testo integrale
SENTENZA sul ricorso iscritto al n. ###/2021 R.G. proposto da: ### elettivamente domiciliata in ### TARVISIO 2, presso lo studio dell'avvocato ### (###) rappresentata e difesa dagli avvocati ### (###), ### (###) -ricorrente contro ###'###### E ### domiciliat ####### presso la ### della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato ### 2 di 38 (###) -controricorrenti nonché contro ### domiciliat ####### presso la ### della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati #### (###), ### (###) -controricorrente nonché contro ### -intimato avverso la SENTENZA di CORTE D'### n. 223/2021 depositata il ###.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal #### termin i che seguono, l'an tefatto processuale. Le sa nella quota di legittima a lei spettan te, ### figl ia d i ### di ### deceduto il ###, con citazione notificata il ### ag iva in riduz ione ex art. 553 e ss. innanzi al Tribunale di Messina. Oggetto, sia le disposizioni testamentarie del padre, che aveva no minato suo u nico erede il figlio ### e disposto legati solo in favore del nipote ### e 3 di 38 della figlia ### , sia le donazioni che in vita lo stesso de cuius aveva effettuato in favore del figlio ### e del nipote ### In limine, il G .I., rite nendo invalida la no tifica dell'atto introduttivo a ### con ordinanza d el 5 .2.1996 ne disponeva la rinnovazione. ### M arullo dappr ima non vi provvedeva, a causa del decesso del prop rio d ifensore; quindi, rimessa in termini dal G.I., effettuava il prescritto adempimento il ###. ### inizialmente era dichiarato contumace; di poi, in seguito all'interruzione e alla riassunzione del processo per la morte di un'altra parte, il ### si costituiva in giudizio ed eccepiva l'estinzione del processo stesso per l'omessa notifica della citazione entro l'orig inario termine concesso con l'ordinan za del 5.2.1996. Con sentenza n. 315 del 23.1.2003 il Tribunale rigettava detta eccezione e, nel merito, accoglieva in parte la domanda.
Impugnata in via principale dai convenuti e in via incidentale dall'attrice, tale pronuncia era annullata con sentenza n. 327 del 29.5.2012 della Corte d'appello di Messin a, la quale riten eva, invece, fondata l'eccezione e dichiarava l'estinzione del giudizio.
A seguit o di ciò, ### nel 201 3 instaurava un nuovo giudizio, av ente identico oggetto , nel quale la convenuta ### eccepiva la p rescrizione del diritto di lei alla reintegrazione della quota di legittima. ### ale di ### rigettava la domanda, ritenendo prescritto il diritto azionato . Analo gamente, la Corte d'app ello respingeva il gravame proposto da ### ina ### con sentenza n. 223 de l 13.5.202 1, pronunciata nei confronti delle ridette parti e di ### quale erede di ### di ### La Corte peloritana, in particolare, richiamato il disposto degli artt. 2943, primo comma, e 2945, secondo e terzo comma, c.c., 4 di 38 osservava che, venuto meno, in esito alla declaratoria di estinzione del processo, l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione, l'atto intro duttivo del g iudizio conservava solo l'efficacia interruttiva istantanea, sicché dalla relativa data di notifica decorreva un nuovo termine prescrizionale ordinario, ormai spirato alla data in cui era stat o notificato l'a tto in trodutt ivo del nuovo giudizio.
Rilevava, ancora, che la te si dell'appellante - secondo cui la pronuncia di estinzione del primo g iudizio ad opera della Corte d'appello non aveva, per come decisa, privato l'originario atto di citazione dell'effet to sospensivo della prescrizione, vuoi per gli ulteriori atti interrut tivi successivamen te compiuti, vuoi per l'interposizione della sentenza di merito di primo grado favorevole alla parte attrice - non era condivisib ile. Per un verso, tali considerazioni non erano giudicat e idonee a sup erare il chiaro disposto normativo degli art icoli innanzi citati; per l'al tro verso, quello azionato era un diritto potestativo, la cui prescriz ione, a differenza di quanto avviene per i diritti di credito, poteva essere interrotta soltanto mediante la proposizione d'una domanda giudiziale.
Infine, la Corte territoriale riteneva manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c., prospettata dall'appellante in relazione ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost. In ordine a quest'ultimo, il ritardo nell o svolgimento dell e attività processuali era ascrivibile soltanto alla parte, con riguardo sia ai tempi d'avvio dell'originario giudizio di primo grado, sia a quelli d'instau razione del n uovo processo, introdotto oltre un anno dopo la pronuncia della sentenza d'appello, dichiarativa dell'estin zione. Quanto, poi, al differente regime giuridico de ll'interruzione della prescrizione dei diritti di 5 di 38 credito rispetto a qu elli potestativi, la ragio ne risiedeva nel fatto che mentre per i primi l'obbligazione grava sul debitore già prima dell'avvio dell'azione, non altrettanto può affermarsi per i secondi, in relazione ai quali l'obbligo corrispondente sorge solo per effetto dell'iniziativa giudiziale del titolare del diritto.
Avverso detta sentenza ### propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Vi resist ono con rispettivi controricorsi ### M arullo di ### da un lato, e ### D'### e lo stesso #### na e ### d i ### dall'altro, quali eredi di ### di #### è rimasto intimato.
Respinta l'istanza del difensore della ricorrente di assegnazione alle ### unite, il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 24.9.2024.
Le parti e il P.G. hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Il primo m otivo la menta la violazione o errat a interpretazione dell'art. 2945, secondo e terzo comma, c.c. in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., e prospetta, in subordine, la questione di legittimità costituziona le di tale norma, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.
Parte ricorrente articola, a sostegno, le seguenti considerazioni: a) l'art. 2945 c.c. cont rappone il caso in cui il processo si conclude col passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (secondo com ma) a quello in cui il processo si estingue (terzo comma), di regola con un'ordinanza che non dà lu ogo a giudicato, sicché nel primo, e no n anche nel secondo caso, si conserva l'effetto sospensivo della prescrizione; pertanto, allorché il giudice d'appello, andando in contrario avviso rispetto al giudice di 6 di 38 prime cure, dichiara l'estinzione che questi ha negato, emana una sentenza che definisce il giudizio ed annulla la precedente sentenza di merito, la quale, però, corretta o errata che sia, «interpone un diaframma che non consente d i far retroagire gli effetti dell'estinzione al momento iniziale del processo in primo grad o proprio perché essa n on è inesi stente o assolutamente nulla: è semplicemente viziata (…). Di conseguenza, la corretta interpretazione dei due commi dell'art. 2945 c.c. comporta che l'estinzione di cui tratta il 3° comma è que lla che è d ichiarata all'interno del grado di giudiz io nel quale si è verificat o l'evento estintivo» (così, a pag. 6 del ricorso); b) tale lettura dell'art. 2945 c.c. - sostiene parte ricorrente - è l'unica possibile in relazione ai principi costituzionali, che vie tano che il processo vada in contro a morti “m isteriose”; si cita, al riguardo, il caso analogo di Corte cost. n. 139 del 1967, la quale stabilì che la mancat a riassunzione del processo int errotto non poteva essere imputata a lla parte non a conoscenz a dell'evento; nel caso di specie, l'odierna ricorrente - prosegue il motivo - aveva confidato nel provvedim ento di rim essione in termini e nella successiva sentenza di primo grado, che aveva deciso la causa nel merito, per cui la pend enza del pr ocesso non era più nella disponibilità della parte, cui - di riflesso - non è ascrivibile una conseguenza che essa non sarebbe stata in grado di evitare; c) ancor prima di valut are la corretta portata dei com mi secondo e terzo de ll'art. 2 945 c.c. occorre doman darsi quale sia l'estinzione che determina il venir meno dell'effetto sospensivo (sicché questa Corte su prema dovrebbe rimeditare il proprio orientamento alla luce di un'accresciuta sensibili tà di princip i e valori costituzionali). Premesso che l'attuale formulazione dell'art. 2945 c.c. ha posit ivizzato un indirizzo giurisprudenziale mutuato, 7 di 38 vigente il c.c. del 1865, da un'autorevole dottrina, parte ricorrente sostiene che a partire dagli anni '70 del secolo scorso si è affermata l'interpretazione che collega il venir meno d ell'effetto sosp ensivo