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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Napoli - ottava sezione civile - in persona dei magistrati Dr. ##### est. riunita in camera di consiglio, ha pronunziato la seguente ### nella causa in grado di appello iscritta al n. 2212 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2019 con ### opposizione a decreto ingiuntivo e vertente TRA ### nato a Napoli il ### (CF: #####) ed ivi elettivamente domiciliat ###presso l'avv. ### (CF: #####) da cui è rappresentato e difeso in virtù di procura in calce all'atto di opposizione a decreto ingiuntivo. #### nata a ### il ### (CF: #####) ed elettivamente domiciliat ###/K presso l'avv. ### (CF: #####) che la rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente agli avv.ti ### (CF: #####) e ### (CF: #####), in virtù di procura a margine della comparsa di risposta depositata in primo grado. ###'APPELLANTE: “### è presente l'avv. ### il quale, nell'impugnare e contestare estensivamente ogni avversa argomentazione, infondata in fatto ed in diritto, si riporta integralmente a tutto quanto già rilevato, dedotto ed eccepito, sia in atti che nei verbali di udienza, nonché alla documentazione già depositata nei termini di legge, già oggetto di valutazione, sia pur sommaria, da parte di codesto ###mo Collegio nell'accoglimento della istanza cautelare di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata. Si chiede che la causa venga decisa, con concessione dei termini di legge”. ###'APPELLATA: “La dr.ssa ### come sopra rappresentata e difesa, precisa le proprie conclusioni come segue e chiede la concessione dei termini di legge per il deposito delle difese conclusive: “Piaccia all'###mo Giudice adito, dato atto che la concludente non ha formulato appello incidentale né domanda alcuna tale da comportare l'onere del pagamento del contributo unificato, contrariis reiectis: 1. In via preliminare dichiarare l'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. per i motivi indicati in comparsa di costituzione e risposta. 2. Nel merito respingere integralmente l'avversaria impugnazione, in quanto infondata in fatto e in diritto, con integrale conferma dell'appellata sentenza. Con vittoria di spese ed onorari del presente grado, ### IVA e rimborso forfettario 15% compresi”. RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex artt. 633 e ss. c.p.c. depositato innanzi al Tribunale di ### la veterinaria ### ha chiesto di ingiungere a ### il pagamento della somma di € 8.558,14 oltre interessi al tasso legale maturati dalla ricezione, in data ###, della raccomandata di costituzione in mora del debitore.
A sostegno della pretesa fatta valere in via monitoria, la ricorrente ha riferito di aver eseguito, negli anni 2010, 2011 e 2012, gli interventi veterinari di cui alle fatture pro forma n. 1 del 10.08.10, n. 1 del 18.07.11 e n. 1 del 10.07.12 maturando un compenso professionale di € 8.558,14, determinato tenendo conto degli acconti di € 849,94 e di € 650,42 versatile dal ### che veniva ritenuto congruo dal Consiglio dell'Ordine dei ### di ### con parere del 09.05.2013.
Ha ancora riferito la ricorrente di aver sollecitato il pagamento delle prime due fatture pro forma innanzi indicate con e-mail del 31.05.2011, del 19.07.2011 e dell'11.11.2011 alle quali ### rispondeva riconoscendo l'esistenza delle ragioni di credito dell'istante con e-mail del 23.11.2011 nella quale si leggeva quanto segue: «### al più presto cercherò di inviarLe un acconto sui pagamenti da Lei giustamente sollecitati. Purtroppo è un periodo lungo di grande difficoltà, ovviamente questa non è una giustificazione! Sto provvedendo alla dismissione di un bene per far fronte alla sopravvenuta scarsa liquidità».
Il provvedimento monitorio, emesso il ### con n. 3108/2015 e notificato il ###, è stato tempestivamente opposto dall'ingiunto il quale ne ha chiesto la revoca deducendo di non aver mai conferito alla dr.ssa ### l'incarico di eseguire le prestazioni veterinarie elencate nelle fatture depositate, concordando i relativi prezzi, e di non averle mai neppure autorizzate o ratificate in via successiva. ### ha inoltre dedotto che soltanto alcuni dei cavalli indicati nelle parcelle vidimate dall'ordine professionale di appartenenza della dr.ssa ### erano di sua proprietà per cui le prestazioni di cui era richiesto il pagamento erano in parte anche relative ad animali altrui.
Con riguardo alla propria e-mail del 23.11.2011 l'opponente ha infine dedotto che essa era da riferire soltanto a talune prestazioni eseguite dall'opposta nell'anno 2010 e per un importo di gran lunga inferiore a quello domandato. ### per la cura dei propri cavalli nel triennio 2010-2012, si era infatti servito, e tuttora si serviva, di una persona di propria fiducia, di nome ### a cui si era rivolto in seguito alla ricezione dei solleciti di pagamento e che gli aveva confermato che la dr.ssa ### nel solo anno 2010, aveva effettivamente eseguito alcuni interventi veterinari sui cavalli dell'opponente. Ciò aveva indotto l'esponente ad inviare alla veterinaria la e-mail di risposta menzionata nel ricorso per ingiunzione. Successivamente il ### confrontandosi col ### si era tuttavia ricordato di aver già effettuato dei pagamenti in favore dell'opposta, a fronte delle prestazioni professionali dalla stessa eseguite, corrispondendogli la somma di € 1.500,36 come riconosciuto dalla stessa ### nel ricorso ex art. 633 c.p.c.
Ritenendo tali pagamenti idonei a tacitare pienamente la pretesa creditoria avversaria, a fronte della mancata pattuizione del corrispettivo delle prestazioni ricevute, l'opponente non aveva quindi dato seguito alla propria e-mail del 23 novembre 2011 richiamata dalla ricorrente.
La dr.ssa ### costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto dell'opposizione deducendo che gli incarichi professionali in questione le erano stati conferiti da ### titolare di un'azienda agricola dedita all'allevamento di cavalli dove erano accuditi anche quelli di parte opponente, il quale aveva operato come mandatario con rappresentanza del ### e le aveva richiesto gli interventi sulle fattrici e sui puledri menzionati nelle fatture pro forma allegate al ricorso monitorio pattuendo di volta in volta il corrispettivo delle prestazioni richieste. Ciò con la piena consapevolezza dell'opponente che, secondo quanto confermato nell'atto di opposizione, aveva provveduto anche ad effettuare dei pagamenti parziali in adempimento del rapporto professionale per tale via istauratosi.
