Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 1 - REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Napoli, seconda sezione civile, in persona dei magistrati: - dr.ssa ### - Presidente - - dr.ssa ### - ### - dr.ssa ### - ### ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2100/2021 R.G., riservata in decisione all'udienza di discussione, ex art. 352, 2° comma, c.p.c., del 7 febbraio 2024 e vertente TRA ### nato a Napoli ### il ### (C.F. ###) e residente ###elettivamente domiciliato in Napoli alla via P. Della Valle 4, c/o lo studio dell'Avv. ### - C.F: ### -fax ### 99 63 - pec:### e dell'Avv. ### - C.F. ### pec ### dai quali è rapp. to e difeso anche disgiuntamente per mandato agli atti del giudizio di primo grado; APPELLANTE E #### rappresentato e difeso dall'avv. ### giusta procura in atti e con lui elettivamente domiciliato in Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 2 - ### 179 PORTICI ###. APPELLATO Ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Con sentenza n. 8790/2020, pubblicata il ###, il Tribunale di Napoli, provvedendo sulla domanda proposta da ### nei confronti di ### volta a veder condannare il convenuto al rilascio dell'immobile di sua proprietà, sito in NapoliBagnoli, alla via ### (attualmente indicato in catasto, per come precisato nella memoria ex art. 183, 6° comma, I termine, c.p.c., alla ### (###, foglio 28, particella 34, sub 102, ### 10°, Categoria A/4, classe 2), nonché sulla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, volta a veder accertare l'intervenuto acquisto per usucapione, in suo favore, della proprietà del medesimo immobile, accoglieva la domanda principale e rigettava la domanda riconvenzionale.
Segnatamente, il Giudice di prime cure - dopo aver disatteso l'eccezione di nullità per indeterminatezza, quanto all'individuazione del bene conteso, dell'atto introduttivo del giudizio, e qualificato l'iniziativa giudiziaria intrapresa, alla luce delle difese svolte dalla parte attrice nella memoria ex art. 183, 6° comma, primo termine, c.p.c. in termini di azione di restituzione - riteneva provata, all'esito dell'assunzione delle prove testimoniali, mediante l'escussione dei testi #### e ### l'esistenza di un contratto di locazione stipulato tra i danti causa dell'attore e il dante causa del convenuto. Dal testimoniale in atti era infatti emerso che il bene era stato concesso in locazione alla nonna del ### di nome ### da parte della madre del ### di nome ### che l'appellante e poi anche sua moglie convivevano con l'originaria conduttrice, che aveva pagato i canoni, in parte a carico dello stesso convenuto, sino al decesso della locatrice risalente al novembre del 1996; che ### a partire dal luglio del 1995 aveva chiesto a ### il pagamento del canone di locazione e che il conduttore, all'esito di una trattativa intercorsa con l'attore per l'acquisto dell'immobile, aveva versato l'importo di £ 4.000.000 come acconto sul prezzo.
La consulenza tecnica espletata, inoltre, aveva confermato la corrispondenza dell'immobile in proprietà dell'attore a quello nella disponibilità del convenuto.
Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 3 - Quanto alla domanda riconvenzionale, il Tribunale la rigettava, evidenziando che il ### occupava l'immobile in virtù del contratto di locazione stipulato dalla nonna ### e che aveva palesato, anche attraverso la corresponsione di una somma di denaro, la volontà di acquistarlo; doveva pertanto ritenersi che il ### detenesse l'immobile in virtù del consenso del proprietario e che pertanto non ricorresse un possesso ad usucapionem, difettando, peraltro, un atto di interversione del possesso. 2. Avverso la suindicata sentenza, ha spiegato appello ### deducendo a sostegno cinque motivi. 3. Con comparsa di costituzione, depositata telematicamente in data 6 ottobre 2021, si è costituito in giudizio ### che ha resistito al gravame, concludendo, previo rigetto dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza gravata, per il suo rigetto, con vittoria di spese del grado di giudizio. 4. E' stata rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata; è stato acquisito il fascicolo d'ufficio relativo al giudizio di primo grado e non è stata svolta attività istruttoria. 5. Preliminarmente deve essere affermata, all'esito di verifica d'ufficio, la tempestività dell'appello, proposto con citazione notificata in data 6 maggio 2021, risultando rispettato il termine di decadenza semestrale previsto dall'art.327 c.p.c. - nella formulazione (successiva alla modifica di cui all'art.46, comma 17, della legge n. 69 del 2009, in vigore dal 4 luglio 2009) applicabile ratione temporis alla presente impugnazione, essendo stato il giudizio di primo grado introdotto nell'anno 2014, e quindi in epoca successiva al 4 luglio 2009 - decorrente dalla pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta in data 22 dicembre 2020. 6. Volgendo all'esame del merito del gravame, l'appello è infondato e deve pertanto essere rigettato.
