testo integrale
###esito della camera di consiglio il giudice ha dato lettura della presente sentenza in assenza delle parti.
TRIBUNALE DI SALERNO ### sezione civile ### giudice, dott. ### ha pronunziato, la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al ruolo generale degli affari civili contenziosi dell'anno 2021 il 22 febbraio 2021 al numero 1422 avente per oggetto una controversia in materia di responsabilità da circolazione stradale TRA ### rappresentato e difeso, giusta procura stesa in calce all'atto di citazione dall'avv. ### presso lo studio del quale sito in ### alla via ### n. 9, è elettivamente domiciliato; #### S.P.A., nella qualità d'impresa designata alla gestione dei danni del ### vittime della ### per la ### rappresentata e difesa, in virtù di procura alle liti stesa in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall'avv. ### presso lo studio della quale, sito in ### alla via F. Manzo 31 è elettivamente domiciliata; ###'esito dell'udienza dell'11 dicembre 2024 le parti hanno discusso la causa e il Tribunale sulla scorta delle conclusioni rassegnata ha dato lettura della sentenza in assenza delle parti. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 2021 ### ha convenuto in giudizio ### s.p.a., quale impresa designata per la regione ### alla gestione del ### vittime della strada, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della condotta di guida assunta il 27 giugno 2018, alle ore 11,27, dal conducente di un veicolo rimasto ignoto, che lo aveva investito durante il compimento delle manovre utili a salire su uno dei due marciapiedi posti a delimitazione di quella parte della carreggiata - priva di segnalazioni semaforiche per l'attraversamento pedonale, di dissuasori di velocità e di strisce pedonali - collocata su via ### nel comune di ### all'altezza del civico 279.
In particolare, l'attore ha riferito che: a) nelle richiamate circostanze di tempo e di luogo, una volta attraversata la strada, mentre era in procinto di salire sul marciapiede collocato sul opposto rispetto a quello ove aveva parcheggiato il proprio veicolo, era stato improvvisamente attinto sul fianco destro da una autovettura diretta ad alta velocità da ### a ### sul ### b) il violento impatto, avvenuto con la parte anteriore destra dell'autovettura e della fiancata, lo aveva fatto cadere a terra rovinosamente; c) il conducente dell'auto, pur avvedutosi dell'impatto, non aveva né rallentato né fermato il moto del veicolo, proseguendo la marcia; d) avevano assistito al sinistro alcuni testimoni, che avevano prestato i primi soccorsi e avevano avvertito il sevizio dell'ambulanza; e) l'impatto era avvenuto alla fine del rettilineo di via ### f) non era stato possibile per i presenti annotare il numero di targa dell'auto pirata, poiché, pochi metri dopo il luogo d'impatto, una curva a destra, al di sotto del ponte autostradale, aveva eliminato ogni visuale; g) trasportato immediatamente con il servizio di autoambulanza “118” presso il vicino presidio ospedaliero di ### era stato sottoposto a una serie di accertamenti, tra cui RX e TC del torace, della colonna cervicale, del bacino, dorsale, anca dx, gamba dx, ginocchio dx, polso sin., cranio addome, rachide cervicale ed altri, all'esito dei quali era disposto il ricovero per venti giorni; e) in data 28 giugno 2018, aveva sporto denuncia contro ignoti e che il procedimento penale instaurato era stato archiviato; f) non era gli era addebitabile alcun profilo di responsabilità colposa nella determinazione del sinistro e, pertanto, aveva diritto all'integrale ristoro dei pregiudizi patiti, patrimoniali e non patrimoniali.
In data 27 aprile 2021 si è costituita ### s.p.a., stimolando la prova della proponibilità della domanda e pretendendone, in ogni caso, il rigetto, in quanto infondata in fatto e in diritto.
Svolta l'istruttoria orale, disposto lo svolgimento di una consulenza tecnica d'ufficio e vanificati i tentativi di conciliazione auspicati, questo giudice ha fissato l'udienza per la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c., all'esito della quale ha dato lettura della sentenza in assenza delle parti.
In limine, va affermata la titolarità dell'interesse ad agire in capo all'attore e la sua legittimazione all'azione.
Sul punto, giova rammentare che l'interesse ad agire è una condizione dell'azione consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice (si confrontino ex multis Cass. n. 2057 del 2019; Cass. n. 6749 del 2012; n. 8464 del 2011).
È chiaro che l'interesse ex art. 100 c.p.c. va considerato con riferimento al solo vantaggio che l'istante si è ripromesso nel proporre la domanda (Cass. n. 8236 del 2003) e deve avere le caratteristiche della concretezza e dell'attualità, dovendosi risolvere in una utilità pratica che l'attore può ottenere con il provvedimento chiesto al giudice (Cass. n. 6918 del 2013; Cass. n. 13906 del 2002).
Ora, nel caso di specie, non vi è dubbio che l'attore sia portatore di un concreto e attuale interesse all'azione di condanna sperimentata, potendo dall'accoglimento della stessa certamente ricavare un risultato utile per la propria sfera giuridica, risultato che, allo stato, non appare ottenibile senza la mediazione dell'autorità giudiziaria.
Analogamente, non può dubitarsi della legitimatio ad causam di ### il quale, con l'introduzione del giudizio, ha azionato un diritto di credito al risarcimento del danno di cui ha prospettato la titolarità (si veda n. ### del 2021; Cass. sez. un. 2951 del 2016).
Tanto chiarito, il Tribunale ritiene che l'azione sia proponibile.
La questione va certamente esaminata alla luce della lettura coordinata degli artt. 145, comma primo, e 148 del citato d.lgs. n.209 del 2005. Più in dettaglio, la norma di cui all'art. 145, comma primo, nel disciplinare l'azione risarcitoria diretta del danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, evoca i passaggi procedimentali di cui al successivo art. 148, il quale enuclea modalità e contenuti della richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione, individuata quale condizione di proponibilità della domanda giudiziale.