Quanto poi alla generica deduzione dell'opponente di non essere proprietario di taluni dei cavalli su cui la dr.ssa ### era intervenuta, l'opposta ha dedotto che la circostanza risultava irrilevante dal momento che le prestazioni professionali erano state comunque richieste dal ### e che gli animali in questione, in base alle certificazioni rilasciate dall'### istituita presso il Ministero delle ### e ### risultavano appartenere o a lui o alla moglie dell'opponente ### o alla figlia ### La causa, rigettata l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto, è stata rinviata all'udienza del 16.02.2017 assegnando alle parti i termini di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c. per ultimare in forma scritta la trattazione, produrre documenti ed articolare mezzi di prova diretti e contrari.
Nessuna memoria veniva depositata dall'opponente il quale neppure compariva all'udienza fissata per l'ammissione dei mezzi di prova.
Con la seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. l'opposta curava invece il deposito di altri documenti (certificazioni anagrafiche comprovanti il rapporto di coniugio esistente tra l'opponente e la sig.ra ### ed ulteriori certificazioni dell'### articolando in pari tempo una prova testimoniale e per interpello a riprova dei propri assunti. Con ordinanza adottata fuori udienza in data ### il tribunale ammetteva sia l'interrogatorio formale che la prova per testimoni articolati dall'opposta sui medesimi capi fissando per il raccoglimento del solo interrogatorio l'udienza del 16.10.2017.
All'udienza così fissata il ### non compariva per rendere l'interrogatorio formale a lui deferito sicché il giudice, revocata la precedente ordinanza, fissava l'udienza di precisazione delle conclusioni, dopo aver “ritenuto superfluo procedere all'ulteriore istruzione della causa, stante la detta mancata comparizione e la causa matura per la decisione”.
All'udienza di conclusioni è poi comparso il difensore del ### che ha chiesto procedersi al raccoglimento dell'interrogatorio formale del proprio assistito il quale si dichiarava disposto a renderlo.
Detta richiesta veniva disattesa dal giudice non avendo parte opponente addotto nessun legittimo impedimento a comparire alla precedente udienza del 16.10.17, fissata per raccogliere l'interrogatorio.
La causa è stata quindi decisa con sentenza pubblicata il ### e notificata il ### la quale ha rigettato l'opposizione ed ha dichiarato esecutivo il decreto ingiuntivo condannando ### al rimborso delle spese di lite avversarie, liquidate in € 3.700,00 per compensi professionali, nonché al pagamento in favore di ### dell'ulteriore somma di € 3.000,00, ai sensi dell'art. 96 co. 3, c.p.c., in forza della seguente motivazione: “… Con difese altamente contraddittorie tra loro, l'opponente, nel proprio atto di citazione in opposizione (peraltro unico atto processuale depositato dalla detta parte in tutto il corso del giudizio, come in appresso meglio si specificherà), da un lato ha contestato in radice la sussistenza di qualsivoglia rapporto contrattuale di incarico professionale intercorso con la opposta e, dall'altro lato, ha invece ammesso di essersi avvalso dell'opera del medico veterinario dott.ssa ### per le cure dei cavalli ad egli riconducibili, per il tramite di proprio “fiduciario”, tale ### presso la cui struttura i detti cavalli erano tenuti, tuttavia solo per l'anno 2010, per il quale egli avrebbe anche corrisposto somme in favore della opposta per le prestazioni da ella resa.
Ebbene, occorre osservare in merito che dalle dette scarne e contraddittorie difese spiegate dell'attoreopponente, non è risultato seriamente posto in discussione il rapporto professionale intercorso con parte opposta, seppur per il tramite del ### (che, per stessa ammissione del ### ha agito quale vero e proprio suo mandatario rappresentante, se non addirittura quale proprio mero nuncius), per la cura di cavalli ad egli riconducibili.
Altrettanto generica ed indeterminata si è rivelata l'eccezione proposta dall'opponente, laddove lo stesso ha contestato che non tutti i cavalli oggetto di intervento fossero di sua proprietà.
Invero, di fronte alle analitiche note spese prodotte in atti da parte opposta -in cui risultano essere indicati, con estremo dettaglio, non solo tutti gli interventi eseguiti nel corso dei vari anni in contestazione (dal 2010 al 2012), bensì ogni singolo cavallo sui quali i detti interventi furono eseguiti - parte opponente si è limitata a genericamente dedurre che “soltanto alcuni dei cavalli indicati dall'odierna opposta” erano effettivamente di sua proprietà, senza, tuttavia, neppure la precisa individuazione e indicazione dei cavalli (tra tutti quelli precisamente indicati dalla opposta) di cui egli ha contestato la riconducibilità a sé.
La detta contestazione, pertanto, non può ritenersi in alcun modo aver raggiunto quella soglia di sufficiente specificità prevista dall'art. 115 c.p.c., al fine di poter far ritenere il fatto effettivamente posto in discussione dall'opponente, e non già provato ai sensi del disposto del comma 1 del menzionato articolo.
Non appare superfluo ulteriormente osservare in merito - come peraltro costantemente affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza più attente sul punto - che l'applicazione del c.d. principio di non contestazione…va valutato sia in un'ottica di proporzionalità (nel senso che trova il suo limite nel corrispondente grado di specificità che assume il fatto oggetto di contestazione) sia in ragione della diversa relazione che sussiste tra il fatto da provare e la parte nei confronti della quale l'allegazione è diretta (c.d. principio di vicinanza della prova).
Ne consegue che quanto più viene ad essere dettagliata la deduzione in fatto della parte, tanto più specifica ed altrettanto dettagliata occorre che sia la contestazione della controparte avverso la quale la deduzione è rivolta, e ciò a maggior ragione quando la negazione del fatto o la controprova confutativa dello stesso sia nella pronta e materiale disponibilità del contestante, in applicazione del principio di vicinanza.
Ora, come innanzi detto, non solo parte opponente non risulta in alcun modo aver compiutamente esposto la propria generica contestazione ma, anzi, parte opposta, attraverso la produzione delle analitiche schede degli equini oggetto di prestazioni professionali da parte sua, ha concretamente anche dimostrato la loro riconducibilità direttamente in capo all'opponente o a suoi diretti familiari.