I primi tre motivi di impugnazione, per evidenti ragioni di connessione, meritano di essere trattati congiuntamente.
In particolare, con il primo motivo di gravame - intitolato “error in iudicando - omessa motivazione su questione decisiva della vicenda - eccezione di inammissibilità del mutamento della domanda - violazione del diritto di difesa del convenuto - presunto rapporto di locazione emerso con le note istruttorie e in contraddizione con la domanda giudiziale proposta di “occupazione sine titulo” - ### ha censurato la sentenza impugnata per aver il primo Giudice accolto la domanda principale, ritenendo provata Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 4 - l'esistenza di un contratto di locazione, sebbene la controparte non avesse chiesto di accertare l'esistenza di un tale contratto, presupponente la prova rigorosa e ad substantiam dei suoi elementi essenziali.
Invero, l'iniziale domanda di condanna al rilascio era stata fondata sulla deduzione di un'occupazione sine titulo ad opera dell'appellante; poi, solo con le note ex art. 183, 6° comma, 1° termine, il giudizio si era “trasformato” e il ### si era trovato a doversi difendere, “a contraddittorio falsato”, in ordine ad un “presunto mancato pagamento di canoni di locazione”.
Peraltro, al di là dell'inammissibilità del mutamento della domanda siccome avanzato dalla controparte, la stessa non poteva essere accolta, difettando gli elementi per chiedere ed ottenere un eventuale sfratto per morosità o una finita locazione.
La sentenza impugnata, pertanto, era meritevole di censura sia per aver omesso ogni motivazione in ordine all'eccezione di inammissibilità del mutamento della domanda, sia per aver ritenuto provata l'esistenza di un contratto di locazione, con condanna del ### al rilascio dell'immobile. ### quanto dedotto con il secondo motivo, poi, il Tribunale aveva disposto una consulenza tecnica d'ufficio al solo fine di sopperire alle carenze probatorie in cui era incorsa la controparte, nominando un c.t.u. per l'esatta ricognizione dei luoghi, nonostante l'individuazione dell'oggetto della domanda spetti inesorabilmente all'attore. Né valeva affermare, come preteso nella sentenza impugnata, che il ### avesse chiara conoscenza della consistenza del cespite di cui era stato domandato il rilascio, avendo a sua volta spiegato domanda riconvenzionale avente ad oggetto l'acquisto per usucapione del medesimo bene, avendo tale domanda ad oggetto l'unico vano visitato dal c.t.u., di cui il ### era effettivamente proprietario. ### consistenza indicata dalla parte attrice non era nel possesso del ### e neppure in proprietà del ### come del resto accertato dall'ausiliario nominato nel corso del giudizio.
Inoltre, secondo quanto dedotto con il terzo motivo di gravame, la sentenza impugnata era viziata per aver rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione senza considerare il possesso uti dominus durato cinquant'anni, in difetto di prova del pagamento del canone e dell'esistenza del contratto di locazione, prova che non avrebbe potuto essere offerta per testimoni, trattandosi di contratto per cui è prevista la forma scritta ad substantiam.
Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 5 - In particolare, ### nonno dell'impugnante, aveva avuto la propria residenza nell'immobile di via della ### di ### n.5, fin dal 1971 e ### era inserito nello stato di famiglia dei nonni dal 17.06.1975, avendo formalizzato tale posizione dal 13 luglio 1991, cosicché il cespite era stato posseduto uti dominus anche da molto tempo prima del 1991, per essere stato nel possesso dei nonni del ### possesso poi proseguito dall'appellante, senza che il ### o il precedente proprietario ponessero in essere atti di disturbo o interruttivi.
Peraltro, tali possessori si erano occupati, a propria cura e spese, senza formulare alcuna richiesta autorizzativa, della manutenzione del cespite, che era stato oggetto di abbellimenti e migliorie.
