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R.G. 744/2020 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI RAGUSA Sezione Civile Il tribunale, nella persona del giudice monocratico dott. ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al numero di r.g. 744/2020, a cui è stata riunita la causa iscritta al numero di r.g. 1459/2020, pendente tra: ### (###), nata a ### il ### e residente ###, con il patrocinio dell'avv. ### (###), con elezione di domicilio in ### via ### n. 200, presso lo studio dell'avv. ### e ### (###), nata a ### il ### e residente ###, ### (###), nata a ### il ### e residente ###, nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulla minore ### (###), nata a ### il ### e residente ###, ### (###), nata a ### il ### e residente ###, e ### (###), nato a ### il ### e residente ###, con il patrocinio dell'avv. ### (###), con elezione di domicilio in ### viale del ### n. 10, presso il di lui studio ### contro ### S.R.L. UNIPERSONALE (###), in persona del legale rappresentante, con sede ###### c.da Fortugnello, strada provinciale 25 km 1,4 s.n.c., con il patrocinio dell'avv. ### (###), con elezione di domicilio in ### via dott. ### n. 16, presso il di lui studio ### Svolgimento del processo Nel procedimento iscritto al n. r.g. 744/2020, con atto di opposizione al decreto ingiuntivo n. 112/2020, emesso dal tribunale di ### (n. r.g. 5127/2019) in data ###, regolarmente notificato, e avverso il pedissequo atto di precetto, la sig.ra ### conveniva in giudizio la società ### s.r.l. unipersonale per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “[v]oglia l'On.le Tribunale adito ritenuta la narrativa del presente atto: 1) in via preliminare, revocare e/o sospendere la provvisoria esecuzione accordata al decreto ingiuntivo n° 112/2020; 2) nel merito: dichiarare la nullità del decreto opposto e del pedissequo atto di precetto; 3) subordinatamente, accertare l'insussistenza e l'infondatezza della pretesa creditoria azionata dichiarando nullo e, pertanto, improduttivo di giuridici effetti, l'opposto decreto ed il pedissequo atto di precetto; 4) in accoglimento della spiegata domanda riconvenzionale, condannare la ### s.r.l. unipersonale, in persona del suo l.r.p.t., al pagamento della somma di € 3.900,00 a titolo di indennità di occupazione maturata dal 10/02/2020 oltre a quella successivamente maturanda ed ancora interessi legali sino all'effettivo soddisfo. Con vittoria di spese e compensi del giudizio”.
Allegava, a tal fine, che: - per effetto del contratto preliminare di vendita del 27/06/2018, la società opposta versava in favore di ###### e ### un totale di euro 14.000,00, a titolo di caparra confirmatoria. In data successiva, la società opposta versava alla sig.ra ### quale esercente la responsabilità genitoriale sulle minori ### e ### (quest'ultima ormai maggiorenne) la somma di euro 22.000,00; - con ricorso del 20/12/2019, la società opposta chiedeva l'emissione di un decreto ingiuntivo per l'importo di euro 50.000,00, oltre interesse e spese, di cui euro 28.000,00, a titolo di doppio della caparra confirmatoria, e di euro 22.000,00, a titolo di acconto versato in favore della sig.ra ### - in accoglimento del ricorso monitorio, il tribunale di ### emetteva il chiesto decreto ingiuntivo ingiungendo alla sig.ra ### in solido agli altri promittenti, il pagamento dell'importo di euro 50.000,00, oltre interessi; - in data ###, la società opposta notificava il decreto ingiuntivo, dichiarato provvisoriamente esecutivo, unitamente all'atto di precetto; - il pagamento dell'importo azionato presupponeva la risoluzione del contratto preliminare di vendita, sebbene la società opposta non abbia attivato apposito giudizio di cognizione, né presentava formale diffida ad adempiere e neppure l'atto presentava apposita clausola risolutiva espressa; - nel preliminare di vendita, i promittenti venditori, inclusa la sig.ra ### in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulle allora figlie minorenni, si impegnavano a vendere l'immobile ivi descritto e, contestualmente alla stipula, la società promissaria acquirente versava, pro-quota, l'importo totale di euro 14.000,00. Il saldo sarebbe stato versato solo al momento della stipula del definitivo di vendita; - la stipula dell'atto pubblico di vendita non avveniva nella data prevista del 04/08/2018, atteso che solo il ### veniva adottata la determina dell'I.R.S.A.P. di autorizzazione alla vendita dell'immobile oggetto del preliminare; - la sig.ra ### informava la società opposta di aver promosso l'azione di impugnazione del testamento, il titolo da cui perveniva l'immobile, dichiarando, altresì, di “essere titolare della quota promessa in vendita, mantenendo ovviamente fermo l'impegno, assunto nel preliminare, di tenere indenne la ### s.r.l. da ogni eventuale spesa, costo o danno di fronte a pretese o diritti vantati da altri in relazione alla successione ereditaria”; - i promittenti venditori dichiaravano, a fronte delle comunicazioni del 22/02/2019 e del 11/03/2019, di essere disponibili alla stipula del definitivo; - la società opposta continuava ad occupare l'immobile occupato; - la somma di euro 22.000,00 veniva versata “nell'interesse esclusivo e proprio della ###ra ### e non già delle minori ### e ### le uniche legittimate a ricevere il pagamento del prezzo esclusivamente con le modalità fissate dal Tribunale di ### nel provvedimento autorizzativo del 21/06/2018 che -lo si ribadisceera perfettamente conosciuto dalla ### s.r.l.”; - le somme reclamate non erano comunque dovute, anche considerato che il preliminare di vendita non prevedeva alcun regime di solidarietà tra i promittenti venditori, i quali, invero, si impegnavano a vendere nei limiti della loro quota; - atteso che il definitivo non veniva stipulato e che la società opposta riteneva risolto il preliminare alla data del 10/01/2019, la stessa doveva corrispondere l'indennità di occupazione dell'immobile originariamente concesso in comodato.
Concludeva, dunque, come sopra precisato.
Con comparsa ritualmente depositata inerente l'avversaria istanza ex art. 649 c.p.c. si costituiva in giudizio la società ### s.r.l. unipersonale per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “piaccia all'On.le Tribunale adito respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, rigettare l'avversa istanza di revoca e/o sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto non sussistendone i presupposti di legge per i motivi di cui in premessa o per quelli eventualmente diversi che appariranno di giustizia. Il tutto con espressa riserva di costituirsi in vista della prima udienza di trattazione fissata per il ### e di spiegare le difese e le domande che si riterranno opportune. ### ogni altro diritto. Con vittoria di spese e compensi”.
Deduceva, a tal fine, che: - la richiesta di revoca della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto risultava inammissibile, atteso che il giudice era titolare del solo potere di sospensione e non già di revoca; - nel ricorso monitorio, la società opposta richiamava l'art. 1385 c.c. per esigere il doppio della caparra confirmatoria e, dunque, non risultava necessario introdurre il giudizio per la declaratoria di risoluzione del preliminare, né l'invio di una diffida ad adempiere e neppure il testo prevedeva una clausola risolutiva espressa; - nel preliminare di vendita, “le parti hanno inoltre dato atto dell'avvenuto pagamento in favore della promissaria venditrice, integrante con ogni evidenza una parte contrattuale complessa, della complessiva somma di € 14.000,00, precisando che la stessa era stata versata dalla promittente acquirente ### s.r.l. titolo di caparra confirmatoria. Il termine entro il quale procedere alla stipula del definitivo era sta[t]o inizialmente fissato per il ### e, poi, al 10.01.2019”; - la sig.ra ### comunicava alla società opposta di aver introdotto un giudizio di impugnazione del testamento del dante causa sig. ### e, dunque, del titolo di acquisto dell'immobile descritto nel preliminare di vendita; - nessuno dei componenti la parte venditrice si presentava all'appuntamento del 10/01/2019 presso il notaio per la stipula del definitivo; - preso atto dell'inadempimento, con nota del 20/02/2019 la società opposta chiedeva il pagamento dell'importo di euro 28.000,00, a titolo del doppio della caparra confirmatoria già versata; - l'iniziativa giudiziaria promossa dalla sig.ra ### pregiudicava il pacifico trasferimento dell'immobile oggetto del preliminare; - la sig.ra ### come risultava dalla quietanza allegata al ricorso monitorio, accettava l'importo di euro 22.000,00 in qualità di esercente la responsabilità genitoriale delle figlie ### e ### e a titolo di acconto per la cessione dell'immobile; - del tutto correttamente, la società opposta agiva per l'ingiunzione solidale dei promittenti venditori ed odierni opponenti, “considerato che l'immobile in esame costituiva e costituisce un unicum inscindibile promesso in vendita da tutti i proprietari in comunione delle singole quote indivise, costituenti come detto un'unica parte contrattuale complessa”.
Concludeva, dunque, come in premessa.
Con provvedimento del 26/10/2020, il giudice, esaminati gli atti del giudizio, a scioglimento della riserva assunta all'udienza, sospendeva l'efficacia provvisoriamente esecutiva del decreto ingiuntivo opposto.