La disposizione in commento riprende il contenuto dell'art. 22 della legge 990 del 1969 e, nel subordinare l'esercizio dell'azione risarcitoria diretta alla preventiva richiesta del danno all'assicuratore ed al decorso del termine di sessanta giorni dalla medesima, fissa una condizione di proponibilità dell'azione stessa, la cui ricorrenza deve essere riscontrata anche d'ufficio ed in sede di legittimità, salva la preclusione derivante dalla formazione del giudicato per la mancata impugnazione sul punto. Detta condizione di proponibilità è posta dalla legge senza distinzione tra le persone contro cui venga proposta, cumulativamente o singolarmente, per cui è improponibile anche la domanda ex art. 2054 c.c., promossa contro il proprietario ed il conducente del veicolo, qualora non sia stata promossa oltre il termine di sessanta giorni dalla richiesta di risarcimento all'assicuratore r.c.a. (si confrontino Cass. n. 15138 del 2000; Cass. n. 2336 del 2001; Cass. n. 18493 del 2006; Cass. n. 13537 del 2007; Cass. n. 12910 del 2014; Cass. n. 14873 del 2019).
La sanzione dell'improponibilità è evidentemente posta a presidio della corretta gestione del sinistro da parte della compagnia assicuratrice e risulta funzionale al raggiungimento dell'interesse pubblico a che vengano instaurati processi civili in un'ottica di sussidiarietà, solo laddove, cioè, i soggetti coinvolti nella vicenda abbiano tenuto un comportamento prodromico alla realizzazione di una soluzione stragiudiziale della controversia, conseguendone, ad esempio, la possibilità per il giudice di inviare copia della sentenza all'I.S.V.A.P. nel caso in cui venga ravvisato che l'assicuratore nella fase stragiudiziale abbia tenuto un comportamento meramente dilatorio ovvero ostruzionistico (comma 10 dell'art. 148 cod. ass.).
Giungendo all'esame del caso concreto, risulta agevole osservare, innanzitutto, come l'eccezione sollevata dalla convenuta, a ben vedere, appare un'esortazione alla parte attrice a fornire la prova della corretta instaurazione della fase preprocessuale (“In via preliminare, l'attore deve provare che sussistano le condizioni di proponibilità della domanda ex art. 287 Cod.
Ass.”). Nondimeno, la questione della proponibilità della domanda, afferendo a un presupposto processuale, è delibabile - ripetasi - ex officio dal giudice, salva la preclusione derivante dalla formazione del giudicato per la mancata impugnazione sul punto.
Ora, ritiene il Tribunale che la missiva costruita dalla parte attrice - trasmessa alla ### s.p.a. e alla ### s.p.a. - contiene tutti gli elementi necessari alla valutazione e stima del danno così come richiesto, con precipuo riferimento alla dinamica del sinistro, alle condizioni, anche patrimoniali del danneggiato, e alle lesioni patite.
Esaurito l'esame delle questioni preliminari, è ora possibile delibare il merito della controversia, involgente un'ipotesi di sinistro stradale cagionato da veicolo non identificato di cui alla lettera a) dell'art. 283 d.lgs. n. 209 del 2005.
Come noto, il danneggiato che promuove azione di risarcimento danni nei confronti del ### di garanzia per le vittime della strada, nei casi previsti dall'art. 283, lett. a), d. lgs. cit., (già 19, lett. a, della legge 990 del 1969), è tenuto a provare: a) la verificazione del sinistro e i suoi concreti profili dinamici; b) la riconducibilità dell'evento alla condotta dolosa o colposa del conducente di altro veicolo; c) che il conducente dell'altro veicolo sia rimasto sconosciuto; d) il nesso di causalità tra il sinistro e le conseguenze pregiudizievoli che lamenta (si vedano già Cass. n. 10762 del 1992 e Cass. 12304 del 2005).
Tanto puntualizzato, all'esito del dibattito processuale questo Tribunale ritiene provata sia la verificazione del sinistro stradale, come descritto dalla parte attrice, sia l'esclusiva responsabilità del conducente del veicolo rimasto sconosciuto.
Ed invero, il testimone ### ha confermato la prospettazione dell'attore, riferendo, in particolare: a) del tentativo di ### di salire sul marciapiede; b) dell'urto col veicolo di piccole dimensioni, di colore grigio; c) della perdita d'equilibrio e della rovinosa caduta sul marciapiede; d) del dileguamento della vettura.
Le dichiarazioni di ### circa la collisione, la spinta del pedone in avanti, la perdita dell'equilibrio, la caduta e il colore dell'auto hanno, poi, trovato riscontro in quanto riferito da ### e da ### anch'essi testimoni oculari dell'evento. In particolare, ### ha riferito di avere assistito al sinistro da posizione ravvicinata (“Io ero proprio di fronte ed ho visto l'incidente”).
Più in dettaglio, i testimoni escussi hanno fornito un contributo dichiarativo utile a rappresentare con nitidezza la condotta di guida del conducente del veicolo ignoto, identificato anche nelle dimensioni e nel colore, la collisione tra quest'ultimo e il corpo dell'attore, nonché la perdita d'equilibrio di quest'ultimo, spinto in avanti sul marciapiede (### ha dichiarato: “In merio al capo 6) ricordo che venne sbalzato sul marciapiede, in quanto lo stesso sig. ### vi stava salendo sopra;” dal canto suo, ### ha riferito quanto segue: “Ero a circa settanta metri ed ho visto l'auto investire un pedone e questi è caduto a terra, poi ho svoltato e non ho visto più nulla”; infine ### ha riferito: “Ho visto quest'auto che correva colpire il ### farlo sbalzare e spingerlo sul marciapiede, ma più avanti rispetto al punto di impatto; Io ero proprio di fronte ed ho visto l'incidente;”; e ancora: “### si trovava in prossimità del marciapiede e la macchina lo ha colpito facendolo sbalzare in avanti e poi a terra”).