della prescrizione al comportamento dell'attore, il quale non coltivi il processo. In tale nuova prospettiva sono possibili solo due letture dell'art. 2945, terzo comma, c.c., nel senso, cioè, che la perdita dell'effetto sospensivo può essere conseguenza ### d'una volontà di abbandono del processo espressa (art. 306 c.p.c.) o presunta (art. 307 c.p.c.); o ### d'una sanzione inflit ta in base al princip io di autoresponsabilità della parte, la quale non curi che il processo si chiuda con una pronuncia merito. Ipotesi, quest'ultima, ammissibile solo a patto di ricollegare tale sanzione al grado di giudizio nel cui ambito si è verificato l'effetto interruttivo, poiché - diversamente e come nel caso in esame - si applicherebbe una sanzione alla parte che abbia p restato affidamento sull'ordinanza del giudice che l'abbia rimessa in termin i. ### in disparte, p rosegue il motivo, è dubbia l'esistenza di un automatismo in materia, tale da produrre il venir m eno dell'effetto perman ente dell'interruzione allorché il processo si estingua per l'una o per l'altra ragione. E, a conforto, richiama la sentenza n. 4630/97 di questa Corte, lì dove si afferma che il second o ed il terzo comma dell'art. 2 945 c.c. pre sumono l'abbandono del diritto, che a s ua volta non può presumersi per tutto il tempo necessario per concludere il processo con sentenza passata in giudica to. Da t anto si ricaverebbe la necessità di differenziare l'ipotesi in cui la volontà di abbandono è espressa da quella in cui questa è soltanto presunta. Da tanto si ricaverebbe la necessità di differenziare l'ipotesi in cui la volontà di abbandono è espressa da quella in cui essa è soltanto presunta. In particolare, attraverso l'art. 184-bis c.p.c., vigente all'epo ca del giudizio presupposto in punto di rimessione in termini della parte incorsa in 8 di 38 decadenza per causa ad essa non imputabile, «###a legge del tempo (…) prevedeva che la pronuncia di estinzione non fosse automatica, ma subo rdinata, qualora ne fosse stata fatta richiesta , ad una valutazione del giudice, per la quale l'inattività avrebbe comportato l'estinzione salvo che non ci fosse stato un provvedimen to di rimessione in termini (che la parte aveva il diritto o la possibilità di richiedere). Nel momen to stesso in cui il giudice ha rit enuto possibile la rimessione, ha per ciò stesso escluso la volontà di abbandono o di dismissione del di ritto e ha creato i presupposti perché il processo proseguisse per la trattazione e per la decisione del merito con atti processuali validi ed efficaci» (così, a pagg. 9-10 del ricorso). Esclusa, pertanto, la volontà di abbandono, la perdita del benefi cio della sospensione si può assumere solo quale sanzione processuale, la quale, tuttavia, deve esser e imputabile alla parte; ma tale non è stata nel concreto ritenuta dal giudice di primo grado, cosicché il processo è proseguito complessivamente per altri quindici anni; d) in s ubordine, per l'eventualità che la propugnata interpretazione dell'art. 2945 c.p.c. non sia condivisa dalla Corte, parte ricorre nte reitera la questione di illegit timità costituzionale del secondo e del terzo comma di tale norma, in una con l'art. 307 c.p.c., in relazione agli artt. 24 (sul dirit to di agire a tut ela dei diritti e degli interessi) e 111 (sull'obbligo dei giudici di realizzare il “giusto” processo) ###, già proposta in app ello. A sostegno deduce che dopo il provvedimen to di rimessione in termini la situazione processuale venut asi a creare sarebbe stata senza uscita: non sarebbe stat a possibile né u na rinuncia agli at ti, cui anche una sola dell e parti avrebb e p otuto opporsi, né una riproposizione della medesim a domanda, il che l'avre bbe esposta all'eccezione di litispendenza. 9 di 38 1.1. - Il motivo non può essere accolto, per le considerazioni che seguono e che non riguardano il rapporto sostan ziale tra la ricorrente e il controricorrente ### di ### janni. Nei confronti di quest'ult imo va rile vato il giudicato favorevole sulla prescrizione, essendo incontroverso che la successione ereditaria di cui si discute si è aperta il ### e che la citazione introduttiva del giudizio presupposto è stata notificata alla predetta parte solo il ###. 1.2. - Dispone l'art. 2945, c.c., per la parte che qui interessa: “Per effe tto dell'interruzione s'in izia un nuovo periodo di prescrizione” (primo comma). “Se l'interr uzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell'art. 2943 c.c., la prescrizi one no n corre fino al momento in cui p assa in giudicato la senten za che definisce il gi udizio” ( secondo comma). “Se il processo si estingue, rimane fermo l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di p rescrizione co mincia dall a data dell'atto interruttivo” (terzo comma).
È ver o che il secon do e il te rzo comma d i detto articolo si giustappongono tra loro in un rapporto di regola ad eccezione (su cui v. meglio infra, par. 1.4.3.).
Ed è vero, altresì, che l'espressione “sentenza che definisce il giudizio”, contenuta nel secondo comma dell'art. 2945 c.c., deve essere interpretata nel senso che tale effetto si ricollega a qualunque sentenza, che sia di rito o di merito (ma su questione diversa dall'esistenza del diritto in ordine al quale sia stata eccepita la prescriz ione: il giudicato di rigetto, in fatti, attribuisce all'altra parte l'exceptio rei iudicatae; que llo di accoglimento, invece, determina il sorgere dell'actio iudicati, ai sensi dell'art. 2953 c.c.).
Si tratta di una concl usione del tutto pacifica, ormai, sia in dottrina che nella giurisprudenza di questa Corte, la quale afferma 10 di 38 che il princi pio fissato dall'art. 2945 c.c. - secondo il quale l'interruzione della prescrizione per effetto di domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza non decida nel merito, ma definisca eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale; ne consegue che deve riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratt o di cui all'art. 2945, secondo comma, c.c . anche nell'ipotesi in cui il giudizio si concluda con una sente nza che dichiari l'impro ponibilità della domanda (v. nn. 24808/05, 1608/00, 4630/97 e 1329/91; in senso conforme e di recente, cfr. anche la pronuncia n. 6322/22). 1.3. - Meno condivisibile - come sost iene, invece, p arte ricorrente - che l'applicabilità del secondo, piuttosto che del terzo comma dell'art. 2945 c.c., dipenda da una variabile, quale la forma del provved imento - ordinanza o sentenza - che dichiara l'estinzione del processo, nel senso che la sentenza di estinzione rientrerebbe de plano nel secondo comma dell'articolo citato , mentre solo l'ordinanza di estinzione renderebbe applicabile il terzo comma.
Una siffatta conclusione è esclusa tanto dalla dottrina unanime, quanto dalla giurisprude nza di questa Co rte, secondo cui per il combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c. l'est inzione del processo (sia dichia rata con ordinanza, sia pronunciata con sentenza) elimina l'effet to permanente dell'interruzio ne della prescrizione provocato da ll'atto introduttivo del giudizio fermo restando l'effetto interruttivo istantaneo della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale come atto di costituzione in mora, con la conseguenza che il rinnovat o periodo p rescrizionale comin cia a decorrere dalla data della notificazione del detto atto introduttivo 11 di 38 (così, la sentenza n. 5707/87; conformi, nn. 21201/17, 8720/10, 10700/98, 11318/96 e 1146/65).
Può chiosarsi che la novella (operata dalla legg e n. 5 81/50) dell'art. 308, cpv. c.p.c. - in virtù del quale contro l'ordinanza di estinzione pronunciata dal giudice istruttore è ammesso reclamo al collegio, che deci de con sentenza - scaturì dalla nec essità di sottoporre ad un più intenso controllo (di tipo, appunto, collegiale) un provved imento monocratico, denso di effetti potenz ialmente pregiudizievoli per la parte attrice, che il testo originario del codice di rito consentiva sì di reclamare, ma allo stesso giudice che l'aveva emesso. Del resto, che tale modifica non abbia minimamente inciso sul terz o comma dell'art. 2945 c.c., la cui portata applicativa permane invariata quale che sia la forma del provvedimento di estinzione, risulta evidente sol che si consideri che, diversamente opinando, la permanenza dell'effe tto in terruttivo sarebbe rimessa alla mera volontà della parte interessata a consegu irla, la quale, nelle cause soggette a decision e collegiale, null'altro avrebbe da fare se non provocare mediante il reclamo la sentenza del collegio.
