secon do la ricorrente, che l'espletamento della visita preassuntiva andasse eseguita obbligatoriamente prima dell'instaurarsi del rapporto di lavoro perché la ste ssa era prevista dal Reg io decreto n. 148/1931 allegato art. 10, comma 4, il quale evidenzia che è necessario essere dotato di sana e robusta costituzione fisica e possede re l'attitudine ed i requisiti fisici stabiliti per le funzioni cui il richie dente aspira in relazione alle norme vigenti presso l'azienda. Lo stesso prevedeva il contratto collettivo nazionale di lavoro; il decre to del ### dei trasport i e della nav igazione, il decreto legislativo n. 81 del 2008 e infine il provvedimento della conferenza unica ### sopra indicati. 2.- Con il secondo motivo si sostiene la violazione dell'articolo 115 e 116 cp c in rela zione all'articolo 360 n .3 cpc non avendo, (leggi tutto)...

testo integrale

ORDINANZA sul ricorso 10763-2019 proposto da: ###A.B. - ### BASILICATA, in persona del legale rappresentan te pro tempore, domiciliato in ### presso LA ### A CORTE SUPREMA DI CASS AZIONE, rappresentato e difeso dall'avvo cato ### ZACCAGNINO; - ricorrente - contro #### domiciliate in #### presso ### CASSAZIONE, rappresentate e dife se dall'avvocato ### - controricorrenti - avverso la sentenza n. 199/2018 della #### di POTENZA, depositata il ### R.G.N. 29/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal ###. ### Fatti di causa ### d'appello di Potenza ha rigettato gli appelli proposti dal ### .B. - ### ilicat a, ### R.G.N. 10763/2019 Cron. 
Rep. 
Ud. 09/04/2024 CC avverso le sentenze che lo avevano condannato a pagare ai due lavoratori ### e ### la complessiva somma di € 3732,67 a titolo di risarcimento del danno per ritardata assunzione, a seguito di verbale di conciliazione oltre accessori e spese processuali. 
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il ###B. - ### con due motivi a cui hanno resistito i lavoratori sopra indicati con controricorso. 
E' stata depositata memoria da parte del ###B. ex art 380bis.1., primo comma c.p.c.. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'art. 380bis1, secondo comma, ult.  parte c.p.c.  RAGIONI DELLA DECISIONE 1.- Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. del Regio decreto 148/1931 - all. a) , art.10 comma 4; ### autoferrotranvieri art.17 comma 5; d.lgs. 81/2008 art. 41,2 comma lett. a); ### dei ### e della ### del 23/2/1999 88 art. 1 al legato A, parte I: Co nferenza ### o- Regione (ex art 8 d .lgs. 281/ 199 7), pro vvedimento 30 ottobre 2007 art. 1 - 4 e 5 ; art. 26 d.lgs. 106/2019. Si sostiene a fondamento del ricorso che sebbene nel punto 4 dell'accordo conciliativo venisse sancito che l'assunzione dovesse essere contestuale alla sua sottoscrizione, era stato pure evidenzia to con chiarezza nel medesimo articolo che detta assunzione era condizionata dalla visita preassuntiva che doveva essere effettuata entro e non oltre il ### e compatibilmente con i tempi della medicina del lavoro che avrebbe dichiarato la data. 
Sarebbe quindi palese, secon do la ricorrente, che l'espletamento della visita preassuntiva andasse eseguita obbligatoriamente prima dell'instaurarsi del rapporto di lavoro perché la ste ssa era prevista dal Reg io decreto n. 148/1931 allegato art. 10, comma 4, il quale evidenzia che è necessario essere dotato di sana e robusta costituzione fisica e possede re l'attitudine ed i requisiti fisici stabiliti per le funzioni cui il richie dente aspira in relazione alle norme vigenti presso l'azienda. 
Lo stesso prevedeva il contratto collettivo nazionale di lavoro; il decre to del ### dei trasport i e della nav igazione, il decreto legislativo n. 81 del 2008 e infine il provvedimento della conferenza unica ### sopra indicati.  2.- Con il secondo motivo si sostiene la violazione dell'articolo 115 e 116 cp c in rela zione all'articolo 360 n .3 cpc non avendo, tanto il tribunale q uanto la ### d'appel lo di ### tenuto in alcun conto della prova data nel corso del giudizio di primo grado dal ### ritenendo fondamentale che il censurato tardivo ad empimento dipendesse solo ed esclusivamente dal non aver rispettato il datore di lavoro il termine del 25/11/ 2013 ritenu to essenziale nel verbale di conciliazione del 13/11 /2013, esclude ndo l'esistenz a della condizione sospensiva ben ind ividuata dall a menzionata visita preassuntiva.  3.- I d ue motivi di ricorso sono infondati dovendo darsi seguito all'orientamento di recente espresso da questa ### con l'ordinanza n. 29333 del 2023 pienamente condivisa dal Collegio.  ### d'appello non ha in effetti violato alcuna delle norme di cui sopra avendo sempli cemen te operato una interpretazione dell'accordo conciliativo in base al tenore letterale dello stesso, tenendo altresì conto del complessivo comportamento delle parti precedente l'accordo; anche sulla scorta dei propri poteri discrezionali di selezione e valutazione degli elementi probatori, di per sé non censurabili in questa sede di legittimità.  3a.- ### ha seguito anzitutto l'interpretazione letterale della volontà delle parti, dato che nel verbale di conciliazione era prevista la “assunzione contestuale alla sottoscrizione del presente accordo transattiv o” ed ha sostenut o che il riferimento alla visita preassuntiva non potesse qualificarsi come condizione sospensiva dell'obbligazione così assunta.  3.b. Ha aggiunto poi che tale ricostruzione letterale si poneva in linea con la fondamentale circostanza secondo cui con i giudizi, che si concludevano con l'intervenuta conciliazione, i tre lavoratori avessero chiesto dichiararsi la sussistenza dei rapporti di la voro subo rdinato dalla stipula del primo contratto di somministrazione avendo già svolto nel corso dei precedent i rapporti a termine le stesse mansi oni di operatori di esercizio già da molti anni prima, dovendosi al contempo evidenziare che il ### riconosceva co n l'assunzione del 7 gennaio 2014 l'anzianità di servizio dalla data del primo contratto di somministrazione.  3.c. Inoltre, secondo la ### di appello rilevava pure che l'idoneità dei tre appellanti alle mansioni costituisse “fatto già consolidato” e che pertanto la successiva visita medica si palesasse come un fatto solo formale, anche alla luce del suo esito positivo per i lavoratori.  4.- Non rileva po i il riferiment o all'art. 41 de l d.lgs.  81/2008 (che prima dell'abrogazion e vietava le visite mediche di idoneità a cura e spese del datore di lavoro in sede preass untiva) trattandosi di una ulteriore ratio decidendi di natura rafforzativa, il cui venir meno, a seguito dell'avvenuta abrogazione della norma, non può incidere sulla tenuta logica e giuridica della decisione finale assunta.  5.- ### ha pure dato una interpretazione della clausola contrattuale secondo cui il lavoratore dovesse essere sottoposto a visita preassuntiv a ob bligatoria che dovrà essere effettuat a entro e non oltre il 25 novemb re 2013, assumendo che attraverso di essa il CO. TRA.B. si fosse assunto il rischio del ritardo nell'assunzione, proprio dovuto a disservizi o ritardi nell'effettuazione delle visite. 6.- In definitiva, ad avviso di questo Collegio, quella operata dalla ### è una legittima e congrua opzione interpretativa dell'accordo negoziale che non può essere contrastata in modo contrappositivo, come rit enuto in ricorso, senza neppure indicare quali siano state le regole legali di ermeneutica contrattuale violate. 
Il ricorso si limita, invero, a ripro porre le argomentazioni svolte nel giudizio di merito in tema di legittimità della visita preassuntiva come condizione sospensiva; ma non si confronta con la ratio decidendi contenuta nella statuizione della ### d'appello la quale risulta mediata da una precisa interpretazione dell'accordo conciliativo.  ### d'appello non ha sostenuto il contrario di quanto previsto nelle norme indicate, ma ha optato per la soluzione dell'immediata vincolatività dell'accordo e della assunzione alla data dell'accordo conciliativo attraverso la mediazione di una plausib ile interpre tazione dell'accordo di cui ha dato ampio conto nella sentenza. 
E come è noto quando la soluzione interpretativa si fonda su una particolare esegesi del contenuto di un accordo negoziale intervenuto tra le parti, il ricorrente che impugna la soluzione in Cassazione d eve indicare quali siano le regole ermeneutiche violate non p otendosi limitare ad una mera contrapposizione, anche perché l'int erpretazione degli atti negoziali implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, può essere denunciato in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (Cass. n. 19089 del 2018; n. 28319 del 2017; n. 15471 del 2017; n. 25270 del 2011; n. 15890 del 2007; n. 9245 del 2007).  7. Inoltre, nel caso in esame, non solo la ricorren te si è limitata a contrapporre alla lettura data dai giudici di appello una mera lettura alternativa dell'accordo, senza dedurre la violazione dei canoni ermeneutici, ma neppure ha spiegato come una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti, per come accertata dalla ### di appello, potesse essere compatibile con la conservazione del ne goz io e dei suoi effetti laddove al contrario è noto che l'operatività d el principio sussidiario stabilito dall'art.1367c.c. , che mira alla conservazione degli eff etti del contratto, no n può essere autorizzata attraverso una interpret azione sostitutiva del la volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli est remi, la nu llità del contratto (v. Cass. n 28357/201 1, n.7972/20 07, n.19493/2018).  8.- In conclus ione il ricorso deve essere respinto per le ragioni esposte.  9.- Le spese pro cessuali seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo con distrazione in favore d ell'avvocato ant istatario e con raddoppio del contributo unificato, o ve spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).  P.Q.M.  ### rigett a il ricorso e condanna la ricorren te alla rifusione delle spese di lite del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, da dist rarsi in favore dell'avv. G iampaolo ### antistatario. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R.  n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamen to, da parte della ricorr ente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell'art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto. 
Così deciso in camera di consiglio all'adunanza del 9.4.2024 ### dott.ssa ### 

Giudice/firmatari: Esposito Lucia, Riverso Roberto

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Corte di Cassazione, Ordinanza del 01-10-2025

... segnalazione da parte del Tribunale di Bergamo, ### lavoro, al COA di ### in data ###, di alcune condotte tenute dall'avv. ### nel corso della causa di lavoro RG n. 913/2018, da lui instaurata con l'impugnazione del licenziamento del lavoratore ### In particolare , il COA veniva informato che l'avv. ### aveva alterato la p rocura datata 03.0 6.2017 - dallo stesso g ià autenticata e depositata nel procedimento ###. 1650/2017 - al fine di farne uso nel successivo giudizio ###. 913/ 2018, così falsamente rappresentando l'ap posizione della firma e la sua autenticazione nella successiva e materialmente falsificata data del 08.04.2018. ### segnalava, altresì, che l'avv. #### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 invitato dal Giudice ad esibire l'origin ale della procura datata 03.06.2017, che risultava allegata agli atti del pro cedimento n.1650/2017, aveva prodotto un mandato datat o 03.06.2017 , palesemente difforme da quello g ià depositato nel prede tto giudizio, con ulteriore falso materiale e ideologico. 2. ###, ritenuti provati gli addeb iti e sussistente la responsabilità dell'incolpato, gli irrogava la sanzione dell a sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per anni uno e (leggi tutto)...