A tutto ciò deve aggiungersi, inoltre, che essendo intercorso tra le parti, ed essendo stato dedotto in giudizio, un mero rapporto obbligatorio, non era affatto necessario che fosse stato inequivocabilmente dimostrato un rapporto giuridico di natura reale tra i cavalli presi in cura dalla opposta e l'opponente stesso, essendo sufficiente anche l'accertamento di un rapporto di mero fatto (qualificabile in termini di mera detenzione, o gestione di fatto) tra l'opponente ed i cavalli per i quali la opposta risulta aver reso le prestazioni professionali da egli richieste.
Rapporto di mero fatto che è sicuramente emerso nel caso di specie, avendo affermato lo stesso opponente (peraltro contraddicendo le proprie precedenti difese, come già osservato) che, in effetti, tutti i cavalli oggetto delle note pro-forma prodotte dalla opposta (senza esclusione alcuna di specifici animali) erano tutti da egli tenuti presso la struttura del ### e, per il tramite di quest'ultimo, affidati alle cure della dott.ssa ### Ancora generica e priva di sostegno probatorio si è rivelata la contestazione sollevata da parte opponente secondo cui le prestazioni rese dalla opposta sui propri cavalli sarebbero circoscritte al solo anno 2010 e non anche ai successivi anni 2011 e 2012, pur oggetto di richieste di pagamento da parte di quest'ultima.
Da un lato occorre osservare che, dall'esame delle difese spiegate sul punto, l'opponente pare non aver messo radicalmente in discussione, sul piano strettamente analitico-fattuale, le prestazioni pur specificamente indicate dalla opposta sin dalla fase monitoria per le annualità in contestazione (contestando, ad esempio, che i propri cavalli non risultavano aver effettivamente beneficiato dei trattamenti indicati dalla opposta nella analitica notula depositata), quanto piuttosto fonda la propria scarna deduzione sulla mera circostanza che fu il ### stesso a riferirgli che le dette prestazioni furono eseguite esclusivamente per l'anno 2010 (cfr. pag. 4 e 5 dell'atto di citazione in opposizione).
Ne consegue che anche la detta contestazione si è rivelata tutt'altro che specifica, per quanto innanzi già osservato.
Inoltre, dall'esame degli atti di causa e dalla documentazione versata in atti da parte opposta sin dalla fase monitoria, è emerso: a) che i pagamenti eccepiti dall'opponente per euro 1.500,36 risultano essere stati già tenuti in debita considerazione dalla opposta sin dalla fase monitoria, nel cui ricorso, anzi, la detta parte espressamente rappresentava i pagamenti ricevuti dall'opponente per euro 849,94 ed euro 650,42 (per un totale, appunto, di euro 1.500,36), di cui alle parcelle n. 6/2012 e 14/2012, provvedendo, quindi, a scomputarli dal residuo totale richiesto; b) che pur volendo dar credito alle affermazioni dell'opponente, ed esclusi i pagamenti già eseguiti e scomputati, lo stesso non risulta aver provveduto neppure a saldare il residuo non contestato per le prestazioni rese dalla opposta per l'anno 2010; c) che, in ogni caso, le prestazioni rese anche per le successive annualità 2011 e 2012 sono ampiamente dimostrate in atti dallo scambio di email intercorso tra le parti (e, in particolare, dalla mail del 23/11/2011 inoltrata alla opposta dal ### e da quest'ultimo mai contestata, e di cui, di contro, la propria difesa si è limitata a proporre una alternativa, quanto inattendibile, lettura, per le ragioni che seguono), ed in cui, ai solleciti di pagamento inoltrati dalla opposta per le prestazioni rese negli anni 2010 e 2011 (e, dunque, non solo del 2010, come, invece, acriticamente dedotto dall'opponente), il ### rispondeva promettendo un futuro acconto e rappresentando una propria situazione di difficoltà economica, e giammai contestando le somme richieste ed i periodi di riferimento delle prestazioni, di fatto riconosciute; d) che mai il ### prima dell'instaurazione del presente giudizio, risulta aver…contestato, o in altro modo posto in discussione, le pretese creditorie avanzate dalla opposta nei suoi confronti con le numerosissime missive da quest'ultima prodotte in atti (e relative proprio alle prestazioni per le annualità 2010, 2011 e 2012), di cui l'opponente non ha neppure mai contestato la ricezione.
A tutto quanto innanzi osservato occorre, altresì, aggiungere che la pretesa creditoria azionata dalla opposta, come anche tutti i presupposti posti a suo fondamento, sono risultati ampiamente dimostrati nel corso del presente giudizio di opposizione alla luce del contegno processuale tenuto dalla stessa parte opponente.
Ed invero, la stessa non compariva all'udienza del 16 ottobre 2017, che pure era stata fissata per il proprio interrogatorio formale sulle circostanze ammesse con l'ordinanza istruttoria del 03 marzo 2017 (e che riguardavano proprio tutti gli aspetti della pretesa creditoria azionata dalla opposta, innanzi indicati).
Ebbene, ai sensi del disposto dell'art. 232 c.p.c., dalla detta mancata comparizione, valutata unitamente a tutti gli ulteriori elementi di prova innanzi già illustrati, ben può derivarsi la sostanziale ammissione dei fatti dedotti nell'articolato interpello formale. Ed invero, non appare ultroneo, altresì, osservare come, dopo la proposizione dell'atto di opposizione, l'opponente abbia tenuto una condotta processuale assolutamente inerte per tutto il corso del giudizio, non avendo presenziato ad alcuna udienza oltre la prima (fatta eccezione per le ultime due del 09 luglio e del 13 dicembre 2018, fissate per la precisione delle conclusioni), non avendo depositato alcuna delle memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. (nei cui termini la stessa parte si era riservata, nel proprio atto di citazione, di meglio precisare e provare le deduzioni in fatto poste a sostegno della propria opposizione), né avendo depositato la comparsa conclusionale e la memoria di replica negli assegnati termini di cui all'art. 190 c.p.c., e non avendo, quindi, in definitiva, in alcun modo contrastato tutte le puntuali difese, deduzioni ed elementi istruttori ulteriori forniti dalla opposta nel corso del presente giudizio di opposizione.