Non senza dire che, sussunta per coerenza sotto il paradigma del secondo comma dell'art. 2945 c.c. anche l'ordinanza di estinzione emessa dal giudice monocratico, per il suo carattere sostanziale di sentenza (tanto da essere impugnabile con gli ordinari mezzi previsti per quest'ult ima: cfr. nn. 18499/21, 23997/19 e 7614/117), la tesi qui non condivisa prod urrebbe per singolare eterogenesi dei fini un'interpretatio abrogans del terzo comma dell'art. 2945 c.c., che non avrebbe più alcuno spazio applicativo. 1.4. - La circost anza che, come nella specie, l'estinzione sia stata pronunciata in appello, con annullamento della decisione di merito di primo grado, non muta le conclusioni raggiunte. E ciò per due ragioni. 12 di 38 1.4.1. - La prima è che la sente nza d'app ello, salvo dichiari inammissibile o improcedibile il gravame , sostituis ce o annulla, secondo i casi, quella defi nitiva di primo g rado, facendone venir meno, al netto del l'eventuale giudicato interno, ogni stabilità di effetti. Questa Corte ha già chiarito, invero, che in base all'art. 310, secondo comma, c.p.c. è solo la sentenza non definitiva di primo grado a resi stere all'estinzione del giudizio verif icatasi successivamente ad essa, di talché il termine di prescrizione rimane interrott o e l'interruzione conserva il proprio effe tto permanente dalla proposizione della domanda fino al passaggio in giudicato della sentenza non definitiva (cfr. n. 20308/18; in senso analogo, v. n. 10760/99 , second o cui le senten ze che, ai sensi dell'art. 310 c.p.c., no n vengono travolte dalla pronuncia di estinzione del giudizio sono soltanto le senten ze non definitive, oltre che quel le sulla compet enza, pronunziate prima che si perfezionasse la fattispecie e stintiva; cfr. anche la sentenza 2712/98, in base alla quale la dispo sizione det tata dal secondo comma dell'art. 2945 c.c., inteso a non far correre la prescrizione nel tempo richiesto per la realizzazione de l diritto in via giurisdizionale, non può trovare applicazione q uando lo stesso creditore, dopo avere propo sto in giudizio una de terminata domanda, la abbandoni, così impeden do che intervenga, sulla domanda stessa, la senten za definitiva da cui possa iniziare il nuovo periodo di prescrizione previsto dalla legge, senza che possa rilevare che il giu dizio prosegua e giunga a definizione relativamente ad altre e diverse pretese avanzate contestualmente a quella abbandonata; idem, n. 1377/82).
Nella specie, la narrativa del ricorso non riferisce di sentenze non definitive emesse nel primo giudizio. 13 di 38 1.4.2. - La seconda ragione è che, vigente il c.c. del 1865 (il quale stabiliva all' art. 2128 che «Si ha per non in terrotta la prescrizione: Se la citazione o intimazione è nulla per incompetenza dell'uffiziale giudiziario che l'ha eseguita, o per difetto di forma; Se l'attore recede dalla doman da; Se la domanda è peren ta; Se la domanda è rigettata»), si era post o il pro blema se l'eff etto interruttivo si protraesse fino alla formazione della cosa giudicata o valesse per ogni singolo grado del processo.
Sotto l'influsso di un'au torevole opinione di dott rina, la giurisprudenza di legittimità risolse tale questione, in prevalenza e non senza incertez ze, ne l senso che durante lo svolgimento del giudizio chiuso poi con sentenza di rigetto ancora impugnabile, il corso della prescrizione rimaneva sospeso, per cui dalla sentenza di rigetto della domanda si iniziava u n nuovo periodo non integrale ma complementare, da aggiungersi a quello che ancora mancava al momento della citazione per il comp imento della p rescrizione incominciata (v. Cass. 6 aprile 1929, n. 1072 e Cass. 19 dicembre 1930, n. 3636). Con l'ulteriore precisazione che il decorso ex novo della prescrizione si doveva ammettere solo in relazione a sentenze che definivano il giudizio col riconoscimento del diritto dedotto, il quale pertanto, ess endo mantenuto fermo fino alla pubblicazione della sentenza per l'effetto interruttivo della domanda, continuava ad essere regolato dalla prescrizione inerente al diritto riconosciuto, fino a che, de corso il termine d'impug nativa della sente nza, alla prescrizione del rapporto sostanziale originario si sostituiva quella inerente al giudicato (cfr. Cass. 27 luglio 1937, n. 2805; conforme, Cass. 3 g ennaio 1 941, s.n.). Si affermò, infine, che «quando intervenga sentenza di assoluzione, di rigetto, rinuncia all'azione e perenzione la legge nega alla citazione originaria l'efficacia di aver interrotto la prescrizione: il temp o prescriz ionale già trascorso 14 di 38 riacquista il suo vigore e rimane soltanto l'effetto sospensivo della domanda giudiziale d urante il tempo occorso per lo svolgimento della lite» (così, Cass. 29 luglio 1940, n. 2647; nello stesso senso, Cass. 18 agosto 1949, n. 2356 e Cass. 28 febbraio 1951, n. 594, che applicarono le norme del c.c. previgente). Dunque, interrotta la prescrizione dell'azione, l'eff etto interruttivo permaneva, finché durava l'attività, ex offi cio, del giudice , cessava con la pubblicazione della sentenza defi nitiva di accoglimento d i primo grado e si riproduceva al lo stesso m odo con la proposi zione dell'appello e del ricorso per cassazione (v. Cass. 10 febbraio 1942, n. 395). 1.4.3. - ### civile del 1942 da un lato ha fatto tesoro di quest'ultimo indirizzo quanto alla sterilizzazione della prescrizione pendente il processo, e la giurisprud enza di questa Corte ha progressivamente esteso tale effetto neutralizzante a tutti i processi definiti con sentenze assolutorie dalla domanda, anche per sole ragion i di rito; dall'a ltro, pe rò, il ### vigent e ha deliberatamente innovato rispetto al precedente, come si ricava dal par. 1204 della ### del ### Vi si legge che, preso atto dei problemi interpretativi cui aveva dato origine l'art. 2128 del c.c. del 1865, «###l terzo comma dell'art. 2945 prevede il caso che il processo si estingua, e anche in questo caso - con notevole divario dal codi ce del 1865 che negava e fficacia interrut tiva alla domanda se il processo si fosse est into per p erenzione (…) - conserva effi cacia interruttiva all'att o con cui il giudizio è stato iniziato e alla domanda che nel corso del giudizio è stata proposta, arrestando però l'effetto i nterruttivo all a data dell'atto o della domanda. Non sarebbe stato coerente privare d'efficacia interruttiva la domanda giudiziale per essersi il processo estinto e, 15 di 38 in pari tem po, at tribuire efficacia interrutti va ad ogni atto di costituzione in mora non seguito da alcun processo».
Sin da Cass. 23 lugli o 1942, s. n., si è aff ermato, infatti, che l'art. 2945, 2° comma, del vigente codice civile , per il quale la prescrizione rimane sospesa dal la domanda giud iziale fino al momento in cui passa in giudicat o la sente nza che definisce il giudizio, innova al principio sancito dagli art. 2125 e 2128 c.c. del 1865, per il quale il tempo decorso prima della domanda giudiziale si cumu la, ai fini della prescrizione, con q uello su ccessivo alla pubblicazione della sentenza ancora impugnabile che rige tta la domanda.
Pertanto, risulta implicitam ente, ma non pe r questo meno chiaramente, confermato e valorizzato il nesso che intercede tra interruzione della prescrizione e lit ispendenza e, di riflesso, confermato che l'effetto interruttivo si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, senza distinguere tra pronuncia in rito e decisione nel merito, con l'unica eccezione, appunto, che il processo si estingua.
Ne è buon testimone il dibattito seguìto, in dottrina, all'entrata in vigore dell'art. 2945 c.c., che si incentrò non già sul tema della possibilità di sussumere anche la pronuncia di estinzione all'interno del secondo comma di detta norma, e quiparandola, ci oè, alle sentenze che definiscono il giudizio (e ciò non foss'altro che per la circostanza, sopra richiamata, che il ### di procedura civile nella sua formu lazione primigenia non prevedeva un'estinzione dichiarata con sentenza), ma sulla tesi opposta, volta semmai ad attrarre all'interno del terzo comma dell'art. 2945 c.c. le definizioni del processo in rito.