testo integrale

ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 9562/2025 R.G. proposto da: ### rappresentato e difeso dall'avvocato ### PACIFICI ricorrente contro #### dagli ###mi Sigg.ri Magistrati: ###. ####. #### 23/09/2025 #### R.G.N. 9562/2025 ######## Ric. 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 intimati avverso la SENTENZA del ### n. 83/2025 depositata il ###. 
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/09/2025 dal ### lette le conclusioni scritte del ### cons.  ### la quale chiede che la Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso.  ### 1. ###. ### veniva tratto a giudizio disciplinare per rispondere di tre distinti capi di incolpazione con i quali gli veniva contestato di essere ripetutamente venuto meno ai principi di lealtà correttezza, probità, dignità e decoro e diligenza, in violazione degli articoli 2 comma 4, 3, comma 2, e 17, comma 1, lett. h), della legge n.247 del 2012 in relazione agli artt. 4 e 20, 9, 50 co. 1, 2 e 5 CDF. 
Il procedimento aveva origine dalla segnalazione da parte del Tribunale di Bergamo, ### lavoro, al COA di ### in data ###, di alcune condotte tenute dall'avv. ### nel corso della causa di lavoro RG n. 913/2018, da lui instaurata con l'impugnazione del licenziamento del lavoratore ### In particolare , il COA veniva informato che l'avv. ### aveva alterato la p rocura datata 03.0 6.2017 - dallo stesso g ià autenticata e depositata nel procedimento ###. 1650/2017 - al fine di farne uso nel successivo giudizio ###. 913/ 2018, così falsamente rappresentando l'ap posizione della firma e la sua autenticazione nella successiva e materialmente falsificata data del 08.04.2018. ### segnalava, altresì, che l'avv. #### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 invitato dal Giudice ad esibire l'origin ale della procura datata 03.06.2017, che risultava allegata agli atti del pro cedimento n.1650/2017, aveva prodotto un mandato datat o 03.06.2017 , palesemente difforme da quello g ià depositato nel prede tto giudizio, con ulteriore falso materiale e ideologico.  2. ###, ritenuti provati gli addeb iti e sussistente la responsabilità dell'incolpato, gli irrogava la sanzione dell a sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per anni uno e mesi sei.  ### di disciplina evidenziava come la condotta descritta nei primi du e capi fosse rela tiva all'alterazione della data de l primigenio mandato - originariamente sottoscritto dal sig. ### il ### e regolarmente utilizzato nel procedimento RG 1650/2017 - e sul suo indebito successivo utilizzo.  ### lenza ### d'### dispo sta dal Tribunale di ### - versata anche agli atti del procedimento e comunque confermata in udienza dalla teste dott.ssa ### - comprovava senza ombra di dubbio che una prima alterazione di quella stessa procura sottoscritta in data ###, era avvenuta con la trasformazione della data "3.6.17" nella data "28.9.17" e con utilizzo di quel mandato da p arte dell 'avv. ### per l'impugnazione del licenziament o del sig. ### con la raccomandata del 15.11.2017. 
Una second a alterazione di que l medesimo mandato era avvenuta con la t rasformazione d ell'originaria data "3.6.17 " in quella "8.4.18", utilizzata dall'incolpato per aprire il contenzioso cautelare RG 913/2018. Ric. 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 La consulenza tecnica aveva ravvisato la perfetta coincidenza delle sottoscrizioni vergate dal sig. ### tanto che le firme erano tutte perfettamente sovrapponibili. 
Una terza alterazione era stata effettuata a seguito dell'invito del Giudice a produrre l'originale man dato recante la data del 3.6.2017 nel tentat ivo dell'avv. ### di sottrar si al giudizio relativo alla falsità dei mandati.  3. ###. ### pro poneva personalment e impugnazione avverso la decisione del CDD di ### chiedendo al CNF in via principale l'annullamento e, in via subordinata, l'irrogazione della sanzione della censura ovvero, in ulteriore subordine, la riduzione della durata della sospensione.  4. ### rigettava il ricorso.  4.1 Con riferimento ai primi due capi d'incolpazione risultava provato per stessa ammissione dell'avv. ### che egli aveva alterato la data del mandato a sue mani sottoscritto dal sig. ### il ### e regolarmente depositato nel procedimento RG 1650/2017, per utilizzarlo indebitamente in altre sedi ### di pregio e non accoglibile era la tesi del ricorrente di aver agito nell'interesse e con il consenso del cliente, in quanto circostanze inidonee ad escludere il rilievo deontologico del fatto. 
Neppure rilevava il fatto che la firma nell'originale mandato fosse autentica. La contestazione per cui vi era stat a condanna riguardava proprio l'alterazione del m andato, conferito per uno specifico scopo, poi indebitamente utilizzato in altri procedimenti.  ### giudicante richiamava il principio secondo cui la sottoscrizione del legale nella autentica quale pubblico ufficiale vale a confermare non solo che il cliente ha apposto la sua firma dopo ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 essere stato identificato, ma altresì che la firma dell'assistito è stata apposta in quella specifica data e con il preciso scopo di essere utilizzata per un determinato giudizio. 
Dunque, l'alterazione del giorno, del mese e dell'anno indicati nel mandato era sufficiente da sola a realizzare appieno la condotta descritta nell'art. 50 CDF senza che po tesse trovare al cuna giustificazione la necessità di tutelare il cliente.  ### era stato anche imputat o in un procedimento penale per la condotta di falso materiale commesso da pubblico ufficiale ex art. 477 c.p.; in tale processo l'avv. ### aveva chiesto e ottenuto la messa alla prova e la decisione impugnata, diversamente da quanto da lui sostenuto con il ricorso, lung i dall'attribuire rilevanza probatoria alle risultanze del procedimento penale, si era limitata a m enzionare il proscioglimento p er superamento della messa alla prova quale “ulteriore circostanza” che confermava la realizz azione del falso e ad affermare che il proscioglimento in sede ###elide” la responsab ilità disciplinare dell'incolpato. 
Del p ari doveva ritenersi corretta la motivazione del primo giudice là dove aveva evidenziato che la violazione di cui all'art. 50 c.d. contestata con il capo a) dell'incolpaz ione doveva ritenersi configurata anche rispetto all'atto stragiudiziale - l'invio della raccomandata di impugnazione stragiudiziale del licenziamento - in quanto atto prodromico, necessario e obblig atorio, per l'instaurazione del successivo giudizio innanzi al Tribunale. 
La consape vole falsificazione e il consap evole utilizzo dei mandati da parte dell'avv. ### nei procedimenti in materia di lavoro configuravano l'addebito contestato di cui ai capi a) e b) ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 dell'incolpazione, con violazione non solo del dovere di verità, ma altresì degli obblighi deontologici di probità, lealtà, correttezza e diligenza nell'adempimento della professione. 
Le doglianze del ricorrente erano infondate anche rispetto al capo c) dell 'incolpazione. ### l'avv. ### egli aveva prodotto gli unici documenti “originali” in suo possesso e cioè un (“originale e residuo”) mandato rilasciato in data ### e quello datato 28 settembre 2017 (e la cui data era stata modificata in quella dell'8 aprile 2 018), così ottemperand o nell'unico modo possibile all'ordine del giudice. Risultava, tuttavia, dai documenti acquisiti dal CDD - e dalle stesse dichiarazioni rese dal ### in sede di dibattimento - che la procura originale datata 3 giugno 2017 non era mai stata utilizzata e che, invece, era stata modificata due volte, dapprima apponendovi la data del 28 settembre 2017 e successivamente quella dell'8 aprile 2018. Risultava, altresì, dalle medesime dichiarazioni dell'incolpato che erano stati depositati tre documenti: i) la procura del 3 giugno 2017, ormai recante la data dell'8 aprile 2018, in originale; ii) copia della procura de l 28 settembre 2017 (la qual e, però, risultava comun que da una precedente alterazione della data della medesima procura del 3 giugno 2017; iii) originale di un ulteriore mandato ottenuto in data 3 giugno 2017 e mai utilizzato. ### il CNF risultava evidente l'intento di confondere il giudice rispetto alla propria precedente condotta falsificatoria.   Anche il secondo mo tivo di impugnazione relativo all a dosimetria della pena doveva essere respinto in considerazione della gravità della condotta in relazione alla dignità, onorabilità e ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 rispettabilità della professione, in quanto condotta idonea a sminuire la credibilità della intera categoria. 
Il ricorre nte aveva consa pevolmente utilizzato un atto originale e lo aveva al terato per utilizzarlo in fasi diverse , proponendo poi al Giudice un atto an cora diverso, an ziché dichiarare l'impossibilità di p rodurre l'originale datato 3/6/17 in quanto irrimediabilment e alterato. Non poteva ritenersi scriminante o atte nuante la circost anza che l'assistito avesse autorizzato e prestato il consenso al suo avvocato aff inché modificasse la data, in quan to il m andato era stato conferito e utilizzato per uno specifico atto e ogni successiva azione richiedeva un diverso mandato originale. Inoltre, la produzione in giudizio del mandato aveva una estensione ed un effetto che andavano ben oltre la disponibilità delle parti, dovendo attestare ai terzi la verità e l'aute nticità di determinati fatti ed atti . Proprio la gravità dei comportamenti contestati, la consapevolezz a e reiterazione, imponevano di confermare la sanzione comminata.  5. ###. ### ha proposto ricorso per cassazione avverso la sudd etta sente nza sulla base di due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria depositata i n prossimità dell'udienza, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso.  6. ### ha concluso per il rigetto del ricorso.  RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente l'avv. ### eviden ziando il rischio di un grave danno, chiede la sospensione del provvedimento impugnato.  1.1. ###, i n punt o d'ammissibilità dello strum ento, reputa di dovere d are continuità al l'indirizzo inaugurato d alla ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 sentenza n. 6967/2017 di queste ### con la quale si è affermato che l'istanza d i sospensione dell a esecutorietà della decisione adottata dal ### io nazionale forense può essere contenuta nel ricorso proposto, avverso quest'ultima, alle ### della Corte di cassazione, sempre che abbia u na sua autonoma motivazione e sia riconoscibile quale istanza cautelare.  ###. 36, comma 6, della l. n. 247 del 2012, limitandosi a prevedere che le ### possano sospendere l'esecuzione su richiesta di parte, non consente di desumere che la corrispondente istanza debba essere formulata al suddetto ### o che vada proposta in via autonoma rispetto al ricorso ((Cass. Sez. U., 26/07/2024, 20877).  1.2. Nel merito l'istanza resta assorbita, come si vedrà, dalla pronuncia di infondatezza di entrambi i motivi di ricorso.  1.3 Ancora in via preli minare de ve condividersi quanto osservato dal P.G. nelle sue conclusioni circa la non decorrenza del termine di prescrizione dell'illecito di cui all'art. 56 della l. n. 247 del 2012. 
Nella specie, infatti, gli illeciti disciplinari di cui ai capi a) e b) presentano i tratti di una con test azione unitaria (cap o a): d al 28/09/2017 al 14/05/2018, capo b) d all'8/04/ 2018 e sino al 17.04.2019). ### di cui al capo c) è contestato alla data del 5/9/2018. La fattispecie concreta sub iudice è connot ata dalla alterazione e dalla util izzazione, reite rata e continuata, d el medesimo atto - procura datata 3. 06.2017 recante la firma di ### - sia in fase stragiudiziale che processuale. Si è quindi realizzata una condot ta illecita, offensiva dei canoni deontologici, protratta e reiterata nel tempo, alla cui cessazione ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 soltanto va ancorato il decorso de l termine prescrizionale, in conformità al principio enunciato dalla Cass., Sez. U, 29 maggio 2023 n. 14957 e alla giurisprudenza consolidata (Cass. Sez. U, 10/09/2024 n. 24285 del 10/09/2024, relativa a contestazione che comprendeva anche l'uso consapevole d i mandati e do cumenti falsi).   Pertanto, in nessun caso sono decorsi i termini di cui all'art.  56 della l. n. 247 del 2 012, stant e l'unitarietà delle condotte contestate, la presenza di atti interruttivi e la non decorrenza del termine ultimo di sette anni e sei mesi.  1.4 Il primo m otivo d i ricorso è così rubricato: violazione dell'art. 4, comma 1, ed art. 50, commi 1, 2 e 5 C.D.### censura la decisione del CNF nella parte in cui riconosce la responsabilità disciplinare dell'incolpat o indipendentemente dalla sussistenza dell'elemento psicologico ovvero dalla c.d. suitas della condotta.  ### glio ### avrebbe erroneamente interpretato la sussistenza dell'eleme nto sogge ttivo dell'illecito disciplinare, che invece, per concretizzarsi, non deve solo verificarsi nel suo eleme nto materiale e d oggettivo, ma anche in quello soggettivo e quindi di carattere psicologico, che il CNF definisce, sulla scorta della scienza penalistica, suitas.  ### del Giudice rivolto all'Avv. ### aveva ad oggetto l'onere di depositare in cancelleria “l'originale dei mandati del 3 giugno 2017 e del 28 settembre 2017”. Il ricorrente depositava quindi in originale i seguenti documenti: mandato del 28 settembre 2017 (con la necessaria ed inevitabile precisazione che la stessa ormai recava la data 8 aprile 2018, per via della modifica della ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 data), ed il mandato 3 giugno 2017. Quest'ultimo altro non era se non il secondo originale, firmato dal sig. ### lo stesso giorno e rimasto nel fascicolo di studio. 
Il ricorrente richiama le sue difese e afferma di aver sempre ammesso che la procura fosse la medesima, salvo il cambio di data, e sostiene che, nonostante ciò, la procura non sarebbe nulla, ma valida, in quanto la data non sarebbe elemento essenziale dell'atto, e la nullità relativa a tale elemento non sarebbe idonea ad inficiare la validità complessiva dell'atto processuale. 
Quindi, l'elemento soggettivo e la suitas della condotta “inteso come volontà consapevole dell'atto che si compie” non sarebbero ravvisabili in questo caso, in quanto il ricorrente voleva certamente iniziare un nu ovo giudizio va lendosi della medesima procura conferita in un giudizio precedente, ma non “confondere il giudice rispetto alla propria precedente condotta falsificatoria”.  1.5 Il primo motivo di ricorso è infondato. 
Deve premettersi che il ricorso alle ### della Corte di cassazione avverso le decisioni del CNF è ammesso solo per incompetenza, eccesso di potere e violaz ione di legge (art. 36, comma 6, l. n. 247/2012); il vizio di motivazione è quindi ammesso nei limiti di cui all'art. 111 Cost. (Sez. U. 31 luglio 2018, n. 20344, con riguardo alla identica previsione contenuta nell'art. 56, terzo comma, del r.d.l. n. 1578 del 1933): vale a dire negli stessi termini entro cui, a seguito della modifica dell'art. 360 c.p.c. apportata dall'art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in l. n . 134/201 2, è denunciabile in cassazione il vizio motivazione (### U., 10/10/2024, n. 26369, Rv. 672372 - 03). La relativa censura, come è not o, può riguardare solo «l'ano malia motivazionale che si ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal te sto della sent enza impugnata, a prescin dere dal confronto con le risultanze p rocessuali » ( Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). 
In questa sede, pertanto, il ricorrente non può chiedere una revisione dell'accertamento di fatto, condotto dal CNF sulla scorta dei documenti di causa, e ciò anche con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo della suitas in relaz ione alla condott a costituente illecito disciplinare.  ### parte, più volte questa Corte ha affermato che la coscienza e volontà consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione, per cui vi è una presunzione di colpa per l'atto sconveniente o vietato a carico di chi lo abbia commesso. 
Quest'ultimo deve dimostrare l'erro re inevitabile, cioè non superabile con l'uso della normale diligenza, oppure la sussistenza di una causa esterna, me ntre no n è configurabile l'imperizia incolpevole, trattandosi di professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti (S.U. n. 13456, 29/05/2017, Rv. 644367 - 02; conf., ex aliis, S.U. n. 8242/2020, non massimata). 
La senten za impugnata, in relazione a tutt i i tre capi di incolpazione, ha motivato ampiamente sulla rilevanza disciplinare della condotta anche sotto il profilo sogg ettivo, evidenziando peraltro che la falsificazione del mand ato - delitto doloso - ha comportato anche un procedimento penale concluso con il proscioglimento solo per il buo n esito della messa alla prova. 
Infatti, nell a specie vi è stata una consapevole falsificazione dell'originario mandato rilasciato dal lavorat ore ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 all'avv. ### che lo ha poi utilizzato in altri procedimenti in materia di lavoro per contestare la legittimità del suo licenziamento. Tale condotta integra, anche sotto il profilo della volontarietà dell'azione, gli addebiti contestati con violazione non solo del dovere di verità, ma altresì degli obblighi deontologici di probità, lealtà, correttezz a e diligenza ne ll'adempimento della professione. Peraltro, il ### con riferim ent o al capo c), ha evidenziato la particolare gravità della condotta che aveva lo scopo evidente di confondere il giudice rispetto alla propria precedente condotta falsificatoria. 
Da q uanto si è detto eme rge una sicura e piena consapevolezza e conoscenza dell'illiceità della condotta connotata dalla coscienza e volont à di cui a ll'art. 4 del nuovo ### deontologico recante volontarietà dell'azione, che ricorre quando, con un atto consapevole volitivo si tiene un comportamento illecito. 
Ne consegue una presunzione di colpa con il preciso onere a carico dell'incolpato di escludere l'addebito attraverso la p rova dell'inevitabilità dell'errore o della sua non riferibilità. Tale prova non è stata fornita dall'avvocato ### 2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: ### esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti.  ### il ricorrente la sentenza impugnata non prenderebbe in conside razione documenti ed argomen tazioni decisive per il giudizio, quantomeno in ordine alla sanzione applicabile in concreto, dal momento che non sarebbero stati considerati alcuni elementi che permetterebbero di rimodulare al minimo la sanzione, quali l'ammissione del fatto, il consenso della persona assis tita, ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 l'assenza di conseguenze dannose, i motivi di rilievo umano e morale, la buona fede dell'incolpato e la resipiscenza dimostrata. 
Nemmeno sarebbe stata presa in c onsiderazione la condotta processuale del ricorrente, che presentava sua sponte la decisione della Corte di Cassazione all'esito dell'ultimo grado del giudizio di lavoro, e la rinunc ia ad u n teste di parte ricorrente, ### sebbene regolarmente intimata, al fine d i non gravare il processo di ulteriori rinvii. 
Del t utto omessa sarebbe anche la valutaz ione di un altro decisivo fatto, e cioè l'ammissione del fatto da parte dell'incolpato, nonché la sua resipiscenza, elementi presenti fin dalle prime difese del ricorrente.  2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. 
Nel procedim ento disciplinare a carico degli avvocat i, gli elementi valutati in concreto per la determinazione della specie e dell'entità della sanzione non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità. ### ha ampiamente motivato sulle ragioni per le quali ha reputato corretta la decisione di primo grado sull'entità della sanzione in considerazione della piena consapevolezza della condotta di falsificazione e della gravità che assume la ripercussione di t ale condotta sulla dignit à e sulla onorabil ità e rispettabilità della professione, in quanto i donea a sminuire la credibilità della intera categoria. 
Il giudizio di gravità, che ne ha tratto il giudice disciplinare, come si è anticipato, non è sindacabile davanti a questa Corte. 
Deve ribadirsi in proposito che: In tem a di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, la d ete rminazion e della sanzione adeguat a costituisce tipico apprezzament o di merito, ### 2025 n.9562 - ud. 23/09/2025 insindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. U., 24/01/2020, 1609, Rv. 656708 - 02).  3. Il ricorso è, dunque rigettato.  4. Nulla è da statuire in punto di spese processuali.  5. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussisten za dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto; P.Q.M.  La Corte rigetta il ricorso; ai sensi d ell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002 , inserito dall'art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto; Così deciso in ### nella ### di consiglio del 23 settembre 2025.   #### 

Giudice/firmatari: Manna Antonio, Varrone Luca

M
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Corte di Cassazione, Sentenza n. 13059/2024 del 13-05-2024

... ribadito la natura non subordinata del loro rapporto di lavoro. 10. Anche questa Corte ha affermato (v. Cass., Sez. Un., 19 marzo 1990, n. 2286; Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1998, n. 12618; Cass. Sez. Un., 20 maggio 2003, 7901), che le prestazioni dei medici di guardia presso gli istituti di prevenzione e pena, che ven gano svolte con le modalità e secondo le prescr izioni de ll'art. 51 della l. 9 ottobre 1970 n. 740, integrano non un rapporto di pubblico impiego, ma un rapporto di opera professionale, come tale devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario (ed alla competenza del giudice del lavoro, per la presenza dei caratteri di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c.), considerando che in dette prestazioni difetta il requisito della subordinazione, RGN 8782/2018 Pag. cioè lo stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione del datore di lavoro, con assoggettamento ai suoi poteri gerarchici e disciplinari.  Il pri ncipio è stato più di recente ribadi to (Cass. 24 aprile 2017, n. 10189) affermandosi che il rapporto di lavoro dei medici inca ricati presso gli istituti di prevenzione e di pena per le esigenze del servizio di guardia medica, ai sensi dell'art. 51 della legge n. 740 (leggi tutto)...

