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SENTENZA sul ricorso 969-2020 proposto da: ### nato il 30/09/ 1965 a ### rappresentato e difeso dagli Avv.ti ### e ### ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in #### n. 13; - ricorrente - ### E ### (### Fisc. ###), in persona del legale rappresentante pro tempore; - intimato - avverso la sentenza n. 680/2019 del Tribunale di ### in funzione di giudice di rinvio pubblicata l'8 ottobre 2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11 giugno 2024 dalla ### 2 di 29 udito il P.G., in persona del ### procuratore generale ### il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso; udito l'avvocato ### per parte ricorrente. ### ricorso ex art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011, depositato il 19 luglio 2012, ### impugnava, davanti al Giudice di pace di ### l'ordinanza ingiunzione n. 169/2012 emessa in data 11 giugno 2012 dalla locale ### di ##### e ### con cui gli era stato ingiunto di pagare la sanzione amministrativa di euro 7.746,00, oltre a diritti e spese, per un totale di euro 7.794,22. ###.C.I.A.A. aveva contestato al ricorrente, in solido con la società ### s.r.l., la violazione: a) dell'art. 6 del d.lgs. n. 206 d el 2005, « in quanto esercitava la vendita di prodotti non riproducenti in lingua italia na e in forma chiaramente visibile e leggibile le indicazioni ob blig atorie per l'informazione de l consumatore»; b) degli artt. 104 e 105 del d.lgs. n. 206 del 2005, «in quanto esercitava la vendita di prodotti privi delle indicazioni sulle precauzioni e avvertenze d'uso in lingua italiana indispensabili per l'immissione sul mercato di prodotti sicuri»; c) dell'art. 5 del D.Lgs. n. 313 de l 1991, «in quanto esercitav a la vendita di giocattoli privi delle ind icazioni sulle p recauzioni e avvertenze d'uso»; d) dell'art. 14 comma 4, del d.lgs. n. 475 del 1992, «in quanto esercitava la vendita di dispositivi di protezione individuale con marcatura CE non conforme per forma e proporzioni a quanto previsto dall'### 4 del citato d.lgs.».
Il ricorre nte, in primo grado, deduceva l'incompetenza della C.C.I.A.A. ad emettere l'ord inanza ingiun zione per connessione obiettiva con un reato e l'illegittimità della ordinanza medesima per difetto degli elementi o ggettivo e soggettiv o degli illeciti amministrativi contestatigli. 3 di 29 Nella resistenza della C.C.I.A.A. a mezzo funzionario, il Giudice di pace adito , con sentenza n. 41 de l 18 gennaio 2013, rigettava l'opposizione, dando lettura in udienza del dispositivo e della motivazione contestuale, confermando l'ordinanza ingiunzione con compensazione delle spese di lite.
In virtù di appello in terposto da ### con il q uale chiedeva l'integrale riforma della decisione del giud ice di prime cure, il Tribunale di Pist oia, nella resistenza de lla appe llata C.C.I.A.A., con sentenza n. 74 de positata il 23 gennaio 20 14, rigettava l'appello e condannava l'appellante alla rifus ione delle spese in favore dell'appellata.
Per la cas sazione della sentenza di ap pello il ### ha proposto ricorso, con atto notificato il 18 luglio 2014, sulla base di sei motivi.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 72 del 2018, cassava con rinvio la sentenza impugnata per omessa lettura del dispositivo in udienza, incombente ne cessario, a pena di nullità delle pronunce relative alle controversie sogget te al rit o del lavoro, assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione.
Con atto di citazione, notificato il 29 marzo 2018, ### riassumeva il giudizio dinanzi al ### e di ### oia, che nella resistenza della ### di commercio di ### con sentenza n. 680 d el 2019, data let tura del disp ositivo e deposito de lla decisione, rigettava l'appello e per l'effetto confermava la decisione del Giudice di prime cure.
A sosteg no della decisione adot tata il ### rilevava che - diversamente dalla tesi dife nsiva del ### - le cond otte contestate ed oggetto delle sanzioni amministrative, consistenti nella mancanza delle prescritte avvertenze sui prodotti ovvero nella vendita di dpi c on marcature n on conformi alle previsioni normative, non avevano natu ra pregiudiziale ris petto a quelle oggetto di accertamento in sede penale, afferenti la contraffazione 4 di 29 ovvero la mancanza de lla marcatura Ce sulla merce, oppure la messa in vendita di prodotti classificati come pericolosi.
Nel merito, dall'analisi delle condotte sanzionate veniva considerato che l'art. 11 d.lgs. 206/2005 faceva divieto di commercializzazione sul territorio di qualsiasi prodotto che non riportava in forma chiara e leggibi le le indicazioni di cu i agli artt. 6, 7 e 9; il div ieto riguardava la semplice commercializzazione, sia essa all'ingrosso o al det taglio, dal momento che la nozione d i prodotto includeva anche la merce ch e, anche se non direttame nte destinate al consumatore, sia suscettibile di essere da lui utilizzata.
Avverso la citata sentenza del Giudice del rinvio ha proposto ricorso per cassazione il ### affidato a sette motivi. ### d i commercio, in dustria, artigianato e ag ricoltura di ### è rimasta intimata.
Il ricorso è stato inizialmente avviato per la trattazione in camera di consigli o, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c. e all'esito dell'adunanza camerale fissata al 3 ottobre 2023, con ordinanza interlocutoria n. 5655 del 2024, depositata il ###, il Collegio rilevava la rilevanza no mofilatt ica delle questioni poste con i motivi terzo e quinto, per cui veniva disposta la rimessione del processo alla pubblica udienza.
Posto nuovam ente in discussione il ricorso all'udienza pubblica dell'11 giugno 2024, il sostituto procuratore generale, dott. ### ha depositato memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso dell'accoglimento del ricorso.
In prossimità della pubblica udienza ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. anche il ricorrente. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il prim o motiv o, in riferimento all 'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., il ricorrente lamen ta la violaz ione, la falsa applicazione 5 di 29 nonchè l'erronea interpretazione degli artt. 91 e ss., 101, 125, 416 c.p.c.
Ad avviso di parte ricorrente, la ### di ### rcio non si è validamente costituita nel giudizio che ha portato alla sentenza qui impugnata ma, per vero, si è costituita soltanto nel giudizio già iscritto al n. 1701 /2013 R.G., avviat o d'ufficio dal ### del ### di ### a seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione, dep ositando telematicamente memoria difensiva e mandato. ### d i ### altrettan to erroneamente e d in modo irrituale, a seguito di tale provvedimento, si è limitata a comparire all'udienza del 16.10. 2018 nel g iudizio n. 1048/2018 R.G. “depositando” in udienza una copia cartacea della memoria difensiva, senza mandato ed altri documenti, che invero era stata depositata telematicamente solo nell' altro giudizio n. 1701/2013 R.G.
