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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'### La Corte d'### di ### - ### - composta da: 1) Dott.ssa ### rel. ed est. 2) Dott. ### 3) Avv. ### BILLÉ Giudice ausiliario ha pronunciato la seguente ### nella causa civile iscritta al n. 1104/2019 R.G., avente per oggetto: “successione”; TRA ### nato a ### il ###, c.f. ### in proprio e quale legale rappresentante della società in nome collettivo ##### e ### p.i. e c.f. ###, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti ### e ### giusta procura in atti; ### CONTRO ### nata a ### il ###, c.f. ###, rappresentata e difesa dall'avv. ### giusta procura in atti; ### nata a ### il ###, c.f. ###, e ### nata a ### il ###, c.f. ###, entrambe rappresentate e difese dall'avv. ### giusta procura in atti; ### nato a ### il ###, c.f. ###, rappresentato e difeso dall'avv. ### giusta procura in atti; ##### nato a ### il ###, c.f. ###; ### S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore c.f. ###; ### S.P.A. ###.C.A., in persona del legale rappresentante pro tempore c.f. ###; ### all'udienza cartolare del 25 maggio 2021 venivano precisate le conclusioni come da verbale in atti. ### sentenza non definitiva n. 2343/2016 il Tribunale di ### rigettava tutte le eccezioni preliminari formulate da ### nonché la domanda di usucapione dei beni ereditari dallo stesso proposta; con successiva sentenza definitiva n. 1318 del 29 marzo 2019 il Tribunale dichiarava aperta la successione legittima di ### deceduta a ### il 5 marzo 1991, in favore del coniuge superstite, ### e dei figli ##### e ### dichiarava aperta la successione testamentaria di ### deceduto in ### il 27 giugno 2007, regolata dal testamento pubblico del 7 giugno 2007; scioglieva la comunione sussistente inter partes e condannava ### al rilascio dei beni alle sorelle e ai legatari e al risarcimento dei danni in favore delle sorelle per il mancato godimento e pari uso degli immobili facenti parte degli assi ereditari; condannava, infine, ### al pagamento delle spese processuali e di consulenza tecnica di ufficio, nonché ai sensi dell'art. 96 c.p.c. al pagamento di euro 5.000,00 nei confronti di ciascuna parte costituita.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello ### e ha chiesto, in riforma della stessa per i motivi di seguito esaminati, di accogliere la domanda di usucapione come formulata in primo grado e, in subordine, di accogliere l'eccezione di prescrizione dell'accettazione dell'eredità di ### da parte della figlia ### di accogliere l'eccezione di nullità parziale del testamento di ### per violazione dell'art. 588 c.c. non potendosi avere un legato di quota, e di revocare, quindi, l'assegnazione della quota disponibile in favore di ###### e ### in subordine, di dichiarare, comunque, la rinuncia di ### di accertare l'errore di calcolo delle quote in considerazione degli errori commessi dal consulente tecnico di ufficio e, quindi, di procedere ad un nuovo piano di divisione e, in subordine, di accertare la non attuabilità del piano divisorio per il mancato rispetto della normativa urbanistica; di riconoscere i beni oggetto del compendio ereditario quali beni aziendali e, quindi, della società di fatto #### e ### di rigettare la domanda di fruttificazione e di condannare le appellate al risarcimento dei danni per le somme spese a tutela e conservazione dei beni dei due assi ereditari; di revocare la condanna ex art. 96 c.p.c.
Instauratosi il contraddittorio, si è costituita ##### e ### e hanno chiesto il rigetto dell'impugnazione perché infondata.
Nessuno si è costituito per ### e per gli istituti di credito ### del ### s.p.a. e ### s.p.a. in l.c.a., benché regolarmente citati.
Acquisito il fascicolo del giudizio di primo grado e rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza, all'udienza cartolare del 12 gennaio 2021 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni come da verbale in atti e la causa è stata posta in decisione con termini ridotti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Rimessa la causa sul ruolo per l'astensione di uno dei componenti del collegio, all'udienza cartolare del 25 maggio 2021 i procuratori delle parti hanno precisato nuovamente le loro conclusioni come da verbale in atti e la causa è stata posta in decisione con termini ridotti per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente va dichiarata la contumacia di ### e degli istituti di credito ### del ### s.p.a. e ### s.p.a. in l.c.a., non costituitisi in giudizio nonostante la regolarità della notificazione della citazione nel presente procedimento.