La distanza dal luogo di verificazione del fatto non appare, poi, una circostanza rilevante per la formulazione un giudizio d'intrinseca inattendibilità dei testimoni ### e ### tenuto conto del fatto che la linearità del tratto stradale e l'assenza di ostacoli visivi [“Io mi trovavo a circa quattrocento metri dal luogo dell'investimento, ma la strada in quel punto è rettilinea ed era libera la mia visuale (###] hanno certamente reso agevole la percezione sensoriale del sinistro nei suoi aspetti essenziali, quali la collisione tra la vettura e il corpo dell'attore, la spinta dello stesso sul marciapiede e la caduta, il colore e le dimensioni del veicolo e il dileguamento del conducente, aspetti rappresentati chiaramente in sede di escussione testimoniale.
Va soggiunto che la mancata indicazione del punto d'impatto [invero ### ha riferito del punto d'impatto confermando il capo 5) della memoria istruttoria depositata ai sensi dell'art. 183, comma sesto, n. 2, c.p.c. (“vero è che l'autovettura, con la sua parte anteriore destra e con la fiancata destra, colpiva il sig. ### sul fianco destro”)] non inficia la valutazione di genuinità del contributo narrativo offerto dai testimoni, atteso che può ragionevolmente ritenersi che gli effetti emotivi suscitati dalla visione del sinistro abbiano impedito la cristallizzazione del ricordo su talune circostanze di portata senza dubbio secondaria, in quanto incapaci di accentrare il disvalore del fatto.
Del resto, quanto dichiarato dai testimoni risulta trovare riscontro, almeno in parte, anche nelle sommarie informazioni rese da ### alla polizia giudiziari - prova atipica in questo giudizio (Cass. n. 22020 del 2007; Cass. n. 18210 del 2008; Cass. n. 16305 del 2003) -, la quale, in data 29 novembre 2018, ha riferito di aver percepito, dalla propria abitazione, il rumore riconducibile a quelli generati dall'impatto di una vettura contro un “oggetto fermo”, rappresentando anche di avere visto un uomo a terra e una vettura “che sebbene aveva visto il ferito non si è fermato a soccorrerlo”.
Accertati i profili dinamici del sinistro, questo giudice, nel procedere alla corretta qualificazione giuridica dei fatti oggetto di controversia, verificando quale spettro normativo è capace di accogliere gli elementi della fattispecie concreta sottoposti al suo esame, ritiene che l'evento vada ricondotto all'interno dell'art. 2054, primo comma, c.c., in base alla quale il conducente del veicolo è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o cose dalla circolazione del veicolo, salvo che non provi di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
In altri termini, la responsabilità del conducente si presume, salvo questi non provi di aver fatto tutto il possibile per scongiurare l'evento o che lo stesso danneggiato abbia realizzato una condotta illecita che, concretamente, abbia assunto rilievo eziologico, esaustivo o concorrente, rispetto alla verificazione dell'incidente.
Nell'ipotesi di investimento di un pedone, in particolare, deve escludersi la responsabilità del conducente ai sensi dall'art. 2054 c.c. ove risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento; tale situazione ricorre allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anomala, tale da sorprendere il conducente, sicché l'automobilista si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso, dovendo pertanto escludersi la responsabilità del conducente ove risulti provato che non vi era da parte di quest'ultimo alcuna possibilità di prevenire l'evento (in questo senso si veda Cass. n. 20307 del 2014).
Detto altrimenti, ciò che rende immune il conducente da un giudizio di responsabilità risarcitoria è l'accertamento dell'abnormità del contegno assunto dal pedone.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui il dovere di attenzione del conducente teso all'avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare si confrontino sul punto, Cass. pen. n. 44651 del 2005; Cass. pen. n. 40908 del 2005).
Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, siano essi genericamente imprudenti o violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall'art. 190 d.lgs. 285 del 1992 (cd. codice della strada). Il conducente, infatti, ha anche l'obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (si veda Cass. n. 1207 del 1992).
Per costante orientamento giurisprudenziale, però, la presunzione di colpa del conducente investitore prevista dalla norma predetta non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, nel senso che se il conducente del veicolo investitore non ha fornito la prova idonea a vincere la suddetta presunzione, non è preclusa l'indagine da parte del giudice di merito in ordine al concorso di colpa del pedone investito ai sensi dell'art. 1227 pacificamente rilevabile ex officio (vedasi Cass. n. 2127 del 2006). In tale ottica, una volta accertata la pericolosità e l'imprudenza della condotta del pedone, la colpa dello stesso concorre con quella presunta del conducente, di cui all'art. 2054 c.c. (in tal senso, si vedano, ex plurimis, Cass. n. 24204 del 2014; Cass. n. 3966 del 2012; Cass. n. 14064 del 2010; Cass. n. 24689 del 2009).
Tirando le fila, può concludersi che: ### il pedone può essere ritenuto responsabile esclusivo del sinistro soltanto quando si pari improvvisamente ed imprevedibilmente dinanzi a traiettoria del veicolo; ### la violazione di una regola di condotta da parte del pedone non è di per sé sufficiente a ritenere la colpa esclusiva di quest'ultimo; ### la violazione di una regola di condotta da parte del pedone è però sufficiente a ritenere un concorso di colpa del pedone stesso, ex art.1227 c.c., nella causazione del sinistro.
Ebbene, il dibattito processuale non ha evidenziato alcuna violazione di regole cautelari da parte del pedone, il quale aveva già compiuto le manovre di attraversamento stradale ed era ### impegnato nel salire sul marciapiede [### e ### testi oculari sebbene a distanze diverse, hanno confermato il capo 1) della memoria istruttoria depositata ai sensi dell'art. 183, comma sesto, n. 1 c.p.c. (“1)vero è che in data ###, alle ore 11,27 circa, in ####, in via ### all'altezza del civico 279, il sig. ### dopo aver attraversato la strada e nel mentre si accingeva a salire sul marciapiede opposto, veniva improvvisamente colpito da una autovettura, che procedeva in direzione ### sul Tusciano”)].
