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Tribunale di Velletri, Sentenza n. 2022/2024 del 02-10-2024

... termini per le cd. preclusioni assertive (si v. atto di citazione, nonché prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.). In altre parole, considerando la natura e l'assai lieve entità delle difformità di cui si tratta, è evidente, ad avviso del giudicante, che le stesse non abbiano inciso, nel presente caso, sull'idoneità dell'immobile compromesso in vendita a soddisfare la funzione abitativa sua propria, né è stato specificamente allegato e dimostrato (o richiesto di dimostrare) da parte dell'attrice (anche tenuto conto del carattere valutativo e generico o dell'inconferenza, per come articolati, dei capitoli di prova testimoniale richiesti dalla stessa nella sua memoria istruttoria) alcunché di concreto e specifico in diverso senso, essendosi la medesima limitata al riguardo, in definitiva, soltanto a un astratto richiamo di pronunce giurisprudenziali relative ad ipotesi affatto diverse da quella che occupa (quale è, in particolare, il precedente di cui a Cass. civ. n. 10297/2017, ripetutamente richiamato dalla ### afferente a fattispecie nella quale veniva lamentata, piuttosto, innanzi al giudice di legittimità, la nullità del preliminare di vendita di un immobile abusivamente (leggi tutto)...

testo integrale

 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI ### Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa ### ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 7251/2019 r.g.a.c., trattenuta in decisione all'udienza del 21.03.2024, con l'assegnazione di termini ex art. 190 c.p.c. (ratione temporis applicabile), di giorni sessanta per il deposito di comparse conclusionali e successivi giorni venti per memorie di replica, vertente tra ### (C.F. ###), rappresentata e difesa dall'avv. ### ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in ### via ### n. 63, come in atti; attrice e ### (C.F. ###), ### (C.F.  ###), entrambi rappresentati e difesi dall'avv. ### ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, sito in ### viale ### n. 12, come in atti; convenuti ### risoluzione contrattuale. 
Conclusioni delle parti: come da verbale di udienza del 21.03.2024 (per l'attrice: conclusioni come da memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c.; per i convenuti: conclusioni come da loro memoria congiunta depositata ai sensi dell'art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. ). 
Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione regolarmente notificato al ### in data ### e in data ### al #### ha adito questo Tribunale, chiedendo: “A) in via principale: accertato il grave inadempimento dei ###ri ### e ### quali promissari acquirenti dell'immobile sito in ####, via dei ### 37, int. 1 per i motivi tutti espressi in narrativa, per l'effetto: 1) dichiarare legittimo il recesso della sig.ra ### dalla scrittura privata/contratto preliminare con gli stessi sottoscritto in data ### e 2) condannare gli odierni convenuti alla restituzione in favore dell'odierna attrice del doppio della caparra dalla stessa a loro versata sino ad oggi e pari ad € 94.000,00 (novantaquattromila/00) e della maggior somma che maturerà alla data del rilascio dell'immobile, che sarà calcolata nel proseguo del giudizio; B) sempre in via principale: condannare, altresì, i sigg.ri ### alla restituzione in favore della ###ra ### dei seguenti importi: € 550,00 versato a titolo di polizza fideiussoria; € 244,00 corrispondente al 50% delle spese di registrazione del contratto preliminare ed € 813,74 quale rimborso delle spese tutte di mediazione; C) con vittoria di spese e competenze di procedimento, oltre al rimborso spese generali, Iva e Cpa come per legge”.   A fondamento di tali domande, l'attrice ha sostenuto, in sintesi: - di avere sottoscritto, in data ###, un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto l'immobile di proprietà dei ### situato ad ### viale dei ### n. 37, int.  1, catastalmente distinto al foglio 26, part. 180, sub. 11, cat. A/7; nell'ambito di tale contratto, è stato manifestato da essa istante l'intendimento di acquistare il bene e di procedere alla stipula del rogito notarile entro e non oltre il termine di quattro anni, con il versamento del relativo prezzo mediante il pagamento di una somma mensile di € 1.200,00, da considerarsi quale caparra confirmatoria, e del saldo residuo al momento del contratto definitivo; - che, in pari data, i ### hanno richiesto, peraltro, ad essa attrice di sottoscrivere anche un'ulteriore scrittura recante l'impegno a versare ulteriori somme da imputare in conto prezzo, scrittura però non registrata e in virtù della quale la ### ha versato, comunque, ai convenuti un importo aggiuntivo di € 5.000,000, da considerare anch'esso quale caparra confirmatoria, oltre alla somma dai lei corrisposta mensilmente di € 1.200,00/mese; - che, nonostante il suo regolare adempimento e il pagamento delle somme dovute, per un importo di € 19.200,00 complessivi, i ### hanno, però, improvvisamente inviato alla ### in data ###, una missiva con la quale le hanno richiesto il rilascio della polizza fideiussoria prevista dall'art. 9 del contratto preliminare, e ciò sebbene fossero già trascorsi, a quella data, quasi due anni dalla stipula del preliminare stesso; a tale missiva essa attrice ha replicato, in ogni caso, affermando che avrebbe provveduto a consegnare la polizza richiesta e a tanto ha provveduto, in effetti, “di lì a poco”, ciò nondimeno ricevendo, poi, il successivo 26.10.2018, un'istanza di mediazione proveniente dagli odierni convenuti, con la quale gli stessi hanno invocato la risoluzione del preliminare per il suo asserito inadempimento, sostenendo infondatamente che la polizza da lei consegnata non fosse idonea e non indicando, oltretutto, le ragioni per le quali la stessa dovesse ritenersi insufficiente, ovvero il perché detta polizza fosse da considerare, comunque, come una condizione indispensabile per il prosieguo del rapporto contrattuale, a fronte del rilevante arco temporale già trascorso dalla stipula del preliminare; - che, invece, nel corso della procedura di mediazione è emerso che l'immobile dei ### è viziato da abusi edilizi, così come rilevati in data ### dal tecnico incaricato da essa istante onde richiedere il mutuo per l'acquisto del bene, e tali abusi sono stati sottaciuti dai convenuti, non essendo stati indicati nel contratto, nel quale è stato riportato, piuttosto, che l'immobile fosse libero da pesi e immune da vizi; inoltre, per quanto i promittenti venditori si siano impegnati, in data ###, a incaricare un tecnico al fine di sanare le irregolarità dell'immobile, peraltro “a spese della Brahimi”, nessun incarico vi è stato poi da parte degli stessi, talché la ### si è vista costretta a presentare al Comune di ### e alla ### una richiesta di sopralluogo presso l'immobile e nel giugno 2019 il Comune ha confermato l'esistenza di abusi insanabili commessi dai proprietari per l'ampliamento della camera da letto, oltre che per una tettoia posta sul balcone del primo piano del villino e la costruzione di un locale tecnico nel giardino, con conseguente segnalazione di tali fatti anche alla competente ### della Repubblica; - che, allo stato, essa istante sta cercando di reperire un altro immobile da acquistare, con notevoli disagi, e continua a versare l'importo mensile di € 1.200,00, da considerare sempre quale caparra confirmatoria, avendo corrisposto, conseguentemente, ai ### alla data dell'atto di citazione, € 42.000,00 complessivi, oltre all'importo ulteriore di € 5.000,00 già sopra menzionato; - che avuto riguardo agli abusi suindicati non è più suo interesse, quindi, addivenire alla conclusione del contratto definitivo, bensì è sua intenzione recedere dal preliminare e richiedere il pagamento ai convenuti del doppio della caparra complessivamente versata, ad oggi per un ammontare pari a € 94.000,00, oltre agli ulteriori importi che matureranno sino al rilascio del bene, tenuto conto dell'inadempimento che è da ascrivere esclusivamente ai predetti per avere sottaciuto i suindicati abusi insanabili, in spregio all'obbligazione assunta di alienare un bene che fosse invece immune da vizi, ai sensi dell'art. 1490 c.c., applicandosi tale garanzia anche a un contratto come quello di cui si tratta, il quale, al di là di alcune parti in cui il sinallagma sembra essere squilibrato in favore della promissaria acquirente, senz'altro configura un preliminare di compravendita; è dunque evidente che i promittenti venditori, obbligandosi ad alienare un immobile esente da vizi, si siano resi inadempienti rispetto a quanto pattuito, mentre, tenuto conto del tempo trascorso dalla conclusione del preliminare e del regolare adempimento da parte di essa attrice, l'avversa contestazione in merito alla mancata consegna della polizza costituisce, in realtà, un mero pretesto impiegato dai ### in mala fede, per costringere la ### a sottoscrivere il rogito anticipatamente, ovvero per trattenere, in difetto, le somme da lei già corrisposte.   Disposta alla prima udienza del 01.12.2020 la rinnovazione dell'originaria notifica dell'atto di citazione, si è poi tempestivamente costituito in giudizio, in data ###, il convenuto ### contestando le avverse deduzioni e domande e chiedendo, per parte sua: “- in via pregiudiziale: previa verifica della decadenza o meno di parte attrice ex art. 291 cpc dalla possibilità di integrare il contraddittorio nei confronti del #### accertare comunque l'improcedibilità della domanda attrice per il mancato esperimento del procedimento di mediazione, assegnando il termine di 15 giorni alla medesima per la presentazione della relativa domanda; - nel merito: respingere ogni domanda proposta dall'attrice nei confronti di ### perché infondata in fatto e in diritto; - in via riconvenzionale: accertare e dichiarare la risoluzione del contratto sottoscritto in data ### per grave inadempimento della ###ra ### per non aver provveduto alla consegna della polizza fideiussoria con le caratteristiche e nel termine stabilito dall'art. 9 del contratto, e per l'effetto condannare la stessa al pagamento della penale di cui all'art. 11 lett. A) per il ritardo di 499 giorni nel rilascio dell'immobile; - sempre in via riconvenzionale: accertare e dichiarare l'eventuale ed ulteriore inadempimento della ###ra ### con riguardo all'art. 10 del contratto ed il conseguente diritto del #### al ristoro di tutti i danni arrecati all'immobile di ### dei ### 37 ad ### ivi compresi quelli agli arredi interni ed esterni, per le piante essiccate e per quelle sottratte, per le spese condominiali non corrisposte all'### condominiale sino alla data del rilascio, danni e spese che saranno quantificati in corso di causa e, per l'effetto condannare la ###ra ### al pagamento di tutte somme che risulteranno dovute a tali titoli”, il tutto con il favore delle spese processuali e con la condanna dell'attrice ai sensi dell'art. 96 c.p.c., ricorrendone i presupposti.   Ha esposto, sinteticamente, tale convenuto: - che la domanda attorea è anzitutto improcedibile per il mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, ex art. 5 d.lgs. n. 28/2010, tenuto conto che il contratto per cui si controverte è inquadrabile nella fattispecie dei “contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, di cui all'art. 23 D.L. n. 133/14, conv. in L. n. 164/14, e per taluni profili lo stesso è da ritenersi accomunato alla locazione immobiliare; - che, sempre in via preliminare, vi è poi che la ### ha violato l'art. 10 d.lgs. n. 28/10, dal momento che ha fatto valere in questa sede l'esistenza di asserite irregolarità edilizie dell'immobile compromesso in vendita indicando che si sarebbe trattato di informazioni e dichiarazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione avviato dai convenuti nei suoi confronti, informazioni e dichiarazioni da considerare, tuttavia, inutilizzabili, stante l'assenza di un consenso prestato dai ### secondo quanto previsto dall'art. 10 cit.; - che nel merito l'avversa domanda è, comunque, priva di fondamento, atteso che non è veritiero che i ### abbiano tenuto una condotta inadempiente, avendo invece ottemperato a tutte le obbligazioni poste a loro carico, mentre a rendersi inadempiente è stata proprio la parte attrice, non avendo la stessa consegnato, né nel termine stabilito nel preliminare, né successivamente, un'idonea fideiussione bancaria o assicurativa in favore dei promittenti venditori per l'importo di € 14.400,00, e ciò sebbene il rilascio di tale garanzia sia stato da loro domandato con “innumerevoli richieste orali e scritte, dapprima informali mediante messaggi sul telefono e poi formali”, quale, in particolare, la diffida prodotta dalla stessa ### del 30.04.2018, a cui ha fatto seguito soltanto l'invio da parte sua di una nota di tale “Fideunioncommercio”, e dunque non di una banca o società assicurativa e recante, al più, una mera delibera di un simile consorzio tra commercianti circa l'impegno a costituirsi garante sulla base di condizioni contrattuali di cui non è stata data, per di più, alcuna evidenza, oltre al fatto che la promissaria acquirente neppure svolte pacificamente un'attività commerciale, non potendo essere iscritta, pertanto, a un ente siffatto; l'inadempimento così perpetrato dalla ### è, poi, connotato da gravità, poiché quest'ultima ha dimostrato, in tal modo, di non avere credibilità presso il sistema bancario e assicurativo e, d'altra parte, la stessa non risulta avere presentato nemmeno una domanda di mutuo onde procurarsi il denaro necessario per l'acquisto, talché con la successiva missiva del 20.07.2018 la sua inadempienza è stata specificamente contestata, con conseguente obbligo della medesima a provvedere al rilascio nei successivi 45 giorni e al pagamento della penale giornaliera di € 200,00 prevista nel contratto preliminare in ragione del ritardo nella restituzione del bene, poi intervenuta soltanto in data ###, per complessivi € 99.800,00; - che per quanto concerne, invece, gli abusi edilizi che, a dire dell'attrice, sarebbero stati da lei conosciuti a seguito di verifiche svolte da un “fantomatico perito”, gli stessi, ove ritenuti rilevanti in questa sede, pur a fronte dell'eccezione di inutilizzabilità ex art. 10 cit., hanno comunque interessato, in realtà, irregolarità di entità minima, afferendo a un piccolo vano tecnico insistente sul giardino e a una tettoia posta sul balcone del primo piano, poi sanati da parte dei convenuti, oltre che a un piccolo ampliamento di una stanza posta al piano terra per circa 2 mq., che è stato eliminato, ripristinando la regolarità dell'immobile; si tratta dunque di circostanze che in alcun modo giustificano la pretesa attorea di liberarsi dal vincolo contrattuale assunto, derivando tale pretesa, piuttosto, da un mero ripensamento della ### rispetto all'acquisto alle condizioni concordate, donde l'irripetibilità di quanto da lei versato in virtù del contratto sottoscritto, tenuto conto di quanto previsto al riguardo dall'art. 5 di tale contratto; - che, inoltre, sempre la ### ha violato l'obbligo di conservare l'immobile concessole in godimento, considerato che prima del rilascio ha asportato delle piante cycas presenti presso lo stesso ed ha poi restituito il bene in condizioni “pessime”, “…rompendo alcuni arredi e pavimenti, asportando un termoconvettore, asportando altre piante (altra cycas e un mandarino), lasciando il giardino completamente devastato dallo stato di incuria (con molte piante seccate), pieno di rifiuti e materiali abbandonati”, comportamento che determina, ai termini del preliminare, la sua risoluzione automatica; l'attrice va dunque condannata anche al risarcimento dei danni arrecati all'immobile, comprensivi delle spese per l'asporto dei rifiuti e l'invio a discarica, per un ammontare “…che il convenuto si riserva di quantificare in corso di causa”; - che, infine, la ### ha omesso di versare alcune rate condominiali relative al periodo in cui ha goduto del bene, rate anch'esse dovute, pertanto, dalla medesima, unitamente al rimborso delle spese per la procedura di mediazione avviata dai ### A seguito della rimessione in termini concessa all'udienza del 27.04.21, è stata poi rinnovata dalla ### anche la notificazione della citazione nei confronti del convenuto ### e in data ### anche quest'ultimo si è costituito in giudizio, contestando le deduzioni e le richieste attoree ed aderendo e facendo proprie le conclusioni già rassegnate dal fratello ### di cui ha ripetuto, sostanzialmente, ogni allegazione, eccezione ed istanza.   Radicatosi il contraddittorio, sono stati poi concessi i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., come richiesti, e nel primo degli stessi è stata depositata una memoria da parte della ### nella quale quest'ultima, oltre a richiamare le proprie deduzioni e richieste e a contestare le avverse deduzioni e conclusioni, ha soggiunto, inter alia, che l'abbattimento delle opere edilizie abusive ha comportato “l'eliminazione di una stanza, camera da letto, con conseguente impossibilità per l'attrice di destinarla a camera da letto, come inizialmente prospettata dalla parte venditrice”, oltre alla rimozione di una tettoia al primo piano, donde la configurabilità di una cd. vendita di aliud pro alio e la legittimità del suo recesso dal preliminare, con pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata, ex art. 1385 c.c. Ha evidenziato, poi, che il suo asserito inadempimento contrattuale è, di contro, inesistente, non essendo sufficiente, del resto, “…non “ritenere valida” una polizza per chiedere la risoluzione”, senza che tale invalidità sia stata fatta oggetto di una valutazione giudiziale, ed avendo comunque essa istante provveduto regolarmente alla corresponsione degli importi pattuiti in favore dei ### senza che, invece, la mancata consegna della polizza fideiussoria sia stata prevista in contratto quale condizione essenziale e/o risolutiva; inoltre, quanto alle somme da lei versate, le stesse sono state concordate quale caparra confirmatoria, non già come canoni locativi, contrariamente a quanto preteso dai convenuti, e così risultano infondate e non provate anche le loro doglianze in ordine ai danni che sarebbero stati arrecati all'immobile, né è veritiero che vi sia stata una richiesta dei medesimi di restituzione del bene, avendole i ### domandato, piuttosto, soltanto di potervi accedere per effettuare i lavori, come da missiva del dicembre 2019, con la conseguente necessaria loro condanna anche ai sensi dell'art. 96 c.p.c., in ragione dell'inveridicità di quanto da loro allegato. Ed altresì, per quanto concerne la comparsa depositata dal ### la ### ne ha ribadito l'inammissibilità, già lamentata anche all'udienza del 12.10.2021, in ragione della tardività della sua costituzione, insistendo, infine, nell'ambito di tale sua prima memoria, nelle conclusioni già rassegnate nell'atto introduttivo, salva la modifica del quantum da lei richiesto in pagamento, per € 98.800,00, alla luce degli ulteriori importi versati ai convenuti sino alla data del 31.01.2020.   Anche i convenuti hanno depositato, inoltre, una memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c., contestando le avverse eccezioni e sostenendo, quanto all'inammissibilità per tardività delle domande svolte dal ### che si tratta di questione non rilevante con riferimento alla richiesta relativa alla risoluzione del contratto, comunque già proposta tempestivamente dal ### e così, analogamente, per le domande relative al pagamento della penale e al risarcimento dei danni, trattandosi di pretese comunque esercitate da uno dei comproprietari del bene anche a tutela dell'altro condividente, alle quali il ### si è limitato, così, soltanto a prestare adesione. Le conclusioni sono state, infine, rassegnate dai convenuti, in tale memoria, reiterando quelle già articolate nella comparsa di risposta del ### come sopra già richiamate.   La causa è stata successivamente istruita con i documenti depositati dalle parti e con la parziale ammissione e assunzione delle prove orali richieste, mentre sono state disattese le loro ulteriori istanze istruttorie, come da ordinanze in atti, che qui si confermano.   Quindi, sottoposta ai contendenti una proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. e tenuto conto del rifiuto manifestato alla stessa dall'attrice, la causa è stata, infine, rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 21.03.2024, ove il fascicolo è stato trattenuto in decisione sulle conclusioni rassegnate (così come già riportate in epigrafe) e con l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. (ratione temporis applicabile), come richiesti.   Decorsi tali termini e visti gli scritti conclusivi presentati, il giudizio viene pertanto deciso come segue.   Preliminarmente, per ragioni di ordine logico giuridico, deve anzitutto richiamarsi e confermarsi quanto già rilevato con il provvedimento reso in data ###, con il quale è stata disattesa l'eccezione sollevata dai convenuti in ordine al mancato esperimento da parte dell'attrice della procedura di mediazione di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/2010.   Al riguardo, occorre infatti osservare che le controversie per le quali è previsto l'obbligatorio esperimento del tentativo di mediazione, ai sensi dell'art. 5 cit. (nel testo ratione temporis rilevante nel presente caso), sono oggetto di un'elencazione da ritenere di natura tassativa, trattandosi di una condizione di procedibilità che, in quanto tale, limita l'esercizio del diritto di agire in giudizio, costituzionalmente tutelato dall'art. 24 Cost., in particolar modo tenendo conto dell'indubbia gravità delle conseguenze che derivano dall'eventuale mancato espletamento di tale incombente, in virtù di quanto previsto dalla disposizione sopra citata (cfr. sul punto, di recente, Cass. civ.  ###/2022, e già, tra le altre, nella giurisprudenza di merito, ### Catania n. 2665/2020).   Vertendosi, dunque, in presenza di una previsione normativa a carattere eccezionale, la stessa non può, di certo, formare oggetto di un'interpretazione di tipo estensivo e tantomeno è praticabile una sua applicazione in via analogica, mentre è di tutta evidenza che a una simile applicazione si perverrebbe, nel presente caso, aderendo alla prospettazione dei convenuti, fondata sull'assunto che il contratto oggetto dell'odierna controversia possa ricondursi, a loro dire, al cd. rent to buy - quale fattispecie recentemente tipizzata anche dal legislatore e tuttavia non ricompresa, ciò nondimeno, nel novero di quelle per le quali è stato previsto l'obbligatorio esperimento della mediazione ex art. 5 cit. - ovvero che tale contratto presenti, comunque, in ragione del suo contenuto e della causa che ad esso è sottesa, taluni elementi riconducibili al tipo della locazione, atteggiandosi così - più propriamente - non già quale rent to buy, ma come un negozio misto atipico, ove al contratto preliminare di compravendita accede la previsione dell'anticipata consegna dell'immobile compromesso in vendita in favore della promissaria acquirente, verso il pagamento da parte sua di un corrispettivo mensile per la relativa occupazione.   ### d'improcedibilità sollevata dai ### va, quindi, senz'altro disattesa.   Sempre in via preliminare, si impone, poi, la disamina dell'eccezione svolta dalla ### in merito alla tardività della costituzione in giudizio del convenuto ### eccezione che si presenta, di per sé stessa, senz'altro fondata, sebbene poi il suo accoglimento non conduca, nel presente caso, alle conclusioni che l'attrice pretenderebbe di ritrarne.   Ed invero, relativamente alla tardività di tale costituzione, osserva il giudicante che la stessa sembra risultare persino pacifica, derivando, di certo, dall'avvenuto deposito della comparsa di risposta effettuato dal ### in data ###, allorquando era già spirato il termine di venti giorni prima dell'udienza del 12.10.21, di cui all'art. 166 c.p.c. (nel testo anteriore alla recente modifica di cui al d.lgs. n. 149/22), scaduto, in particolare, in data ###, includendo nel computo il dies ad quem ed escludendo, invece, il dies a quo (si v. nella giurisprudenza di legittimità, tra le altre, Cass. civ. n. 2953/2010).   Tenuto conto di quanto previsto dagli artt. 166 e 167 c.p.c., è però evidente, in primo luogo, che tale tardività potrebbe assumere rilevanza, in linea di principio, soltanto con riferimento ad eventuali eccezioni cd. in senso stretto (che nella specie non risulta siano state proposte dal ### e/o a domande riconvenzionali ivi spiegate dal convenuto, mentre la stessa non vale a rendere “inammissibile” la sua comparsa di costituzione in quanto tale - così come sembrerebbe aver opinato, invece, la ### all'udienza del 12.10.21 e nella sua prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. - e/o le deduzioni ed eccezioni cd. in senso lato formulate in detta comparsa da parte del medesimo.   Per quanto concerne, poi, la domanda avente ad oggetto la declaratoria dell'avvenuta risoluzione del contratto, per la quale il ### ha dichiarato di voler aderire a quanto già dedotto e richiesto dal ### è evidente che la sua tempestiva proposizione ad opera di quest'ultimo investa, inevitabilmente, l'intero rapporto negoziale e tutte le parti tra le quali lo stesso è stato instaurato, nella specie identificate, dal lato del “promittente venditore”, da entrambi i convenuti, nella loro qualità di comproprietari del bene indiviso, donde un suo eventuale accoglimento spiegherebbe, comunque, i suoi effetti anche nella sfera giuridica dell'altro condividente/promittente venditore, a nulla rilevando che il ### non sia costituito tempestivamente in giudizio, onde proporre anch'egli tale domanda in via riconvenzionale.   Non diverse considerazioni devono operarsi, inoltre, relativamente alle domande proposte dal ### ed alle quali il secondo dei due convenuti ha dichiarato di prestare adesione, afferenti il pagamento della penale prevista dall'art. 11 del contratto preliminare e il risarcimento dei danni che sarebbero stati arrecati dalla ### al bene di proprietà comune.   Così come è stato prospettato dai convenuti sin dalla loro prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., vi è infatti da considerare che il singolo comproprietario del bene comune è in realtà legittimato ad agire per la tutela del bene nella sua interezza, senza che sia necessario il coinvolgimento in giudizio anche degli altri condividenti, sussistendo il diritto di ciascuno dei contitolari di compiere, anche nell'interesse degli altri, atti di straordinaria amministrazione, ivi inclusa la proposizione di domande giudiziali, in forza del principio della cd. rappresentanza reciproca fondata sulla comunione di interessi. Su tale scorta, è stato quindi evidenziato anche dalla giurisprudenza di legittimità che il singolo comproprietario ben può agire giudizialmente a tutela della cosa comune anche al fine di ottenere il ristoro del danno che miri a compensare i pregiudizi arrecati all'esercizio delle facoltà dominicali sul bene indiviso, atteso che pure in tal caso l'iniziativa assunta dal singolo condividente si presume posta in essere anche nell'interesse degli altri contitolari (cfr. Cass. civ. n. 29506/2019).   Tenuto conto di tali rilievi, è dunque evidente, con riferimento al presente caso e alla domanda qui proposta, in via riconvenzionale, volta al ristoro dei danni derivati dai danneggiamenti materiali arrecati all'immobile e alle spese per il suo ripristino, che la stessa debba essere, comunque, interamente scrutinata nel merito, poiché esercitata legittimamente dal del ### con la sua comparsa tempestivamente depositata, nella sua pacifica qualità di comproprietario del bene, a ciò non ostando la tardiva costituzione del di lui fratello e contitolare del bene stesso, così come evidenziato dai ### sin dalla memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c.   Inoltre, per quel che attiene la pretesa avente ad oggetto il pagamento dell'anzidetta penale relativa ai danni da ritardata restituzione del villino compromesso in vendita, osserva il decidente che non appare revocabile in dubbio che il credito in parola si sia atteggiato, nel presente caso, quale obbligazione di natura solidale, tali dovendosi considerare, in linea generale, i diritti di credito che traggano origine da una medesima fonte ed abbiano il medesimo oggetto, quali sono, in particolare, quelli derivanti in capo ai comproprietari dal contratto da loro stipulato per la vendita del bene indiviso, ovvero quelli che originano da un negozio che abbia ad oggetto la locazione della cosa comune, da cui deriva il diritto di ciascuno di richiedere al debitore l'adempimento dell'intera obbligazione e la conseguente liberazione di quest'ultimo, per effetto del pagamento effettuato in favore di uno dei contitolari stipulanti, anche nei confronti degli altri, “salva la ripartizione, nei rapporti interni, della somma pagata” (cfr. al riguardo, già Cass. civ.  10648/2010, sia pure relativa a fattispecie afferente l'obbligazione di pagamento del prezzo dovuto ai comproprietari del bene compravenduto, ma con affermazione di principio che è suscettibile di estensione anche a un preliminare di compravendita, quale quello che qui viene in rilievo, e ad obbligazioni di rilevanza accessoria, come quella relativa, in specie, alla penale prevista dai contraenti per l'ipotesi del ritardato adempimento del compratore, ex art. 1382 c.c.; si v. inoltre, con riferimento alla locazione del bene indiviso, tra le altre, Cass. civ. n. 18069/2019, ove pure è stato evidenziato che, nel caso in cui la parte locatrice sia costituita da più locatori, ciascuno di essi è tenuto, dal lato passivo, alla medesima prestazione e così, dal lato attivo, ognuno degli stessi può agire per l'adempimento delle obbligazioni della controparte, applicandosi in proposito la disciplina della solidarietà di cui all'art. 1292 c.c.).   Ciò chiarito, dunque, in rito, e venendo al merito delle domande proposte, rispettivamente, dall'attrice e dal convenuto ### osserva il decidente che è documentato, innanzi tutto, che in data ### sia stato stipulato tra la ### da un lato, e i fratelli ### e ### dall'altro lato, un contratto con il quale gli stessi si sono impegnati, reciprocamente, ad acquistare e ad alienare la proprietà dell'immobile situato ad ### in viale dei ### n. 37, consistente in un villino indipendente sviluppato su due piani fuori terra (piano terra e primo), oltre all'annessa corte esclusiva, adibita a giardino, verso il pagamento di un prezzo complessivo di € 250.000,00 (cfr. doc. 1 fasc. attoreo, recante copia della scrittura in parola, ove si legge, all'art. 2, che “i sig.ri ### e ### si obbligano a trasferire il bene immobile descritto in premessa… alla sig.ra ### che si impegna ad acquistare quanto sopra descritto versando il corrispettivo di € 250.000”).   ### quanto concordato inter partes, la stipula del contratto definitivo di compravendita sarebbe dovuta avvenire “entro e non oltre il termine di anni 4 ### dalla data di sottoscrizione della presente scrittura” (e dunque entro il ###), salva l'eventualità di una proroga “…una volta soltanto, e comunque per non più di mesi 12…”, e ciò, in particolare, tenendo conto dell'intendimento e delle esigenze manifestati in tal senso dalla ### di cui gli stipulanti hanno dato espressamente atto nelle premesse della loro scrittura e che i promittenti venditori hanno dichiarato di voler accettare (cfr. doc. cit.).   In pendenza di tale termine, i contraenti hanno poi previsto, però, al contempo, che “…a far data dal 1/01/2017 la sig.ra ### sarà immessa nel possesso del bene immobile che costituisce oggetto della vendita” e che “Per tale ragione, le parti prevedono espressamente che a far data dalla immissione in possesso, e comunque entro il giorno 15 di ogni mese, la sig.ra ### verserà ai sig.ri ### e ### la somma di euro 1200,00… fino alla stipula del rogito”, somma che è stata qualificata in tale scrittura “quale caparra confirmatoria per l'anticipata immissione nel possesso del bene” e di cui i contendenti hanno specificamente pattuito, in quella sede, anche la futura regolamentazione per l'ipotesi in cui non fossero addivenuti, per qualsiasi causa non riconducibile a fatto o colpa di ciascuno (ivi inclusa la mancata erogazione del finanziamento con il quale la promissaria acquirente avrebbe potuto reperire, come da contratto, la provvista necessaria al pagamento del prezzo d'acquisto), alla conclusione del rogito di compravendita, concordando che, in tale evenienza, “l'integrale importo versato mensilmente resterà nella disponibilità dei sig.ri ### e ### e non sarà ripetibile”, mentre a fronte della stipula del rogito notarile l'ammontare versato, a quella data, sarebbe stato imputato “a titolo di acconto sul prezzo” limitatamente all'80% del relativo importo, il residuo 20% venendo, invece, comunque trattenuto dai promittenti venditori “a titolo di fondo perduto” (art. 5).   Sempre in virtù dell'anticipata immissione nel godimento del bene, è stato previsto, inoltre, nella scrittura in parola - per quel che qui più rileva - che la ### a far data dall'occupazione dell'immobile, avrebbe dovuto provvedere alla voltura delle utenze in essere per acqua, luce e gas (art. 7), che sarebbero stati a suo carico la custodia del bene e la manutenzione ordinaria e straordinaria (art. 10) e che a garanzia delle obbligazioni assunte con il contratto o - più esattamente - “a garanzia del pagamento di n. 1 anno di indennità di occupazione” la stessa avrebbe dovuto rilasciare, entro il termine di 90 giorni dalla sottoscrizione, una “idonea fidejussione bancaria e/o assicurativa in favore dei sig.ri Mangialaio”, per il corrispondente importo di € 14.400,00, con l'obbligo di rinnovare successivamente tale garanzia, di anno in anno, fino alla stipula del rogito (art. 9), in uno all'ulteriore previsione che, in ipotesi di scioglimento del contratto, l'attrice sarebbe stata, d'altro canto, tenuta a versare per l'eventuale ritardata restituzione del villino dopo il trascorrere di 45 giorni una penale giornaliera quantificata in € 200,00 (art. 11).   Ed ancora, come è pacifico e documentato in atti, è stata anche sottoscritta, in pari data, tra l'attrice e il ### un'ulteriore scrittura, con la quale è stato previsto, ad integrazione di quanto già concordato con quella sopra richiamata, che la promissaria acquirente avrebbe versato “ulteriori quote economiche nell'arco dell'anno solare”, quote che, in tal caso, non sono state, tuttavia, individuate né nell'ammontare, né nella data della relativa debenza e che, diversamente dalle mensilità di cui al contratto suindicato, sarebbero state considerate interamente come acconto prezzo e decurtate, quindi, al momento del rogito, dal corrispettivo d'acquisto, “senza nessuna detrazione” (cfr. doc. 3 fasc. attoreo).   Così delineate le pattuizioni intervenute tra le parti, può sin da ora osservarsi, dunque, che è indubbio che con le stesse gli odierni contendenti abbiano inteso stipulare un negozio inquadrabile in un preliminare di compravendita, per quanto sia stata prevista con esso anche una concessione in godimento dell'immobile in favore della promissaria acquirente in pendenza del termine per la stipula del definitivo. Dal tenore della scrittura anzidetta emerge, infatti, in maniera chiara e inequivoca, l'impegno assunto da entrambe le parti ad addivenire alla stipula della futura compravendita del bene, né l'esistenza di un simile impegno bilaterale è stato, del resto, mai seriamente contestato dai convenuti, rivelandosi così senz'altro improprio il richiamo da loro operato (sia pure in funzione dell'eccezione già sopra esaminata, di improcedibilità delle domande attoree) alla fattispecie del cd. rent to buy, di cui difetta, evidentemente, nel presente caso, il necessario elemento dell'opzione attribuita al locatario di determinarsi, liberamente, all'acquisto dell'immobile al momento della scadenza del termine concordato (stipula a cui quest'ultimo non è in alcun modo tenuto nel cd. rent to buy, diversamente dal negozio oggetto dell'odierna disamina). Al contempo, è stato previsto, però, espressamente - a dispetto di quanto opinato dall'attrice - il versamento di somme mensili rivolte, anzitutto, a remunerare il godimento del bene accordatole medio tempore dai due comproprietari, salva un'imputazione parziale delle mensilità già corrisposte a tale fine al prezzo d'acquisto, allorquando i contraenti fossero addivenuti alla compravendita concordata, chiaro risultando, del resto, in tal senso anche il confronto con quanto pattuito - altrettanto testualmente - nella loro ulteriore scrittura sottoscritta in pari data, afferente le altre somme che sarebbero state versate dalla ### in pendenza del termine per la compravendita, queste ultime da imputare, si è detto, interamente al corrispettivo d'acquisto (cfr. ancora doc. cit.).   Ciò detto in merito alla natura e al contenuto del contratto di cui trattasi, si è già anticipato, poi, che l'attrice ha allegato, sin dall'atto introduttivo, di avere provveduto regolarmente al versamento degli importi tempo per tempo dovuti in ragione € 1.200,00/mese, a fronte della fruizione da lei pacificamente conseguita dell'immobile compromesso in vendita, unitamente a un pagamento ulteriore di € 5.000,00, in virtù della seconda delle scritture sopra indicate, e tali circostanze sono rimaste, a ben vedere, del tutto incontestate, in linea di fatto, da parte dei ### (oltre ad essere state comunque suffragate mediante il deposito a cura della ### delle relative distinte di pagamento: cfr. doc. 20 fasc. attoreo), e così, parimenti, è risultato incontroverso che la promissaria acquirente abbia proseguito nel versamento delle mensilità pattuite anche dopo l'iscrizione al ruolo del giudizio, sino a quando l'immobile non è stato da lei rilasciato, in data ### (cfr. doc. 7, allegato alla memoria istruttoria attorea, e doc. 4 fasc. convenuti).   Quel che è stato, invece, oggetto delle rispettive contestazioni dei contendenti è che la ### si sarebbe resa inadempiente, a dire dei convenuti, all'obbligo da lei assunto di provvedere al rilascio della fideiussione bancaria o assicurativa da stipulare - come si è anticipato - a garanzia del pagamento di un importo corrispondente a un'annualità per l'occupazione del villino, inadempimento in virtù del quale è documentato che i ### abbiano inviato, in particolare, una diffida ad adempiere ai sensi dell'art. 1454 c.c., con missiva del 30.04.2018, e che è stato contestato, per converso, da parte dell'attrice, si sia effettivamente verificata o abbia, comunque, assunto la gravità prospettata dai promittenti venditori, tale da giustificare la loro pretesa di considerare risolto il vincolo contrattuale.   Dal canto suo, la promissaria acquirente ha sostenuto, invece, che sarebbero stati i ### a rendersi inadempienti rispetto agli obblighi assunti, essendo emerso, nel procedimento di mediazione avviato dagli stessi a seguito dell'anzidetta missiva dell'aprile 2018, che il bene oggetto del preliminare fosse, in realtà, viziato da abusi edilizi insanabili, tali da legittimare - secondo quanto prospettato dalla ### nel suo atto introduttivo - l'operatività della garanzia per vizi di cui all'art. 1490 c.c., ovvero da far configurare - come poi opinato dalla stessa nella sua prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. - una fattispecie di cd. aliud pro alio, giustificando, in quanto tali, la sua pretesa allo scioglimento del rapporto in virtù del recesso manifestato con la sua domanda giudiziale ed il conseguente pagamento del doppio della caparra versata, ai sensi dell'art. 1385 Con riferimento a tale pretesa attorea volta a sentire dichiarato lo scioglimento del preliminare del 01.12.2016, in ragione del recesso esercitato dalla ### per l'inadempimento che sarebbe stato perpetrato ai suoi danni dai promittenti venditori, ritiene però il giudicante che la stessa si sia rivelata infondata e non possa, pertanto, trovare accoglimento, in virtù delle ragioni che subito si diranno. Non diversamente, è inoltre da disattendere, ad avviso del decidente, la domanda proposta in via riconvenzionale dal ### per la declaratoria della risoluzione contrattuale a fronte del suddetto inadempimento ascrivibile alla ### per la mancata consegna della polizza fideiussoria, tenuto conto delle considerazioni che seguono.   Ed invero, in punto di diritto, è d'uopo anzitutto rammentare che, in tema di compravendita immobiliare, nel caso in cui l'acquirente lamenti l'inadempimento dell'alienante per essere risultato il bene consegnato affetto da difformità edilizie, è possibile configurare una responsabilità di quest'ultimo da ricondurre, in linea generale, alla disciplina di cui all'art. 1489 c.c., mentre non trova, in realtà, applicazione la cd. garanzia per vizi, di cui agli artt. 1490 e ss.   Come è stato evidenziato, infatti, anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, un “vizio” in senso proprio, suscettibile di rilevare ai sensi degli artt. 1490 e ss. cit., presupporrebbe che la cosa presenti una o più anomalie di tipo strutturale, mentre l'esistenza di pretesi abusi dell'immobile attiene a una condizione di irregolarità dello stesso sotto il profilo giuridico, che vale ad assoggettarlo al potere repressivo della P.A. (in termini di demolizione del manufatto o di pagamento di una sanzione pecuniaria), giustificando così l'operatività dell'art. 1489 c.c., dettato in tema di “oneri” (o di diritti altrui) gravanti sul bene e che ne diminuiscano il libero godimento e/o il valore e la commerciabilità (si v. tra le molte, Cass. civ. n. 11218/ 1991, Cass. civ.  4786/2007 e, da ultimo, Cass. civ. n. 27559/2023, che ha evidenziato, appunto, che “in ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima”).   Alla riconduzione dell'irregolarità edilizia dell'immobile alla disciplina dell'art. 1489 c.c. - da ritenere senz'altro applicabile, del resto, anche ove si sia in presenza di un preliminare di compravendita: cfr. tra le altre, Cass. civ. n. 5336/2019, nonché Cass. civ. n. 19812/2004 - consegue, così, che al fine di esercitare i rimedi contemplati da tale disposizione, di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo e/o di risarcimento dei danni, l'interessato debba specificamente allegare e dimostrare, in primo luogo, la lamentata condizione di abusivismo del bene, costituendo quest'ultima, evidentemente, il presupposto stesso dell'operatività di tali rimedi, ed inoltre, alla luce di quanto previsto dall'art. 1489 cit., è comunque da escludere che la stessa possa essere invocata nel caso in cui risulti accertato che gli abusi fossero già noti all'acquirente al momento della stipula o siano stati, comunque, “apparenti”, se non addirittura “dichiarati nel contratto” (cfr. da ultimo, anche Cass. civ. n. 17148/2024).   Non solo, ma con specifico riferimento al rimedio della risoluzione del contratto è stato da tempo precisato, altresì, che quest'ultima non consegue affatto, in maniera automatica, all'accertamento dell'esistenza dell'onere insistente sul bene, dal momento che l'art. 1489 cit. rinvia, a sua volta, a tal proposito, al dettato dell'art. 1480 c.c., alla stregua del quale la parte può far valere la risoluzione del rapporto negoziale soltanto “quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno”. Di guisa che, ove risulti eventualmente acclarato che l'immobile sia gravato da un onere che ne limiti apprezzabilmente il godimento o ne diminuisca il valore e tale onere non sia stato conosciuto o immediatamente conoscibile da parte dell'acquirente, ciò non implica, nondimeno, che vada senz'altro affermata la fondatezza di una sua pretesa risolutoria, regolamentando gli artt. 1489 e 1480 cit.  l'apprezzamento che deve essere operato, al riguardo, della gravità di tale specifica inadempienza e “dovendosi stabilire, ai sensi dell'art. 1480 cod. civ., secondo le circostanze, che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall'onere” (cfr. tra le più recenti, Cass. civ. n. 5336/19 cit.; si v. inoltre, Cass. civ. n. 11218/ 91 cit., e già Cass. civ. n. 2890/1984).   Per quel che attiene, poi, l'ipotesi della cd. consegna di aliud pro alio - come detto prospettata dalla ### con la sua memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. e, da ultimo, richiamata anche nei suoi scritti conclusivi - osserva il decidente che la stessa può configurarsi, in via generale, soltanto nel caso in cui “il bene consegnato sia completamente eterogeneo rispetto a quello pattuito, per natura, individualità, consistenza e destinazione, cosicché, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere allo scopo economico-sociale della res promessa e, quindi, a fornire l'utilità presagita” (cfr. da ultimo, Cass. civ. n. 13214/2024).   Il presupposto per il riconoscimento di una simile fattispecie - estranea anch'essa alla sfera applicativa degli artt. 1490 e ss. cit. - è infatti individuato, tradizionalmente, nell'esistenza di una condizione del bene - non importa, in tal caso, se in virtù di un'anomalia strutturale dello stesso o per la sua particolare situazione giuridica - che sia tale da farlo ascrivere a un genere del tutto diverso da quello proprio della cosa promessa o che, comunque, ne pregiudichi totalmente l'idoneità ad assolvere alla sua funzione naturale o a quella che sia stata ritenuta essenziale dai contraenti, ciò solo giustificando senz'altro, in ragione della gravità di tale inadempienza, l'operatività del rimedio generale della risoluzione del contratto per inadempimento, sottratto alle limitazioni che sarebbero, invece, previste dalla speciale disciplina dettata in materia di compravendita dagli artt. 1470 e ss. c.c. (cfr. ancora Cass. civ. n. 13214/24 cit., nonché già, tra le altre, Cass. civ. n. 23547/2017, Cass. civ. n. 10665/2020).   Ed ancora, tenuto conto che, nel caso che occupa, si verte in presenza di una risoluzione per inadempimento invocata da parte attrice tramite lo strumento di cui all'art. 1385 c.c., è opportuno evidenziare che i rilievi sin qui operati valgano, tal quali, anche rispetto all'esercizio del recesso previsto da tale disposizione, atteso che - come è stato chiarito già da tempo, anche sul punto, dal giudice di legittimità - il recesso di cui all'art. 1385 cit. “…costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l'inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)” (cfr. per tutte, già Cass. civ. S.U. n. 553/2009).   Affinché possa darsi luogo a un legittimo esercizio di tale diritto ai termini di cui all'art. 1385 cit. è necessario, pertanto, in linea generale, che sussista un inadempimento imputabile all'altra parte suscettibile di essere qualificato come di “non scarsa importanza”, ai sensi dell'art.  1455 c.c., ed analogamente, non sembra revocabile in dubbio che, nel caso in cui il rimedio in parola venga azionato in virtù dell'asserita consegna di un “aliud pro alio” o sull'assunto di un onere insistente sul bene per la presenza di irregolarità edilizie, debbano ricorrere, del pari, i medesimi presupposti ai quali sarebbe condizionata anche un'azione di risoluzione giudiziale, condividendone, appunto, il recesso la medesima funzione e distinguendosene soltanto in virtù della possibilità che lo stesso attribuisce alla parte di svincolarsi unilateralmente dal rapporto, senza la necessità di una previa pronuncia giudiziale (si v. al riguardo, tra le più recenti, Cass. civ.  23605/2023, ove è stato affermato, su tale scorta, con specifico riferimento all'ipotesi della consegna di aliud pro alio, che non assume, per l'appunto, rilevanza la circostanza che un simile inadempimento sia invocato con il recesso di cui all'art. 1385 c.c., invece che con un'azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., posto che in difetto dei presupposti necessari per la configurabilità dell'ipotesi in parola comunque non può darsi luogo a uno scioglimento del contratto per inadempimento, sia esso invocato con il recesso o la risoluzione giudiziale; cfr. inoltre, con riferimento alla previsione di cui all'art. 1489 c.c. e all'applicabilità della stessa anche in ipotesi di recesso ex art. 1385 cit., Cass. civ. n. 17148/24 cit.).   Ora, tanto premesso in diritto, osserva il decidente, in fatto, che è risultato, in effetti, documentato che l'immobile di cui discute si sia rivelato affetto da talune difformità rispetto al relativo titolo edilizio, per come emergenti, in particolare, dal sopralluogo effettuato in data ### dal Corpo di ### e dal successivo verbale d'accertamento prot.  ###/2019 del 03.10.2019, emesso a carico dei ### successivamente all'esposto che - è pacifico - è stato presentato dalla stessa attrice, seguito, poi, dall'adozione da parte del Comune dell'ordinanza n. ### di demolizione degli abusi rilevati, n. prot. 53406 del 19.10.2019 (cfr. doc.  1, 2, 4, in allegato alla memoria attorea ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c.).   A dispetto di quanto opinato dalla ### anche nell'ambito dei suoi scritti conclusivi, emerge, però, da tale documentazione che le difformità di cui si tratta abbiano riguardato, in verità, soltanto l'avvenuta realizzazione di un ampliamento in corrispondenza del piano terra del villino, operato tramite la chiusura in muratura di una porzione della veranda prospicente il fabbricato, per appena 3,50 mq. di estensione complessiva, oltre a un ampliamento di tale veranda e all'installazione di una tettoia sul balcone del primo piano (quest'ultima di soli 3,00 mq.  complessivi) e di un locale tecnico posto in giardino, chiusura - quella suindicata, relativa alla porzione antistante il villino, al piano terra, ed interessante uno dei vani interni a quest'ultimo - che è stata, inoltre, ritenuta dal Comune come non sanabile - e che è stata pertanto rimossa, poi, pacificamente, dai convenuti a seguito dell'ordinanza anzidetta - non già per una (non meglio specificata) “rilevanza” dell'abuso perpetrato (quale quella che è stata genericamente invocata, da ultimo, dall'attrice nella sua comparsa conclusiva), ma per l'ubicazione del fabbricato in “zona “### satura” dove “non sono consentiti ampliamenti”… ma solamente demolizione e ricostruzione totale dell'immobile”, secondo quanto risultante, a ben vedere, persino dalla stessa documentazione depositata dalla ### in allegato al suo atto introduttivo (cfr. ancora doc. 2 cit., nonché doc. 19 fasc. attoreo e doc. 19, 20 fasc. convenuti).   