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R.G. 7630/2020 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NAPOLI NORD Il Tribunale di ###, in funzione di giudice del lavoro ed in composizione monocratica nella persona del Giudice Dott. ###, ### i procuratori delle parti all'udienza del 16.1.2023; Sciolta la riserva assunta in tale data; Nella causa avente n. R.G. 7630/2020; Ha pronunciato la seguente: #### rapp. e dif. dall'avv. ### presso il cui studio elett. dom. in ### in ### S. ### n. 1, giusta procura in atti RICORRENTE E ### in persona del legale rappresentante p.t., rapp. e dif. dall'avv. ### presso il cui studio elett. dom. in Napoli alla via ### da ### n. 3, giusta procura in atti RESISTENTE OGGETTO: differenze retributive MOTIVI DELLA DECISIONE La ricorrente in epigrafe ha dedotto: -di aver lavorato presso il ### sas di ### successivamente denominato ### sas di ### con la qualifica di ### dal 24 marzo 2000 sino al 1 luglio 2016; -di aver ricevuto in data 27 maggio 2016 una raccomandata contenente la propria revoca dall'incarico di ### -di aver inviato in data ###, con una raccomandata, la quale veniva rifiutata, un certificato medico di malattia sino al 12 giugno 2016; -che in data ### il ### sas di ### succeduto al ### sas di ### le intimava il licenziamento senza alcun preavviso; -che ad ella non venivano corrisposte le seguenti spettanze: i cinque giorni lavorativi del mese di maggio 2016, data in cui ebbe a transigere per il pregresso tutte le sue pendenze lavorative con la vecchia gestione ### sas di ### pari ad euro 409,62; lo stipendio del mese di giugno 2016, pari ad euro 2.130,86; i quattro mesi di preavviso non intimato, pari ad euro 12.785,16; i ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, pari ad euro 2.130,86; i quindici giorni di ferie non godute, pari ad euro 1.065,43; il TFR, pari ad euro 27.074,00. Il tutto per un importo complessivo di euro 45.595,93; -che la certificazione unica presentata dal ### sas di ### riportava nel CUD del 2017 come pagata la somma che ella avrebbe dovuto percepire a titolo di ### stipendio, tredicesime e quattordicesima mensilità, ferie, che, invece, non sono mai state percepite.
Per tali ragioni ella adiva codesto Tribunale chiedendo, previa declaratoria del rapporto di lavoro svolto dal 24.3.2000 al 1.7.2016, di condannare la società convenuta al pagamento della somma di euro 45.595,93, con vittoria di spese e attribuzione.
Si costituiva in giudizio la società indicata in epigrafe, la quale resisteva con diverse argomentazioni, in fatto e in diritto, così come meglio specificate nella memoria difensiva, alle pretese attoree. Nello specifico, parte resistente eccepiva, in via preliminare, la nullità del ricorso e la mancata indicazione del ### di riferimento; nel merito, essa evidenziava che la ricorrente, in qualità di socia, aveva ceduto le proprie quote della società ### di ### al ### e ### spa, socio di maggioranza del ### di ### per una somma di euro 35.000,00 e che l'atto di cessione prevedeva una clausola di esonero della responsabilità per tutti i debiti pregressi. Altresì, il convenuto sottolineava che la stessa ### nel ricorso affermava di aver transatto con la vecchia gestione del ### di ### tutte le sue pregresse pendenze lavorativa. Pertanto, esso concludeva chiedendo il rigetto del ricorso; spese vinte con attribuzione.
La causa, incardinata dinanzi al Giudice Istruttore titolare del ruolo in precedenza, veniva assegnata allo scrivente, in virtù di decreto presidenziale, per la prima volta all'udienza del 14.2.2022, dove il ### esperiva il tentativo di conciliazione.
Constatato il fallimento della conciliazione, in quanto la ricorrente dichiarava di non accettare la proposta del Tribunale, mentre il resistente aderiva alla stessa, il Giudice rinviava la causa all'udienza del 16.1.2023 onerando le parti al deposito di documentazione integrativa.
In tale udienza, all'esito della discussione dei procuratori delle parti, il Giudice si riservava.
Il ricorso è fondato e deve essere accolto per le ragioni di seguito esposte.