La censura è inammissi bile sotto plurimi profili. Innanzitutto, i l motivo non è sufficie ntemente compren sibile, pe rché non spiega con argomentazioni in modo del tutto lineare le tappe processuali e soprattutto quando sarebbe avvenuta la costituzione della ### di commercio nel giudizio di rinvio, dal ricor rente ritenuta irregolare.
Inoltre, entrando nel merito della questione, per quanto è possibile comprendere, si osserva che nel giudizio di rinvio rileva la stretta correlazione tra judicium rescindens e judicium rescissorium derivante dalla cassazione con rin vio, che crea una sorta di specchio del giu dizio precedente in quello sorto dalla sua cassazione sotto il profilo della identific azione dei litigatore s. ### di questa Suprema Corte nella fattispecie di cassazione con rinv io, in effett i, non infrange il fenomeno giurisdizionale finallora in atto, b ensì, d opo averlo corretto/recupe rato appunto sotto il profi lo della legi ttimità, lo fa “rip artire”, e i soggetti che 6 di 29 scendono nuovamente sul campo del contrasto giuridico devono essere gli stessi che vi erano prima dell'intervento del giudice di legittimità. ### processuale, dunqu e, che compete a chi opera la riassunzion e è già predeterminato nel suo conte nuto in modo integrale, non essendovi alcuna facoltà di scelta in ordine ai destinatari della in ius vocatio, nel senso che non è p ossib ile espungere e “abbandonare” una o qualcuna delle parti del giudizio svoltosi dinanzi al giud ice di legittimità, in qu anto il giudizio di rinvio ne è un puro e assoluto proseguimento.
Da t empo, chiara è la giurisprudenz a in questo senso. Tra gli arresti massimati, già Cass. 17 marzo 1971 n. 742 insegnava: “Tra ‘judicium rescindens' e ‘judic ium rescissorium' vi è perfetta correlazione quanto al rapporto processuale e perciò, annullata la sentenza in Cassazione e disposto il rinvio per nuovo esame della causa, non può ritenersi istituito tale rapporto avanti al giudice di rinvio se no n ven gano chiamate in giudizio tutte le parti nei confronti delle quali sono state pronunciat e la sentenza di annullamento e quella cassata con rinvio. Dalla mancata riassunzione nei confro nti di qualc una delle parti non deriva l'estinzione del processo, o la necessità de lla cassazione senza rinvio, con passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ma la sola necessità d ella integrazione del contradditt orio, da disporsi da altro giudice di rinvio”. Sulla stessa linea si è collocata Cass. 14 aprile 1980 n . 2422, p recisando che ciò avviene “in quanto la citazione in riassunzione in sede ###integra un atto di impugnazione, bensì un atto di impulso processuale in forza del quale la controversia, per il carattere e i limiti del giudizio di rinvio, dà luogo a litisconsorzio necessario processuale fra gli stessi soggetti che furono parti nel processo di cassazione”.
La riassunzione dunque costituisce lo strumento dinamico volto ad integrare un effetto futuro, non appena viene espletata seppure in misura parziale: così Cass. 28 giugno 1989 n. 3154 ha dichiarato 7 di 29 che il giud izio di rinvio “deve svolgersi tra tutte le parti ne i confronti delle quali sono state pronunciat e la sentenza di annullamento e quella cassata, con la conseguenza che, vertendosi in tem a di litisconsorzio n ecessario, la tem pestiva riassunzione della causa nei confronti di uno solo dei litisconsorti è sufficiente ad evitare ogni decade nza, e quindi ad impedire l'estinzione del processo prevista dal l'art. 393 c.p.c. purché la riassunzione nei confronti degli altri l itisconsorzio venga effettua ta nel termine assegnato dal giudice”.
Questi netti arresti non sono stati rinne gati dalla giurisprude nza successiva: conformi, tra gli arresti massimati, sono Cass. 9 dicembre 1991 n. 13241 (per cui, appunto, non valendo la citazione in riassunzione quale at to d'impugnazione ben sì “come atto di impulso processuale, in forza del quale la controversia, per il carattere e i limiti del giudizio di rinvio, dà luogo a litisconsorzio necessario processuale fra gli stessi soggetti che furono parti nel processo di cassazione”, deve repu tarsi che, “pur potend osi il giudizio di rinvio rite nere te mpestivamente instau rato con la citazione di una sola d i dette parti entro il termine di legge, il giudice adito, in applic azione dei principi che g overnano il litisconsorzio necessario nelle fasi di gravame, non può esimersi dal disporre l'integrazione del cont raddittorio nei confronti delle altre parti alle q uali non sia st ata effettuata la no tificazione dell'atto introduttivo”), Cass. 18 dicembre 1992 n . 13431 ( per cui, essendosi instaurato “lit isconsorzio necessario processuale fra gli stessi soggetti che furono parti nel processo di cassazione”, e “dovendosi disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quei litisconsorti necessari ai quali non sia stato notificato l'atto di riassun zione, a norma dell'art. 1 02 c.p. c., la temp estiva riassunzione della causa nei confronti di uno solo dei litisconsorti è sufficiente ad evitare ogni decadenz a, e quindi ad imped ire l'estinzione del processo pre vista dall'art. 393 c.p.c. pu rché la 8 di 29 riassunzione nei confron ti degli altri lit isconsorti venga effettuat a nel termine assegnato dal giudice”), Cass. 13 luglio 1998 n. 6829 (la quale rimarca che, qualora non sia stata adempiuta la disposta integrazione del contraddittorio, “l'intero pro cesso andrà ad estinguersi”), Cass. 17 dicembre 1999 n. 14244 e Cass. 28 maggio 2004 n. 10322 (che precisa ch e nel caso in cui non sia stato eseguito l'ordine di integrazione del contraddittorio disposto ex art. 393 c.p.c. il processo va dichiarato e stinto se è stata avanzata tempestiva eccezione - cioè prima di ogni ulteriore difesa - di parte, in difetto di tale eccezione comunque il giudizio essendosi, per così dire, disinnescato, nel senso che “va emessa una pronuncia di rito cognitiva nell'impossibilità di prosecuzione del giudizio atteso che altrimenti una decisione di merito sarebbe inutiliter data”), nonché, in epoca più recente, Cass. 19 marzo 2012 n. 4370 (“Se il giudizio, dopo la cassazione con rinv io della sentenza di merito, è tempestivamente riassunto nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti necessari, non si verif ica l'estinzione del processo, essendo dovere de l giudice ordinare l'integ razione del contraddittorio ai sensi dell'articolo 102 c.p .c.; soltanto ove tale ordine non sia t empestivamente eseguito potrà essere dichiarata l'estinzione del processo”), Cass. 8 settembre 2014 n. 18853 (che significativamente sottolinea l'illegittimità dell'omissione, da parte del giudice , di disporre la necessaria integ razione del contraddittorio rispetto alle parti