Con riferimento alle restanti difformità riscontrate nel villino, inerenti le coperture esterne e il locale tecnico già sopra richiamati, è rimasto, poi, del tutto incontroverso - in difetto di specifiche allegazioni in senso contrario, mai operate dall'attrice nei suoi scritti difensivi - ed è risultato, comunque, sufficientemente comprovato, che le stesse siano state, invece, sanate dai convenuti successivamente alla riacquisizione della disponibilità materiale dell'immobile, essendosi gli stessi muniti di titolo sia per la copertura al piano terra del fabbricato, sia per il locale tecnico posto sulla corte esclusiva, ed essendo stata rimossa, per il resto, la sola tettoia posta sulla terrazza del primo piano, anch'essa, peraltro, di assai ridotta consistenza, giacché avente un'estensione pari, come detto, ad appena 3 mq. (cfr. ancora doc. 19, 20, 21, 22 fasc. convenuti) Tenuto conto di tali risultanze, si presenta, così, senz'altro smentito l'assunto attoreo secondo cui gli abusi avrebbero determinato - così come da lei sbrigativamente opinato - l'“abbattimento di una consistente cubatura interna”, con la “eliminazione di una stanza” al piano terra, oltre all'eliminazione della tettoia in legno posta al piano superiore, quale doglianza che, per la verità, risulta contraddetta persino dalle perizie di parte versate in atti dalla stessa ### (nelle quali è stata riportata, infatti, relativamente al piano terra del villino, soltanto l'esistenza di un mero ampliamento di uno dei suoi vani, sia pure per un'estensione, ivi indicata, asseritamente maggiore rispetto a quella effettivamente riscontrata alla luce degli accertamenti operati dall'amministrazione locale; cfr. doc. 3, allegato alla memoria istruttoria attorea), e tantomeno può ravvisarsi un “aliud pro alio”, emergendo dagli elementi sin qui richiamati che l'irregolarità del fabbricato sia rimasta confinata, in realtà, a una difformità obiettivamente assai esigua, come è quella consistita nell'ampliamento di un solo vano tra quelli ivi presenti, per appena 3 mq. circa, in rapporto alla complessiva consistenza del villino (di due piani fuori terra e di oltre 100 mq. di superficie, oltre all'annessa corte esclusiva), o quella afferente la tettoia in legno al primo piano, anche quest'ultima di entità alquanto modesta ed invero trascurata, non a caso, financo nelle stesse prospettazioni attoree, avuto riguardo a quanto solo è stato lamentato dalla ### nei termini per le cd. preclusioni assertive (si v. atto di citazione, nonché prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.).   In altre parole, considerando la natura e l'assai lieve entità delle difformità di cui si tratta, è evidente, ad avviso del giudicante, che le stesse non abbiano inciso, nel presente caso, sull'idoneità dell'immobile compromesso in vendita a soddisfare la funzione abitativa sua propria, né è stato specificamente allegato e dimostrato (o richiesto di dimostrare) da parte dell'attrice (anche tenuto conto del carattere valutativo e generico o dell'inconferenza, per come articolati, dei capitoli di prova testimoniale richiesti dalla stessa nella sua memoria istruttoria) alcunché di concreto e specifico in diverso senso, essendosi la medesima limitata al riguardo, in definitiva, soltanto a un astratto richiamo di pronunce giurisprudenziali relative ad ipotesi affatto diverse da quella che occupa (quale è, in particolare, il precedente di cui a Cass. civ. n. 10297/2017, ripetutamente richiamato dalla ### afferente a fattispecie nella quale veniva lamentata, piuttosto, innanzi al giudice di legittimità, la nullità del preliminare di vendita di un immobile abusivamente sopraelevato, o il precedente menzionato nella sua comparsa conclusiva, di cui a Cass. civ. n. 8749/2024, relativo a un preliminare avente ad oggetto un appartamento realizzato, in quel caso, in aree urbanisticamente destinate a palestre e piscine e connotato da violazioni tali da incidere sulle necessarie condizioni di igiene, salubrità e sicurezza, con la sua conseguente inidoneità a soddisfare la pattuita destinazione abitativa, condizioni che, nel caso oggetto dell'odierno contenzioso, non risulta invece, né è stato comunque lamentato, mancassero per il villino compromesso in vendita, pacificamente abitato e goduto, oltretutto, per anni, dalla promissaria acquirente secondo la funzione sua propria), e che, comunque, nulla dicono - come è ovvio - rispetto alla fattispecie oggetto della presente causa e all'effettiva e concreta gravità, quantitativa e qualitativa, e alla conseguente incidenza sul sinallagma, da allegare e provare a cura dell'attrice, dell'inadempimento da lei lamentato ai fini dell'invocato recesso dal contratto del 01.12.2016.   Né, a tal proposito, potrebbe darsi rilevanza, d'altro canto, all'asserita “incommerciabilità” dell'immobile, prospettata dalla ### nei suoi scritti difensivi in relazione alle difformità presenti nello stesso, o a una pretesa impossibilità per la medesima, in ragione di tali abusi, di conseguire il finanziamento previsto per reperire la provvista necessaria al suo acquisto, quale opinata anche nell'ambito della sua perizia di parte, peraltro senza che sia stata mai specificamente allegata, prima ancora che dimostrata, l'effettiva avvenuta presentazione, da parte della promissaria acquirente, di una richiesta volta all'ottenimento di un simile finanziamento, di certo dovendosi escludere che possa rilevare, sul punto, il solo contenuto della suddetta perizia (in ragione della sua natura di mera allegazione di parte) e rivelandosi, in tal senso, l'assunto in parola meramente apodittico e congetturale. Al contrario, come è stato precisato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, l'esistenza di difformità del bene rispetto al relativo titolo edilizio non determina, in realtà, un'incommerciabilità del bene stesso, tenuto conto che non è dato configurare, in tal caso, una nullità del contratto per illiceità o impossibilità dell'oggetto e l'invalidità che è specificamente prevista, al riguardo, per i contratti di compravendita - o per gli altri negozi inter vivos ad effetti reali, richiamati dall'art. 46 d.P.R. 380/2001 - concerne la sola ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto un immobile del tutto sprovvisto del necessario titolo autorizzativo, mentre “in presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”, potendo tale difformità ridondare, semmai, sul piano dell'adempimento ed assumere rilevanza - come si è già anticipato - se e nei limiti in cui siano ravvisabili i presupposti della tutela di cui all'art. 1489 c.c. (cfr. ancora, tra le altre, Cass. civ. n. 17148/2024).   Non diverse considerazioni devono essere, inoltre, operate, nel caso che occupa, proprio avendo riguardo a tale ultima disposizione e al rimedio della risoluzione contrattuale che è contemplato dalla stessa, e ciò, tenuto conto che - anche prescindendo dal richiamo impropriamente operato dalla ### alla diversa disciplina della garanzia per vizi - alcunché di concreto e specifico è stato offerto, anche a tali fini, da parte dell'onerata, onde far concludere per l'essenzialità dell'esigua porzione del villino che è risultata oggetto dell'abusivo ampliamento, in rapporto all'economia complessiva del rapporto e alla realizzazione dell'assetto di interessi con esso concordato, di là dalla pretesa e indimostrata “eliminazione di una stanza” che sarebbe derivata dalla demolizione di tale abuso, dovendosi escludere - come si è detto - che la sola esistenza, in sé, di una difformità edilizia valga a far pervenire, automaticamente, a una risoluzione negoziale e dovendosi, di contro, dimostrare da parte dell'interessato che il contratto non sarebbe stato da lui verosimilmente concluso ove avesse avuto conoscenza dell'effettiva condizione del bene.   Con riferimento all'odierna fattispecie, avuto riguardo alla natura ed assai modesta entità dell'ampliamento realizzato all'interno di una delle stanze del piano terra del fabbricato, è peraltro da ritenere - quantomeno in assenza di alcun congruo elemento offerto in diverso senso - che il bene, ancorché lievemente difforme dal relativo titolo edilizio, si sia presentato, comunque, del tutto idoneo a soddisfare le finalità sottese al contratto del 01.12.16, e analogamente è a dirsi, a fortiori, con riferimento all'abuso afferente la tettoia già sopra menzionata, donde la conseguente esclusione dei presupposti per una risoluzione del contratto ai termini di cui agli artt. 1489 e 1480 c.c. .   E che le suddette difformità non abbiano assunto, nella specie, una rilevanza tale da legittimare una pretesa risolutoria quale quella invocata dalla ### con il suo recesso ex art. 1385 c.c. risulta avvalorato, d'altra parte, anche dal contegno da lei concretamente tenuto, non potendosi effettivamente trascurare, sul punto, neppure la peculiare tempistica con la quale la medesima avrebbe appreso, a suo dire, degli abusi dell'immobile, a fronte di indagini commissionate, singolarmente, a un proprio tecnico soltanto nel dicembre 2018, successivamente ai contrasti insorti con i promittenti venditori per il mancato rilascio della polizza e alle missive inviatele da questi ultimi al riguardo sin dall'aprile 2018 (cfr. doc. 4, 5, 7 fasc. attoreo, e doc. 1, 2, 3, allegati alla costituzione del ###, per di più a fronte della documentata disponibilità, già da tempo ottenuta dalla prima, della piantina catastale recante il differente stato del bene originariamente assentito (si v. comunicazione del 20.03.2018, sub doc. 14 fasc. convenuti), e in assenza, comunque, di alcuna effettiva iniziativa da lei assunta per l'ottenimento di un finanziamento per il suo acquisto (iniziativa di cui, infatti, nulla è stato specificamente allegato, né provato, da parte dell'attrice, risultando al contrario dalle sue stesse produzioni che l'accertamento in ordine alle irregolarità sia stato, piuttosto, effettuato dal suo tecnico al di fuori di qualsivoglia istruttoria relativa all'ottenimento di un mutuo; cfr. doc. 15, allegato all'atto di citazione).   Ed inoltre, è risultato pacifico che, anche a seguito dell'asserita avvenuta scoperta delle difformità, l'attrice abbia continuato ad occupare e a godere del cespite, manifestando la propria volontà di acquistarlo pur a fronte dei lamentati abusi, tenuto conto di quanto emerge, a tal proposito, proprio dalla documentazione depositata dalla predetta, afferente il procedimento di mediazione avviato dai convenuti nell'ottobre 2018 per i contrasti e le missive già sopra menzionati ed al contegno da lei assunto in quella sede ###la conseguente inoperatività, in parte qua, dell'eccezione d'inutilizzabilità spiegata dai ### ai sensi dell'art. 10 d.lgs. n. 28/2010, trattandosi, per l'appunto, del comportamento e delle dichiarazioni operate in quel procedimento dalla stessa ### che tale documentazione ha versato in atti), ove la medesima ha, in realtà, lungamente coltivato il proprio intendimento di proseguire nel rapporto contrattuale nonostante gli abusi dai lei asseritamente appresi a seguito del sopralluogo effettuato dal suo tecnico già dal dicembre 2018, financo assumendo, su di sé, l'impegno di anticipare le spese per la relativa regolarizzazione, da decurtare poi dal prezzo dovuto per l'acquisto dell'immobile (cfr. doc. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, allegati all'atto di citazione, nonché doc. 15, 16, recanti, rispettivamente, copia della relazione redatta dal perito attoreo nel gennaio 2019, successivamente al sopralluogo da lui effettuato nell'immobile nel dicembre 2018, e successiva richiesta dell'aprile 2019, presentata dalla ### al Comune di ### di conferma degli abusi rilevati dal predetto).   Il che, come è evidente, contribuisce ulteriormente a smentire il generico assunto attoreo in ordine all'avvenuta consegna di un “aliud pro alio”, o che le suddette difformità siano state realmente idonee a compromettere la realizzabilità della causa del contratto e l'interesse della ### alla sua conclusione, agli effetti di cui agli artt. 1489 e 1480 c.c., essendo stato tale interesse persino confermato espressamente da quest'ultima a fronte degli anzidetti abusi, salva soltanto una riduzione del corrispettivo dovuto per l'acquisto del bene in ragione delle spese che si sarebbero rese necessarie per ovviare agli stessi.   Ed infine, anche trascurando l'inutilizzabilità che, come detto, è stata eccepita dai ### ai sensi dell'art. 10 d.lgs. n. 28/10, per le dichiarazioni rese dai medesimi nel corso del procedimento di mediazione, deve escludersi che possa assumere rilevanza, ai fini della legittimità della pretesa attorea di risolvere il preliminare per il loro inadempimento, l'assunto che questi ultimi avrebbero, se non altro, mancato di attivarsi per porre rimedio agli abusi, essendo rimaste le deduzioni svolte dall'attrice sul punto del tutto generiche e trovando anch'esse, per la verità, congrua smentita nelle emergenze istruttorie acquisite, da cui risulta che i ### si siano, al contrario, attivati in tal senso quando la ### era ancora, pacificamente, nel godimento del villino, tanto da averle anche richiesto, a seguito dell'accertamento del 03.10.2019 e dell'ordinanza del Comune del 19.10.2019, di potervi accedere per provvedere ai lavori ed avendo, poi, concretamente posto in essere questi ultimi successivamente al rilascio ad opera della prima, allorquando era ancora pendente, peraltro, il termine previsto per la stipula del definitivo (cfr. doc. 4, 5, 6, in allegato alla memoria istruttoria attorea, nonché doc. 19 e ss. fasc. convenuti).   In virtù dei rilievi che precedono, la domanda della ### volta a sentire dichiarato lo scioglimento contrattuale, in virtù del suo recesso, per l'inadempimento perpetrato dai promittenti venditori, deve essere, dunque, conclusivamente disattesa.   Del pari da respingere è, poi, anche la contrapposta domanda proposta dal ### in via riconvenzionale, avente ad oggetto la risoluzione del contratto del 01.12.2016 per l'inadempimento della promissaria acquirente.   Ed invero, anzitutto, occorre premettere che, sebbene tale convenuto non abbia richiamato espressamente il dettato dell'art. 1454 c.c., è del tutto evidente che la pretesa risolutoria da lui esercitata vada sussunta, comunque, entro tale disposizione, desumendosi dal tenore della sua comparsa di risposta e dalle richieste ivi avanzate che lo stesso abbia ancorato la sua domanda di risoluzione alla diffida ad adempiere indirizzata da lui e dal fratello ### sin dal 30.04.2018, alla ### al fine di intimarle l'adempimento dell'obbligo di consegnare la fideiussione prevista dall'art. 9 del contratto di cui si tratta.   Rileva, infatti, in tal senso, l'espresso riferimento che è stato operato dal convenuto, sin dalla sua costituzione in giudizio, alla suddetta diffida - già versata in atti dall'attrice, in allegato al suo atto di citazione - e alla successiva missiva del 23.07.2018, con la quale i promittenti venditori hanno poi contestato alla promissaria acquirente di avere omesso di adempiere a quanto pattuito anche a seguito della loro diffida, comunicandole quindi la risoluzione e chiedendole, conseguentemente, il rilascio dell'immobile, da effettuare nei successivi 45 giorni ex art. 11 del preliminare (cfr. doc. 4 fasc. attoreo, nonché doc. 2, allegato alla comparsa del ###.   Inoltre, depone per la qualificazione di cui si è detto anche la circostanza che il convenuto abbia ancorato, non a caso, la sua ulteriore pretesa volta all'ottenimento della penale di cui all'art.  11 del contratto alla mancata restituzione del bene, da lui computata a far tempo dal decorso del suddetto termine di 45 giorni decorrenti dal ricevimento (per compiuta giacenza) della missiva del luglio 2018, emergendo anche qui in maniera chiara e inequivoca la sua pretesa di far risalire alla diffida lo scioglimento del vincolo negoziale, asseritamente legittimato dall'omessa consegna, ad opera della ### di un'idonea polizza, in conformità con quanto tra loro pattuito.   Posta, dunque, tale qualificazione giuridica della domanda di risoluzione proposta dal ### è d'uopo rammentare, poi, in punto di diritto, che la risoluzione di cui all'art. 1454 c.c. non si sottrae comunque, neppure essa, ai presupposti ai quali è subordinato di volta in volta l'utile esperimento dell'azione di risoluzione giudiziale, distinguendosi da quest'ultima soltanto per la sua natura di cd. risoluzione di diritto, funzionale a consentire al contraente che abbia patito l'inadempimento dell'altra parte di sciogliersi unilateralmente dal vincolo negoziale, senza la necessità di una previa pronuncia giudiziale di carattere costitutivo, nel caso in cui il medesimo conservi ancora un interesse ad ottenere dalla controparte la prestazione dovutagli ed intenda intimarle, pertanto, in via ultimativa, l'esatta esecuzione di quest'ultima, risolvendosi il contratto automaticamente per l'eventualità in cui tale prestazione non venga, poi, eseguita esattamente dall'obbligato neppure nel termine ultimo assegnatogli a tale fine ai sensi dell'art. 1454 cit.   Non diversamente da quanto già evidenziato con riferimento al recesso di cui all'art. 1385 c.c., anche la cd. risoluzione su diffida non elimina, pertanto, la necessità che ricorra, nel singolo caso concreto, un inadempimento imputabile all'altra parte, sotto il profilo soggettivo, e che quest'ultimo si presenti, altresì, di gravità tale da giustificare lo scioglimento del rapporto, alla stregua della valutazione che, in via generale, è prevista come detto dall'art. 1455 c.c., dovendo l'interessato pur sempre prospettare, conseguentemente, sotto il profilo oggettivo, che vi sia stata un'inadempienza di “non scarsa importanza”, avuto riguardo alla situazione verificatasi alla scadenza del termine assegnato con la diffida, in rapporto all'entità obiettiva di tale inadempienza e al suo interesse a un esatto e puntuale adempimento, nel quadro dell'economia generale del rapporto contrattuale (cfr. tra le altre, Cass. civ. n. 7463/2020).   Inoltre, se la gravità dell'inadempimento e la sua idoneità a legittimare la pretesa del contraente che lo abbia subìto a risolvere il vincolo negoziale può risultare agevolmente riscontrabile ove si tratti in un'inadempienza di natura definitiva ed afferente le obbligazioni principali, di contro, nel caso in cui la stessa concerna prestazioni meramente accessorie, incombe sul predetto un onere allegatorio e probatorio ben più gravoso, dovendo emergere ancor di più le concrete ragioni per le quali una simile inadempienza avrebbe determinato un'irrimediabile alterazione del sinallagma e legittimato la perdita del suo interesse alla prosecuzione del rapporto, pur a fronte della regolare esecuzione di quest'ultimo con riferimento alle sue prestazioni essenziali (cfr. tra le altre, Cass. civ. n. 16084/2007).   Ebbene, ciò detto, si è anticipato, con riferimento all'odierna fattispecie, che i ### abbiano lamentato, sin dalla loro diffida ad adempiere del 30.04.18, l'omessa consegna della fideiussione che la promissaria acquirente avrebbe dovuto procurare loro presso una banca o un'impresa assicurativa, a garanzia del pagamento di un importo di € 14.400,00, corrispondente a un'annualità delle somme da versare per l'occupazione dell'immobile, e a fronte di quanto allegato al riguardo dalla ### è risultato, in effetti, incontroverso che tale polizza non sia stata dai lei consegnata nel termine contrattualmente previsto di 90 giorni e sino al ricevimento dell'anzidetta diffida.   A dispetto di quanto opinato dall'attrice nei suoi scritti difensivi, inoltre, non può ritenersi dimostrato che tale obbligazione sia stata da lei ottemperata, se non altro, successivamente a tale diffida, dal momento che è pacifico che la stessa si sia limitata, a tale fine, a trasmettere ai ### nel giugno 2018, soltanto un documento a suo dire proveniente dalla ### da cui non risulta, però, neppure una qualche sottoscrizione riferibile a tale ente e che sarebbe stato rilasciato alla medesima quale “socia” , nonostante che la stessa non svolga alcuna attività commerciale, secondo quanto lamentato dai convenuti sin dalla loro comparsa di risposta e in alcun modo contestato dall'attrice in corso di causa, con la conseguente inidoneità di tale documento a dar prova, da sé solo, dell'effettivo avvenuto rilascio, ad opera del suddetto ente consortile, della garanzia di cui si tratta (cfr. doc. 6, allegato all'atto di citazione, nonché doc. 1, in allegato alla comparsa di costituzione del ###.   Dal documento in parola - così come fondatamente lamentato, ancora, dai ### - non emergono, poi, le condizioni negoziali alla stregua delle quali il suddetto consorzio avrebbe rilasciato l'asserita garanzia, recando lo stesso, a ben vedere, soltanto l'indicazione di una mera “dichiarazione di impegno a costituirsi garante del socio”, donde la sua inidoneità, anche per tale via, a dimostrare l'avvenuta assunzione da parte di alcuno di una garanzia immediatamente azionabile dai convenuti, atta ad assicurargli il pagamento della somma concordata nel preliminare, e così, ulteriormente, alcuna allegazione, né prova, è stata offerta dalla ### anche rispetto alla contestazione circa la qualità dell'ente che si sarebbe impegnato a rilasciare la polizza di cui si tratta, in rapporto alla previsione del contratto del 01.12.16 della necessaria consegna di una fideiussione di natura bancaria o assicurativa (cfr. ancora doc. cit.).   Se è acclarato, quindi, in virtù di tanto, che la promissaria acquirente non abbia adempiuto l'obbligazione afferente la consegna della polizza fideiussoria, occorre però osservare, al contempo, che un simile inadempimento non risulta affatto avere assunto una gravità tale da giustificare una pretesa risolutoria quale quella invocata dal ### con il richiamo alla diffida del 30.04.18 e alla missiva del 23.07.2018, ove tale inadempienza è stata contestata a carico dell'attrice ed è stato, dunque, comunicato che il contratto avrebbe dovuto intendersi risolto, con la conseguente richiesta rivolta alla stessa a provvedere alla liberazione del villino (si v. ancora doc.  4 cit. fasc. attoreo, nonché doc. 12, 13 fasc. convenuti).   Ed infatti, in primo luogo, non può non rilevarsi che la prestazione in parola, di natura indubbiamente accessoria nel complessivo assetto del contratto del 01.12.16, sia rimasta del tutto inattuata dalle parti per un rilevante intervallo temporale, tenuto conto del lungo periodo trascorso dalla scadenza del termine pattuito per la consegna della polizza (90 giorni dopo la sottoscrizione del preliminare), e ciò, senza che siano stati specificamente allegati, a ben guardare, o siano stati comunque dimostrati, iniziative e solleciti concretamente intrapresi dai promittenti venditori onde ottenerne il rilascio, prima della loro diffida dell'aprile 2018, atteso che alcunché emerge sul punto anche dalla corrispondenza scambiata inter partes, da cui si evincono soltanto solleciti di pagamento per fatture relative alle utenze, nonché richieste rivolte dai ### al compagno dell'attrice, ### onde ottenere ulteriori versamenti in anticipo sul corrispettivo d'acquisto, quali previsti nella scrittura già sopra menzionata, conclusa a latere del preliminare sempre il ### (cfr. doc. 14 fasc. convenuti).   Risulta dunque smentito, in tal senso, il generico assunto dei convenuti secondo cui la mancata consegna della polizza sarebbe stata più volte lamentata e che la stessa si sarebbe, pertanto, presentata “grave”, essendo tale gravità indubbiamente contraddetta dal contegno concretamente assunto dai medesimi nel lungo intervallo trascorso dalla stipula del 01.12.16, mentre alcuna rilevanza può annettersi, ad avviso del giudicante, all'ulteriore doglianza dei ### circa l'omesso pagamento degli acconti aggiuntivi dovutigli dalla promissaria acquirente in virtù dell'anzidetta scrittura a latere, quale prospettazione introdotta, invero, tardivamente, soltanto nell'ambito della loro memoria autorizzata del 21.02.2024, e tuttavia relativa - come è evidente - a un'asserita inadempienza che è diversa e ulteriore rispetto a quella da loro lamentata in comparsa di costituzione e nella prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., ove le sole deduzioni operate dai convenuti hanno riguardo, per l'appunto, unicamente il mancato rilascio della fideiussione.   E d'altra parte, in aggiunta al rilievo appena operato, non può non osservarsi che il versamento, ad opera della ### di ulteriori quote da imputare ad acconto prezzo neppure sia stato fatto oggetto, nell'ambito della scrittura suindicata, di una specifica previsione recante anche gli importi di tali ulteriori pagamenti, oltre che i termini entro i quali questi sarebbero divenuti esigibili, essendosi tale scritto atteggiato, in definitiva, soltanto quale mera manifestazione di un generico intendimento delle parti acché venissero operati versamenti aggiuntivi a titolo di acconto sul prezzo, rimessi a una libera determinazione della promissaria acquirente quanto a tempi e ad ammontare, o dovendosi se non altro escludere, anche qui, che una simile prestazione abbia assunto una rilevanza essenziale nell'economia generale del rapporto, tanto da essere stata prevista, non a caso, con una mera pattuizione a latere, del contenuto assai generico di cui si è appena dato conto.   In secondo luogo, si è già osservato, poi, come sia rimasto incontestato che la promissaria acquirente abbia provveduto, invece, all'esatto adempimento dei pagamenti dovuti mensilmente della somma di € 1.200,00, prevista in contratto a suo carico a fronte dell'anticipata immissione nel godimento del bene, il che - come è evidente - vale a contraddire la generica doglianza dei ### in merito a una “scarsa solvibilità” dell'attrice, avendo quest'ultima sempre provveduto, per l'appunto, ai versamenti pattuiti a tale titolo, nell'ampio periodo trascorso sin dalla conclusione del contratto del 01.12.2016, oltre che all'ulteriore pagamento di € 5.000,00, da imputare integralmente ad anticipo del prezzo secondo la scrittura a latere di cui si è detto.   Né, in virtù di tanto, potrebbe darsi, del resto, rilevanza all'ulteriore obiezione secondo cui il mancato rilascio della polizza avrebbe, comunque, dimostrato l'incapacità della ### di ottenere anche un finanziamento presso istituti di credito, avuto riguardo, per un verso, alla finalità di tale polizza (volta a garantire il pagamento delle indennità per l'occupazione dell'immobile) e, per altro verso, all'entità del termine ancora pendente, alla data della diffida e della successiva comunicazione del luglio 2018, per la stipula del contratto definitivo e il saldo del corrispettivo d'acquisto, in vista del quale l'attrice avrebbe poi dovuto procurarsi, se del caso, un simile finanziamento.   Inoltre, a tale ultimo proposito, si è già osservato che il contratto abbia “bilanciato” la disponibilità manifestata dai promittenti venditori rispetto alle esigenze della promissaria acquirente di differire il termine per la conclusione del rogito e di ottenere, ciò nondimeno, l'anticipata immissione nel godimento del bene, mediante la previsione, oltre che del pagamento ad opera della stessa delle anzidette mensilità, anche dell'irripetibilità di tali pagamenti per l'eventualità in cui il contratto definitivo non fosse risultato stipulabile per circostanze non imputabili alle parti, ivi incluso il mancato ottenimento del suddetto finanziamento, presidiando, poi, l'interesse dei convenuti a fronte dell'anticipata occupazione del loro immobile financo con la pattuizione di una penale per il suo eventuale ritardato rilascio.   Di guisa che, tenuto conto di tutti i rilievi che precedono, è evidente che la mancata consegna della polizza fideiussoria, sulla quale - soltanto - è stata fondata la pretesa risolutiva ex art. 1454 c.c., non sia valsa, in effetti, a legittimare una simile risoluzione, non ravvisandosi affatto la gravità di tale inadempimento, imposta a tal uopo dall'art. 1455 Ed infine e per concludere sulla domanda riconvenzionale di risoluzione proposta dal ### neppure può darsi seguito a quanto da lui sostenuto in merito ai danneggiamenti che sarebbero stati arrecati al bene dalla ### anteriormente al suo rilascio, danneggiamenti che, a suo dire, avrebbero integrato una violazione dell'obbligo di custodia gravante sulla stessa e che legittimerebbero, anch'essi, lo scioglimento del vincolo negoziale.   Al riguardo, non sembra infatti che possa prescindersi dal rilievo che un simile inadempimento neppure è stato specificamente indicato a fondamento della pretesa risolutoria azionata da tale convenuto, basata, a ben guardare, unicamente sulla mancata consegna della polizza e sull'inottemperanza alla diffida ad adempiere inviata al riguardo alla ### nell'aprile 2018. Inoltre, come si dirà meglio nel prosieguo in relazione alla domanda risarcitoria proposta dal ### è rimasto, in realtà, privo di sufficiente dimostrazione in quali termini il bene sia risultato danneggiato in occasione della sua restituzione, il che vale, dunque, a far escludere, anche per tale via, che ricorra comunque un inadempimento dell'attrice idoneo a giustificare lo scioglimento negoziale ai termini dell'art. 1455 cit.   Considerato quanto suesposto, neppure la domanda di risoluzione proposta dal ### può, pertanto, trovare accoglimento.   Posta l'acclarata infondatezza delle pretese risolutorie esercitate dalle parti per gli inadempimenti rispettivamente addebitati dall'una all'altra, vi è ora da richiamare, peraltro, il principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “### i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all'altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, in considerazione delle premesse contrastanti, sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale” ( tra le più recenti, Cass. civ. n. 19569/2021).   Come è stato evidenziato, infatti, a fronte delle reciproche domande dei contraenti volte a sentire pronunciata la risoluzione del rapporto per colpa della controparte, il giudice, escluso che l'una o l'altra domanda possano trovare accoglimento, non può che dare atto, comunque, dell'impossibilità dell'esecuzione del contratto, avuto riguardo alla scelta manifestata dagli stessi nel senso dello scioglimento del vincolo negoziale, scelta che, in quanto manifestata da entrambe le parti, preclude, del resto, una successiva loro contraria manifestazione di volontà nel senso del prosieguo del rapporto, avuto riguardo al principio sancito dall'art. 1453 co. 2 c.c. (cfr. ancora Cass. civ. n. 19569/21 cit., nonché già Cass. civ. n. 10389/2005, e Cass. civ. n. 19706/2020).   Con riferimento al presente caso, tenuto conto delle rispettive pretese esercitate dai contendenti, nel senso dello scioglimento del contratto del 01.12.16, in virtù del recesso invocato dalla ### ovvero della risoluzione che sarebbe derivata, per colpa di quest'ultima, dalla diffida ad adempiere fatta valere con la sua domanda dal ### alla quale anche il ### ha preteso di aderire, consegue, quindi, in conformità con il principio appena richiamato, che tale contratto vada comunque dichiarato risolto, dovendosi inevitabilmente prendere atto che nessuno dei contraenti abbia inteso ottenerne l'esecuzione.   Relativamente alle residue domande delle parti volte ad ottenere, quanto alla ### la restituzione di tutto quanto da lei già versato sino al rilascio del 30.01.2020 e il pagamento di un corrispondente ammontare ai sensi dell'art. 1385 c.c. e, quanto al ### il versamento della penale contrattuale per la ritardata restituzione dell'immobile, le stesse devono essere, inoltre, apprezzate alla luce di quanto sin qui evidenziato in ordine alle rispettive pretese risolutorie delle parti, oltre che tenendo conto del principio appena richiamato, derivando comunque dalla risoluzione, come è ben noto, l'operatività degli effetti restitutori di cui all'art. 1458 c.c. ( ancora Cass. civ. n. 19569/21 cit.).   Ebbene, per quanto attiene la richiesta attorea volta ad ottenere il doppio della caparra di cui all'art. 1385 cit., deve escludersi che competa alla ### un simile pagamento, presupponendo la debenza del doppio della caparra confirmatoria versata che ricorrano, nel singolo caso concreto, i presupposti per il legittimo esercizio del diritto di recesso ad opera del contraente in virtù dell'inadempimento perpetrato dalla sua controparte.   Con riferimento, poi, alla più limitata restituzione del quantum corrisposto dall'attrice sino al rilascio del villino, osserva il giudicante che, per quanto la sua domanda senz'altro ricomprenda anche tale restituzione, sul rilievo che - come è stato evidenziato, anche qui, dal giudice di legittimità - “il meno… non può che essere contenuto nel più che si era domandato” (cfr. per tutte, Cass. civ. n. 21262/2020), tuttavia è da escludere che la stessa le sia dovuta con riferimento ai pagamenti effettuati in virtù del contratto del 01.12.16 a titolo di mensilità per l'anticipata occupazione e il godimento del villino, stante che, a tal proposito, le parti risultano avere specificamente regolato la sorte che tali pagamenti avrebbero avuto nell'eventualità in cui non fosse stato poi concluso il rogito, prevedendo, come detto, che “l'integrale importo versato mensilmente resterà nella disponibilità dei sig.ri ### e ### e non sarà ripetibile” (si v. ancora doc. 1, allegato all'atto di citazione).   Né, relativamente a tale clausola, è stato dedotto, del resto, alcunché di specifico dall'attrice, pur a fronte del puntuale richiamo della stessa operato dai convenuti sin dalla loro comparsa di costituzione in aderenza a quanto previsto nel contratto tra loro stipulato, al di là dell'obiezione sollevata dalla ### secondo cui le mensilità via via corrisposte dovessero intendersi, in virtù di tale contratto, quale “caparra confirmatoria per l'anticipata immissione nel possesso del bene”, che però non toglie, a tacer d'altro, l'espressa pattuizione in ordine alla loro imputazione a corrispettivo per tale godimento in ipotesi di mancata stipula del definitivo, o di quella relativa all'ammontare dell'imposta di registro e all'indicazione dei versamenti a cui i ### avrebbero dovuto procedere, allora, a dire dell'attrice, nella loro dichiarazione annuale dei redditi, trattandosi di deduzione priva di rilevanza ai fini che interessano.   Considerata la clausola suindicata, per di più coerente con gli effetti restitutori che sarebbero comunque derivati, si è detto, dallo scioglimento del rapporto ai sensi dell'art. 1458 (comprensivi, nel caso in cui il promissario acquirente sia stato anticipatamente immesso nella disponibilità dell'immobile in pendenza del termine per la stipula del definitivo, non solo della restituzione del bene stesso, ma anche della corresponsione dei frutti di tale anticipato godimento, quali effetti che si verificano indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempimento: si v. ancora, al riguardo, Cass. civ. n. 19569/21 cit. e, tra le altre, anche Cass. civ. n. ###/2022), non è dovuta, dunque, alla ### la restituzione delle mensilità versate ai ### sino alla restituzione del villino, da lei già effettuata il ###, mentre deve riconoscersi, per converso, il diritto della stessa alla ripetizione della residua somma di € 5.000,00, trattandosi, in questo caso, di un pagamento ulteriore, pacificamente ricevuto dai convenuti, a mero titolo d'acconto sul prezzo d'acquisto e che a quest'ultimo avrebbe dovuto essere interamente imputato al momento della conclusione del definitivo in virtù di quanto previsto nella scrittura integrativa già richiamata, del 01.12.16 (si v. ancora doc. 3 cit., allegato all'atto di citazione).   I ### vanno dunque condannati, in solido, alla restituzione in favore dell'attrice dell'importo appena indicato, di € 5.000,00, con esclusione, di contro, delle suddette ulteriori somme richieste in pagamento dalla stessa, nonché di quelle da lei pretese relative alle spese di registrazione del contratto e a quelle che sarebbero state sostenute per la polizza fideiussoria, trattandosi in quest'ultimo caso di esborsi che non possono essere imputati a una responsabilità dei primi per la mancata stipula del definitivo, alla luce di quanto sopra evidenziato in ordine all'ingiustificato recesso esercitato dalla ### dal preliminare del 01.12.16.   Sono invece dovute all'attrice le spese che ha documentato le siano state richieste in pagamento per la procedura di mediazione avviata dai convenuti, di € 813,74, dal momento che tale procedimento è stato occasionato dall'infondata pretesa di questi ultimi avente ad oggetto la risoluzione del contratto prodottasi in virtù della loro diffida ad adempiere dell'aprile 2018 ( doc. 7, 14, allegati all'atto di citazione).   In relazione alle ulteriori domande riconvenzionali del ### ritiene poi il decidente che vada integralmente respinta quella relativa al pagamento della penale contrattuale, deponendo in tal senso sia l'infondatezza della pretesa risolutiva fondata dal convenuto sull'inadempimento ascritto all'attrice con la diffida ex art. 1454 c.c. - con la conseguente inesistenza di un suo diritto al rilascio del bene quale quello fatto valere a far tempo dalla scadenza del termine di 45 giorni dal ricevimento della successiva comunicazione del luglio 2018 - sia la già avvenuta restituzione dell'immobile effettuata dalla ### in data ###, anteriormente al deposito da parte del primo della sua comparsa di costituzione in questa sede. Per quanto tale restituzione derivi, senz'altro, dalla presa d'atto dello scioglimento del rapporto in conseguenza della volontà manifestata in tal senso da entrambe le parti contraenti, è infatti evidente che la stessa fosse già intervenuta allorché i convenuti si sono costituiti in giudizio e hanno rappresentato la loro volontà nel senso di tale scioglimento, il che vale a far escludere, conseguentemente, che possa comunque ravvisarsi un ritardo dell'attrice nella restituzione del villino, mentre resta assorbita, per l'effetto, ogni ulteriore questione anche in ordine all'eccessività della penale di cui si tratta, fatta oggetto della rilevazione ufficiosa in corso di causa onde assicurare ai contendenti l'esercizio del contraddittorio anche sul punto.   Infine, restano da scrutinare le domande proposte dal ### per il risarcimento dei danni per i danneggiamenti che sarebbero stati, a suo dire, arrecati dalla ### all'immobile, in uno al rimborso da lui preteso per le spese condominiali e per quelle esborsate per il procedimento di mediazione già sopra menzionato, domande che, peraltro, devono essere anch'esse disattese.   Ed invero, in primo luogo, deve evidenziarsi che dall'istruttoria espletata siano residuati seri dubbi in ordine alle condizioni nelle quali il bene è stato rilasciato da parte dell'attrice, tenuto conto che alcuna specifica contestazione è stata elevata al riguardo dai convenuti in sede di restituzione dell'immobile (si v. infatti doc. 4, allegato alla comparsa di risposta di ### recante copia dell'attestazione di restituzione di tutte le chiavi, da cui non risulta alcuna contestazione sollevata dai due comproprietari, bensì soltanto una “riserva” a formulare, se del caso, successivamente eventuali doglianze, mentre è inconferente l'ulteriore doc. 6, depositato sempre con tale comparsa, relativo a dichiarazioni provenienti dallo stesso convenuto, essendo state, di contro, le firme poste in calce a tale scritto da terzi testualmente rivolte soltanto ad attestare la loro presenza insieme al primo, presso lo stabile, alla data del rilascio).   Le dichiarazioni assunte dal teste ### il solo risultato presente proprio in occasione di rilascio (si v. infatti dichiarazioni dell'ulteriore teste ### verbale ud.  14.09.2023), sono valse, poi, soltanto a confermare il generale stato di disordine nel quale è risultato versare l'immobile a quella data, quale risultante dalle fotografie versate in atti dai convenuti, e dalle stesse emerge, per la verità, in maniera chiara, soltanto la presenza di oggettistica di vario genere lasciata abbandonata all'interno di alcuni vani e l'esistenza di fogliame e di taluni rifiuti per lo più accatastati nella corte del villino (cfr. dich. teste ### verbale ud.  25.05.2023, nonché doc. 9, 10, 11 fasc. convenuti), fogliame e rifiuti vari per i quali il convenuto ha richiesto, in questa sede, il ristoro per costi di asporto e di invio a discarica senza offrire, tuttavia, alcuna specifica allegazione (prima ancora che alcuna prova) in ordine alla loro specifica natura ed ammontare, considerata la sola “riserva” rinvenibile al riguardo nei suoi scritti depositati nei termini per le cd. preclusioni assertive.   Del tutto insufficiente a fondare la pretesa risarcitoria di cui si tratta è, inoltre, la sola ulteriore circostanza riferita dal teste ### relativamente all'avvenuta rimozione, ad opera del compagno della #### di una delle piante cycas presenti nel giardino (l'unica sulla quale il testimone ha saputo riferire, non essendo stata confermata, invece, né dal ### né dagli altri testimoni escussi, l'asportazione di ulteriori piante ivi esistenti anteriormente al rilascio), non avendo, comunque, i convenuti fornito alcun congruo e conducente riscontro in ordine al concreto stato nel quale tale pianta versava prima dell'instaurazione del rapporto per cui è causa e alla sua conseguente plausibile vita residua (rispetto alla quale è obiettivamente insufficiente, d'altro canto, il solo fatto che il teste abbia ricordato che si trattasse di pianta “rigogliosa”, oltretutto alla luce della riferita esistenza in loco anche di altre piante di analoga specie e dell'incertezza dei ricordi conservati dal medesimo in merito alle vicende di cui si discute, stante il mancato riconoscimento da parte sua del difensore della ### presente in aula in occasione della sua escussione, quale soggetto che aveva pacificamente presenziato, anch'egli, al rilascio), né in merito al suo reale valore economico, di cui nulla è stato allegato (prima ancora che dimostrato) da parte del ### (o del ### in comparsa di risposta o nella successiva memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. (si v. ancora verbale ud. 25.05.23 cit.).   Ed ancora, non diverse considerazioni valgono con riferimento al più generale stato del giardino e alla condizione nella quale sarebbero stati rinvenuti i vani interni del villino (ove i ### hanno lamentato, fin troppo genericamente, stando alla suddetta comparsa e alla successiva loro prima memoria ex art. 183 co. 6 cit., soltanto non meglio precisate “rotture” di “alcuni arredi e pavimenti”, oltre ai rifiuti e all'oggettivista di vario genere di cui si è già detto), anche tenuto conto che è senz'altro da escludere che possano rilevare, ai presenti fini, meri ammaloramenti riconducibili alla normale usura, quali sono le macchie rinvenute su muri o pavimenti a seguito dello spostamento della mobilia ivi precedentemente allocata o il deterioramento di modeste porzioni di una parete o del pavimento di uno dei vani del fabbricato, non eccedendo gli stessi - se non altro in difetto di specifiche e conducenti allegazioni in diverso senso - l'ordinario utilizzo della cosa concesso all'occupante (arg. art. 1590 c.c.).   Né può annettersi, in effetti, alcuna rilevanza, sotto ulteriore profilo, alla luce di quanto solo è stato prospettato dagli onerati entro i termini per le preclusioni assertive, al distinto pregiudizio che sarebbe stato da loro patito per il minor prezzo conseguito dalla vendita dell'immobile al terzo ### considerato che tale pregiudizio non risulta essere stato allegato dagli stessi nelle loro comparse di risposta, del 06.04.21 e del 24.09.21, o nella prima memoria del 04.04.22, per quanto tale vendita fosse, oltretutto, già intervenuta a quella data (cfr. infatti doc.  15.1 fasc. convenuti, recante copia del relativo contratto di compravendita del 18.01.2021).   Di guisa che, tenuto conto dei soli pregiudizi tempestivamente lamentati dagli onerati in termini di danneggiamenti materialmente arrecati al bene e di spese per la sua sistemazione, ne deriva la sicura inconferenza, in via assorbente, delle dichiarazioni rese dal teste ### inerenti il suddetto diverso pregiudizio, e così, analogamente, anche dello scritto già firmato dalla stessa in pendenza (ed in funzione) del presente giudizio, versato in atti dai ### in allegato alla loro memoria ex art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c. (cfr. doc. 16 fasc. convenuti).   Ed infine, avuto riguardo a quanto sin qui evidenziato, non può accedersi, nella specie, a una liquidazione del danno in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., quale quella invocata dai convenuti nei loro scritti conclusivi, considerato che una simile liquidazione non può ovviare, come noto, al mancato assolvimento degli oneri di allegazione e di prova che incombono sull'interessato ai sensi dell'art. 2697 c.c. (cfr. per tutte, Cass. civ. n. 15478/2014), e tantomeno potrebbe rilevare al riguardo - lo si precisa - la penale contrattualmente pattuita, oltretutto funzionale a forfettizzare un pregiudizio ben diverso, quale è quello per l'eventuale ritardato rilascio del bene.   La domanda risarcitoria del ### va, pertanto, conclusivamente disattesa.   Del pari da respingere è, inoltre, come si è anticipato, la pretesa di tale convenuto volta al rimborso delle spese condominiali e quella avente ad oggetto gli esborsi per la mediazione.   Con riferimento alla seconda di tali ulteriori pretese, osserva infatti il decidente che, sebbene si tratti di richiesta avanzata sin dalla sua comparsa di risposta (cfr. pag. 7 di tale comparsa), tuttavia, alcun rimborso può riconoscersi al predetto per spese afferenti un procedimento che è stato avviato in virtù di una pretesa - quella relativa all'asserita avvenuta risoluzione per l'inottemperanza dell'attrice alla diffida ex art. 1454 c.c. - rivelatasi non fondata all'esito del presente giudizio, trattandosi di un esborso che non può ritenersi, in tal senso, determinato, neppure esso, dal comportamento tenuto dalla promissaria acquirente.   Con riferimento, invece, alle spese condominiali, è dirimente evidenziare che - così come lamentato da parte attrice - alcun obbligo risulta previsto al riguardo, a carico della ### nel contratto del 01.12.16, e ciò, pur a fronte della regolamentazione ivi concordata per altre spese correlate all'immobile, quali quelle di manutenzione o quelle afferenti le utenze poste a servizio dello stesso. Considerata tale regolamentazione e la significativa non menzione di somme dovute dalla promissaria acquirente anche a titolo di “quote condominiali”, ne consegue, dunque, che è da escludere che queste ultime possano ritenersi dovute dall'attrice, mentre è inconferente il solo richiamo operato al riguardo dai ### alle comunicazioni scambiate con il soggetto che sarebbe stato, a loro dire, incaricato dell'amministrazione condominiale, recanti il “convincimento” di quest'ultimo che il ### fosse proprietario dell'unità indicata come “F/4” e che sarebbe stato sollecitato, quindi, da tale amministratore, al pagamento di oneri condominiali (cfr. doc.  1, allegato alla comparsa di costituzione del ###.   Nemmeno la domanda volta al rimborso di tali spese può trovare, dunque, accoglimento.   Tenuto conto dell'esito complessivo del giudizio, che ha condotto a disattendere entrambe le pretese risolutorie esercitate dai contendenti in virtù dell'inadempimento da ascrivere alla rispettiva controparte, in uno al riconoscimento del diritto della ### alla restituzione della sola somma di € 5.000,00 e al rigetto, per converso, delle ulteriori domande rispettivamente proposte dalle parti, le spese processuali devono essere, infine, integralmente compensate tra le stesse, ravvisandosi nella specie un'ipotesi riconducibile a quella della soccombenza reciproca, prevista dall'art. 92 c.p.c.   Sempre in virtù dell'esito del giudizio, non sussistono, inoltre, i presupposti per una condanna dei convenuti o dell'attrice per cd. responsabilità processuale aggravata, quale quella fatta valere, reciprocamente, dai contendenti, necessitando la stessa, in via assorbente, dell'integrale soccombenza della rispettiva controparte, ex art. 96 c.p.c., nella specie non ricorrente.  P.Q.M.  ### di Velletri, definitivamente pronunciando sulla causa civile indicata in epigrafe, ogni ulteriore e diversa istanza, eccezione e deduzione assorbita o disattesa, così provvede: - Rigetta le domande proposte da ### di recesso dal contratto del 01.12.2016 e di condanna dei convenuti ### e ### al pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata, ai sensi dell'art. 1385 c.c.; - Rigetta le domande riconvenzionali proposte dal ### volte alla declaratoria della risoluzione del contratto del 01.12.2016 per l'inadempimento di ### al risarcimento dei danni da parte della stessa e al rimborso delle spese condominiali e per il procedimento di mediazione; - Dichiara la risoluzione del contratto concluso tra ### da un lato, e ### e ### dall'altro lato, in data ###, in virtù della volontà manifestata da tutte le parti di scioglimento del rapporto negoziale; - ### e ### in solido tra loro, alla restituzione in favore di ### della somma di € 5.000,00, nonché al rimborso di € 813,74 per le spese del procedimento di mediazione da loro avviato anteriormente al presente giudizio; - Rigetta ogni ulteriore richiesta di pagamento proposta da ### - Compensa integralmente tra le parti le spese processuali; - Rigetta le rispettive domande proposte dalle parti ai sensi dell'art. 96 c.p.c. 
Così deciso in ### in data ###.  