In occasione dell'udienza di prima comparizione, si costituiva la società opposta per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “piaccia all'On.le Tribunale adito respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa: - in via principale, rigettare sotto ogni profilo l'avversa opposizione, ivi compresa la domanda riconvenzionale, in quanto inammissibile e infondata per le causali di cui in premessa o per quelle eventualmente diverse che appariranno di giustizia e, per l'effetto, confermare integralmente il decreto ingiuntivo opposto; - in subordine e per la invero denegata ipotesi di accoglimento anche solo parziale dell'avversa opposizione, dire e ritenere in ogni caso legittimo il recesso ex art. 1385, secondo comma, c.c. operato dalla ### s.r.l.. e, per l'effetto, condannare la sig.ra ### al pagamento del doppio della caparra confirmatoria e alla restituzione dell'ulteriore acconto versato dalla ### s.r.l., in solido con gli altri elementi soggettivi della parte promissaria venditrice o, in via ulteriormente gradata, pro quota. Il tutto oltre interessi legali dal dovuto alla data di deposito del ricorso monitorio e oltre interessi moratori ex art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002 maturati e maturandi da tale data sino all'effettivo soddisfo; - in via ulteriormente gradata e per l'ipotesi di rigetto delle superiori domande, dire e ritenere risolto il contratto preliminare per inadempimento della parte promittente venditrice e, per l'effetto, condannare la sig.ra ### alla restituzione di tutte le somme versate dalla ### s.r.l. a titolo di caparra e di ulteriore acconto prezzo in solido con gli altri elementi soggettivi della parte promissaria venditrice o, in via ulteriormente gradata, pro quota. Il tutto oltre interessi legali dal dovuto alla data di deposito del ricorso monitorio e oltre interessi moratori ex art. 5 del D.Lgs. 231/2002 maturati e maturandi da tale data sino all'effettivo soddisfo; - in caso di accoglimento anche solo parziale dell'avversa domanda riconvenzionale, compensare le somme che risulteranno eventualmente dovute alla sig.ra ### con il maggior credito vantato nei confronti della stessa dalla ### s.r.l.-. ### ogni altro diritto. Con vittoria di spese e compensi della presente fase”.
Rispetto alle argomentazioni già esposte con la comparsa limitata all'esame dell'avversaria istanza formulata ai sensi dell'art. 649 c.p.c., la società opposta deduceva, altresì, che: - la società non prestava acquiescenza al provvedimento del giudice nella parte in cui non riconosceva - prima facie - infondate le avverse eccezioni; - la domanda di condanna al pagamento dell'importo di euro 3.900,00 a titolo di indennità per occupazione dell'immobile di cui al preliminare risultava inammissibile e infondata; - alcun termine era stato fissato nel contratto di comodato per la restituzione dell'immobile e, in ogni caso, parte opponente non aveva mai richiesto formalmente la restituzione. ### decidente, divenuto assegnatario delle cause iscritte ai nn. r.g. 744/2020 e 1459/2020, ritenuta “la connessione oggettiva e, parzialmente, soggettiva, lato opposta” tra le due cause, disponeva la riunione del procedimento iscritto al n. r.g. 1459/2020 in quello identificato con n. r.g. 744/2020.
Nel procedimento iscritto al n. r.g. 1459/2020, con atto di opposizione al decreto ingiuntivo n. 112/2020, emesso dal tribunale di ### (n. r.g. 5127/2019) in data ###, regolarmente notificato, e avverso il pedissequo atto di precetto, i sigg. ##### quale esercente la responsabilità genitoriale sulle figlie minori ### e ### convenivano in giudizio la società ### s.r.l. unipersonale per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni “[c]odesto On.Le Tribunale di [###, adito e competente, contrariis rejectis, v o g l i a: previa immediata sospensione con decreto, inaudita altera parte, degli effetti del D.I. n° 112/2020 emesso dal Tribunale Civile di ### nel proc. mon. R.G. n° 5127/2019 - del 23 gennaio 2020, unitamente al pedissequo atto di precetto del 12 febbraio 2020, notificati succ., indi accogliere la presente opposizione e così declarare e statuire: 1°) in via pregiudiziale, accogliere integralmente le eccezioni, istanze e difese formulate da parte opponente per tutte le ragioni spiegate nella superiore narrativa, indi, ritenere e dichiarare la revoca, ovvero l'annullamento nonché l'invalidità, illegittimità, infondatezza ed inefficacia del D.I. 112/2020 emesso nel procedimento monitorio-### di cui al RG n. 5127/2019 - e del pedissequo compiegato precetto, opposti, specificati infra e descritti in epigrafe, per tutte le eccezioni e ragioni spiegate nella superiore narrativa. 2°) senza recesso, nel merito, accogliere integralmente le domande e difese di merito, avanzate da parte opponente per tutti i motivi spiegati nella medesima superiore narrativa, indi, ritenere e dichiarare la revoca, ovvero l'annullamento nonché l'invalidità, illegittimità, infondatezza ed inefficacia del D.I. n. 112/2020 emesso nel procedimento monitorio - ### di cui al RG n. 5127/2019 - e del pedissequo compiegato precetto, opposti, meglio specificati infra e descritti in epigrafe. 3°) ammettere tutti i mezzi istruttori utili e conducenti e, sin d'ora, ammettere la prova documentale che qui si offre in produzione. Ed altresì, nei concedendi termini di cui all'art. art. 183, comma VI nn. 1, 2 e 3 del ### di ###. 4°) Con ogni altra statuizione necessaria e consequenziale e con vittoria di spese e compensi del presente giudizio, oltre IVA e CPA e spese generali come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore antistatario, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 93 CPC”.
Allegavano, a tal fine, che: - il decreto ingiuntivo opposto era stato emesso in data ### e, dunque, oltre il termine di trenta giorni previsto dall'art. 641, co. 1, c.p.c.; - il decreto ingiuntivo opposto era stato emesso senza l'espresso avvertimento di cui all'art. 641, co. 1, c.p.c.; - il decreto ingiuntivo opposto era stato emesso senza “i presupposti e le condizioni richiesti seriamente dalla disciplina inerente il procedimento speciale, azionando il quale l'odierna parte opposta ha inteso eludere proponendo la domanda monitoria corredandola - giova ribadire - su elementi fattuali parziali e, preordinatamente, pseudo-giustificativi”; - il preliminare di compravendita del 27/06/2018 prevedeva espressamente la cessione dell'immobile mediante la cessione delle singole quote di proprietà; - la somma di euro 22.000,00 veniva consegnata dalla società opposta ad una “ben distinta promittente venditrice”; - la società opposta conseguiva il possesso dell'immobile sin dalla stipula del preliminare di vendita; - il termine per la stipula dell'atto definitivo di vendita veniva rinviato a “data successiva, previo concordamento con tutti i promittenti”; - la stipula del rogito era stata regolarmente curata da ogni promittente venditore; - con diffida del 10/06/2019, i sigg. #### e ### diffidavano la società opposta alla stipula dell'atto definitivo di vendita; - con nota del 10/06/2019, la società opposta optava “per l'azione di risoluzione e non per l'azione di recesso, come preordinatamente predicato nella narrativa del ricorso monitorio”; - la promissaria non partecipava, altresì, alla stipula fissata per il giorno 26/02/2020.
Concludevano, dunque, come in premessa.
Con comparsa ritualmente depositata, si costituiva in giudizio la società ### s.r.l. unipersonale per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “piaccia all'On.le ### adito respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa: - in via preliminare rigettare l'avversa istanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto non sussistendone i presupposti di legge per i motivi di cui in premessa o per quelli eventualmente diversi che appariranno di giustizia; - nel merito dire e ritenere la sig.ra ### carente della potestà genitoriale sulla figlia maggiorenne ### - ancora nel merito, rigettare sotto ogni profilo l'avversa opposizione in quanto inammissibile e infondata per le causali di cui in premessa o per quelle eventualmente diverse che appariranno di giustizia e, per l'effetto, confermare integralmente il decreto ingiuntivo opposto; in subordine e per la invero denegata ipotesi di accoglimento anche solo parziale dell'avversa opposizione, condannare comunque gli opponenti al pagamento della somma ingiunta e/o di quell'altra eventualmente inferiore che sarà ritenuta dovuta, risulterà dovuta, oltre interessi legali dal dovuto alla data del deposito della domanda e oltre interessi moratori ex art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002 maturati e maturandi da tale data sino all'effettivo soddisfo, nonché delle spese e dei compensi della fase monitoria. ### ogni altro diritto. Con vittoria di spese e compensi della presente fase”.