I rilievi che precedono non possono essere condivisi e, comunque, non appaiono in alcun modo idonei a sovvertire il segno della sentenza impugnata.
Deve in primo luogo escludersi che il primo Giudice abbia immotivatamente dato corso, prendendo in considerazione le allegazioni svolte dalla parte attrice nelle note ex art. 183, 6° comma, 1° termine c.p.c. - in ordine all'originaria concessione del godimento del cespite in virtù di un contratto di locazione - ad un'inammissibile mutatio libelli.
Se è vero, infatti, che nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, proposto ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., ### aveva posto generico riferimento ad un'occupazione sine titulo dell'appartamento oggetto di domanda di rilascio, aveva poi pacificamente provveduto, come rilevato dal Tribunale, nella memoria ex art. 183, 6° comma, I° termine, e cioè nel rispetto del termine preclusivo per lo svolgimento dell'attività assertiva, a precisare la domanda, allegando le vicende fattuali in virtù delle quali la disponibilità era stata conseguita dall'occupante, riconducibili alla stipulazione di un contratto di locazione.
Segnatamente, secondo quanto allegato in tale memoria, l'immobile in oggetto era stato concesso in locazione da ### e poi dai suoi successori ed il primo contratto di locazione aveva visto protagonista come conduttore ### che regolarmente aveva pagato il canone di locazione pattuito finché era rimasto in vita; di poi, la moglie ### aveva continuato a pagare regolarmente il canone di locazione pattuito, che veniva materialmente riscosso da ### moglie di ### e madre dell'attore: tanto avveniva anche prima del decesso di ### avvenuto nel gennaio del 1968. Successivamente, il figlio dei coniugi ### , ### aveva continuato a pagare il canone di locazione in oggetto, a fronte della Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 6 - conduzione dell'appartamento de quo, conduzione in cui era subentrato ### l'attuale convenuto, a partire dal 1985.
Nella medesima memoria, poi, il medesimo ricorrente aveva provveduto ad una più precisa indicazione dei dati catastali relativi all'immobile di cui era stato domandato il rilascio, precisando, al punto n.6), che “attualmente l'immobile risulta così accatastato : ### (###, foglio 28, particella 34, sub 102, ### 10°, Categoria A/4, classe 2”.
Come si evince dall'esposizione che precede, il primo Giudice ha delibato il merito della domanda principale tenendo conto delle allegazioni contenute nella precitata memoria, qualificate come precisazioni ampiamente ammissibili e tempestive.
La parte impugnante ha per converso protestato trattarsi di una mutatio libelli inammissibile, per aver la parte ricorrente, dopo aver genericamente dedotto, nell'introdurre il procedimento sommario, un'ipotesi di occupazione sine titulo, essenzialmente riconducibile ad un'azione di rivendicazione, poi “mutato il tiro”, invocando la preesistenza di un titolo detentivo che sarebbe poi stato caducato.
La tesi difensiva non può essere recepita da questa Corte distrettuale, perché trascura di considerare la più recente interpretazione offerta dalla giurisprudenza nomofilattica della Suprema Corte della disposizione di cui all'art. 183, 6° comma, I° termine, c.p.c.
Invero, alla luce dell'orientamento espresso in tempi recenti da Cass., sez. un., n. 12310 del 2015 e dalla giurisprudenza successiva che ne ha ribadito e precisato la portata, la decisione del Tribunale di Napoli - superflua ogni considerazione in ordine all'effettiva ravvisabilità di mere precisazioni della domanda - appare immune dalle critiche che la parte impugnante pretende di muoverle.
Il principio enunciato da Cass., sez. un., n. 12310 del 2015 è quello (così massimato) secondo cui "la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali".
Più precisamente, le ### - muovendo dall'orientamento, definito "tetragono" (per tutte, Cass., 27 luglio 2009, n. 17457), che distingue tra mutatio libelli (quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 7 - prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo) ed emendatio libelli (quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere) - hanno affermato che la vera differenza tra le domande "nuove", implicitamente vietate (ciò desumendosi dal fatto che sono vietate per l'attore tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto), e le domande "modificate", espressamente ammesse dall'art. 183 c.p.c., si rinviene non già "nel fatto che nelle seconde le modifiche non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate nuove (nel senso di ulteriori o aggiuntive), trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o se si vuole di domande diverse che non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono, ponendosi rispetto ad esse in un rapporto di alternatività".