Il Giudice
dott.ssa ###


causa n. 7251/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Nardi Federica

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Corte d'Appello di Firenze, Sentenza n. 2040/2025 del 27-11-2025

... ### E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il #### s.n.c. (di seguito anche “### Car”), assumendo d'avere ricevuto in locazione commerciale dalla ### s.a.s. di ### (d'ora in avanti “Darien”), con contratto del 2.11.2016, un impianto di distribuzione carburanti sito in ### loc. ### a ### e che le varie problematiche dovute all'obsolescenza delle strutture ivi installate e ad apparati non a norma l'avessero costretta a recedere dal contratto, con cessazione anche delle attività secondarie esercitate in loco (officina riparazioni auto e noleggio biciclette), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di ### la suddetta s.a.s., chiedendo, sulla scorta anche delle risultanze dell'a.t.p. promosso nell'anno 2018, di accertare l'inadempimento della locatrice e, per l'effetto, di condannarla a risarcirle tutti i danni subiti, individuati nei canoni e nella cauzione versati, nelle spese sostenute per impianti e attrezzature, nel mancato guadagno e/o nella perdita dell'indennità di avviamento, per la somma complessiva di € 183.970,00, oltre interessi. 2. Si costituiva in giudizio la ### deducendo anzitutto che il contratto di locazione riguardasse la sola (leggi tutto)...