Deduceva, a tal fine, che: - la sig.ra ### non poteva costituirsi quale soggetto esercente la responsabilità genitoriale della sig.ra ### in quanto oramai maggiorenne; - il termine per l'emissione del decreto ingiuntivo non risultava avere natura perentoria; - la mancanza dell'espresso avvertimento non impediva il raggiungimento dello scopo previsto dalla norma; - la società opposta allegava in sede monitoria la prova documentale relativa all'esistenza e all'ammontare del credito vantato nei confronti degli odierni opponenti; - l'importo di euro 22.000,00 veniva corrisposto dalla società opposta in favore della sig.ra ### esercente la responsabilità genitoriale sulle figlie minori, nelle modalità da lei indicate; - la sig.ra ### anche lei promittente venditrice, comunicava alla società opposta di aver intrapreso un'azione giudiziaria volta alla “declaratoria di nullità assoluta del testamento - anche - del suo dante causa sig. ### e, quindi, del titolo di acquisto dell'immobile oggetto del citato preliminare. In buona sostanza, quindi, la sig.ra ### ha disconosciuto la validità dell'atto di provenienza di una parte dell'immobile, con la precisazione che nessuno dei componenti della parte promittente venditrice si è presentato al predetto appuntamento, a conferma dell'impossibilità di procedere alla stipula”; - con nota del 20/02/2019, la società opposta chiedeva il pagamento del doppio della caparra confirmatoria già versata; - la convocazione della società opposta per il ### era successiva al deposito del ricorso monitorio e della notifica del decreto ingiuntivo; - l'immobile promesso in vendita costituiva un unicum inscindibile e, dunque, l'obbligazione assunta si presentava in termini di solidarietà e non già di parziarietà; - controparte non muoveva alcuna specifica censura inerente al pedissequo atto di precetto.
Concludeva, dunque, come sopra precisato.
Con provvedimento del 22/04/2025, il giudice, disposta la riunione dei procedimenti iscritti ai nn. r.g. 744/2020 e 1459/2020, e ritenuta la causa matura per la decisione, la rinviava per precisazione delle conclusioni e, infine, all'udienza ex art. 281-sexies c.p.c., all'esito della quale, fatte precisare le conclusioni e data la parola alle parti per la discussione, pronunciava la presente sentenza a scioglimento della riserva ivi assunta.
Motivi della decisione Con separati atti di opposizione, riuniti per ragioni di connessione oggettiva e, parzialmente, soggettiva, gli odierni opponenti adivano l'intestato tribunale proponendo opposizione al decreto ingiuntivo 112/2020, emesso dal tribunale di ### (n. r.g. 5127/2019) in data ### - e avverso il pedissequo atto di precetto -, con il quale la società opposta aveva conseguito l'ingiunzione al pagamento di euro 50.000,00, oltre interessi e spese.
Considerato che, secondo la prospettazione di parte opposta, il credito discenderebbe da una obbligazione solidale e ritenuto che tutti gli odierni opponenti hanno proposto opposizione sulla base delle medesime doglianze (o secondo argomentazioni comunque assimilabili), appare opportuno procedere ad una trattazione unitaria delle cause.
Prima di procedere all'esame nel merito del rapporto sotteso al decreto ingiuntivo, come di seguito meglio precisato, preme, anzitutto, muovere dalle eccezioni (formulate nell'atto di opposizione di cui al procedimento iscritto al n. r.g. 1459/2020) relative alla regolarità formale del decreto ingiuntivo opposto.
Con una prima doglianza, parte opponente ha lamentato l'emissione del decreto ingiuntivo oltre il termine di trenta giorni di cui all'art. 641, co. 1, c.p.c.: “[s]e esistono le condizioni previste nell'articolo 633, il giudice, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso […]”.
In particolare, parte opponente ha dedotto che il decreto ingiuntivo sarebbe stato emesso in data ###, oltre il termine di trenta giorni dal deposito del ricorso del 20/12/2019, e, per l'effetto, il decreto ingiuntivo opposto andrebbe “revocato e/o declarato nullo, invalido, illegittimo e caducato, unitamente al precetto, con ogni pedissequa statuizione favor appelans” (cfr. opposizione n. r.g. 1459/2020).
Tale eccezione di ritto non è meritevole di accoglimento, attesa la natura ordinatoria del predetto termine.
Come è noto, l'art. 152, co. 2, c.p.c. prevede espressamente la natura ordinatoria dei termini fissati dalla legge, salvo non previsto diversamente: “[i] termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”. Stante il tenore letterale della norma, è fuor di dubbio che un termine possa ritenersi perentorio nei soli casi espressamente previsti dalla legge.
Al di fuori di essi, per consolidata giurisprudenza, può desumersi la perentorietà del termine solo alla luce della sua ratio (cfr., Cass. civ., sez. V, sent., 02/08/2023, n. 23584, da ultimo richiamata anche da Cass. civ., sez. V, ord., 23/05/2025, n. 13805: “si resta nel solco di principi consolidati nel ritenere che un termine possa considerarsi perentorio anche a ragione dello scopo perseguito e della funzione assolta, pur in assenza di un'espressa indicazione della norma (cfr. sul punto, Cass., Sez. U. 23 dicembre 2004, n. 23832; Cass., Sez. T., 9 gennaio 2004, n. 138; Cass., Sez. U. 5 giugno 1998, n. 524; Cass., I, 6 giugno 1997 n. 5074; con riferimento al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 12, c. 2, v. Cass., Sez. V, 30 giugno 2010, n. 15473; Cass., Sez. V, 18 novembre 2009, n. 24301)”.
Tanto premesso, l'art. 641, co. 1, c.p.c. omette di qualificare il termine ivi previsto di trenta giorni dal deposito del ricorso come termine perentorio. Trattasi, evidentemente, di termine meramente ordinatorio, atteso che il predetto termine non riguarda un'attività rimessa alle parti in lite, bensì un'attività sottoposta unicamente all'autorità giurisdizionale, la cui inerzia non causa alcun nocumento all'ingiunto, mentre l'invalidità del provvedimento danneggerebbe irragionevolmente il ricorrente incolpevole. Poiché una tale conclusione si porrebbe nettamente in contrasto con i principi costituzionali e sovranazionali che governano il giusto processo, è indubbia, per l'odierno decidente, la natura ordinatoria del termine di cui all'art. 641, co. 1, c.p.c.
La doglianza non è, dunque, meritevole di accoglimento, poiché manifestamente infondata.
Con una seconda doglianza, parte opponente ha lamentato l'emissione del decreto ingiuntivo in assenza dell'espresso avvertimento di cui all'art. 641, co. 1, c.p.c.: “[…] il giudice, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso, ingiunge all'altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o invece di queste la somma di cui all'articolo 639 nel termine di quaranta giorni, con l'espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata”.
In particolare, parte opponente deduce che il decreto ingiuntivo sarebbe stato emesso in assenza dell'avvertimento “che, in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata” e, dunque, pregiudicando l'effettiva conoscenza “delle conseguenze, fattuali e giuridiche, persino pregiudizievoli che andrebbe a patire in caso di mancata opposizione. […] Il vizio de quo rende nullo, invalido radicale e viziato il provvedimento monitorio in esame!” (cfr. opposizione n. r.g. 1459/2020).
Sebbene risulti documentale l'assenza dell'espresso avvertimento, la doglianza non è comunque meritevole di accoglimento, atteso il raggiungimento dello scopo del decreto ingiuntivo opposto, la cui conoscenza ha consentito un'opposizione tempestiva dagli ingiuntivi.
Omettendo ogni considerazione sull'assenza dell'espresso avvertimento di cui si discute su di un decreto ingiuntivo già provvisoriamente esecutivo (e, dunque, già idoneo all'esecuzione forzata), è sufficiente notare che “[l']atto processuale, poi, può dirsi inesistente soltanto se manchi totalmente degli estremi e dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo o della figura giuridica considerati, ovvero se sia inidoneo non solo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili a detto tipo o figura, ma persino ad essere preso in considerazione sotto il profilo giuridico” (cfr. Cass. civ., s.u., sent., 10/10/1997, n. 9859. Sulla differenza tra atto processuale nullo e radicalmente inesistente si rimanda alla più recente Cass. civ., sez. II, sent., 16/12/2024, n. ###: “[l']atto processuale è inesistente solamente se privo degli elementi necessari alla sua qualificazione come atto inquadrabile e riconoscibile in una astratta fattispecie giuridica, nel qual caso si considera tamquam non esset e, pertanto, insuscettibile di sanatoria; mentre è viceversa nullo, e come tale sanabile ex art. 156, ultimo comma, cod. proc. civ., qualora sia soltanto privo di un elemento, (o inficiato da un vizio), essenziale ai fini della produzione di effetti processuali (Cass., Sez. III, 29 marzo 2004, n. 6194)”).
Nel caso che qui occupa, è evidente che il decreto ingiuntivo opposto non sia inesistente, poiché presenta tutti gli elementi essenziali che consentono di giuridicamente inquadrarlo come tale. In particolare, il decreto ingiuntivo, immediatamente esecutivo, contiene l'espresso avvertimento che “la parte ingiunta che ha diritto di proporre opposizione contro il presente decreto avanti questo ### nel termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica e che in mancanza il decreto diverrà definitivo” (cfr. d.i. opposto).
Anche a voler riconoscere che l'assenza dell'espresso avvertimento di cui si discute (“in mancanza di opposizione, si procederà a esecuzione forzata”) costituisca un vizio avente carattere di nullità (qualora si ritenesse che l'avvertimento costituisca elemento essenziale ai fini della produzione di effetti processuali), lo scopo dell'avvertimento di cui all'art. 641 c.p.c. è stato raggiunto: il destinatario del decreto ingiuntivo ha promosso l'azione di opposizione chiedendo la sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto.