Il superamento di quest'ultima ipotesi è un dato acquisito nella dottrina più recente e ne lla giurisprud enza costante di q uesta 16 di 38 Corte, che nelle sue p roposizioni fondamentali in materia si p uò così ricap itolare: ### in b ase all'art. 2 945, t erzo comma, c.c., in caso di estin zione del p rocesso, il nuovo periodo di prescrizione relativo al diritto ded otto in causa inizia a decorrere dall'a tto introduttivo del giudizio, cioè da lla domanda giu diziale (nn. 21201/17, 8720/10, 11318/96, 5707/87 e 1146/65) e non dag li atti processuali suc cessivi (v. nn. 2417/9 9, 10480/92, 3035/79, 1323/76, 1736/75, 1051/75) , essendo, altresì, irrilevante che la domanda sia stata dilige ntemen te coltivata fino all'estinzione ( 10700/98); ### il principio fissato dall'art. 2945 c.c. - secondo il quale l'interruzione d ella prescrizione per effetto di domand a giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato d ella sentenza che definisce il giudizio - è applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza non decida nel merito ma d efinisca eventuali quest ioni processuali di carattere p regiudiziale, ma trova però deroga ne l caso di estin zione del processo. Pertanto, in caso m ancata tempestiva riassunzione della causa a seguit o di declinatoria di competenza territoriale e conseguen te estinzione del processo si applica il disposto dell'art. 2945 c.c., terzo comma, in for za del quale rimane fermo l'effetto interruttivo della notificazione dell'atto di citazione, ma il nuovo periodo di prescrizione decorre dalla data dell'atto interruttivo (così, la n. 9337/04; sull'irrilevanza, ai fini della permanenza dell'effetto interruttivo della prescrizione, ex art. 2943, secondo comma, c.c. , del tipo di pron uncia defin itiva del giudizio, poiché non solo le decisioni nel merito, ma anche quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito sono suscettibili di passare in giudicato in senso formale , cfr. anche le nn. 24808/05, 15075/01, 1608/00, 14243/99, 4630/97, 3666/96 e 1329/91); pertanto, ### tutte le sentenze definitive, siano esse di merito, di rito o su questioni (pregiudiziali o preliminari) di merito, 17 di 38 una volta passat e in gi udicato conservano l'effet to perman ente dell'interruzione della prescrizione effettuata mediante la domanda giudiziale, salvo le sentenze che dichiarano l'estinzione del giudizio (come invariab ilmente ripetono tutte le pronunce da ultimo richiamate: v. anche nn. 22238/07, 8367/96, 7664/95, 5085/87, 7023/83 e 4120/82); e, infine, ### i si ngoli at ti processuali compiuti nel corso de l processo non esplicano alcuna efficac ia al fine di interr ompere la prescrizione, a meno che essi non presentino i requisiti prop ri de lla costituzione in mora (v. nn. 12983/18, 7076/16, 14517/07, 825/06, 11016/03 e 13669/99 , tutte germinate da S.U. n. 4108/81; v. anche, in precedenza, la 3035/79). ### degli altri atti p rocessuali, che pur di mostrino l'interesse alla decision e, ad interr ompere nuovamente ed autonomamente la prescrizione già interrotta dalla do manda giudiziale, trova confer ma anche in una re cente pronuncia delle S.U. di questa Corte (n. 17619/22), con la quale si è affermato che la pen denza di un giudizio incidentale di costi tuzionalità n on produce alcun effett o interruttivo della prescrizione del diritto dedotto nel giudizio a quo; pertanto, ove quest'ultimo sia dichiarato estinto o perento, il termine di prescrizione decorre dall'atto introduttivo di tale giudizio, non avendo efficacia interruttiva né la proposizione o la definizione d el giu dizio incid entale di costituzionalità, attesa la sua autonomia strutturale e funzionale, né l'istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del processo, trattandosi di atto endoprocessuale non avente le caratteristiche di messa in mora.
In conclusi one, sul punto, l'idea che l'arrest o del t ermine prescrizionale vada apprezz ato grado per grado e secondo il contenuto della sentenza, e che, in definitiv a, l'estinzione cui ha 18 di 38 riguardo l'art. 2945, terz o comma, c.c. sia solo quella ch e è dichiarata all'interno della fase di giudizio nel quale si è verificato l'evento estintivo, non è né nuova né compatibile con l'evoluzione consapevole che la discip lina positiva e la g iurisprudenza hanno avuto al riguardo. 1.5. - Quanto fin qui considerato sullo stato della dottrina e del diritto vivente in te ma di prescrizione estin tiva resiste al la possibilità, prospettata da parte ricorren te, che se ne possa operare una rivisitazione critica. Basata, nel caso di specie, sull'affidamento incolpevole della parte odierna ricorrente, generato dapprima dalla rimessione in termini, ex art. 184-bis c.p.c. in allora vigente, per rinnovare la notifica della citazione, e poi dal rigetto, in primo grado, dell'eccezione di estinzione del processo. 1.5.1. - In senso contrario, infatti, va osservato che l'art. 2945, terzo comma, c.c. non pone una presunzione né assoluta né relativa di abbandono della l ite o del diritto fattovi valere . La circostanza che vi si accenn i nella mot ivazione dell a senten za 4630/97, citata nel motivo, non a utorizza a trarre conclusioni impegnative sotto nessun segno, ove si consideri che una cosa è il fondamento ultimo dell'istitu to della prescrizione (o meglio, una delle sue consuete ma non esaustive letture), altra è l'esegesi della disposizione in esame, che non ne risulta in alcun modo ipotecata.
Ed infat ti, se fosse plausibile individu are in tale no rma una presunzione assoluta o relativ a di abbandono del d iritto, la riproposizione della domanda sarebbe preclusa, nel primo caso, ovvero subordinata alla prova contraria, nel secondo; il che ovviamente non è. 1.5.2. - Del pari destituita di fondamento è l'ipotesi che il terzo comma dell'art. 2945 c.c. abbia un substrato sanzionatorio, per cui 19 di 38 il giudice dovrebbe escluderne l'applicabilità nel caso di estinzione incolpevole del giudizio.
Una cosa, infatti, è la sanctio legis posta a presidio di un onere, altra è la sanzione per una condotta vietata e, dunque, illecita, che non ha nulla a che veder e con le vicende interrutt ivo-estintive.
Pertanto, è sufficiente osservare che il t itolare, come è libero di esercitare o meno il suo diritto, così può anche legitti mamente scegliere di far estinguere il processo incoato per accertarlo. Allo stesso modo, l'incolpevole decadenza da un potere processuale è motivo di rimessione in termini, non di elisione della disciplina altrimenti applicabile. Poich é tutto ciò non pare revocab ile in dubbio, ed atteso che le ordinanze, comu nque motivate, no n possono mai pregiudicare la decisione della causa (art. 177, primo comma, c.p.c.), né a maggior ragione produrre ex se affidamento (su cui v. meglio infra, i par. da 1.6. a 1.6.2.), la rimessione in termini esaurisce i suoi effetti all'interno del corretto esercizio dei poteri ordinatori del giudice, senza proiettarsi oltre.
Ne resta immune l'int erpretazione delle norme che reg olano l'interruzione permanente della p rescrizione, la quale, come s'è detto innanzi (v. par. 1.4.3.), dipende dalla litispendenza, per cui ove questa venga meno ne cade la giustificazione logico-giuridica. 1.6. - ### sull'esattezza dei provvedimenti del giudice di prim o grado introduce una qu estione ulteriore che, in realtà, costituisce il nucleo del motivo.
Benché non evocato in m aniera espressa, è il principio di apparenza e la sua possibil e esten sione ci ò su cui mostra di convergere il senso ultimo delle argomentazioni di parte ricorrente.
Elaborato nella mat eria delle impugnazioni, detto principio assolve la funzione di evitare che il rischio dell'errore compiuto dal 20 di 38 giudice a q uo nel qualificare la domanda ricada sulla parte impugnante, su cui grava l'onere di esperire il mezzo corretto.
Cambiando ciò che v'è da cambiare, ne lla fattispecie l'interrogativo è se la pronuncia di primo grado possa ge nerar e nella parte interessata analogo affidamento e riparo dagli effetti di cui al t erzo comma dell'art. 2945 c.c., ove all'esi to delle fasi ulteriori passi in giudicato quell'estinzione del processo che il primo giudice aveva, invece, escluso. Impossibili - si sostiene - i rimedi preventivi della rinuncia agli atti o dell a riproposizione della medesima domanda, la parte si vedrebbe costretta a percorrere l'intero iter processuale , assumendo l'alea che la declaratoria di estinzione del giudizio intervenga a prescrizione ormai maturata. 1.6.1. - La risposta a tale quesito non può che essere negativa.