Sempre in via preliminare, le parti appellate eccepiscono l'inammissibilità dell'appello proposto avverso la sentenza non definitiva n. 2343/2016 in quanto, proprio per le statuizioni definitive sulle eccezioni preliminari, è una sentenza definitiva e, pertanto, l'appello doveva essere proposto immediatamente.
Questa eccezione non è fondata.
Infatti, è da considerarsi definitiva la sentenza con la quale il giudice si pronunci su una (o più) delle domande o su capi autonomi della domanda, mentre è da considerarsi non definitiva, agli effetti della riserva di impugnazione differita, la sentenza resa su questioni preliminari alla decisione finale e che non contenga quegli elementi formali sulla base dei quali va operata la distinzione, cioè la pronuncia sulle spese o un provvedimento relativo alla separazione dei giudizi.
Ora nella specie, il primo giudice provvede solo sulle eccezioni preliminari rispetto alla domanda principale di petizione ereditaria e di scioglimento della comunione, e sulla domanda di usucapione riservando alla decisione finale la pronuncia sulle spese; indi, appaiono corrette la riserva di appello e l'impugnazione della sentenza non definitiva in uno con quella definitiva.
Parimenti infondata appare l'eccezione di difetto di legittimazione attiva di ### nella qualità di legale rappresentante della società in nome collettivo irregolare #### e ### Infatti, la legittimazione a proporre l'impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonché alla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta (cfr. in questo senso Cass. n. 15356/2020).
Nella specie, ### nel giudizio di primo grado si è costituito in proprio e nella qualità, di guisa che l'appello proposto nella stessa veste appare ammissibile. _________________ Passando, ora, all'esame del merito, con il primo motivo di impugnazione la parte censura la sentenza definitiva del primo giudice per aver ritenuto la sussistenza di un giudicato interno sulle eccezioni già rigettate con la sentenza non definitiva. A dire della parte, invece, la riserva di appello formulata nel giudizio di primo grado esclude qualunque giudicato.
Questo motivo appare, più che infondato, inammissibile.
Infatti, il primo giudice giustamente si riferisce al vincolo della sentenza non definitiva (anche se non passata in giudicato) sulle questioni già definite, vincolo che impone al giudice di non poter risolvere quelle medesime questioni in senso diverso con la sentenza definitiva se non violando il giudicato interno (cfr. in questo senso, tra le tante, Cass. n. 6251/2018).
Con il secondo motivo di impugnazione la parte censura la sentenza del primo giudice di rigetto della sua domanda di usucapione dei beni ereditari. Sostiene, invece, la parte, innanzitutto, di aver richiesto l'interrogatorio formale delle sorelle al fine di provocare la confessione delle stesse circa la loro estraneità ai beni rientranti nell'asse ereditario dalla data della morte della madre, richiesta, questa, disattesa dal primo giudice, e ne chiede ora il rinnovo.
Ed ancora, la fondatezza della domanda, a dire dell'appellante, emerge dalla lettera inviata dalle sorelle in data 1 giugno 2012, ben oltre il ventennio dalla morte della madre, con cui ammettevano il possesso dei beni in capo al fratello (“ritenuto che allo stato lei continua a detenere in via esclusiva” cui si aggiunge “la invitiamo immediatamente a consegnare le chiavi di ingresso”).
Quindi, l'appellante sostiene di aver posseduto i beni da più di vent'anni, di aver eseguito lavori di ristrutturazione su autorizzazione del giudice delegato al fallimento sin dal 1995, di essere riconosciuto dal curatore fallimentare come erede e legittimato alla riconsegna di beni e di essere riconosciuto come unico possessore anche dalle sorelle; indi, ritiene di aver vinto la presunzione iuris tantum di aver compiuto gli atti nell'interesse di tutti i chiamati.