Non solo, in definitiva, appare ridonante affermare che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata rispetto ad un decreto ingiuntivo già esecutivo (e, quindi, idoneo immediatamente all'esecuzione coattiva), ma, in ogni caso, l'assenza di questo avvertimento costituisce un vizio di mera irregolarità formale dell'atto processuale o di nullità sanabile e non già di inesistenza del decreto ingiuntivo opposto.
La doglianza non è meritevole di accoglimento.
Esaminate le doglianze inerenti a vizi di forma del decreto ingiuntivo opposto, appare opportuno procedere all'esame nel merito della presente controversia.
In via preliminare, occorre rammentare che il giudizio di cognizione che si apre in conseguenza dell'opposizione di cui agli artt. 645 e ss. c.p.c. non ha ad oggetto l'impugnazione del decreto ingiuntivo opposto, quanto piuttosto l'accertamento del credito azionato in fase monitoria. In questo senso si è pronunciato il ### secondo il quale: “[d]eve dirsi quindi stabilizzato nella giurisprudenza di queste ### quanto già affermava la sentenza 7 luglio 1993, n. 7448: ‘l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è un'actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma è un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio', non quale ‘giudizio autonomo, ma come fase ulteriore (anche se eventuale) del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo'” (cfr. Cass. civ., s.u., sent., 31/01/2022, n. 927).
La Suprema Corte ha, quindi, ribadito che l'opposizione a decreto ingiuntivo rappresenta una prosecuzione, rectius una fase ulteriore del procedimento monitorio, seppur eventuale. Infatti, “si è dinanzi a un giudizio ordinario, ma con una precisazione. Venendo generato da un'altra fattispecie processuale, quella monitoria, che può rimanere perfettamente autonoma non dando luogo ad esso, la stessa pronuncia del 2022 gli riconosce, implicitamente, la natura di species, poiché valorizza un legame di ‘prosecuzione' con il procedimento monitorio: ovvero, da un lato afferma che si tratta di «un ordinario giudizio sulla domanda del creditore», ma dall'altro subito lo specifica in quanto dotato di un quid pluris rispetto proprio a «un ordinario giudizio sulla domanda del creditore». E tale quid pluris si può ripartire, a ben guardare, in tre componenti: il giudizio «si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio»; detta ‘prosecuzione' non costituisce un post hoc, bensì un propter hoc perché avviene «non quale giudizio autonomo»; infine, questo difetto di autonomia lo rende qualificabile «fase ulteriore - anche se eventuale - del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo». Il decreto ingiuntivo, pertanto, deve ritenersi radicalmente innestato in una fattispecie che è unica se si sviluppa, e se si sviluppa ritrova la tutela paritaria: il che è logico, in quanto nella «fase ulteriore» compare la sostanza di ogni processo costituzionalmente accettabile, cioè il contraddittorio. Questa lettura di un istituto inserito nel sistema in fase precostituzionale depura, invero, l'art. 645 c.p.c. da un tenore strettamente letterale, ‘sbrigativo' nel farlo rientrare in toto nel giudizio ordinario, pur essendo sorto in un'epoca di ben diversa sensibilità valoriale rispetto a quella odierna: è quindi una lettura che percepisce la specialità dell'opposizione a decreto ingiuntivo, riprendendo e confermando una pronuncia nomofilattica coeva alla forte riforma del 1990, cioè ### un., 7 luglio 1993, n. 7448, ut supra visto” ( Cass. civ, s.u., sent., 15/10/2024, n. 26727).
Da ciò consegue che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il criterio dell'onere della prova sia ripartito fra le parti secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c.: “[c]hi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda”.
Incombe, quindi, in capo al creditore opposto, quale attore in senso sostanziale, la piena prova del credito azionato, residuando in capo al debitore opponente, convenuto in senso sostanziale, allegare fatti estintivi, impeditivo ovvero modificativi: “[v]a premesso in diritto che è uniformemente sostenuto in giurisprudenza di legittimità e di merito che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non si verifica alcuna inversione dell'onere della prova, nel senso che è sempre il creditore, opposto ma attore in senso sostanziale a dover provare il diritto per cui ha agito (in via monitoria), ed il debitore, opponente, ma convenuto in senso sostanziale a dover allegare fatti modificativi o estintivi di quel diritto (ex plurimis Cass. 25499/2021, Cass. 24629/2015, Cass. 21101/2015)” (cfr. app. Napoli, sent., 17/01/2024, n. 156).
Per unanime giurisprudenza spetta, dunque, al creditore opposto l'onere probatorio, il cui mancato rispetto determina l'accoglimento dell'opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo azionato in via monitoria. A tal fine, il giudice dell'opposizione non è chiamato a stabilire se il decreto ingiuntivo opposto sia stato legittimamente emesso, quanto piuttosto accertare il fondamento della pretesa creditoria secondo gli ordinari mezzi del giudizio di cognizione.
La stessa giurisprudenza è unanime nell'affermare che “[l']opposizione al decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dall'opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che ha chiesto l'ingiunzione formuli una specifica ed espressa domanda di pronuncia sul merito della pretesa creditoria, essendo sufficiente che resista all'opposizione e chieda conferma del decreto opposto” (cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 28/05/2019, n. 14486).
Stante i citati canoni ermeneutici, nel giudizio che qui occupa il giudice non è chiamato “alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all'accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, e non a quello anteriore della domanda o dell'emissione del provvedimento opposto dei fatti costitutivi del diritto in contestazione” (cfr. Cass. civ., sez. I, sent., 21/02/2007, n. 4103). Il giudice deve, pertanto, procedere, nel contraddittorio fra le parti, ad una nuova valutazione di merito, finalizzata all'accertamento dell'esistenza e della validità della pretesa creditoria azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo e, solo laddove la domanda risulti fondata, deve accoglierla.
Ciò premesso, si osserva che in materia contrattuale, in applicazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., il creditore opposto ha, anzitutto, l'onere di provare la fonte del proprio credito e allegare l'inadempimento del debitore. Il debitore opposto, al contrario, deve provare la sussistenza di fatti estintivi (modificativi e/o impeditivi) dell'obbligazione asseritamente inadempiuta. Deve essere, infatti, “evidenziato che, conformemente all'orientamento sviluppato dalla Suprema Corte in materia di ripartizione dell'onere della prova, il creditore che agisce per l'adempimento dell'obbligazione è tenuto solo a provare la sussistenza di una valida fonte della propria pretesa creditoria, incombendo sul debitore l'onere di dimostrare il fatto estintivo dell'altrui diritto di credito (cfr. Cass., S.U., 30/10/2001, sent. n. 13533).
Tale principio trova applicazione anche nel caso di giudizio di opposizione decreto ingiuntivo, in cui la posizione di attore sostanziale è ricoperta dal creditore opposto, convenuto formale” (cfr. trib. Trapani, sent., 14/10/2024, n. 664).
Come è noto, colui il quale agisca in giudizio per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento dovrà solo dimostrare la fonte, legale o negoziale, del proprio diritto, nonché dedurre l'altrui inadempimento (o inesatto adempimento). A fronte di detta allegazione, spetterà, dunque, al debitore allegare i fatti estintivi, impeditivi ovvero modificati, quali, a titolo di esempio, l'altrui inadempimento ovvero il proprio esatto adempimento (cfr. la nota Cass. civ., s.u., 30/10/2001, n. 13533: “deve affermarsi che il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore, convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno da inadempimento, si avvalga dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. per paralizzare la pretesa dell'attore.
In tale eventualità i ruoli saranno invertiti”).
Stante i predetti canoni ermeneutici, nel caso che qui occupa, l'onere di provare l'esistenza del credito per cui è causa spetta al preteso creditore opposto.
Nella specie, il credito vantato dall'opposta nei confronti dei promittenti venditori si fonderebbe sul contratto preliminare di compravendita immobiliare, stipulato in data ###, la cui esistenza e formulazione, così come allegata in atti, oltre che documentata, è pacifica fra le parti. ### quanto emerge dalla proposta di acquisto formulata in data ###, parte opposta si impegnava all'acquisto dell'immobile, distinto al catasto fabbricati del comune di ### al foglio 143, particella 344 (sub. 2, 3, 4, 5, 6 e 7), al prezzo convenuto in complessivi euro 150.000,00. Per la predetta vendita, parte acquirente versava un importo totale di euro 14.000,00 “a titolo di caparra confirmatoria e di acconto sul prezzo. ### parte venditrice, rilascia quietanza, ciascuno per la propria quota, per la detta complessiva somma di euro 14.000,00. Il saldo del prezzo, pari ad euro 136.000,00, verrà corrisposto dalla parte acquirente al momento della stipula dell'atto pubblico definitivo, cui dovrà addivenirsi entro il 4 agosto 2018” (cfr. preliminare di vendita).
Orbene, è indubbio che l'importo di euro 14.000,00 versato dal promissario acquirente in favore del promittente venditore integri una caparra confirmatoria.