Anzi, solo all'udienza del 09 luglio 2018 (fissata originariamente per la precisazione delle conclusioni) presenziava nuovamente il difensore di parte attrice-opponente per chiedere, in modo oltremodo tardivo, che il proprio assistito fosse sottoposto ad interrogatorio formale e non adducendo, tuttavia - come già osservato alla detta udienza del 09 luglio 2018 - alcun legittimo impedimento a comparire alla precedente udienza effettivamente fissata per il detto incombente istruttorio.
Per tutto quanto innanzi osservato, quindi, l'opposizione va integralmente rigettata, con la consequenziale conferma del decreto ingiuntivo opposto, il quale, per l'effetto, va dichiarato definitivamente esecutivo ai sensi dell'art. 653 c.p.c.
Le spese di lite seguono strettamente la soccombenza e sono liquidate, come da dispositivo, in virtù del D.M. Giustizia 55/2014, in relazione al valore della controversia (rientrante nello scaglione da euro 5.200,01 ad euro 26.000,00 del detto D.M., in relazione al valore del credito portato dal decreto ingiuntivo opposto) e all'attività concretamente esercitata dal difensore costituito per parte convenuta-opposta (estrinsecatasi nella fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale del D.M. cit.) e tenuto conto della nota spese depositata telematicamente dalla detta difesa in data 01 marzo 2019 (con la richiesta della liquidazione di valori anche inferiori ai parametri medi del detto D.M.).
Infine, secondo il prudente apprezzamento di questo Giudice, sussistono, nel caso di specie, altresì i presupposti per la pronuncia di una statuizione di condanna, in danno della medesima parte soccombente, ### al pagamento di una ulteriore somma, a favore della parte opposta vittoriosa, ai sensi del disposto di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c. Invero l'art. 45, comma 12, L. 18 giugno 2009 n. 69, aggiungendo un comma 3 all'art. 96 c.p.c., ha introdotto una vera e propria ipotesi di pena pecuniaria a carico della parte che abbia abusato del processo, avendo agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla allegazione e dalla prova di un danno causalmente derivato dalla condotta processuale “abusiva” dell'avversario (cfr. Cass. civ. sez. I, 30/7/2010, n. 17902). Si tratta, in altri termini, di una norma che inserisce nell'ordinamento giuridico italiano una forma di danno punitivo o esemplare…per scoraggiare l'abuso del processo in pregiudizio della parte vittoriosa e per preservare la funzionalità del sistema giustizia, ciò che esclude la necessità di un danno di controparte, pur se la condanna è prevista a titolo di indennizzo in favore di quest'ultima e non dello Stato (…).
Per quanto, poi, riguarda i presupposti e i requisiti per pervenire alla pronuncia di condanna ai sensi della norma in commento, essa presuppone, sotto il profilo oggettivo, solo la soccombenza della parte (che deve essere totale ed unitaria) e, sotto quello soggettivo, il requisito della malafede o della colpa grave, che concretizzano la temerarietà della lite (requisiti che, seppur non esplicitamente richiamati dalla norma in commento, ma richiamati dal solo coma 1 del medesimo art. 93 c.p.c., si ritiene debbano essere estesi anche alla diversa ipotesi di cui al comma 3). Come già osservato, invece, la norma in commento non presuppone né la domanda di parte né la dimostrazione in capo alla parte vittoriosa di aver subito un concreto danno risarcibile dalla condotta processuale “abusiva” tenuta dalla controparte. Ciò si desume dall'inciso iniziale dello stesso comma 3 art. cit. che esordisce con un “in ogni caso”, che va inteso, appunto, nel senso di escludere la sussistenza di un danno risarcibile nonché dell'istanza di parte, e ciò al fine di differenziare la fattispecie da quella disciplinata dal comma 1, tradizionalmente configurata come una species del genus della responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c. (c.d. illecito processuale).
Tutto ciò premesso, nel caso di specie, quand'anche non volesse considerarsi raggiunta la piena prova definitiva della vera e propria mala fede dell'opponente - intesa come difesa in giudizio accompagnata dalla piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie ragioni - ben può dirsi ricorrere, quantomeno, la colpa grave di quest'ultimo nell'aver introdotto un giudizio di opposizione rivelatosi meramente dilatorio per non avere, la detta parte, in alcun modo successivamente sviluppato e coltivato le proprie difese, rimaste radicalmente infondate anche per la totalmente inerte e passiva condotta processuale da egli tenuta: segnale, questo, di una negligente e superficiale valutazione circa la possibile fondatezza delle proprie difese...
Ai fini della liquidazione in concreto della somma dovuta per lite temeraria, in mancanza di parametri normativi certi ed obiettivamente verificabili in ordine alla determinazione dell'entità della sanzione - atteso che il rimedio di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c. rimanda genericamente all'equità e prescinde anche dall'effettività del danno (come innanzi già precisato) - mentre è evidente la natura afflittiva della nuova misura…e che la sanzione si aggiunge alla pronuncia sulle spese, la quale ne costituisce il presupposto oggettivo, il principale parametro per orientare la discrezionalità del giudice nella determinazione del quantum debeatur, al fine di evitare che l'equità si trasformi in arbitrio, non può che essere l'importo liquidato ai sensi dell'art. 91, comma 1, c.p.c. in favore della parte vittoriosa per le spese del giudizio, sul quale innestare una valutazione basata sul grado e sull'intensità della colpevolezza, vale a dire sul presupposto soggettivo necessario per l'applicazione della sanzione, nonché sulla durata del processo e soprattutto sul valore della controversia… ### fattispecie concretamente in esame, pertanto, la sanzione viene liquidata, per l'appunto equitativamente, ex art. 96, comma 3, c.p.c., in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00)”.
Con atto notificato il ### ed iscritto a ruolo il #### ha tempestivamente appellato tale sentenza chiedendo a questa Corte di riformarla integralmente, previa sospensione della sua efficacia esecutiva, accogliendo l'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 3108/2015 e condannando ### al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio da distrarre in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Si è costituita ### la quale ha chiesto di dichiarare l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348 bis c.p.c., perché privo di una ragionevole probabilità di accoglimento, e nel merito di rigettare integralmente l'impugnazione, in quanto infondata, con integrale conferma dell'appellata sentenza.