del giudizio di legittimità, vale a dire l'inaccettabil ità di una modifica riduttiva d ella presenza d ei litigatores dopo il giudizio di cassazione, di cui il giudizio di rinvio integra una perfetta e diretta pro secuzione, e dunque un litisconsorzio necessario processuale: “il g iudizio di rinvio, pur risultando tempestivamente instaurato con la citazione anche di una sola di de tte parti en tro il termine di legge, no n può legittimamente proseguire se il giudice adito, in applicazione dei principi in tema di litisconsorzio necessario nelle fasi di gravame, 9 di 29 non disponga l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti cui non risulti notificato l'atto introduttivo del giudizio”) e da ultimo Cass. 17 gennaio 2020 n. 975 (che così riassume questa solida lettura interpretativa, ritornando al suo incisivo primo dictum: “In conseguenza della cassazione con rinvio, tra il giudizio rescindente e quello rescissorio deve esservi perfetta correlazione quanto al rapporto processuale, che non può costituirsi davanti al giudice di rinvio senza la partecipazione di tutti i soggetti nei cui confronti è stata emessa la pronuncia rescindente e quella cassata; la citaz ione in riassunzione davant i a det to giudice si con figura, infatti, come atto di impuls o p rocessuale, in forza del q uale la controversia dà luogo ad un litisconsorzio necessario fra coloro che furono parti nel pro cesso di cassazione , senza che abb ia rilievo alcuno la natura insc indibile o scindibile della ca usa, né l'ammissibilità di una prosecuzione solo parziale del giudizio in sede di rinvio”). ## “spazio di recupero” dalla individuazione errata di uno o alcuni dei litisconsor ti necessari, sia del riassumente sia del giudice di rinvio nella sua sentenza, deriva, in ultima analisi, dalla tutela della fruizione del processo, lo strumento dei diritti, che qui si riversa nella intrinseca oggettività degli effetti dell'impulso, anche parziale, alla ripresa - “riassunzione” - del giudizio di merito in seguito a una rettifica in jure del giudice supremo, così da potenzialmente pervenire a un completo esito.
Orbene non potendo si considerare la sente nza di cassazione con rinvio, che si tratti di rinvio c.d. re stitutorio o di ri nvio c.d. prosecutorio, "decisione definitiva", ma di prosecuzione dell'originario giudizio, non rileva la dedotta tardività della costituzione del difensore della controparte. Del resto, la memoria difensiva è stata depositata nel giudizio di rinvio dal difensore della ### di commercio il ###, dopo la regolare riassunzione 10 di 29 notificata dal ### il ### e la procura era a margine della comparsa di costituzione e risposta del primo giudizio di appello.
Lo stesso ricorr ente nella consapevolezza della regolarità dell a costituzione della ### di commercio, nonostante la riattivazione d'ufficio del procediment o da parte del ### del ### adito, correttamente ha notificato il ricorso al difensore costituito.
A completam ento delle argomentazioni si osserva che dagli atti processuali emerge che i giudizi de quibus, il n. 1701/2013 R.G., riattivato d'ufficio dal ### del ### e il n. 1048/2018 R.G., introdotto in riassunzione dal ### hanno formato oggetto di un provvediment o di riunione e ciò, in ultima prospettiva, ha determinato la regolarizzazione di tutte le posizioni processuali.
Con il secondo motivo, con riferimento all'art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., viene denunciate la violazione e la falsa applicazione nonchè l'erronea interpret azione degli art. 112 e 392 c.p.c. Ad avviso del ricorrente a seguito della sentenza della Suprema Corte di Cassazione n . 72/2 018 che ave va cassato la sentenza del ### di ### n. 74/201 4, questo in persona di diverso magistrato, era chiamato, qu ale giudic e di rinvio e giudice in funzione d'appello, a decidere nuovamente il m erito della controversia. Trattandosi pertanto di giudizio di merito di rinvio a seguito della cassazione della sentenza nulla, nel cui giudizio di legittimità la stessa Corte n ecessariame nte, acc ogli endo il preliminare rilievo, aveva dichiarato assorbiti i restanti motivi di ricorso per cassaz ione, il thema decidendum del giudizio doveva essere necessariamente esteso alla valutazione anche dei suddetti motivi rimasti assorbiti, e che costituivano specifiche censure alla decisione d'appello resa dal ### di ### con la sentenza 74/2014. Ad avviso del ricorrente il ### di ### in sede di rinvio, si sarebb e limit ato a ribadire gli stessi argomenti esposti nella sentenza an nullata, senza aggiungere alcuna altra considerazione o deduzione che potesse far pensare ad un nuovo 11 di 29 esame delle censu re, già oggetto d el giudizio di Cassazione conclusosi con una sentenza di annullamento in rito della pronuncia impugnata e rinvio al Giudice del gravame.
La censura è priva di pregio e non può trovare ingresso.
Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità (v. già Cass. n. 11842 del 2003; Cass. n. 1737 del 2002; Cass. 6712 del 2001; Cass. n. 14892 del 2000) che il giudizio di rinvio instauratosi a seguito di a nnullame nto, da parte del la Corte di cassazione, della sentenza d'appello non si pone in parallelo con alcun precedente grado del processo, ma ne costituisce, per converso, fase del tutto nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (cosiddet to "iudicium rescissorium") funzionale all'emanazione di una sentenza, che non si sostituisce ad alcun a precedente pronu ncia (né di primo, né di secondo grado), riformandola o modificandola, ma statuisce, direttamente e per la prima volta, sull e domande proposte dalle parti (come implicitamente confermato dal disposto dell'art. 393 c.p.c., a mente del quale all'ipotesi di mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, b ensì la sua inefficacia), poich é, nel sistema delle impugnazioni, soltanto all'appello va le gittimamente riconosciuto carattere "sostitutivo" rispetto alla precedente pronuncia, nel senso che la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto di quella di primo grado, che, pertanto, non rivive per l'effetto della cassazione con rinvio della pronuncia d'appello (tanto che spetta al giudice del rinvio il compito di provvedere, in ogni caso, sulle spese di tutti i precedenti gradi di giudizio, incluso il primo). La mancata riassunzione del giu dizio di rinvio de termina di conseguenza, ai sensi dell 'art. 393 cod. proc. civ., l'est inzione non solo di quel giudizio, ma dell'intero p rocesso, con la derivata caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già coperte d al giudicato ( in quanto non impugnate), restando 12 di 29 inapplicabile al giudizio di rinvio l'art . 338 c.p.c., che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione.