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI FIRENZE Sezione Terza Civile LOCAZIONI La Corte di Appello di Firenze, in persona dei #### ha pronunciato all'udienza del 19/11/2025 mediante lettura del dispositivo ex art. 437 co. 1^ c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa civile di ### iscritta al n. r.g. 2485/2023 promossa da: PRIN. CAR. ### S.N.C. (C.F. ###), in persona del legale rappresentante pro tempore ### rappresentata e difesa dall'Avv. #### nei confronti di ### S.A.S. ### (c.f. ###), in persona del legale rappresentante pro tempore ### rappresentata e difesa dall'Avv. #### avverso la sentenza n. 981/2023 emessa dal Tribunale di Grosseto e pubblicata il #### data 19/11/2025 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni: Per la parte appellante: “Voglia la Corte di Appello, in totale riforma della sentenza impugnata, accertare e dichiarare l'inadempimento al contratto di locazione de quo per fatto e colpa esclusivi del locatore ### s.a.s. 
Per l'effetto condannare il locatore al risarcimento dei danni descritti in premessa con condanna al pagamento in favore dell'attore della somma di € 183.970, salvo diversa somma che dovesse risultare di giustizia in corso di causa (occorrendo anche con valutazione in via equitativa), con interessi di legge dal giorno del dovuto al saldo effettivo. 
Con vittoria di spese e compensi di entrambi i gradi di giudizio e della fase di mediazione e di ATP (da distrarre in favore del sottoscritto procuratore antistatario) e con condanna della ### al pagamento integrale delle spese di CTU”. 
Per la parte appellata: “chiede che la Corte d'Appello di Firenze, ###, premessa ogni più opportuna declaratoria del caso e disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa - previa, se ritenuta, ammissione dell'ordine di esibizione nei confronti della ###car ### s.n.c.: 1) dei registri di carico e scarico carburanti degli anni 2016-2017-2018; 2) delle scritture contabili degli anni 2016-2017-2018 - voglia rigettare l'appello avversario siccome infondato e non provato; con vittoria di spese e compensi, oltre rimborso forfettario 15%, C.P.A. ed I.V.A.  come per legge, del grado di appello” ### E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato il #### s.n.c. (di seguito anche “### Car”), assumendo d'avere ricevuto in locazione commerciale dalla ### s.a.s. di ### (d'ora in avanti “Darien”), con contratto del 2.11.2016, un impianto di distribuzione carburanti sito in ### loc. ### a ### e che le varie problematiche dovute all'obsolescenza delle strutture ivi installate e ad apparati non a norma l'avessero costretta a recedere dal contratto, con cessazione anche delle attività secondarie esercitate in loco (officina riparazioni auto e noleggio biciclette), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di ### la suddetta s.a.s., chiedendo, sulla scorta anche delle risultanze dell'a.t.p. promosso nell'anno 2018, di accertare l'inadempimento della locatrice e, per l'effetto, di condannarla a risarcirle tutti i danni subiti, individuati nei canoni e nella cauzione versati, nelle spese sostenute per impianti e attrezzature, nel mancato guadagno e/o nella perdita dell'indennità di avviamento, per la somma complessiva di € 183.970,00, oltre interessi.  2. Si costituiva in giudizio la ### deducendo anzitutto che il contratto di locazione riguardasse la sola porzione del fondo destinata ad officina e al suo bagno pertinenziale (come da piantina allegata e sottoscritta dalle parti, a migliore precisazione dell'oggetto delle intese negoziali), giacché la restante parte, comprendente l'impianto di erogazione carburanti, era stata viceversa già concessa a ### in semplice comodato, in virtù di contratto registrato il ###. Da tale premessa faceva discendere la radicale infondatezza delle doglianze avversarie, data l'inapplicabilità al caso specifico della disciplina in materia di obblighi a carico del locatore, contestandole comunque anche nel merito; chiedeva inoltre, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice a pagarle i canoni insoluti del contratto di locazione, pari ad € 5.250,00 oltre ### e a risarcirle i pregiudizi arrecati al fondo per inadempimento agli obblighi di custodia, conservazione e manutenzione, stimati nell'ulteriore somma di € 5.000,00 oltre ### 3. Il Tribunale, mutato il rito ex art. 426 c.p.c. e concessi alle parti i termini per il deposito di documenti e memorie integrative, istruiva la causa con acquisizione del fascicolo dell'a.t.p., assunzione di prove orali ed espletamento di ### Indi pronunciava sentenza, n. 981/2023 del 22/11/2023, così disponendo: “1) rigetta le domande della ricorrente; 2) rigetta le domande risarcitorie della resistente; 3) condanna la ricorrente a corrispondere alla resistente la somma di € 5.250,00+IVA, per i titoli e con gli interessi indicati in parte motiva; 4) condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese di lite, che liquida in € 6.400,00 per compensi, oltre ### CPA e spese generali (15%) sul compenso; 5) compensa integralmente le spese di CTU”. 
Essenzialmente il primo giudice, alla luce di una serie di elementi istruttori, recepiva la tesi di parte convenuta sulla vigenza, nei rapporti inter partes, di due contratti diversi e paralleli, l'uno, di comodato, riguardante l'impianto di distribuzione di prodotti petroliferi (costituito da piazzale, locali ricovero gestore, servizio igienico e locali deposito prodotti e attrezzature), l'altro, di locazione, avente a oggetto la porzione del fabbricato insistente sul piazzale adibita a officina e a bagno pertinenziale, respingendo l'opposta tesi di parte attrice, svolta nel corso del processo, secondo cui il contratto di locazione aveva novato quello di comodato, vista l'intenzione delle parti di variarne la causa (da comodato a locazione) e l'oggetto (estendendolo a porzioni prima escluse). In base a ciò il Tribunale rilevava come non sussistessero margini di accoglimento della domanda attorea (“né per quanto concerne la domanda restitutoria dei canoni di locazione e del deposito cauzionale, afferenti al diverso contratto di locazione dell'officina e del rispettivo servizio igienico, né per quanto riguarda l'istanza risarcitoria delle spese affrontate per impianti e attrezzature necessari all'attività iniziata e del lucro cessante da esercizio interrotta in anticipo, giacché, appunto, neppure astrattamente conseguenziali ad assunti inadempimenti della locatrice”), posto che tutte le problematiche lamentate dalla ### non involgevano l'officina e il servizio igienico oggetto della locazione, bensì la restante parte dell'immobile oggetto del contratto di comodato, la cui disciplina codicistica non prevedeva, a carico del comodante, obblighi simili a quelli previsti dall'art. 1575 c.c. per il locatore (“Val quanto dire che il comodante consegna al comodatario la cosa nello stato in cui si trova, buono o cattivo che sia, e non è in alcun modo tenuto a far sì che la cosa consegnata sia idonea all'uso cui il comodatario intende destinarla, giacché, al contrario, detto uso è contemplato dalla norma quale limite imposto al godimento del comodatario e non quale parametro cui rapportare l'idoneità della cosa”). Quanto alle pretese coltivate in via riconvenzionale dalla convenuta, reputava il Tribunale che fosse da accogliere quella relativa al pagamento dei canoni lasciati insoluti fino al rilascio del bene, in quanto basata sul titolo contrattuale e considerata l'assenza di prove dell'adempimento della prestazione, e da respingere, invece, quella relativa al ristoro di danni, per mancanza di opportuni riscontri. Considerato l'esito complessivo della lite, infine, poneva a carico dell'attrice le spese processuali, anche delle fasi di a.t.p. e di mediazione, secondo il criterio del “decisum”, mentre compensava integralmente le spese delle consulenze tecniche d'ufficio.  4. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto appello ### chiedendone la riforma, con accoglimento delle conclusioni già rassegnate in primo grado.  ### l'appellante, il Tribunale, nell'aderire alla tesi di parte convenuta sulla questione dei contratti stipulati tra le parti, avrebbe travisato il contenuto dei contratti ed altresì dato ingresso, sul punto, ad una prova testimoniale inammissibile (ovvero quella col teste ### le cui dichiarazioni, comunque, sempre secondo l'appellante, non sarebbero credibili), di cui l'attrice aveva eccepito la nullità subito dopo l'assunzione, in quanto avente ad oggetto patti contrari al contenuto di un documento, in violazione dell'art. 2722 c.c.; infatti detta prova era diretta a dimostrare intese (relative alla limitazione della locazione al locale officina ed al relativo bagno, per essere il resto oggetto di comodato) in contrasto con quanto risultante dal testo del contratto di locazione prodotto dalla ### (riferito, negli identificativi catastali, all'intero piazzale della convenuta e a tutto ciò che vi era sopra edificato, ivi compreso l'impianto di distribuzione carburanti), non potendo valere a giustificare l'ammissione della prova il documento contrattuale prodotto dalla convenuta (disconosciuto in prima udienza dall'attrice quanto alla conformità all'originale) consistente nelle sole prime due pagine del contratto e da una planimetria in nessun modo richiamata nello stesso, “verosimilmente”, invece, allegata a quello di comodato. Nemmeno l'altro elemento documentale preso in considerazione dal Tribunale (lettera di recesso dal comodato inviata dalla ### avrebbe potuto giustificare le conclusioni raggiunte in sentenza. Infine, il Tribunale avrebbe comunque errato nel ritenere ancora vigente il contratto di comodato, sebbene in quest'ultimo si prevedesse l'automatica risoluzione del contratto nel caso del venir meno di autorizzazioni, permessi, licenze ed altri atti necessari per l'installazione e la gestione del punto di vendita; nella fattispecie, il comodato, se non novato dalla locazione conclusa il ###, si era comunque risolto in data ###, allorquando “era scaduto il termine della SCIA” presentata dalla ### e così “per l'effetto, essendo stato risolto per novazione (o per inadempimento ad una condizione fondamentale, con risoluzione automatica) il contratto di comodato, non poteva che rimanere il solo contratto di locazione”.  ### ha poi reiterato le allegazioni e gli argomenti difensivi svolti in primo grado in ordine alle varie criticità a proprio dire riscontrabili sull'immobile oggetto di “locazione”, in particolar modo riferite all'aspetto della sicurezza antincendio (decadenza della ### e mancata acquisizione del ### di ### obsolescenza del lettore della carte di pagamento; mancanza dell'estintore carrellato; irregolare funzionamento delle pompe di erogazione carburante; irregolarità dei pozzetti di chiusura dei serbatoi interrati; allocazione del pozzo di attingimento dell'acqua per l'impianto antincendio su fondo di proprietà di terzi, con conseguente interruzione dell'alimentazione; contaminazione della cisterna di raccolta dell'acqua con idrocarburi; demolizione di un muro di contenimento dell'impianto ###, reiterando, allo stesso modo, i calcoli e le considerazioni sui danni asseritamente subiti a causa della necessità di interrompere le attività condotte sul fondo. 
Infine, richiamati, ancora una volta, gli argomenti spesi in primo grado circa l'inadempimento del locatore che avrebbe reso legittimo e conforme a buona fede non pagare ulteriormente i canoni, ha indicato come ingiusta ed illegittima la sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna della ### al pagamento dei canoni non versati alla ### essendo “viceversa lecita e fondata la richiesta di restituzione dei canoni pagati al locatore”.  5. Radicatosi il contraddittorio ### si è costituita nel giudizio di appello contestando la fondatezza del gravame e chiedendone il rigetto, ripetendo, a sua volta, tutte le difese già svolte nel corso del giudizio di primo grado.  6. La causa è stata decisa (mediante emissione del dispositivo) in data ###, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di discussione orale in presenza.  ***  7. Il gravame è ammissibile nei limiti dell'unica critica specificamente espressa e compiutamente argomentata rispetto al contenuto della sentenza impugnata, ovvero quella che si sviluppa da pag. 9 a pag. 13 dell'atto di appello, riferita al c.d. “###”, ossia alla parte della sentenza (intitolata “I contratti intercorsi inter partes”) nella quale il Tribunale, affidandosi ad una serie di prove, ha qualificato i rapporti tra le parti come oggetto di due separati contratti, di comodato e locazione, stipulati l'uno di seguito all'altro con differente oggetto, escludendo la novazione del primo con il secondo, in particolare ritenendo che l'impianto di distribuzione carburanti, sul quale si concentravano, in particolare, le lamentele della ### costituisse oggetto del contratto di comodato e non di quello di locazione invocato a sostegno della domanda. 
Per il resto, infatti, l'appello si risolve nella reiterazione di deduzioni di fatto e di diritto svolte in primo grado in ordine agli altri profili controversi (evidentemente assorbiti dalla soluzione data dal Tribunale alla preliminare questione dibattuta). 
Benché in tali limiti ammissibile, l'appello è tuttavia infondato.  7. Il giudizio del Tribunale sul contenuto dei rapporti contrattuali intercorsi tra le parti e sulla loro vigenza risulta ben supportato dagli elementi, documentali e testimoniali, messi in evidenza nella decisione. 
Da questo punto di vista, e per rispondere alla prima obiezione sollevata dall'appellante, va osservato come la prova testimoniale sui capitoli n. 2 e 4 della memoria istruttoria di parte convenuta in primo grado (“2) << ### che con contratto di locazione commerciale del 02.11.2016 registrato il ### che le si mostra (doc. 2-2.1) la ### s.a.s. concedeva alla #### s.n.c. l'immobile in esso descritto limitatamente al locale officina ed al suo bagno pertinenziale come evidenziato nella porzione contornata in giallo nella planimetria allegata al contratto? >>; 4) << ### che la porzione dell'immobile destinata ad officina ed il suo bagno pertinenziale era oggetto della locazione e la restante parte dell'impianto di erogazione carburanti era oggetto del contratto di comodato? >>”) fosse senz'altro ammissibile.  7.1 In primis, infatti, va ricordato che “l'inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 cod. civ., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall'esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l'eccezione d'inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all'atto, o alla notizia di esso, ai sensi dell'art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., l'una eccezione, quella d'inammissibilità, non dovendo essere confusa con l'altra, quella di nullità, né potendo ad essa sovrapporsi, perché la prima eccezione opera "ex ante", per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce "ex post", per evitare che i suoi effetti si consolidino” (Cass. 21443/2013). 
Nel caso di specie l'inammissibilità dei capitoli di prova per contrasto con l'art. 2722 c.c. (a mente del quale “la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea”) non è stata tempestivamente eccepita dall'appellante prima dell'ammissione del mezzo istruttorio e, dunque, non avrebbe potuto essere rilevata d'ufficio dal giudice. ### all'udienza del 5.5.2021, immediatamente precedente all'ordinanza ### di ammissione, come risulta dal relativo verbale, il difensore di ### oltre ad opporsi all'escussione dei testi ### e ### indicati dalla controparte su altre circostanze, si limitò ad eccepire l'inammissibilità del capitolo 1 della memoria avversaria per asserita contrarietà al divieto di cui all'art. 2721 c.c. (“1) << ### che con contratto di comodato gratuito registrato il ### che le si mostra (doc. 1) la ### s.a.s. concedeva alla #### s.n.c. l'impianto di distribuzione dei prodotti petroliferi costituito da piazzale, locali ricovero gestore, servizio igienico e locali deposito prodotti ed attrezzature per l'attività petrolifera, con esclusione del locale officina e del suo bagno pertinenziale? >>”), pur avendo peraltro la stessa attrice ammesso che il contratto di comodato non comprendeva il locale officina; non anche fu eccepita l'inammissibilità dei capitoli 2 e 4 per ragioni di contrasto con l'art. 2722 c.c.. Tale eccezione l'attrice sollevò, in modo specifico, solo con la successiva istanza di revoca dell'ordinanza di ammissione della prova, e dunque ormai tardivamente. Per tali ragioni deve ritenersi sostanzialmente inefficace l'eccezione di nullità della testimonianza resa dal teste ### sui suddetti capitoli, sollevata dalla difesa di ### al termine della deposizione, dal momento che la prova in questione, in mancanza di rituale e tempestiva eccezione della parte interessata, era stata validamente ammessa.  7.2 Ove anche, per ipotesi, si volesse prescindere da quanto sopra, dovrebbe comunque osservarsi che l'ammissione trovava giustificazione nell'esistenza di un principio di prova scritta (anzi più di uno), ai sensi dell'art. 2724 c.c. (secondo cui “la prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato”). 
Sebbene infatti sia vero che il contratto di locazione sottoscritto dalle parti, datato 2.11.2016, rechi nel testo il riferimento all'unità immobiliare sita in ### censita nel ### al foglio 139, part. 2673, sub 1 (estremi questi che individuano, in base alla planimetria catastale allegata agli atti di causa, l'intera area del piazzale su cui insistono i vari locali ed impianti della ### ed ivi si legga che “i locali di cui al presente contratto sono destinati ad uso esclusivo di distributore di carburante, noleggio senza conducente, commercio al dettaglio di autoveicoli con divieto di mutazione di destinazione”, non può trascurarsi di considerare che all'originale cartaceo del documento, depositato dalla convenuta presso la cancelleria del Tribunale di ### ed ivi custodito in cassaforte, come da autorizzazione del giudice del 15.4.2021, trasmesso a questa Corte e di cui si è dunque presa diretta visione, risulta acclusa una piantina sottoscritta dalle parti con contornata in giallo una singola porzione del complesso, costituita dal locale officina e dal relativo servizio igienico. La produzione in oggetto, ad opera della convenuta, è avvenuta appunto allo scopo di dimostrare che, a dispetto di quanto riportato nel testo del contratto, l'intenzione delle parti fosse quella di assoggettare a locazione solo il locale officina ed il bagno pertinenziale, continuando gli altri beni ad essere concessi in godimento alla ### sulla base del precedente contratto di comodato concluso tra le parti, registrato il ###, parimenti allegato dalla convenuta e di cui l'attrice non aveva fatto inizialmente menzione, avente ad oggetto - così si legge nelle premesse - il “### di ### carburanti…costituito da piazzale per il rifornimento, da locali per il ricovero del gestore, servizio igienico, locali per il deposito di prodotti e attrezzature per la lubrificazione, compreso diritto di accesso ai locali per l'attività petrolifera (individuati con tratteggio di colore rosso sulla planimetria allegata, che, sottoscritta dalle parti, forma parte integrante del presente accordo) nonché dagli impianti, attrezzature ed accessori meglio specificati al successivo ### 2”. 
In ordine a tale documento, ossia alla piantina sottoscritta dallo stesso legale rappresentante della ### (la cui firma non è stata, invero, disconosciuta), con evidenziati in giallo i contorni del locale officina e del relativo bagno, l'attrice non ha fornito una chiara ed esauriente spiegazione, per aiutare a comprendere quale potesse essere, in ipotesi, il diverso significato negoziale della sua formazione. La stessa dapprima ha disconosciuto, in prima udienza, ex art. 2719 c.c., la conformità all'originale della copia telematica del contratto di locazione prodotta dalla convenuta all'atto della sua costituzione in giudizio, comprendente solo le prime due pagine del contratto e la piantina in discussione; a tale disconoscimento ha fatto però poi seguito la produzione, come detto, dell'originale cartaceo del documento, che risulta completo di tutte le pagine del contratto oltre che della piantina, spillata subito dopo l'ultima pagina e prima della ricevuta di avvenuta registrazione del contratto (nella quale tra l'altro si legge: “è presente un file allegato”, verosimilmente la piantina); in merito a tale originale cartaceo depositato nessun rilievo è stato sollevato dalla ### Nella memoria integrativa depositata in primo grado, l'attrice, nell'opporre la propria tesi secondo cui le parti, dopo la stipula del comodato, avrebbero voluto con il contratto di locazione variare “sia l'oggetto (perché la locazione comprende oltre alla distribuzione carburanti anche i locali officina e piazzale, con estensione dell'attività aziendale anche al noleggio e vendita di autoveicoli) sia la causa del contratto (da comodato a locazione)” (pag.  2), ha omesso di prendere posizione in modo specifico sul significato della piantina e sul contesto in cui la stessa veniva redatta, limitandosi ad accennare, in modo sibillino, al fatto che “verosimilmente” (pag. 3) “quanto prodotto ex adverso è l'allegato al contratto di comodato”, passaggio questo riprodotto anche nell'atto di appello (a pag. 11). Ora, di fronte ad un documento recante la firma del proprio legale rappresentante, la società attrice non avrebbe potuto limitarsi ad additare ciò che “verosimilmente” era accaduto, ma avrebbe dovuto fornire una precisa spiegazione del fatto. Inoltre, la tesi che la piantina fosse allegata non al contratto di locazione ma a quello di comodato è priva di senso: l'attrice afferma (anche in questo caso con argomentazione ripetuta nell'atto di appello) che “mentre nel comodato solo una parte dell'immobile veniva ceduto (e quindi era necessario identificarlo graficamente per distinguerlo dal resto) con la locazione l'intero immobile di proprietà della ### sas viene ceduto ed allora non vi è più necessità di distinguere una porzione rispetto ad un'altra, tanto che nel contratto vi è la semplice identificazione catastale”; ma dimentica che la parte identificata graficamente nella piantina non è quella cui si riferisce il contratto di comodato, il quale, come pacifico tra le parti, non comprendeva il locale officina. Non senza pretermettere l'altra notazione del Tribunale, secondo cui nel contratto di comodato, ai fini dell'individuazione dei locali per l'attività petrolifera, si faceva rimando ad una “planimetria allegata” con tratteggio di colore rosso e non giallo (pur assente negli atti di causa). 
Alla luce di quanto sopra, la piantina prodotta dalla ### ben rappresentava ### un principio di prova per iscritto atto a legittimare l'ammissione della prova testimoniale sui capitoli indicati. Essendo peraltro la piantina, almeno all'apparenza, parte del contratto originale, la prova in argomento avrebbe anche potuto ritenersi di mera chiarificazione dell'oggetto del contratto.  8. Al suddetto elemento documentale, poi, se ne aggiungono altri, giustamente valorizzati dal Tribunale, che analogamente forniscono significativa parvenza alla ricostruzione di parte convenuta (andando a costituire, così, ulteriori principi di prova per iscritto ai fini di cui all'art. 2724 c.c.). 
Su tutti il contenuto della lettera datata 6.3.2018 inviata da ### nella quale è la stessa società attrice a riferirsi a due contratti parallelamente vigenti tra le parti, richiamando il recesso esercitato da quello di comodato in data ### e manifestando, con la missiva, la volontà di risolvere anche quello di locazione: “la nostra società in data 04 settembre 2017, come risulta dalla relativa pec, ha effettuato regolare recesso dal contratto di comodato d'uso gratuito dell'impianto di distribuzione carburanti di ### proprietà…con questa comunicazione lo scrivente è costretto a dichiarare l'avvenuta risoluzione del contratto di locazione commerciale sottoscritto in data 02 novembre 2016, in quanto, contrariamente a quanto dichiarato al punto 1) del suddetto contratto, l'immobile locato non è idoneo all'attività di commercio e riparazione di automobili, commercio al dettaglio di accessori auto, biciclette, gas per uso domestico in bombole e noleggio bici senza conducente” (si noti al riguardo - e non può essere un caso - la mancanza di qualunque accenno all'attività di distribuzione carburanti, perché evidentemente oggetto dell'altro contratto già disdettato).  “Ed infatti il Comune di ### esprimeva in data 19 gennaio 2017, parere di fattibilità relativamente allo svolgimento dell'attività di vendita e riparazione autoveicoli nel locale locato solo al soggetto gestore dell'impianto di distribuzione carburanti. Pertanto avendo la nostra società cessato l'attività di distribuzione carburanti, per legge non siamo più autorizzati a svolgere attività di commercio auto e quant'altro ...”. 
In proposito non può condividersi l'assunto dell'appellante secondo cui “tale elemento non significa, come ritiene il Tribunale, che l'appellante ritenesse in vigore il contratto di comodato; significa semplicemente che ha inviato una nota superflua in quanto tale contratto era già stato risolto consensualmente. Del resto, come ha notato anche il Giudice di prime cure, le parti non sono soggetti giurisperiti ed hanno redatto gli atti con un'opinabile tecnica redazionale; le stesse quindi possono aver scritto delle osservazioni non corrispondenti alla realtà giuridica”. La lettera, invero, è esplicita nel richiamare due contratti, funzionali all'esercizio di diverse attività (la distribuzione carburanti per il comodato; le altre attività collaterali per la locazione) e su un aspetto del genere è difficile ipotizzare che vi sia stato equivoco. 
Si giustifica, perciò, anche l'osservazione del Tribunale secondo cui “se davvero le parti, a novembre 2016, avessero inteso novare il rapporto sorto cinque mesi addietro - sostituendo il contratto di comodato con la locazione commerciale -, si priverebbe d'ogni senso il “recesso” dal comodato da parte di ### di settembre 2017”.  9. Vi è, ancora, l'ulteriore elemento dato dalla rettifica del contratto di comodato avvenuta il ### (ben oltre la stipula della locazione, che, secondo l'appellante, avrebbe novato il primo contratto) con l'apposizione sul testo dattiloscritto di alcune correzioni a penna da parte da ### legale rappresentante di ### in particolare rispetto all'elenco delle attrezzature petrolifere. La circostanza risulta dal documento n. 68 della stessa produzione attorea ed anche a tale riguardo coglie nel segno il rilievo del Tribunale, secondo cui “tale documento attesta inequivocabilmente la vigenza del comodato a quella data, e non si comprende il motivo di una correzione sul testo di tale documento” - evidentemente accettata dalla ### che altrimenti avrebbe preteso altre modalità di rettifica - “quando lo stesso, secondo la tesi di ### sarebbe stato sostituito dalla locazione alcuni mesi prima”. 
Circa il fatto che quello contenuto nel contratto di comodato fosse l'unico elenco delle attrezzature, si deve osservare che tale aspetto avvalora ancora di più l'ipotesi che solo il contratto in questione regolasse, anche nei suoi aspetti di dettaglio, la concessione in utilizzo dell'impianto di distribuzione (peraltro esso comprendeva una più ampia e complessa disciplina dei rapporti commerciali, facendo riferimento anche ad un collegato contratto di fornitura con una terza società petrolifera e ad un patto di esclusiva quanto all'approvvigionamento e alla rivendita dei prodotti petroliferi), laddove quello di locazione veniva redatto secondo uno schema ben più standardizzato e certamente meno confacente alla cessione in uso di un impianto del genere. Non senza pretermettere che lo stesso ammontare del canone di locazione (appena € 350,00 mensili) appare indicativo della sua riferibilità solo ad una limitata porzione del complesso immobiliare, laddove lo stesso risulterebbe, ictu oculi, oltremodo esiguo rispetto all'intero impianto di distribuzione e a tutti i locali collegati.  10. A questi elementi, di ordine documentale, va ad aggiungersi la testimonianza di ### consulente fiscale “di entrambe le parti”, secondo quanto dichiarato, e perciò soggetto equidistante dagli interessi in gioco, il quale ha riferito di avere personalmente redatto il contratto di locazione e che questo era da intendersi effettivamente limitato al locale officina ed al bagno pertinenziale (“si è vero avevo redatto personalmente il contratto. Il contratto per l'officina è stato fatto a parte e successivamente rispetto al contratto di comodato dell'impianto di carburante in quanto l'officina non era pronta perché su di essa dovevano essere fatti dei lavori. La particella che individuava l'immobile era unica quindi essendoci stati due contratti fatti in date successive quando è stato fatto il secondo visto che era un'unica particella ho individuato evidenziando in giallo la parte interessata dell'officina nella planimetria allegata al contratto. Le parti hanno sottoscritto oltre al contratto anche la planimetria per fargli rendere conto della situazione…le parti erano a conoscenza della circostanza”). 
A poco rileva rimarcare l'improprietà della scelta compiuta dal consulente di indicare nel testo del contratto gli estremi catastali dell'intera particella: è a questo punto più che mai evidente che siano state seguite tecniche redazionali assai poco ortodosse ma il tema centrale resta quello dell'individuazione dell'effettivo contenuto della volontà negoziale delle parti. 
Dall'insieme di tutti gli elementi sopra esaminati siffatto contenuto è ricostruibile nel senso indicato dall'appellata, tale per cui l'impianto di distribuzione restò oggetto solo di un contratto di comodato e non fece parte di una locazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di disciplina del rapporto ed obblighi a carico del soggetto concedente (non estesi alla garanzia dell'idoneità dei beni all'uso previsto o indicato in contratto).  11. Non sarà poi superfluo ricordare le clausole presenti in entrambi i contratti indicative dall'accettazione, da parte dell'appellante, dello stato dei beni consegnati. Nel contratto di comodato ### dichiarava di ricevere i beni “in perfette condizioni di funzionamento” (art.  12). In quello di locazione dichiarava di avere “visitato i locali e di averli trovati in buon stato di manutenzione, idonei all'uso convenuto, così come lo sono gli impianti, salvo prova contraria da fornirsi entro 60 giorni dalla consegna” (art. 9).  12. Mette conto ancora evidenziare il carattere inconferente delle ulteriori notazioni dell'appellante. Il fatto che l'art. 9 del contratto di locazione parli di locali “idonei all'uso convenuto, così come lo sono gli impianti” non significa affatto che gli “impianti” menzionati fossero quelli di erogazione dei carburanti; né in relazione a ciò vale osservare che “il locale officina era vuoto in quanto gli “impianti” sono stati acquistati dalla prin. Car. (v. fatture doc. 50” (pag. 13 atto di appello), poiché ben potrebbe l'articolo in commento fare semplicemente riferimento agli impianti di tipo comune (elettrici ed idrici), laddove le fatture prodotte dall'attrice si riferiscono ad apparecchiature e beni più specifici, evidentemente funzionali alle attività da svolgere all'interno del locale. Infine, la tesi per cui il contratto di comodato, in virtù di quanto previsto all'art. 3.6, avrebbe perso automaticamente efficacia in data ###, con lo “scadere” della ### presentata dalla ### a seguito della modifica dell'impianto di distribuzione di carburanti (quest'ultimo aspetto è oggetto di separata discussione tra le parti) non consentirebbe comunque di ritenere efficace il contratto di locazione rispetto a porzioni non comprese nel suo oggetto (peraltro la questione della validità della ### è emersa solo in corso di procedimento di a.t.p. e non pare affatto avere pregiudicato la prosecuzione del rapporto di comodato tra le parti, quantomeno fino alla comunicazione di recesso richiamata nella missiva del 6.3.2018).  13. Per tutte le esposte ragioni e considerata l'assenza di ulteriori, autonomi, motivi di censura alle decisioni assunte, in via consequenziale, dal Tribunale nella sentenza impugnata (che peraltro si legano in maniera assolutamente logica e coerente con quanto statuito sulla questione preliminare della qualificazione dei contratti inter partes), l'appello deve essere respinto.  14. In applicazione del principio di soccombenza, le spese del presente grado di giudizio vanno poste a carico dell'appellante. 
La liquidazione si opera in base al D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 147/2022, § 12, secondo i parametri medi (eccezion fatta per le fasi 3 e 4, per le quali si giustifica il dimezzamento del parametro medio per la modesta attività di trattazione e discussione). 
Il valore della causa deve intendersi compreso nello scaglione da € 52.001 ad € 260.000. 
Pertanto: € 2.977,00 fase 1, € 1.911,00 fase 2, € 2.163,00 fase 3 ed € 2.552,00 fase 4, in tutto € 9.603,00, oltre accessori di legge. 
Ricorrono infine nei confronti dell'appellante le condizioni per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. 115/2002.  P.Q.M.  La Corte d'Appello di Firenze, sezione terza civile, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, anche istruttoria, disattesa, così provvede: 1. rigetta l'appello; 2. condanna l'appellante a rimborsare all'appellata le spese processuali del presente grado, che liquida in € 9.603,00 per compensi professionali di avvocato, oltre al 15% sui compensi per rimborso forfettario di spese generali, nonché oltre cap e iva secondo legge; 3. dà atto che ricorrono nei confronti dell'appellante le condizioni per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. 115/2002.
Firenze, camera di consiglio del 19/11/2025 ### estensore ### divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell'ambito strettamente processuale, è condizionata all'eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

causa n. 2485/2023 R.G. - Giudice/firmatari: Masetti Paolo, Carlo Breggia

M
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Tribunale di Taranto, Sentenza n. 180/2025 del 27-01-2025

... del conto corrente pignorato, ### b) il reddito di locazione derivante da un contratto di locazione stipulato sempre dalla ### La prova incontestabile di quanto affermato è data: a) dall'estratto dei movimenti del conto corrente da cui emerge che l'unica entrata sistematica che giunge sul conto corrente è la pensione di reversibilità che la ### percepisce da ### b) dalla copia del contratto di locazione stipulato dalla ### con il ### Al di là della assoluta estraneità del debito pignorato (riferito alla ### con le entrate che alimentano il conto (riferite solo alla ###, occorre aggiungere quanto segue. Come stabilito dall'art. 13 del D.L. 27 Giugno 2015 n. 83, le somme da chiunque dovute a titolo di pensione non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale aumentato della metà. Pertanto, poiché l'assegno percepito dalla ### è di € 468,10, con l'aumento di € 234,05, il limite di pignoramento è di € 702,15. E la ### - documentamente - nel 2022 guadagna appena 645,66 al mese. Dunque, di sicuro, dalla data del pignoramento (Aprile 2022) tutte le somme confluite sul conto corrente, essendo di provenienza pensione della (leggi tutto)...