Aggiunge, ancora, che questo possesso utile ad usucapionem non è interrotto neppure dall'attività posta in essere dal curatore fallimentare, il quale è un mero detentore, di guisa che l'art. 42 l. fall. non è ostativo all'usucapione, in quanto il curatore, con la riconsegna dei beni, restituisce la mera detenzione, mentre il possesso nel corso degli anni è rimasto in capo ad esso appellante.
Questo complesso motivo appare infondato e va, di conseguenza, rigettato.
Infatti, quanto all'interrogatorio formale delle sorelle #### e ### va osservato che la parte vi ha già rinunciato non avendo insistito sulla richiesta di prova all'udienza di precisazione delle conclusioni avanti al primo giudice (cfr. in atti verbale dell'udienza del 15 dicembre 2015).
A tal riguardo è oramai concorde la giurisprudenza della S.C. nell'affermare che la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie, ha l'onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello (cfr. in questo senso, tra le tante, Cass. n. 16290/2016 e n. 3229/2019).
Detto ciò, “Il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possede ###più uti condominus . A tale riguardo non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell'interesse anche degli altri coeredi” (Cass. n. 966/2019).
Quanto, poi, alla prova del possesso, è vero che “La redazione dell'inventario da parte del curatore fallimentare, attraverso il quale vengono individuati, elencati, descritti e valutati i beni della massa, non comporta la materiale apprensione delle cose da parte del curatore, il quale ne diviene mero detentore, senza alcuna sottrazione “ope legis” delle stesse al fallito, non costituendo, pertanto, tale atto una causa interruttiva del possesso di quest'ultimo” (Cass. n. 17605/2015; cfr. in questo senso anche Cass. n. 16853/2005).
Tuttavia, nella specie tutti gli atti compiuti dall'appellante sono espressione di un possesso uti condominus e non uti dominus.
Ed infatti, innanzitutto, la de cuius, dichiarata fallita, era nel possesso dei suoi beni fino alla morte - o meglio, il figlio non sostiene di aver posseduto già da prima del decesso della madre - ; indi, alla morte della ### la situazione possessoria continuava in tutti gli eredi e la richiesta di ### per l'esecuzione di alcuni lavori gratuitamente in favore dei beni appresi al fallimento per tutelare “gli interessi dei creditori e propri” è molto equivoca perché può essere espressione del suo interesse di “compossessore” unitamente alle sorelle, considerata anche la natura dei lavori oggetto della richiesta di autorizzazione: “piccoli lavori di manutenzione, cura delle piante e delle assenze arboree, che specie nell'arida stagione estiva, si potrebbe compromettere irrimediabilmente la loro sussistenza” (cfr. richiesta in atti).
Nessuna situazione possessoria può, poi, trarsi dalla riconsegna del compendio ereditario residuo da parte del curatore fallimentare, il quale precisa appunto di “lasciare impregiudicata la posizione di eventuali terzi”, né dalla lettera delle sorelle dell'1 giugno 2012 che intimano al fratello la consegna dei beni “detenuti in via esclusiva”: le sorelle riconoscono solo la detenzione e, quindi, la disponibilità in capo all'appellante e non anche una situazione possessoria quale unico proprietario.
In definitiva, si deve confermare il rigetto della domanda di usucapione dei beni ereditari, considerato che manca la prova del superamento della presunzione iuris tantum che il coerede abbia utilizzato e amministrato i beni anche nell'interesse degli altri coeredi; infatti, è pacifico ritenere che il coerede che, dopo la morte del de cuius, abbia la disponibilità dei beni, possiede animo proprio ed a titolo di comproprietà, e, ai fini dell'usucapione, deve estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possede ###più uti condominus: non è, al riguardo, univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato i beni ereditari e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo appunto la presunzione di cui sopra. _________________ Con il terzo e il quarto motivo di impugnazione la parte censura la sentenza del primo giudice per il rigetto dell'eccezione di prescrizione ex art. 480 c.c. dell'accettazione dell'eredità della madre da parte di ### sostiene l'appellante che gli atti indicati nella sentenza impugnata, e cioè il conferimento ad un tecnico dell'incarico di procedere alla divisione dei beni, la procura ad amministrare, l'asserito pagamento di debiti ereditari e l'opposizione di pagamento di debiti ereditari, non sono sufficienti per un'accettazione tacita di eredità.