Restando, pertanto, definitivam ente caducata ogni pregressa pronuncia, compresa quella di primo grado, non sussiste la pretesa "reviviscenza" sostanzialmente postulata dal ricorrente quanto alle valutazioni contenute nell a sentenza annullata, giacché il giud ice del rinvio ha il compito di provvedere globalmente sul merito della vicenda proprio perché la sua sentenza non ha carattere sostitutivo di alcuna precedente pronuncia, ma definisce l'azione civile nel suo complesso (Cass. 22 maggio 2006 n.11936; Cass. 12 giugno 2019 n. 15859).
Ne consegue che la valutazione operata dal giudice del rinvio ha riguardato tutte l e censure formulate con l'originario atto di appello, seppure con argomenti non condivisi dal ricorrente, per cui non ricorre alcuna violazione dei denunciati principi di diritto.
Con il terzo motivo il ricorrente, con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., lamenta la violazione e la falsa applicazione e inte rpretazione degli artt. 6, 7, 11 e 12 d.lgs. n. 206/2005. ### parte ricorrente l'errore in cui è incorso il Giudice di primo grado - e sint etizzabile nell'affermazione, contenuta nella parte motiva della sentenz a impugnata, ”il divieto e la sanzione... si applica a tutti gli ope ratori della catena commerciale senza eccezione" - è evidente e dovrà essere riformato in appello sulla base dell a lettera dell'art. 7 Cod. Cons., disp osizione che, come noto, individua nel momento in cui i prodotti "sono posti in vendita al consum atore” quello in cui devono fig urare sulle confezioni o sulle etichette le indicazioni di cui all'art. 6 Cod. Cons. Ne consegue che il divieto di cui all'art. 11 Cod. Cons., da un lato, individua il momento della consumazione della sanzione amministrativa in quello in cui i prodot ti sono posti in vendita al consumat ore, e dall'alto, che il divieto n on sia applica bile alle al tre fasi di circolazione e distribuzione del bene o del servizio. 13 di 29 Al riguardo il ricorrente richiede che, ove non si condivida siffatta interpretazione, la Corte di cassazione provveda ad adire la ### nel senso di <<… ricorre re al rinv io pregiudiziale del giudice di ultima istanza ai sensi dell'art. 267 TFUE al la Corte di ### affinché sia posto il quesito se la n ormativa nazionale prevista dagli artt. 6 - 7 - 11 - 12 d.lgs. n. 206/2005 sia conforme o men o agli artt. 34 - 35 - 36 del ### e più i n generale compatibile con il principio della libera circolazione delle merci nel territorio europeo>>.
Con il quinto motivo - che si espone in questa sede per la evidente connessione con il terzo mezzo - ai sensi d ell'art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione di legge e la errata interpretazione degli artt. 5-11 d.lgs. n. 313/1991 e dell 'art. 1, secondo comma legge n. 689/1 981. Ad avviso de l ricorrente il ### di ### sarebb e incorso n ella violazione delle richiamate disposizioni di legg e di cui agli artt. 5 e 11 d.lgs. 313/1991 per la ragione che il ### nella vicenda che lo occupa, non è qualific abile né come produttore e/o fabbricante, né come responsabile dell'immissione sul mercato italiano dei prodotti oggetto di sequestro da parte della ### soggetti nei cui confronti grava[va] l'obbligo di cui all'art. 5, comma 3, d.lqs. 313/1991 di redigere in lingua italiana il foglio informativo, le avvertenze e le precauzioni d'uso. ###. 11 , comm a 4, D.Lgs. 313/1991, con l'inciso “chiunque viola il disposto dell'art. 5" non si riferisce affatto a tutti i soggetti del la cat ena commerciale, ma ovviamente solo a coloro su cui grava[va] l'obbligo predisporre le istruzioni e le informazioni di sicurezza, ovvero il fabbricante ed il responsabile dell'immissione sul mercat o italiano. Sul punto il ricorrente eccepisce l'illegittimità co stituzionale dell a disciplina <<in difett o di una siffatta interpretazione, costituzion almente orientata, sorge viceversa la necessità di far rilevare eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 l. 689/1981, in quant o 14 di 29 contrastante con gli art. 3 e 117 Costituzione, in relazione all‘art. 7 Cedu, all'art. 15 del Patto lnternazionale dei ### e ### e all'art. 49 ### dei ### dell‘###>> I due motivi sono infondati.
Come già ritenuto da questa Corte (v. Cass. n. 18171 del 2016), con o rientamento che si condivide e a cui va data continuità, un'interpretazione sistematica della normativa in materia di sicurezza ed etichettatura delle merci, pur nel silenzio del ### del consumo, permette di delimitar e con precisione la portata soggettiva degli obbligh i di cui agli artt. 6 ss. del d.lgs. 206/2005, estendendola anche al distributore dettagliante. Difatti, nel complesso settore in discussione, caratterizzato dal susseguirsi di norma tive stratificate e da più re centi tentativi di omogeneizzazione, gli artt. 3 ss. del ### del consumo, come evidenziato dal successivo art. 8, sono destinati a svolgere il ruolo di fonte sussidiaria e residuale, operando nei confronti di prodotti e questioni non puntualm ente disciplina te dalle pur capillari leggi speciali, concernenti singole cat egorie merceologiche. Tale carattere residuale e sussidiario rispecchia la stessa ispiraz ione codicistica del d.lgs. 20 6/2005, le cui regole rivelano altrettanti principi generali, idonei a colmare i vuoti normativi eventualmente emersi al momento dell'applicazione della legislazione speciale. Allo stesso tempo, tuttavia, è opportuno evidenziare che la cronistoria del diritto consumeristico, sorto nel segno della frammentazione settoriale, e solo in seguito colpito da intervent i d'ispirazione unitaria, rivela il carattere non solo univoco, bensì biunivoco, dei rapporti ermeneutici intercorrenti tra la normativa generale e quella speciale, suggerendo all'interprete di cogliere i tratti di omogeneità delle leggi di settore, per po terne trar re principi utili al fine d i affrontare anche i numerosi silenzi del legislatore codicistico. A tal fine è irrinunci abile un 'analisi delle fonti europee e naziona li in materia di alimenti (da ultimo il ### n. 1169 del 2011), di prodotti 15 di 29 tessili (Reg. n. 1007 del 2011), di c alzature (Dir n. 94111/CE, recepita dal D. M. 11/04/ 1996), di cosmetici (### n. 1223 del 2009) e di giocattoli ( d.lgs. n . 313 del 1991), le quali po ssono essere suddivise in due distinti gruppi, ciascuno connotato da un diverso grado di esplicitazione.