Sul punto, recente giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che “[i]n ordine alla differenza tra caparra confirmatoria e cauzione, è già stato posto il principio che la consegna di una somma di denaro effettuata dall'uno all'altro dei contraenti al momento della conclusione di un negozio ha natura di caparra confirmatoria quando risulti che le parti hanno inteso perseguire gli scopi di cui all'art. 1385 cod. civ., ovvero attribuirle la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento - secondo il meccanismo della ritenzione della caparra o della esazione del doppio di essa - qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il diritto di recesso; invece la consegna di denaro ha natura di deposito cauzionale qualora essa sia stata conferita a garanzia di un eventuale obbligo di risarcimento del danno a carico del cauzionante; la funzione del deposito cauzionale è quella propria della garanzia, consentendo al creditore di soddisfarsi sulla somma ove il cauzionante abbia cagionato un danno e per l'ammontare del danno (Cass. Sez. 3 4-3-2004 n. 4411 Rv. 570784-01; Cass. Sez. 3 22-3-2007 n. 6966 Rv. 596763-01)” (cfr. Cass. civ., sez. II, ord., 04/04/2024, n. 8989).
Lo schema negoziale realizzato dalle parti, tenuto conto anche del tenore letterale del preliminare di compravendita, persegue la funzione sottesa all'art. 1385 c.c.: “[s]e al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta.
Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra parte può recedere da contratto ed esigere il doppio della caparra”.
Pertanto, occorre preliminarmente verificare se, la pretesa creditoria azionata in via monitoria, sia stata adeguatamente provata.
Con nota del 20/02/2019, la società opposta “ha, quindi, preso atto del gravissimo inadempimento della parte venditrice [il riferimento è al giudizio di impugnazione del testamento attivato dalla sig.ra ### e della impossibilità di procedere alla stipula del definitivo per colpa della parte promittente venditrice, con conseguente venir meno del rapporto contrattuale” e, dunque, agiva in sede monitoria “per ottenere la condanna della promittente venditrice al versamento del complessivo importo di euro € 50.000,00, di cui: - € 28.000,00 pari al doppio dell'importo (€ 14.000,00) complessivamente versato a titolo di caparra confirmatoria, anche ai sensi dell'art. 1385 c.c. (cfr. doc. 1); - € 22.000,00 pari all'acconto prezzo successivamente corrisposto (cfr. doc. 2)” (cfr. ricorso monitorio).
Per quanto riguarda la caparra confirmatoria, il riferimento all'art. 1385 c.c. presuppone che parte opposta abbia esercitato il diritto di recesso dal contratto preliminare di vendita, chiedendo così la restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata. Accanto a detta restituzione, parte opposta ha, altresì, preteso il pagamento di una somma ulteriore pari ad euro 22.000,00, quale acconto ulteriore sul prezzo dell'immobile promesso in vendita.
Appare, dunque, dirimente richiamare la più recente giurisprudenza di legittimità che ha chiarito e precisato i termini di qualificazione di un'azione giudiziale nelle forme di recesso o risoluzione del contratto: “come sancito già da Cass. Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009, la domanda di ritenzione della caparra confirmatoria (o di condanna al pagamento del suo doppio) è legittimamente proponibile, nell'incipit del processo, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla parte nell'introdurre l'azione «caducatoria» degli effetti del contratto: se quest'azione dovesse essere definita «di risoluzione contrattuale» in sede di domanda introduttiva, sarà compito del giudice, nell'esercizio dei suoi poteri officiosi di interpretazione e qualificazione in iure della domanda stessa, convertirla formalmente in azione di recesso (nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 91 del 03/01/2024; ### 2, Ordinanza ### del 24/11/2023). Conclusione, quest'ultima, alla quale si coniuga l'orientamento di questa Corte a mente del quale la domanda di risoluzione del contratto non costituisce domanda nuova rispetto a quella con cui il contraente non inadempiente abbia originariamente chiesto la declaratoria della legittimità del proprio recesso ex art. 1385, secondo comma, c.c., con contestuale incameramento della caparra confirmatoria (o condanna al pagamento del suo doppio), essendo l'azione di recesso un'ipotesi di risoluzione ex lege (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21317 del 30/07/2024). Il diritto di recesso è, infatti, una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l'inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accumunano tanto i presupposti - l'inadempimento della controparte - quanto le conseguenze - la caducazione ex tunc degli effetti del contratto - (Cass. Sez. 2, Sentenza 2969 del 31/01/2019). Sicché assume rilievo dirimente, come nella fattispecie, la circostanza processuale che sia stata espressamente richiesta, a supporto della domanda risolutoria comunque formalmente qualificata, la ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta ovvero l'esazione del doppio di quella data. Per converso, la domanda diretta ad ottenere la risoluzione per inadempimento presuppone l'esercizio dell'opzione contemplata dall'art. 1385, terzo comma, c.c., ossia la volontà di ottenere la pronuncia costitutiva della risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c., con il conseguente risarcimento del danno regolato dalle norme generali, come tale rimesso alla determinazione dell'autorità giudiziaria e subordinato alla dimostrazione dell'an e del quantum debeatur. E tanto perché l'esercizio del potere di recesso conferito ex lege è indifferibilmente collegato (fino a costituirne un precipitato) alla volontà di avvalersi della ### caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., che ha la funzione di liquidare convenzionalmente il danno da inadempimento in favore della parte non inadempiente (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5854 del 05/03/2024; ### 2, Ordinanza n. 20532 del 29/09/2020; ### 2, Sentenza n. 8417 del 27/04/2016; ### 2, Sentenza n. 17923 del 23/08/2007). Cosicché una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta nei termini di esercizio del recesso, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta quale ragione giustificativa della pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta (ovvero l'accertamento del diritto a trattenere quella ricevuta), quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8773 del 03/04/2024; ### 2, Ordinanza n. 5854 del 05/03/2024; ### 2, Sentenza n. 23209 del 31/07/2023; ### 2, Ordinanza n. 26856 del 13/09/2022; ### 2, Ordinanza n. 21504 del 07/07/2022; ### 2, Sentenza n. 19801 del 12/07/2021; ### 6-2, Ordinanza 27262 del 24/10/2019; ### 2, Ordinanza n. 25146 del 08/10/2019; ### 2, Ordinanza n. 22657 del 27/09/2017; ### 2, Sentenza n. 21854 del 15/10/2014; ### 2, Sentenza n. 28204 del 17/12/2013; ### 2, Sentenza n. 2032 del 01/03/1994; ### 2, Sentenza n. 2596 del 24/05/1978). Viceversa, va qualificata in termini di declaratoria di risoluzione giudiziale per inadempimento - soggetta, pertanto, alla relativa disciplina generale -, e non quale esercizio del diritto potestativo di recesso, la domanda con cui la parte non inadempiente, che abbia corrisposto la caparra, chieda, oltre alla risoluzione del contratto, la condanna della controparte al pagamento del doppio della caparra versata e il ristoro degli ulteriori danni asseritamente patiti - ovvero la parte che l'abbia corrisposta chieda, ad integrazione dell'invocata risoluzione, l'accertamento del diritto a ritenerla, oltre alla riparazione dell'ulteriore nocumento patito - (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. ### del 24/11/2023; ### 2, Ordinanza n. 21504 del 07/07/2022; ### 2, Ordinanza n. 18392 del 08/06/2022; ### 2, Sentenza n. 20957 del 08/09/2017; ### 3, Sentenza n. 18850 del 20/09/2004; ### 2, Sentenza n. 1301 del 29/01/2003). Alla stregua della predetta ricostruzione, la parte non inadempiente non può, in tal caso (ossia ove abbia richiesto il risarcimento del danno ulteriore), pretendere il pagamento del doppio della caparra (ovvero esercitare il diritto ad incamerarla definitivamente), poiché, in questa evenienza, essa perde la sua funzione di limitazione forfettaria e predeterminata della pretesa risarcitoria (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21085 del 04/07/2022; ### 2, Ordinanza n. 40292 del 15/12/2021; ### 2, Ordinanza n. 21559 del 07/10/2020; ### 2, Ordinanza 25146 del 08/10/2019; ### 2, Sentenza n. 8571 del 27/03/2019; ### 6-2, Ordinanza n. 24824 del 09/10/2018). Ebbene, in ordine all'interpretazione del giudice di merito relativa alla natura dell'azione spiegata, la richiesta formulata in termini di domanda ‘dichiarativa' di risoluzione, con l'aggiuntiva pretesa di ricevere il doppio della caparra versata (ovvero di ritenere quella ricevuta), deve essere correttamente qualificata, avendo riguardo non tanto al nomen iuris utilizzato dalla parte nell'introdurre l'azione caducatoria degli effetti del contratto (ossia volta ad ottenere lo scioglimento del rapporto), ma soprattutto attribuendo il giusto rilievo alla congiunta e funzionale richiesta di pagamento del doppio della caparra confirmatoria versata (o di ritenzione di quella acquisita), che connota la domanda nel senso della sua implicita accessorietà all'esercizio del diritto potestativo di recesso, quale ulteriore ipotesi di risoluzione ex lege” (cfr. Cass. civ., sez. II, ord., 07/11/2025, n. 29482).