Ritiene, poi, il ### che tutti i beni di cui al presente procedimento sono tutti beni conferiti alla società di fatto sussistente tra esso appellante e i genitori ### e ### e, pertanto, tutti i beni, per come ammesso dalla stessa controparte, erano di proprietà della medesima società; peraltro, la sorella era rimasta assente da tutta la procedura fallimentare e la sua posizione, pur anche incidenter tantum, è stata esaminata nella procedura fallimentare in cui appunto si è affermata la prescrizione del diritto della stessa di accettare l'eredità della madre; inoltre, sempre a dire dell'appellante, è anche prescritto il diritto dell'erede di chiedere la liquidazione della quota societaria della madre.
Anche questi motivi, da trattarsi congiuntamente perché strettamente connessi, appaiono infondati e vanno, di conseguenza, rigettati.
Ed infatti, innanzitutto, quanto al conferimento dei beni immobili alla società di fatto, come giustamente mette in evidenza il primo giudice, lo stesso, ove esistente, si sarebbe dovuto fare a mezzo di atto scritto; infatti, il conferimento di beni immobili in società irregolari, proprio per i requisiti di forma richiesti dalla legge, non ha effetto traslativo della proprietà e, dunque, la titolarità dei beni rimane in capo al conferente, tant'è che, appunto, i beni risultano appresi alla procedura a seguito del fallimento personale di ### e ### Irrilevante, poi, il riferimento della parte alla prescrizione della richiesta della quota sociale, in quanto nella specie si tratta della divisione dei beni residui del patrimonio della de cuius dichiarata fallita, dopo la chiusura del fallimento, e non anche della quota sociale.
Quanto, poi, all'accettazione dell'eredità da parte di ### l'eccezione di prescrizione appare infondata.
A tal riguardo va detto che l'accettazione tacita dell'eredità può essere desunta dal comportamento complessivo del chiamato all'eredità che ponga in essere anche atti che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente all'atto di apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell'asse ereditario; in altri termini, occorre valutare il comportamento complessivo del presunto erede, dando rilevanza agli atti compiuti dal chiamato all'eredità che, ex articolo 476 del codice civile, presuppongono necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
In primo luogo, va sottolineato che questa Corte di ### pronunciandosi sui reclami avverso il concordato fallimentare proposti dalle sorelle ### rispettivamente, quanto a ### con atto del 30 luglio 2010 e, ad ### con atto del 20 agosto 2010, evidenzia il riconoscimento della legittimazione ad agire delle sorelle ### ad effettuare le opposizioni e la soluzione relativa al loro stato con riferimento all'eredità assume solo un valore incidentale e non suscettibile di giudicato; peraltro, sottolinea che la decisione risulta adottata senza delimitare l'ambito di indagine in ragione della qualità, o meno, delle sorelle di eredi o di chiamate all'eredità dei genitori falliti (cfr. in atti copia del provvedimento di questa Corte).
Quanto, poi, al reclamo avverso il provvedimento di concessione del sequestro conservativo, va osservato che, come sostenuto dall'appellata, il giudice del reclamo non prende alcuna posizione in ordine all'accettazione, o meno, dell'eredità da parte di ### ma revoca il sequestro per motivi di merito (cfr. in atti copia del reclamo).
Detto ciò e passando all'esame degli altri atti, nella specie innanzitutto appare rilevante il conferimento in data 23 dicembre 1991 dell'incarico ad un professionista, arch. ### per la stima dei beni; incarico conferito da ### e dalle tre sorelle ### proprio su impulso del fratello ### per la divisione dell'asse materno. ### sostiene che questo è un atto equivoco potendo tutt'al più essere interpretato come un mero inventario dei beni ereditari; tuttavia, osserva la Corte, che non si tratta di una mera descrizione dei beni, bensì di una stima degli stessi al fine di addivenire alla formazione delle quote e soddisfare la richiesta del fratello di procedere alla divisione.