Il primo insieme comprende le fonti sull'etichettatura e marcatura dei prodot ti tessili, dei cosmetici e dei g iocattoli, le quali considerano esplicitam ente gli obblighi e le responsabilità del distributore (inteso come colui che, immetten do le merci sul mercato, è destinato a entrare in diretto contatto con il consumatore), esponendolo a possib ili sanzioni, oltre che all'eventuale ritiro delle merci.
Il secondo gruppo comprende invece le ulteriori norme in tema di alimenti e di calzature le quali, pur non occupandosi specificamente del distribut ore, esplicitano la propria ratio con rif erimento all'esigenza di tutelare i consumato ri e il b uon andamento del mercato, attribuendo al l'interprete gli strumenti necessari per procedere a un'interpretaz ione costi tuzionalmente orientata e teleologica della normativ a, che tenga conto d el ruolo svolto dal dettagliante nell'ambito della filiera p roduttiva, delimitandone gli opportuni profili di responsabilità. In tal senso, si è espressa anche la Corte di Giustizia dell'### la quale, con sentenza del 23 novembre 2006, pronunciata nella causa C- 315/05, ha affermato che un'interpretazione letterale, sistematica e teleologica della ### 200 0/###, relativ a alle informazioni sugli alimenti, impone di riconoscere la conformità al diritto europeo di una disciplina nazionale interpretata nel senso della responsabilità del distributore per aver posto in vendita un a bevanda al coolica prodotta in altro ### membro, di volume alcolumetrico inferiore rispetto a quello riportat o in et ichetta. Pertanto, l'interpretazione della normativa sp eciale rivela, quando imp licitamente quando esplicitamente, l'esistenza di un generale principio di responsabilità 16 di 29 del distrib utore, espressione di una ratio protettiva volta a garantire la piena autodeterminazione del consumatore e la piena concorrenzialità del mercato interno.
Un med esimo approccio ermeneutico, atte nto allo spirito della norma e al cont esto legisl ativo in cui essa è inserita, si impone anche al giudice che sia chiamato a valutare la responsabilità del distributore di prodotti non disciplinati da norme speciali, e dunque rientranti nell'ambito applicativo della disciplina generale di cui agli artt. 5 ss. del d.lgs. 206/2005. In particolare, gli artt. 11 e 12 del ### del consumo, p revedendo una sanzione amministrativa in capo a quan ti, genericamente, si dedichino al "commercio" di prodotti che non riportino, in modo visibile e leggibile, le indicazioni di cui all'art. 6, si prestano a essere interpretati sistematicamente alla luce del combinato disposto degli artt. 5, 7 e 13 del medesimo ### i quali non solo rivelano la ratio protettiva della norma, ma forniscono anche indizi ermeneutici bastevoli a far ritenere che il legislatore, nell'adoperare il termine "commercio" (art. 11), abbia voluto far riferimento al rapporto intercorrente tra dettagli ante e consumatore, essendo questa la soluzione più conforme allo spirito e allo scopo della norma. La previsione di direttive speciali, rivolte al ravvicin amento delle legislazioni sulla sicurezza d ei singoli prodotti, riconosce quindi la particolare pericolosità di determinati beni come, nella specie, per i giocattoli destinati ad essere utilizzati dai bambini. Pertanto, alla luce di una maggior tutela dei soggetti particolarmente vulnerabili, la disciplina di settore prevede spesso degli oneri informativi più gravi.
Infatti, nella specie , trattandosi di giocat oli, il ricorrente è stato sanzionato ai sensi dell'art. 11 comma 4 del d.lgs. n. 313/1991, applicabile ratione temporis e attu ativo della direttiva 88/378/CEE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli ### membri concernenti la si curezza dei giocattoli. Anch e in q uesto caso, in modo del tutto analogo alla disciplina generale del ### 17 di 29 del Consumo, la norma prevede la punibilità di chiunque immetta in commercio dei giocattoli violando il relativo obbligo informativo e di etichettatura di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 313/1991. Perciò, anche questa disposizione deve essere interpretata nel senso del riconoscimento di una responsabilità di tu tti gli operatori de lla filiera economica. ### canto, la direttiva n. 88/378/CEE era già operativa in un contesto precedent e l'introduzione del ### del ### nel 2006, in cui la normativa generale e di applicazione residuale era contenuta nella direttiva 2001/95/CE recepita con il d.lgs. n. 172/2004 e avente ad oggetto la disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti. Quest'ultima, all'art. 5 par. 2, per di più, poneva espressamente an che in capo ai “distributori”, nei limiti delle rispettive att ività, “l'onere di partecipare ai contro lli della sicurezza dei prodotti i mmessi sul m ercato, in particolare trasmettendo le informazioni concernenti i risch i dei prodotti, conservando e fornendo la documen tazione atta a rintracciare l'origine dei prodott i e collaborando alle azioni intraprese da produttori e autorità competenti per evitare tali rischi”.
È quindi l'interpretazione sistematica di quel quadro normativo, poi confermato anche dall'impianto del ### del ### (d.lgs. 206/2005), che determina la responsabilità d i tutti gli operatori della filiera economica, anche in virtù di una definizione d i “distributore” che non include soltanto il venditore al dettaglio, ma anche “distributore: qualsiasi operatore professionale della catena di commercia lizzazione, la cui attività non incid e sulle caratteristiche di sicurezza dei prod otti” (art. 2, lett. f), decreto legislativo n. 172/2004 di recepimento della direttiva 2001/95/CE).
A margin e, e per quanto ancora di inte resse, trattandosi di normativa sopravvenuta non applicabile ratione temporis alla specie, ma comunque d i rilevanza n ella ricostruzione dell'evoluzione del quadro normativo in materia di sicurezza dei giocattoli, si segnala la maggiore specificità del d.lgs. n. 54/2011. 18 di 29 Questa, recependo i principi summenzionati, i ndiv idua con maggiore dettaglio i sogg etti responsabili della corretta commercializzazione di tali prodot ti per garantire un'adeguata tutela dei bambini. In particolare, nell'ottica di un'elevata protezione dei soggetti p articolarmente vulnerabili cui i giocattoli sono d estinati, al ### si fa riferimento agli “obb ligh i de gli operatori economici”, già così richiamando la previsione di diverse posizioni di garanzia nella filiera economi ca di produzione e distribuzione. Ed in effetti, neg li artt. 3, 4 , 5 e 6, la disciplina procede con una specifica indicazione dei diversi attori della filiera di commercializzazione e dei rispettivi oneri che gravano, quindi, tanto sul fabbricante dei giocat toli, quanto sul rappresentante autorizzato, sull'importatore e sul dist ributore. Quest'ultimo da intendersi sempre come qualsiasi “persona fisica o giuridica nella catena di fornitura, diversa dal fabbricante o dall'importatore, che mette a disposizione sul mercato un giocattolo” (art. 2, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 54/2001), indipendentemente dal fatto che si tratti di un commerciante al dettaglio o di un grossista che immette il giocattolo sul mercato, comunque, con la finalità che esso giunga al consumatore.