Con ordinanza depositata il ###, resa a scioglimento della riserva assunta all'udienza di prima comparizione, è stata accolta l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, fatta salva ogni più approfondita valutazione in sede decisoria delle questioni prospettate dall'appellante, e la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni fissando un'udienza poi sostituita dalla concessione di un termine perentorio per deposito telematico di note scritte ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c.
Scaduto il termine per il deposito di tali note, il cui contenuto è stato trascritto in epigrafe, ed acquisito il fascicolo di primo grado, la causa è stata introitata in decisione disponendo il deposito delle difese finali nei termini di cui all'art. 190 c.p.c. ridotti a complessivi sessanta giorni (40 gg. per le comparse conclusionali e 20 gg. per le memorie di replica).
§§§§§§ In via del tutto preliminare va evidenziato come la facoltà del giudice di emettere un'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c., ossia per assenza di una ragionevole probabilità di accoglimento dello stesso, in base a quanto previsto dall'art. 348 ter co. 1 c.p.c. va necessariamente esercitata in prima udienza all'esito delle verifiche previste dall'art. 350 co. 2 c.p.c. e prima di dare ingresso alla trattazione. In ipotesi di compimento di dette verifiche con rinvio della causa ad altra data, come è avvenuto nel caso di specie, tale possibilità resta dunque definitivamente preclusa e non è più possibile definire la lite con un'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità che, se adottata successivamente, risulterebbe affetta da nullità per violazione della legge processuale (cfr. in termini cass. n. 10409/2020 e n. 4696/2016).
Ciò premesso, occorre procedere al vaglio dei primi due motivi dell'appello proposto da ### che risultano suscettibili di esame congiunto perché tra loro intimamente connessi. Assume in primo luogo l'appellante che il tribunale ha mal interpretato la propria narrazione dei fatti, la quale non è per nulla contraddittoria, pervenendo al rigetto dell'opposizione benché la controparte non abbia fornito alcuna prova dell'esistenza del rapporto contrattuale posto a base della sua pretesa creditoria e dell'effettuazione delle prestazioni di cui è richiesta la remunerazione su dei cavalli di proprietà dell'ingiunto.
Nessuna contraddittorietà sarebbe infatti ravvisabile nelle difese del ### il quale, con l'atto di opposizione, affermava a chiare lettere di non aver mai conferito incarichi alla dottoressa ### e di non aver mai autorizzato né ratificato in via successiva le attività elencate nelle parcelle depositate limitandosi, in via successiva, a riconoscere che l'opposta, nel solo anno 2010, aveva eseguito delle prestazioni su alcuni dei propri cavalli per le quali era stata già retribuita e che non coincidevano con quelle di cui era chiesto il pagamento.
Deduce l'appellante che ad essere affetta da contraddittorietà ed incoerenza è invece la sentenza impugnata in quanto il giudice ha effettuato due valutazioni diametralmente opposte e tra loro antitetiche delle proprie difese. Con l'ordinanza adottata in data ### il tribunale aveva infatti rigettato l'avversa richiesta di concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo rilevando che “con la proposta opposizione parte attrice ha contestato la stessa sussistenza del rapporto contrattuale posto a base dell'azionato credito, il cui onere probatorio non può che ricadere in capo a parte convenuta (attrice in senso sostanziale nel presente giudizio di opposizione)” mentre con la sentenza finale il tribunale ha immotivatamente ribaltato la propria valutazione dei fatti narrati in citazione con ciò minando in nuce la logicità della propria decisione.
Con riferimento all'appartenenza dei cavalli su cui erano state eseguite le prestazioni il giudice aveva poi motivato in modo assolutamente incomprensibile la propria decisione perdendo di vista la circostanza fondamentale che era l'opposta a dover dimostrare l'esistenza di un tale collegamento.
Prosegue l'appellante affermando che il giudice ha sindacato in maniera del tutto arbitraria la propria strategia processuale traendo da essa degli elementi probatori a favore dell'opposta del tutto inesistenti.
Non era infatti sindacabile la propria scelta difensiva di non depositare le memorie di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c. in quanto: a) dalle difese svolte dall'opposta con la comparsa di risposta non erano emersi elementi tali da condurre ad una precisazione delle proprie eccezioni, difese e conclusioni attraverso la redazione della prima di dette memorie; b) la redazione della seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. era stata ritenuta superflua nella piena consapevolezza che l'onere della prova gravava sulla controparte a fronte della negazione dell'esistenza del rapporto contrattuale: c) la terza memoria di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c. non era stata redatta ritenendo la prova diretta articolata ex adverso del tutto conferente al fine di pervenire all'accertamento dei fatti di causa.
Quanto poi alla mancata comparizione all'udienza del 16.10.2017, fissata per il raccoglimento del proprio interrogatorio formale, essa era dipesa dalla mancata ricezione da parte del difensore costituito, a causa di un disguido tecnico, della PEC di comunicazione dell'ordinanza resa fuori udienza con cui, sciogliendo la riserva, il tribunale ammetteva il suddetto mezzo istruttorio.
Tale circostanza era stata fatta presente al giudice nell'udienza immediatamente successiva, con contestuale richiesta di procedere all'assunzione dell'interrogatorio, ma, ciò nonostante, il tribunale aveva deciso in confermare la precedente ordinanza con cui aveva disposto il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni “ritenuto superfluo procedere all'ulteriore istruzione della causa, stante la detta mancata comparizione e la causa matura per la decisione”.
La scelta di non depositare la comparsa conclusionale, anch'essa incensurabile, era infine dipesa dal fatto che nessuna attività istruttoria era stata posta in essere nell'intero corso del giudizio per cui le argomentazioni e le conclusioni contenute nell'atto introduttivo sarebbero state pedissequamente ripetute.
Erronea era stata, infine, l'applicazione del disposto dell'art. 232 c.p.c. che recita: “Se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio”.
Nel caso di specie l'opponente aveva infatti non solo rappresentato al giudicante il motivo per cui non era comparso a rendere l'interrogatorio nell'udienza all'uopo fissata ma aveva anche dichiarato la propria disponibilità ad essere ascoltato per cui la sua audizione era necessaria, in vista della ricerca della verità dei fatti, e non risultava preclusa (non trattandosi di un'istanza istruttoria tardiva) né avrebbe nuociuto alla celerità del processo dal momento che lo stesso giudice, per esigenze di ruolo, non introitava immediatamente la causa in decisione ma fissava un'altra udienza di precisazione delle conclusioni.