In tale prospettiva, dunque, "con la modificazione della domanda iniziale l'attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio".
Una tale consentita "modificazione della domanda ammissibile senza limiti (quindi anche eventualmente incidente sugli elementi oggettivi di identificazione della medesima)" è logicamente calibrata in un momento processuale, quello della fase iniziale del giudizio di primo grado, regolato dall' art. 183 c.p.c. - in cui la trattazione della causa non è ancora iniziata, per cui "una modifica anche incisiva della domanda non arrecherebbe pregiudizio all'ordinato svolgimento del processo" - là dove "la modifica - quale ne sia la portata - non potrebbe giammai comportare tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183".
Il principio è stato, quindi, recentemente ribadito anche con riferimento ai diritti cd. eterodeterminati, ritenendosi ammessa la modifica in corso di causa della domanda originaria, mediante l'allegazione di un diverso fatto costitutivo, che ne comporti la Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 8 - sostituzione con una nuova domanda ad essa alternativa, purché abbia ad oggetto il medesimo bene della vita e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183 c.p.c. (Cass., 31 luglio 2017, n. 18956). Ne consegue che, solo una volta scaduti i termini che lo stesso art. 183 c.p.c. detta per effettuare la "modificazione" della domanda, la stessa non è più consentita e la "modificazione" tardiva costituisce domanda nuova inammissibile, giacché essa integra (alla luce dello stabile orientamento della Suprema Corte innanzi rammentato) una mutatio libelli, andando ad incidere sugli elementi oggettivi identificativi dell'azione, e una tale mutatio non è più autorizzata dal legislatore. (Cass., 26 febbraio 2016, n. 3806; Cass., 31 maggio 2017, n. 13769).
Infine, ciò che in primo grado viene a realizzarsi morfologicamente come domanda "modificata" - e come tale, nei termini innanzi evidenziati, ammessa dall'art. 183 c.p.c. - non può che rappresentare in appello, ove proposta per la prima volta (o comunque riproposta dopo essere stata veicolata tardivamente in primo grado ed ivi da reputarsi inammissibile), domanda nuova, vietata ai sensi dell'art. 345 c.p.c., comma 1. (cfr. , in termini, Cass. sez. 3, sentenza n. 27566 del 21/11/2017, alla cui stregua “la modificazione della domanda ammessa in corso di causa può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), purché la domanda così modificata risulti comunque inerente alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e siano rispettate le preclusioni processuali previste dall'art. 183 c.p.c.. Ne consegue che detta modificazione, qualora avvenga dopo la scadenza del termine ex art. 183, comma 6, c.p.c., risulta inammissibile; qualora formulata per la prima volta in appello, costituisce un "novum" inammissibile, vietato dall'art. 345, comma 1, c.p.c.”). In buona sostanza, la disciplina del giudizio ordinario di cognizione, applicabile ratione temporis, connette il regime delle preclusioni assertive al primo termine di cui all'art. 183, 6° comma, c.p.c., e cioè all'esaurimento della fase processuale entro la quale è consentito ancora alle parti di precisare e modificare, sia allegando nuovi fatti - diversi da quelli indicati negli atti introduttivi - sia revocando espressamente la non contestazione dei fatti già allegati, sia ancora deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte. (cfr., in termini, Cass. sez. 6 - 2, ordinanza n. ### del 02/12/2019) Appare evidente, pertanto, alla luce del citato orientamento, espresso dalla Corte nomofilattica, la correttezza dell'iter logico giuridico seguito dal primo Giudice, nel Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 9 - procedere alla qualificazione della domanda tenendo conto dell'attività assertiva tempestivamente svolta nella memoria ex art. 183, 6° comma, I° termine, c.p.c., e nel considerare, altresì, la descrizione della consistenza oggetto di domanda restitutoria contenuta nella medesima memoria.
Alla luce di tali rilievi, poi, si rivela pienamente corretta la qualificazione della domanda operata dal Giudice di prime cure, che ha appunto aderito all'orientamento, parimenti affermato dalle ### della Corte di legittimità, secondo cui integra un'azione di rivendicazione, ( cfr. Cass. SU n.7305 del 2014; Cass. 4 luglio 2005 n. 14135; Cass. 14 gennaio 2013 n. 705), quella "con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto” mentre l'azione personale di restituzione, ravvisabile nella fattispecie, è destinata a ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario.