Ne deriva che anche nel caso di specie, pur mancando l'esplicita previsione legislativa della responsab ilità del distributore, quest'ultimo debba ritenersi comunque responsabile per aver omesso le indicazioni di cui all'art. 6, l. b), c) ed e), dato che egli non svolge un ruolo meramente "passivo" nella commercializzazione de/prodotto, ma anzi opera nella fase in cui più forte è l'esigenza di tutelare la libera autodeterminazione del consumatore, garantendo a quest'ultimo la più completa, veritiera e trasparente informazione.
Da q uanto sopra consegue l'irrilevanza della qu estione oggetto della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di ### izia 19 di 29 dell'### sollevata ai sensi dell'art. 267 TFUE dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso. ### la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3 novembre 2021 ###), l'obbligo per il giudice nazionale di ulti ma istanza di rimettere la causa alla Corte di Giu stizia dell'### a, ai sensi dell'art. 267 citato (già art. 234 del Trattato che istituisce la ###, viene meno quando non sussista la necessità, di una pronuncia p regiudiziale sulla normativa comunitaria, in quanto la questione sollevata sia materialmente identica ad altra, già sottoposta alla Corte in analoga fattispecie, ovvero quando sul problema giuridico e saminato si sia formata una consolidata giurisprudenza di detta Corte (cfr., tra molte, Cass. n. 4776 del 2012); similmente, il rinvio pregiudiziale, quantunque obbligatorio per i giud ici d i ultima istanza, presuppo ne che la questione interpretativa controversa abbia rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all'esame del giudic e nazionale e, alle norme interne che lo disciplinano (cfr. Cass. SS.UU. n . 8095 del 2007). Invero è noto (v. Cass. SS.UU. n. 20701 del 2013) che il rinvio pregiudiziale alla Corte di ### non costituisce un rimedio giuridico esperibile automat icamente a semplice richiest a delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità: infatti, esso ha la fu nzione di ver ificare la legittimit à di una legge nazionale rispetto al diritto dell'### e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall'evoluzione giurisprudenziale della Corte di ### e rece piti dal ### sull'### ropea; sicché il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente da istanza di parte ( tra le altre , v. Cass. 6862 del 2014; Cass. n. 1360 3 del 2011). ### cant o è incontrastato l'enunciato, più volte ribadito dalla Corte di cassazione a ### un ite, secondo cui la Co rte di ### nell'esercizio del potere di interpretazione di cui all'art. 20 di 29 234 del ### istitutivo della ### economica europea (oogi, art. 267 TFUE), non opera come giudice del caso concreto, bensì corte interprete di disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudi ce nazionale, in capo al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale (v. Cass. SS.UU. n. ### del 2017; in precedenza: Cass. SS.UU. nn. 16886/2013, 2403/ 14, 2242/15, 23460/15, 23461/15, 10501/16 e 14043/16). Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all'obbligo di rimettere alla Corte di giustizia dell e ### ità europee la questione di interpretazione di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o quando ritenga di essere in presenz a di un "acte clair" che, in ragione dell'esist enza di precedenti pronunce della Co rte ovvero dell'evidenza dell'interpretazione, rende inutile (o non ob bligato) il rinvio pregiudiziale (Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, causa C-283/81, ### e, per la giurisprudenza di questa Corte, tra le altre: SS.UU. n. 12067 de l '2007; Cass. n., 22103 del 2007; Cass. 4776 del 2012; Cass. n. 26924 del 2013).
Come si evince con il principio di diritto enunciato nella presente motivazione circa l'interpretazione degli artt. 6, 7, 11 e 12 d.lgs. 206/2005 risulta irrilevante la proposizione della questione oggetto della domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte di ### ai sensi dell'art. 267 TFUE, tanto alla luce della t itolarità della funzione giurisdizionale del giudice nazionale di u ltima istanza, qu anto dell'insegnamento della sentenza della Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, causa C-283/81, caso ### Ne deriva anche l'inconfere nza della richiesta di rinvio alla Corte costituzionale per desunta illegi ttimità di sif fatta normativa, la quale peraltro più volte si è pronunciata per la inammissibilità delle questioni sollevate con riferimento alla disciplina consumeristica (v. già Corte Cost. 30.6.1999 n.282). 21 di 29 Va, dunqu e, affermato il principio di diritto secondo cui “l'interpretazione sistematica del quadro normativo che ha trovato conferma anche n ell'impianto del ### del ### (d.lgs. 206/2005), determina la responsabilità di tutti gli operatori della filiera economica, anche in virtù di una definizione di “distributore” che non in clude soltanto il venditore al dettaglio, ma qualsiasi operatore professionale della catena di commercializzazione, la cui attività non incide sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti” e questo principio di diritto fonda la pronuncia di infondatezza della censura.
Con il quarto motivo, in riferimento all'art. 360, comma 1 3 e n. 5 c.p.c., è denunciata la violazione e l'errata interpretazione degli artt. 104 - 105 e 112 d.lgs. n. 206/2005 nonché degli artt. 1176 e 2236 c.c., oltre ad omessa motivazione e/o esame su un fatto decisivo. Il ricorrente con il quarto motivo prospetta che la sentenza del Giudice d i rinvio meriti la cassazione per avere erroneamente applicato gli artt. 104 e 105 d.lgs n. 206/2005, avendo ritenuto, contrariamente al vero, l'assenza delle indicazioni prescritte dalla legge sulla merce quando invero le etichette erano ben presenti sui prodotti.
Anche siffatto mezzo è infondato.
Come sopra esposto, la ratio del divieto di cui all'art. 11 Cod. Cons. risiede nell 'obiettivo di tutelare il consumatore attraverso la previsione di obblighi informat ivi posti in capo al professionista.