In un caso speculare a quello in oggetto questa Corte h a affermato che le sentenze le quali, ai sensi dell'art. 310 c.p.c., non vengono travolte dalla pronuncia di estinzione del giudizio sono soltanto le sentenze no n d efinitive (oltre che qu elle sulla competenza) pronunziate prima che si perfezionasse la fattispecie estintiva. Tra queste non rientra pertanto la sentenza di appello, successivamente cassata, con la quale sia stata riformata la sentenza di estinzio ne pron unciata in primo grado. Ne consegue che qualora l'estinzione del processo sia affermata in primo grado, negata in grado di appello, e confermata nel giudizio di cassazione, la senten za di appello non h a alcuna efficacia interruttiva dell a prescrizione, la quale ricomincia a decorrere dalla data de lla notifica dell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ai sensi dell'art. 2945, comma terzo, c.c. (n. 10760/99; in senso conforme, v. n. 7040/86).
Detto precedente, sebbene incentrato su altro (l'inidoneità della sentenza definitiva d 'appello a resistere all'estinzione), mostra di 21 di 38 non supporre neppure la possibilità che, in punto di prescrizione del diritto, il provvedimento cassato possa conservare effetti residui. ### a parte, sono proprio le argomentazioni di sostegno dedotte nel motivo a disvelarne l'infondatezza.
Contrariamente a quanto vi si assume, il ris chio che, protraendosi il processo nel tempo e nei vari gradi, l'eccezione di estinzione per un evento precedentemente verificatosi sia accolta e l'estinzione del processo pass i in giudicat o quando il te rmine di prescrizione del diritto è ormai scadu to (così da vanificare il pur prodottosi effetto interruttivo istantaneo derivante dalla n otifica della domanda giudiziale), è agevolmente prevenibile mediante la rinuncia agli atti del giudizio, ai sensi dell'art. 306 c.p.c.
Ad essa no n è d'ostacolo l'atteggiamento difensiv o dell'altra parte. Infatti, la giurisprudenza costante di questa Corte afferma che l'accettazione della parte costituita è richiesta solo se questa abbia un interesse alla prosecuzione del processo, che a sua volta consiste nella possibilità di conseguire un'utilità maggiore di quella che le derivere bbe dall'estinzione (v. nn. 23620/17, 9066/02, 8387/99, 1168/95 e 4917/79 ). In difetto d'un tale intere sse, il giudice dichiara l'estinzione an che se la parte convenuta vi si opponga.
Detto altrimenti, l'accettazione è richiesta dall'art. 306, p rimo comma, c.p.c. in quanto il convenu to ha il po tere, derivante dal principio di bilateralità dell'azione, di provocare l'accertamento negativo del diritto fatto va lere dall'atto re (similmente a q uanto avviene nelle ipotesi omologhe, previste dagli artt. 181, secondo e terzo comma, e 290 c.p.c.), ovv ero di o ttenere una pro nuncia sull'eventuale domanda riconvenzionale che ab bia proposto. È necessario, pertanto, che egli si sia difeso e intenda continuare a 22 di 38 difendersi nel merito, e non su questioni di rito (salvo esse stesse siano suscettive d'un giudicato spendibile in altro giudizio).
Ne deriva che ove la rinuncia agli atti segua all'insorgere della questione di estinzione de l processo, il convenuto non ha un interesse tutelabile a che un tale esito sia dichiarato ai sensi dell'art. 307 piuttosto che in virtù dell'art. 306 c.p.c. Nell'un caso come n ell'altro, infatti, l'estinzione conduce alla medesima e invariabile conseguenza di elim inare l'effetto permanent e dell'interruzione della prescrizione previsto dall'art. 2945, secondo comma, c.c., senza incidere sull'effetto interruttivo istantaneo, che rimane fermo alla data della domand a, come previsto dal terzo comma del medesimo articolo.
Spetta alla parte attrice , dunque, sciogliere l'alternativa valutandone costi e benefici: coltivare fino alla decisione di merito il giudizio di cui la parte av versa o il giudice abbiano , rispettivamente, eccepito o rilevato d'ufficio (ex art. 30 7, ultimo comma, c.p.c. nuovo testo) l'estinzione, rischiando che l'eventuale declaratoria passi in giudica to a prescrizione o rmai maturata ; ovvero rinunciare agli at ti e riproporre la d omanda entro la scadenza del termine di prescrizione, iniziato n uovamente a decorrere dall'atto introduttivo del primo giudizio.
Tale alternativa d eriva dal sistema processuale e, di riflesso, opera indipende ntemente dalla consapevolezza che la parte ne abbia. Resta escluso in radice, pertanto, che si possa lamentare come in attesa tanto l'estinzione d el giudizio quanto l'event uale prescrizione del diritto in esso fatto valere. Né il rischio connesso a tale scelta della parte converte, per l'incidenza che assume a livello di dirit to sostanziale, quello ch e è un onere processuale in una sorta di ob bligo per e vitare di beneficiare la controp arte (come argomenta la ricorrente nella propria memoria). Finché è possibile 23 di 38 ponderare i pro e i contro di un'opzione puramente strategica, non v'è a livello logico-giuridico alcun agere necesse, una cosa essendo l'agire necessitato, altra l'agire necessario.
Nella specie, la parte odierna ricorrente mostra di aver optato in allora per la prima delle suddett e possibilità, per cui non le è consentito dolersene ora. 1.6.2. - Anche l'affermazione di parte ricorrente secondo cui non sarebbe stat o possibile evitare l a prescrizione mediante la tempestiva riproposizione della med esima domanda, perché ciò avrebbe esposto la parte attrice all'eccezione di litispendenza, non appare condivisibile.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte gli istituti della litispendenza e della continenza, operando soltanto tra cause pen denti dinanzi a uffici giudiziari diversi, non sono applicabili se le cause identiche o connesse pen dano dinanz i al medesimo ufficio giudiziario, anche se in gradi diversi, di talché, non essendo l'omessa riunione motivo di invalidità, sarà opponibile il giud icato prima intervenuto, ovv ero, qualora non de dotto o rilevato, opererà la regola della prevalenza del successi vo, salvo l'utilizzo dell'art. 337, comma 2, c.p.c. (così e per tutte, la recente ordinanza n. 10183/23). Non solo, ma sempre secondo i precedenti di que sta Corte, deve escludersi che , in app licazione di un parallelismo con l'istituto della litis pendenza, la regola disciplinatrice del quale è nel senso che il processo iniziat o per secondo deve essere de finito in rit o e non deve e ssere trattato, nell'ipotesi in cui abbiano luogo av anti all o stesso g iudice due procedimenti identici, il giudic e debba trattare il processo considerando soltanto il primo g iudizio, di modo che se e sso presenta un probl ema in rito c he impedisce la trattazione de l merito, quest'ultima resti preclusa anche sul secondo. Infatti, ciò, 24 di 38 oltre ad essere in contrasto con la stessa previsione della riunione obbligatoria dei procedimenti identici pendenti avanti al medesimo giudice, sarebbe anche in manifesto contrasto con quanto accade allorquando un giudizio venga defini to con pronun cia di rito e venga successivamente proposto un nuovo identico giudizio, la cui proposizione non è impedita d alla pronuncia in rito su l primo giudizio. Il parallelismo con l' istituto della litispendenza può soltanto suggerire che , in relazione a riti processuali imp erniati sulle preclusion i, la verificazione di una preclusione (di rito o di merito) nel primo processo determini l'effetto di impedire che nel secondo processo la precl usione possa esser e superata (così, 5894/06; conformi, le successive nn. 567 /15, 24529/18 e 20248/23).
Nel caso di specie, n on si e rano verificate nel giudizio presupposto preclusioni di rito o di merito aventi carattere impediente, tali cioè da qualificare come elusiva la riproposizione della domanda, ma solo una causa estintiva del processo. 2. - Col second o mezzo è denunciata la violazione degli artt. 2934 e 2943 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., e sempre in subordine è reiterata la q uestione d'il legittimità costituzionale di dette norme, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 ### ., ove interpretate come applicabili anche ai diritti potestativi.