testo integrale

###: Pubblico impiego - psicologo carcerario - subordinazione RGN 8782/2018 Pag. udito il P.M. in persona del ###. ### che ha concluso per il rige tto del rico rso principal e e l'assorbimento del ric orso incidentale condizionato; udito l'avvocato ### per delega verbale avvocato ### udito l'avvocato ### .   ### 1. La Corte d'appello di Roma rigettava il gravame proposto da ### avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva respinto le sue domande volte ad ottenere in via principale l'accertamento de lla sussistenza di prestazioni di lavoro subordinato, corrispondente alla po sizione di dipendente di ### C, posizione economica ### del ### ri, l'inserime nto nei r uoli organici del ### della giustizi a con il suddetto i nquadramento, la condanna dell'### al pagamento in suo favore della comple ssiva so mma di € 487.526,81 oltre accessori e delle ulteriori differenze retributive fino alla pubblicazione della sentenza, o ltre al versamento dei contributi previdenziali e al ri sarcimento del danno per la mancata regolarizzazione contributiva e alla ricostruzione della carriera, nonché la domanda p roposta i n via subordinata volta ad ottenere la condanna dell'### al pagamento della somma di € 487.526,81 olt re acce ssori, a titolo di ingiustificato arricchimento.  2. ### a seguito di selezione pubblica, bandita dal ### della Giustizia, ai sensi dell'art . 80, comm a 4, della l. n . 354/1975, e degli artt. 13 dell'ordinamento penitenziario e 120 del relativo re golamento di esecuzione, aveva avuto accesso alla lista degli psicologi esperti ed aveva svolto diversi incarichi. 
Dal sett embre 1987 era stata trasferita a Ro ma presso i l nuovo comp lesso carcerario di ### ove , per lo svolgimento dei vari incarichi, aveva s ottoscritto varie convenzioni. 
Aveva dedotto che l'attività aveva avuto le connotazioni del lavoro subordinato e che le prestazioni rese corrispondevano alla posizione di un dipenden te di area C, posizione economica ###.  3. Il Tribunale aveva respinto la domanda escludendo l'eterodirezione dell'attività, ritenendo riconducibile al lavoro autonomo la possibile revoca dell'incarico, ritenendo infondata la domanda anche in relazi one alla parasubordinazi one ed all 'ingiustificato arricchimento.   4. ### e territoriale e videnziava che la lavoratrice aveva concordato con la direzione presenze, giorni ed ore, ivi compreso l'orario extra nei casi urgenti. RGN 8782/2018 Pag.
Riteneva tale circostanza i ncompatibile co n l'asserita natura subordinata d el rapporto di lavoro, nel qu ale il dip endente non può ri fiutarsi di svolg ere il lavoro straordinario che gli venga richiesto. 
Rimarcava che l'oggetto ed il contenuto della prestazione profe ssionale de llo psicologo non richiedono l'impiego di mezzi particolari ed escludeva pe rtanto la necessità di un'organizzazione propria anche di carattere minimo. 
Riteneva inoltre che il potere di revocare l'incarico da parte dell'### deponesse per l'insussistenza del rischio economico. 
Considerava, a fronte delle pre visioni contenute ne ll'art. 80 della leg ge 354/1975, priva di val enza indiziari a ai fini del la qualificazione del rap porto la circostanza che il compenso percepito dalla lavoratrice fosse commisurato alle ore di presenza nel carcere.  3. Per la cassazione della sentenza di appello ### ha prospettato un unico motivo di ricorso.  4. ### o della Giustizia ha resistit o con controricor so e proposto, altresì ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo. 
La cau sa, chiamata all' adunanza camerale d el 3/10/2023, con ordinanza interlocutoria n. ###/2023, è stata rimessa all'udienza pubblica.  6. ###.G. h a presentato me moria scritta concludendo per il riget to del ricorso principale con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.  7. Entrambe le parti hanno depositato memorie.   RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con l'unico motivo, la ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 2094 e 2222 cod. proc. civ, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. lamenta che la Corte terr itoriale ha erron eamente ritenuto l'inesistenza del potere diret tivo dell'### omettendo di considerare le sue incontestate deduzioni relative alla necessità di autorizzazione delle segnalazioni e giustificazioni di assenze per ferie, malattia, motivi di famiglia, nonché l'autorizzazione alla sostituzione dei colleghi, con obbligo di servizio giornaliero e all'osservanza dei rigidi orari serali (inizialmente 19.00- 21.00 e succ essivament e 17.00-21.00) compr ensivi di giorni festivi e festivit à; evidenzia che la ### de l carce re richi edeva la sua presenza quotidiana, l e assegnava i casi da trattare determinando così la retribuzione, le forniva indicazioni sulle modalità di intervento attraverso ordini di servizio, fissava orari, autorizzava ferie ed assenze; rimarca che era tenuta a relazionare per iscritto sulle attività e sui risultati ottenuti; sostiene l'irrilevanza de l potere di revoca de l mandato da parte dell'### visto che comunque il lavoratore subordinato può essere licenziato; argomenta che la modalità e la specificità con cui il datore di lavoro esercita RGN 8782/2018 Pag. il poter e conformativo dipendo no dalla natura delle mansioni svolte, dal grado di autonomia che le caratterizza e dalla struttura dei processi organizzativi. 
Precisa che, ai fini della qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, sono sufficienti l 'etero organizzazion e o l'eterodirezione, int esa come stabile disponibilità nel tempo alle esigenze d ell'impresa; richi ama la giurispruden za di legittimità sulla valenza del nomen iuris adottato dalle parti ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, sugli indici sussidiari della subor dinazione e sulla “d oppia alienità”, con specifico rife rimento alle pronunce riguardan ti la qualificazione del rapporto di lavoro dei medici.  2. Con l'unico motivo di ricorso incidentale, il ### della Gi ustizia denuncia l'omesso accertamento della prescrizione del credito azionato dalla controparte.  3. Il ricorso principale è infondato.  4. Gli psicologi penitenziari sono collocabili in due categorie: 1) psicologi dipendenti di ruolo, che esercitano funzioni sanitarie nell'ambito del ### dell'amministrazione penitenziaria e del ### della giustizia minorile del ### dell a giustizia (si tr atta di dipendenti che h anno anche beneficiato dei trasferimenti di cui al d.P.R. 1° aprile 2008, si vedano Cass. 18 maggio 2020, n. 9096; Cass. 11 maggio 2023, n. 12804); 2) psico logi ex art. 80 del la legg e 26 luglio 1975, n. 354 (###), disposizione (modificata dall'art. 14 de l D.L. 14 aprile 1978, n. 111, convertito, con modificazioni, dalla ### 10 giugno 1978, n. 271 e poi dall'art. 11, comma 1, lettera s), del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123) ai sensi della quale: «1.Presso gli istituti di prevenzione e di pena per adulti, oltre al personale previsto dalle leggi vigenti, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dipendenti dai centri di servizio sociale previsti dall'articolo 72. 2. ### penitenz iaria può avvalersi, per lo svolgimento dell e attività di osservazione e di trattament o, di personale incaricato giornaliero, entro limiti numerici da concordare annualmente, con il ### o del tesoro. 3. Al pers onale incaricato g iornaliero è attribuito lo stesso trattamento ragguagliato a giornata previsto per il corrispondente personale incaricato.  4. Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in p sicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, nonché di mediatori culturali e interpreti, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. 5. Il servizio infermieristic o degli istituti penitenziari, previsti dall'ar t. 59, è assicurato mediante operai specializzati con la qualifica di infermieri. 6. A tal fine la dotazione organica degli operai dell'amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 275, emanato a norma RGN 8782/2018 Pag. dell'articolo 17 della legge 28 ottobre 19 70, n. 775, è incrementata di 800 u nità riservate alla suddetta catego ria. Tali unità s ono attribuite nella misura di 640 agli operai specializzati e di 160 ai capi operai. 7. Le modalità rel ative al l'assunzion e di detto personale saranno stabilite dal regolamento di esecuzione». 
La fin alità perseguita d al legislatore, in applicazione di pr incipi di ma trice costituzionale secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, è dunque quella dell'ef fettivo ravvedimento fin alizzato al successivo reinserimento del condannato nella società, pers eguibile solo at traverso un periodo di osservazione, trattamento e di partecipazione all' opera r ieducativa. Come fac ilmente intuibile, il legislatore ha previsto che, per un pi ù efficac e perseguimento di det te finali tà, l'amministrazione penitenziaria possa avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogi a, psichiatria e criminologia clinica, corrispondendo ad essi onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate in relazion e alle attività di osservazione e di trattamento.  5. La ricor rente appartiene alla seconda tipolog ia, rientrando nell'ambito degli specialisti incaricati di coadiuvare il personale di ruolo nell'attività di “osservazione e trattamento” del condannato di cui al comma 4 della suddetta disposizione allo scopo di elabor are un programma rieducativo in carcere final izzato al suo reinserimento sociale.  6. ### degli incarichi ai professionisti esperti ex art. 80 è affidata ai ### e prevede proced ure di selezione quadriennali da cui scaturiscono elenchi e graduatorie d ella stessa durata. ### ividuali zzazione del trattamento è stata, poi, disciplinata dall'art. 13 della stessa legge n. 354/1975. ###.  132 d.P.R . 30 giugno 2000 , n. 230 (Regolamento recante norme sull'ordin amento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà) ha dettato disposizioni relativa alla nomina degli esperti per le attivi tà di osservazio ne e di t rattamento e previsto che: «1. Il provve ditorato regionale compila, per ogni distretto di Corte d'appello, un elenco degli espert i dei qual i le direzioni deg li istituti e dei ce ntri di servizio sociale possano avvalersi per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento ai sensi del quarto comma dell'a rt. 80 della le gge. 2. Nell'ele nco sono iscritti professionisti che siano di condotta incensurata e di età non inferiore agli anni venticinque. Per ottenere l'iscri zione nell'e lenco i professionisti, oltre ad essere in possesso del titolo professionale richiesto, devono risultare idonei a svolgere la loro attività nello specifico settore penitenziario. ###à è accertata dal provveditorato regionale attraverso un colloqu io e la valutazione dei tito li prefer enziali presentati dall'aspirante. A tal fine, il provvedit orato r egionale p uò avvalersi del parere di consulenti docenti universitari nelle discipline previste dal quarto comma dell'art. 80 RGN 8782/2018 Pag. della legge. 3. Le direzioni degli istituti e dei centri di servizio sociale conferiscono agli esperti indicati nel comm a 2 i singoli incarichi, su autorizzazion e del provved ito rato regionale». 
In que sta cornice legisla tiva il ### indica il monte ore da attribuire all'esperto, purché questi non operi già nell'istituto ad altro titolo; la collaborazione è formalizzata con la sottoscrizione di un “accordo individuale” con la ### ne dell'istituto penitenziario, dell'### o delle strutture afferenti al ### per la ###. Per gli istituti penitenziari, l'accordo ha la durata di un anno con possibilità di rinnovo per un periodo di uguale durata per non più di tre volte, invece negli ### e nei ### p er la ### e la possibili tà di r innovo, alla scadenza del pr imo anno, è di un solo anno.  7. Dal chiaro t enore delle disposizioni richiamate eme rge che gli esperti n on rientrano tra il personale in serito stabilmente nei ruol i organici dell'amministrazione penitenziaria, trattandosi di liberi profess ionisti chiamati in convenzione dalle amministrazioni penitenziarie, in ragio ne della loro particolare qualificazione e specializzazione, come comprovata in sede di selezione finalizzata alla formazione di elenchi da cui in ogni tempo può att ingere la singola struttura, s econdo le propr ie specifiche esigenze. Emerge, ancora, che gli ele nchi circosc rivono la pl atea di specialisti di cui è stata att estata la capacità di offr ire un fattivo affiancamento al personale stabile degli istitu ti di pena, e che p ossono occuparsi di que lla parte di attività specialistica che, gradatamente, si orienta ve rso le divers e modalità del trattamento attraverso la conoscenza della personalità del detenuto, fino ad individuare le misure co ncrete finaliz zate al successivo reinserimento, anche attraverso la sottoposizione del condannato a misure altern ative alla pena d etentiva; la semplice iscrizione agli elenchi, peraltro, è condizione necessaria ma non sufficiente p er l'impiego degli esperti, che è invece una scelta riservata alle direzioni degli istituti di pena, in prop orzione, e videntemente, alla effettiva necessità e/o budget economico disponibile. 
Nel rispett o della normativa, residua se mpre in capo all'ammi nistrazione penitenziaria un potere di definizione (a mezzo di proprie circolari) delle modalità di conferimento degli incarichi e di disciplina dello svolgimento dei medesimi.  8. La solu zione legislativa tiene, dunque , conto, da un lato, delle esig enze di rieducazione di cui si è detto e della necessità di potenziamento delle collaborazioni con specialisti al suddetto fine e, dall'altro, delle specificità del luogo all'interno del quale tale attività di collaborazione deve essere svolta e delle esigenze afferenti ad una rigida predisposizione di quanto occorrente per gar antire che g li accessi agli istituti avvengano in piena sicurezza. RGN 8782/2018 Pag. 9. La situaz ione non è dissimile da que lla del servizi o per le guardie infermieristiche di cui all'art. 53 del la legg e 9 ottobre 1970, n . 740 (guardia infermieristica), egualmente previsto per le esigenze degli istituti di prevenzione e di pena. 
Proprio con riguardo alle guardie infermieristiche la Corte cost. con la sentenza 76/2015 ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 della legge 9 ottobre 1970, n. 740, impugnato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, 38, s econdo comma, ###, in quanto non consente di qualificare i l rapporto di lavoro dell'incaricato di guardia infermieristica negli istituti di prevenzione e pena come rapporto di lavoro subordinato e, comunque, prevede per dette prestazioni unicamente un compenso orario, con esclusione di ogni altro trattamento retributivo e previdenziale. 
Sono eviden ti le analogie tra la discipli na di legg e del rapporto di lavoro della guardia infermieristica negli istituti di prevenzione e pena, che espressamente denomina come “libero pr ofessionale” il rapporto di lavoro, e la disciplina degli psicologhi esperti incaricati presso i medesimi istituti. 
Nel caso de gli psicolo gi esperti, per quant o sopra evidenziato, fermo che è la struttura carceraria a pres entare caratteristiche pecul iari tal i da giustificare la sussistenza di un vincolo di control lo da par te dell'### tuttavia tale vincolo, lungi dal rap presentare un indice rivelatore di un rapporto di lavoro subordinato, si giustifica in virtù d ella pa rticolarità e della c omplessità d el contesto carcerario. 
Come eviden ziato dal Giudice delle ### nel la citata sent enza n. 76/2015, i principali elementi che pot rebbero in astratto rilevare qu ali indici di subordinazione, ovvero l'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l'obbligo di attenersi alle direttive e alle prescrizioni impartite dal direttore del carcere e di comunicare le proprie assenze, la percezione d i una r etribuzione corrisposta secondo cadenz e temporali prestabilite e lo svolgimento della prestazione nei locali e con gli strumenti messi a disposizione dall'### penitenziaria (elementi che si riscontrano anche con riguardo alla figura dello psicologo esperto) non possono, nello specifico di una attività svolta all'intern o di un carcere, qualificare il rapporto d i lavoro i n termini di lavoro subordinato. 
Sul punto , la Corte costituzionale è chiar a là dove così si espri me: “se l'organizzazione in turni appare coessenziale alla p restazione d i lavoro, l'obbligo di rispettare le prescrizioni del direttore del carcere e del personale medico non rispecchia l'assoggettamento dell'infermiere al potere dirett ivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro” e “l'obbligo di uniformarsi alle pres crizioni d i tenore generale del RGN 8782/2018 Pag. direttore del carcere, per un verso, non sminuisce l'autonomia e, per altro verso, si spiega con la peculiarità del contesto, in cui la prestazione si svolge, caratterizzato da imperative ragioni di sicurezza e di cautela, che finiscono con il permeare la disciplina del rapporto di lavoro degli infermier i incaricati e ne giustificano partico larità e limitazioni”. ### ronde, “nella determinazi one dei turni, nella vigilanza esercitata sull'operato degli infermieri, nell'obbligo di comunicare i giorni d'assenza, elementi che si p otrebbero reputare emblematici della subordinazione, si estrinseca il necessario coordinamento con l'attività dell'amministrazione e con la complessa realtà del carcere, piuttosto che l'autonomia decisionale e organizzativa del datore di lavoro e il potere direttivo e disciplinare caratter istico d ella subordinazione. Il direttore de l carcere, invero, non è chiamato a ingerirsi in aspetti di dettaglio della prestazione svolta dagli infermieri, né tanto meno a esercitare un controllo sull'adempimento della prestazione professionale, caratterizzata da un bagaglio di conoscenze tecniche e d'esperienza”. 
Il Giudice delle leggi ha, così, conclusivamente chiarito che la qualificazione del rapporto come non avente natura subordinata non si prefigge una finalità elusiva della disciplina inderogabile che atti ene alla subordinazione, ma pone in evidenza le peculiarità di una prestazione d'opera so ttoposta a vin coli di controllo dell'### solo in ragione del luogo in cui la prestazione stessa si svolge, e non di un p otere dir ettivo, con notato in senso tipico e speculare all'inserimento nell'organizzazione del lavoro all'interno degli istituti di pena.  9. La sentenza della Corte costituzionale n. 76/2015 si pone d'altronde in linea con alcuni precedenti del giudice delle leggi che avevano anch'essi affrontato la questione della natura (subor dinata o autonoma) del lavoro del personale non d i ruol o delle carceri. Così, ad esempio, Corte cost., sent. n. 577/1989, riguardante i medici non di ruolo delle carceri disciplinati anch'essi dal la legge n. 740/1970 ha considerato tali lavoratori “parasubordinati” e Corte cost., sent. n. 149/2010, che aveva riguardato la legittimità della stabilizzazione dei medici non di r uolo delle carceri da parte di una legge regionale, ha pur sempre ribadito la natura non subordinata del loro rapporto di lavoro.  10. Anche questa Corte ha affermato (v. Cass., Sez. Un., 19 marzo 1990, n. 2286; Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1998, n. 12618; Cass. Sez. Un., 20 maggio 2003, 7901), che le prestazioni dei medici di guardia presso gli istituti di prevenzione e pena, che ven gano svolte con le modalità e secondo le prescr izioni de ll'art. 51 della l. 9 ottobre 1970 n. 740, integrano non un rapporto di pubblico impiego, ma un rapporto di opera professionale, come tale devoluto alla giurisdizione del giudice ordinario (ed alla competenza del giudice del lavoro, per la presenza dei caratteri di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c.), considerando che in dette prestazioni difetta il requisito della subordinazione, RGN 8782/2018 Pag. cioè lo stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione del datore di lavoro, con assoggettamento ai suoi poteri gerarchici e disciplinari.  Il pri ncipio è stato più di recente ribadi to (Cass. 24 aprile 2017, n. 10189) affermandosi che il rapporto di lavoro dei medici inca ricati presso gli istituti di prevenzione e di pena per le esigenze del servizio di guardia medica, ai sensi dell'art.  51 della legge n. 740 del 1970, è di tipo autonomo, come risulta dall'interpretazione letterale e sistematica della disciplina richiamata, atteso che le modalità concrete del relativo svolgimento - in particolare, l'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l'obbligo d i attenersi alle direttive imparti te dal dir ettore del carcere e dal dirigente sanitario - non integrano indici della subordinazione, ma sono espressione del necessario coordinamento, che carat terizza il rapporto, con l'attività dell'### e con la complessa realtà del carcere.  11. Ed allora del tutto corretta è la decisione della Corte territoriale là dove ha ritenuto, esaminando gli specifici motivi di impugnazione, che non fossero riscontrabili o comunque valorizzabili i tradizionali incidi di subordinazione escludendo l'obbligo di assoggettamento ad un orario fisso e predeterminato e valorizzando la necessità che fossero concordate, di volta in volta, i giorni e le ore della presenza del la ### presso l'### car cerario, escludendo l'impiego di mezzi particolari ed una organizzazione, sia pur minima, desumendo la sussistenza di un ris chio economico dalla prevista possibilità di revoca dell'incarico, svalutando ogni valenza indiziaria del compenso commisurato alle o re di presenza nel car cere espressame nte prevista dall'art. 80 della legge n. 354/1975.  12. Conclu sivamente il Collegio, superando il propr io precedente costituito da Cass. n. 12850/2023 (posto dall'ordinanza interlocutoria n. ###/2023 a fondamento della decisione di rimettere la questione alla pubblica udienza), ritiene che non possa utilmente richiamarsi a sostegno della dedotta subordinazione il fatto di dover rendere le prestazioni in giorni ed orari stabiliti dalla ### del carcere con l'assegnazione di servizi e reparti di compet enza ovvero che esistano mecc anismi di ver ifica delle presenze e la necessità di se gnalare e giusti ficare assenze per malattia o motivi di famiglia o per ferie (da autorizzarsi da parte della ###, trattandosi di semplici modalità operative rese indispensabili sia dalla necessità di accertare lo svolgimento della prestazione, comunque connesso al compenso dete rminato in base alle ore di servizio effettivamente prestate, e sia dall'esigenza (del tutto compatibile con la natura non subordinata del rapporto) di coordinare l'attività professionale in discorso con il più complesso sistema nel quale la stessa si innesta. È del tutto comprensibile, infatti, che chiunque operi in un ambiente di detenzione debba conformare la propria prestazione RGN 8782/2018 Pag. alle indicazio ni (non tecniche) del direttore de lla struttura, in ragione delle eviden ti necessità di sicurezza e cautela. 
È sempre tale complesso sistema che giustifica l'adozione di disposizioni o direttive da part e dell'### one, non implicanti esercizio di potere datoriale in senso stretto ed anche le convocazioni degli esperti nei casi urgenti ed in orario extra rispetto a quello concordato. 
I suddetti indici non bastano dunque a modificare la veste giuridica del prestatore d'opera professionale, il quale resta tale proprio perché risponde nte ad una figura espressamente prevista dalla speciale normati va di cui all'art. 80, comm a 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354.  13. Il r icorso principale va, pertanto rige ttato dovendosi affermare il se gue nte principio di diritto: “il rapporto di lavoro degli psicologi carcerari ex art. 80, comma 4, della l. n. 354/1975, incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena, sia in ragione della disciplina normativa, sia dell'assetto negoziale, è un rapporto di lavoro autonomo, atteso che, da un lato, la discipl ina pon e in evide nza che il legi slatore ha scelto d'instaurare rapporti di lavoro au tonomo; dall'altro, che le modal ità concret e del rapporto - in partic olare l'organizzazione del lavoro se condo il modulo dei turni, l'obbligo di attenersi alle direttive impartite dal direttore del carcere, la necessità di segnalare e giustificare assenze - non integrano indici della subordinazione, ma sono espressione del necessario coordi namento, che carat terizza il rapporto, con l'attività dell'### e con la complessa realtà del carcere. Tale rapporto di lavoro va, quindi, distinto da quello di natura subordinata degli psicologi dipendenti di ruolo, che esercitano funzioni sanitarie nell'ambito del ### mento dell'amministrazione penitenziaria e del ### della giustizia minorile del ### della giustizia”.  14. ### del ricorso principale determina l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.  15. ### sistenza di precedenti di le gittimità d i segno contrario giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.  16. Occo rre dare atto, ai fini e p er gli effett i indicati da Cass., Se z. Un, 20 febbraio 2020, n. 4315, dell a sussistenza, quanto alla ri corrente principale, delle condizioni processuali richieste dall 'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.  P.Q.M.  La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l'incidentale condizionato; compensa le spese. 
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti p er il versament o, da parte della ricorren te principale, RGN 8782/2018 Pag. dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto. 
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 7 febbraio 2024.   

Giudice/firmatari: Tria Lucia, Marotta Caterina

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Tribunale di Frosinone, Sentenza n. 424/2025 del 16-06-2025

... responsabilità - per colpa generica - del datore di lavoro in ordine all'insorgenza a carico dell'attore delle accertate patologie. Per completezza va osservato che la responsabilità civile del datore di lavoro avrebbe potuto essere esclusa solo in caso di dolo del lavoratore o nel caso del cd. rischio elettivo - generato da un comportamento del lavoratore non avente rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa ed esorbitante dai limiti di essa - ma situazioni di tal genere non sono affatto emerse dall'istruttoria. Neanche é stata provata una qualche colpa del lavoratore dovuta ad imprudenza, imperizia, negligenza, atteso che nessun elemento è emerso in giudizio che faccia ritenere che l'attore possa aver anche soltanto concausato l'insorgenza delle riscontrate malattie. In ogni caso, come osservato chiaramente dalla giurisprudenza della Cassazione (cfr., ex plurimis e da ultimo, Cass. n.4980/2023), anche l'accertamento di un'eventuale condotta del lavoratore connotata da imprudenza o disattenzione non rileva quando il datore di lavoro abbia omesso di approntare i mezzi di protezione necessari per garantire l'incolumità del lavoratore o abbia omesso di vigilare (leggi tutto)...