In via preliminare, va respinta l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo proposta dalla parte resistente. Al riguardo, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che “nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l'esame complessivo dell'atto - che compete al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione - sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa. Ne consegue che la suddetta nullità deve essere esclusa nell'ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive, allorché l'attore abbia indicato - come nel caso di specie - il periodo di attività lavorativa, l'orario di lavoro, l'inquadramento ricevuto ed abbia altresì specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai quali vengono richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata formulazione di conteggi analitici o la mancata notificazione, con il ricorso, del conteggio prodotto dal lavoratore” (Cassazione civile, ### Lavoro, sentenza n. 3126 dell' 8 febbraio 2011).
Orbene, dal principio suesposto discende che, muovendo da una valutazione complessiva degli atti di parte ricorrente, le carenze espositive della domanda introduttiva non hanno inciso sulla determinazione del petitum e della causa petendi, che risultano chiari ed intellegibili nella loro sostanza.
Nel rito del lavoro, poi, la nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione delle ragioni, di fatto e di diritto, non ricorre ove si deducano pretesi errori di prospettazione in diritto, trattandosi di circostanza inidonea a compromettere la possibilità di individuare con precisione i fatti e gli elementi di diritto posti a fondamento della domanda, potendo la stessa incidere solo sulla fondatezza di merito della pretesa (così Cass. 22 gennaio 2009, 1629). Pure l'eventuale mancata indicazione del contratto collettivo applicabile nel ricorso con il quale, sulla base della asserita prestazione di lavoro subordinato, vengano chiesti conguagli retributivi, non incide sull'oggetto della domanda e non comporta, quindi, la nullità del ricorso (così Cass. 5 aprile 2002, 4889; si veda anche, per l'affermazione del medesimo principio, Cass. 18 giugno 2002, n. 8839).
Nel merito, la ### assume di aver diritto al pagamento del TFR per l'intero rapporto intercorso alle dipendenze del ### sas di ### nonché delle differenze retributive non corrisposte, a seguito del cambio di denominazione societaria, dalla società convenuta, così come indicate in ricorso.
Tali deduzioni risultano fondate.
Occorre, innanzitutto, rilevare che dalla visura camerale storica della società resistente ### srl, al punto 10 -rubricato “storia delle modifiche”- ( all.to n. 4 di parte convenuta), si evince che con protocollo del 9.6.2016 a seguito della cessione delle quote della società ### di ### sas alla società ### e ### spa e a ### (cfr. sul punto, altresì, l'atto di cessione delle quote -all.to n. 3 di parte resistente-), vi è stato un mutamento della denominazione societaria del ### sas di ### in ### sas di ### Successivamente, con protocollo del 29.7.2020 vi è stata un'ulteriore variazione della denominazione societaria, nonché della forma giuridica, la quale è mutata in ### di ### srl di ### A quanto precede consegue che la mera variazione di denominazione non ha inciso sull'esistenza della società originariamente datrice della ricorrente e che, pertanto, il soggetto giuridico resta unico ed unitario, non essendosi verificata la sua cessazione e la nascita di una nuova società, ma configurandosi esclusivamente, in tal guisa, una modifica di un aspetto organizzativo interno al medesimo soggetto. Sul punto, giova rammentare i principi dettati di recente dalla Corte di cassazione, la quale ha stabilito che: “1.1. - Le modificazioni che possono interessare il soggetto collettivo e la sua attività, pur nella permanenza dei soci e dell'intrapresa economica sul mercato, sono varie e di diversa intensità, da minima a massima.
Ci si vuol riferire a quelle varie operazioni che, usualmente di competenza dell'assemblea straordinaria, ma a volte anche degli amministratori, comportano un profilo di riorganizzazione dell'impresa e, dunque, ricevono una disciplina ad hoc, atta a renderla giuridicamente più agile ed economicamente meno onerosa, riducendo i costi di transazione.
Si va dal mutamento della denominazione, la quale lascia sussistere il medesimo soggetto, sia pure diversamente nominato; alla cessione e all'affitto di azienda o di ramo d'azienda, ove muta il gestore della stessa, senza modificazione né soggettiva del concedente, né oggettiva dell'azienda come universitas facti, quale complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa (art. 2555 c.c.), arrestandosi l'efficacia della vicenda modificativa al solo trasferimento della proprietà o godimento dell'azienda (art. 2556 c.c.); alla trasformazione, la quale del pari, sebbene sotto un'altra forma, lascia permanere l'ente nella sua originaria identità; sino alla fusione ed alla scissione, in cui, al contrario, almeno in alcuni casi e per taluni dei soggetti partecipanti (società incorporate, società fuse, società scissa che assegni l'intero suo patrimonio a più società), il mutamento è radicale, con la scomparsa di essi dalla scena giuridica, allo stesso modo dello scioglimento e della liquidazione della società, seguite dalla cancellazione dal registro delle imprese. 1.2. - Pertanto, è stato da tempo chiarito che il mutamento della denominazione sociale configura una modificazione dell'atto costitutivo (Cass. 28 giugno 1997, n. 5798), ma non determina l'estinzione dell'ente e la nascita di un nuovo diverso soggetto giuridico, comportando solo l'incidenza su di un aspetto organizzativo della società (fra le tante, Cass. 29 dicembre 2004, n. 24089); del pari, si è precisato che, in caso di trasferimento della sede ###mutamento di identità non potrebbe essere ricollegato al contemporaneo cambiamento della denominazione sociale, che non fa venir meno la "continuità" giuridica della società (Cass. 28 settembre 2005, n. 18944).