Tanto premesso, sia a voler qualificare la cessazione dell'atto preliminare nei termini di risoluzione per inadempimento del promittente venditore, sia per recesso del promissario acquirente, è noto che, ai sensi dell'art. 1455 c.c., l'inadempimento allegato deve essere di non “scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”.
Per giurisprudenza consolidata, “a norma dell'art. 1455 cod. civ., il giudice chiamato a provvedere sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento deve porsi, anche di ufficio, il problema della gravità o meno dell'inadempimento ed è tenuto ad indicare, in ipotesi di accoglimento della domanda, il motivo per cui, nel caso concreto, ritiene l'inadempimento di non scarsa importanza. In particolare, il giudice, per valutare la gravità dell'inadempimento, deve tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale (### 3, n. 7187 del 4 marzo 2022; ### 6-3, n. 8220 del 24 marzo 2021). Infatti, la gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c. va commisurata all'interesse che la parte adempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza, per detta parte, della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all'adempimento (### 1, n. 8212 del 27 aprile 2020; ### 3, 4022 del 20 febbraio 2018)” (cfr. Cass. civ., sez. II, ord., 10/04/2025, n. 9399. Nei medesimi termini si veda anche Cass. civ., sez. II, ord., 05/03/2024, n. 5843).
Nella specie, appare che l'unico inadempimento rilevante possa eventualmente individuarsi nell'esercizio da parte della sig.ra ### dell'azione di impugnazione del testamento e, cioè, del titolo legittimante la proprietà dell'immobile di cui si discute (come, tra l'altro, può evincersi dal ricorso monitorio).
Tenuto conto delle circostanze soggettive ed oggettive da cui dovrebbe desumersi l'alterazione del sinallagma contrattuale, deve, tuttavia, escludersi che l'inadempimento allegato dalla società opposta possa ritenersi rilevante ai fini di una risoluzione/recesso contrattuale, e ciò per le seguenti ragioni.
Dalla documentazione in atti e, in particolare, dal preliminare di compravendita, risulta l'impegno delle parti ad addivenire alla stipula dell'atto pubblico definitivo alla data del 04/08/2018. Detto termine sarebbe stato rinviato concordemente da parte acquirente ed alienante a data successiva, che l'odierna opposta individua al 10/01/2019.
Tenuto conto delle contestazioni svolte da entrambe le opponenti, parte opposta si è sottratta a quell'onere di allegazione minimale che avrebbe, quanto meno, preteso la produzione in atti dell'accordo concordato (o l'intimazione proveniente da una delle parti) della stipula del contratto definitivo e/o il verbale notarile di mancata comparizione presso il di lui studio ai fini della stipula.
Sul punto, preme rilevare che la missiva del 03/01/2019 inoltrata dalla sig.ra ### oltre a preannunciare l'intenzione di impugnare il testamento, fa espresso riferimento alla “prossima vendita dell'immobile” (cfr. all. 4 comparsa n. r.g. 744/2020 e all. 2 comparsa n. r.g. 1459/2020), senza precisare alcuna data.
Non risulta, dunque, documentalmente provato che le parti avessero individuato la data del 10/01/2019 come termine per la stipula del contratto definitivo.
In ogni caso, deve rilevarsi come la mera assenza non appare qualificabile come grave inadempimento, specie in assenza di un termine essenziale per la compravendita. ### canto, dalla condotta tenuta dalle parti non emergerebbe alcuna volontà di disattendere alla stipula del contratto definitivo, anche tenuto conto che nell'atto preliminare si evince che parte opposta si trova già “nella detenzione dell'immobile in qualità di comodataria” (cfr. preliminare). A ciò aggiungasi: - la missiva del 03/01/2019 fa riferimento alla vendita futura dell'immobile oggetto del preliminare; - la missiva del 10/06/2019 contiene la diffida alla “promissaria acquirente a volere procedere alla stipula del rogito nelle modalità concordate, presso idoneo ### in nomina” (cfr. all. opposizione r.g. 1459/2020); - nel verbale di mancata comparizione de 26/02/2020 (data comunque successiva all'emissione del decreto ingiuntivo opposto), a firma del notaio dott. ### si fa riferimento all'invito rivolto alla società opposta di presentarsi “per oggi alle ore 15.00 presso il mio studio, in ordine all'esecuzione di preliminare intercorso tra le parti avente ad oggetto immobile sito in Ragusa” e che “la controparte società ### S.R.L. non si è presentata come peraltro preannunciato con PEC di data odierna inviata alla signora ### Michela” (cfr. memoria opponente ex art. 183, co. 6, c.p.c., II termine, n. r.g. 744/2020. Il riferimento a tale adunanza si rinviene anche nell'atto di opposizione di cui al n. r.g. 1459/2020).
Si ribadisce, dunque, che in assenza della fissazione di un termine per la stipula dell'atto definitivo di vendita, anche tenuto conto della mancata prova dell'adunanza del 10/01/2019, l'unico inadempimento rilevante ai fini del recesso/risoluzione del contratto dovrebbe rinvenirsi nell'intrapresa azione giudiziale svolta dalla sig.ra ### Come è noto, i principali obblighi del venditore si rinvengono nella consegna del bene oggetto dell'acquisto con trasmissione della proprietà su di esso, nonché nella garanzia dall'evizione e dai vizi della cosa.
Se vi sia, tuttavia, pericolo che il venditore possa sottrarsi dall'evizione del bene, il compratore potrà sospendere il proprio obbligo di adempiere al versamento di quanto pattuito, salvo che il venditore presti idonea garanzia e che il pericolo di rivendica fosse noto al tempo della vendita, così come previsto dall'art. 1481 c.c.: [i]l compratore può sospendere il pagamento del prezzo, quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia. Il pagamento non può essere sospeso se il pericolo era noto al compratore al tempo della vendita”.
Se in linea puramente teorica, quindi, il compratore ha diritto alla sospensione del pagamento, detta facoltà “costituisce applicazione alla compravendita del principio generale ‘inadimplenti non est adimplendum', disciplinato all'art. 1460 cod. civ., e richiede che l'esercizio dell'autotutela così riconosciuta sia conforme a buona fede: il pericolo di perdere la proprietà o parte di essa deve cioè essere serio e concreto e risultare inoltre attuale, non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo (cfr., in particolare, Cass. 8002/2012). […] La norma in esame è dettata per la compravendita ma trova pacificamente applicazione per analogia anche per i contratti preliminari di compravendita.
Al riguardo si è infatti ripetutamente pronunciata in senso affermativo la giurisprudenza di legittimità già negli anni '80 (cfr. Cass. n. 3450/1984; Cass. n. 402/1985), fondando un orientamento interpretativo ormai consolidato che riconosce il diritto del promissario acquirente a rifiutare la stipula del contratto definitivo e a sospendere il pagamento del prezzo quando, in relazione al bene promesso in vendita, sussista il pericolo attuale e concreto di evizione da parte di terzi e fino a quando non venga eliminato tale pericolo - salvo che il promittente venditore presti idonea garanzia - (cfr. Cass. n.24340/2011; 8002/2012; Cass. n.3390/2016; Cass. n.###/2019; Cass. n.###/2019). La giurisprudenza di legittimità ha costantemente sottolineato l'importanza della sussistenza dei presupposti oggettivi necessari per l'operatività della sospensione riconosciuta dall'art.1481 c.c., ribadendo ripetutamente che il pericolo di evizione deve essere effettivo, e non meramente presuntivo o putativo, e che esso non si può quindi risolvere in un mero timore soggettivo che l'evizione possa verificarsi […] ### ad un contratto preliminare il ricorso al disposto dell'art.1481 c.c. permette la sospensione dell'obbligazione di contrarre il contratto definitivo e del pagamento del prezzo (ove siano previsti pagamenti in acconto prima e in vista della stipula del definitivo), ferma restando la possibilità che prima della stipula la parte promittente venditrice trovi una soluzione alla questione e/o offra idonea garanzia: è questa la forma di tutela riconosciuta al promissario acquirente per l'ipotesi di pericolo di evizione. […] Dalla sospensione dell'obbligazione di contrarre il contratto definitivo in capo al promissario acquirente deriva cioè da una parte l'impossibilità per il promittente venditore di far valere nei suoi confronti l'obbligo a contrarre e, dall'altra, la necessità che il pericolo di evizione sia ‘neutralizzato' prima della stipula del contratto definitivo, a nulla valendo per l'operatività della disposizione in esame l'imposizione unilaterale di termini intermedi (potenzialmente rilevanti nell'ambito proprio dell'adempimento contrattuale). ### del pericolo di evizione unitamente alle iniziative della parte promissaria acquirente per la sollecita definizione del rischio evidenziato e della sua incidenza sull'oggetto promesso in vendita, con indicazione di un termine entro cui la parte promittente venditrice avrebbe dovuto operare, riguardano più propriamente il profilo di sussistenza dei presupposti per l'esercizio del recesso, ex art.1385 c.c., primo tra tutti l'inadempimento della controparte, presupposti che debbono essere esaminati con l'utilizzo degli stessi criteri - in particolare quanto a gravità e proporzionalità - previsti dagli art.1453 e 1455 c.c. - così già Cass. n.398/1989” (cfr. Cass. civ., sez. II, ord., 25/07/2025, n. 21254).
