CORTE DI CASSAZIONE
Sentenza n. 24526/2022 del 09-08-2022
principi giuridici
Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, che limitano la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e richiedono una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, consistente nella riproduzione di tali clausole nell'atto d'acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente il mero rinvio al regolamento stesso.
Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, che limitano la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitù reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale e sono soggette, ai fini dell'opponibilità ai terzi, alla trascrizione ai sensi degli artt. 2643, n. 4 e 2659, comma 1, n. 2 c.c.
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testo integrale
SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 19761/2017 R.G. proposto da: ### elettivamente domiciliato in ### DEL###,7, presso lo studio dell'avvocato #### (###) rappresentato e difeso dall'avvocato ### (###) -ricorrente contro #### elettivamente domiciliato in ### 20-C, presso lo studio dell'avvocato ### (###) rappresentato e difeso dall'avvocato ### (###) 2 di 23 -controricorrenti nonchè contro ### elettivamente domiciliato in ### CELIMONTANA 38, presso lo studio dell'avvocato ### (###) rappresentato e difeso dall'avvocato #### (###) -controricorrente nonchè contro #### -intimati avverso la SENTENZA di CORTE D'### n. 616/2017 depositata il ###. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2022 dal ##### Ge nnaro ### e ### proprietari di appartamenti facenti parte del condominio sito in ####/5, convenivano in giud izio, innanzi al Tribunale di Trani, sezione distaccata di #### proprietario di parte del piano terra e di quello cantinato, affin ché fosse condannato a cessare l'attività di pasticceria e di relativo laboratorio artigianale ivi esercitata, nonché a rimuovere le opere connesse. In particolare - e limitatamente a quanto ancora forma oggetto del ricorso per cassazione - gli attori deducevano che tale attività, di tipo artigianale, non era ammessa dall'art. 20 del rego lamento di condominio, il q uale vietava di adibire gli appartamenti e i locali di proprietà esclusiva ad uso (tra 3 di 23 altri vietati ) artigianale. Lamentavano, in oltre, che il convenuto aveva: a) trasform ato l'atrio scoperto di pertinenza del locale a piano terra, desti nato a parcheggio, in un vano adibito a laboratorio, con presenza di macch inari; b) appo sto una canna fumaria sulla fac ciata del fabbricato , asservendola così alla su a proprietà individuale; c) occupato una parte della corsia di manovra dei box auto con ciclomotori e utensili di pasticceria ed abbassato la volta dei box, per allocarvi ulteriori tubazioni per espellere i fumi di prod uzione dell'attività; d) appo sto un cancello antistante la serranda del bo x di sua proprietà, all'interno del q uale aveva installato, altresì, i macchinari produ ttivi dei fumi immessi n ella predetta corsia dei box; e) messo in comunicazione il piano terra con q uello cantinato, attraverso la realizzazione di una scala interna e una copert ura nel solaio de l piano terr a, mettend o a rischio la stabilità dell'edificio. In subordine, per l'ipotesi di rigetto, chiedevano che fossero rideterminate le tabelle m illesimali in ragione delle trasformazioni realizzate dal ### e a tal fine era disposta l'integ razione del contraddittorio nei confronti degli alt ri condomini, ### e ### che restavano contumaci. Nel resistere in giudizio il convenuto contestava che l'art. 20 del regolamento condominiale vietasse di adibire le proprietà individuali ad attività artigianal i, e negava la dedotta illegittimità delle opere che aveva realizzato. Il Tribunale accoglieva la domanda principale. ### di ### era respinto dalla Corte distrettuale di ### con sentenza n. 616/17. Detta Corte osservava che il richiamo all'art. 1138, ultimo comma, c.c ., contenuto nel primo motivo, col quale l'appellant e av eva dedotto che il regolamento condominiale non può porre limiti alle unità immobiliari di proprietà esclusiva, non era pertinente al caso di specie, riferendosi al divieto di possede re o detenere animal i dome stici; che era infondata la 4 di 23 doglianza di violazione degli artt. 1138, quarto comma, e 1362 c.c., sull'interpretazione del regolamento condominia le, atteso che quest'ultimo aveva natura contrattuale e che tra gli usi vietati nelle unità immobiliari di proprietà individuale erano chia ramente e d espressamente indicati l'esercizio di negozi e di attività artigianali; che, di riflesso, il ### oltre a dover cessare la propria attività, doveva rimuovere anche tutte le opere realizzate, perché funzionali a tale esercizio; che, invece, quanto all'occupazione delle corsie di manovra per il pa rcheggio dei ciclom otori, la rimozione doveva essere disposta p er la violazione dell'art. 8 del regolame nto condominiale, che rimetteva all'assemblea e all'amministratore del condominio il potere d i autorizz arne l'occupazione temporanea, sempre che ciò non imped isse agli altri p artecipanti di farn e parimenti uso. Per la cas sazione di ta le sentenza ### pro pone