Quanto poi alla prova della stipulazione del contratto di locazione, non può che rilevarsi che la parte impugnante non si è fatta carico di censurare specificamente la valutazione delle risultanze testimoniali che, all'esito di un'analitica e condivisibile disamina, ha fatto il primo Giudice, limitandosi a dedurre l'inammissibilità di una tale prova testimoniale, in considerazione della previsione in subiecta materia della forma scritta ad substantiam. Al riguardo, è sufficiente osservare che, sulla scorta della disciplina applicabile ratione temporis - antecedente all'entrata in vigore dell'art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998, che ha introdotto il principio per cui il contratto di locazione ad uso abitativo stipulato senza la forma scritta è affetto da nullità assoluta, rilevabile da entrambe le parti e d'ufficio, attesa la "ratio" pubblicistica del contrasto all'evasione fiscale ( Cass. Sez. U, Sentenza n. 18214 del 17/09/2015) - il contratto di locazione poteva essere stipulato anche in forma verbale. La forma scritta "ad substantiam", poi, secondo il condivisibile insegnamento del Giudice di legittimità, è prevista dall'art. 1350 n. 8 cod. civ. soltanto per quei contratti che originariamente prevedono una locazione di durata superiore ai nove anni e non anche nelle ipotesi previste per le locazioni non abitative dagli artt. 28 e 29 della legge sull'equo canone, Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 10 - per le quali il rinnovo alla prima scadenza contrattuale è pur sempre eventuale. ( cfr., in termini, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1633 del 16/02/1998; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4258 del 14/05/1997).
Peraltro, ogni ipotetico vizio formale non varrebbe a trasformare in possesso la detenzione, essendo stata la disponibilità di fatto comunque acquisita sulla scorta del consenso del proprietario, volto alla concessione di un diritto personale di godimento.
Deve allora ritenersi provato che l'occupazione oggetto di causa non abbia avuto inizio per effetto di un'iniziativa di apprensione unilaterale posta in essere dall'impugnante o dai suoi ascendenti, risultando per converso consentita dal dante causa dell'appellato, in virtù di un contratto di natura obbligatoria qualificato come contratto di locazione.
Appare dunque meritevole di condivisione la conclusione a cui è pervenuto il Tribunale, nel ritenere che la parte impugnante non abbia in alcun modo assolto all'onere probatorio, su di essa incombente, in ordine alla effettiva ricorrenza di un possesso ad usucapionem, di durata ultraventennale.
Corre mente osservare, al riguardo, che integra un principio pacifico l'assunto secondo cui la presunzione di possesso utile "ad usucapionem", di cui all'art. 1141 cod. civ., non opera quando la relazione con il bene derivi non da un atto materiale di apprensione della "res", ma da un atto o da un fatto del proprietario a beneficio del detentore, come nel caso di contratto di comodato, di mandato o di appalto, poiché in tal caso l'attività del soggetto che dispone della cosa non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. Ne consegue che la detenzione di un bene immobile conferito in virtù di un rapporto obbligatorio, di cortesia o a titolo di comodato precario, può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo a provare con il compimento di idonee attività materiali integranti il possesso utile "ad usucapionem" in opposizione al proprietario concedente (Cass. sez. 2, Sentenza n. 21690 del 14/10/2014 Rv. 632753; Sez. 2, Sentenza n. 5551 del 15/03/2005 Rv.581134).
Del pari pacifico, e ugualmente condivisibile, è poi l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua la concessione del bene ad opera del titolare, sulla scorta di un rapporto obbligatorio o di cortesia, costituisce detenzione, non quindi possesso "ad usucapionem", in favore tanto del beneficiario, quanto dei familiari con lo stesso conviventi, con la conseguenza che il detentore che si opponga alla richiesta di risoluzione del rapporto obbligatorio sostenendo di avere usucapito il bene, deve provare l'intervenuta interversione del possesso, ai sensi dell'art. 1141 c.c., e non solo il mero potere di fatto sull'immobile (v.
Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 11 - Cass. sez. 3, Sentenza n. 11374 del 11/05/2010; Cass. sez. 2, Sentenza n. 7923 del 26/06/1992 ; Cass. sez. 6 - 2, Sentenza n. 13742 del 2014; Cass. sez. 2, sentenza n. 16126 del 2012 entrambe non massimate).