Questi sono volti a colmare l'asimmetria informativa propria del contraente debole, secondo u na modalità di tute la tipica della normativa di matrice eurounitaria. Si tratta, nel dettaglio, di una norma integratrice delle fattispecie previste dagli artt. 6, 7 e 9 Cod.
Cons., le quali individuano il contenuto minimo delle informazioni da fornire con l'etichetta o con le confezioni dei prodotti, nel momento in cui questi sono immessi sul mercato . ###. 11 prevede, infatti, un d ivieto assoluto di commercializzaz ione sul 22 di 29 territorio nazionale di qualsiasi prodotto o confezione di prodotto che non riporti, in lingua italiana ed in forme chiaramente visibili e leggibili, le informazioni ne cessarie p er la determinazione del consumatore circa l'identità del prodotto e del suo utilizzo. Tali dati rilevanti sono individuat i in modo specifico nell'elenco di cui al comma 1 dell'art. 6 Cod. Cons. e, una volta indicati nell'etichetta o nella confezione, sono rivolti a garan tire un elevato livello di protezione del consumatore e a favorire la sua libera autodeterminazione nella scelta del bene di consumo.
Le informazioni da indicare in etichet ta, in effet ti, da una parte, sono funzionali alla identificazione del prodotto, come nel caso della sua denominazione (art. 6. par. 1 lett. a) Cod. Cons.), del nome o della ragione sociale o del marchi o e della sede le gale de l produttore o dell'importatore stabilito nel territorio UE (art. 6. par. 1 lett. b) Cod. Cons.), ovvero del ### di origine del prodotto se situato fuori dall'UE (art. 6. par. 1 lett. c) Cod. Cons.); dall'altra, questi dati sono rivolti anche a rendere esplicito il corretto utilizzo del prodotto, garantendo la specifica indicazione della presenza di materiali o sostanze ch e possono arr ecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente (art. 6. par. 1 lett. d) Cod. Cons.), nonché le istruzioni, le eventuali precauzioni, oltre che la destinazione d'uso, ove utili ai fini di una fruizione sicura del prodotto (art. 6. par. 1 lett. f) Cod. Cons.).
La viola zione del summenzionato divieto di commercializzazione viene sanzionata ai sensi dell'art. 12 Cod. Co ns., che prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa da 516 euro a 25.823 euro “ai contravventori del divieto di cui all'art. 11”. ### generale e plurale dei sogge tti sanz ionabili, contenut a in questa disposizione, è strettamente connessa alla previsione di un obbligo informativo generale posto in capo a tutti gli operatori economici della filiera produttiva che si occupano della commercializzazione di un bene di consumo nell'ottica di una sua effettiva immissione nel 23 di 29 mercato, in quanto, secondo l'art. 5 Cod. Cons., “Le informazioni al consumatore, da chiunque proveng ano, de vono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”. Quindi, per garantire u na corretta immissione del bene sul mercato, sono responsabili della corretta etichettatura del prodotto tutti gli operatori della filiera di produzione e distribuzione, così da garantire un elevato livello di protezione del consumatore.
Questa interpretazione della normativa è riconosciuta anche dalla giurisprudenza della Corte di ### dell '### che individua un ampio onere infor mativo già n ella direttiva 2000/13/### La Corte eurounitaria, con la senten za del 2 6 novembre 2006, nella causa C-315/05, ### c. ### cit. (punto 46), ha poi affermato che questa direttiva ha quale obiettivo principale quello di consentire che i responsabili del prodotto, tra i quali, oltre ai produttori e ai condizionatori, si trovano anche i venditori, siano facilmente identificabili dal consumatore finale affinché quest'ultimo possa, se del caso, comu nicare loro le sue cr itiche positive o negative relative al prodotto acquistato (v., in questo senso, anche sentenza 17 settembre 1997,C-83/96, ### punti 17 e 18).
Viene così rico nosciuto un ampio onere informativo su tutt i gli operatori economici, a partire dal produttore per giungere sino al venditore dettagliante, i quali, per di più, devono essere facilmente individuabili dalla stessa etichettat ura, disciplina la cui finalità è quella di garantire la piena e libera au todeterminazione del consumatore, il quale deve essere posto in condizioni tali da poter operare razionalmente sul mercato, perché provvisto delle informazioni necessarie al fine di orientare consapevolmen te la propria condotta economica. Scopo della norma è dunque quello di rendere edotto il consumatore delle caratteristiche e della qualità 24 di 29 dei beni cui egli è interessato, valutando non solo l'idoneità degli stessi ai fini cui saranno dest inati, ma anche l'eventuale impatto che questi potrebbero avere sulla sua salute, soprattutto quando, come nel caso concreto, il prodotto è destinato, secondo il suo uso ordinario, ad entrare in contatto con la pelle e a permanervi a lungo, creando l'occasione di possibili reazioni allergiche.
Che si ffatte informazioni fossero presenti nell'etichettatura sanzionata il ricorrente non ha fornito la prova, né della lor o conformità alla normativ a contestata, per cui correttamente il giudice del rinvio ha rigettato il ricorso.
Con il sesto mo tivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., viene denunciat a la violazione di legge e la errata applicazione dell'art. 24 legge n. 689/1991, nonché degli artt. 1 - 14 d.lgs. n. 475/2012 e dell'art. 342 c.p.c. Il ricorrente sostiene che il ### nale di ### avrebbe erroneament e dichia rato l'inammissibilità del quinto motivo di app ello per caren za di specificità e genericità, ment re egli aveva contestato espressamente il fatto che i pochi articoli sequestrati (v. verbale 2008/14/Z del 3.11.2008, doc. 5 , fascicolo ### i primo grado) potessero essere inclusi nel la definizione di “disp ositivi di protezione individuale” e quindi assoggettati agli stringenti e rigorosi obblighi della normativa citata. Lamenta quindi il vizio di violazione di legge in rela zione anche all'art. 24 de lla legge n . 689/1981.
La censura è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.
Il giudice di rinvio nel rigettare la deduzione del ricorrente secondo cui la m erce sarebb e rientrata nella definizione di “disposi tivi di protezione individuali”, ha escluso che si trattasse di ### aventi la funzione di salvaguardare la persona che l'indossi da rischi per la salute e per la sicurezza, caratteristica esclusa già dal giudice di prime cure, non rientrando nel novero i prodotti per la sicurezza quelli per la sicurezza in acqua. Ha poi aggiunto che sul punto il 25 di 29 ricorrente nessuna puntuale critica aveva ulteriormente denunciato, per cui il motivo andava ritenuto generico.