Ed ancora il 15 gennaio 1993 con atto ### rep. 46705 racc. n. 15464, registrato il 21 gennaio 1993, l'appellata nomina proprio procuratore speciale l'avv. ### “affinché in suo nome, vece e conto, occorrendo anche in concorso con gli altri aventi diritto, compia qualsiasi atto di gestione, amministrazione ordinaria e straordinaria che, a suo giudizio, possa essere ritenuto utile e necessario, con riguardo all'intera successione della madre ### … e del quale la mandante è erede”.
Orbene, a prescindere dalla dedotta genericità della procura ai fini del compimento degli atti di straordinaria amministrazione, comunque l'art. 1708, comma 2, c.c., disponendo che il mandato generale non comprende gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, se non indicati espressamente, esclude la nullità per indeterminabilità dell'oggetto della procura generale: il conferimento, quindi, del potere di compiere gli atti di gestione, pur anche di ordinaria amministrazione, unitamente alla qualificazione di “erede” della madre, costituiscono elementi idonei ad esternare la volontà di accettare l'eredità.
Ma in ogni caso, nella specie gli atti di straordinaria amministrazione sono specificamente indicati nella procura; infatti, pur anche a solo titolo esemplificativo, vengono indicati i poteri conferiti: compilare la denuncia di successione e corrispondere le imposte, liquidare (e quindi, vendere) anche con vari atti di disposizione il patrimonio mobiliare e immobiliare, stipulare contratti di locazione ed affitti, e risolvere questi contratti, consentire la costituzione di ipoteca; quindi, almeno, per le attività esplicitamente indicate, la procura deve ritenersi specifica.
Indi, non c'è dubbio che questa procura, anche a vendere, costituisce accettazione dell'eredità della madre.
Inoltre, con la denuncia dei redditi del 1992, ### indica quali redditi proprio anche quelli derivanti dagli immobili provenienti dall'eredità materna, per come risulta dalla dichiarazione 740/92, dove appunto vengono indicati nel riquadro dei redditi dei fabbricati anche quelli provenienti dall'eredità materna.
Tutto ciò è sufficiente a ritenere la tempestiva accettazione dell'eredità materna da parte di ### Peraltro, bisogna ancora aggiungere anche i ricorsi presentati dalla predetta avverso avviso di liquidazione ICI per gli anni 2000 e 2002: questi ricorsi per la contestazione di imposte successive all'apertura della successione sono ulteriore espressione dell'accettazione dell'eredità, anche solo per contestare - per come sostenuto dall'appellante - la propria legittimazione a pagare, trattandosi di tributi dovuti dal fallimento: è evidente che questa doglianza presuppone l'accettazione dell'eredità. _________________ Con il quinto motivo di appello la parte censura la sentenza del primo giudice, il quale, da un canto, qualifica “legatari” ### e ### destinatari in parti uguale della porzione disponibile dell'asse relitto da ### unitamente alle sorelle ### e ### e, dall'altro, però non rileva la nullità di questi legati per indeterminabilità dell'oggetto.
Inoltre, con riferimento alla posizione di ### l'appellante eccepisce la prescrizione o decadenza.
Anche questo motivo appare infondato e va, di conseguenza, rigettato.
A tal riguardo, proprio al fine di esaminare l'eccezione di nullità del legato proposta, bisogna procedere alla esatta qualificazione della disposizione testamentaria del de cuius; bisogna, quindi, qualificare giuridicamente la posizione delle figlie e dei terzi, chiamati a succedere al testatore per la quota disponibile, cioè se eredi o legatari, in quanto il legatario non è erede ma avente causa, poiché succede a titolo particolare, peraltro, in forza di un atto di liberalità accessoria, e come tale egli non risponde ex art. 756 c.c. dei debiti ereditari neppure entro i limiti dei beni attribuitigli e, in genere, non è investito della cosiddetta rappresentanza ereditaria; il legatario può essere soggetto ai pesi imposti sul legato e, in questo caso, risponde “intra vires” ovvero nei limiti del valore di quanto ricevuto.