ricorso, affidato a sei motivi. Resistono con controricorso ### o, ### e #### e ### sono rimasti intimati. Il ricorso è stato trattato in pubblica udienza secondo le modalità di cui all'art. 23, comma 8-bis, D.L. 137/20, convertito in legge 176/20, la cui applicazione è stata prolungata fino al 31.12.2021 dall'art. 7, primo comm a, D.L. n. 105/21 , convertito in legge 126/21. I controricorrenti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Il primo motivo di ricorso espone la violazione dell'art. 1138, quarto comma, c.c., in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. Parte ricorrente premette che il primo motivo d'appello conteneva un evidente errore materiale nell'indicare come violato l'ultimo, invece del quarto, comma dell'art. 1138 c.c., e che l'errata individuazione della norma violata non è causa né d'inammissibil ità né 5 di 23 d'infondatezza del motivo. Quindi, rettamente ricondotta al quarto comma dell 'art. 1138 c.c. la doglianz a con cui aveva dedotto in appello l'illegittimità dell e limitazioni imposte dall'art. 20 del regolamento condominiale alle proprietà individuali, ribadisce che il Tribunale avrebbe dovuto disapplicare tale previsione regolamentare. 2. - Il secondo mezzo denuncia l'omessa pronuncia, in violazione dell'art. 112 c.p.c. ed in rapporto al n. 4 dell'art. 360 c.p.c., del secondo motivo d'appello, atteso che la sentenza impugnata non ha in alcun modo valutato la dedo tta, in al lora, viol azione del canone ermeneutico dell'art. 1362 c.c., la cui corretta applicazione avrebbe evidenziato che il regolamento disciplinava soltanto l'uso delle parti comuni, non anche quello delle proprietà individuali. E chiede, quindi, che sul relativo motivo d'impugnazione si pronunci questa Corte, “non avendolo fatto la Corte di Appello”. 3. - Analogamente il terzo mezzo di ricorso, col q uale parte ricorrente si duole dell'om essa pro nuncia sul terzo motivo d'appello, inteso ad evidenziare che l'art. 20 de l regolament o condominiale, nel vietare di adibire l'apparta mento o il locale di proprietà singola ad un uso diverso dall'abitazione o studio, viola apertamente l'art. 1138, quarto comma, c.c., in base al quale le norme del regola mento contrattuale non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti d'acquisto, sicché il regolament o, nella specie, rim ettend o all'assemblea il potere di consentire usi diversi, sembrerebbe avere natura non contrattuale ma assembleare. 4. - Col quarto motivo è denunciata la violazione dell'art. 1138, quarto comma, c.c., in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. Parte ricorrente nega che l'art. 20 del regolamento condominiale si riferisca o si possa riferire, senza violare la ridetta norma, all'uso artigianale, locuzione generica e ind eterminata che non sarebbe espressiva di una volontà chiaramente manifestata. A confutazione, 6 di 23 poi, del potere di porre un siffatto divieto, parte ricorrente invoca l'applicazione del precedente n. 21024/16 di questa Corte, secondo cui la p revisione, cont enuta in un regolamen to condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria delle servitù atipiche e non delle obbligazioni propter rem, difettando il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacime nto d'un corrispondente interesse creditorio; ne consegue che l'opponib ilità di tali li miti ai te rzi acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l'indicazione, nella n ota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Nella specie, sog giunge parte ricorren te, non risultano essere stati mai trascritti i limiti imposti dal regolamento alle proprietà singole. 5. - Col quinto motivo è dedotta la violazione dell'art. 41 Cost., sempre in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c., perché la sentenza impugnata incide, vietandola, su di un'attività economica intrapresa dal ricorrent e sin dal 1991, senza una sola ragione che lo giustifichi. 6. - Il sesto mezzo allega la violazione degli artt. 1102 e 1362 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. La dedotta fondatezza dei precedenti motivi, si afferma, vale a confutare le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata per d erivare l'illegittimità dell e opere realizzate dal ### e cioè: a) la tettoia che chiude lo spazio antistan te il fondo al primo piano per adibirlo a ricovero degli attrezzi; b) la col locazione della canna fumaria; c) il manufatto attraverso il quale è stata ribassata la volta del piano cantinato; d) il ca ncello appost o a chiusura d el box di proprietà ### Aggiunge parte ricorrente che ai sensi dell'art. 1102 c.c. 7 di 23 e dell a relativa giurispruden za di legittimità è legitt imo l'uso più intenso della cosa comune , purché nel rispett o del god imento effettivo o potenziale degli altri comproprietari, godimento che nel caso in esame non è provato sia stato impedito. 