Tale interversione, tuttavia, non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore ha cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno ed ha iniziato ad esercitarlo esclusivamente nomine proprio ed, inoltre, una manifestazione siffatta dev'essere non solo tale da palesare inequivocabilmente l'intenzione del soggetto di sostituire al precedente animus detinendi un nuovo animus rem sibi habendi, ma anche essere specificamente rivolta contro il possessore, in guisa che questi sia posto in condizione di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere della concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte del possessore stesso; tra tali atti, ove non accompagnati da altra manifestazione dotata degli indicati connotati dell'opposizione, non possono ricomprendersi né quelli che si traducano in una inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, verificandosi in tal caso un'ordinaria ipotesi d'inadempimento contrattuale, né quelli che si traducano in ordinari atti d'esercizio del possesso, verificandosi in tal caso una mera ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene.
In particolare, come pure affermato dalla Suprema Corte, la mera mancata riconsegna del bene al titolare, a seguito di estinzione del rapporto obbligatorio, è inidonea a determinare l'interversione della detenzione in possesso, traducendosi nell'inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita, suscettibile, in sé, di integrare un'ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale all'obbligo restitutorio gravante. (Cass. sez. 2, sentenza n. 8213 del 22/04/2016). Nel caso di specie, la parte impugnante, nel contestare la stessa esistenza del rapporto locativo, non ha né allegato né tanto meno provato la ricorrenza di un'interversione del possesso, essendo evidentemente del tutto irrilevante l'attività manutentiva relativa all'immobile, priva del carattere di un'opposizione rivolta contro il proprietario e pienamente compatibile con la disponibilità derivante dal rapporto obbligatorio.
In buona sostanza, il perfezionarsi dell'acquisto a titolo originario non può essere ricondotto al mero protrarsi della detenzione originariamente conferita dal titolare.
Appare evidente, allora, che dalla stessa prospettazione del preteso usucapiente non emerge alcun atto qualificabile in termini di interversio possessionis, nei termini sopra precisatidi Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 12 - risalenza ultraventennaleda cui desumere che il detentore abbia cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa nomine alieno ed abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente nomine proprio, a tal fine non potendo valendo la mera protrazione dell'occupazione dell'immobile, pacificamente connotata in termini di detenzione.
Quanto poi alla riscontrata ricorrenza dell'obbligo restitutorio, in ragione del venir meno del rapporto locatizio, mette conto osservare che la parte impugnante, limitandosi a protestare la carenza di prova della locazione, che avrebbe dovuto essere offerta mediante la produzione del relativo contratto, non ha formulato specifica censura in ordine alla ratio decidendi su cui si fonda la sentenza gravata, avendo il primo Giudice al riguardo espressamente affermato che “mentre parte attrice ha debitamente provato l'esistenza di un titolo, scaduto e mai rinnovato, in base al quale gli originari danti causa dell'odierno convenuto ( e poi quest'ultimo) avevano occupato l'immobile di esso attore, parte convenuta non ha provato l'esistenza di un titolo legittimante la sua occupazione, non avendo fornito prova di una eventuale proroga dell'originario contratto di locazione in base al quale la sua dante causa ### ha ottenuto la disponibilità dell'immobile ( poi trasmessa al nipote convivente attuale convenuto)”.
Da qui l'evidente infondatezza della domanda riconvenzionale di usucapione.
Neppure possono condividersi, infine, i rilievi svolti dalla parte impugnante in ordine all'incerta individuazione dell'immobile.
Se, infatti, come sopra rilevato, l'odierno appellato provvide, nella memoria ex art. 183, 6° comma, I° termine, c.p.c., alla precisa indicazione dei dati catastali del bene oggetto di domanda di rilascio, correttamente il Giudice di prime cure, al fine di individuare in loco la consistenza di proprietà dell'appellato occupata dall'appellante, ha disposto una consulenza tecnica d'ufficio, i cui esiti, con ogni evidenza, sono stati recepiti nella sentenza impugnata.