Nelle società di persone, parimenti, il mutamento della ragione sociale per effetto della sostituzione del socio, come accade per l'unico socio accomandatario ex art. 2314 c.c., determina esclusivamente una modificazione dell'atto costitutivo, ma non la nascita o il mutamento della società in un soggetto giuridico diverso, onde essa non si estingue, né sorge una diversa società (Cass. 29 luglio 2008, n. 20558; Cass. 14 dicembre 2006, 26826, sia pure massimata, erroneamente, con riguardo alla medesimezza del soggetto nella trasformazione; Cass. 13 aprile 1989, n. 1781; con qualche episodica incertezza: Cass. 2 luglio 2004, n. 12150, in tema di contenzioso tributario).
Gli stessi principi sono sottesi ad altre decisioni, pur rese in una prospettiva diversa, quale la tutela della denominazione in presenza del mutamento dell'oggetto sociale (Cass. 13 marzo 2014, n. 5931) ed a fronte della prospettata perdita dell'avviamento dovuta al mutamento del nome (Cass. 17 luglio 2007, n. 15950)” (cfr. Cassazione civile sez. un., 30/07/2021, n.21970).
Quanto affermato comporta che la società convenuta resta debitrice dei crediti da lavoro vantati dalla ricorrente anche per il periodo antecedente all'atto della cessione delle quote societarie del 26.5.2016 a cui la stessa non ha espressamente rinunciato.
A questo punto, è opportuno procedere all'accertamento della domanda di pagamento del TFR proposta dalla ricorrente. Sotto il profilo probatorio, va premesso che “il creditore che agisce per l'adempimento o per la risoluzione o per il risarcimento del danno da inadempimento ha solo l'onere di dimostrare l'esistenza del titolo - cioè l'esistenza del contratto stipulato con il debitore - e di dedurre lo specifico fatto costitutivo della propria domanda, gravando poi sul debitore l'onere di dimostrare di aver già adempiuto o che il proprio inadempimento è di scarsa importanza (art. 1455 c.c.) o che il termine di adempimento già inutilmente decorso non aveva natura essenziale per il creditore (art. 1457 c.c.) o che l'inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (art. 1218 c.c.). Sono assoggettate a tale ### criterio di riparto dell'onere di deduzione e di prova le pretese relative alla retribuzione ordinaria, alla 13°, alla 14°, al ### a tutto ciò che il ### di settore riconosce al lavoratore senza prevedere ulteriori specifiche condizioni, l'indennità di mancato preavviso (laddove le dimissioni del lavoratore siano state cagionate proprio dall'inadempimento del datore di lavoro alla obbligazione retributiva). Pertanto, laddove la parte convenuta non abbia fornito in giudizio la prova dell'esistenza di fatti estintivi od impeditivi delle pretese vantate dalla parte ricorrente per tali titoli, spetta alla parte ricorrente il relativo pagamento” (Tribunale Velletri sez. lav., 15/10/2020, n.1057); di conseguenza, spetta al datore fornire la prova dell'avvenuto pagamento del ### Nel caso di specie, non risulta fondata l'eccezione spiegata dalla società resistente la quale sostiene che il TFR non debba essere corrisposto alla ### in virtù dell'inserimento nell'accordo di cessione delle quote societarie di una clausola di esonero della responsabilità per i debiti esistenti verso terzi alla data della sua stipulazione. Essa, invero, non può essere opposta alla ricorrente, innanzitutto, perché non si è verificato un cambiamento del soggetto giuridico e, dunque, un mutamento del datore di lavoro che rimane sempre il medesimo.