testo integrale

TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Giudice del lavoro, Dott. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al ### di ### per l'anno 2022 al n.247 e ritenuta per la decisione alla pubblica udienza del 16.4.2025, vertente tra ### rappresentato e difeso dagli Avv.ti ### e ### e con essi domiciliat ####### n.2, in virtù di procura speciale in calce al ricorso ricorrente contro E-### S.p.A. (già ### S.p.A.) - Società con unico socio (### S.p.A.), in persona della procuratrice Avv. ### in virtù dei poteri conferiti con procura per ### di ### del 12.12.2017, Rep. 55629, Racc. n.27976, rappresentata e difesa dagli Avv.ti ### e ### con domicilio eletto nello studio dell'Avv. ### in #### n.58, giusta procura in calce alla memoria di costituzione resistente ### del giudizio: risarcimento danni da malattia professionale.   Conclusioni: per ciascuna parte, quelle del rispettivo atto costitutivo, da intendersi qui integralmente riportate.  ### ricorso depositato il ###, ### ha convenuto in giudizio innanzi il Tribunale di ### la E-### S.p.A. (già ### S.p.A.), deducendo di essere stato dipendente dell'azienda convenuta dal 1.6.1967 al 31.5.2004, con mansioni di addetto alla costruzione e manutenzione di elettrodotti aerei e sotterranei a media e bassa tensione, e di aver contratto patologie di origine professionale al sistema osteoarticolare e neurotendineo, segnatamente alla colonna vertebrale, agli arti e all'apparato uditivo. Ciò in quanto aveva operato su cantieri disagiati, quale operaio specializzato di rete impiegato per connettere alla rete elettrica le aree metropolitane, i piccoli centri urbani e le comunità montane. Tali gravose attività, protrattesi senza l'uso di dispositivi di protezione individuali, avevano provocato le patologie di cui sopra, oltre a diversi infortuni sul lavoro. Nonostante le numerose segnalazioni, l'azienda era rimasta inerte, con conseguente violazione delle basilari norme di prevenzione e sicurezza della salute dei lavoratori. Al termine del rapporto di lavoro (maggio 2004), aveva presentato tre domande di malattia professionale all'I.N.A.I.L., cui erano conseguiti giudizi nei quali era stata accertata una percentuale di invalidità del 14% e gli era stato liquidato un indennizzo una tantum di €.7.961,06. Tuttavia, aveva diritto ad un risarcimento integrale del danno, da quantificarsi con le tabelle della responsabilità civile, detratto quanto corrisposto dall'I.N.A.I.L..   Su queste premesse, l'attore ha chiesto l'accertamento della responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta e, per l'effetto, la condanna della stessa al risarcimento del danno subito, pari ad €.34.369,00 (€.46.266,00 con personalizzazione), a titolo di danno biologico, oltre al danno alla salute (cd. da cenestesi lavorativa) e al danno biologico complementare (comprensivo delle lesioni non indennizzate dall'I.N.A.I.L.) dalla data della messa in mora (17.1.2009) sino al soddisfo.   Instauratosi ritualmente il contraddittorio, si è costituita tempestivamente in giudizio la società convenuta, eccependo l'inammissibilità delle domande perché precluse dalle precedenti rinunce del lavoratore. Infatti, in data ### il ricorrente aveva sottoscritto un accordo di incentivo all'esodo ed aveva percepito la somma di €.72.000,00 con espressa rinuncia alla rivendicazione di qualsiasi diritto relativo al rapporto di servizio, ivi compreso il risarcimento del danno biologico e/o professionale e/o morale (cfr. punto 3).   La convenuta ha anche eccepito la prescrizione estintiva, in quanto il ricorso era stato notificato in data ###, a distanza di 18 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro (avvenuta in data ###), con conseguente decorso del termine di prescrizione decennale, che non poteva ritenersi interrotto dalla lettera del 17.1.2009, in quanto si trattava di una generica impugnativa della dichiarazione di rinuncia, non recante alcuna specifica costituzione in mora o espressa intimazione di pagamento di somme ai fini risarcitori ex artt.2043 e 1219 c.c. Vi era poi stata una ulteriore lettera interruttiva datata 14.12.2018, recapitata sempre oltre il termine decennale dalla cessazione del rapporto di lavoro.   La convenuta ha poi eccepito l'inopponibilità ad ### delle risultanze peritali nei giudizi intentati avverso l'I.N.A.I.L. in cui ### non era stata parte. In ogni caso, in relazione alle predette risultanze, andava osservato che la domanda di malattia professionale era stata presentata dall'attore soltanto in data ### (5 anni dopo la cessazione del rapporto), e che nessuna patologia era stata accertata durante i 37 anni di lavoro. Gli infortuni richiamati riguardano poi episodi estranei alle sofferenze del rachide lamentate in ricorso. Non era poi condivisibile la stima del 14% di inabilità stabilita dalla Corte d'Appello di ### all'esito dei giudizi promossi dall'attore contro l'I.N.A.I.L., probabilmente dovuta ad una ricostruzione inveritiera delle condizioni di lavoro, determinatasi in assenza di contraddittorio con ### La convenuta ha poi evidenziato l'insussistenza di una responsabilità di ### in base a criteri civilistici (danno differenziale), ai sensi dell'art.10 D.P.R. n.1124/65, trovando la responsabilità per danno differenziale un inderogabile presupposto nella ricorrenza di una fattispecie di reato procedibile d'ufficio, ancorché non accertato in sede penale. Sul punto la Corte Costituzionale, con sentenza n.74/1981, ha precisato che la responsabilità del datore sussiste qualora venga ad integrare un'ipotesi di reato colposo, lesivo dell'incolumità del lavoratore, con conseguente venir meno dell'esonero da responsabilità civile, laddove, in difetto di condanna in sede penale ovvero di esclusione da parte del giudice di merito dell'esistenza di un fatto reato, il datore va esente dalla predetta responsabilità.   La convenuta ha poi rilevato la carenza di allegazione e prova sulle mansioni e sull'asserito inadempimento di ### dovendosi escludere qualsivoglia ipotesi di responsabilità oggettiva del datore.   La resistente ha anche evidenziato la inammissibilità della prova testimoniale, emergendo per tabulas che le mansioni cui era adibito il ### erano diverse da quelle indicate nel ricorso, non avendo l'attore mai fatto parte di "### ed essendo prevalentemente adibito ad attività operative previste dalla sua declaratoria professionale.   La convenuta ha poi sottolineato l'infondatezza delle doglianze attoree circa la responsabilità ex art.2087 c.c. per danno differenziale, che non era imputabile al datore di lavoro, in quanto dalla normativa in materia di valutazione dei rischi non scaturivano affatto obblighi di sorveglianza sanitaria periodica per le specifiche mansioni. Dunque non c'era stata alcuna violazione di tutele nominate e, peraltro, neanche c'era stata allegazione in ordine alle misure che il datore avrebbe dovuto approntare per evitare rischi intrinseci alla tipologia di lavorazioni.   In relazione alle presunte omissioni datoriali, quanto asserito dal ricorrente non rispondeva al vero, anche perché la vigilanza periodica era stata introdotta solo dopo la cessazione del rapporto di lavoro, come anche l'obbligo della tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio.   Il lavoratore non aveva comunque mai denunciato la gravosità delle mansioni in punto di sicurezza, né aveva prodotto certificazioni mediche attestanti l'esistenza di patologie. In generale, non era mai pervenuta ad ### alcuna denuncia o formale contestazione da parte delle ### circa le condizioni o i carichi lavorativi degli operai delle squadre, in quanto ### aveva organizzato le attività in maniera da attenuare al massimo gli sforzi fisici e le attività faticose prolungate. Inoltre, da quanto risultava dal DVR del 1996, non poteva affatto sostenersi che fosse stata omessa la valutazione dei rischi per patologie da ###posture incongrue/vibrazioni, restando invece estranee le patologie osteoarticolari ricomprese nelle tabelle I.N.A.I.L. solo nel 2008.   Con riferimento, infine, al contenzioso seriale nei confronti di ### a partire dal 2007 i lavoratori interessati alle medesime domande del ricorrente si erano costituiti in associazione allo scopo di richiedere l'indennizzo prima all'I.N.A.I.L. e poi ad ### anche a distanza di molti anni, a riprova che le patologie lamentate erano strettamente collegate all'età e non già all'attività lavorativa.   Non sussisteva poi il nesso di consequenzialità fra patologia e condizioni lavorative, trattandosi di malattia ad eziologia multifattoriale insorta a distanza di moltissimi anni dalla fine delle lavorazioni ritenute gravose, con conseguente esclusione di un ruolo causale diretto e sufficiente delle situazioni lavorative nel determinismo della patologia artrosica.   Sul danno biologico, la convenuta ha dedotto che lo stesso era incluso nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria gestita dall'### ex D.P.R. n.1124/65 e dunque ne era stata già operata una quantificazione con liquidazione dalla data della domanda amministrativa. La convenuta ha poi contestato la personalizzazione del danno biologico operata in ricorso e, sul danno da cenestesi lavorativa, che non andava confuso con la perdita di chances, ha eccepito il difetto di prova. Sul danno biologico complementare, la convenuta ha sostenuto che la relativa domanda era inammissibile, in quanto era stata attivata fruttuosamente l'assicurazione ### In ogni caso era arbitraria la quantificazione del 40%.   Su queste premesse, la convenuta ha chiesto, in via preliminare, di dichiarare le domande attoree improponibili ed inammissibili perché precluse dalle rinunzie da lui espresse con dichiarazione del 27.11.2003, non suscettibile di successiva impugnativa per intervenuta decadenza e perchè concernente diritti disponibili, come tali liberamente rinunciabili. Nel merito, la convenuta ha chiesto di rigettare tutte le domande formulate dal ricorrente, in quanto inammissibili nelle prospettazioni e, comunque, infondate in fatto e in diritto, nonché prescritte.   Esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, la causa, istruita con la produzione dei documenti, l'escussione dei testimoni ammessi e l'espletamento di una C.T.U. medico legale, è stata infine discussa e decisa all'udienza del 16.4.2025, con il dispositivo riportato in calce, di cui si è data pubblica lettura.   MOTIVI DELLA DECISIONE Le domande attoree meritano accoglimento, nei limiti e per i motivi appresso indicati.   Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di parte convenuta di inammissibilità delle domande attoree per intervenuta rinuncia e transazione, risultando in atti che il documento sottoscritto tra le parti in data ### - nel quale il ricorrente rinunciava alla rivendicazione di qualsiasi diritto relativo al rapporto di servizio, ivi compreso il risarcimento del danno biologico e/o professionale e/o morale (cfr. punto 3) - intervenne quando l'attore neanche aveva consapevolezza del diritto risarcitorio maturato in suo favore a seguito della responsabilità datoriale per le patologie sofferte. 
Circostanza che si ricava dal fatto che soltanto il ### l'attore depositò i primi certificati medici di malattia professionale (cfr. docc. nn.21, 22 e 23 ###. Quindi, la conoscenza da parte del ricorrente della malattia e della sua origine professionale è maturata in epoca successiva alla sottoscrizione del richiamato documento. Ne consegue che, pur trattandosi di diritti all'epoca esistenti, essi erano ancora ignoti al titolare e quindi non potevano essere consapevolmente oggetto di disposizione.   Venendo al merito della causa, osserva il ### che è emerso dal giudizio che effettivamente l'attore ebbe a contrarre le malattie professionali della “lombalgia cronica da protrusioni discali multiple” e della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale”, nel corso del rapporto di lavoro con la convenuta, e che da tali malattie gli sono derivati danni morali e danni alla sua integrità psico-fisica che vanno addebitati alla responsabilità del datore di lavoro.   A queste conclusioni si può arrivare esaminando le circostanze di fatto che emergono da quanto riferito dai testi escussi, che hanno evidenziato che nell'intero periodo di lavoro il ricorrente ha subito una ciclica esposizione a molteplici fattori morbigeni susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa propedeutica e conseguenziale alla elettrificazione.   In particolare, dalle dichiarazioni dei testi di parte ricorrente - che hanno tutti lavorato a stretto contatto con il ricorrente e gli hanno visto svolgere le attività indicate in ricorso - emerge la gravosità delle lavorazioni svolte dal ricorrente, che eseguiva direttamente i lavori anche nel limitato periodo in cui è stato capo nucleo.   Nello specifico, il teste ### che ha lavorato con il ricorrente, anche negli stessi cantieri, fino al suo pensionamento, ha dichiarato che: “### nella stessa squadra e facevamo buche, anche su rocce, mettevano pali, e questo quotidianamente … Ci occupavano anche del posizionamento di contatori … Le ditte esterne sono arrivate solo in un secondo momento, ma si sono però occupate solo di lavori su linee più grandi … I lavori che comportavano la messa in opera di 4 o 5 pali li facevamo invece noi operai ### … ### attività io le ho svolte fino a 4 o 5 anni fa … Su queste linee facevamo tutti i lavori, dagli scavi alla messa in opera dei pali, all'armamento dei pali stessi.” Il teste ha confermato che i lavori di scavo per la sola posa dei conduttori vennero sì appaltati a ditte esterne da un certo momento in poi, ma gli operai ### hanno continuato ad effettuare gli scavi per i pali: “### fatto anche gli scavi con gli escavatori, ma soltanto fino a quando abbiamo avuto gli escavatori, non so dire fino a quando, poi se ne sono occupate le ditte esterne. Sto parlando degli scavi per la messa a terra di cavi. ### invece continuato a fare le buche per i pali per le linee di 4 o 5 pali che abbiamo continuato a fare noi operai ### Per fare le buche su terra usavano la mototrivella che tenevamo in 4 perché serviva molto forza. Per fare buche su terreni più duri usavamo martelli pneumatici… ### tutti i giorni facevamo le linee di 4 - 5 pali e usavamo i mezzi di cui ho parlato. Ho usato le mototrivelle fino a quando sono state usate in azienda, non ricordo fino a che anno le abbiamo usate, penso fino a 15 anni fa, ma non lo ricordo con precisione. Facevamo anche attività di manutenzione, con la messa in opera dei giunti sotterranei. La buca per mettere i giunti veniva fatta con l'escavatore e poi - nell'ultima parte - a mano per non rovinare i cavi. Per riparare i cavi emettere i giunti occorreva un lavoro di un'ora, un'ora e mezzo, anche due. Con i cavi di mezza tensione ci poteva volere anche mezza giornata. Si doveva lavorare stando piegati sulle ginocchia o con le ginocchia a terra.” Il teste ### ha anche precisato che in caso di pioggia gli interventi che richiedevano il ripristino di energia venivano comunque eseguiti, nonostante il maltempo: “Se era urgente un intervento lo effettuavamo anche con il maltempo, mettendo un telo di copertura”.   Il teste ha inoltre chiarito che quando i contratti con le ditte esterne scadevano si trovavano a svolgere anche i lavori di taglio alberi con motoseghe: “Nel pronto intervento dovevamo fare anche lavori di taglio di alberi con la motosega. I lavori di taglio di alberi in prevenzione venivano fatti da ditte esterne, ma quando i contratti con queste ditte scadevano potevano esserci periodi in cui lo facevano anche noi operai ###” Il teste ### ha poi chiarito che: “i trasformatori venivano portati con la gru e posati davanti alla cabine e da qui sistemati da noi spingendoli all'interno delle cabine, molti avevano le ruote di metallo. 
Nelle cabine portavamo anche i sezionatori del peso di circa 1 quintale, che venivano spostati a mano da un paio di persone e che sistemavamo con un paranchino … I lavori in altezza sui pali li facevano salendo coi ramponi e poi posizionavamo la mensola stando con l'addome all'altezza della cima del palo e tirando su la mensola con le braccia. Il lavoro si faceva anche stando posizionati lungo in posizione quasi orizzontale”.   Il teste ### ha poi riferito anche sui turni reperibilità: “### reperibilità per una volta al mese, ma spesso si faceva due volte al mese, per sostituire colleghi assenti. Io sono arrivato a fare anche 5 settimane di reperibilità consecutive. I riposi compensativi li facevamo, ma in casi di emergenza saltavano” La gravosità del lavoro svolto dall'attore è confermato anche dal teste ### che ha così dichiarato: “### anni ‘70, '80 e '90, avvicinandosi verso il 2000, l'attività è sempre stata molto pesante … ### l'attività sui pali è stata sempre svolta da noi”. Conformemente il teste ### ha dichiarato: “La squadra aggiunte ogni giorno movimentava pali di castagno che pesavano da 1 quintale a 2 quintali, che andavano portate a spalla dai dipendenti compreso il ricorrente per essere posizionati.” Dall'esame delle complessive risultanze istruttorie fornite dai testi addotti da parte ricorrente - la cui particolare attendibilità è da riconnettere alla circostanza che hanno tutti lavorato a stretto contatto con il ricorrente - emerge quindi l'adibizione dell'elettricista del nucleo di distribuzione, quale era l'attore, alle diverse attività manuali descritte, eseguite esclusivamente all'aperto su cantieri temporanei e mobili, generalmente distanti dai centri urbani e spesso in luoghi inaccessibili ai mezzi meccanici, questi ultimi peraltro non sempre disponibili.   Dalla prova è emerso che tutte le attività della filiera hanno comportato l'abituale esposizione del ricorrente ad un concorso di diversi rischi specifici tra loro concatenati, esplicatisi con vibrazioni, posture incongrue e microtraumi ripetuti.   La gravosità del lavoro era poi accentuata da motivi prettamente organizzativi, da correlarsi all'omesso avvicendamento del personale operativo; all'inadeguatezza o assenza dei mezzi speciali (anche il teste di parte convenuta ### ha confermato che i cestelli elevatori sono stati consegnati solo dal 2000); all'inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuali; all'assegnazione di turni di reperibilità fino a due o tre volte superiori a quelli contrattualmente previsti; all'omessa formazione e informazione sui rischi.   Le richiamate risultanze relative all'esame dei testi addotti da parte ricorrente non trovano smentita nell'esame dei testi addotti da parte resistente.   Si osservi che il teste ### non ha saputo riferire nello specifico sul lavoro svolto dall'attore. Invero, il teste ha dichiarato di aver lavorato nel distretto ### fino al 2004 e di essere giunto nel ### solo successivamente, affermando che “E' possibile che abbia anche incontrato il ricorrente ma non lo posso affermare con certezza”.   Anche il teste ### ha precisato di essere stato il responsabile dell'attore a ### per soli 2 anni: “### stato responsabile della ### di ### dal 2002 al luglio 2007, il ricorrente ha lavorato con me fino a quando è andato in pensione nel 2004”.   Il teste ### ha anche dichiarato che: “Dal 1985 al 1987 sono stato a ### e ho visto che non c'erano squadre cd. aggiunte”, ovvero le squadre adibite alle gravose lavorazioni di cui hanno parlato i testi addotti da parte ricorrente. Il teste ha aggiunto: “anche negli anni successivi ho svolto mansioni nel ### che mi consentivano di verificare e oggi di dire che anche dopo non ci sono state squadre aggiunte”.   La circostanza è però smentita dal curriculum aziendale rilasciato all'attore dalla stessa ### (doc. n.1 ###, nel quale si richiamano appunto le squadre distaccate, come quella di ### attive certamente fino a tutto il 2002.   Il teste ### ha anche dichiarato che gli elettricisti provetti del nucleo di distribuzione, quale era l'attore, svolgevano quale attività corrente, quella del “montaggio di contatori”, usando “la normale cassettina con gli attrezzi”. Ciò in quanto “almeno il 95% dei lavori più pesanti” era affidato a ditte esterne … le attività di manutenzione più leggere venivano fatte dagli operai ### le più pesanti da imprese esterne.” In ordine a queste dichiarazioni, deve però osservarsi che l'attore operava quale “### provetto (e poi esperto) del nucleo di distribuzione”, attività distinta da quella dell'operaio addetto esclusivamente all'utenza, identificato come “letturista” o “monoperatore”, che operava da solo, in assenza di lavori pesanti.   Il teste ### ha poi fatto riferimento ai lavori sugli elettrodotti ad alta tensione e media tensione superiori a 3 km, che a partire dalla fine degli anni ottanta sono stati effettivamente appaltati a ditte esterne, ma dalla prova è emerso che, invece, i lavori di costruzione degli elettrodotti a media e bassa tensione fino a 3 km, sono rimasti per tutto il periodo di lavoro del ### a carico esclusivo degli elettricisti del nucleo di distribuzione (provetti ed esperti). Tali lavori erano ugualmente pesanti (come si ricava anche dalla schede metodo e dalle schede tecniche acquisite in atti, nonché dal tipo di macchinari usati e dell'ambiente e clima in cui si svolgevano). Rispetto questi elettrodotti gli elettricisti del nucleo di distribuzione dovevano curare anche la manutenzione ordinaria e straordinaria.   La circostanza che, poi, con l'introduzione dei nuovi contatori elettronici gli operai ### siano stati impegnati nell'attività di sostituzione dei contatori non esclude poi che gli stessi abbiano continuato a svolgere anche i ben più pesanti lavori di costruzione e manutenzione di elettrodotti, ossia sulle reti di distribuzione. Così ha riferito il teste ### “Ci siamo occupati anche della sostituzione dei contatori quando si è passati dal contatore analogico a quello elettronico.” ### canto, lo stesso teste ### ha riferito che i mezzi necessari per eseguire i lavori in altezza (ovvero i cestelli elevatori), che costituiva parte rilevante del lavoro gravoso, siano stati forniti soltanto a partire dal 2000, ossia poco prima del pensionamento dell'attore.   Dalla prova, in definitiva, è emerso è emerso che la prevalenza delle lavorazioni erano manuali (per via dell'inaccessibilità della maggior parte dei cantieri) e che anche quando potevano essere meccanizzate, gli operai erano in ogni caso esposti a molteplici rischi, ivi incluso quelli degli stessi mezzi meccanici, in quanto fonti di evidenti rischi di vibrazioni meccaniche trasmesse al corpo intero o al sistema mano-braccia.   ### ha anche evidenziato che la convenuta omise l'adeguamento dei mezzi speciali al numero effettivo di operai (squadre lavoro) ed alle reali condizioni morfologiche dei cantieri e non valutò i rischi specifici connessi ai lavori in altezza, alle vibrazioni al sistema mano-braccia ed al corpo intero, alla movimentazione manuale dei carichi, al sovraccarico biomeccanico, alle posture incongrue e coatte ed al microclima sfavorevole. La convenuta omise poi la sorveglianza sanitaria periodica annuale, obbligatoria a decorrere dal D.P.R. 303/56 per le vibrazioni e gli scuotimenti e dal D.Lgs 626/94 per la movimentazione manuale dei carichi. E fu anche omessa la formazione/informazione dei lavoratori, obbligatoria a decorrere dal D.P.R. 303/56.   E' risultata così provata in giudizio l'esposizione a rischio ambientale negata dalla convenuta.   ### C.T.U. medico-legale ha poi confermato la natura professionale di alcune delle patologie di cui soffre l'attore, da correlare all'esposizione continuativa ai rischi di cui si è dato conto, patologie che comportano a carico del ### un danno biologico in misura del 7%.   ###.T.U., in particolare, ha evidenziato che il ricorrente, è affetto dallo stato patologico dedotto in ricorso, che attualmente consiste in: ### cervicalgia cronica da protrusioni discali da ### a ### e cervico-artrosi con associata sofferenza neurogena cronica nel territorio ###-### sinistro e ###-###-### destro EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### lombalgia cronica da protrusioni discali multiple da ### a ###, con segni EMG di sofferenza cronica da ###-###-### bilaterale EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### segni EMG (03/2015) di sindrome del tunnel carpale di grado moderato a destra ad attuale lieve impegno funzionale; ### ipoacusia neurosensoriale bilaterale; ### ernia ombelicale.   Il perito, esaminata la storia occupazionale del ricorrente - desunta dalla documentazione versata in atti dalle parti e dalla lettura delle deposizioni dei testi escussi nel corso del giudizio - ha evidenziato che il ricorrente, che è in pensione dal maggio 2004, specie nella prima parte della propria esperienza professionale presso la convenuta, ha svolto attività comportanti la movimentazione manuale di carichi pesanti e ha operato, seppure in modo non continuo, con e in prossimità di attrezzature di lavoro con emissione di rumore a livelli otolesivi (cfr. esame audiometrico del 1989 ove si fa riferimento all'impiego di “strumenti con aria compressa e motori a scoppio”).   Peraltro, il perito, quanto alle patologie di cui ai punti ###, ### e ### in precedenza indicati - patologie del rachide cervicale e dell'arto superiore destro, oltre che l'ernia ombelicale - ha evidenziato che non vi sono allo stato in letteratura elementi a sostegno dell'ipotesi che le stesse possano essere state sostenute, sul piano eziologico, dai fattori di rischio professionale cui è stato esposto il ricorrente (ovvero la movimentazione manuale dei carichi e il rumore).   In effetti, per quanto attiene alla patologia disco-artrosica del rachide cervicale, il perito ha osservato che essa, segnalata per la prima volta dal ricorrente alla metà degli anni '90 e documentata dal 1995 con esami di diagnostica strumentalenon può essere ricondotta, stante la letteratura scientifica disponibile, alle noxae occupazionali cui lo stesso è stato esposto perché i dati statistico epidemiologici disponibili non mostrano, nei soggetti addetti ad analoghe mansioni, una significativa maggiore incidenza della patologia denunciata. In effetti, non sono presenti nella letteratura scientifica dati epidemiologici conclusivi che associno l'esposizione ad attività di movimentazione manuale dei carichi con le patologie osteoartrosiche e discali della colonna cervicale.   Riguardo la patologia che interessa l'arto superiore, il C.T.U. ha evidenziato che anche essa, emersa soltanto nel 2015 (oltre 10 anni dopo la cessazione dell'attività lavorativa) da esame elettromiografico e mai rilevata sul piano clinico-specialistico, non può essere ricondotta, stante la letteratura scientifica disponibile, alle noxae occupazionali cui lo stesso è stato esposto in quanto i dati statistico epidemiologici disponibili non mostrano, nei soggetti addetti ad analoghe mansioni, una significativa maggiore incidenza della patologia denunciata. In effetti, non sono presenti nella letteratura scientifica dati epidemiologici conclusivi che associno l'esposizione ad attività di movimentazione manuale dei carichi con le patologie dei nervi periferici da compressione canalicolare dell'arto superiore.   Infine, riguardo la patologia che interessa la parete addominale, il perito ha evidenziato che neanche essa, emersa soltanto nel 2010 (oltre 5 anni dopo la cessazione dell'attività lavorativa) dalla certificazione medico-legale del Dott. ### del 20.5.2010, può essere ricondotta, stante la letteratura scientifica disponibile, alle noxae occupazionali cui è stato esposto il ricorrente, essendo viceversa pacifico che essa deriva piuttosto da meiopragia d'organo ovvero dalla lassità della parete addominale che di per se sola è in grado di spiegare l'erniazione del viscere.   ###.T.U ha sottolineato, al riguardo, che, sulla base dei dati di letteratura, condizioni necessarie per la fuoriuscita di un'ernia acquisita sono la predisposizione anatomica della parete addominale e l'incremento della pressione addominale. Ciascuno dei due elementi citati non rappresenta invece, singolarmente considerato, ragione sufficiente per lo sviluppo della patologia. Il secondo fattore concausale dell'ernia inguinale ovvero l'incremento della pressione addominale, può essere a sua volta legato a svariate situazioni, molte delle quali direttamente dipendenti dal soggetto (come, ad esempio, le forze generate da situazioni fisiologiche come la defecazione o la tosse, la scarsa forma fisica, l'abitudine al fumo di tabacco), altre da situazioni ambientali e/ lavorative, come ad esempio la movimentazione manuale dei gravi. Quali siano i fattori prevalenti nella causazione dell'incremento della pressione endoaddominale, e dunque, nella erniazione del viscere (se prevalgano cioè i fattori costituzionali e/o fisiologici o quelli legati alla movimentazione manuale dei gravi) non è completamente noto. ### la letteratura scientifica, in molte attività lavorative l'incremento della pressione addominale legata allo sforzo raramente supera le forze generate dalle normali funzioni fisiologiche.   Quanto alle altre due patologie riscontrate a carico del ricorrente - la patologia muscoloscheletrica del rachide lombo-sacrale e la patologia uditiva - il perito ha inquadrato le affezioni in oggetto con riguardo alle conoscenze scientifiche relative alla loro possibile eziologia professionale.   