In tale ottica, non può riconoscersi neppure una compartecipazione causale, rilevante ai sensi dell'art. 1227 c.c., in capo a ### dovendosi affermare l'esclusiva responsabilità del conducente della vettura di colore grigio, rimasto ignoto, e l'obbligo risarcitorio dell'odierna convenuta.
Proprio sotto tale ultimo angolo prospettico giova evidenziare che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, l'art. 19, comma 1, lettera a) della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (ora 286 d.lgs. 209 del 2005), nello stabilire che l'azione per il risarcimento dei danni cagionati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti per i quali vi è l'obbligo di assicurazione è ammessa nel caso in cui il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato, ha inteso riferirsi con quest'ultima espressione ai veicoli ed ai natanti che siano rimasti sconosciuti. È dunque onere del danneggiato che agisca in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, dimostrare sia che il sinistro si sia verificato per condotta dolosa o colposa del conducente di un altro veicolo o natante, sia che quest'ultimo sia rimasto sconosciuto (si veda, ex multis, già Cass. n. 1860 del 1990). ### il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in caso di sinistro stradale causato da veicolo rimasto non identificato, l'omessa denuncia dell'accaduto all'autorità di polizia o inquirente non è sufficiente, in sé, a giustificare il rigetto della domanda di risarcimento proposta nei confronti dell'impresa designata dal ### di ### per le vittime della strada e che, allo stesso modo, la presentazione di denuncia o querela contro ignoti non vale, in sé stessa, a dimostrare che il sinistro sia senz'altro accaduto, potendo entrambe le suddette circostanze, al più, costituire meri indizi dell'effettivo avveramento del sinistro (si vedano Cass. n. 20066 del 2013, Cass. n. 18532 del 2007).
Ciò posto, questo giudice ritiene che l'odierno attore abbia assolto all'onere probatorio relativo dell'impossibilità incolpevole dell'identificazione del veicolo. ### infatti, non solo ha presentato tempestiva denuncia all'autorità giudiziaria, ma ha altresì fornito la prova della circostanza che, successivamente all'impatto, il conducente dell'autovettura di colore grigio si sia allontanato repentinamente, non consentendo la sua identificazione.
Quanto precede emerge dalle dichiarazioni dei testi ascoltati nel corso dell'udienza celebrata il 26 ottobre 2022 i quali hanno riferito di non essersi avveduti del conducente e della targa del veicolo, repentinamente allontanatosi (“### non si fermò e continuò la corsa”; e ancora: “Ero a circa settanta metri ed ho visto l'auto investire un pedone e questi è caduto a terra, poi ho svoltato e non ho visto più nulla;” infine: “### dire solo che era un auto scura, ma non so il tipo, e non ho potuto prendere il numero di targa perché l'auto correva;”).
Tutti questi elementi, dunque, complessivamente considerati, inducono il tribunale a ritenere provata la circostanza che la mancata identificazione del veicolo danneggiante sia dipesa da cause non suscettibili di essere imputate all'attore.
Tanto chiarito in punto di esclusiva responsabilità del conducente rimasto ignoto, si tratta di quantificare i danni subiti dall'attore.
Ed allora, giova stabilire, in questa sede, gli effettivi pregiudizi correlati all'invalidità permanente e temporanea conseguenti alla lesione alla salute, basandosi sulla consulenza tecnica in atti, integralmente richiamata in questa sede, che è, a parere di questo giudice, fondata su un percorso motivazionale congruo immune da vizi logici, sviluppato sulla scorta di indagini accurate e tecnicamente corrette, anche in relazione alle risposte fornite alle osservazioni critiche delle parti [il giudice “non è tenuto a rispondere a ogni e qualsiasi rilievo del consulente tecnico di parte, ma è sufficiente che dal complesso della motivazione si evinca che esse sono state prese in considerazione e adeguatamente contrastate dal consulente tecnico d'ufficio, le cui conclusioni siano state recepite dal giudicante” (si veda, al riguardo, Cass. n. 1257 del 2012); e ancora: “il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, sicché non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d'ufficio di cui dichiari di condividere il merito, limitandosi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall'esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (si confrontino Cass. n. 4352 del 2019; Cass. n. 7364 del 2012; Cass. n. 10222 del 2009; Cass. n. 10668 del 2005)].
In tema, giova premettere che il danno biologico da invalidità temporanea e quello da invalidità permanente sono della stessa natura, poiché costituiscono sempre la conseguenza di una lesione dell'integrità psicofisica del soggetto: ciò che muta è la durata e l'esito del detto danno.
Invero, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione dell'integrità psicofisica consegue sempre un periodo di invalidità temporanea, alla quale può conseguire talora un'invalidità permanente. Per l'esattezza l'invalidità permanente si considera insorta allorché dopo che la malattia ha compiuto il suo decorso, l'individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità.
Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. La nozione medicolegale di "invalidità permanente" presuppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile. Ne consegue che durante lo stesso individuato periodo di tempo non possano concorrere, come pure ritenuto dai ricorrenti, sia il danno biologico temporaneo che quello permanente.
Solo alla cessazione del primo, può instaurarsi il secondo.
Va, infatti, osservato che il danno biologico da invalidità temporanea costituisce un aspetto della più generale categoria del danno biologico, e può essere liquidato sia unitamente a quest'ultima, sia separatamente, purché la liquidazione complessiva sia commisurata alla reale entità del danno (Cass. 101 del 1999; Cass. n. 3563 del 1996; Cass. n. 10966 del 1998).
Se detti aspetti del danno biologico fossero liquidati contemporaneamente per lo stesso periodo di tempo, si giungerebbe alla duplicazione di liquidazione per lo stesso danno: ciò è estraneo alla tutela aquiliana, che, avendo natura risarcitoria, esclude la possibilità ' di locupletazione (si veda Cass. n. 3806 del 2004).