Sostiene detta parte che la necessità di proporre la domanda giudiziale per inter rompere la p rescrizione dei diritti potestativi, assimilati ai (pur imprescrittibili, ma usucapibili) diritti reali, debba essere ###considerata da questa Corte. In difetto di d isposizioni espresse, sarebbe maggiormente plausibile la loro assimilazione ai diritti di credito (la cui prescrizione è interrotta dalla costituzione in mora: art. 121 9 c.c.) piuttosto che ai d iritti reali, att eso che, a differenza di questi ultimi, i diritti di credito e quelli potestativi sono 25 di 38 inseriti in un rapporto preesistente, che la sentenza del giudice non costituisce ma accerta. Non vi sarebbe ragione, pertanto, per non ammettere che la costituzione in mo ra possa valere ad interrompere la prescrizione anche dei diritti potestativi, che al pari di quelli di credito sono soggetti a prescrizione. Nella specie, atteso che l'esito estintivo del processo non può per ciò solo travolgere tutti gli atti compiuti dalle parti, sarebbero comunque isolabili nel giudizio presupposto almeno tre atti che, esprimendo l'inequivoca volontà di far valere il diritto azionato, varrebbero ad interrompere la prescrizione e si estenderebbero, arg. ex art. 1308 c.c., a tutti i litisconsorti necessari (l'atto originario di citazione del 27.7.1994, quello di integrazione del contradditt orio notificato il 4.8.1 999 a ### di ### e la co mparsa di costituzione in appello nel 2004, con la quale l'odierna ricorrente chiese il rigetto dell'impugnazione). 2.1. - Il motivo è infondato.
Gli argomenti ivi svolti non paiono sufficienti a giustificare una revisione dell'indirizzo di questa Corte, la quale ha già avuto modo di affermare che l'azione di riduzione del legittimario è di natura personale (in quanto dirett a a rivendicare non lo specifico bene posseduto dal beneficiario dell'atto di liberalità, bensì a far valere sul valore di detto ben e le prop rie ragioni successorie dopo l'accertamento della sua qualità), ma non obbligatoria (in quanto non diretta ad ottenere l'adempimento di un'obbligazione a cui sia connaturale l'istituto della messa in mora). Ne consegue che alla prescrizione dell'azion e che tutela il diritto del legittim ario non è applicabile l'art. 2943, ultimo comma, c.c., che è idoneo ad interrompere la prescrizione solo di diritti obbligatori (n. 7259/96, confermata poi dalla n. 11809/97). 26 di 38 Tale orientamen to s'inserisce nel più ampio contesto teorico secondo cui gli atti interru ttivi della prescrizione riconducibili al la previsione dell'art. 2943, comma 4, c.c., consistono in atti recettizi, con i quali il titolare del diritto manifesta al soggetto passivo la sua volontà non equivoca, intesa alla realizzazione del diritto ste sso.
Essi, pertanto, possono produrre tale effetto limitatamente ai diritti ai quali corrisponde nel soggetto passivo un obbligo di prestazione e non anche per i diritt i potestativi, ai quali fa riscont ro u na situazione di mera soggezione, e la cui vitalità non può essere attestata mediante una dichiarazione stragiudiziale, di per sé improduttiva di effetti (cfr. nn. 11 59/18, 25861/10 e 25468/ 10; analogamente, n. 6974/17 in materia di rescissione; n. 26543/22 in tem a d'azione revocatoria ordinaria; n. 8417/1 6 sulla prescrizione dell'azione volta alla risoluzione di un contratto preliminare avente ad oggetto la promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo; nn. 121/16, 11020/00 e n. 1965/92, applicative del medesimo principio all'azione di annu llamento per incapacità naturale, ai sensi dell'art. 428 c.c.; n. 6099/93 in ordine al diritto di accettare l'eredità; n. 575/85, in tema di diritto alla retrocessione di ben e espropriato; n. 40 2/84, sempre con riguardo all'azione revocatoria ordinaria).
E an che quando, i n ambito contrattuale e nella speci e della vendita, si è posta una problematica consimile e si è registrato un contrasto di giurisprudenza in ordine alla prescrizione delle azioni edilizie (art. 1495, ultimo comma, c.c.), la relativa composizione, avvenuta a favore de lla p ossibilità d'interr omperne il termine mediante un atto stragiudiziale, h a percorso tut t'altra strada. Ed invero, è stato affermato che «in effetti, non si verte propriamente nell'ipotesi di esercitare un singolo specifico potere ma di far valere il “diritto alla garanzia” derivante dal contratto, rispetto al quale, 27 di 38 perciò, non si fra ppongono ostacoli de cisivi ch e impediscono l'applicabilità della disciplina generale del la prescrizione (e che, invece, in un'ottica sistematica, appare con esso compatibile), ivi compresa quella in materia di interruzione e sospensione» (così, in motivazione, S.U. n. 18672/19).
Così come, in altro e ancor più diverso contesto, il Consiglio di Stato, in ### plenaria (sentenza n. 24/20), nell'affermare che il termine decennale previsto dall'art. 114, primo comma, del c.p.a. in ogni caso può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire q uant o spetta in base al giudicato, non ha motivato sulla natura potest ativa o meno del diritto derivante dall'actio iudicati, ma ha argomentato la soluzione con riguardo al principio di buon and amento dell'azione amministrativa e ai contatti, di per sé consentiti dal sistema e, in particolare, dall'art. 11 della legge n. 241 del 1990, tra l'### e il privato a favore del quale si è formato il giudicato. Il massimo consesso della giurisdizione amministrativa ha ritenuto, così, «del tutto fisiologico che nel cor so del tempo i l vincit ore del giudi zio di cognizione solleciti l'### ad eseguire il giudicato, prospettando se del caso soluzio ni che possa no essere concordate, prima di proporre il giudizio d'o ttemperanza ( anche in un'ottica deflattiva del contenzioso)».
Detti precede nti non appaiono, pertan to, idonei a i ncrinare l'orientamento innanzi richiamato di questa Corte. A differenza della fattispecie (e in disparte, in ordine al citato precedente del C.d.S., la ricaduta sul tema della prescrizione di cui all'art. 2953 c.c.), nell'un caso come nell'altro assume rilievo immedia to un rapporto obbligatorio, che o preesiste alla lite (id est la vendita e le connesse azioni di garanzia) o deriva d al giudic ato (come 28 di 38 nell'ipotesi dell'obbligo d'ottempe ranza previsto dall'art. 112 c.p.a.). 2.2. - ### premesso, e passando alle argomentazioni svolte nel motivo, è dubbio, in primo luogo, che i diritti di credito e i diritti potestativi abbiano base comune in un rapporto giuridico “preesistente”. O meglio, è dubbio, p er l'i ntrinseca equivocità dell'affermazione, che basti registrare la generica preesistenza, in entrambi i casi, di situazioni giuridiche esprimibili attraverso coppie relazionali (credito/debit o, potestà/soggezione), per equiparare l'una situazione all'altra ed innestarvi la catena sillogist ica che parte ricorrente propone.
In disp arte che non manca in dottrina chi ravvisa il rapporto giuridico anche nella relazione che intercede tra il diritto assoluto (imprescrittibile, ma usucapibile) e il generale dovere di astensione dei consociati - il che ste mpera ulterio rmente la valenza del richiamo, fino a deprivarlo d'ogni significanza -, il punto è un altro.
Nell'ambito dei diritti di credito, il rapporto (ob bligatorio) preesiste di necessità agli atti che ne costituiscono l'esercizio. Un credito si può eserci tare o m eno, ma è certo che il rapporto obbligatorio sorge con esso e diviene im mediatamente vi tale.
Infatti, il debitore può: ad empiere anche se non richiestone ; costituire in mora il creditore (artt. 1206 e ss. c.c.); ottenere la propria liberazione contro la volontà del creditore (art. 1210 c.c.); e, infine, agire per l'accertamento negativo dell'esistenza stessa del credito. Speculare e di maggior contenuto la posizion e del creditore, che del pari può agire per il mero accertamento positivo del suo diritto, purché la lesione insita nello stato d'incertezza non abbia natura puramente eventuale e si ricolleghi ad una posizione giuridica già sorta in capo all'interessato (giurisprudenza pacifica di questa Corte: cfr. ex multis nn. 10441/04, 8210/99 e 2622/95; ciò 29 di 38 in qua nto anche la tutela meramen te dichiarativa deve esi tare nell'affermazione o nella negazione di un diritto, non di un fatto, ancorché questo, in una con altri fatti storici o normativi, possa dar luogo ad effetti favorevoli all'attore: v. nn. 10039/02, 3905/03 e 17788/03).
Non altrettanto può predicarsi per i diritti potestativi, rispetto al cui esercizio è preesistente solo il potere e la relativa soggezione.
Che la correlaz ione tra l'uno e l'altra dia luog o anch'e ssa ad un rapporto giuridico è, dunque, affermazione che può concedersi più o meno esatta a misura dell'accezione lata o ristretta che di tale concetto si intenda accogliere. Ma questa pur generica correlazione non vale ad accorciare la distanza tra il diritto di credito e il diritto potestativo, poiché una cosa è un rapporto giuridico in senso lato, altra è il rapporto giuridico obbligatorio, che ha un creditore e un debitore e risponde alla logica dell'agere necesse. Per contro, come del resto am mette la stessa parte ricorrente (v. pagg. 11-12 memoria ex art. 378 c.p.c.), di fronte a un diritto potestativo la parte assog gettatavi può non contestarlo solo ponendo in essere un'attività prettamente negoz iale e in accordo con il titolare del potere.