Con particolare riguardo alla patologia che interessa il rachide lombo-sacrale, il C.T.U. ha evidenziato che gli agenti eziologici dell'infermità non sono completamente noti, poiché la medesima viene considerata patologia cronico-degenerativa che interessa tutti gli elementi dell'unità discovertebrale, e per questo è riconducibile all'invecchiamento delle strutture articolari dell'unità medesima (ivi comprese le superficie articolari e il disco intervertebrale). Il disco intervertebrale è una struttura interposta tra le vertebre, costituito da tessuto cartilagineo, sprovvisto di vasi sanguigni, indispensabile a garantire l'articolazione dell'unità disco-vertebrale. Proprio perché privo di vasi sanguigni, esso viene nutrito mediante un meccanismo di diffusione, direttamente influenzato dalla pressione che grava sul disco. Se la pressione applicata sul disco è superiore ad un livello di “pressione critica”, si verifica la spremitura dello stesso con fuoriuscita di liquidi (e la conseguente espulsione di cataboliti, ovvero di sostanze di rifiuto). Quando, viceversa, la pressione applicata sul disco è inferiore al suddetto limite, si ha un richiamo dei liquidi all'interno del disco (in questo modo il disco assorbe sostanze in nutrienti dai tessuti viciniori). È proprio il continuo alternarsi di queste fasi (che sono caratterizzate da iper-pressione e ipo-pressione sul disco) che consente la periodica espulsione di cataboliti e l'assorbimento delle sostanze nutritive, e, dunque, una corretta nutrizione del disco. La permanenza per periodi prolungati, alcune ore, in posizioni che comportano una pressione discale costantemente al di sopra o al di sotto del valore "critico" citato, comporta l'arresto dei meccanismi di ricambio (oppure una inadeguatezza degli stessi meccanismi), con conseguente malnutrizione e precoce invecchiamento del disco stesso. In tali situazioni il disco può dunque andare incontro a rotture (ed erniazioni) con maggiore frequenza e più precocemente. La “discopatia” è la patologia degenerativa causata da usura ed invecchiamento del disco (il disco diventa meno resistente perché con minor contenuto d'acqua e minore elasticità). Ad essa può seguire, a causa della rottura della capsula esterna del disco, l'erniazione del disco stesso (ernia del disco). Tale degenerazione, che procede fisiologicamente con l'età e in funzione delle caratteristiche individuali del soggetto, indipendentemente dall'attività lavorativa svolta, è favorita da tutte quelle noxae che incidono negativamente sulla nutrizione del disco intervertebrale e che possono alterare le forze di carico che gravano sulla colonna medesima. Trattasi dunque di infermità a genesi plurifattoriale, di diffuso riscontro nella popolazione generale e molto spesso priva di specifici connotati eziopatogenetici. Sul piano epidemiologico è noto che le sindromi artrosiche sono in ### le affezioni più diffuse e si osservano in tutte le collettività lavorative (dell'industria, dell'agricoltura e del terziario).   Per le esposte considerazioni, il perito ha evidenziato che il riconoscimento del nesso causale con l'attività svolta di tali infermità può essere considerata credibile solo qualora siano chiaramente dimostrati alcuni specifici requisiti. In particolare, l'anamnesi lavorativa deve evidenziare l'esistenza di un rischio professionale di natura, entità, durata ed intensità tali da far ragionevolmente considerare la sua influenza di grado superiore, o quanto meno uguale, a quella esercitata da fattori extraprofessionali e/o individuali; il quadro clinico, anatomo-funzionale e radiologico deve presentare caratteristiche specifiche, per intensità, precocità e localizzazione del fenomeno morboso, rispetto alla normalità della popolazione; infine, i dati statistico epidemiologici devono mostrare una significativa ed univoca maggiore incidenza della patologia presso quella determinata categoria professionale.   Nel caso di specie, il C.T.U. ha osservato che i requisiti suddetti sono soddisfatti in quanto: 1) le caratteristiche del rischio professionale (movimentazione manuale di gravi di peso ingente che si svolgeva su terreni accidentati e impervi), la durata dell'esposizione lavorativa (oltre 30 anni), e l'intensità della esposizione al rischio (attività svolta con continuità nel corso della giornata lavorativa) possono essere considerati sufficienti alla causazione delle infermità; 2) il quadro clinico, anatomo-funzionale e radiologico presenta caratteristiche specifiche rispetto alla normalità della popolazione, sia per intensità (protrusioni discali multiple che coinvolgono porzione significativa del rachide lombo-sacrale), sia per precocità (i sintomi d'esordio dell'infermità descritta sono riferiti già alla fine degli anni '60 con intensificazione negli anni ‘80 in un soggetto, all'epoca, poco più che trentenne), sia per localizzazione del fenomeno morboso. Nel caso di specie, la patologia degenerativa del rachide ha interessato, all'esordio, l'ultima parte del rachide lombare e la cerniera lombo-sacrale, e cioè il tratto della colonna maggiormente esposto al rischio perché sollecitato dalla attività di movimentazione manuale. Essa, in epoca successiva alla cessazione dell'attività lavorativa, è andata incontro a ulteriore progressione anatomo-radiologica e funzionale in parte attribuibile alla fisiologica senescenza delle strutture osteo-articolari; 3) in relazione all'infermità in esame sono disponibili dati statistico epidemiologici conclusivi che dimostrano una particolare frequenza della stessa nei soggetti addetti ad analoghe mansioni che comportano il ricorso alla forza manuale anche attraverso l'utilizzo di strumenti vibranti. Infatti, indagini epidemiologiche hanno fornito una sufficiente evidenza epidemiologica per la presenza della relazione causale tra attività lavorative “gravose”, comportanti movimentazione manuale di gravi, e patologia degenerativa dei dischi intervertebrali della colonna lombare e sacrale.   Il perito ha anche osservato che, nel caso del ricorrente, la patologia osservata in sede di operazioni di consulenza non aveva all'epoca del pensionamento le attuali caratteristiche d'impegno anatomoradiologico e clinico-funzionale. In effetti, dall'esame radiografico della colonna cervicale e lombare eseguito circa 5 anni dopo il pensionamento ovvero l'11.09.2009 si evince un quadro consistente in “segni di spondilosi margino-somatica diffusa a tutto il rachide” e “modesta riduzione in ampiezza dello spazio intersomatico L-5-### nel suo versante posteriore”, mentre la disamina delle certificazioni disponibili mostra un soggetto già da anni sintomatico con documentati ricorrenti episodi di lombosciatalgia (e con la necessità di un ricovero ospedaliero nel 1999). Dalla documentazione in atti si evince altresì una marcata evoluzione del quadro anatomo-radiologico in epoca prossima al 2015, progressione che ad avviso del C.T.U. non può essere attribuita, se non in misura marginale, all'attività lavorativa svolta dal ricorrente alle dipendenze della società convenuta.   Per quanto esposto il perito ha ritenuto che lo stato patologico descritto può essere posto, seppure parzialmente, in correlazione causale con le vicende lavorative occorse al ricorrente alle dipendenze della società convenuta.   Dalla predetta patologia sono residuati postumi menomativi di carattere permanente consistenti in: “sindrome algodisfunzionale del rachide lombo-sacrale di grado moderato consistente in lombalgia cronica da protrusioni discali multiple da ### a ###, con segni EMG di sofferenza cronica da ###-###-### bilaterale EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024”. È evidente - ha osservato il perito - la sussistenza di esiti di carattere permanente con incidenza sulla preesistente integrità psicofisica del ricorrente, non solo in riferimento agli aspetti statico-funzionali della lesione, ma anche sulla base dei riflessi dinamico-relazionali che essi determinano rispetto alle attività, alle situazioni e ai rapporti in cui il soggetto esplica se stesso nella propria vita di tutti i giorni (comuni attività “esistenziali”). E, in concreto, la menomazione descritta, incidendo negativamente sulla funzionalità della colonna lombosacrale, agisce sulla tolleranza allo sforzo e sulla resistenza nel corso di attività manuali complesse, durature e impegnative e nel corso di attività che richiedano continui piegamenti della cerniera dorsolombare, il mantenimento continuo della posizione ortostatica o seduta, la corsa e la deambulazione su scale e terreni scoscesi, e, infine, la pratica di molte attività sportive (ancora in parte ammesse, ma con non trascurabili limitazioni).   Per la valutazione del danno biologico, il C.T.U. ha fatto riferimento alla tabella delle menomazioni I.N.A.I.L. sul danno biologico di cui al ### 12/07/2000 e alla tabella allegata all'ultima edizione delle ### della ### di ### e delle ### (2016), le quali, nelle loro proposte valutative per le menomazioni del rachide lombosacrale presentano orientamenti piuttosto omogenei. E dunque, sulla base dei suddetti riferimenti tabellari, tenuto conto del fatto che l'ingravescenza anatomo-radiologica e funzionale della menomazione de quo osservata in epoca successiva al pensionamento non può essere attribuita, se non in misura marginale, alle vicende lavorative per cui è causa, la menomazione dell'apparato muscolo-scheletrico in esame, riconducibile alla sopra indicata eziologia lavorativa, comporta la presenza di esiti permanenti che il perito ha valutato nella misura del 6% con riferimento al danno biologico, con decorrenza dalla data del pensionamento (2004).   Venendo all'infermità della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale”, il perito ha osservato che è evidente che l'utilizzo, per lungo tempo, di strumenti e attrezzature di lavoro particolarmente rumorosi abbia determinato l'insorgenza della decritta infermità, la quale, in ragione delle sue caratteristiche e natura così come deducibili dal tracciato audiometrico del 1989, nel caso di specie conserva tutti i requisiti dell'ipoacusia da rumore. Essa è infatti di tipo neurosensoriale, è bilaterale e sufficientemente simmetrica e interessa prevalentemente le alte frequenze del campo tonale.   Anche in questo caso il perito ha evidenziato che la patologia osservata in sede ###aveva le attuali caratteristiche morfologiche, d'impegno audiologico e clinico-funzionale. In effetti, dall'esame audiometrico eseguito circa 15 anni prima del pensionamento ovvero nel 1989 si evince un quadro assai verosimilmente riconducibile in modo esclusivo a trauma acustico cronico (la curva assume la classica forma a cucchiaio) consistente in una ipoacusia neurosensoriale bilaterale “iniziale” con ### interessamento bilaterale della sola frequenza di 4 kHz con minus pari a 60dB a destra e 55dB a sinistra, il cui danno biologico, utilizzando la formula di ### indicata nelle tabelle S.I.M.L.A. e I.N.A.I.L. citate, è valutabile nella misura dello 0.6%, arrotondato 1%, mentre dall'esame audiometrico eseguito circa 10 anni dopo il pensionamento. ovvero nel 2014 (quando il ricorrente aveva 65 anni), si evince quadro assai verosimilmente in parte riconducibile a trauma acustico cronico (la curva perde la classica forma a cucchiaio è in discesa sulle alte frequenze del campo tonale) consistente in una ipoacusia neurosensoriale bilaterale “avanzata” con ### interessamento delle frequenze di 2kHz con minus pari a 35dB a destra e 35dB a sinistra e 4 kHz con minus pari a 75dB a destra e 70dB a sinistra, il cui danno biologico, utilizzando la formula di ### indicata nelle tabelle tabelle S.I.M.L.A. e I.N.A.I.L. è valutabile nella misura del 2,96%, arrotondato, 3%) e, infine, dall'esame audiometrico eseguito circa 20 anni dopo il pensionamento ovvero nel 2024 (quando il ricorrente aveva 75 anni) si evince quadro assai verosimilmente in piccola parte riconducibile a trauma acustico cronico (la curva perde la classica forma a cucchiaio è in discesa sulle alte frequenze del campo tonale), ma più propriamente riconducibile a marcata componente presbiacusica associata alla vasculopatia e alla neuropatia periferica indotta dall'ipertensione arteriosa e dal diabete mellito, consistente in una ipoacusia neurosensoriale bilaterale “avanzata” con interessamento delle frequenze di 1kHz con minus pari a 45dB bilateralmente, di 2kHz con minus pari a 70dB a destra e 75dB a sinistra, di 3kHz con minus pari a 85dB a destra e 80dB a sinistra, e, infine, di 4 kHz con minus pari a 95dB a destra e 100dB a sinistra, il cui danno biologico, utilizzando la formula di ### indicata tabelle S.I.M.L.A. e I.N.A.I.L., è valutabile nella misura del 2,96%, arrotondato, 3%).   E dunque, tenuto conto del fatto che l'ingravescenza audiologica e funzionale della menomazione de quo osservata in epoca successiva al pensionamento non può essere attribuita alle vicende lavorative per cui è causa, la menomazione dell'apparato uditivo in esame (“ipoacusia neurosensoriale bilaterale”), riconducibile alla sopra indicata eziologia lavorativa presso la convenuta, comporta la presenza di esiti permanenti che sono stati valutati dal C.T.U. nella misura pari al 1,5%-2% (un punto e mezzo - due punti percentuali) con riferimento al danno biologico, con decorrenza dalla data del pensionamento (2004).   Il danno biologico attribuibile complessivamente alle infermità della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale” e della “sindrome algo-disfunzionale del rachide lombosacrale di grado moderato consistente in lombalgia cronica”, sulla base dei criteri comunemente utilizzati nella valutazione di menomazioni coesistenti, è stato valutato dal CTU nella misura complessiva del 7% (sette per cento), con decorrenza dalla data del pensionamento (2004).   Si osservi che il ### della parte convenuta ha concordato sulle conclusioni peritali, sia in merito alla esclusione della riconducibilità a cause lavorative della patologia del rachide cervicale, della sindrome del tunnel carpale destra e dell'ernia ombelicale, sia in merito alla riconducibilità a cause lavorative e alla valutazione medico-legale del danno biologico conseguente del 7% delle patologia del rachide lombare e di quella dell'apparato uditivo.   ### della parte ricorrente ha invece contestato le conclusioni raggiunte dal perito in merito alla esclusione della riconducibilità a cause lavorative della patologia del rachide cervicale, osservando che la patologia del rachide cervicale era stata già riconosciuta come malattia professionale dalla Corte d'Appello di ### che in letteratura esistono studi che ne sostengono l'eziologia professionale, che la patologia in questione sarebbe riconducibile a causa professionali per via dalle posture mantenute dal ### con il capo in iperestensione, per via anche dell'uso del caschetto che riduce il campo visivo in verticale, e che a tale menomazione può essere attribuito un coefficiente di danno biologico del 12%. ###.T.P. ha poi osservato che la patologia del rachide lombare “già di per sé aggravata dalla presenza di una radicolopatia degli arti inferiori” sarebbe “tale da meritare una valutazione in termini di danno biologico nella misura non inferiore al 14%” e che la patologia uditiva in diagnosi sarebbe “valutabile nella misura non inferiore all'otto per cento”. ###.T.P. ha anche asserito che anche la “sindrome del tunnel carpale bilaterale” sarebbe riconducibile a eziologia lavorativa per via dell'esposizione del ricorrente a vibrazioni e che il danno biologico complessivo dovrebbe essere valutato nella misura del 27%. Ha osservato in ultimo il C.TP. che il C.T.U. ha valutato il caso “in ambito prettamente assicurativo ### e non nell'ambito specifico che ci occupa” e che “le patologie osteoarticolari-degenerative debbono essere valutate non fino all'epoca di cessazione del rapporto di lavorativo, bensì successivamente per il carattere ingravescente delle stesse, ferma restando la sussistenza dei nocivi fattori lavorativi derivanti anche dalle ‘mancanze datoriali' di cui sopra”.   Orbene, sul primo punto oggetto d'osservazione critica il perito ha convincentemente dedotto che non v'è evidenza alcuna che le patologie artrosico-degenerative del rachide cervicale possano essere sostenute dal sovraccarico biomeccanico mentre v'è qualche evidenza per il rischio posturale, il quale, per via delle caratteristiche delle attività svolte dal ricorrente, non può però essere sostenuto nel caso de quo, non essendo stato il ricorrente impiegato in posture quali quelle assunte da un restauratore, né da un pittore edile, né da un intonacatore. Il perito ha anche osservato che la tabella delle malattie professionali non include, tra le patologie oggetto di tutela, quelle de rachide cervicale, né esse sono contenute nelle liste nel D.M. n.141 del 15 novembre 2023.   Sul secondo punto oggetto di osservazione critica da parte del C.T.P., il C.T.U. ha ribadito che l'epoca remota della cessazione dell'attività lavorativa e le molteplici concause sopravvenute (età, sovrappeso - obesità, fattori costituzionali e sovraccarico biomeccanico extra-lavorativo) assorbono del tutto, sul piano quali-quantitativo, l'eziologia dell'ingravescenza sia della patologia uditiva sia di quella del rachide lombare, cui può essere attribuita una valutazione complessiva, in termini di danno biologico, non superiore al 7%.   Circa la sindrome del tunnel carpale destra (destra e non “bilaterale”, come sostenuto dal C.T.P.), il C.T.U. ha evidenziato mancano del tutto, nel caso de quo, i fattori di rischio professionali, considerato che essa è comparsa soltanto nel 2015, oltre 10 anni dopo la cessazione dell'attività lavorativa).   In definitiva, il perito ha concluso nel senso che il ricorrente è affetto dallo stato patologico dedotto in ricorso, che attualmente consiste in: ### cervicalgia cronica da protrusioni discali da ### a ### e cervico-artrosi con associata sofferenza neurogena cronica nel territorio ###-### sinistro e ###-###-### destro EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### lombalgia cronica da protrusioni discali multiple da ### a ###, con segni EMG di sofferenza cronica da ###-###-### bilaterale EMG accertata il 03/2015 e il 03/2024; ### segni EMG (03/2015) di sindrome del tunnel carpale di grado moderato a destra ad attuale lieve impegno funzionale; ### ipoacusia neurosensoriale bilaterale; ### ernia ombelicale.   Le infermità di cui ai punti ###, ### e ### non sono eziologicamente riconducibili alle vicende lavorative occorse al ricorrente alle dipendenze della società convenuta. Le infermità di cui ai punti ### e ### - “lombalgia cronica da protrusioni discali multiple” e “ipoacusia neurosensoriale bilaterale” - sono, seppure parzialmente, in correlazione causale con le vicende lavorative occorse al ricorrente alle dipendenze della società convenuta.   Esse comportano la presenza di esiti permanenti che possono essere valutati nella misura del 7% con riferimento al danno biologico, con decorrenza dall'epoca del pensionamento. Del ricorrente.   Orbene, ritiene il ### che non si possa che giungere ad una conclusione di responsabilità del datore di lavoro nella insorgenza delle richiamate due patologie.   In particolare, pare evidente che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare precauzioni idonee ad evitare che i dipendenti fossero esposti senza alcuna protezione ai molteplici fattori morbigeni susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa propedeutica e conseguenziale alla elettrificazione.   Tale obbligo, essenzialmente, può ricollegarsi all'art.2087 c.c., che in generale impone all'imprenditore di adottare ogni misura idonea a tutelare l'integrità fisica del prestatore di lavoro.   In conseguenza della mancata adozione di queste regole di sicurezza, desumibili dalla disposizione generale in precedenza richiamata, va allora affermata la responsabilità - per colpa generica - del datore di lavoro in ordine all'insorgenza a carico dell'attore delle accertate patologie.   Per completezza va osservato che la responsabilità civile del datore di lavoro avrebbe potuto essere esclusa solo in caso di dolo del lavoratore o nel caso del cd. rischio elettivo - generato da un comportamento del lavoratore non avente rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa ed esorbitante dai limiti di essa - ma situazioni di tal genere non sono affatto emerse dall'istruttoria.   Neanche é stata provata una qualche colpa del lavoratore dovuta ad imprudenza, imperizia, negligenza, atteso che nessun elemento è emerso in giudizio che faccia ritenere che l'attore possa aver anche soltanto concausato l'insorgenza delle riscontrate malattie.   In ogni caso, come osservato chiaramente dalla giurisprudenza della Cassazione (cfr., ex plurimis e da ultimo, Cass. n.4980/2023), anche l'accertamento di un'eventuale condotta del lavoratore connotata da imprudenza o disattenzione non rileva quando il datore di lavoro abbia omesso di approntare i mezzi di protezione necessari per garantire l'incolumità del lavoratore o abbia omesso di vigilare sull'utilizzo da parte del lavoratore dei mezzi di protezione per lui predisposti.   In tali ipotesi, infatti, la condotta dell'imprenditore si pone quale antecedente causale di per sé sufficiente ad assorbire l'eventuale colpa del danneggiato, con esclusione quindi dell'applicabilità dell'art.1227, 1° comma, c.c. che disciplina la rripartizione dellaresponsabilità nel caso di concorso del danneggiato nella determinazione dell'evento dannoso.   In definitiva, l'entità delle conseguenze risarcitorie - nelle ipotesi viste, che ben si attagliano al caso di specie - grava totalmente sul datore di lavoro.   La conclusione alla quale si è giunti - della sussistenza, cioè, di una responsabilità del datore di lavoro in ordine alla determinazione della malattia professionale - va vista anche nel quadro dei contrapposti oneri probatori gravanti sulle parti nel caso di malattia o infortunio sul lavoro.   Incombe infatti al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, mentre il datore di lavoro ha l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che i danni subiti dal dipendente non siano ricollegabili alla inosservanza di tali obblighi.   Nella specie, il convenuto non ha assolto ai suoi oneri probatori, anzi è emersa la mancanza di quelle misure precauzionali che avrebbero impedito l'insorgenza della emersa tecnopatia.   Venendo alle conseguenze dell'accertata responsabilità civile del datore di lavoro, osserva il ### che è necessario svolgere una serie di considerazioni, tenuto conto che trova applicazione la normativa prevista dal D. Lgs. 23 febbraio 2000 n.38, che ha esteso la copertura assicurativa in caso di infortuni o malattie professionali anche al risarcimento del danno biologico, con conseguente esenzione da responsabilità civile del datore di lavoro ex art.10 D.P.R. n. 1124/1965.   In effetti, dopo la riforma introdotta dal D.Lgs. n.38/2000 la copertura assicurativa dell'I.N.A.I.L.  comprende anche l'indennizzo del danno biologico superiore al 6%.   Da un punto di vista temporale il problema si pone esclusivamente, come già sottolineato, per gli eventi cui si applica il nuovo sistema assicurativo e dunque, ai sensi dell'art. 13 D.Lgs. n.38/2000, come modificato dall'art.1 D.Lgs. 19 aprile 2001, n.202, per i soli danni conseguenti ad infortuni sul lavoro verificatisi, nonché a malattie professionali denunciate a decorrere dal 25 luglio 2000.   Nella specie la normativa in questione risulta applicabile, essendo state le malattie professionali denunciate in epoca successiva al 15.7.2000.   Orbene, ai sensi dell'art.10, comma 7°, D.P.R. n.1124/65, "quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate".   Si osservi che nel presente giudizio non assumono rilievo le modifiche del richiamato art.10 del D.P.R. n.1124 del 1965, introdotte dall'art.1, comma 1126, della L. n.145 del 2018, giacché la Corte di Cassazione ha chiarito che esse non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell'1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge (cfr. Cass. n.8580/2019).   Tanto chiarito, va osservato che l'esonero da responsabilità riconosciuto comunque al datore di lavoro dall'art.10, comma 7°, D.P.R. n.1124/65, nella versione applicabile ratione temporis, fino all'ammontare del danno indennizzato (o indennizzabile) dall'I.N.A.I.L. opera ex lege e non può essere condizionato ad una scelta discrezionale del lavoratore.   Si tratta dunque di stabilire se il lavoratore, vittima di un infortunio su lavoro o di una malattia professionale, abbia ancora diritto di chiedere al datore di lavoro - civilmente e penalmente responsabile del fatto - il risarcimento del danno biologico ulteriore (o differenziale) rispetto a quello indennizzato dall'I.N.A.I.L. a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. n.38/2000.   Ritiene il ### che la complessa e discussa questione richieda alcune premesse si carattere storico e sistematico.   ### l'originario impianto del D.P.R. n.1124/65 la costituzione della rendita I.N.A.I.L.  presupponeva una menomazione comportante una riduzione della “attitudine al lavoro”.   Ai sensi dell'art. 74 D.P.R. n. 1124/65, infatti, “agli effetti del presente titolo deve ritenersi inabilità permanente assoluta la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale la quale tolga completamente e per tutta la vita la attitudine al lavoro”.   Tale nozione, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, coincideva sostanzialmente con la “capacità lavorativa generica”.   La Corte costituzionale, con sentenza 21 novembre 1997 n.350, ha confermato tale interpretazione, assunta in termini di diritto vivente.   ###.N.A.I.L. risarciva quindi un danno di natura patrimoniale.   ### I.N.A.I.L. prescindeva - e tuttora prescinde - dall'accertamento di una reale perdita di guadagno dovuta all'impossibilità di svolgere attività lavorative specifiche, tant'è che si fa luogo a risarcimento anche laddove il lavoratore, a seguito del danno, continui a svolgere le stesse identiche mansioni, senza alcuna riduzione retributiva.   Non occorreva - e tuttora non occorre - l'esistenza di una effettiva perdita o riduzione dei guadagni, ossia un danno patrimoniale concreto, perché l'assicurazione obbligatoria I.N.A.I.L. non assolve ad una funzione propriamente risarcitoria (cfr., Cass. n.1640 del 16.2.2000; conf. Cass. n.16097/2002).   Al momento della emanazione del T.U. n.1124/1965 vi era una sostanziale, ancorché non perfetta, sovrapposizione tra il danno indennizzato dall'I.N.A.I.L. ed il danno quantificabile secondo criteri civilistici.   All'epoca, infatti, e fino a quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n.184/1986, ha definitivamente introdotto la nozione di “danno biologico”, il danno risarcibile a seguito della lesione del “bene salute” era essenzialmente patrimoniale (nelle due componenti del “danno emergente” e del “lucro cessante”) e spesso anche in campo civile si faceva riferimento al concetto di perdita della capacità lavorativa generica in luogo del danno emergente e del lucro cessante.   In tale contesto si inseriva armonicamente l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile previsto dall'art.10 del D.P.R. n.1124 /1965.   Il lavoratore veniva indennizzato dall'I.N.A.I.L. indipendentemente dall'esistenza di una colpa in capo al responsabile civile (ovvero al datore di lavoro) e riceveva normalmente un indennizzo non minore del risarcimento che avrebbe ottenuto ove avesse agito civilmente contro il datore di lavoro in colpa, posto che all'epoca in sede civile il danno risarcibile non poteva che avere natura patrimoniale e doveva essere puntualmente provato dal danneggiato.   Nel caso in cui il danno avesse superato l'indennizzo corrisposto dall'I.N.A.I.L. il lavoratore era comunque legittimato a chiedere il danno differenziale, ma soltanto ove la condotta del datore di lavoro fosse stata penalmente rilevante, ovvero in presenza di una colpa del datore di lavoro, non puramente generica.   Ovviamente anche il danno differenziale non poteva che avere natura patrimoniale e doveva essere puntualmente provato dal danneggiato.   Tale sistema garantiva al lavoratore che avesse subito un infortunio sul lavoro un risarcimento sostanzialmente non inferiore a quello a lui spettante ove l'infortunio non fosse avvenuto in occasione di lavoro ed anzi, nei casi in l'indennizzo dell'I.N.A.I.L. risultava più alto del risarcimento dovuto in virtù degli ordinari principi civilistici, il lavoratore godeva di una maggior tutela, maggior tutela peraltro giustificata dalla particolare protezione, costituzionalmente garantita, ai diritti dei lavoratori (desumibile dagli artt. 1, 4, 35 Cost.).   Gli equilibri di tale sistema sono stati posti in crisi negli anni '80 dalla comparsa del danno biologico.   Tale figura di danno nasce in campo prettamente civilistico quale danno relativo alla lesione del bene salute in sé considerato senza alcuna connotazione patrimoniale.   In tal modo il risarcimento del danno civile da lesione non viene più a coincidere con l'indennizzo previdenziale, che risulta nettamente inferiore al danno risarcibile secondo criteri civilistici.   Il sistema normativo sin qui descritto viene quindi profondamente modificato o meglio stravolto da una serie di pronunce della Corte Costituzionale.   Le prime sentenze della Corte incidono sulla necessità dell'accertamento preliminare e pregiudiziale della responsabilità penale del datore di lavoro al fine della successiva azione volta al risarcimento del danno differenziale.   All'esito di tre significative pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n.22/1967; n.102/1981; n.118/1986) l'accertamento della responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore che chieda il risarcimento del danno differenziale (così come nei confronti dell'I.N.A.I.L. che agisca in regresso) è oggi svincolato dagli esiti del procedimento penale, salvo che la parte offesa o l'### non abbiano scelto di partecipare al processo penale.   Con tre sentenze intervenute nell'arco dello stesso anno (n.87/1991, n.356/1991 e n.485/1991) la Corte Costituzionale interviene poi sui limiti relativi all'entità del risarcimento che l'infortunato può chiedere al datore di lavoro con l'azione.   Con la sentenza n.87/1991 la Corte, dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt.2, 3 e 74 del D.P.R. n.1124/65, afferma espressamente che il danno biologico non rientra nella copertura I.N.A.I.L..   Con la seconda pronuncia (sentenza 18 luglio 1991 n.356) la Corte dichiara costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art.38 Cost., l'art.1916 c.c., nella parte in cui consente all'assicurazione sociale di avvalersi, nell'esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da questi dovute all'assicurato a titolo di risarcimento del danno biologico.   La Corte afferma in particolare che "le indennità previste dal D.P.R. n. 1124/65 sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella propria vita".   Infine, con la sentenza 27 dicembre 1991 n.485, la Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.10 del D.P.R. del 1965 nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare dell'indennità corrisposta dall'I.N.A.I.L. e coerentemente ha ritenuto l'illegittimità dell'art.11 del medesimo decreto nella parte in cui consente all'I.N.A.I.L. l'esercizio del regresso anche per le somme dovute al lavoratore a solo titolo di danno biologico.   