Fatte queste premesse, deve segnalarsi che il consulente dell'ufficio ha riscontrato in ### un “politrauma con frattura della pelvi, frattura pluriframmentaria scomposta polso sinistro, frattura angolo superiore di sinistra del soma di D 11, trauma cranico non commotivo con diplopia binoculare post traumatica e moderato disturbo postraumatico da stress cronico”, valutato, condivisibilmente, la compatibilità delle lesioni patite coi profili dinamici dell'evento e determinato, nel contempo, entrambe le conseguenze della lesione della salute patita avendo riscontrato, in particolare: a) un'invalidità temporanea temporanea totale di sessanta giorni, parziale al cinquanta per cento di sessanta giorni e parziale al venticinque percento di venti giorni; b) un'invalidità permanente nella misura determinata tra del venti per cento dell'integrità psico fisica. ### ha poi evidenziato la stabilizzazione del quadro clinico, non più suscettibile di miglioramento mediante terapie specifiche, peraltro già praticate, dando atto così della sottoposizione del danneggiato agli interventi comunque utili all'emenda delle lesioni.
Ora, per tradurre in termini monetari le risultanze medico-legali surriferite, è necessario ricorrere al potere di liquidazione equitativa riconosciuto al giudice dall'art. 1226 c.c., richiamato, per la responsabilità extracontrattuale, dall'art. 2056 c.c. In particolare, l'art. 1226 c.c., nel prevedere che, se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, "per una parte risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l'altra ha natura di clausola generale, cioè di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso". Più precisamente, "l'art. 1226 richiede sia che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, la prova del danno nel suo ammontare, sia che risulti assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno medesimo.
Quale clausola generale, l'art. 1226 viene a definire il contenuto del potere del giudice nei termini di valutazione equitativa" (così Cass. n. 10579 del 2021 e, nello stesso senso, Cass. n. 28990 del 2019).
Nella concretizzazione della clausola generale dell'equità in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve perseguire il massimo livello di certezza, uniformità e prevedibilità del diritto, così da assicurare la parità di trattamento di cui l'equità integrativa è espressione. Difatti, "l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti uffici giudiziari" (Cass. n. 10579 del 2021; Cass. n. 12408 del 2011).
In tale prospettiva, le tabelle, siano esse giudiziali o normative, sono uno strumento idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all'art. 1226 c.c. e di addivenire ad una quantificazione del danno rispondente ad equità, nell'effettiva esplicazione di poteri discrezionali, e non già rispondenti ad arbitrio (quand'anche "equo"). E così, in tale prospettiva, ritiene questo giudice, anche alla luce della consolidata giurisprudenza della Suprema Corte (in tal senso si veda Cass. n. 14402 del 2011) di poter fare applicazione delle “### per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica" predisposte dal Tribunale di Milano (aggiornate da ultimo all'anno 2024), in quanto esse costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., là dove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o in diminuzione (non risultano ancora pubblicate le tabelle normative delle cd. macropermanenti).
Orbene, sulla scorta dei parametri equitativi forniti dalle tabelle richiamate, il danno biologico da invalidità temporanea va liquidato, all'attualità, in complessivi euro 10.925,00, tenendo conto che vanno riconosciuti euro 115,00 per ogni giorno di invalidità temporanea assoluta, in ragione dei trattamenti praticati, stante la mancata allegazione e prova di peculiarità del caso di specie.
Quanto all'invalidità permanente, tenuto conto dell'età dell'attore al momento della stabilizzazione dei postumi, ossia all'esito del periodo d'invalidità temporanea (74 anni), il valore monetario riconoscibile risulta pari a euro 65.802,00.
Ne consegue che l'importo liquidabile a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale da lesione dell'interesse alla salute, id est il danno biologico, è pari a euro 76.227,00 valore già espresso in moneta attuale.
Detto importo risulta corrispondente a quanto spettante alla parte attrice, non imponendosene una riduzione.
La piena comprensione dell'assunto che precede richiede una breve riflessione sui recentissimi itinerari interpretativi percorsi dalla giurisprudenza di legittimità. Non potendo, però, in questa sede, fare una digressione sull'evoluzione che, negli ultimi anni, ha interessato la concezione (e la liquidazione) del danno alla salute, sia sufficiente rammentare che il processo di "sistemazione teorica" del danno non patrimoniale non si è arrestato con le pronunce dell'11 novembre del 2008, ma è proseguito nell'elaborazione giurisprudenziale successiva, in seno alla quale ha preso piede, con sempre maggiore consistenza, un orientamento che, incrinando la concezione unitaria messa a punto dalle sezioni unite (all'insegnamento delle sezioni unite si sono, peraltro uniformate Cass. n. 25351 del 2015; Cass. n. 20111 del 2014; Cass. 21716 del 2013; Cass. n. 11950 del 2013; Cass. n. 15414 del 2011), ha nuovamente scomposto il danno non patrimoniale in due pregiudizi distinti: uno “interno” all'individuo, rappresentato dalla sofferenza interiore, e uno “esterno”, dato dalle ripercussioni dell'evento lesivo sulle sue abitudini di vita, proiettate in una dimensione dinamico-relazionale.
In particolare, la "rimodulazione" dello statuto teorico del danno non patrimoniale si deve soprattutto alle sentenze della Corte di cassazione n. 901 e n. 7513 del 2018.
In dottrina è stato osservato che, tra le pieghe argomentative di queste pronunce, la natura c.d. 'unitaria' del danno non patrimoniale viene intesa come unitarietà del metodo di liquidazione, il quale non può prescindere dalla “reale fenomenologia del danno alla persona”, che ne disvela una "duplice essenza": la sofferenza interiore (intesa "in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sé, la malinconia, la tristezza"), e il "danno dinamicorelazionale" (altrimenti detto alla vita di relazione o esistenziale), dato dalla “significativa alterazione della vita quotidiana”.
Ora, in presenza di lesione della salute, l'acquisita concezione del danno biologico come danno-conseguenza conduce a ritenere che il "danno esistenziale" (o, se si preferisce, "dinamico-relazionale") rappresenti la sintesi descrittiva del manifestarsi del pregiudizio nella vita di relazione del danneggiato, di modo che il riconoscimento di un'autonoma voce a tale titolo costituirebbe una "sicura duplicazione risarcitoria".