Orbene, dall'esame del testamento redatto dal de cuius si evince che lo stesso ha provveduto ad una divisio inter liberos, cioè ad una divisione del suo patrimonio tra gli eredi, per come si può facilmente desumere dal fatto che indica le quote astratte da assegnare ai suoi eredi e dispone di tutto il suo patrimonio.
In materia successoria sia nel legato quanto nell'institutio ex re certa il testatore fa riferimento a un determinato bene o complesso di beni considerandoli comunque come quota dell'intero asse ereditario nel caso di istituzione ereditaria, mentre come beni determinati e singoli da non considerare quote ideali del proprio patrimonio nel caso di legato. Si è in presenza di un legato nel caso di lascito di un bene determinato mentre, l'istituzione di erede ex re certa ricorre unicamente quando la dichiarazione testamentaria, nel suo complesso, induca un ragionevole dubbio che, nonostante l'indicazione di cespiti determinati, il testatore abbia voluto chiamare il destinatario di essi a una successione a titolo universale.
In altri termini si tratta dell'istituto di cui all'art. 734 c.c., che ricorre quando la volontà del testatore è quella di effettuare direttamente la divisione dei suoi beni fra gli eredi, distribuendo tra questi le sue sostanze mediante l'assegnazione di singole quote concrete, con effetti reali ed immediati: ciò è quello che è successo nella specie, per come si evince appunto dall'indicazione delle quote tra gli eredi.
Orbene, nella specie proprio l'assegnazione di una quota della disponibile ai soggetti sopra indicati è espressione della loro qualità di eredi e non legatari, di guisa che l'eccezione di nullità della disposizione testamentaria deve essere rigettata.
Inammissibile, perché tardiva, risulta, poi, l'eccezione di prescrizione - peraltro sollevata in maniera generica non nel giudizio di primo grado - per la quota di eredità devoluta in favore del ### _________________ Con il sesto motivo di impugnazione la parte fa rilevare un conflitto di interessi tra le sorelle e, quindi, l'impossibilità ad essere difese da un unico difensore.
Anche questo motivo è infondato in quanto non sussiste alcun conflitto di interesse tra le sorelle, le quali, accettando le disposizioni testamentarie del padre, agiscono per lo scioglimento della comunione secondo la volontà paterna.
Inammissibile è il settimo motivo di appello con cui il ### denuncia solo la condotta processuale delle sorelle, senza al contempo censurare una statuizione della sentenza eventualmente conseguenza di questa condotta, nella quale si sarebbe riscontrata “una certa disinvoltura”. _________________ Nell'ambito delle questioni da trattare appare ora opportuno esaminare il 9° e il 10° motivo di impugnazione.
Con il nono motivo di impugnazione la parte censura la sentenza del primo giudice di condanna al pagamento della fruttificazione e deduce, innanzitutto, quanto ai frutti liquidati in favore dei legatari, l'invalidità delle disposizioni testamentarie e, poi, la mancanza di prova di alcuna fruttificazione, comunque non dovuta per l'intervenuta usucapione e prescrizione dei diritti delle appellate. Lamenta, poi, che nonostante il consulente tecnico di ufficio abbia abbattuto del 20% il valore della fruttificazione, il giudice tiene conto dell'intero valore della fruttificazione senza motivare il criterio utilizzato.
Con il decimo motivo il ### denuncia l'omessa pronuncia sulla domanda di condanna delle controparti ai costi di gestione sostenuti da esso appellante nonostante la documentazione prodotta in atti.
Questi motivi da trattarsi congiuntamente, perché strettamente connessi, e, comunque, indipendenti dalle sorti dello scioglimento delle comunioni ereditarie, appaiono infondati e vanno, di conseguenza, rigettati.
Ed infatti, innanzitutto, è pacifica tra le parti la piena detenzione di tutti i beni in capo al ### tanto che lo stesso propone una, pur anche infondata, domanda di usucapione.