In particolare, secondo quanto precisato dall'ausiliario nominato nel giudizio di primo grado, ### nel Comune di Napoli, è attualmente intestatario per intero, dell'unità immobiliare ubicata al piano 1 di Via della ### di ### snc, avente consistenza di 1,5 vani individuata alla #### 28, P.lla 34, Sub 102 del ### immobile la cui planimetria coincide con i locali visionati nel corso delle operazioni peritali (allegato a 6 alla presente relazione di consulenza tecnica) In particolare, la consistenza attuale dell'immobile deriva (allegato a7) dal frazionamento, e dalla soppressione delle relative particelle, (scheda n. 22364 del 10/12/1997) della unità immobiliare di 4 vani, ubicata al piano 1/### di via della ### di ### identificata Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 13 - alla #### 28, P.lla 34 Sub 9 e P.lla 570 Sub 10, derivante a sua volta dalla fusione con scheda n. 17209 del 20 luglio 1994, scheda a cui si fa riferimento nell'atto di rinunzia all'eredità e divisione con cui in origine ### aveva acquisito la proprietà dell'immobile in oggetto .
Da ciò la conclusione per cui “a meno della discrepanza tra i dati catastali trascritti nell'atto del 1995 e quelli riportati dalle visure attuali…, l'immobile proveniente a ### in virtù dell'atto di rinunzia all'eredità e divisione redatto dal ### di ### nel luglio 1995 sia coincidente con l'unità immobiliare di 4 vani in via ### di ### identificata alla ### foglio 28, p.lla 34 sub 9 e p.lla 570 sub 10 soppresse dal 10/12/1997 (allegati a8 e a9 alla presente relazione di consulenza tecnica). ### di frazionamento e soppressione, con scheda n. 22364 del 10/12/1997, secondo i dati catastali, ha dato luogo a: A) unità immobiliare di 3 vani, identificata alla #### 28, p.lla 34 sub 101 e p.lla 570 sub 101 (allegato a10 alla relazione), intestata in precedenza a ### e poi, da 26/02/1998, a ### e ### B) unità immobiliare di 1,5 vani, al piano 1 di via della ### di ### identificata alla #### 28, p.lla 34, sub 102 (allegato a7 alla relazione), attualmente intestata a ### coincidente con gli ambienti occupati dal ### e visionati nel corso degli accessi eseguiti a meno della porta che, nell'attuale disimpegno, si apre sul lato dell'alveo”.
Da ciò, la conclusione, recepita dal primo Giudice, che l'immobile occupato dal ### coincide con la porzione dell'immobile di proprietà attorea come pervenuto per atto del #### N. 16073 del 28 luglio 1995, e frazionato con ### n. 22364 del 10 dicembre 1997”, “porzione oggi sempre intestata al sign. ### e individuata al ### alla sez ### foglio 28, p.lla 34, sub 102”.
Ne consegue l'evidente infondatezza dei primi tre motivi di gravame. 7. Né meritano miglior sorte, infine, le censure svolte dalla parte appellante al quarto e al quinto motivo di impugnazione, con riferimento al governo delle spese di lite, quantificate dal primo Giudice nell'importo di € 8.974,00 per compenso professionale e poste a carico, unitamente alle spese di consulenza tecnica d'ufficio, del soccombente ### Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 14 - A dire della parte impugnante, il Tribunale avrebbe immotivatamente assegnato alla controversia un valore diverso da quello indicato nell'atto introduttivo del primo grado di giudizio, come non eccedente l'importo di €1.100,00, dovendo tale indicazione costituire l'unico parametro di riferimento. Per l'effetto, anche il capo contenente condanna alla refusione delle spese di lite andrebbe riformato, riducendone l'importo.
I rilievi svolti non colgono in alcun modo nel segno, alla luce dell'indirizzo della Corte di legittimità, assolutamente pacifico, secondo cui l'indicazione del valore della causa, riportata in calce all'atto introduttivo del giudizio per la determinazione del contributo unificato dovuto per legge, ha finalità esclusivamente fiscale, sicché non spiega alcun effetto sulla determinazione del valore della controversia ad altri fini ( Cass.sez. 6 - 3, Ordinanza n. 18732 del 22/09/2015; Cass. sez. 2, Ordinanza n. 26988 del 20/12/2007; sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12031 del 16/05/2017). Appare pertanto corretta la liquidazione delle spese contenuta nella sentenza impugnata, avendo il primo Giudice - pur non spendendo una specifica motivazione al riguardo - ritenuto la causa di valore indeterminabile ed applicabile alla fattispecie lo scaglione previsto per le cause di valore ricompreso tra € 52.000,00 ed € 260.000,00, sia pur poi liquidando i compensi in un importo intermedio tra il minimo ed il medio, dopo aver evidenziato l'“estrema complessità della fase istruttoria oltre che decisoria”.