La mancata comparizione dell'interrogando, per giurisprudenza unanime, costituiva poi solo un elemento integrativo per la prova dei fatti dal momento che l'art. 232 c.p.c. non ricollega a tale condotta l'effetto di una confessione ma dà solo al giudice la facoltà di ritenere ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio imponendogli, al contempo, di valutare ogni altro elemento di prova.
La mancata comparizione non può dunque assurgere ad unico elemento di prova fondante la decisione, come sarebbe avvenuto nel caso di specie. Ciò in quanto il contegno processuale e la strategia difensiva delle parti, costituendo espressione del diritto di difesa tutelato dall'art. 24 della ### devono risultare liberi da ogni condizionamento con conseguente impossibilità di essere utilizzati dal giudice quali elementi di prova per la decisione della causa.
Nessun elemento di prova potrebbe, infine, essere tratto dalla pretesa contraddittorietà della citazione e dal comportamento tenuto dall'opponente prima dell'istaurazione del giudizio (mancata contestazione delle e- mail e delle altre richieste stragiudiziali di pagamento ricevute) in quanto tali fatti sono stati valutati in maniera contrastante dallo stesso tribunale che, nel rigettare dell'istanza di provvisoria esecuzione, non ha ravvisato alcuna contraddizione nell'atto di opposizione e tanto meno nella condotta tenuta ante causam dal ### §§§§§§ Le censure sin qui esposte risultano del tutto infondate imponendosi la piena conferma della sentenza di rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo.
Sul punto occorre innanzi tutto evidenziare come l'esistenza di una discrasia tra le valutazioni alla base dell'ordinanza del 21.07.2016, che ha rigettato la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo assegnando alle parti i termini di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c., e la sentenza impugnata, che ha respinto l'opposizione confermando il provvedimento monitorio, non costituisce un elemento destinato ad inficiare la decisione finale, aprioristicamente tacciata dall'appellante di “evidente contraddittorietà ed incoerenza” per aver “effettuato due valutazioni diametralmente opposte e antitetiche”.
Il principio di cui all'art. 177 co. 1 c.p.c., secondo il quale “le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa” comporta, infatti, l'impossibilità di attribuire valore decisorio alla soluzione di una determinata questione affrontata e risolta con il provvedimento ordinatorio in quanto detta soluzione si traduce in un antecedente logico del provvedimento stesso, non rilevante autonomamente ma solo ai fini delle disposizioni istruttorie da rendere, quale che sia la consistenza e la diffusione della motivazione alla base dell'ordinanza (cfr. in termini già cass. n. 5812/1982).
Le ordinanze emesse nel corso del giudizio hanno, in altri termini, un'efficacia del tutto provvisoria e non comportano alcun effetto preclusivo, in quanto adempiono ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione finale, con la conseguenza che il giudice del merito, pur in presenza di tali ordinanze, può sempre revocarle e modificarle, anche per implicito e pure se si tratta di ordinanze irrevocabili ex art. 177 co. 3 c.p.c. (essendo le stesse, comunque, insuscettibili di acquisire autorità di giudicato), fondando il proprio convincimento finale su elementi sopravvenuti rispetto alla loro adozione (cfr. ex multis cass. n. 11183/2000, cass. n. 1596/2007 e cass. n. 1148/1982).
Ciò è proprio quanto risulta essersi verificato nella fattispecie in esame non potendosi considerare privo di ogni rilevanza il corso del processo successivo all'adozione dell'ordinanza del 21.07.2016 che ha condotto all'acquisizione di ulteriori elementi di giudizio suscettibili di condurre ad un diverso e più meditato apprezzamento anche dei dati iniziali. ### di tali elementi è senz'altro la mancata comparizione dell'opponente all'udienza del 16.10.2017 per rendere l'interrogatorio formale a lui deferito dall'opposta con la seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c. ed ammesso con ordinanza resa fuori udienza il ###.
A tal proposito, va innanzi tutto evidenziato come non sia affatto vero che l'assenza dell'interrogando all'udienza fissata per l'assunzione del mezzo di prova sia dipesa dalla mancata ricezione, da parte del suo difensore, della PEC di comunicazione dell'ordinanza ammissiva a causa di un disguido tecnico.
Dalla consultazione del P.C.T. risulta, infatti, che l'ordinanza di ammissione dell'interrogatorio e di fissazione dell'udienza deputata alla sua assunzione è stata ritualmente comunicata in data ### all'avv. ### difensore anche in primo grado di ### Allo stesso modo non è affatto vero che la verificazione di tale disguido sia stata fatta presente al giudice nell'udienza immediatamente successiva, fissata per la precisazione delle conclusioni e tenutasi il ###, in cui la difesa del ### chiedeva procedersi al raccoglimento dell'interrogatorio del suo assistito.
Il contenuto di detto verbale di udienza è infatti, testualmente, il seguente: “### 09 luglio 2018, alle ore 10:43, innanzi al Giudice, dott…sono comparsi: per parte attrice-opponente, ### l'Avv. ### il quale preliminarmente chiede di procedersi all'interrogatorio formale dell'opponente che si dichiara disposto a sottoporsi allo stesso; per parte convenuta-opposta, ### l'Avv. ### per delega dell'Avv. ### e dell'Avv. ### il quale impugna la richiesta formulata da controparte e chiede confermarsi i precedenti provvedimenti dell'istruttore, chiedendo confermarsi il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni.
Il Giudice preso atto di quanto precede, rilevato che parte attrice non ha dedotto alcun legittimo impedimento a comparire alla precedente udienza del 16 ottobre 2017, fissata per l'interrogatorio formale dello stesso; rilevato l'elevato numero di cause già incamerate in decisione, e da incamerare nell'immediato, di più risalente iscrizione a ruolo rispetto al procedimento in epigrafe indicato, rinvia la causa, per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 13 dicembre 2018”.
Resta dunque confermato che la mancata comparizione del ### all'udienza del 16.10.2017 non fu giustificata con conseguente applicabilità dell'art. 232 c.p.c. che recita: “Se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere, senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio”.
Non è inoltre condivisibile l'assunto dell'appellante secondo cui la comparizione dell'interrogando all'udienza successiva a quella immotivatamente disertata avrebbe dovuto indurre il tribunale ad assumere ugualmente l'interrogatorio non essendosi verificata alcuna preclusione e non nuocendo una tale opzione alla celerità del processo dal momento che il giudice, per esigenze di ruolo, fissava in ogni caso un'udienza in prosieguo conclusioni.