testo integrale

N. 5713/2022 R.G.TRIB.; REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Taranto, ### in composizione monocratica in persona del giudice ### , ha pronunciato la seguente ### nella causa civile iscritta il 14 ottobre 2022 nel ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d'ordine 5713 dell'anno 2022 ##### Fisc. ###, e la ######, entrambe rappresentate e difese dall'avv. #### Fisc. ### e tutti domiciliat ######. M. Grancini n. 8 come da documentazione in atti; #### s.p.a, con sede ###, C.F. ###, P.IVA n. ###, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'avv. ### ( c.f.  ###) e con lui elett.te dom.ta in Sannicandro di ### alla via ### n. 3, come da documentazione in atti; PER: ### - ### (C.F., P.I. e numero iscrizione al Registro delle ### di ####; subentrata a titolo universale nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del ### svolgenti le funzioni della riscossione nazionale di cui all'art.3 comma 1 del decreto legge n.203 del 2005, in persona del Presidente dell'### delle ### e legale rappresentante con sede ###, domiciliata in ### al viale ### 11 presso lo studio dell'avv. ### (C.F: ### ) dalla quale è rappresentata e difesa come da documentazione in atti; ### all'udienza del 25 ottobre 2024 tenutasi con modalità telematico-cartolare ai sensi dell'art. 127ter cpc, le parti precisavano le conclusioni nelle note telematiche autorizzate dal Tribunale che con ordinanza riservava la causa per la decisione assegnando i termini consecutivi perentori dell'11 dicembre 2024 e del 31 dicembre 2024 ai sensi degli artt. 281bis, 189 e 190 c.p.c.. 
Motivi della decisione I. - La presente sentenza viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con una motivazione consistente nella succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto dagli artt. 132 n.4) cpc e 118 disp.att. cpc, nel testo introdotto rispettivamente dagli artt. 45 e 52 della legge n.69 del 18-06-2009, trattandosi di disposizioni applicabili anche ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della legge (cioè il ###) ai sensi dell'art. 58 comma 2 della predetta legge. 
Pur se superflua, perché la sentenza semplificata è l'effetto di una disposizione legislativa, tale premessa appare opportuna, trattandosi di una innovazione recente, che modifica la tecnica diffusa di far ricorso a moduli compilativi più complessi, anche nella parte in fatto solitamente denominata come “svolgimento del processo”. 
Ovviamente la redazione della motivazione obbedisce innanzitutto al dovere di ossequio verso l'art.  111 della ### che al comma 6 della vigente formulazione dispone "### i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati", così facendo obbligo di esplicitare i punti fondamentali del processo logico-giuridico che ha condotto alla decisione, ed al conseguenziale obbligo imposto dall'art.112 c.p.c. al giudice di pronunciare su tutti i capi autonomi di domanda e su tutte le eccezioni ritualmente sollevate dalle parti su questioni non rilevabili di ufficio; purchè, naturalmente, i primi e le seconde siano entrambi proposti entro i termini imposti dalla maturazione delle c.d. preclusioni assertive, coincidenti con lo spirare della fase di trattazione della causa di cui all'art.183 c.p.c., essendo la tardiva proposizione rilevabile anche d'ufficio e pur in assenza di opposizione della controparte1, mentre il mancato rilievo non integra il vizio di omessa pronuncia poichè nessun poteredovere incombe sul giudice per effetto della formulazione di domande inammissibili2. 
Nella stesura della motivazione si è altresì tenuto conto dell' insegnamento giurisprudenziale secondo cui questa deve consistere nella esposizione delle argomentazioni in fatto ed in diritto poste a fondamento della adottata decisione, fedelmente riproduttive dell'iter logico-giuridico seguito dal giudice, senza necessità di soffermarsi nella disamina di tutte le argomentazioni sviluppate dalle parti3, che debbono così intendersi come ritenute non pertinenti e non risolutive ai fini della definizione del giudizio qualora non espressamente richiamate nei motivi della decisione. 
Ugualmente è a dirsi in relazione all'obbligo di motivare sulla valutazione del materiale probatorio raccolto, che non deve certamente avvenire passando analiticamente in rassegna tutte le risultanza istruttorie ma, in un ordinamento giuridico che non conosce una gerarchia tra i mezzi di prova4 e che limita a poche ipotesi i casi di c.d. prova vincolante, consentendo la formazione del libero convincimento del giudice anche sulla base di una prova meramente presuntiva che sia in contrasto 1 “Il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato deve ritenersi inteso non solo a tutela dell'interesse di parte ma anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che la tardività di domande eccezioni ed allegazioni e richieste deve essere rilevata d'ufficio dal giudice indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte al riguardo.”(Cass.Civ.Sez.I n.4376 del 07-04-2000).  2 “Il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello non è configurabile in relazione ad una domanda nuova, giacchè la proposizione di una domanda inammissibile non determina l'insorgere di alcun potere-dovere del giudice adito di pronunciarsi su di essa.”(Cass.Civ.Sez.Lavoro n.11933 del 07-08-2003).  3 “Al fine di adempiere all'obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi per implicito tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.”(Cass.Civ.Sez.Lavoro n.5748 del 25-05-1995, Cass.Civ.Sez.II n.5169 del 10-06-1997).  4 “Poiché nel nostro ordinamento non esiste una gerarchia tra i vari mezzi di prova, anche il comportamento processuale della parte può costituire unica e sufficiente fonte di convincimento del giudice il quale, in siffatta valutazione, può trarre elementi anche dalla circostanza che siano state prospettate nell'ambito dello stesso processo, tesi difensive contrastanti tra loro.”(Cass.Civ.Sez.III n.4 del 06-01-1982).  con le altre acquisite5, e anche sulla scorta del solo comportamento processuale ed extraprocessuale della parte6, deve consistere nella semplice indicazione degli elementi che hanno condotto il giudicante al convincimento esternato nella decisione7, dovendosi ritenere implicitamente disattesi quelli non espressamente richiamati e che con i primi siano incompatibili. 
Dalla non configurabilità di un obbligo di confutare analiticamente ogni argomentazione in fatto e diritto sviluppata dalle parti di causa, discende la insussistenza di ogni ipotesi di omessa pronuncia quando il giudice adotti nel dispositivo una statuizione di accoglimento o rigetto su di un autonomo capo di domanda, formulandola anche solo implicitamente mercè l'assorbimento in altre statuizioni 5 “Al di fuori dei casi di prova legale, non esiste nel nostro ordinamento una gerarchia delle prove, per cui i risultati di talune di esse debbano necessariamente prevalere nei confronti di altri dati probatori, essendo la valutazione delle prove rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ne deriva che il convincimento del giudice di merito sulla verità di un fatto può fondarsi anche su una presunzione che sia in contrasto con le altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad essa contrari, alla sola condizione che egli fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria.”(Cass.Civ.Sez.III n.4777 del 12-05-1998).  6 “Il comportamento processuale della parte, la cui nozione è comprensiva del sistema difensivo adottato nel processo a mezzo di procuratore, può costituire unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento, non soltanto un elemento di valutazione delle prove già acquisite al processo.”(Cass.Civ.Sez.II n.193 del 05-01-1995).  “### del giudice di verificare d'ufficio la presenza degli elementi costitutivi o dei requisiti di fondatezza della domanda, non esclude che la prova di questi possa essere tratta dal comportamento processuale o extraprocessuale delle parti, che può costituire non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite ma anche unica e sufficiente fonte di prova.”(Cass.Civ.Sez.III n.3822 del 01-04-1995).  “Il comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti può costituire argomento di prova e può perciò essere utilizzato come elemento di valutazione delle risultanze probatorie già acquisite (nella specie la S.C. ha ritenuto utilizzabile come argomento di prova il comportamento extraprocessuale consistente nell'aver chiesto il cosiddetto patteggiamento ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nel processo penale svoltosi per imputazioni corrispondenti agli addebiti mossi nel giudizio di responsabilità in sede civile).”(Cass.Civ.Sez.Lavoro n.5784 del 10-06-1998).  7 “E' devoluta al giudice di merito l'individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri - in ragione del loro diverso spessore probatorio -, con l'unico limite dell'adeguata e congrua motivazione del criterio adottato. 
Ne consegue che ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.”(Cass.Civ.Sez.Lavoro n.6023 del 10-05-2000, Cass.Civ.Sez.III n.5964 del 23-04-2001).  decisorie incompatibili8, e pur in assenza di una apposita argomentazione nella parte motiva9. 
II.- Con l'atto introduttivo ### e ### evocavano innanzi al Tribunale di ### la spa ### e l'### delle ### e della ### rassegnando le seguenti conclusioni: “i) in via principale, accertare e dichiarare nullo l'atto di pignoramento impugnato giacché privo in modo radicale di motivazione, con conseguente ordine di restituzione delle somme presenti sul conto corrente e nelle more versate dalla ### ad ### ii) in via subordinata, accertare e dichiarare comunque nullo l'atto di pignoramento ‘nel merito' giacché le somme che alimentano il conto sono riferibili solo alla ### con conseguente ordine di restituzione delle somme presenti sul conto corrente e nelle more versate dalla ### ad ### iii) in ogni caso condannare la ### al risarcimento di somma equitativamente determinata per la violazione degli obblighi di custodia, ai sensi dell'art. 67 c.p.c. 
Con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre IVA e #####.” A sostegno delle richieste deduceva: { Insieme alla madre - ### - la ### è intestataria di un conto corrente (1000/5973) presso il #### di #### 1 (breviter: ###, come da contratto (conto facile) stipulato il 5 Marzo 2013 (doc. 1). Sul detto conto corrente perviene solo ed esclusivamente: a) la pensione (inizialmente assegno sociale e dal 2020 pensione di reversibilità) della ### pari a poche centinaia di euro mensili, 8 “### pronuncia quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine alla domanda che richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto, onde è da escludere tale vizio ove ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della domanda o di un suo assorbimento in altre statuizioni.”(Cass.Civ.Sez.II n.702 del 22-01-2000, Cass.Civ.Sez.II n.3435 dell'08-03-2001, Cass.Civ.Sez.II n.10001 del 24-06-2003).  “Il vizio di omessa pronuncia correlato alla violazione dell'art.112 c.p.c. è configurabile soltanto in ipotesi di mancanza di una decisione in ordine ad una domanda o ad un assunto che richieda una statuizione di accoglimento o di rigetto, ed è pertanto da escludere quando ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie.”(Cass.Civ.Sez.II n.4498 del 15-05-1996, Cass.Civ.Sez.II n.12984 del 23-11-1999, Cass.Civ.Sez.II n.4317 del 06-04-2000).  9 “### pronuncia che rende annullabile la sentenza non ricorre quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione.”(Cass.Civ.Sez.II n.2320 del 01-03-1995, Cass.Civ.Sez.I n.10813 del 29-09-1999).  riconosciutale a decorrere dal 1° Febbraio 2013, come da comunicazione ### (docc. 2 e 3); b) il reddito di locazione derivante da un immobile locato dalla ### ad un terzo (doc.  4). Dal riepilogo delle movimentazioni del conto corrente si evince inequivocabilmente che le uniche fonti di alimentazione del conto corrente sono solo la pensione percepita dalla ### e la riferita entrata da locazione appartenente sempre alla detta ### (doc. 5). 
Il 27 Aprile 2022, ### (breviter: ### ha notificato alla ### il pignoramento presso terzi n. ### ex art. 72-bis Dpr n. 602/73 con cui ha pignorato il conto corrente alle ### e ### (doc. 6). Dalla lettura dell'atto di pignoramento dei crediti verso terzi, risulta che il ### ha pignorato il riferito conto in relazione ad un debito di € 158.852, 06 di natura erariale della ### Nessuna ulteriore comunicazione risulta allegata all'atto di pignoramento nel quale - oltre all'indicazione dell'ammontare del debito - si citano una serie di cartelle indicate con sequenze numeriche. Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di ### le ### e ### hanno proposto opposizione a ### presso terzi ex artt. 615, co. 2, e 618 cpc avverso il suddetto pignoramento (doc. 7). Dopo la notifica dell'atto di opposizione, immotivatamente, la ### ha provveduto a pagare sua sponte l'importo pignorato a favore del ### Il Giudice dell'### con Ordinanza del 7 Ottobre 2022, depositata in cancelleria in data 10 Ottobre 2022 e comunicata in pari data (doc. 8), "ritenuto che l'intervenuto pagamento da parte del terzo pignorato nei confronti dell'### comporta il venire meno della esigenza cautelare dovendo i motivi di doglianza essere delibati nella fase di merito", ha revocato il provvedimento di sospensiva della procedura esecutiva ed ha assegnato, contestualmente, alla parte interessata il termine perentorio di giorni trenta (30) per l'iscrizione del giudizio di merito. DIRITTO A) In via pregiudiziale si eccepisce la nullità del pignoramento per carenza totale di motivazione. 
Infatti l'atto di pignoramento non indica in alcun modo il dettaglio dei crediti di cui tuttora si ignora l'origine, fatta eccezione per la sua qualificazione quale ‘tributo/entrate'. Con una recente sentenza, la Cassazione ha dichiarato espressamente illegittimi tutti i pignoramenti di crediti verso terzi effettuati dall'### entrate riscossione proprio per assenza del dettaglio sui crediti oggetto di esecuzione forzata. Infatti, l'art. 543 cpc specificamente indica che il pignoramento deve essere notificato “indicando per quale credito si procede” (Cass. Civ., Sez 3, 9 Novembre 2017 n. 26519). 
Nella fattispecie concreta, come detto anche nelle premesse descrittive della presente opposizione, il ### ha solo ed esclusivamente indicato nell'atto di pignoramento che la somma per cui ha effettuato l'esecuzione deriva da ‘entrate/tributi' ed ha quindi riportato un elenco di atti (a pag.  2 del pignoramento) individuati solo da una sequenza di numeri. Null'altro. Anche agli occhi di un esperto appare lapalissiano che un pignoramento (atto dotato di effetti pesantissimi per il soggetto che ne è colpito) fondato su tali fragili basi non gode di alcuna legittimità. B) Nel caso concreto vi è anche un altro motivo palese di illegittimità del pignoramento giacché il ### ha effettuato un pignoramento su un conto corrente dove confluiscono solo ed esclusivamente: a) la pensione della cointestataria del conto corrente pignorato, ### b) il reddito di locazione derivante da un contratto di locazione stipulato sempre dalla ### La prova incontestabile di quanto affermato è data: a) dall'estratto dei movimenti del conto corrente da cui emerge che l'unica entrata sistematica che giunge sul conto corrente è la pensione di reversibilità che la ### percepisce da ### b) dalla copia del contratto di locazione stipulato dalla ### con il ### Al di là della assoluta estraneità del debito pignorato (riferito alla ### con le entrate che alimentano il conto (riferite solo alla ###, occorre aggiungere quanto segue. Come stabilito dall'art. 13 del D.L. 27 Giugno 2015 n. 83, le somme da chiunque dovute a titolo di pensione non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale aumentato della metà. Pertanto, poiché l'assegno percepito dalla ### è di € 468,10, con l'aumento di € 234,05, il limite di pignoramento è di € 702,15. E la ### - documentamente - nel 2022 guadagna appena 645,66 al mese. Dunque, di sicuro, dalla data del pignoramento (Aprile 2022) tutte le somme confluite sul conto corrente, essendo di provenienza pensione della ### e contratto di locazione della ### non possono essere pignorate e quindi devono essere immediatamente liberate. 
In merito alle somme già presenti sul conto corrente, va detto che esse - essendo riferibili con certezza solo alla ### e non alla debitrice-ricorrente ### - vanno automaticamente liberate in quanto documentalmente estranee alla riferita ### Crescenzio1. 
C) Come detto nella illustrazione dei fatti di causa, dopo la notifica dell'atto di opposizione, immotivatamente, la ### ha provveduto a pagare sua sponte l'importo pignorato a favore del ### Tale condotta è assolutamente illegittima.  1 Come chiarito dalla Cassazione "la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi di conto (1854 c.c.) sia nei confronti dei terzi, sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto, salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa" (Cass. Civ., Sez. III, 8 Settembre 2006 n. 19305). 
Invero, dalla presenza di un motivato ricorso in opposizione derivava l'obbligo per la stessa ### di attendere la pronuncia del Giudice prima di effettuare qualsivoglia pagamento. Non si dimentichi, infatti, che il terzo pignorato - ai sensi dell'art. 546 c.p.c. - è soggetto agli obblighi che la legge impone al custode (v. sentenza della Cassazione n. 2125/2016) tra i quali vi è il dovere di esercitare la custodia da buon padre di famiglia da cui deriva l'obbligo di risarcire i danni cagionati alle parti (art. 67 c.p.c.) Dunque la funzione di custode rivestita dalla ### le imponeva, a seguito della proposizione dell'opposizione da parte delle ricorrenti, di conservare gli importi sottoposti a pignoramento fino alla pronuncia del Giudice. E nella fattispecie tale obbligo previsto ex lege risulta palesemente violato} Si costituiva con comparsa di risposta l'### delle ### e della ### rassegnando le seguenti conclusioni: {- Dichiarare l'atto di opposizione avverso pignoramento presso terzi illegittimo e improduttivo di effetti giuridici poiché tardivo oltre che infondato in fatto e in diritto; - ### la legittimità dell'azione del ### e del titolo esecutivo - ### le contribuenti al pagamento di quanto dovuto, oltre le spese di lite} A sostegno di tali conclusioni deduceva: {Preliminarmente appare opportuno ribadire che il pignoramento dei crediti presso terzi emesso da ### ai sensi dell'art.72-bis DPR 602/73, è stato ritualmente notificato, ai sensi dell'articolo 26 del D.p.r. 602/73, all'indirizzo fornito dall'anagrafe tributaria, e poi successivamente presso la ### di ### come risulta dal referto di notifica che qui si produce. Più specificatamente dalla certificazione istruttoria e dalla documentazione allegata agli atti, si evince chiaramente la sequenza delle cartelle di pagamento, delle intimazioni di pagamento e del pignoramento presso terzi, ritualmente notificati con analisi temporale, dall'anno 2011 all'anno 2022: le cartelle esattoriali 2011 e 2012 sono state ricevute e sottoscritte dal portiere; le cartelle dal 2013 al 2019 sono state ritualmente notificate mediante affissione alla ### del Comune di ### tutti provvedimenti che rappresentano atti interruttivi del termine prescrizionale. Preliminarmente occorre evidenziare che il pignoramento dei crediti presso terzi che ci occupa non è stato impugnato o opposto nel termine normativamente previsto, difatti il ricorso è stato proposto ben oltre il termine previsto dall'art. 24 D.lgs 46/99 di 40 giorni dalla notifica del provvedimento, con la conseguenza che la pretesa nella stessa portata è divenuta definitiva, costituendo titolo esecutivo per la riscossione, di formazione stragiudiziale ove manca la verifica giurisdizionale nell'ambito di un rapporto trilaterale (creditore, giudice, debitore) ed il titolo è espressione di un potere di autoaccertarnento e autotutela del creditore cui il giudice rimane estraneo. La Corte di Cassazione, in tema di ingiunzione fiscale non opposta cioè in situazione sovrapponibile all'odierna fattispecie ha affermato che , in quanto espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che tumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto: “ detto termine deve ritenersi perentorio perché diretto a rendere non più contestabile dal debitore il credito dell'Ente in caso di omessa tempestiva impugnazione e a consentire così una rapida riscossione del credito medesimo” (C. Cass. n. 4506/2007).. Orbene, stante la regolare notificazione del provvedimento e la mancata impugnazione delle stesse nei termini di legge (giorni 40 ex art. 24 d.lgs. 46/99) la pretesa creditoria in esse portata è diventata definitiva e non più contestabile. 
Pertanto tale tardività rende inammissibile il ricorso proposto.  ### di ### deve quindi intraprendere l'azione esecutiva che gli compete nel termine stabilito, mancando nella legge altra indicazione riferita alla fase di riscossione. Ne consegue come la disposizione in esame, ai fini della stessa valenza sostanziale, non possa che ricondurre al rapporto tra il soggetto debitore e l'Agente della ### che è chiamato, a seguito del riaffidamento del carico, a dare nuovo impulso all'azione di recupero, esercitando il proprio diritto alla riscossione, mediante la notifica al debitore dell'avviso di intimazione, a mezzo del quale il debitore viene nuovamente messo in mora, con gli effetti di legge, inclusi quelli interruttivi della prescrizione. 
Orbene, la definitività della pretesa impositiva, derivante dalla mancata impugnazione degli atti impositivi precedentemente notificati “.... trova fondamento nel principio della certezza del diritto, volto a riconoscere l'effetto della intangibilità ed irretrattabilità delle situazioni giuridiche, costituendo in ogni ordinamento il limite invalicabile entro il quale i rapporti giuridici non possono più essere messi in discussione.” (Cass. civ. Sez. V, 13/11/2013, n. 25508). 
Con pronuncia del 27/01/2016 il Tribunale Amministrativo ha affermato:“è ragionevolmente soddisfatta l'esigenza conoscitiva, essendo nelle condizioni di indisponibilità degli originali e trattandosi di copie delle cartelle di pagamento, sebbene prive del visto di conformità all'originale ( ### n. ###/2016). Ne discende quindi che l'azione di riscossione intrapresa dal ### è legittima e la documentazione risulta essere stata validamente notificata. In conseguenza ed in difetto di opposizioni di sorta, l'Ente ha proceduto legittimamente all'emissione del provvedimento ritualmente notificato. Non corrisponde al vero quanto affermato da parte attorea sulla mancata conoscenza dei debiti maturati e sulla carenza di motivazione e non può essere addotto come elemento di illegittimità il fatto che “ il pignoramento è fondato su fragili basi “, poiché come si evince dalla copiosa documentazione prodotta, è stato preceduto da numerose cartelle di pagamento tutte legittimamente notificate. In base a quanto disposto dall'art. 64 comma 1 DPR n.43/88 il ### del ### per la ### “nel provvedere alla riscossione deve attenersi alle risultanze dei ruoli che gli sono stati assegnati, non potendo entrare nel merito del gravame”. Sul punto si richiama la pronuncia della Corte di Cassazione, nella quale testualmente si afferma che l'attività che compete al ### per la riscossione, si svolge in modo del tutto indipendente, infatti è chiamato a svolgere il proprio compito dì riscossione, meramente esecutivo, tramite le cartelle esattoriali, senza essere in alcun modo essere tenuto a verificare, come pretende erroneamente la controparte, né «la probabile esistenza del credito», né «l'effettiva notificazione degli atti presupposti». Ciò in quanto l'attività presupposta è di spettanza di un altro soggetto, ossia l'ente che ha effettivamente irrogato la sanzione amministrativa (Cass.Civ.n.1985/14) In ogni caso si evidenzia che non sussiste alcuna responsabilità del ### poiché le contestazioni attengono esclusivamente al merito della pretesa impositiva . Si evidenzia infine che il chiaro disposto dell'art. 25 del DPR 602/73 regolamenta il sistema della riscossione dei tributi, statuendo che “La cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle ### contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo…”. La cartella esattoriale, dunque, riporta fedelmente i dati forniti dall'Ente impositore e pertanto la mancanza o difformità di elementi dell'atto, costituiscono un vizio di ruolo che è opponibile solo nei confronti dell'Ente creditore che ha provveduto all'iscrizione a ruolo, nel caso che ci occupa il Comune di #### ed altri ### creditori di tributi di varia natura, non versati dalla contribuente, come si evince dall'estratto di ruolo che si produce. ### della Corte in proposito è stato costantemente ispirato al principio secondo il quale è sufficiente la sicura riconducibilità della stessa cartella al soggetto, agente della riscossione, che la emette (Cass. n. 3911/98 e n. 2390/00 ). E' noto infatti che il nuovo sistema di riscossione è fondato sul principio di separazione tra titolari del credito e titoli dell'azione esecutiva: l'Ente impositore è titolare del credito e conosce gli atti che danno origine alla pretesa. ### è titolare dell'azione esecutiva e conosce tutti gli atti necessari poter portare a conoscenza del debitore la richiesta di pagamento mediante ruolo. Ed invero il ### ricevuto il ruolo, ne estrae copia per ogni singolo debitore, e forma la cartella di pagamento che ha lo stesso contenuto del ruolo, di cui è appunto un estratto, e provvede alla notifica al debitore. ### è inibito qualsiasi esame nel merito della pretesa risultante dall'esecutività del ruolo e che compito esclusivo dell'Agente di riscossione è quello di mettere in atto tutti gli atti istitutivi rivolti alla riscossione delle somme dovute; peraltro anche quando tali somme non sono dovute dal destinatario della cartella di pagamento è necessario sempre un ordinativo di sgravio, parziale o totale da parte dell'Ente o ### impositore. (#### n. 3013/14). In conseguenza ed in difetto di opposizioni di sorta, ### ha proceduto legittimamente all'emissione dell'atto di pignoramento dei crediti verso terzi e non avrebbe potuto agire in modo difforme dalle indicazioni risultate dal ruolo. ###' ### E ### merito all'eccezione sollevata da parte attorea sulla illegittimità e carenza totale di motivazione e trasparenza, si ritiene necessario ribadire la legittimità dell'azione dell'Agente della ### in ottemperanza alle norme previste dall'art. 7 della Legge 212/2000:“ la cartella viene redatta sui moduli predisposti dal competente Ministero con D.M. n. 321/99, che ne indica gli elementi formali e sostanziali, adempiendo pienamente agli obblighi di trasparenza, diligenza ed informativa dell'utente, previsti dalla vigente normativa, contenendo tutti gli elementi utili al fine di individuare l'Ente che ha emesso il ruolo, indicando tutte le informazioni necessarie per consentire l'esercizio del proprio diritto” (### sentenza n. 57/2/15). Il titolo esecutivo contiene l'elenco completo delle voci che compongono la pretesa, fornendo per ciascuna di esse un'adeguata giustificazione, nonché le informazioni che permettono al contribuente di tutelarsi contro la pretesa dell'### compresa l'indicazione dell'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto (### sentenza n. 61/2007). Si mette in rilievo altresì che, essendo la cartella di pagamento un atto derivato rispetto al ruolo presupposto, la motivazione consiste nella indicazione degli elementi sulla base dei quali sia stata effettuata l'iscrizione a ruolo, con l'ulteriore indicazione, nelle sole ipotesi in cui questa iscrizione sia avvenuta sulla scorta di un atto precedentemente notificato al contribuente, degli estremi dell'atto e della relativa notifica. Infatti, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, “a soddisfare la garanzia difensiva, è sufficiente che l'atto richiami l'iscrizione a ruolo, permettendo, così, di identificare l'accertamento divenuto definitivo da cui trae la riscossione (Cass. Trib. n. 9583/13; Cass. Civ.  27140/11; Cass. Civ. n. 11466/11). Appare necessario ribadire che il ### deve attenersi alle risultanze dei ### che gli sono stati assegnati per la ### non potendo in alcun modo entrare nel merito del gravame. Sul punto si richiama la pronuncia della Corte di Cassazione, nella quale testualmente si afferma “l'attività che compete al ### per la riscossione, si svolge in modo del tutto indipendente. ### in altri termini, è chiamato a svolgere il proprio compito dì riscossione, meramente esecutivo, tramite le cartelle esattoriali, senza essere in alcun modo essere tenuto a verificare, come pretende erroneamente la controparte, né «la probabile esistenza del credito», né «l'effettiva notificazione degli atti presupposti». Ciò in quanto l'attività presupposta è di spettanza di un altro soggetto, ossia l'ente che ha effettivamente irrogato la sanzione amministrativa”. (Cass.Civ.n.1985/14) In ogni caso si evidenzia che non sussiste alcuna responsabilità del ### poiché le contestazioni attengono esclusivamente al merito della pretesa impositiva .Occorre ribadire che l'azione di riscossione del ### risulta legittima anche perché non impedita da alcun provvedimento di sospensione o di sgravio. Il chiaro disposto dell'art. 25 del DPR 602/73 regolamenta il sistema della riscossione dei tributi, statuendo che “La cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle ### contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo…”. La cartella esattoriale, dunque, riporta fedelmente i dati forniti dall'Ente impositore e pertanto la mancanza o difformità di elementi dell'atto, costituiscono un vizio di ruolo che è opponibile solo nei confronti dell'Ente creditore che ha provveduto all'iscrizione a ruolo. Pertanto l'orientamento della Corte in proposito è stato costantemente ispirato al principio secondo il quale è sufficiente la sicura riconducibilità della stessa cartella al soggetto, agente della riscossione, che la emette (Cass. n. 3911/98 e n. 2390/00 ). ### è titolare dell'azione esecutiva e conosce tutti gli atti necessari poter portare a conoscenza del debitore la richiesta di pagamento mediante ruolo. Ed invero il ### ricevuto il ruolo, ne estrae copia per ogni singolo debitore, e forma la cartella di pagamento che ha lo stesso contenuto del ruolo, di cui è appunto un estratto, e provvede alla notifica al debitore. Si osserva inoltre che anche la On. le ### di ### in una recente sentenza afferma chiaramente che al ### è inibito entrare nel merito della pretesa risultante dall'esecutività del ruolo e che suo esclusivo compito è quello di mettere in atto gli atti istitutivi rivolti alla riscossione delle somme dovute ed anche quando tali somme non sono dovute dal destinatario della cartella di pagamento, è necessario sempre un ordinativo di sgravio, parziale o totale da parte dell'Ente o ### impositore (#### n. 3013/14). In conseguenza ed in difetto di opposizioni di sorta, l'Ente ha proceduto legittimamente all'emissione della comunicazione di iscrizione ipotecaria nonché degli avvisi di addebito e non avrebbe potuto agire in modo difforme dalle indicazioni risultate dal ruolo. ### ritualmente ha proceduto al pignoramento dei crediti verso terzi presso la ### spa} Si costituiva con comparsa di risposta la spa ### rassegnando le seguenti conclusioni: {- In via preliminare, accertare e dichiarare l'inamissibilità dell'atto di citazione e della domanda giudiziale dallo stesso portata per i motivi indicati in atto; - Nel merito, accertare e dichiarare la correttezza della condotta assunta dalla ### terza pignorata e in ogni caso, rigettare la domanda risarcitoria avanzata in danno di essa ### in quanto infondata in fatto e in diritto e comunque non provata, per i motivi suindicati. Con vittoria di spese, diritti e onorari del presente giudizio, oltre rimborso forfettario, CPA e ###} III.- Il thema decidendi appare assai più semplice di come prospettato negli scritti difensivi. 
Il conto corrente bancario n. 1000/5973 accesso presso la filiale tarantina di ### spa e cointestato a ### e ### era o meno pignorabile in forza di un titolo esecutivo formatosi nei soli confronti della debitrice ### ? ###. 513 cpc, sotto la rubrica “ricerca delle cose da pignorare” , così dispone: “1.- L' ufficiale giudiziario, munito del titolo esecutivo e del precetto, può ricercare le cose da pignorare nella casa del debitore e negli altri luoghi a lui appartenenti. Può anche ricercarle sulla persona del debitore osservando le opportune cautele per rispettarne il decoro.” ###. 517 cpc, sotto la rubrica “scelta delle cose da pignorare”, così dispone: “1.- Il pignoramento deve essere eseguito sulle cose che l'ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione, nel limite di un presumibile valore di realizzo pari all'importo del credito precettato aumentato della metà. 2.- In ogni caso l'ufficiale giudiziario deve preferire il denaro contante, gli oggetti preziosie i titoli di credito e ogni altro bene che appare di sicura realizzazione.” Le predette norme processuali null'altro sono se non il rifesso della regola generale dettata dall'art.  2740 del codice civile che, sotto la rubrica “responsabilità patrimoniale”, così dispone: “1.- Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. 2.- Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.” L' ### poteva pertanto cercare le cose da pignorare solo tra i beni mobili ed il danaro di ### nei cui soli confronti si erano formati i titoli esecutivi. 
A tal fine l'art. 546 cpc, sotto la rubrica “obblighi del terzo”, così dispone: “Nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore di somme a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, gli obblighi del terzo pignorato non operano quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento per un importo pari al triplo dell'assegno sociale.” ###. 547 cpc, sotto la rubrica “dichiarazione del terzo”, così dispone: “1.- Con la dichiarazione…..il terzo …..deve specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.” Ne consegue che in caso di conto corrente bancario il terzo pignorato non può limitarsi affatto ad enunciarne il saldo e gli estremi identificativi, ma deve specificare di quali somme sia titolare il debitore quando il conto medesimo sia cointestato anche con soggetti diversi, come la sig.ra ### che debitori non siano nei confronti del creditore procedente. 
Il terzo pignorato così aveva l'onere di specificare come si era formato il saldo del conto corrente cointestato alla debitrice ### ed a ### e quali fossero state le rimesse e gli accrediti riconducibili alla debitrice al fine di evidenziare quanto del danaro che vi era depositato fosse attribuibile a costei e, quindi, legalmente pignorabile in forza di titoli esecutivi maturati a solo carico di costei. 
Ancor prima era il creditore procedente che, potendo agire in executivis soltanto sul danaro della debitrice ### avrebbe dovuto porre domande specifiche al terzo pignorato al fine di provocarne risposte altrettanto specifiche. 
La ricerca e la concreta individuazione delle cose pignorabili rappresenta così una prerogativa tipica della fase esecutiva e rientra integralmente nei compiti e nelle funzioni del ### della riscossione che ne risponde integralmente non solo verso i terzi illegittimamente coinvolti in una esecuzione forzata cui sono estranei, come accaduto per ### ma anche verso i titolari delle posizioni creditorie cristallizzate nei titoli esecutivi affidati alla diligenza del ### medesimo e di cui, pertanto, neppure appare ipotizzabile una legittimazione ad intervenire o ad essere evocati in un giudizio in cui solo e soltanto di quest'ultima si controverta.  ### non ha provato di aver profuso la diligenza necessaria per accertare che le somme giacenti sul conto corrente bancario cointestato tra la debitrice ### e la terza estranea ### fossero di pertinenza della debitrice ed in quale misura. 
Eppure l'### delle ### e della ### è l'unico ente che con una semplice ricerca informatizzata può acquisire elementi idonei ad identificare la titolarità di fonti di reddito episodiche o continuative in capo ad una persona e, di conseguenza, la possibilità che una somma di danaro apparentemente giacente su conti e/o depositi bancari a nome di costei le si appartenga di diritto. 
Nel presente giudizio di opposizione ### ha provato la riconducibilità a se medesima delle somme giacenti sul conto corrente cointestato con la debitrice ### L'### non ha invece reso alcuna prova di aver pignorato somme di danaro che appartenessero alla debitrice esecutata ### verso la quale sola avevano efficacia i titoli azionati in executivis. 
IV.- ### proposta da ### deve così essere accolta. 
V.- Le spese di giudizio sono poste a carico dell'opposta ### e del terzo pignorato spa ### in base alla regola di cui all'art. 91 cpc. 
VI.- ### di ### deve invece essere rigettata, non essendo stata lesa in alcuna situazione soggettiva per non aver sofferto il pignoramento di cose non pignorabili ai sensi dell'art. 514 e ss cpc.  P.Q.M.  a) in accoglimento della opposizione proposta da ### dichiara l'inefficacia del pignoramento eseguito dall'### sulle somme di danaro depositate sul conto corrente n. 1000/5973 cointestato ad essa opponente ed alla ### presso la #### di #### 1 come da contratto stipulato il 5 Marzo 2013, per carenza di titolo esecutivo nei confronti delle opponente ### b) condanna l'### e la spa ### alla restituzione in favore di ### delle somme prelevate dal predetto conto in attuazione del provvedimento del Giudice dell'### maggiorate da interessi come per legge; c) condanna l'### e la spa ### in solido tra loro, a rifondere spese e competenze di lite in favore dei ### liquidandole in euro 850,00 per borsuali, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, oltre spese di registrazione della sentenza, con distrazione in favore del costituito procuratore che ne ha fatto richiesta; d) rigetta l'opposizione proposta da ### non avendo costei subito il pignoramento di cose a lei appartenenti ma impignorabili; e) condanna ### a rifondere spese e competenze di lite in favore di ### spa, liquidandole in euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge; f) condanna ### a rifondere spese e competenze di lite in favore di ### liquidandole in euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge; In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità ed i dati identificativi ai sensi dell' art. 52 del D.Lvo 196/2003; Così deciso in ### in data 22 gennaio 2025; 

Il giudice
dott. ### n. 5713/2022


causa n. 5713/2022 R.G. - Giudice/firmatari: Munno Alberto

M
18

Corte d'Appello di Napoli, Sentenza n. 3232/2020 del 02-10-2020

... domanda ### in eccezione ### di accertamento della nullità, esaminare il merito della questione. Tanto debitamente premesso, riguardata la questione di nullità proposta dalla parte impugnante come eccezione di nullità, mette conto in primo luogo rilevare che la stessa appare inidonea a paralizzare la domanda di risoluzione e ad incidere sul giudizio di gravità di inadempimento, che ha riguardato, per le svariate mensilità indicate in narrativa, non solo l'integrazione che si assume fondata su clausola nulla, ma anche l'intero “canone-base”. Quanto poi alla pretesa “compensazione” del credito per canoni vantati dall'### appellato con il credito restitutorio vantato dall'appellante, corre mente precisare che tale credito è stato prospettato solo nel presente grado, in difetto di prova della precisa entità dei pagamenti eseguiti di cui si reclama la restituzione o in subordine la compensazione, sia pure impropria. Peraltro, la questione di nullità si rivela infondata, non potendo condividersi i rilievi svolti nell'atto di gravame in ordine all'asserita nullità della pattuizione. Deve dunque in primo luogo escludersi che la clausola in questione, con cui le parti, fin dalla (leggi tutto)...