In virtù dell'art. 5, comma 1, del DM n.55 del 2014, infatti, “ nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa - salvo quanto diversamente disposto dal presente comma - è determinato a norma del codice di procedura civile”. Orbene, come ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione, ai fini della liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, il valore della causa deve essere determinato a norma del codice di procedura civile, con la conseguenza che nelle cause relative a beni immobili la determinazione del valore deve essere eseguita in base al criterio previsto dall'art. 15, ultima parte, cod. proc. civ., secondo quanto risulta dagli atti e se questi non offrono elementi per la stima la causa va ritenuta di valore indeterminabile. ( Cass. 2, Sentenza n. 463 del 13/01/2014; nonché Cass. sez. 2, Sentenza n. 1010 del 08/02/1996, alla cui stregua “### ai sensi dell'art. 15, ultimo comma, del c.p.c., “se per l'immobile all'atto della proposizione della domanda non risulta il reddito dominicale o la rendita catastale, il giudice determina il valore della causa secondo quanto emerge dagli atti; e se questi non offrono elementi per la stima, ritiene la causa di valore indeterminabile”.).
Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 15 - ### considerato che, ai sensi dell'art.5, comma 6, del DM n. 55 del 2014 “le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia”, appare pienamente corretta la determinazione dello scaglione applicabile alla fattispecie, operata dal Giudice di prime cure, che poi ha provveduto a riconoscere i compensi in una misura intermedia tra quella minima e quella media.
Parimenti corretta, infine, si rivela la condanna dell'appellante alla refusione delle spese di consulenza tecnica d'ufficio, trattandosi di statuizione pienamente aderente al criterio della soccombenza, espressione del principio di causalità, codificato dall'art. 91 c.p.c., ed essendo evidentemente irrilevante l'argomento, speso dall'appellante, secondo cui la consulenza tecnica sarebbe stata disposta d'ufficio dal Giudice di primo grado, in difetto di una richiesta formulata in tal senso dalle parti processuali.
In tema di consulenza tecnica di ufficio, infatti, il principio secondo cui il compenso dovuto al consulente è posto solidalmente a carico di tutte le parti, atteso che l'attività posta in essere dal professionista è finalizzata alla realizzazione del superiore interesse della giustizia, non rileva nei rapporti interni tra le parti, nei quali la ripartizione delle spese è regolata dal diverso principio della soccombenza. (Cass. sez. 2, Sentenza n. 28094 del 30/12/2009; Cass. sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23522 del 05/11/2014; Cass. sez. 2, Sentenza 25047 del 10/10/2018). ### merita conclusivamente di essere disattesa, con integrale conferma della sentenza gravata. 8. Dal rigetto dell'appello consegue la condanna dell'appellante alla refusione delle spese di lite relative al presente grado di giudizio in favore dell'appellato che, in applicazione dei parametri di cui al DM n.147 del 2022 - tenuto conto delle fasi in cui l'attività processuale è stata effettivamente svolta, considerato il valore della controversia nei termini indicati al paragrafo precedente e dimezzati i compensi medi in ragione del tenore delle difese svolte dalla parte vittoriosa - si liquidano come da dispositivo che segue, con attribuzione. 9. Essendo stato rigettato l'appello, deve darsi atto del ricorso dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del DPR 30 maggio 2002, n. 115 ( comma inserito dall' art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ed applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di tale legge) per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente giudizio, a carico della parte appellante.
Corte d'Appello di Napoli### RGn°2100/2021 - 16 - P.Q.M. la Corte di Appello di Napoli - II sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto e tra le parti ivi indicate, avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, n.8790/2020, così provvede: 1) Rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata; 2) ### l'appellante ### alla refusione delle spese di lite relative al presente grado di giudizio in favore dell'appellato ### che liquida nell'importo di € 5.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, IVA e ### come per legge, con attribuzione all'avv. ### dichiaratosi anticipatario; 3) dà atto del ricorso dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del DPR 30 maggio 2002, n. 115 per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il presente procedimento, a carico della parte appellante. Così deciso in Napoli, nella ### di Consiglio del 15 maggio 2024 ### estensore Il Presidente dott.ssa ### dott. ssa ###
causa n. 2100/2021 R.G. - Giudice/firmatari: Rosa Maria Teresa, Papa Rosaria, Martorana Paola