Accedere ad una tale tesi equivarrebbe, infatti, a rendere le parti arbitre delle sorti del processo conferendo loro il potere di determinare “ad libitum” la sua regressione ad una fase ormai esaurita e di modificare, senza alcuna oggettiva giustificazione, gli effetti processuali di condotte già tenute sulla base di un calcolo di mera convenienza effettuato a posteriori.
E' infatti indubitabile che il ripensamento alla base della scelta del ### di comparire in un'udienza successiva a quella ingiustificatamente disertata sia motivato dal tentativo di “correre ai ripari” dopo la lettura dell'ordinanza del 16.10.2017 con cui il giudice, dato atto del suo mancato interrogatorio, riteneva superfluo procedere all'ulteriore istruzione della causa (con assunzione anche della prova testimoniale articolata dall'opposta sugli stessi capi ed ammessa con ordinanza del 03.03.17) giudicando la causa matura per la decisione e fissando, perciò, l'udienza di precisazione delle conclusioni.
Ciò premesso, occorre osservare come la valutazione ex art. 232 c.p.c. della mancata risposta all'interrogatorio formale rientra nell'ampia facoltà del giudice di merito di desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel processo ai sensi dell'art. 116 c.p.c. Più in particolare, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio, quando la parte non si presenti a rispondere senza giustificato motivo, procedendo alla valutazione di ogni altro elemento probatorio che non deve risultare “ex se” idoneo a fornire la prova del fatto contestato poiché, in tal caso, sarebbe superflua ogni considerazione circa la mancata risposta all'interrogatorio, ma deve soltanto fornire elementi di giudizio integrativi, idonei a determinare il convincimento dei giudice sui fatti dedotti nell'interrogatorio medesimo (cfr. così cass. 10494/2006 e cass. n. 10099/2013).
Già in forza di tale principio appare evidente l'infondatezza dell'assunto dell'appellante secondo cui “il contegno processuale e la strategia difensiva posta in essere da ciascuna delle parti, rientrando nelle facoltà del diritto di difesa, costituzionalmente garantito dall'art. 24 della Costituzione…non possono assurgere ad elementi di prova utilizzati dal giudice per determinare la propria decisione della causa”. È infatti lo stesso art. 116 co. 2 c.p.c. ad affermare che “Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e, in generale dal contegno delle parti stesse nel processo”.
Il comportamento processuale delle parti ben può dunque essere valutato ai fini decisori potendo anche costituire l'unica, sufficiente fonte di convincimento del giudice, e non già solo un mezzo di valutazione degli elementi probatori già acquisiti al processo, con possibilità per il giudicante di trarre elementi di convincimento, ai fini dell'accertamento dei fatti controversi, anche dalle contraddizioni che si colgono nell'assunto difensivo di uno dei soggetti della lite e dalla circostanza che, con riferimento all'oggetto del processo, siano state ammannite successivamente versioni diverse, in violazione del dovere di lealtà e probità, espressamente sancito dall'art 88 c.p.c. (cfr. così cass. n. 2815/2006). Anche un contegno processuale particolarmente lassista può dunque essere sintomatico del fatto di non aver argomentazioni da contrapporre alle asserzioni avversarie.
Non ci si può esimere a questo punto dal rilevare che i capi di interrogatorio ammessi avevano ad oggetto circostanze determinanti ai fini della decisione della controversia. Con essi l'opposta aveva infatti inteso provare i seguenti fatti: “1) Vero che nel triennio 2010/2012 il sig. ### titolare dell'### denominata “###”, sita in ####, località ### n. 38, ha operato, in qualità di uomo di fiducia, ovvero, come mandatario con rappresentanza del sig. ### per quanto concerne la cura degli equini in appresso indicati: a) ####; b) ### '12 ###, successivamente rinominato ### c) ####; d) ####; e) ####; f) AMANDRA ###; g) ####; h) ####; i) ####; ####. 2) Vero che nel triennio 2010/2012 il sig. ### Giuseppe…in nome e per conto del sig. ### ha incaricato la Dr.ssa ### di occuparsi delle fattrici e dei puledri menzionati nelle note pro-forma n. 1 del 10/8/2010 (doc 1), n. 1 del 18/7/2011 (doc 2) e n. 1 del 10/7/2012 (doc 3), che si rammostrano, dopo aver concordato con la stessa la natura e i corrispettivi delle prestazioni che la professionista avrebbe ed ha reso. 3) Vero che tutte le prestazioni professionali dettagliatamente indicate nelle note pro-forma della Dr.ssa ### n. 1 del 10/8/2010 (doc 1), n. 1 del 18/7/2011 (doc 2) e n. 1 del 10/7/2012 n. 1 del 10/8/2010 (doc 1), n. 1 del 18/7/2011 (doc 2) e n. 1 del 10/7/2012, che si rammostrano, sono state richieste alla Dr.ssa ### ed autorizzate, nel triennio 2010-2012, dal sig. ### in nome e per conto del sig. ### presso l'### denominata “###” sita in ####, località ### n. 38”.