In altri termini, il compratore, qualora sussista il pericolo concreto ed attuale di evizione, può rifiutarsi di concludere il contratto definitivo fino a quando non venga meno detto pericolo: ciò anche se il pericolo non sia determinato da colpa del venditore, atteso che il presupposto della colpevolezza risulta necessario unicamente per la responsabilità da inadempimento.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, l'impossibilità di applicare l'art. 1481 c.c. (poiché manchi un pericolo concreto ed effettivo di rivendica) non è “argomento sufficiente per negare al promissario, ignaro della provenienza, la facoltà di rifiutare la stipula del definitivo avvalendosi del rimedio generale dell'art. 1460 c.c. Non si può negare a priori che già il rischio teorico che l'acquirente possa trovarsi un giorno esposto alla pretesa del legittimario, con i correlativi impedimenti alla circolazione del bene che da subito quel rischio di porta dietro, possa rappresentare, nelle singole situazioni concreto, un elemento idoneo a pregiudicare la conformità del risultato traslativo attuabile con il definitivo rispetto a quello programmato con il preliminare” (cfr. Cass. civ., sez. II, sent., 12/12/2019, n. ###, di cui si riporta anche il principio di diritto: “[i]n tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell'art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell'acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell'art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi”).
Inoltre, sempre in diritto, deve ricordarsi che il regolamento contrattuale, anche quello del contratto preliminare, è interpretato, nonché integrato in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 1374 e 1375 c.c. quale declinazione codicistica dell'art. 2 Cost., dal canone di buona fede nell'esecuzione del contratto, determinate obbligazioni volte alla salvaguardia dei rispettivi interessi perseguiti, noti alla controparte, ma nei limiti di un reciproco sacrificio non apprezzabile (Cass. civ., sez. III, sent., 06/02/2023, n. 3483: “[l]a clausola generale (nell'applicazione pratica e in dottrina indicata anche come "principio" o come "criterio") di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1175 c.c. (cfr. Cass., 20/8/2015, n. 16990; Cass., 2/30/2012, n. 16754; Cass., 11/5/2009, n. 10741), oltre che regola (artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c.) di comportamento (quale dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost. (v. Cass., 6/5/2020, n. 8495; Cass., 10/11/2010, n. 22819; Cass., 22/1/2009, n. 1618; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, 28056), che trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità: v. Cass., 2/4/2021, n. 9200; Cass., 29/1/2018, n. 2057; Cass., 27/4/2011, 9404; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651. V. altresì Cass., 24/9/1999, n. 10511; Cass., 20/4/1994, n. 3775), nonchè criterio di determinazione della prestazione contrattuale (costituendo invero fonte - altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. (in ordine alla quale v. la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991) che da quella cogente ex art. 1339 c.c. (in relazione alla quale Cass., 10/7/2008, n. 18868; Cass., 26/1/2006, n. 1689; Cass., 22/5/2001, n. 6956. V. altresì Cass., 9/11/1998, n. 11264)- di integrazione del comportamento dovuto (v. Cass., 29/1/2018, n. 2057; Cass., 30/10/2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (v. Cass., 30/3/2005, 6735; Cass., 9/2/2004, n. 2422), come ad esempio in caso di specifica tutela giuridica, contrattuale o extracontrattuale, non potendo considerarsi implicare financo l'intrapresa di un'azione giudiziaria (v.
Cass., 21/8/2004, n. 16530), anche a prescindere dal rischio della soccombenza (v. Cass., 15/1/1970, 81)), quale criterio d'interpretazione del contratto ex art. 1366 c.c. (v. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882; Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).
Esso pertanto non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell'accordo negoziale. ### di buona fede oggettiva o correttezza è infatti da valutarsi avuto riguardo alla causa concreta del contratto (con riferimento dell'incarico conferito al professionista, e al notaio in particolare, cfr. Cass., Sez. Un., 31/7/2012, n. 13617. V. anche Cass., 28/1/2003, n. 1228; Cass., 13/6/2002, n. 8470; per il riferimento alla serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi e alla sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto medesimo cfr. altresì Cass., 28/11/2007, n. 24733, e, conformemente, Cass., 5/12/2011, n. 26020), e cioè con lo scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, o, in altre parole, con l'interesse che l'operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare (cfr. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., 7/10/2008, n. 24769; Cass., 24/4/2008, 10651; Cass., 20/12/2007, n. 26958; Cass., 11/6/2007, n. 13580; Cass., 22/8/2007, n. 17844; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 27/7/2006, n. 17145; Cass., 8/5/2006, n. 10490; Cass., 14/11/2005, n. 22932; Cass., 26/10/2005, n. 20816; Cass., 21/10/2005, n. 20398. V. altresì Cass., 7/5/1998, n. 4612; Cass., 16/10/1995, n. 10805; Cass., 6/8/1997, n. 7266; Cass., 3/6/1993, n. 3800; e, più recentemente, Cass., 25/2/2009, n. 4501; Cass., 12/11/2009, n. 23941; Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947; Cass., 18/3/2010, n. 6538; Cass., 9/3/2011, n. 5583; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 27/11/2012, n. 20991). La causa, da intendersi - come detto - quale scopo pratico dalle parti perseguito mediante la stipulazione, l'interesse che l'operazione contrattuale è propriamente volta a soddisfare, assume dunque decisivo rilievo ai fini ### dell'interpretazione del contratto, e della corretta individuazione del significato e della portata ad esso da riconoscere”). ### queste premesse, nel caso di specie, deve ritenersi che: - il contegno tenuto da ### non integra un inadempimento contrattuale, nemmeno alla luce del canone di buona fede, in quanto la stipulazione, insieme ad altri coeredi vocati per testamento, di un preliminare di compravendita di uno dei beni devoluti ai medesimi non può determinare il venir meno del diritto soggettivo della stessa, pena il superamento del limite di apprezzabilità del sacrificio giustificabile per la tutela dell'altrui interesse, ad impugnare il testamento indicato nell'atto quale fonte del titolarità del diritto compromesso; - la decisione di quest'ultima, in epoca successiva alla conclusione del contratto preliminare, di contestare la validità dell'atto fonte della sua vocazione all'eredità del de cuius, dante causa del cespite, potrebbe tutt'al più determinare una sua responsabilità pre-contrattuale, per omissione, per violazione dell'art. 1337 c.c., laddove tale iniziativa non fosse giustificata da fatti sopravvenuti, né nota alla controparte durante le trattative; l'art. 1337 c.c. integra, tuttavia, una norma di comportamento che non influisce sulla validità ed efficacia del negozio stipulato, e che può determinare una diversa responsabilità civile, non invocata in questa sede; - il recesso dell'opposta è, pertanto, inefficace, non sussistendo un avverso inadempimento (cfr., in generale, Cass. civ., sez. II, ord., 03/04/2024, n. 8773 “va senz'altro condivisa la ricostruzione dottrinaria secondo la quale il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l'inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accumunano tanto i presupposti - l'inadempimento della controparte - quanto le conseguenze - la caducazione ex tunc degli effetti del contratto - (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2969 del 31/01/2019; ### U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009) […].
Per cui, ai fini della legittimità del recesso di cui all'art. 1385 c.c., come in materia di risoluzione contrattuale, non è sufficiente l'inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall'art. 1455 c.c., dovendo il giudice tenere conto dell'effettiva incidenza dell'inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l'utilità del contratto alla stregua dell'economia complessiva del medesimo ”); - non vi sono, pertanto, nemmeno i presupposti per la risoluzione del contratto, domandata dall'opposta, per l'inadempimento dei promissari venditori; - deve, parimenti, ritenersi la legittimità del contegno tenuto da parte opposta, da sussumersi nell'art. 1460 c.c., in considerazione della sopravvenuta concreta incertezza, determinata proprio da uno dei promissari venditori, del titolo di vocazione, e quindi del loro titolo provenienza, non potendosi pretendere, da parte di quest'ultimi, pena la violazione del principio di buona fede, che il primo, ossia il promissario acquirente, verifichi, ora per allora, dopo la conclusione del preliminare in cui la fonte del diritto compromesso era espressamente indicato, il nuovo titolo di vocazione invocato dalle controparti (successione legittima), in vista del pagamento di una somma considerevole.
In conclusione, deve accogliersi l'opposizione, con rigetto della domanda di parte opposta.
Quanto alla domanda riconvenzionale svolta dal ### con la quale la stessa ha chiesto all'intestato tribunale di condannare la società opposta al pagamento di una indennità per occupazione sine titulo dell'immobile oggetto del preliminare, la stessa non è meritevole di accoglimento per mancata allegazione del danno ### patito dalla parte acquirente.