In precedenza, infatti, la giurisprudenza, per verificare la sussistenza del "danno differenziale" (ai sensi dell'art.10 del D.P.R. del 1965) procedeva ad una mera operazione di sottrazione di grandezze tra loro solo aritmeticamente omogenee e cioè sottraeva il valore capitale della rendita erogata dall'I.N.A.I.L. all'assicurato dall'importo complessivo del risarcimento, includendo in quest'ultimo anche voci di danno (come il danno biologico ed il danno morale) escluse dalla copertura assicurativa.   Per effetto di questo meccanismo di calcolo, quando l'ammontare delle prestazioni globalmente erogate dall'I.N.A.I.L. era - come spesso avveniva - superiore alla somma complessivamente liquidabile al lavoratore a titolo di risarcimento del danno alla persona secondo le ordinarie regole civilistiche, nulla risultava dovuto per risarcimento del danno alla salute in sé considerato.   A seguito di queste pronunce la regola dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali di cui all'art. 10 D.P.R. n. 1124/65 diviene realmente residuale.   Il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno biologico subito dal lavoratore anche nel caso in cui ricorrano gli estremi dell'esonero (per il danno eccedente le prestazioni I.N.A.I.L.).   Anche in assenza di illecito penale (ad integrare gli estremi del quale è comunque sufficiente, secondo la costante giurisprudenza, l'inosservanza, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di sicurezza che su di lui incombe ex art. 2087 c.c., essendo indiscussa la indiretta rilevanza penale, sotto il profilo della colpa, di tale norma fondamentale) il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno alla salute patito dal dipendente (sempre che ovviamente ricorrano i consueti presupposti di imputazione della responsabilità civile, cioè un comportamento colposo dell'imprenditore o di un qualsiasi suo dipendente).   Del pari - e sempre limitatamente al danno biologico - la pretesa risarcitoria del lavoratore non risulta in alcun modo limitata dal sistema del "calcolo differenziale" di cui all'art.10, comma 6° e 7°, D.P.R. n. 1124/65.   In tal modo la regola - già residuale - dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni e le malattie professionali risulta ulteriormente ristretta.   ### della sussistenza di un reato rileva quindi ai soli fini del risarcimento del danno non patrimoniale e morale.   Nel quadro normativo derivante dai ripetuti interventi della Corte la tutela apprestata dall'assicurazione sociale si riferisce unicamente alla perdita della c.d. capacità lavorativa generica, con esclusione delle altre voci di danno, al cui risarcimento è tenuto il datore di lavoro.   Interviene a questo punto l'art.13 D.Lgs. 28 febbraio 2000, n.38, che estende la copertura assicurativa dell'I.N.A.I.L. non soltanto al danno patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa generica, ma anche all'avvenuta lesione permanente dell'integrità psicofisica del lavoratore in sé e per sé considerata.   ### la nuova disciplina: - le menomazioni di grado inferiore al 6% non danno luogo ad alcuna prestazione; - il danno biologico temporaneo non è indennizzato dall'I.N.A.I.L.; - le menomazioni comprese tra il 6% ed il 15%, danno luogo ad un indennizzo in somma capitale, rapportata al grado della menomazione; - le menomazioni pari o superiori al 16%, danno luogo ad una rendita ripartita in due quote: la prima quota è determinata in base al grado della menomazione, cioè al danno biologico subito dall'infortunato, la seconda tiene conto delle conseguenze di natura patrimoniale della menomazione, presunte iuris et de iure.   Recita testualmente l'art. 13 co. 1° d. lgs. n. 38/2000: “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona. Le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato”.   ###.M. 12 luglio 2000 è stata emanata una serie di tabelle che prevedono i gradi percentuali di invalidità corrispondenti a ciascuna singola menomazione; il valore monetario del punto di invalidità, in base al quale liquidare il danno biologico in forma di capitale; il valore monetario delle rendite, in base alle quali liquidare il danno biologico in forma capitale; i coefficienti in base ai quali moltiplicare il reddito dell'infortunato, per liquidare il danno da ridotta capacità lavorativa.   ### una tesi minoritaria la nuova estensione della garanzia assicurativa dell'I.N.A.I.L.  introdotta dal D. Lgs. n. 38/2000 escluderebbe la possibilità di configurare un danno biologico "differenziale" suscettibile di risarcimento da parte del datore di lavoro (Tribunale di Torino, ### 16 giugno 2003 n. 3393; Tribunale di Vicenza, ### 3 giugno 2004 n. 82).   Tale tesi comporta una inammissibile interpretazione abrogatrice dell'art.10, comma 6°, D.P.R.  1124/65 che prevede espressamente - sia come una formulazione letterale che risente dei quattro decenni ormai trascorsi - la configurabilità e la risarcibilità (a determinate condizioni) di un danno differenziale nell'ipotesi in cui le prestazioni erogate dall'I.N.A.I.L. non coprano l'intero danno risarcibile.   In realtà il danno differenziale può essere inteso in due accezioni.   In senso qualitativo costituiscono danno differenziale le tipologie di danno non riconducibili alla copertura assicurativa obbligatoria, quali ad esempio il danno biologico da invalidità temporanea, il danno morale, i vari tipi di danno esistenziale ecc...   Con riferimento a tali tipi di danni non si dubita che perduri la responsabilità del datore di lavoro per i danni non coperti dall'assicurazione I.N.A.I.L..   Prima dell'entrata in vigore dell'art.13 D.Lgs. n.38/2000 era indirizzo giurisprudenziale pacifico quello per cui "in caso di operatività dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale, a norma dell'art.10 D.P.R. n.1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte costituzionale, riguarda la sfera dell'ambito della copertura assicurativa, cioè il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e invece - in armonia con i principi ricavabili dalle sentenze della Corte costituzionale n.356 e 485 del 1991 e con il conseguente nuovo orientamento della giurisprudenza ordinaria sui limiti della surroga dell'assicuratore - non riguarda il danno alla salute o biologico e il danno morale di cui all'art.2059 cod. civ., entrambi di natura non patrimoniale, al cui integrale risarcimento il lavoratore ha diritto ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro"(Cass., 16 giugno 2001, n.8182 ex plurimis; conf. Cass. n.10834/2010).   Il danno differenziale può essere inteso anche in senso quantitativo, correlato essenzialmente alla minor quantificazione economica del danno da invalidità permanente operata dalla tabelle I.N.A.I.L.  del 2000 rispetto a quella operata dalle tabelle create ed applicate, in via equitativa, dalla giurisprudenza in materia di responsabilità civile (per esempio le c.d. tabelle del Tribunale di Milano utilizzate anche da questo Tribunale).   Ritiene il ### che, come del resto sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza allo stato prevalenti, l'indennizzo del danno biologico, introdotto dalla nuova normativa, non precluda il diritto del danneggiato al risarcimento del danno biologico differenziale inteso anche in questa seconda accezione (ovvero in senso quantitativo).   Diversi sono gli argomenti che militano a favore di questa soluzione.   In primo luogo, deve rilevarsi che il D. Lgs. 23 febbraio 2000, n.38 è stato emanato in attuazione dell'art.55 lett. a) legge 17 maggio 1999, n.144, che ha delegato il ### ad emanare, entro nove mesi dalla data della sua entrata un vigore, uno o più decreti legislativi al fine di ridefinire taluni aspetti dell'assetto normativo in materia I.N.A.I.L., con previsione in particolare “…nell'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e nell'ambito di un sistema di indennizzo e di sostegno sociale, di un'idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi”.   ### che precluda il diritto del danneggiato al risarcimento del danno biologico differenziale inteso anche in questa seconda accezione (ovvero in senso quantitativo) comporterebbe dunque un evidente eccesso di delega, posto che la legge delega non prevede alcuna riforma o alcun coinvolgimento dell'ordinario sistema risarcitorio civilistico, ma soltanto l'estensione dell'ambito dell'assicurazione I.N.A.I.L. al danno biologico, con l'introduzione di un idoneo indennizzo (e non risarcimento).   Vi è poi un elemento testuale dato dal fatto che l'art.13 che qualifica l'emolumento a carico I.N.A.I.L. come "indennizzo".   Dal punto di vista della teoria generale del diritto, il termine indennizzo indica un concetto del tutto distinto da quello del risarcimento, posto che il risarcimento è commisurato all'esatta misura del danno, mentre l'indennizzo non copre necessariamente tutte le voci di danno eventualmente scaturite dall'evento.   Inoltre, il risarcimento presuppone necessariamente la sussistenza di un illecito (contrattuale od extracontrattuale), mentre le prestazioni assicurative erogate dall'I.N.A.I.L. sono indipendenti dall'esistenza di un illecito civile e sono garantite a prescindere dalla colpa dell'autore della condotta dannosa (e quindi anche in presenza del caso fortuito) e a prescindere anche dall'esistenza di un responsabile diverso dal danneggiato (essendo riconosciute anche in ipotesi di danno verificatosi per esclusiva colpa del danneggiato).   Dunque l'indennizzo I.N.A.I.L. si distingue dal risarcimento anche per l'assenza del presupposto della colpa, condizione invece necessaria per la risarcibilità del danno biologico civile.   ### obbligatoria I.N.A.I.L. prevede cioè la corresponsione di un minimum sociale garantito anche nelle ipotesi in cui non sia ravvisabile colpa di terzi: il rischio dell'infortunio dovuto a caso fortuito o a colpa dello stesso lavoratore si sposta così sulla collettività.   Da ultimo deve rilevarsi che per postumi inferiori al 6% (e dunque non indennizzati dall'I.N.A.I.L.) nessuno dubita della possibilità del lavoratore danneggiato di agire nei confronti del datore di lavoro per ottenere il risarcimento pieno del danno, certamente quantificato secondo gli usuali criteri civilistici.   Del tutto irragionevole ed ingiustificato sarebbe allora riconoscere la piena risarcibilità dei danni di minore entità ed invece la risarcibilità soltanto parziale (ovvero nei limiti dell'indennizzo I.N.A.I.L.) per i danni alla salute di maggior incidenza.   Più in generale, ove si ritenesse che la disciplina legislativa del 2000 abbia inteso vincolare il Giudice ad un “tetto massimo” di valutazione del danno biologico patito dal lavoratore, al lavoratore danneggiato verrebbe riconosciuto un trattamento deteriore rispetto al danneggiato non lavoratore (al quale tale limitazione non sarebbe applicabile): il che appare non soltanto illogico - e quindi incostituzionale sotto il profilo del principio di ragionevolezza - ma anche contrario a quel favor lavoratoris che deve permeare tutta la disciplina giuslavoristica in ossequio al dettato degli artt.1 e 35 della nostra ### Si deve infatti ritenere che, come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.87 del 1991, "il rischio delle menomazioni dell'integrità psico-fisica del lavoratore, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba di per se stesso godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare".   Dunque, se differenziazioni di tutela possono farsi in relazione al fatto che la menomazione dell'integrità fisica si sia verificata a causa o in occasione dello svolgimento di attività lavorativa, tali differenziazioni possono essere soltanto in melius.   Deve pertanto concludersi che, come sostenuto in dottrina, l'I.N.A.I.L. non indennizza integralmente il danno biologico. Per la parte non indennizzata, può ritenersi che non vi sia prestazione previdenziale: "se non si fa luogo a prestazione previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l'assicurazione cade l'esonero".   Il lavoratore è allora legittimato a richiedere quanto non indennizzato dall'I.N.A.I.L. direttamente al datore di lavoro civilmente responsabile.   La ritenuta differenza ontologica tra il risarcimento del danno e l'indennizzo I.N.A.I.L. (anche se relativo al medesimo danno) comporta che non necessariamente debba esservi omogeneità dei parametri valutativi dell'una e dell'altra categoria: sicché non vi è ragione per cui il Giudice della responsabilità civile non possa continuare ad applicare i consueti criteri equitativi di liquidazione del danno anche in presenza di una fattispecie dannosa comportante l'erogazione di prestazioni da parte dell'I.N.A.I.L..   Si aggiunga che, anche dal punto di vista testuale, l'art. 13 D.Lgs. n.38/2000 introduce una definizione di danno biologico: “in via sperimentale”; “in attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento”; “ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni su lavoro”.   Ciò significa che tale definizione non può essere estesa ad altri campi del diritto e in particolare a quello civile, per il quale si resta in attesa di una definizione di carattere generale che fissi i criteri per la determinazione del risarcimento.   Si aggiunga che, a distanza di un anno, il legislatore ha introdotto, con l'art.5 della legge n.57/2001, una ulteriore - e diversa - disciplina settoriale del danno biologico, destinata questa volta a valere nell'ambito della responsabilità civile da circolazione stradale e della connessa assicurazione obbligatoria.   Un danno biologico pari all'8% patito da un soggetto di anni 50 viene indennizzato dall'I.N.A.I.L.  con un importo capitale di £ 10.920.000, pari a €.5.693,71.   Lo stesso danno sarebbe stato risarcito in base alle tabelle della L. n.57/2001 in €.8.742,59, oltre all'inabilità temporanea.   Dunque, un lavoratore vittima incolpevole di un incidente stradale “in itinere” dovrebbe accontentarsi del risarcimento previsto dal D. Lgs. n. 38/00, non potendo ottenere l'integrale indennizzo del proprio danno alla salute nei confronti dell'assicurazione del responsabile.   Ove poi non si tratti né di infortunio sul lavoro, né di sinistro automobilistico, per il medesimo danno verrebbe riconosciuto un risarcimento più elevato in base all'applicazione delle tabelle medicolegali e risarcitorie in uso al Tribunale.   In realtà, l'art.5, 4° comma, L. n.57/2001, in materia di responsabilità civile da circolazione stradale, al di là della quantificazione standard - uguale per tutti - del danno biologico, prevede espressamente la possibilità di ottenere giudizialmente un “risarcimento ulteriore” sotto il profilo della personalizzazione e individualizzazione del danno.   La mancata previsione di tale possibilità nell'art.13 D. Lgs. n.38/00 trova giustificazione e razionale inquadramento sistematico nella perdurante possibilità di richiedere direttamente al datore di lavoro, responsabile civilmente, il risarcimento del danno differenziale.   Deve dunque concludersi che il lavoratore è tuttora legittimato a richiedere direttamente al datore di lavoro civilmente responsabile il risarcimento del danno non indennizzato dall'I.N.A.I.L. (ovvero del c.d. danno differenziale).   In caso di mancata denuncia all'I.N.A.I.L. o in caso di mancata liquidazione dell'indennizzo da parte dell'I.N.A.I.L., si pone il problema se il datore di lavoro continui a rispondere integralmente del danno biologico ai sensi dell'art.2087 c.c. anche per malattie professionali manifestatesi dopo il 25 luglio 2000.   Il disposto dell'art.10, comma 7°, D.P.R. n. 1124/65, ai cui sensi "quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate", sembra imporre una risposta negativa a tale quesito.   ### da responsabilità riconosciuto comunque al datore di lavoro fino all'ammontare del danno indennizzato (o indennizzabile) dall'I.N.A.I.L. opera ex lege e non può essere condizionato da una scelta discrezionale del lavoratore (l'esonero non può, ad esempio, venir meno a seguito dell'inerzia del lavoratore che abbia lasciato decorrere il termine prescrizionale per richiedere le prestazioni I.N.A.I.L.).   In altre parole il lavoratore non può legittimamente disporre, annullandolo, del diritto del datore di lavoro al parziale esonero della responsabilità civile ex art. 10 D.P.R. n. 1125/65.   La norma di cui all'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965, commi 6 e 7, prevede che il risarcimento spettante all'infortunato sul lavoro o ai suoi aventi diritto sia dovuto solo nella misura differenziale derivante dal raffronto tra l'ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'I.N.A.I.L. in dipendenza dell'infortunio, al fine di evitare una ingiustificata locupletazione in favore degli aventi diritto, i quali, diversamente, percepirebbero, in relazione al medesimo infortunio, sia l'intero danno, sia le indennità. Tale danno "differenziale" devo essere, quindi, determinato sottraendo dall'importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli art. 1223 e ss., 2056 ss c.c.) quello delle prestazioni liquidate dall'I.N.A.I.L., riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione (Cass., 25 maggio 2004, n. 10035).   A fronte di tale esonero, si deve dunque comunque detrarre dal risarcimento biologico quanto il lavoratore abbia ottenuto dall'I.N.A.I.L. ovvero avrebbe potuto ottenere usando l'ordinaria diligenza (quantum che corrisponde all'esonero cui il datore di lavoro ha diritto).   Nella specie, si dovrà quindi tenere conto di quanto liquidato dall'I.N.A.I.L. al ricorrente a titolo di indennizzo ex art.13 D.Lgs. 38/2000 per le malattie professionali per cui è causa, indennizzo pari alla misura di €.8.967,44. Si osservi, al riguardo, che la quota di danno biologico erogata dall'I.N.A.I.L. è stata pari a €.7.561,08 (cfr. prospetto di liquidazione I.N.A.I.L.: doc. n.72 ###, alla data del 22.11.2017. Orbene, ai fini dell'individuazione del danno differenziale è necessario riportare gli importi da sommare ### ad una medesima data (in modo da rendere omogenei i valori da sommare). Pertanto è necessario rivalutare gli importi erogati all'attore dall'I.N.A.I.L. alla data di emissione della ### di ### di riferimento, vale a dire alla data del 04.06.2024. Quindi, procedendo alla rivalutazione di €.7.561,08 dalla data di erogazione del 22.11.2017 alla data della tabella attuariale 04.06.2024 si ottiene la su indicata cifra di €.8.967,44- Orbene, in conseguenza delle svolte considerazioni, accertata la responsabilità di E- ### S.p.A. in ordine all'insorgenza a carico dell'attore ### delle malattie professionali della lombalgia cronica da protrusioni discali multiple e della ipoacusia neurosensoriale bilaterale, dalle quali è derivato al ricorrente un danno biologico in misura del 7%, la resistente va condannata a risarcire al ricorrente il danno non patrimoniale subito, detratto l'indennizzo posto a carico dell'I.N.A.I.L., nei termini sopra specificati.   Osserva il ### che si è fatto riferimento genericamente ad un danno non patrimoniale, alla luce del mutamento di indirizzo della Corte di legittimità.   La Cassazione ha stabilito che la nuova lettura costituzionalmente orientata dell'art.2059 c.c., che svincola il danno morale dalla ricorrenza di un reato (vedi Corte Cost. n.233/2003) consente oggi una tutela risarcitoria della persona ricondotta ad un sistema bipolare (e non più tripolare) costituito dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale; quest'ultimo a sua volta ricomprende in sé sia il danno biologico in senso stretto (compromissione del bene salute sotto il profilo statico, prima ricondotto nell'art. 2043 c.c.), sia il danno morale soggettivo (il pretium doloris), sia il danno conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti (generalmente definito danno esistenziale).   La Corte ha affermato in particolare che il danno non patrimoniale è comprensivo del danno biologico (in senso stretto), del danno morale e della lesione di interessi costituzionalmente protetti; nel vigente assetto dell'ordinamento nel quale assume posizione preminente la ### che all'art. 2 riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, che non si esaurisca nel danno morale e che non sia correlato alla qualifica di reato del fatto illecito ex art.  185 c.p.; unica possibile forma di liquidazione del danno privo delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale ma comprensiva di un pregiudizio non economico (vedi Cass. 2004, n.10157; note “sentenze gemelle” 2003, n.8827; 2003, n.8828).   In altri termini, oggi, anche il danno biologico rientra nell'alveo del danno non patrimoniale, accanto al danno morale, esistenziale, professionale che non sono però voci autonome di danno come più avanti meglio si dirà.   ###. 2059 c.c. è diventato il perno del sistema del risarcimento del danno alla persona (salva la separata risarcibilità del danno patrimoniale) ed è divenuta ampia la nozione di danno non patrimoniale nel quale rientrano in definitiva tutti i danni che possano essere qualificati come l'ingiusta lesione di un interesse inerente la persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica e tali valori devono aver nel nostro ordinamento un rilievo ed una tutela di portata costituzionale.   Tale tipo di danno va inteso, quindi, quale danno conseguenza, allegato in giudizio dall'istante e liquidato equitativamente sulla base delle risultanze istruttorie e della comune esperienza.   Logico corollario di tale nuova impostazione è addirittura la possibilità di procedere ad una compensazione monetaria cumulativa, nel senso che possono essere inclusi nel medesimo importo il danno biologico in senso stretto (lesione in sé considerata sotto il profilo statico), il danno morale soggettivo ed il ristoro degli ulteriori pregiudizi diversi dalla mera sofferenza psichica.   Le sezioni unite 2008, n.26972, nel risolvere il contrasto in punto di esistenza del danno esistenziale (risolto negativamente nel senso dell'inesistenza del danno esistenziale inteso quale autonoma categoria di danno), e nell'approfondire la nozione di danno non patrimoniale, hanno sostanzialmente confermato il contenuto delle sentenze gemelle del 2003, nn.8827 e 8828 completandole e chiarendole nei termini che seguono.   In particolare, la Corte ha esposto che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge; tali casi si dividono in due grandi categorie: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad es., nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); e quelle in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art.2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla ### La decisione, esaminando il contenuto della nozione di danno non patrimoniale, ha stabilito che quest'ultimo costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva.   Non è conforme, dunque, al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell'unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante.   Da questo principio è stato tratto il corollario che non è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità d'un danno definito “esistenziale”, inteso quale la perdita del fare areddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato.   Quando, per contro, un pregiudizio del tipo definito in dottrina “esistenziale” sia causato da condotte che non siano lesive di specifici diritti della persona costituzionalmente garantiti, esso sarà irrisarcibile, giusta la limitazione di cui all'art. 2059 c.c..   Da ciò le ### hanno tratto spunto per negare la risarcibilità dei danni non patrimoniali cc.dd.  “bagatellari”, ossia quelli futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità, ed hanno al riguardo avvertito che la liquidazione (specie nei giudizi decisi dal giudice di pace secondo equità) di danni non patrimoniali non gravi o causati da offese non serie, è censurabile in sede di gravame per violazione di un principio informatore della materia.   La sentenza è completata da tre importanti precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, liquidazione e prova del danno.   Con riferimento alla responsabilità contrattuale, le ### hanno precisato che anche dall'inadempimento di una obbligazione contrattuale può derivare un danno non patrimoniale, risarcibile nei limiti ed alle condizioni già viste (e quindi o nei casi espressamente previsti dalla legge, ovvero quando l'inadempimento abbia leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla ###.   Per quanto attiene, invece, alla liquidazione del danno ed alle modalità di tale liquidazione, le ### hanno precisato che il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, ma senza duplicazioni: deve, pertanto, ritenersi non corretta la prassi di liquidare in caso di lesioni della persona sia il danno morale sia quello biologico; come pure quella di liquidare nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale: gli uni e gli altri, per quanto detto, costituiscono infatti pregiudizi del medesimo tipo. Resta per il giudice solo la possibilità di adeguare il complessivo risarcimento alle peculiarità del caso esaminato.   Infine, per quanto attiene la prova del danno, le ###, premessa la necessità di adeguata allegazione e prova del danno in linea generale, hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio.   Certamente, infatti, il pregiudizio attiene ad un bene immateriale e si verte nell'ambito della prova di stati soggettivi rispetto ai quali la prova diretta e difficile; pur tuttavia per l'operatività della presunzione e, quindi, per poter risalire al fatto ignoto ### attraverso l'esame dei fatti noti, è sempre necessario che tali ultimi fatti vengano allegati in relazione alla fattispecie concreta e non facendo richiamo a circostanze e formule del tutto astratte e, quindi, di stile.   Orbene, volendo applicare i suesposti principi al caso di specie, va osservato, quanto alla lesione alla salute medicalmente accertata (danno biologico), che il ricorrente ha specificamente dedotto di aver subito un danno differenziale quantitativo, ovvero ha sostenuto che la lesione fisica appurata dal C.T.U., se fosse stata valutata secondo le tabelle giurisprudenziali, avrebbe portato ad una percentuale superiore rispetto quella della tutela I.N.A.I.L., ovvero all'applicazione di un coefficiente di quantificazione superiore e che solo questo maggiore ristoro si palesa equo, secondo le circostanze concrete, a riparare le patologie mediche considerate. Parte ricorrente ha poi invocato il risarcimento del danno differenziale qualitativo, ovvero del danno biologico temporaneo, del danno morale e del danno esistenziale, oggi da considerarsi quali mere componenti del danno non patrimoniale in senso ampio, e non dunque figure autonome di danno, alla luce dei richiamati principi esposti dalle sezioni unite della Cass. 2008, n.26972.   Orbene, a titolo di complessivo danno non patrimoniale subito dal ricorrente, ritiene il ### che si possa liquidare, la complessiva somma di €.18.178,00, tenuto conto della percentuale di danno biologico subito dal ricorrente, accertata in corso di causa (7%) e dell'età di quest'ultimo (59 anni alla data della messa in mora del 17.1.2009: cfr. doc. 73 ###, nonché delle tabelle del Tribunale di ### predisposte appunto in materia di danno non patrimoniale, che - sulla base dei richiamati parametri - fissano la misura di €10.387,00, con aumento personalizzato massimo del 50%, salvo casi eccezionali.   Ritiene il ### che nel caso di specie ricorra una situazione che consente di individuare una percentuale di personalizzazione tale da giungere all'importo di €.18.178,00, sopra indicato, tenuto conto di quanto evidenziato dall'espletata C.T.U e del patema vissuto dall'attore per tutti gli anni di servizio prestato nell'assenza di misure atte a prevenire o ridurre i rischi lavorativi..   Dalle somme sopra indicate, andrà poi detratto l'indennizzo erogato dall'I.N.A.I.L., nella misura sopra indicata..   La convenuta E-### S.p.A. va quindi condannata a risarcire a ### il danno non patrimoniale da questi subito, quantificato in €.18.178,00, oltre interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalla data della presente sentenza al saldo, dal quale va detratto quanto liquidato dall'I.N.A.I.L. al ricorrente a titolo di indennizzo ex art.13 D.Lgs. 38/2000, in misura di €.8.967,44. Vanno invece rigettate le pretese attoree di riconoscimento di “interessi compensativi” sulle somme determinate come sopra, considerato che il risarcimento accordato è già stato calcolato “all'attualità”.   In definitiva, per il complesso delle considerazioni che precedono, la causa va decisa nei termini precisati in dispositivo.   Il mancato accoglimento, per l'intero, delle domande attoree impone la compensazione tra le parti, nei limiti di 1/3, delle spese di lite, mentre la residua parte va posta a carico di parte convenuta, stante la sua prevalente soccombenza, con liquidazione operata tenendo conto delle previsioni di cui al D.M.  55/2014, come aggiornato dal DM n.147/2022, mediante versamento all'erario.   Definitivamente a carico della convenuta rimangono anche le spese del C.T.U., liquidate come da dispositivo P.Q.M.   definitivamente pronunciando, così provvede: a) accerta e dichiara la responsabilità di E-### S.p.A. in ordine all'insorgenza a carico dell'attore ### delle malattie professionali della lombalgia cronica da protrusioni discali multiple e della ipoacusia neurosensoriale bilaterale, dalle quali è derivato al ricorrente un danno biologico in misura del 7%; b) per l'effetto, condanna la E-### S.p.A. a risarcire a ### il danno non patrimoniale da questi subito, quantificato in €.18.178,00, oltre interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalla data della presente sentenza al saldo, dal quale va detratto quanto liquidato dall'I.N.A.I.L. al ricorrente a titolo di indennizzo ex art.13 D.Lgs. 38/2000, in misura di €.8.967,44; c) rigetta le altre domande attoree; d) compensa tra le parti, nei limiti di 1/3, le spese di lite, ponendo a carico di parte convenuta la residua parte, che liquida in favore dell'attore in €.3.609,96 per compenso professionale, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfettario del 15% per le spese generali, da distrarsi in favore dei procuratori di parte ricorrente, dichiaratisi antistatari; e) pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese del C.T.U. Dott. ### liquidate in complessivi €.700,00, oltre I.V.A. e C.P.; f) fissa il termine di 60 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza.   ### 16.4.2025 