Né l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un "error in procedend o", presup pone comunque l'ammissibilità d el motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare il contenuto d ella criti ca mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntu almente i fatti processuali alla base dell 'errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d'inammissibi lità , nello stesso rico rso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appell o, ha l'one re di precisare, nel ricorso, le ragioni p er cu i ritiene erronea tale st atuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giud ice d'appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evid enziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a riprodurre alcuni passi dell'atto di appello (v. Cass. 24048 del 2023).
Infine, con il settimo mot ivo, sempre in riferimento all'art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione dell'art. 8 l. 689/1981, osservando il ricorrente che comunque è inapplicabile l'aumento della sanzione più grave in misura sino al tr iplo come previsto dall'art. 8 L. 689/1981, essendo incongruente e/o carente la mot ivazione dell'ordinanza impugnata in relazione alla determinazione del quantum della sanzione.
Anche questo mot ivo non si prospetta fondato e deve, perciò, essere respinto.
Premesso che la l. n. 689 del 1981, contiene la previsione - con la consueta clausola di "salvezza" delle diverse disposizioni normative derogatrici - della disciplina rela tiva all'ipotesi della cont estuale commissione di una pluralità di violazioni amministrative ascrivibile 26 di 29 ad un unico agent e, così occupandosi anch e della fattispecie del concorso formale di infrazioni amministrative realizzato attraverso la trasgressione - mediante una sola condotta - di plurimi precetti amministrativi (c.d. concorso eterogen eo) o della stessa disposizione sanzionatoria (c.d. concorso omogeneo), mentre la diversa fattispecie della "continuazione" non era contemplata nell'impostazione originaria della richiamata legge depenalizzatrice, avendo ricevuto solo successivamente, in modo specifico e diretto, un riconoscim ento limitato alle sole infrazioni contemplate in materia previdenz iale e assistenziale, alla stregua di un sopravvenuto intervento normativo integrativo dell'art. 8.
E per questo che la giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, Cass. 16 dicembre 2005 n. 27799; Cass. 21 maggio 2008 12974, e Cass. 6 ottobre 2008 n. 24655) ha statuito, a più riprese, che in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, la l. n. 689 del 1981, art. 8, prevede il cumulo cosiddetto "giuridico" delle sanzioni per le sole ipotesi di concorso formale, omogeneo od eterogeneo, di violazioni , ossia nelle ipote si di più violaz ioni commesse con un'unica azione ad omissione; non lo prevede, invece, nel caso di molteplici violazioni commesse con una pluralità di condotte. In tale ultima ipotesi n on è applicabile per an alogia la normativ a in materia di continuaz ione dettata pe r i reati dall'art. 81 c.p., sia perché la men zionata l. n. 689 del 1981, art. 8, al comm a 2, prevede una simile disciplina solo per le suddette viol azioni in materia di previdenza e assistenza obbligatoria (evidenziandosi così l'intento del legislatore di n on estende re detta disciplina ad altri illeciti amminist rativi), sia perché la differenza qualitativa tra illecito penale e illecito amministrativo non consente che attraverso l'interpretazione analogica le norme di favore previste in materia penale possano essere e stese alla materia degli illecit i amministrativi. 27 di 29 Solo con il nu ovo art. 8 bis, int rodotto per effetto del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 94, nel quadro di un'innovazione più ampia facente riferime nto all'istituto generale della "reiterazione delle violazioni", il legislatore ha inteso - con la previsione inclusa nel comma 4 d ella dis posizione - conferire un rilievo d iverso ed attenuato alla continuazione con riguardo a t utti gli ill eciti amministrativi, disponendo che, nel caso di violazioni successive (alla prima), le stesse non sono valutate ai fini della reiterazione quando sono commesse in temp i ravvici nati e si prospe ttano riconducibili ad una programmazione unitaria. In sostanza, perciò, la rilevanz a dell'unicità d el "disegno trasgressivo" non è stata prevista in funzione dell'appl icazione di una sanzione unica e ridotta nella sua determinazione quanti tativa comp lessiva, bensì quale situazione ostativa alla produzione degli effetti che altrimenti conseguirebbero in virtù del riconoscimento della sussistenza della "reiterazione", disciplinata nei precedenti commi del medesimo art. 8 bis. Pertan to, nell'attuale quadro no rmativo, al di là di questo limitato (ed improprio) effetto conferito alla continuazione in relazione alla sua att itudine ad escludere le conseguenze della reiterazione, l'unificazione, ai fini dell'applicazione della sanzione - nella misura massima del triplo di quella prevista per la violazione più grave - in ordine a plurime trasgressioni di diverse disposizioni o della medesima disposizione, riguarda, ai sensi dell'art. 8, comma 1, in que stione, esclu sivamente l'ipotesi in c ui la pluralità delle violazioni discenda da un'unica condotta e, quindi, non opera nel caso di condot te dist inte, quantunque collegate sul piano dell'identità di una stessa intenzione plu rioffensiva (al di fuori ovviamente delle violazioni attinenti alla materia previdenz iale e assistenziale, indicate nel comma 2), nella cui ipotesi, perciò, trova applicazione il criterio generale del cumulo materiale delle sanzioni.
In def initiva, in tema di sanzioni amministrative, l'istituto della reiterazione nell'illecito, previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 28 di 29 689, art. 8 bis, introdotto dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 94, non opera quale elemento unificante ai fini della sanzione del precedente art. 8 a guisa di continuazione (art. 81 c.p., comma 2), e non ha modificato il principio generale, desumibile dal citato art. 8, secondo cui la sanzione più grave aumentata sino al triplo non può essere irrogata, salve le ipotesi eccezionali del secondo comma (violazioni delle norme previdenziali ed assistenziali), che nei soli casi di concorso formale (corrispondente all'art. 81 c.p., comma 1).
La previ sione di cui alla medesima legge 24 novemb re 1981 , 689, art. 8 bis, comma 4, relativa alle "violazioni amministrative ... commesse in tem pi ravvicina ti e riconducibili ad una programmazione unitaria", è det tata al solo fine di esclud ere l'effetto aggravante che deriver ebbe dalla reiterazione e non in funzione dell'unific azione della sanzione. Alla luce di tali argomentazioni la determinazione de lla sanzione n ei limiti di cui alla previsione, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, n on integra la violazione di legge lamentata, rientrando comunque nel range di legge.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Nessuna pronuncia sulle spese del giudizio di legittim ità per non avere la ### di com mercio svol to difese in que sta sede, rimanendo intimata.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, dell a legge 24 dic embre 2012 , n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - ### di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1- quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a q uello previsto per la ste ssa impugnazione integralment e rigettata, se dovuto. 29 di 29 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi d ell'art. 1 3 comma 1-quater D.P.R. n. 1 15/02, inserito dall'art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in ### nella came ra di consig lio della ###