Pertanto, attribuita natura po testativa (in un'accezione ovviamente ampia del termine) al dirit to del legittimario alla reintegrazione della sua quota d i legittima mediante un'app osita azione costitutiva (su tale natura cfr. l'ordinanza n. 4709/20), va osservato che il solo pot ere d'agire in giudizio n on determina, finché non è esercitato, alcuna modifica dell'assetto di interessi tra il tit olare e chi ne subisce l'attivi tà. Ove esercitato, e sso non fa sorgere in via immedia ta alcun a obblig azione e, di riflesso, è incompatibile con la nozione di mora debendi o credendi e con la relativa costituzione. 30 di 38 In secondo luogo, e anche senza procedere per qualificazioni, va osserva to che la tecnica di prod uzione degli e ffetti g iuridici è appannaggio esclusivo del legislatore, il quale la maneggia attraverso varie opzioni p ossibili, colle gando l'effetto ora ad un fatto, ora ad un atto volontario, ora alla domanda giudiziale seguita da una pronuncia costitutiva del giudice. A tale discrezionalità, che solo la lettera del dato normativo è idonea a palesare, l'interprete non può sostitu irsi né sovrapporsi. E poiché, nello speci fico, la riduzione è “domandata” (dai legittimari, loro eredi o aventi causa: art. 557, primo comma, c.c.) e non già realizzata con dichiarazione unilaterale di volontà, la soluzione è a rima obbligata ed esclude la possibilità di equiparare il diritto alla riduz ione ad un diritto di credito.
In terzo luogo, infine, costituzione in mora e domanda giudiziale non possono porsi su llo stesso pia no, poiché l'effetto interr uttivo nel primo caso è istant aneo ment re nel seco ndo è permanente.
Quest'ultima ipotesi non è per nulla assimilabile alle fattispecie di sospensione previste dag li artt. 2941-2942 c.c., ma fo rma un tutt'uno inscindibile con la pro posizione della domanda. La prescrizione non corr e finché pende il processo, ma riprende soltanto dopo la se ntenza che lo definis ce (art. 2 945, secondo comma, c.c., conclusione, questa, ch e pure era apparsa chiara allorché, in passato, si trattava di interpretare il corrispondente e non altrettanto perspicuo art. 2128 c.c. del 1865). Se ne ricava che non è la dom anda in sé, ma è la litispendenza ad arrestare la prescrizione, in base al principio che la durata del processo non può mai risolversi a danno della parte che ha ragione.
Dunque, e concludendo al rigu ardo, deve affermarsi che l'impossibilità d'interrompere mediant e un atto stragiudiziale la prescrizione del diritto disciplinato dagli artt. 553 e ss. c.c. deriva 31 di 38 tanto dall'inesisten za d'un rapporto obbligatorio sottostante, quanto dalla scelta legislat iva di far dipendere tale diritto dall'esercizio di un'apposita azione cost itutiva, quanto, ancora, dalla non assimilabilità strutturale e funzionale tra la costituzione in mora e la proposizione della domanda giudiziale. 2.3. - Nella propria mem oria parte ricorrente sv iluppa, all'interno della medesima censura, un'ulteriore considerazione, in base alla quale la “domanda” d'appello (nell a specie , incidenta le nell'ambito del giudizio presupposto) rientrerebbe nella previsione del secondo comma dell'art. 2943 c.c., che assegna pari idoneità interruttiva della prescrizione alla domanda proposta nel corso di un giudizio. 2.3.1. - Anche tale assunto non può essere condiviso.
Ne esclude la fondatezza una pronuncia di questa Corte resa a S.U. (n. 410 8/81, ripresa poi, limitatamente all'ipotesi di notificazione della sentenza di primo grado, dalla n. 12983/18).
Nella parte mo tiva vi si aff erma (in maniera del tutto convincente) che «una corretta interpretazione del l'art. 2943, comma 2, vuole che per tale (cioè, domanda proposta nel corso di un giudizio: n.d.r.) si intenda pur sempre un atto contenente una domanda giudiziale, cioè l'intento di far valere un diritto in giudizio anche se non si trat ti di atto i ntrodut tivo del giudizio, i n quanto trova questo, già instaurato, quali le domande riconvenzionali, gli atti di intervento o di chiamata in causa o in garanzia, la domanda di ammissi one al passivo fallimentare, la costit uzione di parte civile. Deve, insomma, trattasi di domanda che, innestandosi in un processo già pendente, sia grado di produrre la pendenza di una nuova e ulteriore lite in ordine al diritto con essa fatto valere; e ciò in quanto il richiamo dell'art. 2945, comma 2, comporta che (la: n.d.r.) non decorrenza della prescrizione, da quest 'ultima norma 32 di 38 prevista, dipenda da un a situazione di litispend enza (…). Tale collegamento, chiaramente postulato dal vigente codice, della interruzione e sospensione della prescrizione con la li tispendenza come si tuazione che perdura fino al passaggio in giudicat o della sentenza, elimina una serie di problemi verificatesi sotto il vigore del vecchio codic e, a seguito dell'indi rizzo giurisprudenziale secondo cui l'interruzione durava per il singolo grado di giudizio, cosicché, se era il convenuto soccom bente a proporre ap pello, riusciva ben d ifficile spiegare come la prescrizione rimanesse nuovamente interrotta da un atto non proveniente dal titolare del diritto. Viceversa, quello d i gravame è un atto d i mero impulso processuale, che vale soltanto a far progredire in una ulteriore fase un processo già pendente, e d'altra parte il riferire ad esso l'effetto interruttivo della prescrizione ricollegato alla “domanda proposta nel corso del giudizio” in presenza della già avvenuta interruzione operata dall'atto introduttivo, significherebbe attribuire ad esso un nuovo effetto già ricollegantesi al primo. Trattasi, in altre parole, della stessa, iniziale, domanda, nella quale si insiste, non di “altra” domanda, come invece vuole l'art. 2943, comma 2, cosicché non si può attribuire un nuovo e autonomo effetto ad un atto di per sé meramente reiterativo del primo, che non fa valere alcuna pretesa, e non può perciò inquadrarsi nella categoria degli atti indicati dai commi 1 e 2 , caratte rizzati, sia gli uni che gli altri dal fatto di essere introduttivi di una domanda giudiziale». (Detta sentenza prosegue, subito dopo, col precisare che, non di meno, l'appello può costituire atto interruttivo della prescrizione a norma non del secondo, bensì dell'ultimo comma dell'art. 2943 c.c., ove abbia i requisiti di un atto di costituzione in mora, cioè di un'intimazione rivolta per iscritto al debitore. Ma ciò non rileva, nel caso in esame - a differenza della fattispecie oggetto della appena 33 di 38 citata pronuncia d elle S.U., riguardante un credi to da lavoro -, poiché s'è già escluso, pe r le ragioni innanzi svol te, che l'interruzione della prescrizione di un diritto potestativo possa avvenire mediante un atto di costituzione in mora. Con il che resta esclusa, altresì, la rilevanza del richiamo, operato nella memoria di parte ricorrente, alle sentenze nn. 14148/20 e 696/02, entrambe aventi ad oggetto un diritto di credito). 3. - La diversità di disciplina tra l'una e l'altra categoria di diritti non comporta - e si p assa, così, ad esaminare la questione di legittimità costituzionale, trasversale ad entrambi i motivi di ricorso - un'irragionevole disparità di trattamento o un vulnus al principio della difesa e d el giusto processo, in viola zione, rispettivam ente, degli artt. 3, 24 e 111 ### In primo lu ogo, la questione appare di dubbia rilevanza n ella fattispecie, ove si consideri che, come premesso in parte narrativa (e come si ricava da pag. 4 del ricorso), l'estinzione del processo presupposto fu eccepita il ###, allorché ### si costituì in giudizio. Se ne deduce che in allora era ancor a ben possibile rinunciare agli atti del giudizio e/o instaurare una nuova causa avente identico contenuto, così da interrompere nuovamente la prescriz ione che, prendend o data dal 28. 6.1994, giorno della notifica della citazione introduttiva di quel primo giudizio, non si era ancora verificata. 3.1. - Ma la prospettata questione di legittimità costituzionale è anche manifestamente infondata.