In tema, la giurisprudenza di legittimità (da ultimo, vedasi la sentenza della Corte di cassazione n. 28988 dell'11 novembre 2019), pur movendosi nell'ottica della sovrapposizione del danno biologico e del danno esistenziale (nel senso della comune afferenza concettuale dei due sintagmi all'incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato), ha, però, precisato che l'incremento dei valori tabellari cui è improntata la liquidazione del danno biologico (la c.d. "personalizzazione") può giustificarsi "soltanto in presenza di circostanze 'specifiche ed eccezionali' (...) le quali rendano il danno concreto più grave (...) rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età".
Del resto, la conclusione raggiunta dalla giurisprudenza di legittimità è pienamente aderente all'espresso e non equivoco contenuto del testo dell'art. 138, punto 2, lett. a) del d.lgs. n. 209 del 2005 (cd. codice delle assicurazioni), secondo cui "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”.
In conclusione, la liquidazione del danno biologico congloba, generalmente, il ristoro delle ripercussioni sulla vita di relazione, salvo l'aumento del ristoro, fino al trenta per cento, sulla scorta della valutazione della lesione di specifici aspetti dinamico relazionali, correlati, dunque, alle condizioni soggettive del danneggiato (l'art. 138, comma terzo, del codice delle assicurazioni prevede, infatti, che “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamicorelazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale (...), può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%").
Su diversa direttrice si colloca il danno morale, pregiudizio che non ha fondamento medico-legale, reclamando, quindi, un'autonoma liquidazione, emancipata dalla tradizionale logica ancillare rispetto al danno biologico, trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, perciò meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per gli aspetti dinamici compromessi (in tal senso, vedasi Cass. n. 18641 del 2011; Cass. n. 2228 del 2012; Cass. n. 20292 del 2012; Cass. n. 910 del 2018, Cass. n. 7513 del 2018, Cass. n. 28989 del 2019).
In definitiva, la voce di danno morale mantiene la sua autonomia e non è conglobabile nel danno biologico, A tale conclusione la Corte di cassazione giunge non solo sulla scorta di considerazioni ontologiche, ma anche all'esito dell'interpretazione coordinata del nuovo art. 139 del codice delle assicurazioni private (nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dalla l. n. 124 del 2017), che, nel far riferimento ai presupposti per la personalizzazione, menziona sia gli aspetti dinamico-relazionali, sia la sofferenza soggettiva di particolare intensità) e della sentenza della Corte cost. n. 235 del 2014, la quale, nel consentire un incremento della liquidazione tabellare, fino a un massimo del venti per cento, in considerazione vuoi dei profili dinamico-relazionali, vuoi della sofferenza interiore, detta una regola eccezionale, applicabile al solo settore delle lesioni micropermanenti, la quale non implicherebbe il disconoscimento del danno morale come figura autonoma di pregiudizio. Per quel che riguarda, invece, le c.d. macropermanenti, l'art. 138, comma terzo, del ridetto codice fa riferimento - ripetasi - unicamente al profilo dinamicorelazionale (“qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamicorelazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale (...), può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%"). Ne deriva che il profilo della sofferenza interiore, non trattato dalla norma, può (e deve) essere autonomamente considerato dal giudice al fine di un'autonoma liquidazione del danno morale. ### è stato riproposto, assai di recente, dalla sentenza n. 26304 del 17 ottobre 2019, che, riprendendo gli argomenti della n. 901 del 2018, ribadisce l'ontologica differenza tra danno morale e danno biologico (i.e., il danno dinamico-relazionale), da cui discende che il giudice, allorquando è chiamato a risarcire il danno non patrimoniale, non può esimersi dall'esaminare (e, ove concretamente riscontratele, dal liquidare) partitamente ambedue le dimensioni (interna ed esterna) nelle quali esso può manifestarsi, pur tenendo presente la necessità di neutralizzare il rischio di evitare inammissibili duplicazioni risarcitorie, attribuendo al danneggiato il danno "esistenziale", in uno col danno biologico.
In definitiva, la Corte di cassazione afferma che, se c'è lesione della salute, il danno biologico assorbe ogni profilo "esistenziale" (salva, naturalmente, la personalizzazione) e, in aggiunta ad esso, è possibile tributare al danneggiato il solo danno morale. Differentemente, in assenza di danno biologico, la doppia dimensione del pregiudizio sarà data dal danno "relazionale puro", e dal "danno morale interiore".
Più di recente, però, il percorso interpretativo della Corte di cassazione si è arricchito di un nuovo e condivisibile passaggio argomentativo relativo alla corretta applicazione delle cd. tabelle di ### le quali precludono - osserva la Corte - la considerazione autonoma del danno morale, atteso che le stesse evidenziano, per ogni livello di invalidità, un unico valore che ingloba il risarcimento del danno biologico e di quello morale (si confronti Cass. 25164 del 2020).
Il precipitato logico giuridico di quanto precede è rappresentato dal fatto che, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovrà: 1) accertare l'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; 2) in caso di positivo accertamento dell'esistenza ### di quest'ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di ### che consentono la liquidazione di entrambe le voci di danno, addivenendo all'indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); 3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente, il solo danno dinamico-relazionale, 4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all'aumento fino al trenta per cento del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente morale del danno. ### queste necessarie premesse di carattere teorico deve evidenziarsi come, in linea generale, sia per procedere alla personalizzazione del danno biologico, per dare conto di specifici aspetti dinamico relazionali lesi, che alla liquidazione del danno morale occorre che l'attore abbia assolto due oneri: quello di allegazione e quello di prova. Sul piano dell'allegazione, è necessario che l'attore individui quante e di che tipo siano state le conseguenze negative del fatto illecito, sia sul piano del turbamento psichico patito, sub specie, dunque, di danno morale, che sul piano dell'appesantimento del valore tabellare in ragione delle ripercussioni della lesione alla salute sui rapporti familiari o sociali, sull'attività lavorativa o sul tempo libero, ripercussioni che, però, per acquisire rilevanza devono essere diverse e ultronee rispetto a quelle normalmente correlate alla lesione dell'integrità psico - fisica del soggetto.