Indi, per giurisprudenza costante, il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari è obbligato, agli effetti dell'art. 723 cod. civ., per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede (cfr. in questo senso, tra le tante, Cass. n. 2148/2014); e ciò anche in caso di beni eventualmente abusivi in quanto il carattere abusivo dell'immobile non incide sulla possibilità di godimento degli stessi ( giurisprudenza della S.C. sulla validità del negozio di locazione, avente appunto ad oggetto il godimento del bene: Cass. n. 17557/2020) Quanto, poi, alla parziale riduzione applicata dal consulente tecnico di ufficio, non adottata dal Tribunale, pur non motivata, la decisione del primo giudice va pienamente condivisa in quanto la detta riduzione riguarda il rischio di eventuali sfitti ed inesigibilità, ma nell'ambito dei rapporti tra i coeredi ciò che va risarcito è proprio la mancanza del godimento e il riferimento al valore locativo è comunque un criterio equitativo.
Con riferimento alle eventuali spese per la gestione dei beni ereditari, la domanda è infondata in quanto generica considerato che nel presente atto di appello fa generico riferimento a documenti e fatture prodotte senza alcuna specificazione sulla tipologia dei lavori, sul loro costo e sui tempi di realizzazione, considerato, peraltro, che i beni in questione risultano appresi dal fallimento dei soci e che gli stessi vengono restituiti in data 19 dicembre 2011.
Infine, quanto agli eventuali pagamenti effettuati per debiti ereditari in sede fallimentare, a prescindere dal merito, il motivo è inammissibile perché nessuna domanda risulta formulata nel giudizio di primo grado. ________________ Passando, ora, all'esame dell'ottavo motivo di impugnazione, il ### censura la sentenza di scioglimento della comunione per l'attribuzione di una quota dell'asse del padre ai legatari nonché per la divisione effettuata nonostante l'abusivismo di alcuni immobili; contesta, poi, anche il valore attribuito ai beni.
Quanto all'attribuzione del bene ai legatari, si è già detto sopra che l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (“institutio ex re certa”) atteso che il testatore ha inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni e in una quota del patrimonio relitto, e, pertanto, tutte le parti in causa devono partecipare alla divisione.
È vero, però, che il primo giudice ha seguito l'orientamento interpretativo che, nel coordinare tra loro della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, reputava nullo lo scioglimento della comunione solo se questa avesse ad oggetto edifici abusivi la cui costruzione fosse iniziata dopo il 17 marzo 1985 (Cass. 13 luglio 2005, n. 14764).
E, quindi, nella specie trattandosi nella specie di un fabbricato costruito in epoca anteriore alla data di discrimine, il primo giudice afferma che l'eventuale non conformità degli immobili non costituisce impedimento alla divisione giudiziale della comunione.
Tuttavia, questo orientamento interpretativo è stato superato dalla giurisprudenza delle sezioni unite, le quali hanno negato la sussistenza di valide ragioni per differenziare il trattamento normativo in base al tempo di edificazione dell'immobile abusivo, e quindi per escludere la nullità dello scioglimento della comunione relativa ad edificio irregolare sol perché questo sia stato costruito anteriormente all'entrata in vigore della L. n. 47 del 1985 (Cass. s.u. n. 25021/2019).
Infatti, secondo le sezioni unite “gli atti di scioglimento delle comunioni relative ad edifici, o loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, per gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima dell'entrata in vigore della legge medesima ove dagli atti stessi non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, ovvero ad essi non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell'opera è stata iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967” (Cass. n. 25021/2019; cfr. in questo senso più recentemente n. 2675/2020).
Indi, questo motivo di impugnazione necessita di un'ulteriore fase istruttoria per cui la causa deve essere rimessa in istruttoria.
Le spese al definitivo. P.Q.M. La Corte di ### di ### non definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 1104/2019 R.G., dichiara la contumacia di ### e degli istituti di credito ### del ### s.p.a. e ### s.p.a. in l.c.a.; Rigetta i motivi nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e 10 dell'appello proposto da ### in proprio e nella qualità, avverso le sentenze del Tribunale di ### n. 2343/2016 del 26 aprile 2016 e n. 1318 del 29 marzo 2019.
Rimette la causa sul ruolo come da ordinanza emessa in pari data.
Spese al definitivo.
Così deciso in ### il 12 luglio 2021 nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di #### (dott.ssa ###
causa n. 1104/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Longo Grazia