Come è noto, il regime di responsabilità civile richiede, anzitutto, la necessaria dimostrazione di un danno rispetto ad un interesse giuridicamente tutelato dall'ordinamento e, di conseguenza, la dimostrazione che tale danno sia causalmente connesso alla condotta in concreto tenuta dal danneggiante con dolo o colpa.
Da ciò discende che, affinché vi sia un danno risarcibile per lesione del bene costituente l'oggetto del diritto di proprietà, non è sufficiente dimostrare che l'evento lesivo abbia determinato una “lesione del diritto di proprietà, ma affinchè un danno risarcibile vi sia, perfezionandosi così la fattispecie del danno ingiusto, è necessario che al profilo dell'ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno conseguenza, e perciò la perdita subita e/o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalità giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso” (cfr. Cass. civ., s.u., sent., 15/11/2022, n. ###).
In effetti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha chiarito che non vi possa essere danno ingiusto senza il danno conseguenza: “se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l'obbligazione risarcitoria” (cfr. Cass. civ., s.u., sent., 11/01/2008, n. 576; conf. in Cass. civ., n. ###/2022, cit.).
Tale principio è stato ribadito dalla più recente giurisprudenza di legittimità, che ha avuto modo di specificare che “[l]e sezioni unite, infatti, con sentenza del 15.11.2022 n. ###, in tema di prova del danno da violazione del diritto di proprietà e di altri diritti reali, hanno optato per una mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della II sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla III sezione Civile. La questione se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale, ma anche risarcitoria, è stata risolta dalle sezioni unite in senso positivo, ed è stato dato seguito al principio di diritto, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria (ex multis Cass. 27.6.2024 17758; Cass. 18.7.2013 n. 17635). Le sezioni unite hanno poi confermato la linea evolutiva della giurisprudenza di questa sezione, nel senso che la locuzione ‘danno in re ipsa' va sostituita con quella di ‘danno presunto' o ‘danno normale', privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato. Le sezioni unite hanno, altresì, definito il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà: esso riguarda non la cosa ma il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa, sicché il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione. Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire. Nel caso in cui la prova sia fornita attraverso presunzioni, l'attore ha l'onere di allegare il pregiudizio subito, anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (Cass. 27.6.2024 n. 17758). Ulteriormente questa sezione, sulla base della composizione del contrasto compiuta dalle sezioni unite, ha affermato che ‘### in caso di violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni, l'attore richieda il risarcimento del danno determinatosi prima della riduzione in pristino, quale effetto dell'abusiva imposizione di una servitù sul proprio fondo e quindi della limitazione del relativo godimento, deve dunque riconoscersi che lo stesso non è sottratto da un onere di allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione di utilizzare l'immobile nel periodo dell'illegittima ingerenza del peso costituito dalla costruzione. La domanda del danno per l'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo onera, dunque, il ricorrente di indicare gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui, in presenza dei requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., possa desumersi l'esistenza e l'entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito; ciò consente poi al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo allora comunque in re ipsa (non il danno, ma) la prova del pregiudizio' (Cass. 19.3.2025 n. 7290; 22.11.2023 n.###)” (cfr. Cass. civ., sez. II, sent., 18/04/2025, n. 10329).
Il predetto canone ermeneutico ribadito dalla seconda sezione della Corte di Cassazione è stato, altresì, confermato anche dalla sua terza sezione che ha utilmente precisato i presupposti applicativi desumibili dalla pronuncia a sezioni unite: “[t]utti i suddetti princìpi sono stati ribaditi dalle ### di questa Corte, con specifico riferimento al danno da abusiva occupazione d'un immobile (Cass. Sez. U., 15/11/2022, n. ###). La sentenza appena ricordata ha stabilito che: -) il ‘danno' in senso giuridico non consiste solo nella lesione d'un diritto (come vollero i fautori della c.d. ‘teoria normativa del danno'), ma esige che da quella lesione sia derivato un concreto pregiudizio (secondo la c.d. ‘teoria causale del danno'); -) la lesione del diritto di proprietà, quando sia consistita non in una lesione diretta del bene, ma nella perduta possibilità di goderne, può costituire un danno risarcibile soltanto ove il proprietario alleghi e dimostri che la perdita del frutto del godimento sia stata ‘specifica' e ‘concreta' [...]; -) se così non fosse, ‘il risarcimento spetterebbe sempre a fronte della denuncia della compressione del diritto di godere della cosa quale astratta posizione riconosciuta dall'ordinamento, senza che si dia possibilità della prova contraria' (secondo la c.d. ‘teoria del danno irrefutabile')” (cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 28/07/2025, n. 21607).
In altri termini, il proprietario che presenti un'istanza di risarcimento del danno è tenuto ad allegare il danno subito a causa della pretesa occupazione dell'immobile sine titulo e, in caso di contestazione specifica, è tenuto a provarlo, anche tramite nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o mediante presunzioni semplici.
Nel giudizio che qui occupa, l'attrice riconvenzionale non ha allegato alcuna particolare compromissione del proprio diritto proprietario ovvero la diminuzione del valore dello stesso a causa della condotta tenuta da controparte, anche considerato che la convenuta riconvenzionale pacificamente e legittimamente godeva dell'immobile (è la stessa attrice riconvenzionale, d'altro canto, ad allegare un contratto di comodato su parte dell'immobile di epoca precedente alla stipula del preliminare). A ciò aggiungasi che, ante causam, non risulti alcuna richiesta formale di rilascio dell'immobile, né richiesta di pagamento di alcuna somma di denaro per l'occupazione dell'immobile e neppure viene dimostrata la volontà di parte proprietaria di destinare l'immobile a finalità diverse dalla vendita in favore dell'occupante.
Parte attrice si è, dunque, sottratta dall'onere di allegazione dei fatti posti a fondamento della propria pretesa e, in particolare, non ha provato gli elementi di fatto da cui desumersi l'esistenza e l'entità del danno subito.
Il mancato assolvimento dell'onere di allegazione e dell'onere probatorio non può, d'altronde, essere superato in forza del potere di liquidazione del danno in via equitativa, atteso che detto potere, “conferito al giudice dall'art. 1226 cod. civ., costituisce espressione del più generale potere di cui all'art. 115 cod. proc. civ. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l'unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza (ex multis Cass. 29 aprile 2022, n. 13515; Cass. 22 febbraio 2018, n. 4310; Cass. 12 ottobre 2011, 20990)” (cfr. Cass. civ., sez. lav., ord., 06/07/2023, n. 19111. Sul punto si richiama, altresì, Cass., 21607/2025, cit.: “[è] dunque evidente che in tanto è consentito al giudice il ricorso alla liquidazione equitativa, in quanto sia stata previamente dimostrata l'esistenza certa, ovvero altamente verosimile, d'un effettivo pregiudizio. È l'impossibilità di quantificare un danno certamente esistente che rende possibile il ricorso alla stima equitativa. Se, invece, è l'esistenza stessa d'un pregiudizio economico ad essere incerta, eventuale, possibile ma non probabile, spazio non v'è alcuno per l'invocabilità dell'art. 1226 c.c. Questo principio costituisce da oltre cinquant'anni jus receptum nella giurisprudenza di legittimità (a parte da, ### 3, Sentenza n. 1536 del 19/06/1962, secondo cui ‘la valutazione equitativa del danno presuppone che questo, pur non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, sia certo nella sua esistenza ontologica'; nello stesso senso, ex plurimis, ### 2, Sentenza. n. 838 del 03/04/1963; Sez. 3, Sentenza n. 1327 del 22/05/1963; [...]). Ne consegue che in tanto il giudice di merito può avvalersi del potere equitativo di liquidazione del danno, in quanto abbia previamente accertato che un danno esista, indicando le ragioni del proprio convincimento. Ciò vuol dire che, nel caso di danno patrimoniale consistito nella distruzione di un bene, il ricorso alla liquidazione equitativa in tanto è ammissibile, in quanto sia certo (per essere stato debitamente provato da chi si afferma danneggiato) che la cosa distrutta avesse un concreto valore oggettivo, e non meramente ipotetico o d'affezione”).
Tutto ciò premesso e considerato, parte attrice non ha assolto all'onere di allegazione e all'onere probatorio su di lei gravante, per cui la domanda di risarcimento del danno non è meritevole di accoglimento.
In ragione del reciproco contegno, che ha determinato da un lato la legittima inerzia dell'opponente ma, al tempo stesso, l'inefficacia del recesso, le spese di lite devono essere compensate. P.Q.M. Il tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione assorbita e/o disattesa, così provvede: - accoglie la domanda di opposizione a decreto ingiuntivo proposta da ### (###), ### (###), ### (###), nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulla minore #### (###), ### (###) e ### (###) e, per l'effetto; - revoca il decreto ingiuntivo n. 112/2020, emesso dal tribunale di ### (n. r.g. 5127/2019) in data ###; - rigetta la domanda riconvenzionale formulata da ### (###); - rigetta le domande proposte da ### S.R.L. UNIPERSONALE (###); - compensa le spese di lite.
Così deciso in ### 22/12/2025. Il giudice
dott. ###
causa n. 744/2020 R.G. - Giudice/firmatari: Antonio Pianoforte