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Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 1 - CORTE D' APPELLO DI NAPOLI Sezione II Civile La Corte d'appello di Napoli, seconda sezione civile, in persona dei magistrati: - dr. ### de ### - Presidente - - dr. ### - ### - dr.ssa ### - ### relatore ha pronunciato ai sensi dell'art. 437 c.p.c. alla pubblica udienza del 23 settembre 2020 la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1540/2019 R.G e vertente TRA ### dello ### s.r.l. (c.f. ###), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. ####.A.C.P. della Provincia di Napoli (c.f. ###), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. ### e ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 2 - APPELLATO Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con sentenza n.8435/2018, il Tribunale di Napoli - provvedendo sulle domande proposte dall'I.A.C.P. della Provincia di Napoli, quale proprietario locatore del terraneo ad uso commerciale sito in Napoli, alla via ### nn. 16-18, nei confronti della conduttrice odierna appellante, con intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida - dopo aver concesso ordinanza provvisoria di rilascio e disposto il mutamento del rito - le accoglieva, dichiarando risolta per grave inadempimento del conduttore la locazione oggetto di causa, condannando la convenuta a rilasciare, in favore dell'I.A.C.P. della Provincia di Napoli, l'immobile in questione, libero da persone o cose, e condannando la convenuta al pagamento in favore del locatore della somma di € 31.378,63 a titolo di canoni di locazione da maggio 2012 ad ottobre 2013, di canoni di novembre e dicembre 2013 e di canoni relativi al periodo aprile 2014/aprile 2016, oltre interessi legali dal 27.11.2003 al saldo sulla somma di € 14.350,00 e dal 6.6.2016 al saldo sulla somma di €17.028,63. 
Segnatamente, il Giudice di prime cure - dopo aver rilevato che il contratto di locazione stipulato tra l'### e ### in data ### e con decorrenza dal 4.11.2001, oggetto di cessione in favore dell'odierno appellante, prevedeva il canone mensile di £ 817.000 e l'impegno del conduttore a corrispondere, fino alla concorrenza dell'importo di £ 70.000.000, pari ad € 36.151,98, l'integrazione mensile di £ 400.000, pari ad € 206,58, “quale integrazione liberamente offerta ai fini dell'accesso all'assegnazione”- evidenziava che, a fronte della contestazione della morosità operata dall'### che aveva agito in giudizio lamentando il mancato pagamento dei canoni di locazione, con riferimento al periodo da maggio 2012 ad ottobre 2013, la conduttrice si era limitata ad opporre l'avvenuto pagamento dei canoni da maggio a luglio 2012 e da novembre 2013 a gennaio 2014, riconoscendo pertanto la debenza degli altri canoni richiesti, così come quantificati dal locatore.  ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 3 - Ritenendo che neppure fosse adeguatamente provato il parziale pagamento eccepito dal conduttore, considerava sussistente il contestato inadempimento, con conseguente risoluzione del contratto di locazione inter partes e condanna della convenuta al rilascio ed al pagamento dei canoni non corrisposti e maturati, anche in corso di causa, per l'importo complessivo di € 31.378,63, oltre interessi al saggio legale dalla data delle singole richieste.  2. Avverso tale pronuncia, con ricorso depositato in data 29 marzo 2019, ha spiegato appello, affidato ad un unico articolato motivo, la ### dello ### s.r.l.  3. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 19 settembre 2019, si è costituito in giudizio l'I.A.C.P. della provincia di Napoli, che ha resistito al gravame, eccependo l'inammissibilità delle domande nuove proposte dall'appellante, la prescrizione dei diritti sottesi alle azioni proposte e concludendo, nel merito, per il rigetto del gravame in quanto infondato.  4. La causa è stata discussa e decisa all'udienza del 23 settembre 2020, come da dispositivo letto in udienza.  5. Preliminarmente deve essere affermata, all'esito di verifica d'ufficio, la tempestività dell'appello, proposto con ricorso depositato in data 28 marzo 2019, risultando rispettato il termine di decadenza di sei mesi, decorrente dal deposito della sentenza impugnata intervenuto il 1 ottobre 2018, previsto dall'art. 327 c.p.c.  nella formulazione - successiva alla modifica di cui all'art.46, comma 17, della legge n. 69 del 2009, in vigore dal 4 luglio 2009- applicabile ratione temporis alla presente impugnazione, essendo stato il giudizio di primo grado introdotto nell'anno 2015.  6. Tanto debitamente precisato, l'impugnazione è infondata e deve pertanto essere rigettata. 
Con l'unico articolato motivo, intitolato “omessa pronuncia in merito alla sollevata eccezione di nullità parziale ex art. 1419, 2° comma, c.c. dell'art.5 del contratto di locazione del 27.7.2001 e del successivo articolo 4 del contratto di cessione d'azienda del 19.4.2007 ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli articoli 32 e 79 della legge n. 392/1978”, l'appellante ### dello ### s.r.l. si duole che il Giudice di primo grado non abbia esaminato l'eccezione di nullità, asseritamente proposta all'udienza del 12.2.2018 ( cfr. pag.  4 dell'atto di impugnazione), con riferimento alla pattuizione contrattuale, ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 4 - contenuta nel contratto di locazione del 27.7.2001 e recepita nel contratto di cessione di azienda del 19.4.2007, con cui era stata convenuta, fino alla concorrenza dell'importo di £ 70.000.000, pari ad € 36.151,98, un'integrazione del canone di locazione, per l'importo mensile di £ 400.000, pari ad € 206,00. 
A dire dell'impugnante, una tale clausola sarebbe in contrasto con l'art. 79 della legge n. 392 del 1978, in quanto volta ad eludere i limiti quantitativi posti dagli artt. 32 e 79 della legge n. 392 del 1978, determinando “variazioni in aumento del canone in relazione ad eventi oggettivi predeterminati del tutto diversi ed indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere di acquisto della moneta”. 
Inoltre, la pattuizione in questione sarebbe nulla anche alla luce dei principi espressi dalle ### della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18213 del 17 settembre 2015, che ha sancito “la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, al di là e a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all'atto”. 
Sulla scorta di tali premesse, l'appellante ha domandato di dichiarare la nullità delle precitate clausole contrattuali di cui all'art. 5 del contratto di locazione e all'art.4 del contratto di cessione di azienda, condannando l'### alla restituzione di tutte le somme versate a tale titolo, da compensare, in subordine, con l'eventuale maggior credito vantato dal locatore. 
Le censure svolte non possono essere condivise. 
Deve in primo luogo escludersi, come pure segnalato dalla parte appellata, che il Giudice di prime cure sia incorso in una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, cristallizzato dall'art. 112 c.p.c., non scrutinando un'eccezione di nullità proposta dall'odierna parte appellata. 
Una tale eccezione, infatti, come può agevolmente evincersi dall'esame degli scritti difensivi e dei verbali di causa, non solo non era stata proposta dalla società conduttrice nella comparsa di costituzione e risposta depositata in data 3 febbraio 2014 o nella memoria integrativa depositata il 23 giugno 2016, ma neppure, come dedotto dalla parte appellante, all'udienza del 12.2.2018 (cfr. pag. 4 dell'atto di impugnazione), allorquando il procuratore della società conduttrice si limitava a “riportarsi ai propri atti”, o in altre udienze celebratesi dinanzi al primo Giudice.  ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 5 - Alla luce di quanto precede, la domanda di declaratoria di nullità parziale della clausola in esame, e la correlata domanda restitutoria, si rivelano inammissibili in quanto domande nuove, proposte solo nel presente grado di giudizio in violazione della norma di cui all'art. 345 c.p.c. 
Ciò tuttavia non esime questa Corte distrettuale dall'esame della relativa questione di nullità, costituente oggetto dell'unico motivo di impugnativa. 
Invero, occupandosi dello specifico quesito relativo ai limiti di proponibilità dell'eccezione di nullità contrattuale, e di rilevabilità d'ufficio della relativa questione, in sede di impugnazione, le ### della Suprema Corte (Cassazione civile sez. un., 12/12/2014, n.26243) hanno in tempi piuttosto recenti affermato il principio secondo cui “la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345, comma 1, c.p.c., salva la possibilità per il giudice del gravame - obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c. - di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall'appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345.” Va infatti rammentato che, in sede di gravame, il thema decidendum resta definitivamente cristallizzato dal contenuto della decisione impugnata e che l'art.  345 c.p.c. detta il principio della inammissibilità, da dichiararsi d'ufficio, delle domande nuove proposte dinanzi al giudice dell'impugnazione. 
La norma va tuttavia coordinata, nella sua portata precettiva, con il perdurante obbligo di rilevare di ufficio una causa di nullità negoziale imposto al giudice di appello (al pari di quello di legittimità) dall'art. 1421 c.c., che non conosce né consente limitazioni di grado e con la correlata proponibilità, ai sensi dell'art.  345, 2° comma, c.p.c., delle eccezioni in senso lato.   Ne consegue che, da un canto, al giudice di appello investito di una domanda nuova volta alla declaratoria di nullità di un negozio del quale in primo grado si era chiesta l'esecuzione, la risoluzione, la rescissione, l'annullamento (senza che il giudice di prime cure abbia rilevato né indicato alle parti cause di nullità negoziale), è preclusa la facoltà di esaminarla perché inammissibile. 
Dall'altro, che la declaratoria di inammissibilità della domanda di nullità per novità della questione, non ne impedisce la conversione e l'esame sub specie di ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 6 - eccezione di nullità, legittimamente proposta dall'appellante in quanto rilevabile di ufficio. 
Il Giudice dell'impugnazione non può, pertanto, limitarsi ad una declaratoria di inammissibilità in ragione della novità della domanda di nullità, ma deve, in conseguenza della conversione della domanda ### in eccezione ### di accertamento della nullità, esaminare il merito della questione. 
Tanto debitamente premesso, riguardata la questione di nullità proposta dalla parte impugnante come eccezione di nullità, mette conto in primo luogo rilevare che la stessa appare inidonea a paralizzare la domanda di risoluzione e ad incidere sul giudizio di gravità di inadempimento, che ha riguardato, per le svariate mensilità indicate in narrativa, non solo l'integrazione che si assume fondata su clausola nulla, ma anche l'intero “canone-base”. 
Quanto poi alla pretesa “compensazione” del credito per canoni vantati dall'### appellato con il credito restitutorio vantato dall'appellante, corre mente precisare che tale credito è stato prospettato solo nel presente grado, in difetto di prova della precisa entità dei pagamenti eseguiti di cui si reclama la restituzione o in subordine la compensazione, sia pure impropria.   Peraltro, la questione di nullità si rivela infondata, non potendo condividersi i rilievi svolti nell'atto di gravame in ordine all'asserita nullità della pattuizione. 
Deve dunque in primo luogo escludersi che la clausola in questione, con cui le parti, fin dalla stipula del contratto di locazione, pattuivano un'integrazione del canone, da corrispondersi nell'importo mensile di £ 400.000 fino a raggiungere della somma di £ 70.000.000- motivata a dire della parte appellata dalla necessità di “regolamentare situazioni debitorie pregresse alla stipula del contratto di locazione” - violi gli artt. 32 e 79 della legge n. 392/1978, in quanto volta a prefigurare aumenti del canone di locazione in violazione dei limiti prescritti dalla legge. 
Invero, come chiarito anche in tempi molto recenti dalla Corte di Cassazione ( Cass.Sez. 3 - , Sentenza n. 23986 del 26/09/2019) “in base al principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui viene pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto ### mediante la ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 7 - previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo, oppure ### mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, ovvero ### correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull'equilibrio economico del sinallagma. Al contrario, la legittimità di tale clausola va esclusa qualora risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione è onerata la parte che invoca la nullità - che i contraenti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392 del 1978 e così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge.” Tali principi, affermati da ultimo dalla Suprema Corte nel ribadire il principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo e la legittimità della previsione del cosiddetto “canone a scaletta” -salva la prova , incombente su chi invoca la nullità, “che i contraenti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392 del 1978 e così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge.”- devono a maggior ragione essere affermati nella fattispecie in esame, in cui l'integrazione del canone è stata prevista, nel testo originario del contratto di locazione, in misura fissa, fino al raggiungimento di un importo predeterminato, senza che neppure possa discorrersi di una variazione in aumento del canone originariamente concordato. 
Non appare pertanto ravvisabile la denunciata nullità della pattuizione in esame, non apparendo la clausola in questione volta a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, aggirando surrettiziamente i limiti quantitativi imposti dal legislatore a tale scopo. 
Né, tanto meno, appare nella fattispecie in esame conferente il riferimento, contenuto nell'atto di impugnazione, ai principi espressi dalla Suprema Corte con la pronuncia a ### n.18213/2015, con cui, come pure affermato ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 8 - nell'atto di gravame, è stata sancita “la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, al di là e a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all'atto”. 
Invero, al di là dell'erroneità del riferimento, contenuto nell'atto di impugnazione, alla sentenza n. 18213 del 2015, che si è occupata della specifica tematica delle locazioni ad uso abitativo, vale osservare che, anche per le locazioni ad uso non abitativo, come quella in esame, le ### della Suprema Corte, con la pronuncia n. 23601 del 09/10/2017, hanno avuto modo di affermare il principio, propugnato dall'appellante, secondo cui “ è nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullità “vitiatur sed non vitiat”, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione.” Trattasi tuttavia di principio del tutto irrilevante ai fini del decidere, venendo in esame nella concreta fattispecie un contratto di locazione stipulato nell' anno 2001, e cioè prima dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 346, della legge 311/2004, e comunque registrato in data ###, in cui è sempre stata prevista l'integrazione del canone finora menzionata, senza che ricorra alcun fenomeno simulatorio integrato da un “patto occulto di maggiorazione del canone”, di fatto superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. 
Invero, il Giudice di legittimità ( cfr. in particolare, ### U - , Sentenza n. 23601 del 09/10/2017, nonché ###. 3, Sentenza n. 4922 del 02/03/2018), nell'occuparsi della fattispecie dell'accordo simulatorio volto alla determinazione di un canone superiore rispetto a quello risultante dal contratto registrato, ha messo in luce la distinzione tra la nullità testuale, sancita dall'art. 1, comma 346, della legge n. 311/2004, in conseguenza della omessa registrazione del contratto - violazione qualificata dalla Suprema Corte come “violazione extraformale” che inficia l'intero contratto ed è inapplicabile ai contratti di locazione, come quello oggetto di causa, stipulati in epoca anteriore alla sua entrata in vigore” ( Cass.Sez. 3 - , Sentenza n. 27169 del 28/12/2016; Cass. n. 8148/2009, in motivazione: "non avendo la normativa invocata efficacia retroattiva"; nonché Cass., S.U. n. 18213/2015, in motivazione: "disposizione destinata a trovare ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 9 - applicazione solo per i contratti stipulati a partire dal l ° gennaio 2005”) - e la nullità virtuale, munita di autonomo rilievo, riguardante il solo patto controdichiarativo, nullità discendente dal vizio genetico del patto determinato dallo scopo di eludere il fisco, sottraendo all'erario il maggior canone dissimulato realmente pattuito, così ponendosi in contrasto con la norma che impone l'obbligo di registrazione, integrale e fedele. 
Da tale distinzione, consegue il condivisibile principio secondo cui “ nei contratti di locazione ad uso non abitativo stipulati anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 311 del 2004 - che ha introdotto la sanzione della nullità testuale in caso di omessa registrazione - il patto occulto di maggiorazione del canone è comunque da considerarsi viziato da nullità ###, atteso che l'accordo simulatorio trova la sua causa concreta nella finalità di eludere il fisco, sottraendo all'erario il maggior canone dissimulato realmente pattuito, così ponendosi in contrasto con la norma che impone l'obbligo di registrazione, integrale e fedele, dei contratti di locazione, da considerarsi imperativa e, in quanto tale, idonea ad incidere sulla validità degli atti civili, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1418, comma 1, c.c.” ( ###. 3, Sentenza n. 4922 del 02/03/2018). 
Trattasi, con ogni evidenza, di principio del tutto irrilevante ai fini che interessano, non potendo riconoscersi alla pattuizione in esame, contenuta ab origine nel contratto intercorso inter partes, senza che sia ravvisabile alcun fenomeno simulatorio, alcuna finalità di evasione o elusione fiscale. 
Dagli argomenti che precedono, disattesa ogni censura proposta dall'appellante, discende l'integrale rigetto dell'impugnazione.  7. La soccombenza dell'appellante governa le spese di lite relative al presente grado che, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n.55 del 2014, tenendo conto delle fasi in cui l'attività difensiva è stata effettivamente svolta dalla parte appellata, si liquidano come da dispositivo che segue, in favore dell'I.A.C.P.  della Provincia di Napoli.  8. Essendo stato rigettato l'appello, deve darsi atto del ricorso dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del DPR 30 maggio 2002, n. 115 ( comma inserito dall' art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ed applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75
Corte d'appello di Napolisezione seconda RGn°1540/2019 - 10 - vigore di tale legge), per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente giudizio, a carico dell'appellante .  P.Q.M.  la Corte di Appello di Napoli - II sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto e tra le parti ivi indicate, avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n.8435/2018, così provvede: 1) Rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata; 2) Condanna l'appellante ### dello ### s.r.l. alla refusione in favore dell'appellato I.A.C.P. delle spese di lite relative al presente grado di giudizio che liquida nell'importo di € 6.615,00 a titolo di compenso professionale, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge; 3) Dà atto del ricorso dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del DPR 30 maggio 2002, n. 115 per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente procedimento, a carico dell'appellante. 
Così deciso in Napoli, nella ### di Consiglio del 23 settembre 2020 ### estensore ### dott.ssa ### dott. ### de ### il: 23/09/2022 n.19423/2022 importo 208,75

causa n. 1540/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Ioni Gabriella, Martorana Paola, De Crecchio Giovanni

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Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sentenza n. 2058/2019 del 17-07-2019

... contratto per sostenere la rilevabilità d'ufficio delle nullità [sulla rilevabilità d'ufficio delle nullità, Cass., sez. un. n. 14828/12, 26242/14 e 26243/14 e, da ultimo, n. 12996/16, con l'affermazione rilevante della possibilità di predicare una soluzione unitaria in punto di rilevabilità officiosa della nullità contrattuale]. La lettera delle disposizioni va, piuttosto, esaminata in una prospettiva più larga e che non si nasconda, all'origine dell'introduzione, il problema - all'epoca ben più rilevante - di inserire una sanzione civilistica (la nullità dell'atto) in un contesto normativo prima caratterizzato soltanto dall'esistenza di sanzioni penali e solo più di recente anche da sanzioni amministrative - attualmente “il problema” ha una portata molto più relativa, come si evince per esempio dal dibattito in tema di nullità dei contratti di locazione non registrati (o tardivamente registrati) e all'impatto della norma tributaria quale norma imperativa -. Il problema di fondo è l'assetto del territorio e concerne le limitazioni che vengono imposte ai privati allo scopo di preservarne la conformazione e garantire che esso sia in linea con la normativa urbanistica (e oggi (leggi tutto)...