Inoltre, il diritto al TFR matura esclusivamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro e non può essere rinunciato in via preventiva dal lavoratore. In argomento, infatti, la Suprema Corte ha affermato che: “Il diritto alla liquidazione del t.f.r., nonostante l'avvenuto accantonamento delle somme, non può ritenersi entrato nel patrimonio del lavoratore prima della cessazione del rapporto, sicché per il dipendente ancora in servizio costituisce un diritto futuro, la cui rinuncia è radicalmente nulla, per mancanza dell'oggetto, ai sensi dell'art. 1418, comma 2, e dell'art. 1325 c.c.” (Cassazione civile sez. lav., 28/05/2019, n.14510). Pertanto, da un lato, il diritto alla liquidazione del TFR della ### non può in ogni caso rientrare tra quelli oggetto della clausola di esonero della responsabilità prevista dall'atto di cessione delle quote, poiché in tale data il rapporto di lavoro era ancora sussistente, e, dall'altro, per le medesime ragioni, tale diritto non può essere ricompreso nell'atto di rinunzia alle spettanze lavorative del 20.5.2016 sottoscritto dalla ricorrente, il quale involge le altre voci retributive maturate sino a quel momento, che, infatti, non sono state richieste in questo giudizio.
A corroborare quanto espresso in narrativa vi è anche il dato documentale rappresentato dalla ### del 2017 rilasciata dalla società convenuta inerente alla posizione lavorativa della ### (cfr. all.to n. 2 di parte ricorrente), che indica l'importo di euro 20.931,89 a titolo di TFR accantonato in azienda. Tale certificazione riveste, a ben vedere, natura confessoria, operando in questa ipotesi i principi della giurisprudenza secondo cui “### depositato dal datore di lavoro (anche dopo qualche mese la data delle dimissioni rassegnate dal lavoratore) costituisce prova documentale dell'esistenza del credito a titolo di tfr spettante al lavoratore” (Corte appello ### sez. lav., 30/07/2019, n.1581).
Allo stesso tempo, è infondata l'eccezione di parte resistente secondo cui la certificazione in questione rappresenterebbe un errore del consulente aziendale. Ciò in quanto il convenuto non ha allegato e provato di essersi attivato per emendare a tale presunto errore, né di aver redatto un atto di rettifica all'### delle ### per rimediare allo stesso. E neppure il documento citato costituisce prova dell'avvenuto pagamento del ### in tal caso, infatti, trovano applicazione i principi stabiliti dalla giurisprudenza secondo cui: “Non costituisce prova del pagamento del TFR la dichiarazione contenuta nel CUD proveniente dal datore e non accompagnata da un atto di quietanza del lavoratore” (Cassazione civile sez. VI, 03/12/2018, n.###).
Venendo, invece, alle altre differenze retributive vantate dalla ricorrente per il periodo successivo al mutamento della denominazione societaria sino al licenziamento, ovvero il rateo dello stipendio di maggio 2016 e lo stipendio del mese di giugno 2016, i ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità per i mesi di maggio 2016 e giugno 2016 e l'indennità di mancato preavviso quantificati in 4 mesi di retribuzione, la loro debenza non è stata specificamente contestata nella memoria difensiva dal resistente. Quest'ultimo, infatti, si è limitato ad affermare l'impossibilità di accertarne la determinazione in quanto la richiesta di controparte risultava priva di uno sviluppo contabile e di un riferimento contrattuale, ma non hai mai contestato la debenza anche nel corso del giudizio. Di conseguenza, trova applicazione nel caso de quo il principio di non contestazione. Ai sensi dell'art. 115 c.p.c., invero, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificamente contestati. Come chiarito dalla giurisprudenza, tale onere riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti ( Cass. 12748/2016). Pertanto, in assenza di specifica e tempestiva contestazione, si considera pacifica la debenza delle differenze retributive diverse dal TFR richieste nel ricorso, anche alla stregua della circostanza secondo cui, sulla base della giurisprudenza summenzionata, grava in capo al datore di lavoro l'onere di provare l'avvenuta corresponsione di tali voci retributive.
Con espresso riferimento, poi, all'indennità sostituiva del mancato preavviso, essa “ha una funzione diversa in base al soggetto che subisce il recesso. Nel caso di licenziamento la sua funzione è quella di garantire al lavoratore la percezione di una somma di denaro, al fine di garantirlo per il tempo che si presume necessario al reperimento di un nuovo lavoro. Nel caso di dimissioni invece il preavviso ha la funzione di agevolare il datore nel reperimento di una figura sostitutiva, con lo scopo di non compromettere l'organizzazione aziendale. In effetti, l'istituto del preavviso che è proprio dei contratti di durata a tempo indeterminato, ha sempre la ratio di alleviare, per la parte che lo subisce, le conseguenze pregiudizievoli dell'interruzione del rapporto” (Corte appello ### sez. lav., 20/04/2022, n.164).