Dette circostanze, come correttamente ritenuto dall'autore della sentenza impugnata, possono ritenersi ammesse alla luce dei seguenti elementi integrativi di giudizio: A) il carattere volutamente vago, ambiguo, sfuggente e sostanzialmente contraddittorio delle difese svolte dall'opponente che da un lato nega in radice di aver conferito incarichi veterinari alla dr.ssa ### di aver autorizzato le sue attività o di averle ratificate e, dall'altro: 1. afferma di aver effettuato dei pagamenti in contropartita di talune sue prestazioni professionali riferibili all'anno 2010 che, tuttavia, sarebbero diverse da quelle per cui si è agito in via monitoria (senza però chiarire quali esse siano); 2. riconosce di servirsi, quale persona di fiducia per la cura dei propri animali, del sig. ### al quale, dopo la ricezione della richiesta di pagamento avanzata dall'opposta con mail dell'23.11.2011, avrebbe chiesto una conferma delle prestazioni eseguite dalla dr.ssa ### rispondendo, dopo averla ottenuta, con la e-mail del 23.11.2011 che recita: “### al più presto cercherò di inviarLe un acconto sui pagamenti da ### giustamente, sollecitati. Purtroppo è un periodo lungo di grande difficoltà, ovviamente questa non è una giustificazione! Sto provvedendo alla dismissione di un bene per far fronte alla sopravvenuta scarsa liquidità. Ricambio i cordiali saluti e spero quanto prima di darle buone notizie”. B) la confessione parziale indubbiamente insita in tale e-mail che, contrariamente a quanto assume l'appellante, non può intendersi riferita solo ad alcune prestazioni del 2010 dal momento che essa è stata redatta in risposta alla e- mail della dr.ssa ### dell'11.11.2011 che recita: ### Avv. ### Le invio in allegato le proforma di parcella relative la mia prestazione professionale della stagione 2010 e 2011, purtroppo mi trovo costretta a sollecitarle il pagamento…”. C) la stessa esistenza di detti pagamenti parziali; D) il fatto che il ### non abbia avvertito l'esigenza di replicare, redigendo la prima memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., all'affermazione contenuta nella comparsa di risposta avversaria secondo cui il sig. ### operava come suo mandatario con rappresentanza e tanto meno di articolare una prova contraria rispetto a tale circostanza con la seconda o la terza memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., nonostante la prova diretta richiesta sul punto dalla dr.ssa ### con la conseguenza che il fatto può ritenersi addirittura pacifico. E) il fatto che il ### benché pienamente consapevole di quali siano i propri cavalli, non li abbia puntualmente individuati, negando espressamente di aver mai commissionato prestazioni relative ai restanti animali (che sono poi risultati di proprietà di suoi familiari), ma abbia preferito assumere un atteggiamento sfuggente trincerandosi dietro la vaga affermazione che “soltanto alcuni dei cavalli indicati dall'odierna opposta nella specifica delle competenze professionali richieste e vidimate dal Consiglio dell'Ordine di appartenenza sono effettivamente di proprietà dell'odierno opponente”. Per nulla incomprensibile è, infine, l'affermazione del tribunale secondo cui “essendo stato dedotto in giudizio un mero rapporto obbligatorio, non era affatto necessario che fosse stato inequivocabilmente dimostrato un rapporto giuridico di natura reale tra i cavalli presi in cura dall'opposta e l'opponente stesso”.
Ai fini della legittimazione a contrarre un'obbligazione che prevede come contropartita l'esecuzione di una prestazione afferente a un determinato bene, quale è appunto un animale, non è infatti necessario esserne il proprietario né chi si è obbligato al pagamento della prestazione richiesta può opporre alla controparte negoziale la propria mancanza di titolarità di un diritto reale sulla cosa per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti dal contratto concluso (cfr. ad es. cass. n. 3121/1999 e n. cass. 27910/2023 che escludono la necessaria coincidenza tra chi stipula un contratto di appalto o di locazione ed il proprietario del bene locato o su cui l'appaltatore deve intervenire).
§§§§§§ Con il terzo ed ultimo motivo di gravame l'appellante deduce che il giudice di primo grado ha interpretato in maniera distorta l'art. 96 co. 3 c.p.c. trattandosi di una disposizione normativa che - a detta dell'appellante - sarebbe “assolutamente inconferente alla fattispecie che ci occupa” in quanto il ### “non ha dato impulso ad un'azione giudiziaria, bensì si è difeso da un provvedimento giudiziale notificatogli dall'odierna appellata”. ### l'appellante, inoltre, la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo non potrebbe ritenersi connotata da colpa grave tant'è che lo stesso tribunale, con l'ordinanza del 21.07.2016, riteneva la stessa non infondata rigettando la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione al provvedimento monitorio. Anche tale motivo deve essere rigettato perché infondato. Se infatti i requisiti della mala fede e della colpa grave, pur se richiamati dal solo comma 1 dell'art. 96 c.p.c., devono ritenersi estesi anche alla diversa ipotesi di cui al comma 3 della disposizione normativa in parola, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte anche a ### (cfr. Cass. S.U. n. 22405/2018), appare evidente che tale estensione operi con riferimento all'intero inciso del comma 1 che recita: Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o con colpa grave”. Ciò a maggior ragione se si considera la ratio della condanna ex art. 93 co. 3 c.p.c. che, come chiarito dalla pronuncia di legittimità innanzi richiamata, “è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all'esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi nonché interessi della parte vittoriosa a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi”. È infatti evidente come un abuso della potestas agendi possa realizzarsi sia attraverso la promozione di un giudizio senza il doveroso impiego di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l'infondatezza della propria domanda che attraverso una resistenza in giudizio meramente dilatoria e come anche quest'ultima possa pregiudicare l'interesse pubblicistico di evitare il proliferare ed il protrarsi di contenziosi privi di una valida ragion d'essere. A parte quanto già chiarito in merito all'impossibilità che un'ordinanza istruttoria possa pregiudicare l'esito della lite, è infine indubbio che la natura meramente dilatoria di una resistenza in giudizio basata sulla negazione della pretesa creditoria avversaria possa essere compiutamente apprezzata solo all'esito del giudizio stesso valutando le sue risultanze. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con riconoscimento dei compensi medi previsti, in relazione al valore della controversia, dal D.M. n. 147 del 13.08.2022. Occorre infine dare atto dell'applicabilità, a carico di ### della sanzione prevista dall'art. 13 co. 1 quater D.P.R. 30.05.02 n. 115 che ha per oggetto il versamento, da parte di chi ha proposto un'impugnazione rigettata nel merito o dichiarata inammissibile, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione stessa. P. Q. M. La Corte di Appello di Napoli - ottava ### civile - con definitiva pronunzia sulla causa di appello di cui in narrativa, così provvede: 1) Rigetta l'appello proposto da ### avverso la sentenza del Tribunale di ### n. 836/2019 pubblicata il ###. 2) ### al rimborso delle spese del giudizio di appello sostenute da ### che si liquidano in € 5.809,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettario in misura pari al 15% dei compensi ed accessori di legge. 3) Dà atto dell'applicabilità, a carico di ### di una sanzione di importo pari al contributo unificato dovuto per la proposizione dell'appello.
Così deciso in Napoli, in camera di consiglio, il #### Dr. ####
causa n. 2212/2019 R.G. - Giudice/firmatari: Cucciniello Carmen, Cocchiara Alessandro