testo integrale

 #### IV sezione civile in persona della G.M. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1142/16 R.G., avente ad oggetto ### USUCAPIONE, pendente TRA ### elettivamente domiciliata presso l'avv. ### del ### di ### che la rappresenta e difende in virtù di procura a margine dell'atto di citazione ####, in persona del sindaco e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l'avv. ### che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta ###: come da verbali ed atti di causa. 
OGGETTO: usucapione ### E IN DIRITTO DELLA DECISIONE ### ha convenuto in giudizio il Comune di ### per dichiarare avvenuto l'acquisto a titolo originario del terreno alla località ### e individuato entro la maggiore estensione della particella 5536 del foglio 7, esteso 349,65 metri quadrati di cui 104,844 su cui insiste una villetta, 181,271 adibito a corte e 63,525 adibiti a strada condominiale. ### ha allegato che il fabbricato a uso abitativo era stato edificato nel 1983 e di aver acquistato i detti cespiti l'8 settembre 1990 da tale ### con una scrittura privata non autenticata di cui ha prodotto copia; e che la sua dante causa l'aveva a sua volta acquistata (sempre con scrittura privata non autenticata e non trascritta) da ### che aveva ereditato il terreno dal padre ### Ha esposto l'attrice che in favore di quest'ultimo era stato emesso un provvedimento di legittimazione da parte del ### per gli ### il 6 marzo 1976 e che l'occupatore ne aveva avuto sempre la libera disponibilità trasmettendolo alla sua morte alla figlia, la quale lo aveva poi venduto a ### questa vi aveva edificato la villetta e poi lo aveva venduto a essa attrice, che l'aveva posseduto come proprietaria fin dall'acquisto per oltre vent'anni senza corrispondere alcun canone e senza ricevere mai alcuna contestazione, perfezionando così l'acquisto per usucapione.  ### si è costituito e ha dedotto che il bene non può essere usucapito poiché non sono suscettibili di acquisto in tal senso i beni demaniali, tanto più se gravati da usi civici, i quali sono inalienabili, incommerciabili e non suscettibili di usucapione. 
Ha dedotto il Comune che la cessione tra provati di beni della categoria a) di cui all'articolo 11 delle legge n. 1766/27 - tra cui è compreso quello oggetto di causa, accatastato come qualità “pascolo”- non possono essere mutati nella destinazione. ### dunque ha chiesto il rigetto della domanda e in subordine che fosse accertato l'esatto adempimento della procedura di legittimazione e la verifica del compenso per la liquidazione medesima. In sede conclusionale il convenuto ha ### chiesto che l'attrice, in caso di accoglimento della domanda, sia condannata a corrisponderne il valore. 
La causa è stata istruita con acquisizioni documentali e prova orale. All'esito, in accordo tra loro sebbene già decorse le preclusioni istruttorie, le parti hanno prodotto copia della perizia svolta in altro analogo giudizio avente a oggetto il fabbricato confinante in cui il consulente tecnico d'ufficio ha svolto verifiche sulla identificazione delle particelle e sulla storia catastale dei luoghi complessivamente, dunque anche riguardo all'oggetto della domanda svolta nel presente giudizio. 
Il testimoni della parte attrice, ### ha riferito del possesso da parte dell'attrice da oltre vent'anni, precisando che l'immobile è adoperato come “casa al mare” e che la ### ha sempre pagato le imposte e curato la manutenzione del bene; a chiarimenti da parte della difesa del convenuto ha confermato di essere a conoscenza del carattere abusivo della costruzione che non è mai stata oggetto di provvedimento di sanatoria. 
Ciò premesso, è evidente che una questione centrale per la risoluzione della controversia è rappresentata dalla natura pubblica del bene di cui si vanta l'usucapione, che il Comune ha eccepito senza tuttavia produrre alcuna documentazione in proposito. 
In ordine alla valenza probatoria della documentazione costituita dalla visura catastale e prodotta in atti, è bene rilevare subito che essa non è idonea a dimostrare alcunché in merito alla appartenenza del fondo in questione, giacché è ben noto che le visure e le mappe (e anche le certificazioni) catastali possono assumere valore - e sussidiario - solo in materia di determinazione di confini [Cass. n. 5842/04] ma non in tema di prova della proprietà: prova che necessita di ben altri e più approfonditi elementi. Ed è opportuno anche evidenziare che, se si controverte in tema di usucapione, sarebbe onere di chi la invoca dimostrare la proprietà in capo al soggetto nei cui confronti agisce e determinare in modo certo il bene che si chiede nella sua estensione e allocazione. 
Quanto al primo aspetto, poi, solo la produzione in giudizio del titolo di appartenenza in capo al destinatario passivo della pronuncia di usucapione e della precisa attestazione da parte del ### dei ### relativa alle trascrizioni contro il predetto fino alla data di instaurazione del giudizio consente di avere contezza del patrimonio attuale di quest'ultimo; l'accertamento dell'acquisto di un bene per usucapione non può prescindere, in generale, dall'accertamento puntuale ed attuale della proprietà del bene medesimo in capo ai soggetti nei confronti dei quali la pronuncia deve essere resa: e il discorso non cambia se il bene è di proprietà pubblica giacché l'appartenenza del bene al patrimonio disponibile degli enti pubblici non può che essere provata in modo puntuale. 
Com'è noto, secondo l'articolo 42 della ### la proprietà è pubblica o privata. La norma, più che descrivere il titolo di appartenenza dei beni pubblici, si ritiene tesa ad attestare e giustificare nel sistema la legittimità costituzionale di un loro regime speciale e differenziato. 
Beni pubblici sono quelli appartenenti agli enti pubblici e, costituendo gli strumenti di cui la P.A. realizza le proprie funzioni, sono assoggettati a una normativa differente rispetto a quella che si applica agli altri beni quanto ai profili di uso, circolazione e tutela; come affermato da autorevole dottrina, la differenziazione di regime è tesa salvaguardare i beni pubblici, funzionali al perseguimento di fini di pubblico interesse, dai «pericoli» di facile sviamento che deriverebbero dall'applicazione del diritto comune, sia quanto all'ente proprietario (che sarebbe tentato di disfarsi dei beni in caso di necessità di mezzi finanziari), sia nei confronti dei terzi e dei creditori dell'ente (da cui i caratteri della imprescrittibilità e della impignorabilità). 
Il codice civile distingue i beni pubblici in demaniali (articoli 822, 824 e 825 c.c.) e patrimoniali indisponibili (articoli 826 e 830 c.c.): sono beni demaniali quei beni, immobili o universalità di mobili, appartenenti agli enti territoriali (Stato, ####, elencati nell'articolo 822 c.c. e i quali rispondono a dirette esigenze della collettività. Sono demaniali per loro intrinseca qualità o per il fatto di appartenere a enti territoriali; per i primi si parla di “demanio necessario”, costituito dal demanio marittimo, idrico e militare (articolo 822, comma 1 c.c.) e cioè da beni le cui stesse «caratteristiche fisicofunzionali» ne connotano lo statuto, mentre per gli altri ci si riferisce alla categoria “demanio accidentale o eventuale”, comprendente beni che non sono per loro natura di proprietà pubblica ma che acquistano carattere demaniale solo se divengano di proprietà degli enti pubblici territoriali (strade, autostrade, strade ferrate, aerodromi, acquedotti, immobili di interesse storico e artistico, raccolte museali) e altri beni assoggettati al regime proprio del demanio pubblico dalla legge (articolo 822 c.c., comma 2 c.c.).  ### 823 c.c. detta il regime giuridico dei beni demaniali: essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. ###à comporta che sono nulli gli eventuali atti dispositivi di beni demaniali posti in essere dalla pubblica amministrazione, poiché i detti beni sono assoggettati a un vincolo reale che ne rende impossibile l'oggetto secondo l'articolo 1418 c.c.; parziale deroga al divieto di alienazione è posta, com'è noto, in materia di beni demaniali culturali. 
Ciò posto, è opportuno ricordare che tutti i beni non demaniali che appartengono allo Stato e agli enti pubblici ne costituiscono il patrimonio, ma soltanto alcuni di essi rientrano nel patrimonio indisponibile. ### 826 c.c. contiene una elencazione (ritenuta non tassativa) di beni sia immobili che mobili i quali possono appartenere anche a enti pubblici non territoriali; la differenza sta nella destinazione e infatti i beni del patrimonio indisponibile sono vincolati a una destinazione di pubblica utilità esattamente come i beni demaniali. Anche per essi vale la distinzione tra patrimonio necessario e patrimonio accidentale, poiché vi sono beni che rientrano nella categoria del patrimonio indisponibile per loro caratteristiche naturali (miniere, acque minerali termali, cave e torbiere e così via) e altri che vi rientrano solo in conseguenza della destinazione loro impressa (edifici destinati a sede di uffici pubblici, arredi, dotazione della ### della Repubblica). Quanto al loro regime giuridico, l'articolo 828, comma 2 c.c. dispone che essi non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti delle leggi che li riguardano. Il divieto di distrazione dalla destinazione è dunque comune al regime di entrambe le categorie di beni, patrimoniali indisponibili e demaniali, ma così non è per il divieto di alienazione: i beni patrimoniali indisponibili, infatti, non sono incommerciabili pur essendo gravati da uno specifico vincolo di destinazione all'uso pubblico. 
Premesse le su esposte distinzioni essenziali, giacché nel presente giudizio è stata posta la questione della libertà di circolazione del fondo oggetto di causa qualificandolo come facente parte del demanio dell'ente, è indispensabile ora ricordare il regime di acquisto e di perdita dei caratteri di demanialità e di appartenenza al patrimonio ### dell'ente pubblico. 
In mancanza di disposizioni specifiche nel codice civile, la dottrina più autorevole ha elaborato il ricordato criterio di classificazione dei beni demaniali, distinguendo demanio “naturale” e demanio “artificiale”: i beni compresi nella prima categoria acquistano la qualità demaniale per il solo fatto giuridico e naturale della loro esistenza, possedendo tali beni i requisiti già previsti dalla legge per la loro riconduzione nell'ambito del demanio (le acque e il lido del mare, per esempio). I beni che compongono il demanio artificiale, invece, sono opera dell'uomo e per assumere la qualità di beni pubblici necessitano dell'esercizio di un'attività amministrativa che li costituisca (o li trasformi) e li destini formalmente o di fatto all'uso diretto o all'uso pubblico: si ritiene, in proposito, che l'inclusione dei beni negli elenchi di beni demaniali che le amministrazioni pubbliche redigono non determina di per sé l'acquisto della qualità demaniale, trattandosi di atti meramente dichiarativi [Cass., un., n. 10876/08, sez. un. n. 1831/96, sez. un. n. 245/87; Cass. n. 23705/09, 2471/01]. 
È possibile la «sdemanializzazione» ovvero il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio, cui consegue la cessazione della disciplina di vincolo alla circolazione (incommerciabilità). Al riguardo è bene precisare che, nonostante la disposizione di cui all'articolo 829 c.c., per cui il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio deve essere dichiarato dall'autorità amministrativa e dell'atto deve essere dato annunzio nella ### della Repubblica, non è sancita chiaramente la efficacia dichiarativa o costitutiva della dichiarazione di sdemanializzazione e dunque ciò non esclude una sdemanializzazione tacita: per esempio, con riferimento ai beni del demanio naturale è pacificamente ammessa (così come per l'acquisto) anche la perdita di fatto della demanialità a seguito di accadimenti naturali che la P.A. non può che accertare e dichiarare: la vicenda estintiva della demanialità può avvenire per distruzione, deperimento o snaturamento della cosa e quindi per l'intervento di fatti, accadimenti e situazioni del tutto indipendenti dalla volontà della P.A. e per i quali si determina il venir meno delle caratteristiche del bene che il legislatore ha individuato per l'appartenenza al demanio; in questi casi l'amministrazione si limita a prendere atto del mutamento di fatto adottando atti dichiarativi. Se si tratta di beni del demanio artificiale, al contrario, si verte in tema di discrezionalità dell'azione amministrativa e dunque, secondo autorevole opinione, è necessario un provvedimento espresso e formale di cessazione della qualità demaniale con effetto costitutivo. E in mancanza delle formalità previste dalla legge in materia, si ammette la sdemanializzazione “tacita” o di fatto di un bene soltanto in presenza di atti e/o fatti concludenti che evidenzino in maniera inequivocabile la volontà dell'amministrazione di sottrarre il bene alla destinazione pubblica e rinunciare in via definitiva al suo ripristino; si esclude, per quanto interessa nel caso di specie, che possano essere a tal fine sufficienti il prolungato disuso del bene demaniale da parte dell'ente pubblico proprietario ovvero la tolleranza osservata da quest'ultimo rispetto a un'occupazione da parte di privati. 
È stato notato come la giurisprudenza abbia sempre interpretato le prescrizioni di cui all'articolo 829 c.c. nel senso che esse si limitino a imporre alla P.A. un mero dovere giuridico finalizzato alla certezza delle situazioni giuridiche, senza stabilire la prevalenza di elementi formali rispetto a quelli di fatto costitutivi della demanialità, a eccezione dei beni appartenenti al demanio marittimo per i quali la perdita della qualità demaniale non può mai avvenire tacitamente (articolo 35 cod. nav.), ma solo con uno specifico provvedimento di carattere costitutivo da parte dell'autorità amministrativa; analogamente accade per i beni del demanio idrico, come sancito dall'articolo 947 c.c. come riformato dall'articolo 4 della legge n. 37/94 recante norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche. 
La distinzione tra beni naturali e beni artificiali vale anche per i beni patrimoniali indisponibili: i primi sono quelli destinati a un pubblico servizio per natura, ossia in virtù delle loro obiettive caratteristiche, come le miniere, le cave, gli armamenti (articolo 826, comma 2 c.c.), i secondi vi devono essere destinati (articolo 826, comma 3 c.c.). 
I beni indisponibili per natura derivano la destinazione alla soddisfazione di interessi pubblici direttamente dalla legge: una volta venuti a esistenza con quelle caratteristiche individuate dal legislatore, e fino al momento della eventuale perdita di detti caratteri, essi sono sottratti alla disponibilità della pubblica amministrazione, senza necessità di alcuna attività giuridica costitutiva. I beni indisponibili per destinazione acquistano la loro qualità con la effettiva e concreta destinazione a un pubblico servizio: giacché nell'ordinamento manca un sistema di procedimenti formali per l'individuazione della destinazione pubblica dei beni, l'effettività del vincolo di destinazione è l'unico mezzo idoneo a rendere i terzi edotti del vincolo medesimo e di conseguenza del regime particolare cui il bene è soggetto: l'atto amministrativo da cui risulta la volontà dell'ente di destinare il bene a una pubblica finalità costituisce elemento di una fattispecie complessa che si completa solo al momento dell'effettiva utilizzazione del bene per il servizio pubblico cui è destinato: «affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché “destinati ad un pubblico servizio” ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c. deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico, e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio» [Cass., sez. un. n. 14865/06, sez. un. n. 391/99 ; Cass., n. 5867/07]. 
I beni indisponibili per natura, così come per i beni demaniali, perdono la loro qualità con il verificarsi di situazioni che ne mutano le caratteristiche o ne comportano la distruzione e la P.A. in tal caso dichiara l'intervenuta estinzione del vincolo di destinazione; i beni “artificiali”, destinati a pubbliche finalità dall'autorità amministrativa, cessano di essere tali per determinazione dell'amministrazione: essa può anche desumersi da comportamenti concludenti, ma essi devono apparire univoci e tali da lasciare intendere la volontà dell'ente di dismettere definitivamente il bene dal regime di indisponibilità. Per il passaggio dei beni patrimoniali dalla categoria dei beni indisponibili a quella dei beni disponibili non è dunque richiesto un atto amministrativo come quello di sdemanializzazione previsto dall'articolo 829 c.c., ma è sufficiente un “verbale di dismissione” nel quale si dia atto che il bene sia stato dismesso dall'ente che lo aveva in uso o che non serva più all'uso suddetto e non abbia particolare destinazione. In mancanza di un atto esplicito della P.A. valgono le medesime argomentazioni già sopra ricordate, per cui in giurisprudenza non si esclude il passaggio alla categoria dei beni patrimoniali disponibili per fatti concludenti; e però non è stata ritenuta sufficiente la sospensione dell'uso pubblico, anche per un notevole arco di tempo, ma si è detta necessaria una immutazione irreversibile del bene o una destinazione incompatibile con quella a pubblico servizio e che costituisce il presupposto dell'indisponibilità: «Un bene può cessare di appartenere al patrimonio indisponibile anche in mancanza di un atto formale ed esplicito della pubblica amministrazione in tal senso; ma, a questo fine, non basta un'utilizzazione diversa e, tanto meno, una utilizzazione aggiuntiva rispetto a quella precedente ma occorre, invece, una destinazione incompatibile con quella a pubblico servizio, che funge da presupposto dell'indisponibilità» [Cass., n. 3258/73]. 
Gli accertamenti di cui sopra appaiono dunque doverosi laddove si discuta di possibile usucapione del bene da parte di un privato, stante l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità per cui il conflitto tra l'acquirente a titolo derivativo e quello per usucapione è sempre risolto, nel regime ordinario del codice civile, a favore dell'usucapente, indipendentemente dalla trascrizione della sentenza che accerta l'usucapione e dell'anteriorità della trascrizione di essa o della relativa domanda rispetto alla trascrizione dell'acquisto a titolo derivativo, perché il principio di continuità delle trascrizioni, dettato dall'articolo 2644 c.c. con riferimento agli atti indicati nell'articolo 2643, non risolve il conflitto tra acquisto a titolo originario e acquisto a titolo derivativo, ma unicamente quello tra più acquisti a titolo derivativo dal medesimo dante causa [Cass. n. 2161/05]. Peraltro, e a maggior ragione, tale meccanismo è ritenuto irrilevante con riguardo ai beni pubblici, poiché «la nullità dell'atto di trasferimento di un bene immobile, derivante dall'incommerciabilità del bene medesimo perché demaniale, preclude l'applicabilità del principio della sequenza delle trascrizioni sancito dalla disposizione contenuta nell'art. 2644 c.c.» [Cass. 5894/01]. 
Nel presente giudizio non solo non è stata raggiunta la prova - il cui onere incombeva sulla parte attrice - della qualità di bene patrimoniale disponibile del terreno in questione, ma vi sono congrui elementi per ritenere al contrario dimostrata, mediante documentazione prodotta, la qualità di bene demaniale eccepita dal convenuto ente. 
Dall'istruttoria svolta e in particolare dalla documentazione acquisita, infatti, è evidente che il terreno individuato al foglio 7, particella 5536 (maggior estensione di cui è parte la porzione di cui si chiede l'accertamento dell'avvenuto acquisto a titolo originario) è un terreno pubblico facente parte del demanio civico e assoggettato a uso civico. 
Essenziale è in detta prospettiva la decretazione del commissario per gli usi civici prodotta dalla stessa attrice. Il provvedimento del 6 marzo 1976 espone la storia dei terreni posti ai due lati della foce del fiume ### a ridosso del demanio marittimo lungo il litorale del Comune di ### acquitrinosi nella parte più lontana dal mare e sabbiosi con dune e cespugli in quella più vicina, e perciò in epoca più antica letteralmente strappati con grande dedizione e fatica alla natura dei siti («una natura che tende a tornare allo stato primitivo, ad autentico deserto, non appena si verifichi un anche breve abbandono») da parte di contadini originari di ### e dopo di questi in gran parte occupati da “locali” i quali invece vi avevano semplicemente effettuato una irregolare e illegittima edificazione speculativa nella totale indifferenza dell'amministrazione. Quanto ai terreni tra cui era compreso quello occupato da ### più antico “dante causa”, il ### ha riconosciuto la sussistenza dei requisiti per la legittimazione come accertati da una precedente verifica del 1964 e successive ispezioni: vale a dire riporti di terreno, canalizzazioni, trivellazioni di pozzi, impianti di vasche e depositi per attrezzi, ripari frangivento e impianto di vigneti (una situazione, detto tra parentesi, ben diversa da quella attuale con casette abusive di discutibili caratteristiche architettoniche e terreni poco curati che somiglia molto di più a quella stigmatizzata dallo stesso ### per altri appezzamenti). 
Non è stata né allegata né provata, per inciso, la classificazione di legge sulla scorta dell'indagine a suo tempo compiuta dall'istruttore perito cui pure l'ordinanza del 6 marzo 1976 fa cenno, se di categoria «A» dell'articolo 11, legge n. 1766/27 (bene ricompreso nel demanio libero dell'ente con uso civico di pascolo e legnatico) o categoria «B» (suolo utilizzabile a coltura agraria, sempre nell'ambito dell'uso civico). 
Il tenore dell'ordinanza e la storia dei terreni fanno presumere che essi fossero stati qualificati nell'ambito di questa seconda categoria, avendo riguardo alle colture e alle lavorazioni rilevati dagli accertatori. 
È opportuno, a questo punto, ricordare che la presenza di un uso civico su un terreno non ne implica in automatico il carattere demaniale, potendo l'uso gravare anche un suolo privato; e tuttavia sovente gli usi civici gravano (o gravavano) terreni collettivi e pubblici. 
Nel presente giudizio, come si è detto, il Comune fa rientrare il terreno nell'ambito del demanio (e in effetti tale qualità sembrerebbe desumibile dalla vicinanza al lido del mare, essendo la fascia interessata posta a ridosso della spiaggia e del demanio marittimo come descritto nel provvedimento già citato del ### per gli ###.  ### frequente della coincidenza tra demanio e uso civico ha radici risalenti e fu affermato anche da autorevole dottrina; è stato poi chiarito che l'assimilazione aveva ragioni storiche e derivava dal fatto che l'uso civico nello Stato napoletano era qualificato «demanio», ciò tuttavia non in senso giuridico ma solo su un piano lessicale che prendeva spunto, probabilmente, dall'antico brocardo ubi feuda ibi demania (formula intesa a suo tempo ad affermare che la preesistenza di una popolazione e la costituzione di un feudo erano elementi sufficienti a denotare l'esistenza di un terreno soggetto ad uso civico). Dunque, è oggi abbastanza pacifico che la natura pubblicistica degli usi civici comporta non un'equiparazione, ma solo un avvicinamento del regime dei beni a quello dei beni demaniali: per cui si ritiene che il termine «demanio» costituisca una semplice espressione per qualificarne la disciplina “vincolata”: analoga a quella di cui al già menzionato articolo 823 c.c. per il demanio pubblico, secondo cui i beni che vi sono compresi «sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano». 
Ciò posto, dunque, la circostanza che i terreni alla località ### fossero gravati da uso civico non implicherebbe di per sé la loro natura demaniale; e tuttavia l'ordinanza in atti fa riferimento alla avvenuta verifica - su cui si basa - «del demanio di uso civico del Comune di ### e la loro ubicazione a ridosso del demanio marittimo fa ritenere che si tratti di aree demaniali e non semplicemente di aree gravate da usi civici. 
È stato affermato, nell'ambito del contenzioso relativo alla liquidazione degli usi civici - dunque ambito diverso da quello oggetto del presente giudizio civile - che «la prova della demanialità civica è spesso […] assai ardua perché si basa su indagini storicodocumentali, talora molto complesse e risalenti nell'arco del tempo, che sono affidate ad un professionista (il perito demaniale) particolarmente esperto in tale materia, in cui spesso occorre ricercare, vagliare ed interpretare antichi documenti per stabilire la demanialità del bene alla luce del più ampio contesto storico, normativo e sociale. ###.C. ha così espresso e ribadito tali concetti: "In tema di procedimento per la liquidazione degli usi civici, la peculiarità della materia, che affonda le sue radici nella storia del feudo e della proprietà collettiva, con conseguente difficoltà, talvolta insuperabile, di rinvenire e procurarsi la prova della demanialità civica di un terreno, giustifica non solo una notevole attenuazione del principio dell'onere della prova ma quel particolare potere del giudice, previsto dalla L. n. 1766 del 1927, art. 29, di disporre anche d'ufficio un'indagine storico - documentale affidata ad un professionista particolarmente esperto nella materia, al fine di colmare le eventuali lacune probatorie in cui siano incorse le parti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6165 del 16/03/2007; Cass. 2, Sentenza n. 15510 del 06/12/2000)» [Cass. 4753/14]. Ed è stato anche affermato, in tempo un po' più risalente, che «### si assume che una determinata terra […] appartenga al demanio universale di un determinato comune o frazione, la prima indagine da esperire è quella di stabilire se effettivamente la terra medesima faccia parte dell'assunto demanio, il che vai [sic] quanto dire fissare i limiti territoriali del demanio universale, ciò in base al secolare principio, fatto proprio dal vigente ordinamento, secondo cui quando è dimostrato che una terra fa parte di un demanio universale, la demanialità si presume, a meno che non sussista un preciso titolo da cui risulti, rispetto a quella determinata terra, la trasformazione del demanio in allodio e la originaria natura allodiale. Pertanto, nell'ipotesi suddetta, va prima dimostrato e accertato se la terra in oggetto faccia parte di un demanio universale e l'onere della prova spetta al riguardo al comune che agisce per ottenere la reintegrazione della terra nel proprio demanio e assume, sia pure attraverso la suddetta presunzione, la demanialità della terra medesima, solo se la prova di cui sopra sarà raggiunta, si potrà discutere sulla esistenza per quelle stesse terre di trasformazione del demanio in allodio e questa ulteriore prova dovrà essere data dal privato che si oppone alla reintegra ed eccepisce la natura allodiale e la legittimità del suo possesso»; quindi «qualora venga dimostrato che una terra fa parte di un demanio universale, la demanialità si presume, a meno che non sussista un preciso titolo da cui risulti, rispetto a quella determinata terra, la trasformazione del demanio in allodio e la originaria natura allodiale» [Cass. n. 787/63]. 
Nello speciale processo contemplato dall'articolo 29 della legge n. 1766/27 sulla liquidazione degli usi civici, l'onere della prova della demanialità è posto perciò a carico del comune che chieda di esservi reintegrato e in essa può intervenire il magistrato avvalendosi di ampi poteri e di esperti periti demaniali. 
Il luogo del presente processo è però differente e il Comune si trova a resistere rispetto a una domanda di usucapione, riguardo alla quale sussistono gravi e concordanti indizi per ritenere che il suolo sia demaniale e su di esso sia stato gravante un uso civico di categoria B (quanto alla categoria, infatti, assume maggior rilievo l'accertamento delle colture piuttosto che la qualità risultante dalla visura catastale). 
Poiché, tuttavia, l'uso civico comporta (allo stesso modo della demanialità) l'impossibilità di commerciare, alienare e perdere il bene per l'usucapione altrui, è opportuno verificare se sia stata offerta idonea prova da parte dell'attrice che il terreno abbia perduto la sua destinazione a uso civico per avvenuta affrancazione. 
La legge nazionale vigente (la già citata legge n. 1766/27 e il suo regolamento di attuazione approvato con il R.D. 26 febbraio 1928 n. 332) inserisce i beni e diritti delle popolazioni (proprietà e diritti collettivi), in un regime di gestione a destinazione vincolata e secondo la vocazione (anche oggettiva e storica) dei beni medesimi, distinguendoli nelle due categorie cui si è già fatto riferimento: «### comprendente i patrimoni silvo-pastorali, gestiti a fini produttivi e di conservazione ambientale in base a piani economici di sviluppo; «B» adatti a coltura agraria e ripartibili in quote da assegnarsi in enfiteusi agli aventi diritto.  ### 11 della legge comprende nel regime disciplinato sia i “beni collettivi originari”, cioè quelli delle comunità di abitanti organizzate stabilmente in un territorio e le terre acquisite attraverso ogni forma di possesso collettivo [Cass. Un. n. 64/54, n. 51/50], sia i beni assegnati ai comuni, frazioni o associazioni agrarie per effetto delle operazioni di sistemazione delle terre e di liquidazione dei diritti di cui all'articolo 1 della legge. E proprio al fine di risolvere una questione sorta negli ultimi decenni del 1800 sulla natura dei beni della collettività intestati all'ente esponenziale (il Comune) e destinati all'esercizio degli usi civici, il legislatore ha sottoposto a un regime unitario tutti i beni posseduti dagli enti territoriali su cui si esercitano gli usi, includendo in questo modo tra le terre collettive anche quelle gravate da usi e che fossero comunque nel possesso del comune (oltre a beni non di origine civica ma assimilati con leggi speciali come la legge n. 1102/71, c.d. leggemontagna, e le terre acquistate ai sensi dell'articolo 22 per aumentare la massa delle terre da quotizzare). 
Caratteristica delle “terre collettive” così inquadrate è stato sempre il particolare regime di indisponibilità e di destinazione vincolata ai bisogni primari della comunità che ad esse fa riferimento, secondo l'articolo 12, comma 2 della legge 1766/27. 
Sono state individuate diverse motivazioni storico giuridiche al vincolo di inalienabilità dei patrimoni collettivi delle popolazioni stanziali (nel diritto tedesco, com'è noto, esiste l'istituto della proprietà collettiva): scrittori e giuristi meridionali, tenendo presente il passaggio dalle universitas civium al Comune, hanno fatto riferimento al principio di indisponibilità delle terre pubbliche derivante dalla normazione per i demani comunali (12 dicembre 1816) del ### delle ### e a quella imperiale inserita nel codice giustinianeo; a fronte del tentativo di sistemazione dottrinale, la giurisprudenza ha comunque sempre affermato il principio della indisponibilità dei beni civici [Cass. n. 192/46, in ###, 1946, I, 724, reperibile tramite il web su siti specializzati in materia; Cass. n. 2062/63, n. 1567/55, idem]. 
Nel vigore della legge n. 1766/27, all'operazione di verifica finalizzata alla liquidazione ed eseguita l'assegnazione secondo l'articolo 11, l'indisponibilità riguarda i soli beni di categoria «A» (articolo 12, comma 2 citato), mentre per i beni produttivi di categoria «B» essa è mantenuta fino alle operazioni di quotizzazione e cessione delle quote in enfiteusi agli aventi diritto. ### a categoria, che viene definita un atto di accertamento costitutivo, il demanio civico perde le sue caratteristiche di terra collettiva quale «compendio di beni in proprietà collettiva di una comunità di abitanti» e si converte, come indicato da autorevole dottrina, in proprietà collettiva a destinazione pubblica o in proprietà privata per le quote di terra a vocazione agraria, giacché le sole terre produttive di categoria B sono destinate alla “privatizzazione” previa la legittimazione o la ripartite in quote. Le terre di categoria A (boschi e pascoli permanenti) sono soggette a un particolare regime a destinazione pubblica, con destinazione vincolata alla produzione e conservazione dell'ambiente e gestione diretta secondo piano, nonché sottoposte ai vincoli di tutela ambientale e paesaggistica.   È importante evidenziare che gli usi delle terre di categoria A sono conservati ed esercitati in conformità dei piani economici dei patrimoni forestali e montani e dei regolamenti, senza eccedere i limiti stabiliti dall'articolo 1021 c.c.; le terre di categoria B sono soggette a quotizzazione e concessione delle quote in enfiteusi affrancabile secondo uno specifico procedimento amministrativo, che prevede la possibilità di procedere a opere di sistemazione e trasformazione per la razionale costituzione di unità fondiarie e quindi la concessione delle quote a titolo di enfiteusi, con obbligo per il concessionario di apportare migliorie e alle altre condizioni stabilite nel piano, con pagamento di un canone annuo e la possibilità di affrancazione (articoli 15 e seguenti); prima dell'affrancazione le quote non possono essere divise, alienate né cedute ad alcun titolo (articolo 21) a pena di decadenza della concessione e devoluzione della quota al comune o all'ente (articolo 19). 
Il terreno soggetto a uso civico è inalienabile, non usucapibile e immodificabile nella sua destinazione: l'articolo 12, comma 2 vieta a ### e associazioni, senza autorizzazione dell'autorità preposta, di alienare i terreni soggetti a categoria A o mutarne la destinazione; l'articolo 21, ultimo comma, già citato, stabilisce che le unità fondiarie ivi previste «prima dell'affrancazione non potranno essere divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo»; infine l'articolo 9, ultimo comma, dispone che in mancanza di legittimazione le terre vanno restituite al Comune o all'associazione o alla frazione del Comune "a qualunque epoca l'occupazione di esse rimonti": da quest'ultima norma è stata desunta l'imprescrittibilità del diritto di uso civico e l'inapplicabilità dell'usucapione da parte di alcuno. 
È stato osservato, però, che nessuna delle ricordate norme prevede espressamente la nullità dell'atto compiuto in contrasto con la relativa prescrizione. 
Si è affermato dunque da parte di una dottrina risalente che gli usi civici dovessero essere riguardati come demani; è stato poi chiarito, come si è detto, che questa assimilazione era soltanto di carattere formale e dovuta al fatto che l'uso civico nello Stato napoletano era qualificato, ma soltanto su un piano di stretta formulazione superficiale, demanio. Infatti la giurisprudenza, che in un primo tempo si era accodata a detta assimilazione sulla base del brocardo ubi feuda ibi demania, successivamente ha ritenuto che gli usi civici avessero natura pubblicistica determinante non un'equiparazione, ma un avvicinamento del regime dei beni di uso civico al regime dei beni demaniali. 
Diversi sono stati i percorsi mediante i quali la dottrina ha variamente argomentato la ragione della incommerciabilità dei beni ### sui quali sono imposti usi civici (terre in dominio collettivo, la cui negoziazione - di fatto impossibile - avrebbe presupposto l'assenso di tutti i cives; nullità per impossibilità giuridica dell'oggetto in quanto bene demaniale; vendita di cosa altrui, sul presupposto del dominio collettivo sul terreno). 
In giurisprudenza è fermo l'orientamento per cui l'atto in violazione delle norme della legge del 1927 sugli usi civici sia nullo per impossibilità dell'oggetto, ciò per l'incommerciabilità del terreno soggetto a uso civico, e afferma che la nullità è assoluta e insanabile in virtù di quanto dispone l'articolo 1418, comma 2 c.c., avendo riguardo alla mancanza nell'oggetto di uno dei requisiti previsti dall'articolo 1345, cioè la possibilità giuridica della negoziazione. 
Le leggi fondamentali in materia (n. 1766/27 sul riordinamento degli usi civici e il regolamento di esecuzione n. 332/28) miravano tuttavia non alla sopravvivenza degli usi civici, ma alla loro liquidazione ed erano strutturate in modo da rispettare alcuni principi. In primo luogo, la distinzione di usi civici su terre private e usi civici su terre di dominio della collettività; in secondo luogo, la finalità: gli usi civici su terre private dovevano essere assoggettati a liquidazione, sotto forma o della fissazione di un canone atto a compensare il diritto di uso civico, non più esercitato a favore della popolazione, oppure con il distacco di una parte del terreno, da destinare al Comune (liquidazione con “distacco” o “scorporo”). In via eccezionale sulle provincie già costituenti ex dominio pontificio era stata prevista la c.d. liquidazione invertita: tutto il terreno veniva trasferito alla collettività, mentre a vantaggio del proprietario privato veniva stabilito un canone compensativo. In terzo luogo, gli usi civici su terre di dominio della collettività ("demani civici") dovevano essere regolati in modo che nelle terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente - categoria A -, l'uso medesimo fosse destinato a durare indefinitamente (salva diversa autorizzazione amministrativa per l'alienazione); nelle terre utilizzabili a coltura agraria - categoria B - il fondo agricolo era destinato ad essere quotizzato, cioè ripartito per quote e assegnato alle famiglie di coltivatori diretti a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e di pagamento di un canone che poteva essere affrancato: il terreno diveniva “privato” e poteva essere commercializzato soltanto a seguito di affrancazione del canone (pertanto nel tempo questi terreni erano destinati a essere liberati dall'uso civico, in sintonia con le nuove esigenze di ancorare le terre a chi le coltivasse effettivamente e con lo spirito della legge). 
Tale inquadramento sistematico vale tuttora e sebbene la finalità della legge fosse quella della “liquidazione” degli usi civici: com'è stato osservato, «la persistente vitalità dell'istituto -nonostante fin dal 1927 se ne fosse prevista appunto la "liquidazione" - poggia ora su di una sua tendenziale mutazione funzionale, all'uso civico essendo cioè riconosciuta una nuova caratterizzazione della sua natura di bene collettivo, in quanto utile anche - se non soprattutto - alla conservazione del bene ambiente e per di più per ciò stesso non soltanto a favore dei singoli appartenenti alla collettività dei fruitori del bene nel singolo contesto territoriale collegato alle possibilità di concreto utilizzo dell'immobile, ma evidentemente alla generalità dei consociati» [Cass. n. 19792/11]. 
È evidente, dunque, che una cosa è la questione della commerciabilità e la possibilità giuridica di usucapire un bene privato assoggettato a uso civico, altra cosa è quando si discorre di un bene pubblico per di più gravato da uso civico. 
Se, infatti, nella prima ipotesi è necessario accertare - sebbene l'operazione non sia semplice - se l'uso civico sia stato liquidato e quindi sia ben possibile alienare il terreno, una volta affrancato, in piena proprietà o, altrimenti, gravato dall'uso civico e il bene può ben essere oggetto di usucapione da parte di terzi; non in ugual modo accade se il bene sia appartenente alla collettività: si parla, infatti, in questo caso di beni collettivi, di terreni cioè appartenenti all'intera collettività, vale a dire agli abitanti del luogo intesi sia come gruppo che come singoli. È stato puntualizzato da autorevole dottrina che la collettività non costituisce un soggetto giuridico e che i beni appartengono ai singoli, che ne sono comproprietari: il Comune o l'associazione agraria cui si fa riferimento non ha dominio sul terreno, ma rappresenta soltanto la comunità locale dei cives e a esercitare per suo conto i poteri e le facoltà relative con l'intervento previsto di organismi pubblici (tempo addietro il Ministero dell'agricoltura e poi, con il decentramento di funzioni, le ### i quali costituiscono nella scala dei pubblici poteri gli enti maggiormente capaci di rappresentare le istanze della popolazione locale, così come anticamente faceva il re rispetto ai feudatari. 
Le terre civiche, in questo senso intese, sono incommerciabili; il potere su di esse è imprescrittibile; la loro destinazione è immutabile: in questo senso è l'indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità [Cass. n. 1940/04, n. 11265/90], salve alcune fattispecie eccezionali che giustificano la commerciabilità dei beni (e la suscettibilità, per quanto qui interessa, a usucapirne la proprietà): legittimazione, assegnazione a categoria e successiva autorizzazione amministrativa, quotizzazione e affrancazione e, infine, conciliazione. 
Ognuna di queste fattispecie si sostanzia in un procedimento che ha come risultato l'emanazione di un provvedimento amministrativo finale, per effetto del quale il bene da proprietà collettiva si trasforma in “allodio”, da bene demaniale si trasforma in bene “allodiale”. 
La legittimazione è disciplinata dagli articoli 9 e 10 della legge n. 1766/27 e dagli articoli 25 e 26 del relativo regolamento (R.D. n. 332/28) e presuppone il possesso di terre civiche abusivo; presuppone, inoltre, il possesso del terreno da almeno dieci anni, che la zona occupata non interrompa la continuità del terreno e che l'occupatore vi abbia apportato sostanziali e permanenti miglioramenti di natura stabile e oggettiva, tali da aumentare la capacità di reddito del fondo. Il provvedimento è di natura discrezionale e ciò vuol dire che il soggetto occupatore non vanta alcuna posizione di diritto soggettivo sebbene possieda i requisiti necessari: «il provvedimento di legittimazione delle occupazioni abusive di terre del demanio civico comporta la trasformazione del demanio in allodio e, contestualmente, la nascita, in capo all'occupatore, di un diritto soggettivo perfetto di natura reale sul terreno che ne è oggetto [...] (recentemente, in tema, Cass. ss. uu., 22 maggio 1995 5600). In altri termini in esito al procedimento - avente natura amministrativa - di legittimazione, da un lato, cessa il regime di inalienabilità e imprescrittibilità delle terre che diventano private; […] viene ### emesso un provvedimento di natura concessoria in forza del quale il privato acquista un diritto di natura reale, sul bene (Cass. sez. un. n. 9286/94, n. 6940/93, n. 1750/74: per effetto della legittimazione l'abusivo occupatore diventa titolare di un diritto soggettivo perfetto, con pienezza di facoltà). È ovvio, peraltro, che se a carico dei fondi è imposto il pagamento di un "canone enfiteutico" non esiste un diritto reale di proprietà, ma il diverso diritto di enfiteusi [Cass., n. 64/97]». ### l'interpretazione giurisprudenziale, deve ritenersi che per effetto del provvedimento di legittimazione sorge - ferma restando la proprietà dell'ente esponenziale - in capo all'interessato una posizione giuridica di diritto soggettivo «[…] al quale si riferiscono le indicazioni di cui alla ### n. 2 del 26.02.2006 ed alla risoluzione n. 1/2006 - prot. n. 18288 della ### del ### con specifico riguardo ai profili della trascrizione, quindi dell'opponibilità dello stesso diritto, e del regime fiscale cui è sottoposto il relativo provvedimento di legittimazione». [T.A.R. Latina ###, n. 5/11].  ### a categoria produce una “biforcazione” del regime dei beni collettivi: i boschi e i pascoli - categoria A - continuano ad appartenere alla collettività e l'ente esponenziale di quest'ultima (di solito il Comune, come nel caso di specie) può alienarli solo previa autorizzazione della ### (per la disciplina precedente al decentramento, previa autorizzazione ministeriale); i terreni suscettibili di coltura agraria - categoria B - sono assegnati in enfiteusi e possono, dopo l'affrancazione, essere alienati dall'assegnatario. 