In relazione all'onere della prova di tale indennità, è d'uopo evidenziare i principi delineati dalla giurisprudenza ad avviso della quale: “Una volta accertata la sussistenza del rapporto di lavoro, per la ripartizione dell'onere della prova sancita dall'art. 2697 c.c., incombe al datore di lavoro dimostrare i fatti estintivi o modificativi delle obbligazioni a suo carico derivanti dal medesimo rapporto. Spetta, pertanto, al datore dimostrare che la cessazione del rapporto lavorativo è avvenuta in seguito alle dimissioni del lavoratore; in assenza di tale prova, il datore sarà tenuto a versare anche l'indennità di preavviso” (Cassazione civile sez. lav., 06/10/2009, n.21311).
Nella fattispecie in esame, nonostante il Tribunale abbia onerato entrambe le parti a dedurre sullo specifico punto chiedendo chiarimenti sulle modalità del licenziamento, le stesse non hanno allegato nulla; di guisa che, in mancanza della prova da parte del datore di aver intimato il preavviso di licenziamento o che lo scioglimento del rapporto è avvenuto per dimissioni della lavoratrice, oltre che di contestazioni specifiche al riguardo, deve essere corrisposta l'indennità in parola. ### l'art. 136 del ### “Dei dipendenti dei laboratori di analisi cliniche e dei centri poliambulatoriali”, applicato al rapporto in questione, il preavviso di licenziamento è pari a 120 giorni del calendario per gli impiegati di livello F e i ### con anzianità superiore agli anni 10. Ebbene, la ### la quale rivestiva l'incarico di ### del ### di ### (cfr. lettera di revoca da incarico -all.to n. 4 di parte ricorrente-) ed ha prestato attività lavorativa almeno da aprile del 2000 (cfr. buste paga-all.to n. 6 di parte ricorrente-) ha diritto al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso nella suddetta misura.
Per tutto quanto esposto, dunque, alla ricorrente spetta il pagamento del TFR e delle altre differenze retributive innanzi elencate, compresa l'indennità sostitutiva del mancato preavviso, di fine rapporto.
Venendo al quantum, prendendo a parametro i conteggi riformulati da parte ricorrente con note depositate in data ### su onere del Tribunale, immuni da vizi logici e ontologici e coerenti con il dato normativo e documentale in atti, e non contestati in modo specifico dal resistente, quest'ultimo deve essere condannato al pagamento in favore della ### della somma di euro 32.345,51 per differenze retributive, di cui euro 20.931,89 a titolo di ### per le causali di cui in motivazione.
Su tali somme, ai sensi del combinato disposto dell'art. 429 c.p.c. e 150 disp. att., va calcolata la rivalutazione monetaria, tenuto conto dell'indice ### nonché gli interessi che seguono al tasso di legge, sul capitale via via rivalutato (vedi Cass. Sez. Un. n.° 38/2001), dalle singole scadenze all'effettivo soddisfo.
Sussistono gravi ed eccezionali ragioni, considerando la complessità delle questioni trattate, nonché il comportamento assunto dalle parti nel corso del giudizio, per compensare le spese di lite per la metà, mentre per la residua frazione esse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo tenendo conto dell'assenza di attività istruttoria. P.Q.M. Il Giudice di ###, Dott. ###, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza od eccezione: a) Accoglie il ricorso; b) Per l'effetto condanna la società ### srl al pagamento in favore della ricorrente ### della somma complessiva di euro 32.345,51, di cui euro 20.931,89 a titolo di ### oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, sul capitale via via rivalutato dalle singole scadenze al saldo, per le causali di cui in motivazione; c) Condanna la società ### srl al pagamento in favore della ricorrente ### della metà delle spese del giudizio che si liquidano in tale misura ridotta in euro 1.844,50, oltre rimborso per spese generali nella misura forfettaria del 15%, IVA e CPA come per legge, con attribuzione al procuratore costituito; d) Compensa le spese di lite tra le parti per la residua metà.
Si comunichi.
Aversa, 20.1.2023 Il Giudice
del lavoro Dott. ### n. 7630/2020
causa n. 7630/2020 R.G. - Giudice/firmatari: Paladino Giannicola