Sul piano della prova, poi, il danneggiato è chiamato ad asseverare le proprie allegazioni, giovandosi anche delle presunzioni semplici.
Ora, questo Tribunale condivide l'indirizzo esegetico secondo cui, in tema di risarcimento del danno da fatto illecito o da inadempimento contrattuale, la "cosa" oggetto della domanda è il pregiudizio di cui si invochi il ristoro, e gli "elementi di fatto" costitutivi della pretesa sono rappresentati dalla descrizione della perdita che l'attore lamenti di avere patito.
Se l'attore, da un lato, non ha certamente l'onere di designare con un preciso nomen iuris il danno di cui chiede il risarcimento, ha, dall'altro lato, il dovere di descrivere concretamente i pregiudizi di cui chiede il ristoro (Cass. n. 11353 del 2004; Cass. n. 13328 del 2015), nella loro identità e individualità ontologica. “Chi domanda in giudizio il risarcimento del danno ha l'onere - osserva a Corte di cassazione - di descrivere in modo concreto i pregiudizi dei quali chiede il ristoro, senza limitarsi a formule vuote e stereotipe come la richiesta di risarcimento dei "danni subiti e subendi". Domande di questo tipo, quando non ne sia dichiarata la nullità ex art. 164 c.p.c., non fanno sorgere in capo al giudice alcun obbligo di provvedere in merito al risarcimento dei danni che fossero descritti concretamente solo in corso di causa (ancora, Cass. n. 13328 cit.).
Orbene, il Tribunale ritiene che la domanda tesa a ottenere il ristoro del danno morale sia compiutamente allegata e corredata da adeguato supporto probatorio. In particolare, l'attore ha fornito la dimostrazione diretta di quei fatti noti in grado di suggerire, in via presuntiva, il patimento della sofferenza soggettiva correlata all'invalidità permanente - che, in quanto appartenente alla dimensione interna dell'individuo, sfugge, di regola, alle prove dirette -, fatti tra i quali è annoverabile, unitamente alla non lieve entità delle lesioni patite - elemento, questo, d'indubbia valenza persuasiva -, il mancato svolgimento dell'attività di cura del giardino. ###à di curare il giardino da parte di un soggetto già pensionato appare idonea a cristallizzare, ad avviso dello scrivente, i ### ricordi legati all'evento lesivo per cui è causa (### ha così dichiarato: “posso dire che prima mio padre curava un giardino ove si recava da solo, oggi non lo fa più, perché ha timore di un nuovo incidente”).
Differentemente, sul piano della cd. personalizzazione del danno biologico, l'attore non ha evocato specifiche circostanze di fatto, caratterizzate dalla irripetibile singolarità della propria esperienza di vita individuale. Ed infatti, le peculiari condizioni soggettive legittimanti la personalizzazione del danno biologico devono involgere situazioni relative «alle dinamiche emotive della vita interiore o all'uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un'ottica che, ovviamente, superi la dimensione "economicistica" dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità» (vedasi n. 21939 del 2017).
Orbene, ritiene questo giudice che le circostanze necessarie alla personalizzazione del danno biologico non siano state compiutamente allegate dalla parte e, dunque, provate nel corso dell'istruttoria processuale, avendo l'attore solo dimostrato il patimento di limitazioni funzionali naturalmente correlate all'invalidità subita [l'incapacità di cura del giardino, pur potendo evocare il pregiudizio in interiore homine, non rappresenta una peculiare esperienza di vita andata perduta, tale da giustificare una differente (e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari del danno biologico].
Se così è, alla stregua delle osservazioni che precedono, questo giudice ritiene che l'importo innanzi determinato a titolo di danno non patrimoniale correlato all'invalidità permanente, pari a euro 65.802,00 in moneta attuale, sia perfettamente rispondente alla concreta entità del pregiudizio patito, in quanto, valorizzando anche la dimensione morale, è idoneo a ristorare la parte di un pregiudizio allegato e fornito di adeguato supporto probatorio.
Tirando le fila, il danno non patrimoniale conseguente alla lesione del diritto alla salute, rispetto al quale è stata raggiunta la prova nel presente giudizio e oggetto dell'obbligo risarcitorio gravante sull'impresa di assicurazione convenuta ammonta, in definitiva, a euro 76.227,00, in moneta attuale.
In ragione della richiesta formulata, giova rammentare, poi, che nella liquidazione del danno, in caso di ritardo nell'adempimento, deve tenersi altresì conto del nocumento finanziario (lucro cessante) subito dal soggetto danneggiato a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento, la quale, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario; tale danno, invero, ben può essere liquidato con la tecnica degli interessi, con la precisazione, tuttavia, che detti interessi non debbono essere calcolati né sulla somma originaria, né su quella rivalutata al momento della liquidazione, dovendo gli stessi computarsi, piuttosto, o sulla somma originaria progressivamente rivalutata, anno per anno, ovvero in base ad un indice di rivalutazione medio (si veda in tal senso ed ex multis già Cass. sez. un. n. 1712 del 1995, nonché Cass. n. 2796 del 2000).
Orbene, questo giudicante reputa opportuno condannare la convenuta al pagamento degli interessi al tasso legale previsto dall'art. 1284 c.c., calcolati dalla data dell'evento dannoso (27 giugno 2018) sulla somma frutto della devalutazione, in base all'indice ### delle variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai (cosiddetto indice “FOI”) alla data del 27 giugno 2018, di quella sopra riconosciuta a titolo risarcitorio e, quindi, applicati anno per anno, a partire dalla suddetta data (sul fatto - pacifico - che, ai sensi dell'art. 1219 c.c., gli interessi sulle somme dovute per risarcimento di danni da illecito aquiliano decorrono dalla data in cui il danno è stato prodotto, si vedano, fra le tante tutte conformi, Cass. 5287 del 1987 e 5307 del 1984), fino al momento della pubblicazione della presente decisione, sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione di quella sopra appena indicata, sempre in base all'indice ### menzionato (“FOI”).