Prima dell'assegnazione a categoria, il bene appartiene alla collettività ed è inalienabile e immutabile nella sua destinazione. I giudici costituzionali hanno tuttavia affermato che l'assegnazione a categoria è indispensabile soltanto quando il bene non sia ontologicamente classificabile in una delle due categorie previste dall'articolo 12 della legge, perché in caso contrario essa rappresenta un mero atto di accertamento dichiarativo la cui mancanza produce soltanto un vizio formale dell'autorizzazione ad alienare [C. Cost. n. 221/92]. 
Con riferimento ai terreni di categoria A (boschi e pascoli), poi, il medesimo articolo 12 stabilisce che i ### e le associazioni non potranno, senza autorizzazione ministeriale (ora autorizzazione regionale) «alienarli o mutarne la destinazione». 
La quotizzazione è, invece, la ripartizione dei terreni del demanio civico assegnati a coltura agricola (categoria B) fra i coltivatori diretti del luogo, cui segue l'obbligo di migliorare il fondo e corrispondere un canone: in virtù dell'articolo 13 della legge n. 1766/27 «i terreni indicati alla lettera b dell'art. 11 sono destinati ad essere ripartiti [...] fra le famiglie dei coltivatori diretti del Comune o della frazione»; e, come si è già esposto sopra, l'articolo 19 dispone che «l'assegnazione delle unità fondiarie risultanti dalla ripartizione è fatta a titolo di enfiteusi, con l'obbligo delle migliorie [...]», mentre per l'articolo 21 «non sarà ammessa l'affrancazione se non quando le migliorie saranno state eseguite [...]. Prima dell'affrancazione le unità […] non potranno essere divise, alienate, o cedute per qualsiasi titolo». La quotizzazione determina perciò la creazione di un diritto soggettivo di natura reale, qualificato dal legislatore come enfiteusi e fino all'affrancazione del canone enfiteutico, che presuppone i miglioramenti indicati dalla legge, il bene non è alienabile dal “quotista”. 
È orientamento fermo quello per cui il bene assegnato in enfiteusi non cessa di essere "bene demaniale" fino all'affrancazione del canone e dunque prima di allora non può essere oggetto di rapporti giuridici - né, evidentemente, essere usucapito. 
La conciliazione, infine, prevista dall'articolo 29 della legge, è considerato un contratto di diritto privato che si instaura tra il singolo e la collettività rappresentata dal Comune, sottoposto alla condizione sospensiva dell'approvazione dell'autorità superiore (prima il commissario per gli usi civici e attualmente la ###; secondo la giurisprudenza, la conciliazione converte il bene demaniale in bene allodiale, in favore del soggetto che vi addiviene; l'effetto della conciliazione omologata è equiparato a quello di una sentenza o di una decisione definitiva, come avviene per la transazione (la conciliazione, nella formulazione della legge, doveva essere omologata dal commissario per gli usi civici e sottoposta ad approvazione ministeriale: autorevole dottrina ritiene che oggi la procedura sia di competenza della sola ### atteso che non sarebbe coerente con il sistema prevedere un controllo dell'ente suddetto rispetto all'operato del commissario, il quale resta un organo dello Stato). 
Per quanto si è finora detto, dunque, fino all'assegnazione a categoria il bene è assolutamente incommerciabile e insuscettibile di essere usucapito; dopo l'assegnazione a categoria A (boschi e pascoli) esso è destinato per sempre a restare di proprietà pubblica (salva la compravendita per esigenze di pubblico interesse, adottata dal Comune e approvata dalla ### secondo il meccanismo di cui sopra); dopo l'assegnazione a categoria B (coltura agraria) il bene è posseduto in enfiteusi dal privato, che potrà disporre del relativo diritto reale (“allodio”) solo dopo l'affrancazione del canone; anche prima dell'assegnazione a categoria il bene è commerciabile nell'ipotesi di legittimazione in favore del possessore abusivo, secondo la procedura amministrativa prevista, o a seguito di procedimento di conciliazione.  ### il costante orientamento giurisprudenziale [cfr. per tutti Cass. 19792/2011], i beni gravati da uso civico sono da assimilare ai beni demaniali, stante l'espressa previsione legislativa della loro inalienabilità; e questo vale sia per i beni utilizzabili come bosco o pascolo permanente, che per quelli utilizzabili per le colture agrarie. I detti terreni, inalienabili, sono da considerare incommerciabili e insuscettibili di usucapione prima del completamento dei procedimenti di liquidazione o di “sclassificazione”. ### l'impostazione preferibile [ancora Cass. n. 19792/11; Cass. n. 4120/77] non è ammissibile neppure una vendita ad effetti obbligatori o di cosa altrui, né un'anomala «vendita del possesso» [Cass. n. 8528/96], né infine una divisione che comprenda nella massa beni gravati da uso civico [Cass. n. 8693/98]. 
Solo quando siano attivate e completate le procedure volte a far perdere all'immobile la sua destinazione all'uso civico, sorge in favore del possessore (anche abusivo, come nel caso di specie) un diritto soggettivo di natura privatistica: il bene si affranca dalla soggezione alla proprietà collettiva e il diritto di uso civico degrada, come si è detto e secondo l'interpretazione della giurisprudenza, al rango di diritto affievolito [Cass. n. 6589/83]; il provvedimento commissariale di legittimazione delle occupazioni abusive «conferisce al destinatario la titolarità di un diritto soggettivo perfetto di natura reale sul terreno che ne è oggetto, costituendone titolo legittimo di proprietà e di possesso» [Cass. n. 6940/93], il terreno riacquista piena commerciabilità (Cass. n. 6589/83, n. 1750/74, n. 1234/73] e può perfino essere assoggettato a esecuzione immobiliare [Cass. n. 1750/74]. 
Al di fuori dei più o meno rigorosi procedimenti di liquidazione dell'uso civico e prima del loro formale completamento, invece, prevale il pubblico interesse che aveva impresso al bene il vincolo dell'uso civico: il discorso si adatta pienamente anche alla questione oggetto del presente giudizio, conducendo a ritenere che i beni (pubblici o collettivi, nel senso ampiamente già illustrato) gravati da uso civico non sono suscettibili di usucapione. 
Nella fattispecie in questione, pur non risultando alcun provvedimento amministrativo di classificazione espressa, vi è prova dell'intervento della procedura di legittimazione che sembrerebbe essere addirittura stata seguita dalla affrancazione (tanto si intuisce dal prospetto prodotto dal Comune, in cui la “particella” legittimata in favore del ### riporta un decreto di affrancazione del 13 aprile 2010, repertorio n. 283/10). 
Sussistendo in origine la compresenza di un complesso di diritti soggettivi esercitabili uti singulus da ciascuno dei beneficiari dell'uso civico come appartenenti alla collettività dei cives, le situazioni da accertare sono molte e complesse e vanno verificate nel contraddittorio, almeno potenziale, con i singoli compartecipi e per essi con l'ente pubblico territoriale di riferimento individuato dal legislatore. Soltanto la garanzia dei passaggi procedurali già illustrati, volti a verificare l'effettiva perdita delle attitudini per cui il bene era stato destinato all'uso civico, può assicurare alla collettività indistinta dei partecipanti (diversi da chi intenda vantare un diritto individuale pieno ed esclusivo), in quanto tali contitolari del medesimo diritto, il controllo in ordine al venir meno di una situazione di sussistenza di quell'uso civico. 
Dunque soltanto a seguito del provvedimento amministrativo, scaturito dalle complesse procedure di verifica, può dirsi che il terreno oggetto di causa può formare oggetto di acquisto della proprietà per usucapione. 
Ricorrono in astratto, perciò, nel caso di specie i presupposti per l'acquisto a titolo di usucapione, non impedito dall'essere stato (in passato e fino alla procedura di legittimazione) il terreno gravato da uso civico e avendo la procedura di cui si è detto di fatto condotto a una sua sdemanializzazione tacita. 
E tuttavia non può giungersi all'accoglimento della domanda: è ostativa, infatti, la presenza sul suolo di un'unità abitativa totalmente abusiva e non sanabile.  ### è stato realizzato, come si evince dalla scrittura privata dell'8 settembre 1990, in epoca prossima al 12 aprile 1983 in cui fu effettuato un sopralluogo della polizia municipale (la domanda di condono, peraltro effettuata ai sensi del D.L. n. 649/94, riporta come epoca un abuso ultimato entro il 15 marzo 1985). Non è mai stata rilasciata concessione in sanatoria ed è opportuno evidenziare che nel caso di specie dagli elementi acquisiti non appaiono sussistere i presupposti amministrativi per l'accoglimento dell'istanza. 
Tale dato impone di valutare se possa o meno acquistarsi per usucapione la proprietà di un cespite abusivo, giacché la risposta positiva a questo interrogativo - come si ritiene alla luce delle argomentazioni che seguono - impone di considerare che in base al combinato disposto dell'articolo 1145 c.c. e dell'articolo 40, comma 2, della legge n. 47/85 il bene abusivo non può essere usucapito: l'articolo 1145 dispone infatti che «il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza effetto» e l'articolo 40 della legge n. 47/85 prevede la nullità degli atti traslativi della proprietà degli immobili abusivi definiti dai giuristi “di vecchia costruzione”. 
È bene ricordare che l'articolo 40 citato si riferisce, in collegamento con l'articolo 31 della medesima legge, a edifici o ad opere ultimate entro l'1 ottobre 1983. 
La norma, non abrogata dal testo unico che nel 2001 ha riordinato la materia, così dispone: «Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione di cui al sesto comma dell'art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 2 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo. 
Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente» La previsione della normativa urbanistica, anche con le modifiche che via, via si sono succedute e ben due condoni, ha posto la questione se la nullità prevista per gli atti traslativi sia semplicemente formale, ovvero dipendente dalla mera assenza in atto delle dichiarazioni cd. urbanistiche indipendentemente dalla situazione concreta del bene, oppure sostanziale e cioè comminata direttamente per la qualità «abusiva» del bene medesimo. 
La questione è stata oggetto di contrapposte interpretazioni e fino a tempi recenti era prevalsa in giurisprudenza la seconda delle due teorie; finché non è intervenuta una decisione resa a sezioni unite (Cass. n. 8230/19) che ha di nuovo ribaltato l'assetto. 
Si evidenzia fin d'ora che per chi scrive tale ultima interpretazione, pur resa a dirimere un asserito contrasto, non è condivisibile.  ### articolo 46 del D.P.R. n. 380/01 (###) dispone che «Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù». 
La norma recepisce la formulazione della legge urbanistica n. 47/85 che altrettanto prevedeva all'abrogato articolo 17.  ### 40 delle legge n. 47/85, come si è detto, contiene la disciplina con riferimento alle “vecchie” costruzioni le quali possono consistere in costruzioni non assentite perché rientranti in una tipologia che non richiedeva licenza (per esempio, le costruzioni fuori dell'abitato urbano prima dell'entrata in vigore della “legge ponte” 765/67 che, sostituendo l'articolo 31 della prima legge urbanistica n. 1150/42, aveva esteso l'obbligo della licenza edilizia all'intero territorio comunale); costruzioni per cui era stata rilasciata la vecchia licenza edilizia (vale a dire iniziate prima del 30 gennaio 1977); costruzioni assentite con la nuova concessione edilizia (ex legge ### dal 30 gennaio 1977) o, infine, costruzioni abusive per le quali era stata attivata la procedura di condono. 
Il legislatore del 1985, comprendendo nell'articolo 40 tutte le dette tipologie di svariate situazioni (e includendo nell'articolo 17 gli atti relativi a costruzioni iniziate dopo la sua entrata in vigore), ha stabilito che ai fini della commerciabilità dei beni fosse sufficiente l'indicazione in atto degli estremi della licenza edilizia (vale a dire del provvedimento autorizzativo rilasciato con questa denominazione prima dell'entrata in vigore della legge n. 10/77 - cd. “Bucalossi” -, che ha introdotto l'istituto della «concessione» edilizia: la terminologia in questo settore, com'è noto, non è neutra ma rispecchia diverse concezioni di valori in ordine alla conformazione della proprietà privata); oppure l'indicazione degli estremi della concessione in sanatoria (per costruzioni iniziate senza autorizzazione ma con attivazione del procedimento di sanatoria); oppure, infine, la dichiarazione (di parte e l'unica in atto resa ai sensi della legge n. 15/68, con la consapevolezza delle conseguenze penali in caso di dichiarazioni false o reticenti) che l'atto avesse a oggetto una costruzione iniziata anteriormente all'1 settembre 1967. 
Nell'ipotesi che fosse stato attivato il procedimento di sanatoria, poteva darsi il caso concreto che il procedimento, pur regolarmente attivato, non si fosse ancora concluso al momento della commercializzazione: per queste (non infrequenti) ipotesi, era possibile allegare all'atto traslativo la documentazione prevista, cioè la copia della domanda con le ricevute del versamento delle prime due rate di oblazione. 
Com'è noto, dopo l'entrata in vigore della legge n. 47/85, che aveva individuato il punto di partenza del 17 marzo 1985 per l'operatività dell'articolo 17 riguardo alle «nuove» costruzioni, il condono sfociato nella legge n. 662/96 e che ha dilatato i tempi della sanatoria (con correttivi vari per le zone vincolate) fino agli immobili ultimati alla data del 31 dicembre 1993 ha costretto gli interpreti e gli operatori del diritto (in primo luogo i notai) a ritenere applicabile l'articolo 40 in generale per tutte le costruzioni per le quali fosse stata chiesta una sanatoria e l'articolo 17 per le costruzioni fin dall'origine regolarmente assentite. 
Il testo unico del 2001 si è occupato solo della seconda categoria (infatti lasciando in vigore l'articolo 40 e abrogando l'articolo 17) e ciò è coerente, come è stato osservato dai migliori studiosi, con l'oggetto della legge e con il dato che il condono è - e dovrebbe essere - un fatto del tutto eccezionale rispetto alla disciplina dell'attività edilizia, dunque limitato nel tempo: per cui, esaurita questa finestra temporale, tutto il resto rientra nella categoria degli «atti a regime», vale a dire di atti il cui oggetto sia un bene realizzato fin dall'origine in virtù di provvedimento autorizzativo. Esaurita la fascia dei condoni, dopo l'entrata in vigore del T.U.  380/01 le costruzioni o sono assentite o possono esserlo successivamente sussistendo il presupposto della “doppia conformità” di cui all'articolo 36, che consente il provvedimento di sanatoria. E negli atti traslativi se la costruzione - successivamente all'1 settembre 1967 - è stata regolarmente assentita, dovrà essere inserita la dichiarazione di parte che ne enuncia gli estremi (e non importa che si tratti di costruzione anteriore o posteriore alla data di entrata in vigore della legge 47/85, di licenza, di concessione, di autorizzazione edilizia e così via); se la costruzione non è stata regolarmente assentita, ai fini della commerciabilità - sempre eccettuate le costruzioni iniziate anteriormente all'1 settembre 1967 - deve sussistere un provvedimento di condono, la cui procedura o sia in corso o sia regolarmente conclusa per provvedimento formale di sanatoria o per silenzio-assenso. 
Dunque una costruzione abusiva (se antecedente all'entrata in vigore del testo unico, non condonata nei tempi previsti; e se successiva non sanabile ai sensi dell'articolo 36) non è commerciabile. 
Si tratta, com'è stato giustamente osservato a essere precisi con le categorie giuridiche, di una incommerciabilità relativa: il termine, nato tradizionalmente per riferirsi a beni che non potevano in alcun modo formare oggetto di atti giuridici (i beni demaniali), è stato esteso anche in questa materia ma deve essere adoperato soltanto quando i beni immobili costituiscono oggetto di atti traslativi della proprietà o di atti costitutivi o traslativi di diritti reali e non per gli atti a effetti obbligatori, né per quelli a causa di morte, né per quelli posti in essere nell'ambito delle procedure esecutive. 
Entrambe le richiamate disposizioni hanno previsto (art. 17, comma 4, e art.  40, comma 3) la possibilità della "conferma" delle comminate nullità, nel caso in cui la mancata indicazione della concessione edilizia o la mancata dichiarazione o il mancato deposito di documenti non fossero dipesi dall'inesistenza, al tempo della stipula, della concessione o della domanda di concessione in sanatoria o, ancora, dal fatto che la costruzione fosse stata iniziata dopo l'1 settembre 1967: è stata prevista quindi la possibilità di conferma degli atti negoziali, anche da una sola delle parti, mediante atto successivo redatto nella stessa forma del precedente e contenente la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda di concessione in sanatoria. 
È opportuno ricordare, a questo punto, che il “disavanzo” temporale tra quanto disponeva la legge n. 47/85 (costruzioni realizzate prima e dopo il 17 marzo 1985) e quanto prevede l'attuale testo unico è stato superato per effetto di due successivi condoni, introdotti nel 1994 (legge n. n. 724/94, articolo 39) e nel 2003 (D.L. n. 269/03 convertito dalla legge n. 326/03, articolo 32, comma 25) per abusi commessi rispettivamente fino al 31 dicembre 1993 e fino al 31 marzo 2003 e in relazione ad alcune tipologie (sia di abusi che di fabbricati).  ### edilizio è materia che ha subito nei decenni numerosi interventi e nella direzione - a eccezione dei condoni intervenuti - di una sempre più rafforzata (anche sotto il profilo penale) tutela del territorio.  ### è tortuosa e si interseca con quella parallela, sempre più intensa dopo l'avvio dell'applicazione delle norme costituzionali, della concezione del diritto di proprietà come un diritto «conformato» secondo i principi, appunto, costituzionali. 
La timidezza della più risalente giurisprudenza nell'applicazione degli effetti della legge urbanistica (n. 1150/42) e della successiva cd. legge ### (n. 10/77) rende evidente la difficoltà, legata a più antiche categorie giuridiche e a tradizionali applicazioni delle norme civilistiche, di sganciare la difformità edilizia dalla sola categoria dell'inadempimento contrattuale. È stata così esclusa l'invalidità dei rapporti che avevano a oggetto costruzioni realizzate in assenza di licenza e la loro incommerciabilità sul convincimento che, in assenza di norma imperativa, non si potesse tirare in ballo il profilo della illiceità dell'oggetto del contratto in quanto il trasferimento della cosa è in sé insuscettibile di essere vagliato sotto il profilo della illiceità, la quale può piuttosto riguardare la produzione del bene e non la sua alienazione [Cass., n. 6466/90, n. 2631/84]; così ritenendo che dall'irregolarità edilizia potesse solo derivare la risoluzione per inadempimento o la domanda di diminuzione del prezzo o l'operatività della garanzia per evizione. In quest'ottica fu guardata anche la disposizione di cui all'articolo 15 della legga n. 10/77 che sancì la nullità degli atti traslativi delle costruzioni realizzate in assenza di concessione se non risultava che l'acquirente ne era a conoscenza (invalidità deducibile solo dal contraente in buona fede ignaro dell'abuso) [cfr. Cass. n. 8685/99, n. 3350/92]. ### che è stata dalla dottrina definita assurda, poiché faceva derivare la liceità del contratto dall'affermazione della consapevolezza della illegalità della costruzione che ne costituiva l'oggetto. 
Entrata in vigore la legge n. 47/85, mentre la dottrina pressoché unanime si è assestata sul profilo della nullità sostanziale, la giurisprudenza ha invece enucleato il concetto di «nullità formale» (pur assoluta e rilevabile d'ufficio) per riferirsi agli effetti della mancata dichiarazione e reputandola indipendente dalla situazione reale (se cioè il bene fosse o meno effettivamente abusivo: con il corollario paradossale che la dichiarazione falsa ma presente in atto non sarebbe causa di nullità). È stato affermato, anche in tempi relativamente più recenti, che le dichiarazioni urbanistiche costituiscono requisito formale del contratto, di modo che è l'assenza «che di per sé comporta la nullità dell'atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell'immobile che ne costituisce l'oggetto» [Cass. n. 8147/00; conformi da ultimo Cass. n. 14804/17, 16876/13, n. 20258/09 e più risalenti Cass. n. 26970/05, n. 5898/04, n. 5068/01]. 
Altra parte della giurisprudenza ha seguito invece la via della «nullità sostanziale», esigendo che alla dichiarazione di parte corrispondesse non solo l'esistenza della documentazione richiamata ma anche la situazione reale del bene [Cass. n. 18261/15, n. 25811/14, n. 28194/13, n. 23591/13, n. 20258/09], giacché scopo perseguito dalla norma è di rendere incommerciabili i beni immobili non in regola dal punto di vista urbanistico-edilizio: i giudici hanno affermato che «se lo scopo perseguito dal legislatore era quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico, sarebbe del tutto in contrasto con tale finalità la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico o per i quali è in corso la pratica per la loro regolarizzazione per motivi meramente formali, consentendo, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando eventualmente alle parti interessate assumere l'iniziativa sul piano dell'inadempimento contrattuale. Addirittura si potrebbe prospettare la possibilità per le parti di eludere consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto e poi immediatamente dopo concludendo una transazione con la quale il compratore rinunzi al diritto a far valere l'inadempimento della controparte. Sempre sotto il primo profilo non si può non considerare che il legislatore, con la L. n. 47 del 1985, ha inteso prevedere un regime più severo di quello previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 15, il quale prevedeva la nullità degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, ove da essi non risultasse che l'acquirente era a conoscenza della mancata concessione. Tale inasprimento, invece, sarebbe da escludere ove, per gli atti in questione, all'acquirente dovesse essere riconosciuta la sola tutela prevista per l'inadempimento» [così Cass. 23591/13]. È stato inoltre evidenziato che, nonostante la «non perfetta formulazione» della norma, dall'articolo 40 della legge n. 47/85 può desumersi «[…] l'affermazione del principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi». 
Tale interpretazione si avvale anche della disciplina espressamente prevista dal terzo comma, che consente la conferma dell'atto nel solo caso in cui la mancanza delle dichiarazioni o il deposito dei documenti non siano dipesi dall'insussistenza della licenza o della concessione o dall'inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati: «La previsione che la conferma, la quale sottrae alla sanzione della nullità, può operare solo se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti contemplati non sia dipesa dall'insussistenza della licenza o della concessione o dall'inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, non avrebbe senso se tali atti fossero ab origine validi» [ancora Cass. n. 23591/13]. 
A proposito del senso di tale filone interpretativo, perfino la recentissima pronuncia di segno contrario resa a sezioni unite ne evidenzia il «[…] chiaro intento di supportare, anche da un punto di vista schiettamente civilistico, il disvalore espresso dall'ordinamento rispetto al diffuso fenomeno dell'abusivismo edilizio», disvalore che «si coglie non solo in riferimento alle sanzioni penali ed amministrative variamente graduate che reprimono direttamente la commissione di abusi edilizi […], ma, in generale, in relazione alla percezione negativa di ciò che circonda il bene abusivo. 
Tanto si desume dalla giurisprudenza che ritiene nulli per illiceità dell'oggetto i contratti d'appalto aventi ad oggetto la costruzione di un immobile senza titolo abilitativo (Cass. n. 7961 del 2016; n. 13969 del 2011 e cfr., pure, n. 3913 del 2009; 2187 del 2011; n. ### del 2018), o non suscettibili di indennizzo espropriativo gli edifici costruiti abusivamente (a meno che, alla data dell'esproprio, sia stata avanzata domanda di sanatoria, pur non ancora scrutinata dalla P.A., ma con favorevole valutazione prognostica, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2 bis, Cass. n. 18694 del 2016; n. 10458 del 2017; n. 645 del 2018), ed, in assoluto, in relazione al valore conformativo della proprietà riconosciuto alla disciplina urbanistica (Cass. SU n. 183 del 2001 e successive conformi)» [Cass., sez. un. n. 8230/19]. 
E tuttavia tale ultima pronuncia avalla oggi una interpretazione strettamente letterale, affermando che «le norme pongono […] un medesimo, specifico, precetto: che nell'atto si dia conto della dichiarazione dell'alienante contenente gli elementi identificativi dei menzionati titoli, mentre la sanzione di nullità e l'impossibilità della stipula sono direttamente connesse all'assenza di siffatta dichiarazione (o allegazione, per le ipotesi di cui all'art. 40). Null'altro»; e attribuisce alla interpretazione sostanzialistica di aver dato corpo a «un'opzione esegetica che ne trascende il significato letterale e che non è, dunque, ossequiosa del fondamentale canone di cui all'art. 12 preleggi, comma 1, che impone all'interprete di attribuire alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione. La lettera della norma costituisce, infatti, un limite invalicabile dell'interpretazione, che è uno strumento percettivo e recettivo e non anche correttivo o sostitutivo della voluntas legis (cfr. Cass. n. 12144 del 2016), tanto che, in tema di eccesso di potere giurisdizionale riferito all'attività legislativa, queste ### hanno affermato che l'attività interpretativa è, appunto, segnata dal limite di tolleranza ed elasticità del significante testuale (cfr. Cass. S.U. n. 15144 del 2011; n. 27341 del 2014). La tesi della nullità generalizzata non è neppure in linea col criterio di interpretazione teleologica, di cui all'ultima parte dell'art. 12, comma 1, citato, che non consente all'interprete di modificare il significato tecnico giuridico proprio delle espressioni che la compongono, ove ritenga che l'effetto che ne deriva sia inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma è intesa (cfr. Cass. n. 3495 del 1996; n. 9700 del 2004 e giurisprudenza ivi citata) e ciò in quanto la finalità di una norma va, proprio al contrario, individuata in esito all'esegesi del testo oggetto di esame e non già, o al più in via complementare, in funzione dalle finalità ispiratrici del più ampio complesso normativo in cui quel testo è inserito (cfr. Cass. n. 24165 del 2018). […] Inoltre […], la lettera della norma costituisce il limite cui deve arrestarsi, anche, l'interpretazione costituzionalmente orientata dovendo, infatti, esser sollevato l'incidente di costituzionalità ogni qual volta l'opzione ermeneutica supposta conforme a costituzione sia incongrua rispetto al tenore letterale della norma stessa (Corte Cost.  sentenze n. 78 del 2012; n. 49 del 2015; n. 36 del 2016 e n. 82 del 2017). Nell'ipotesi in cui l'interpretazione letterale di una norma di legge o […] regolamentare sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l'interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l'esame complessivo del testo, della "mens legis", specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore. Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico sussidiario), l'elemento letterale e l'intento del legislatore, insufficienti in quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario e funzionale ad ovviare all'equivocità del testo da interpretare, potendo, infine, assumere rilievo prevalente rispetto all'interpretazione letterale soltanto nel caso, eccezionale, in cui l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo consentito all'interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell'ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la norma stessa è intesa» [Cass. sez. un. n. 8230/19 citata; conforme Cass. n. 24165/18 e precedente Cass. n. 5128/01]. 
Chi scrive ritiene di aderire a una diversa impostazione che si valuta più coerente con l'evoluzione del sistema giuridico nel suo complesso, secondo cui «l'interpretazione della ratio legis, o dello scopo della disposizione o dell'intenzione del legislatore è criterio previsto dall'art. 12 preleggi, quale complemento indefettibile dell'interpretazione letterale o secondo il significato delle parole, non essendo l'interprete libero di fermarsi al solo criterio dell'interpretazione letterale ma essendo vincolato ad attribuire, alle parole utilizzate dal testo della disposizione, il senso che risulta dall'intenzione del legislatore, tra i due criteri non sussistendo alcuna gerarchia ma piena osmosi» [Cass. n. 29834/18]. Non si tratta, cioè, di verificare prima il senso squisitamente letterale delle parole e in un secondo momento, se necessario, l'intenzione del legislatore, ma di compiere uno sforzo unitario in cui i due elementi sono complementari. 
Interpretare è “dare un senso” e questa attività non può fermarsi al dato letterale, cioè al mero significato di un'espressione linguistica: sarebbe sterile una interpretazione della norma che si fermasse al solo significato proprio delle parole, così come appare oggi (alla luce dell'evoluzione delle democrazie, dei diritti dell'uomo e del pensiero giuridico, della ### del peso degli ordinamenti sovranazionali e così via) antico ogni riferimento a influssi di positivismo giuridico che appaiono francamente superati. E la norma non può essere interpretata solo facendo applicazione del significato letterale delle parole, in modo avulso dal contesto e dal sistema in cui è inserita. La stessa disposizione di cui all'articolo 12 delle “preleggi” si riferisce alla lettera come «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse», termine da cui già può ricavarsi un'indicazione a favore dell'interpretazione sistematica che non escluda, ma anzi valorizzi, il contesto in cui le locuzioni si trovano (contesto inteso da una parte della dottrina non solo come la legge in cui le parole sono inserite, ma all'estremo addirittura come l'insieme dell'intero ordinamento giuridico in vigore). E la stessa «intenzione del legislatore» è stata intesa in senso oggettivo, come canone di ricerca di un significato conforme alla ratio legis e finanche alla ratio iuris. È in questo ambito che deve ritenersi che l'esito della interpretazione non possa poi non subire la “prova della lettera” e cioè pervenire a un significato opposto o assolutamente non contemplato dalla norma, travalicando del tutto il significato iniziale e producendone uno “nuovo” che non trovi fondamento alcuno nell'enunciato normativo oggetto di interpretazione (come sottolineato dai giudici a sezione unite nella pronuncia sopra citata, rammentando però in modo molto più ristretto i confini della ricerca). 
Sotto altro aspetto, è vero che «l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» [C. Cost n. 78/12], ma è anche vero che gli stessi giudici costituzionali hanno bollato la «interpretazione meramente letterale delle disposizioni normative» come «metodo primitivo» e che solo riaffermare la centralità dell'interpretazione sistematica «[…] consente una ricostruzione coerente dell'ordinamento costituzionale» [C. Cost n. 1/13]. 
Ora, secondo l'impostazione dei giudici di legittimità, lo scopo che le pronunce fautrici della teoria sostanziale sottolineano avrebbe potuto essere «agevolmente perseguito mediante una semplice previsione di nullità degli atti aventi ad oggetto siffatti immobili o d'incommerciabilità degli stessi», ma così non è stato e al contrario la nullità è stata prevista non in linea generale ma solo per specifici atti tra vivi a effetti reali, sicché la nullità comminata dalle disposizioni in parola non può essere «sussunta nell'orbita della nullità c.d. virtuale di cui all'art. 1418 c.c., comma 1, che presupporrebbe l'esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto […] non trova riscontro» nel testo normativo il quale si limita a specifiche ipotesi di nullità. Tale precisa elencazione impedirebbe dunque di considerare l'ipotesi di illiceità o impossibilità dell'oggetto oppure l'illiceità della prestazione o la causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume. 
Va rilevato che nel sostenere quest'ultima impostazione si fa riferimento ad altra antica e superata concezione della causa del contratto come «funzione economico sociale»: la sola alla quale si può connettere una affermazione per cui anche se la cosa è illecita la causa del contratto (scambio della cosa verso il corrispettivo del prezzo) resta lecita, giacché l'illiceità riguarda la produzione della cosa e non il suo trasferimento: impostazione che si pone su una linea completamente diversa da tutto l'assetto giurisprudenziale più recente e più avanzato che fa riferimento alla causa concreta del contratto per sostenere la rilevabilità d'ufficio delle nullità [sulla rilevabilità d'ufficio delle nullità, Cass., sez. un. n. 14828/12, 26242/14 e 26243/14 e, da ultimo, n. 12996/16, con l'affermazione rilevante della possibilità di predicare una soluzione unitaria in punto di rilevabilità officiosa della nullità contrattuale]. 
La lettera delle disposizioni va, piuttosto, esaminata in una prospettiva più larga e che non si nasconda, all'origine dell'introduzione, il problema - all'epoca ben più rilevante - di inserire una sanzione civilistica (la nullità dell'atto) in un contesto normativo prima caratterizzato soltanto dall'esistenza di sanzioni penali e solo più di recente anche da sanzioni amministrative - attualmente “il problema” ha una portata molto più relativa, come si evince per esempio dal dibattito in tema di nullità dei contratti di locazione non registrati (o tardivamente registrati) e all'impatto della norma tributaria quale norma imperativa -. 
Il problema di fondo è l'assetto del territorio e concerne le limitazioni che vengono imposte ai privati allo scopo di preservarne la conformazione e garantire che esso sia in linea con la normativa urbanistica (e oggi ambientale, storica, culturale). Le sanzioni penali e amministrative esigono, per avere seria valenza dissuasiva ed efficacia punitiva degli illeciti, adeguata organizzazione e capacità di rapido intervento da parte sia della P.A. che degli organismi inquirenti con la correlativa risposta giudiziaria (che, com'è noto, è in concreto quasi del tutto inefficace considerando i brevi termini di prescrizione degli illeciti penali).  ### operativa è stata perciò ottenuta influendo sull'aspetto che immediatamente e direttamente incide sugli interessi del privato e sulla sua attività speculativa: proprio intervenendo su quest'ultima si impedisce che essa sia realizzata e questo è l'aspetto più efficace nel sistema di prevenzione (oltre che di sanzione) dell'abusivismo, esattamente come accade in ambito penalistico con il sistema delle misure di prevenzione patrimoniale nel contrasto alla criminalità organizzata. 
Allargando l'ottica interpretativa senza restare sullo sterile piano meramente letterale e linguistico, la sanzione sul piano civile della nullità dell'atto per la illegittimità sostanziale della costruzione si raccorda con i principi di conformazione della proprietà privata derivabili dall'articolo 42 della ### ed è rilevante, inoltre, rammentare il percorso per il quale il legislatore vi è giunto: rammentare, cioè, che prima della nullità dall'articolo 17 della legge 47/85 (ora dall'articolo 46 del D.P.R.  n. 380/01) era stato disposto che «gli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione sono nulli ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione» (articolo 15 della legge n. 10/77). 
Vi è stata dunque una progressione da una norma che ancora poneva al centro la quasi totale libertà delle parti, considerando il puro aspetto delle conseguenze privatistiche dell'irregolarità edilizia, a una norma che ha spostato l'asse verso una visuale più ampia e che trascende i puri interessi privati per conseguire un generale interesse pubblico alla tutela del territorio e al contrasto dell'abusivismo e delle condotte che quel territorio abbrutiscono. 
Volendo superare il “metodo primitivo”, dunque, non si può eludere di constatare che le scelte linguistiche e letterali del legislatore (che non sempre è perfetto, è vero) nella costruzione delle norme giuridiche sono dettate dalle più diverse considerazioni che all'interprete, il quale non voglia rifugiarsi nella torre eburnea ma restare nella realtà, non possono sfuggire. 
E la formulazione della norma risponde a un'esigenza abbastanza evidente: il legislatore, per evitare di bloccare la contrattazione immobiliare, non ha preteso una documentazione oggettiva (rilasciata cioè dalla P.A.), il cui rilascio avrebbe richiesto tempi lunghi, né una documentazione affidata ad accertamenti oggettivi del notaio, pure lunghi nei tempi e in qualche modo lontani dalle usuali sfere di ricerca che a tale professionista si chiedono nell'esercizio dell'attività professionale; il legislatore ha scelto la via più semplice di una documentazione affidata alla dichiarazione di parte. 
Quest'ultima, la cui ragione sta nel non ostacolare eccessivamente la negoziazione privata, non si giustifica per se sola (che senso avrebbe prevedere la nullità dell'atto per la sola sua mancanza?) ma in quanto essa rappresenta lo strumento per conseguire l'interesse pubblico alla regolarità urbanistica del bene (e si noti, a tal proposito, che solo l'attestazione della costruzione a un'epoca antecedente all'1 settembre 1967 è imposta sotto la copertura della dichiarazione ai sensi - all'epoca - della legge 15/68). 
La legge n. 47/85 prima e ora il testo unico sono impostati e concepiti sull'intento di conseguire la regolarità urbanistica e ambientale (e oltre) dell'attività edilizia privata. 
È in questo contesto che il legislatore ha previsto l'atto di conferma per sanare una nullità formale non corrispondente a una mancanza (nullità) sostanziale, privilegiando - com'è stato osservato da un autorevole studio in materia - la realtà sull'apparenza: è questo principio che deve guidare l'interprete, facendogli ritenere che una presenza documentale o una dichiarazione false creerebbero pura apparenza e violando gli interessi concreti perseguiti dalla normativa nel suo insieme. Dalla mancanza sostanziale, dunque, deve farsi discendere la irreparabile e definitiva nullità dell'atto valutando (nella sostanza) la dichiarazione ### di parte, ove resa, come se non fosse stata apposta. 
Allora l'enunciazione data da ultimo dai giudici a sezioni unite come argomentazione a favore della nullità formale, per cui il legislatore avrebbe potuto altrimenti raggiungere lo scopo «mediante una semplice previsione di nullità degli atti aventi ad oggetto siffatti immobili o d'incommerciabilità degli stessi» perde di razionalità: per dare corpo a una norma del genere sarebbe stato necessario assicurare di volta in volta l'accertamento preventivo della qualità non abusiva del bene, con tutto il conseguente e prevedibile intralcio alla speditezza della circolazione degli immobili; mentre consentire i trasferimenti sulla scorta della dichiarazione di parte (sanzionando con la nullità sostanziale la sua mancanza in concreto in caso di dichiarazioni false e consentendo la conferma in caso di mancanza puramente formale) la semplifica e consente al tempo stesso, se non la si restringe a una mera asserzione formale, a garantire la sostanzialità dello scopo perseguito dalla normativa urbanistica: rispetto, regolarità e legalità nell'assetto del territorio. 
Nemmeno si condividono gli ulteriori argomenti posti dalla citata sentenza, tra cui la scelta di non comminare alcuna sanzione ad altri tipi di atti. 
Com'è stato acutamente e autorevolmente osservato, l'esclusione degli atti mortis causa deriva molto semplicemente dal dato che essi non hanno né natura né intento speculativo (ciò che invece nella negoziazione tra vivi di immobili irregolari il legislatore vuole contrastare) perché non può darsi tale natura giuridica a un atto la cui funzione è disciplinare l'attribuzione del proprio patrimonio per effetto della propria morte: il fine speculativo presuppone infatti per definizione logica l'esistenza in vita del soggetto che intende, appunto, speculare e non il suo decesso. Analoga motivazione può darsi alla esclusione dei negozi costitutivi di servitù, i quali tendono a soddisfare esigenze del fondo dominante conservando allo stesso tempo la sua proprietà in capo al titolare e così la garanzia, che non conduce al trasferimento del bene garantito del fondo dominante; mentre la disciplina per le procedure esecutive si pone comunque sull'assetto della doppia conformità e sulla necessità di regolarizzare il bene abusivo. 
È opportuno, infine, precisare che non ogni abuso edilizio determina l'incommerciabilità del bene, ma solo quelli classificabili nel novero dell'assenza o della difformità totale o essenziale nei termini indicati oggi dal D.P.R. n. 380/01: soltanto irregolarità di questo tipo, infatti, sono contigue alla interpretazione sistematica di cui si è detto e coerenti con la direzione legislativa. 
In presenza di un immobile privo dei requisiti che ne consentano la commerciabilità, analogamente a quanto l'orientamento preferibile valuta in tema di giudizio di divisione, non può che pervenirsi al rigetto della domanda con cui si chiede di dichiarare l'avvenuta usucapione del bene, per l'illiceità e comunque per l'impossibilità giuridica relativa dell'oggetto del giudizio, giacché non può essere consentito all'autorità giudiziaria la produzione di effetti sostanziali vietati all'autonomia privata. 
Diversamente opinando, la via giudiziale consentirebbe di aggirare il meccanismo normativo e ottenere per altra via un risultato vietato, quello cioè per cui - come si è detto all'inizio - il bene abusivo non può essere usucapito poiché l'articolo 1145 c.c. dispone che «il possesso delle cose di cui non si può acquistare la proprietà è senza effetto». 
Né può aversi pronuncia solo relativamente al suolo, trattandosi di un bene ontologicamente diverso da quello effettivo. 
Quanto alla domanda riconvenzionale, va rammentato che il convenuto ha chiesto di «accertare l'esatto adempimento della procedura prevista» e «la verifica del compenso per la liquidazione dei diritti sul fondo gravato di usi civici», senza apportare alcun elemento probatorio al riguardo: eppure la parte pubblica ben avrebbe potuto e dovuto svolgere le proprie verifiche presso i propri uffici, non potendosi demandare la detta attività di accertamento all'opera di un consulente tecnico d'ufficio che conducesse un'attività peritale sostanzialmente esplorativa. 
In ragione della soccombenza reciproca e della controversa complessità delle questioni trattate, le spese processuali possono essere interamente compensate.  P.Q.M.  ### in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) rigetta la domanda principale; 2) rigetta le domande riconvenzionali; 3) compensa per l'intero le spese di lite.  ### 16 luglio 2019 la giudice ### 

causa n. 1142/2016 R.G. - Giudice/firmatari: Bianco Carla

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