Il Giudice
del #### n. 247/2022


causa n. 247/2022 R.G. - Giudice/firmatari: Massimo Lisi

M
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Tribunale di Pavia, Sentenza n. 1/2018 del 02-01-2018

... l'esercizio di uno dei tipici poteri di cui il datore di lavoro è titolare nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, il potere disciplinare, l'esercizio del quale incide sulla sfera giuridica del lavoratore. Il limite della tempestività del procedimento disciplinare (predeterminato dal legislatore mediante la previsione di determinati termini di inizio e fine della procedura) condiziona l'esercizio del potere. Il termine che temporizza la fase endo-procedimentale risponde, invece, ad una ratio diversa essendo posto a garanzia del diritto di difesa del dipendente; ciò è reso evidente dalla possibilità, posta a favore del lavoratore (per gravi ed oggettivi impedimenti), di chiedere un rinvio del termine, proprio per consentire che tale lasso di tempo sia effettivamente utilizzabile dal lavoratore per approntare le sue giustificazioni. Deve ritenersi, allora, che la contrazione del termine di dieci ### giorni determinerà la nullità della sanzione nella misura in cui venga rappresentato, dall'interessato, un pregiudizio sulla raccolta della documentazione e delle informazioni necessarie per far valere le sue ragioni innanzi al datare di lavoro. Trattandosi di termine posto a garanzia (leggi tutto)...

testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di PAVIA ### Il Tribunale, nella persona del giudice del lavoro dott. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I ### iscritta al N. 456/2017 R.G. promossa da: ### (C.F. ###), con il patrocinio dell'avv. ### ed elettivamente domiciliato in ### VIGONI 5 presso lo studio del difensore RICORRENTE contro L.T.M. ### S.R.L. (P.IVA ### ), con il patrocinio degli avv.  ### e ### ed elettivamente domiciliato in ### MESTRE via ### 45 presso lo studio dei difensori RESISTENTE OGGETTO: opposizione L. 92/2012 cd. ###: come in atti ### E ### Con ricorso depositato in cancelleria in data #### adiva questo giudice del lavoro proponendo ricorso in opposizione ai sensi dell'art. 1 comma 51 L. 92/2012 avverso ordinanza del giudice del lavoro del Tribunale di Pavia in data ###, con la quale era stata rigettata l'impugnativa di licenziamento dal medesimo proposta, con condanna al pagamento delle spese di lite. 
A fondamento della propria opposizione il ricorrente deduce: A) la insussistenza della giusta causa del licenziamento: pagine 10 - 12; B) in via subordinata, per violazione delle norme che regolano il procedimento disciplinare e, in particolare, del termine a difesa ex art. 7 l. 300/70 e art. 32 CCNL applicato: pagine 12 - 18. 
La società opposta resiste in giudizio chiedendo in via principale la conferma dell'ordinanza impugnata e, in subordine, il rigetto della domanda di reintegra in servizio contenendo il risarcimento nella misura minima di cui al sesto comma e al quinto comma dell'art 18 Stat lav. 
Respinta la richiesta di ordine di esibizione ex 210 cpc formulata dal ricorrente, all'udienza del 15.12.2017 il giudice tratteneva la causa a sentenza. 
Osserva il giudice. 
Nella fase sommaria il ricorrente lamentava di non aver “mai ricevuto nessuna lettera di contestazione disciplinare né alcuna lettera di licenziamento da parte del proprio datore di lavoro presso il proprio luogo di residenza” . 
A seguito della costituzione in giudizio della società convenuta, il lavoratore aveva appreso le ragioni e le modalità del licenziamento: motivo per cui “rinunciava alla domanda relativa alla declaratoria di nullità per difetto di forma del licenziamento, insistendo nella domanda subordinata relativa alla violazione della procedura ex art. 7 Stat. Lav.”, come si legge al paragrafo 20 di pagina 6 del ricorso in opposizione 22 marzo 2017. 
In sede di opposizione il ricorrente dichiara di svolgere “per la prima volta” ex art. 1, comma 51, della ### 92 del 2012 la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa nel merito dal momento che “ha avuto effettiva conoscenza per la prima volta del provvedimento di licenziamento per giusta causa datato 1.9.2016 (nonché del suo contenuto) soltanto a seguito della costituzione in giudizio di ### s.r.l. con memoria depositata nella prima fase datata 27.01.2017”. 
Il convenuto ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della citata domanda avente per oggetto una diversa causa di illegittimità del licenziamento impugnato, siccome nuova e tardivamente introdotta, in violazione del preciso disposto dell'art. 420 c.p.c.; norma quest'ultima che trova applicazione nella fattispecie in considerazione del fatto che la presente fase di opposizione ai sensi dell'articolo 1, comma 51, della ### 92/2012 costituisce una mera prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente (Cassazione, sezione lavoro, 17 febbraio 2015 n. 3136). 
La convenuta deduce che la allegazione in giudizio di una diversa causa di illegittimità del licenziamento impugnato costituisce una domanda nuova. 
Deve, innanzitutto, ritenersi che l'ampliamento del thema decidendum da sottoporre al giudice della fase di cognizione piena, non sia tardivo come invece censurato da parte della resistente nel presente giudizio, atteso che "Nel rito di cui all'art. 1, commi 48 e segg., della 1. n. 92 del 2012 (cd. rito Fornero), l'attività istruttoria svolta in entrambe le fasi del giudizio di primo grado va valutata unitariamente, senza che si possano scindere per fasi gli adempimenti richiesti alle parti in tema di formazione della prova" (cfr Sei. L, Sentenza n. 13788 del 06/07/2016). 
A questo proposito, difatti, giova ricordare che il rito speciale cosiddetto ### in materia di impugnazione di licenziamento, sia caratterizzato da una struttura unitaria, ancorché bifasica, nel giudizio di primo grado, la quale implica la possibilità di scindere per fasi gli adempimenti richiesti alle parti in tema di formazione la prova. 
In tali termini si è espressa la Corte Costituzionale, chiamata a decidere in ordine alla questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della ### degli artt.  51, primo comma, numero 4), cod. proc. civ., e 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012, "nella parte in cui non prevedono l'obbligo di astensione per l'organo giudicante (persona fisica) investito del giudizio di opposizione ex art. 51, comma 1 "rectius: art. 1, comma 51", I. n. 92 del 2012 che abbia pronunciato l'ordinanza ex art. 1, comma 49". In quella occasione, la Corte ha escluso la natura impugnatoria della fase di opposizione, rilevando che "l'opposizione non verte sullo stesso oggetto dell'ordinanza opposta (pronunciata su un ricorso "semplificato", e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato, indispensabili), né è tantomeno circoscritta alla cognizione di errores in procedendo o in iudicando eventualmente commessi dal giudice della prima fase, ma ...  può investire anche diversi profili soggettivi (stante anche il possibile intervento di temi), oggettivi (in ragione dell'ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purché fondate sugli stessi fatti costitutivi) e procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedotte circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche differenti da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori. Il che, appunto, esclude che la fase oppositoria (nell'ambito del giudizio di primo grado) - in cui la cognizione si espande in ragione non solo del nuovo apporto probatorio, ma anche delle ulteriori considerazioni svolte dalle parti, quantomeno in sede di discussione e nelle eventuali note difensive - possa configurarsi come la riproduzione dell'identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all'ordinanza opposta...".e ancora, "la predetta ordinanza è destinata ad essere assorbita nella statuizione definitiva in esito alla fase di opposizione "che può ben condurre ad un esito differente (rispetto a quello dell'ordinanza opposta) in virtù del nuovo materiale probatorio apportato al processo e del suo ampliamento soggettivo od oggettivo (nei limiti consentiti), anche alla luce della pressoché totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti nell'ambito della prima fase" (cfr. Cort. Cost. n. 78 del 2015). 
Nel medesimo senso, sulla struttura bifasica del procedimento, anche la più recente giurisprudenza di legittimità, a mente della quale "l'eccezione di decadenza dall'impugnativa del licenziamento può essere proposta per la prima volta nella fase di opposizione, che non ha natura impugnatoria, ma si pone in rapporto di prosecuzione, nel medesimo grado di giudizio, con la fase sommaria, tanto che il ricorso che la introduce deve contenere gli elementi indicati dall'art. 414 c.p.c., ossia quelli idonei a delimitare il tema della decisione nel giudizio di cognizione ordinaria" (così Cass. L, Sentenza n. 25046 del 11/12/2015). Ebbene, nel caso in esame non è stata introdotta alcuna domanda nuova ma esclusivamente diversi motivi di doglianza avverso il recesso impugnato, la cui ammissibilità non potrebbe essere preclusa in questo giudizio, trattandosi di un ordinario giudizio di merito anticipato da una fase sommaria, di cui è naturale prosecuzione. 
Questo decidente, infatti, ritiene di dover qualificare la fase oppositiva del rito ### quale fase introduttiva di un ordinario giudizio di merito. 
Pertanto, non potrebbe legittimamente ritenersi vincolante la prospettazione dei fatti in quella prima fase operata, ben potendo le parti introdurre fatti nuovi a fondamento e rafforzamento delle rispettive tesi. 
A rigore, trattandosi di rito speciale e non riscontrandosi nella lettera della legge che lo disciplina ulteriori preclusioni oltre all'impossibilità di coltivare domande diverse da quelle azionate nella fase sommaria, l'introduzione di motivi di doglianza nuovi non potrebbe essere giuridicamente inibita. 
La sollevata eccezione di inammissibilità, pertanto, va disattesa per infondatezza. 
Nel merito il ricorso è comunque infondato. 
Il ricorrente era assunto alle dipendenze di L.T.M. ### S.r.l. con la mansione di autotrasportatore, inquadrato nel terzo livello super del contratto collettivo nazionale di lavoro “### trasporto merci e spedizione”. 
Otteneva un periodo di ferie dal 3 giugno 2016 all'8 luglio 2016 (doc 5 all memoria cost) in cui si recava in ### suo paese natale, Il ricorrente afferma di essersi ammalato il 4 luglio 2016 “vittima di una grave infezione urinaria e di una colica renale che comportava la necessità d un trattamento terapeutico con riposo per 48 giorni” (cfr. paragrafi 5 e 6, pagina 3 del ricorso in opposizione). 
La relativa certificazione medica, “oggetto di traduzione giurata in lingua italiana” sarebbe stata trasmessa via fax alla datrice in data 11 luglio 2016 (cfr. paragrafo 7, pagina 3 ricorso in opposizione). 
La malattia si sarebbe, quindi, protratta ininterrottamente per ulteriori 60 giorni sino al 19 ottobre 2016: nel corso di questo periodo il ricorrente afferma di avere sempre provveduto ad inviare a mezzo fax alla datrice i relativi certificati medici (cfr. paragrafi 9 e 10, pagina 4 ricorso in opposizione). 
Venerdì 15 luglio 2016, dopo quattro giorni di assenza ingiustificata, L.T.M.  ### S.r.l. inviava una raccomandata A/R al dipendente attraverso cui gli contestava l'assenza ingiustificata dal lavoro dal giorno 11 luglio 2016 e lo invitava a comunicarne le ragioni nel termine di dieci giorni (doc. 6 all memoria cost ). 
Tale raccomandata, spedita il 15 luglio 2016 all'indirizzo di residenza del ricorrente che risultava dal contratto di lavoro a #### in Via del ### n. 18, non era stata recapitata al destinatario siccome a quell'indirizzo ### era risultato essere “irreperibile - trasferito” (cfr. doc. 6 cit). 
Nelle more della restituzione della raccomandata, il ricorrente continuava a non presentarsi sul luogo di lavoro. 
Il giorno 12 agosto 2016 la datrice inviava la contestazione disciplinare per assenza ingiustificata dall'11.7.2016 con raccomandata datata 11 agosto 2016 all'indirizzo di residenza di ### a #### in via ### 32 (doc. 8 all memoria cost), come risultante dalla certificazione rilasciata dal Comune di ### in data 2 agosto 2016 (doc. 9 all memoria cost) . 
Tale ultima raccomandata risulta essere stata regolarmente inviata presso la residenza del ### il 13 agosto 2016 ed è quindi tornata “al mittente per compiuta giacenza” dal momento che il destinatario, nonostante il postino avesse lasciato l'avviso di giacenza, non l'ha ritirata, né personalmente, né tramite un delegato (cfr. doc. 8 cit). 
Con raccomandata1 A/R del 1^ settembre 2016 L.T.M. ### S.r.l., richiamando gli illeciti contestati e rilevando la perdurante assenza dal lavoro di ### priva di qualsivoglia giustificazione, comminava nei confronti di quest'ultimo la sanzione disciplinare del licenziamento (doc. 10 all memoria cost). 
Anche tale missiva risulta essere stata regolarmente inviata all'indirizzo di residenza del destinatario il 3 settembre 2016 ove il portalettere, non reperendo nessuno cui consegnare la raccomandata, ha lasciato l'avviso di giacenza. 
Anche in questa circostanza nessuno ha curato il ritiro e la raccomandata è tornata per “compiuta giacenza al mittente” (cfr. doc. 10). 
Non è stata prodotta dal ricorrente alcuna prova relativamente all'invio dei certificati medici prodotti: i report allegati sono assolutamente illeggibili. 
Non può supplire all'onere della prova con le richieste ex art 210 e/o 213 cpc da rivolgere all'### per acquisire la documentazione relativa alla assenza per malattia e alla ### in relazione ai tabulati relativi alle comunicazioni in ingresso sul n fax ### per il periodo 11.7.2016 al 23.8.2016 compreso. 
Si riporta la ordinanza 21.7.2017: “ Il giudice del lavoro, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 23.5.2017 osserva che è principio ormai consolidato in giurisprudenza che l'esibizione a norma dell'art. 210 c.p.c. non possa essere ordinata allorché l'istante avrebbe potuto di propria iniziativa acquisire la stessa documentazione (cfr. Cass. n. 149/2003; Cass. 17948/2006; Cass 2013/24188). 
La sollecitazione fatta dalla parte al giudice affinché eserciti il potere di disporre d'ufficio l'acquisizione di atti della controparte o di terzi non è invero sostitutiva dell'onere che alla parte medesima incombe di fornire le prove che essa sia in grado di procurarsi e che non può quindi pretendere di ricercare mediante l'attività del giudice stesso; ciò in quanto il potere conferito al giudice di merito ex art. 210 c.p.c. deve essere tenuto nettamente distinto dalla produzione in giudizio dei documenti cui la parte è tenuta in base ai principi sull'onere della prova, sicché non può considerarsi in funzione sostitutiva di essa”. 
Il ricorrente è dunque rimasto assente ingiustificato per 30 giorni consecutivi dall'11.7.2016 all'11.8.2016.  ### 32, lettera C), n. 1 del ### di ### “### e trasporto merci” del 26 maggio 2014 che disciplina il rapporto di cui è causa prevede la sanzione del licenziamento disciplinare “nel caso di assenza ingiustificata del lavoratore per almeno quattro giorni consecutivi” (cfr. doc. 12 all memoria cost). 
Sussiste dunque la giusta causa di licenziamento. 
In via subordinata il ricorrente ribadisce l'inefficacia del licenziamento disciplinare per violazione del termine minimo a difesa previsto dall'art. 7 dello Statuto dei ### e dall'articolo 32 del ### di settore. 
Ritiene, infatti, ### che il Tribunale avrebbe errato nel presumere conosciuta la contestazione disciplinare a far data dal 13 agosto 2016, allorquando è stato rilasciato l'avviso di giacenza della relativa raccomandata con avviso di ricevimento, in applicazione dell'articolo 1335 Questa interpretazione, secondo il ricorrente, non terrebbe conto di quella giurisprudenza maggiormente garantista nei confronti del destinatario che si sia trovato “senza sua colpa, nell'impossibilità di venirne a conoscenza” dell'atto inviatogli ( pagina 15, ultimo capoverso del ricorso). 
A detta del ricorrente, in tale ipotesi la presunzione di conoscenza dell'atto “non si ha con il mero pervenimento della missiva all'indirizzo di residenza, ma necessita della prova ulteriore o dell'effettivo ricevimento (attraverso la sottoscrizione dell'avviso di ricevimento) o attraverso il perfezionamento del procedimento di compiuta giacenza” (cfr. pagina 16, ultimo capoverso del ricorso).  “In tale ultima ipotesi - prosegue il ricorso a pagina 17 - ‘la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell'avviso di giacenza (o, nel caso o in cui l'agente abbia, ancorché non tenuto, trasmesso l'avviso di giacenza tramite raccomandata, dalla data di spedizione di quest'ultima), ovvero dalla data di ritiro del piego, se anteriore', a mente del chiaro principio enunciato recentemente dalla stessa Corte di Cassazione, sez. VI, con ordinanza del 02.02.2016, n. 2047” che ha ritenuto applicabile, in via analogica, anche alle raccomandate ordinarie la disciplina dettata dall'articolo 8 della legge 890 del 1982 in materie di notificazione degli atti giudiziari (le raccomandare AG). 
Ebbene, dopo aver sviluppato queste considerazioni, il ricorrente alle pagine 17 e 18 giunge a sostenere che: - il termine per il perfezionamento della conoscenza legale della missiva di contestazione disciplinare sarebbe il ### (ovvero decorsi dieci giorni dal deposito dell'avviso di giacenza, deposito attestato dall'ufficiale postale in data ###): si tratta, dunque, del termine di perfezionamento della cd procedura di “compiuta giacenza”.  - Dunque è dal 23.08.2016 che si deve far decorrere l'ulteriore termine a difesa del ricorrente di dieci giorni, prescritto dall'art. 32 CCNL che sarebbe scaduto il ###.  - Dunque, soltanto a partire dal 03.07.2016 la società datrice avrebbe potuto legittimamente esercitare il proprio potere disciplinare, irrogando la relativa ed eventuale sanzione”. 
Il licenziamento sarebbe, pertanto, illegittimo siccome “adottato … in data ### allorché stava ancora decorrendo il termine a difesa di cui al citato art. 32 CCNL”. 
A prescindere dalla applicazione o meno dell'art. 8 l. 890/1982 si aderisce all'orientamento della Suprema Corte riportato dal convenuto secondo il quale “In materia di licenziamento disciplinare, il termine non inferiore a dieci giorni per la presentazione delle giustificazioni del lavoratore … decorre dalla data di ricevimento della lettera di contestazione disciplinare, rispondendo ad una esigenza di tutela del diritto di difesa del lavoratore, mentre quello di comunicazione del provvedimento disciplinare decorre dalla scadenza dei cinque giorni liberi successivi alla suddetta data di ricevimento, fermo restando che, qualora la comunicazione datoriale sia avvenuta senza il rispetto del suddetto termine, il provvedimento disciplinare non perde efficacia salvo che il lavoratore non dimostri che, a ragione di tale inosservanza, non ha potuto esercitare il proprio diritto di difesa” (Cassazione, ### lavoro, 20 marzo 2015 n. 5714). 
La ratio di questo ragionamento risiede nella distinta natura che caratterizza i diversi termini del procedimento disciplinare, sia nel settore privato che nel settore pubblico. 
Ed invero la ### lavoro della Suprema Corte, con l'arresto n. 17245 del 22 agosto 2016, ha statuito che: “I termini iniziali e finali che cadenzano il procedimento disciplinare rappresentano il limite per l'esercizio del potere disciplinare e alla loro violazione è chiaramente ricollegata la sanzione della decadenza. La violazione di questi termini si sostanzia nella preclusione irrimediabile all'adozione del provvedimento disciplinare, operando in via automatica la decadenza prevista dalla disposizione, in quanto con la fissazione di tale ambito temporale massimo il legislatore ha inteso disciplinare l'esercizio di uno dei tipici poteri di cui il datore di lavoro è titolare nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, il potere disciplinare, l'esercizio del quale incide sulla sfera giuridica del lavoratore. Il limite della tempestività del procedimento disciplinare (predeterminato dal legislatore mediante la previsione di determinati termini di inizio e fine della procedura) condiziona l'esercizio del potere. 
Il termine che temporizza la fase endo-procedimentale risponde, invece, ad una ratio diversa essendo posto a garanzia del diritto di difesa del dipendente; ciò è reso evidente dalla possibilità, posta a favore del lavoratore (per gravi ed oggettivi impedimenti), di chiedere un rinvio del termine, proprio per consentire che tale lasso di tempo sia effettivamente utilizzabile dal lavoratore per approntare le sue giustificazioni. 
Deve ritenersi, allora, che la contrazione del termine di dieci ### giorni determinerà la nullità della sanzione nella misura in cui venga rappresentato, dall'interessato, un pregiudizio sulla raccolta della documentazione e delle informazioni necessarie per far valere le sue ragioni innanzi al datare di lavoro. Trattandosi di termine posto a garanzia del diritto di difesa del lavoratore, la decadenza dall'esercizio del potere disciplinare opererà quando la contrazione del termine abbia determinato un nocumento al lavoratore stesso ed alle sue prerogative di difesa. 
Se, pertanto, il carattere perentorio dei termini iniziali e finali del procedimento disciplinare risponde al principio di tempestività ed immediatezza (riscontrabile anche nell'impiego privato, pur se inteso in senso relativo e non cristallizzato in precisi termini legislativi, salvo specifiche previsioni dei contratti collettivi) e il rispetto condiziona l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, diversa ragione fondante ha la previsione del termine minimo per l'audizione del dipendente, che consente all'interessato di predisporre una adeguata difesa da sottoporre al datore di lavoro e la cui violazione determina la nullità del procedimento ove il dipendente deduca e dimostri che il suo diritto di difesa è stato frustrato dalla contrazione del termine.  … Va, inoltre, richiamata una recente decisione che, proprio con riguardo al termine minimo di dieci giorni per la presentazione di osservazioni del lavoratore alla contestazione disciplinare previsto da specifica disposizione di contrattazione collettiva, ha ritenuto di ricollegare un profilo di illegittimità del provvedimento disciplinare solamente nell'ipotesi in cui emerga che la contrazione del termine posto a difesa del dipendente abbia prodotto un pregiudizio (cfr. Cass. n. 5714/2015). 
Sia nel settore privato che nel settore pubblico, la sanzione della illegittimità del licenziamento in caso di violazione del termine posto per le difese del lavoratore viene sempre collegata alla deduzione di un pregiudizio subito nell'articolazione delle giustificazioni da fornire al datare di lavoro” (Cassazione, ### lavoro, 22 agosto 2016 n. 17245). 
Alla luce delle precedenti considerazioni, non solo non risulta provato né allegato, ma non può nemmeno dirsi in alcun modo ipotizzabile, un concreto pregiudizio al diritto di difesa del ricorrente per il fatto che il provvedimento di licenziamento sia stato lui comunicato il 1 settembre anziché il 3 settembre 2016, rilevato che lo stesso è rientrato dalla ### per sua stessa ammissione alla fine di ottobre 2016. 
Il ricorso va dunque integralmente respinto. 
Tenuto conto della natura della controversia, della condotta processuale ed extraprocessuale delle parti (ed in particolare del fatto che la convenuta non ha manifestato alcuna disponibilità conciliativa) e della diversa condizione economica dei soggetti in causa, si ritengono sussistere le condizioni per compensare integralmente tra le parti le spese di lite ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c..  P.Q.M.  definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione e istanza disattesa od assorbita, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta da ### per l'effetto, conferma integralmente l'ordinanza ex art. 1, comma 49, legge 28 giugno 2012 n. 92, pronunciata inter partes in data ###; - compensa integralmente le spese di lite. 
Pavia 27.12.2017 

Il Giudice
del lavoro ### n. 456/2017


causa n. 456/2017 R.G. - Giudice/firmatari: Malandrino Rosa Anna, Ciota Massimo, Ferrari Federica

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