Dal momento della pubblicazione della presente sentenza e fino all'effettiva corresponsione, infine, dovranno essere corrisposti, sulla somma totale sopra liquidata a titolo risarcitorio, gli ulteriori interessi al tasso legale suddetto, ai sensi dell'art. 1282 cod. civ., posto che, al momento della pubblicazione della sentenza, l'obbligazione risarcitoria, che ha natura di debito di valore, si trasforma in debito di valuta, con conseguente applicabilità degli istituti tipici delle obbligazioni pecuniarie in senso stretto, sulla somma globale composta da capitale, rivalutazione e coacervo degli interessi maturati fino alla data predetta pubblicazione della sentenza (si vedano in tal senso, Cass. n. 13470 del 1999; Cass. n. 4030 del 1998).
Puntualizzato il complessivo importo del danno non patrimoniale conseguente alla lesione della salute, occorre ora quantificare il danno patrimoniale patito dall'attrice in conseguenza dell'illecito, relativo agli esborsi sostenuti per le spese mediche affrontate.
Ebbene, considerata la documentazione prodotta in atti, sottoposta al vaglio di congruità del nominato consulente, tale pregiudizio è quantificabile in euro 2.407,33 Deve essere applicata a detta somma la rivalutazione monetaria secondo gli indici ### dalla data del 19 luglio 2019 (a rigore, la rivalutazione dovrebbe decorrere dalla data dei singoli esborsi, ma, al fine di evitare eccessive frammentazioni, essa si può far decorrere dalla data di una delle ultime spese documentate, avvenuta il 19 luglio 2019), sino alla data di pubblicazione della presente sentenza. E così, la somma riconoscibile a ristoro del danno patrimoniale, liquidata in moneta attuale, è pari a euro 2.814,17.
Come per il danno non patrimoniale, sull'importo determinato per il ristoro di quello patrimoniale sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sulla somma di euro 2.407,33 via via rivalutata anno per anno, dalla data 19 luglio 2019 alla data di pubblicazione della presente sentenza; dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo, poi, gli interessi decorrono sulla somma nell'ammontare rivalutata alla data di pubblicazione della sentenza.
Esaurita la disamina del merito, non resta che statuire sulle spese di lite, le quali seguono la soccombenza della ### s.p.a. nei confronti dell'attore e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto del decisum, delle questioni oggetto di trattazione, di non particolare complessità, e dell'attività difensiva concretamente svolta, elementi che orientano verso l'applicazione dei valori prossimi ai minimi [non è possibile scorgere nella difesa della convenuta né profili di malafede, intesa come consapevolezza del proprio torto (vedasi Cass. n. 16482 del 2017; Cass. 13269 del 2007; Cass. n. 20806 del 2004; Cass. n. 9579 del 2000), né di colpa grave, identificantesi con l'omissione, nel compimento delle attività processuali, di quel minimo di diligenza e perizia sufficiente ad avvedersi della palese infondatezza delle proprie pretese (vedasi, anche sul piano di applicazioni pratiche, Cass. n. 24645 del 2007; Cass. n. 14789 del 2007; n. 19976 del 2005; Cass. n. 2475 del 1995; Cass. n. 1592 del 1994) e, pertanto, non appare esercitabile il potere officioso di cui all'art. 96, comma terzo, c.p.c. (si consideri che l'impresa di assicurazione ha giustificato il rifiuto della proposta)].
Da ultimo, le spese occorse alla redazione della consulenza tecnica d'ufficio, come liquidate in virtù di separato decreto del 17 novembre 2023, vanno poste a carico di ### s.p.a., nell'indicata qualità. P.Q.M. Il Tribunale di ### seconda sezione civile, definitivamente pronunciando uditi i procuratori delle parti, ogni ulteriore istanza disattesa, assorbita ogni questione non oggetto di trattazione: a) dichiara l'esclusiva responsabilità del conducente dell'autovettura nella determinazione del sinistro per cui è causa; b) accoglie in parte la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale esperita da ### e, per l'effetto, condanna ### s.p.a., quale impresa designata per il ### vittime della strada per la regione ### al pagamento, in favore dell'attore, della somma complessiva di euro 76.227,00, espressa in moneta attuale, oltre interessi al tasso legale inizialmente calcolati sull'importo devalutato alla data del 27 giugno 2018 e, quindi, applicati anno per anno, a partire dal 27 giugno 2018 e fino al momento della presente decisione, sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione di quella sopra precisata, ciò oltre ai successivi interessi al tasso legale sull'importo totale così risultante al momento testé indicato sino al saldo; c) accoglie in parte la domanda di risarcimento del danno patrimoniale esperita da ### e, per l'effetto, condanna il ### s.p.a. quale impresa designata per il ### vittime della strada per la regione ### al pagamento, in favore dell'attore, della somma complessiva di euro 2.814,17, somma espressa in moneta attuale, oltre interessi al tasso legale inizialmente calcolati sull'importo devalutato alla data del 19 luglio 2019 pari a euro 2.407,33, e, quindi, applicati anno per anno, a partire dal 19 luglio 2019 fino al momento della presente decisione, sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione di quella sopra precisata, ciò oltre ai successivi interessi al tasso legale sull'importo totale così risultante al momento testé indicato sino al saldo; d) condanna ### s.p.a., quale impresa designata per il ### vittime della strada per la regione ### alla rifusione delle spese sostenute da ### spese che si liquidano in euro 786,00 per esborsi ed euro 7.200,00 per competenze della difesa, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso delle spese generali; e) pone le spese occorse alla redazione della consulenza tecnica, come liquidate in virtù di separato decreto, a definitivo carico di ### s.p.a., nell'indicata qualità.
Così deciso in ### il 11 dicembre 2024 Il Giudice
dott. ###
causa n. 1422/2021 R.G. - Giudice/firmatari: Fortunato Giulio