La giurisp rudenza costituzionale ha chiarito che «la garanzi a costituzionale della difesa opera attribuendo l a piena tutela processuale delle situazioni giuridiche soggettive nei termini e nelle configurazioni che a queste derivano dalle norme del di ritto sostanziale; quella garanzia trova quindi confini nel contenuto del 34 di 38 diritto al quale è strumentale e si modella sui concreti lineamenti che questo riceve dall'ordinamento (…) Se è vero infatti che alla estinzione del diritto consegue normalmente l'impossibilita di farlo valere, tanto in via di azione che in via di eccezione, ciò si verifica perché la prescrizione opera sul terreno sostanziale del diritto, non su quello della sua protezione processuale (...). In ogni caso (…) allorquando sia fissato un termine per il compimento di un atto, la cui omissione importi un pregiudizio per una situazione soggettiva giuridicamente tutelata, nella garanzia d i cui all'art. 24 della ### è ricompresa la conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del termine stesso (cfr. sentt. n. 159 del 1971; n. 255 del 1974; n. 14 de l 1977)» (così, in motivazione, Co rte cost. 732/88, ripresa, poi, dalla sentenza n. 5694/99). 3.2. - Anche questa Corte ha già avuto modo di affermare che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2945 c.c. sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 ###, con rigu ardo alla dis tinta discip lina prevista rispettivamente nei commi second o e terzo sul presup posto ch e il legislatore, nel confezionare il terzo comma (seco ndo cui “se il processo si estingue, rimane fermo l'effetto interruttivo e il nuovo periodo di prescrizione comincia a decorrere dalla data dell'atto interruttivo”), si sarebb e espresso in termini re troattivi, allorché ha ritenu to, dichiarando inefficace l'attività giurisdizionale svolta nel processo, di conside rare solamente il periodo interruttivo dalla data dell a notifica dell'atto introd uttivo del giudizio, ponend o, così, immotivatamente, nel nulla assoluto l'attività giudiziale compiuta, spesso assai lun ga, e conferen do quindi effetto interr uttivo unicamente al citato atto introduttivo. Infatti, non sussiste alcuna violazione del precetto dell'art. 3 ### atteso che la situazione è totalmente diversa a seconda che il giudizio si sia concluso con una 35 di 38 pronunzia passata in giudicato e, quindi, con un acce rtamento rilevante ex art. 2909 c. c., o, piut tosto, con una declaratoria di estinzione; invero, nel p rimo caso, ciò che rileva n on è l'attivit à giudiziale e istruttoria svoltasi nel corso del giudizio (che, in ipotesi, potrebbe anche mancare), ma la presenza di una pro nunzia passata in giudicato che fa certamente difetto nella seconda ipotesi e tale circostanza è certamente sufficiente ex se a giustificare un diverso trattamento, dal punto di vista giuridico, delle ipotesi rispettivamente disciplinate al comma secondo (in cui l'interruzione della prescrizione ha e ffetti permanenti ) e al comma terzo del citato art. 2945 c.c. (nel cui caso la prescrizione opera con effetti istantanei). Va esclusa, inoltre, l'assunta violazione del diritto alla difesa di cui all'art. 24 ###, rilevandosi, al riguardo, che il codice di rito, proprio con riguardo all'estinzione del processo per mancata prosecuzione o riassunzione, p revede una serie di cautele che escludono che il giudizio possa “e stinguersi” sen za la consapevolezza delle parti in causa (o, almeno, dei lor o procuratori), dovendosi, d'altro canto, escludere che, alla stregua delle ragioni preceden temente evidenzia te, emerga una contraddizione fra le disposizioni previste dal l'art. 310, primo comma, c.p.c. e dallo stesso art. 2945, comma terzo, c.c. (così, la sentenza n. 825/06 ; in senso conforme si era in precedenza pronunciata anche la n. 3035/79).
Va aggiunto che il credito, a differenza del diritto potestativo, necessita di cooperazione, e ove questa non si realizzi soccorrono gli strumen ti normativi per estinguere l'obb ligazione, così da impedire che il rapporto si p rotragga nel t empo i n maniera indefinita per effetto di ciclici atti interruttivi.
Per contro, lo stato di soggezione cui cor risponde il diritto potestativo sarebbe procrastinabile tendenzialmente sine die, ove 36 di 38 l'interruzione della prescrizione potesse operare ### secondo la tecnica della costituzione in mora, richiamata d all'ultimo comma dell'art. 2943 c.c. Di fronte a periodiche interruzioni stragiudiziali effettuate con semplice diffida, la persona assog gettatavi no n avrebbe strumenti di tu tela per far cessare la situazione d'incertezza sulla stabilità del suo acquisto.
Non casualme nte, proprio l'esercizio dei diritti potestat ivi è spesso sottoposto a termini di decadenza oltre che di prescrizione (si pensi, ad esempio, all'art. 2113 c.c., all'art. 8, legge n. 590/65 sul riscatto agrario, agli artt. 38 e 39 legge n. 392/78 in tema di locazione non abitativa, ecc.), o a strumenti processuali sollecitatori (v. l'actio interrogatoria, ex artt. 481 c.c. e 749 c.p.c., e gli altri casi cui p rovvede, semp re in mat eria ereditaria, quest'ultima norma, l'art. 1331, cpv. c.c. sul diritto di opzione, gli artt. 285 e 326 c.p.c. sulla notifica della sentenza per decorrenza del termine breve d'impugnazione, ecc.).
Dunque, sarebbe irragionevole, semmai, equiparare la disciplina della prescrizione del diritto potestativo a quella del diritto di credito, ben diversi essendo ne i presupposti e le ricadute applicative.
Né può ritenersi compatibile col diritto d'azione e con i principi del giusto processo una lettura degli artt . 2943, 2945 , terzo comma, c.c., 307 e 310 c.p.c. che in caso di estinzione del giudizio ne azzeri la durata ai fini della prescrizione solo quando l'inattività sia sintomo inequivocabile di disinteresse della parte a far valere il proprio diritto, con possibilità di fornire la relat iva prova (come parte ricorre nte argomenta a pag. 6 della p ropria memoria). La prescrizione non può tollerare, per sua stessa natura e per sua stessa funzione, gli incerti connaturati ad un'indagine giudiziale sull'intentio partis. Una p rescrizione assog getta alla possi bilità 37 di 38 d'una prova sull'interesse o il disinteresse della parte negherebbe sé stessa, poiché rimuoverebbe proprio quegli aspetti di certezza cui spe cificamente mira l'istituto. Il contrario non può postula rsi, senza un'intima contraddizione, come valido nel caso dell'art. 2945, terzo comma, c.c. e non anche in altre sit uazioni consimili (ad esempio nel caso di trattative o di gene riche richiest e di adempimento), sicché l'effetto sarebbe quello d i sostituire alla isonomia del termine il giud izio volatile su lle cause del suo infruttuoso decorso. 3.3. - Resta, ben vero, l'ip otesi che l'evento estintivo del processo si verifichi non in limin e litis, e in generale quando è ancora possibile riproporre la domanda, ma allorché è decorso un tempo superiore al decenn io dall'interruzione (come potrebb e avvenire, ad es., i n sede di giudizio di rinvi o: cfr. nn . 5570 /10, 5104/06 e 986/93, le quali ribadisco no l'applicabilità del terzo comma dell'art. 2945 c.c. anche all'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., per mancata riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio).
Si trat ta, però, ### d'un rischio congenito al processo, ### largamente prevedibile e prevenibil e, ### frutto d'una scelta di politica legislativa dotata di razionalità intrinseca e, come tale, non sindacabile, in base agli innanzi richiamat i orientament i della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia, e che - soprattutto - ### non mette conto indagare ulteriormente sotto il profilo della legit timità costituzionale per la sua manifesta irrilevanza, essendo il caso di specie, per quanto osservato supra al par. 3., ben diverso. 4. - Il ricorso è, dunque, respinto. 5. - Ai sensi d ell'art. 9 2, secondo comma, c.p.c. - quale risultante dalla sentenza addit iva n. 77/18 della Corte cost. - le 38 di 38 spese del pre sente giudizio d i cassazione sono integralmente compensate, attesa la buona fede della parte ricorrente. 6. - Sussistono i presupposti processuali, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 22 8/12, per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contri buto unificato pari a q uel lo per il ricorso, a norma d el comma 1-bis dello stesso art. 1 3, se dovuto. P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese.
Sussistono i presupposti processuali, ai sensi de ll'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 22 8/12, per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a que llo per il ricorso, a norma d el comma 1-bis dello stesso art. 1 3, se dovuto.
Così deciso in ### nella came ra di consig lio della seconda