5. - I primi tre mezzi di ricorso - da esaminare congiuntamente perché complementari e parzialmente ripetitivi - aggrediscono sotto profili interagenti (violazione di legge ed omessa pronuncia) la sentenza impugnata, nella parte in cui questa avrebbe mancato di stat uire sulla dedotta violaz ione o falsa applicazione dell'art. 1138 Essi sono infondati. Nonostante la mancata rilevazione dell'evidente errore materiale in cui era incorsa parte appellante nel formulare il primo motivo di gravame, lì dove era denunciata la violazione dell'ultimo, invece del quarto, comma dell'art. 1138 c.c., la Corte distrettuale ha poi provveduto sulla vera critic a svolta, pron unciandosi ch iaramente sul second o motivo d'appello, che la violazione di tale quarto comma pure aveva denunciato. E a tal riguardo ha affermato che il regolamento del condominio di ### «ha natura contrattuale e da ciò deriva la piena vincolatività delle limitazioni all'uso della parti comuni e delle parti in proprietà esclusiva in esso contenute», tra le cui limitazioni, esplicito - ha ritenuto la Corte territoriale - il riferimento alle attività artigianali, quale, appunto, quella svolta dal ### 6. - ### affermazione di diritto è o ggetto, invece, de l quarto mezzo di ricorso, il cui nucleo, compendiat o nel richiamo alle pron unce nn. 21024/16, 3 002/10, 1052 3/03 e 1560/95 di questa Corte Suprema, risiede essenzialmente nella negazione che il regolamento condominiale, il quale vieti determinate destinazioni degli immobili di proprietà singola, attribuend o all'assemblea il potere di consentirne la deroga, abbia effettiva natura contrattuale, e nella conseguente postulazione che tali divieti possono operare 8 di 23 solo se risul tant i da una volontà espressamente e chiarame nte manifestata in forma contrattuale e da un att o debitame nte trascritto. 6.1 - Nei termini che seguono, il motivo è fondato. 6.1.1. - Preliminarmente va rilevata l'infondatezza dell'assunto di parte controrico rrente, secondo cui tale mezzo sarebbe inammissibile, in quanto l'odierno ricorrente nel giudizio di primo grado non avrebbe mosso censure in merito alla validità ed efficacia del regolamento condominiale; assunto, questo, ribadito e ampliato nella memoria di de tta parte, ove si sostiene essersi formato un giudicato interno sulla relativa questione. Premesso che validità ed efficacia delle clausole del regolamento condominiale di cui si discute attengono agli elementi costitutivi del diritto oggetto d ella domanda giudiziale, e che, dunque, la loro negazione integra una mera difesa, come tale non so ggetta a preclusioni di sorta; ciò premesso, va osservato che la contestazione dell a validità di tali clau sole, siccome poste in violazione dell'art. 113 8, quarto comma, c.c., era oggetto del secondo motivo d'ap pello, per cui non è conf igurabile nessun (benché implicito) giudicato interno. 6.2. - In base al l'art. 113 8 c.c. il regolamento di condominio contiene le no rme ci rca l'uso delle cose comun i e la ripa rtizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettant i a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'ammin istrazione (primo comma). Esso de ve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza stabil ita dal secondo comma dell'artico lo 1136 c.c. ed allegat o al registro indicato dal numero 7) dell'art. 1130 c.c., e può essere impugnato a n orma dell'art. 1107 c.c. (terzo comma). Inoltre, le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, q uali risultano dagli atti d'acquist o e dalle convenzioni, e in nessun caso p ossono de rogare alle disposizioni 9 di 23 degli artt. 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c. (quarto comma). Non di meno, è evidenza ricorrente nella pratica giudiziaria che i regolamenti, ove formatisi con tecnica contrattuale, oltre a regolare l'uso dell e parti comuni conteng ano sovente apposite clausole limitative dei diritti di cia scun condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva. Si trat ta, per lo più, di divieti di fruizio ne economica o di destinazione diretta ad attività (produttive, ludiche, sanitarie ecc.) pot enzialmente ido nee ad arrecare disturbo alla primaria modalità di godimento abitativa. La giurisp rudenza di questa Corte è costante, innan zi tut to, nell'affermare che i divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unit à immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da e spressioni incont rovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impo ne detti limiti e d ivieti, va svolta rifuggend o da interpretazioni di carattere estensivo, si a per qu anto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (cfr. n. 21 307/16, la quale ha cassato la decisione impugnata che, dalla presenza di una clausola del regola mento di condominio espressamente limitativa della destinazione d'uso dei soli locali cantinati e t erranei a specifiche attività non abitative, aveva t ratto l'esistenza d i un vincolo implicit o di destinazione, a carattere esclusivamente abitativo, per gli appartamenti sovrastanti, uno dei quali era stato invece adibito a ristorante-pizzeria, mediante scala di collegamento interna ad un vano ubicato al piano terra; v. in senso conforme, nn. 19229/14 e 9564/97). Il relat ivo accertamento è rimesso al giudice di merito, implicando una caratteristica valutazione di fatto. Nella specie, la 10 di 23 Corte terr itoriale ha ritenuto che la p revisione dell'art. 20 del regolamento condominiale includa, tra le attività artigianali, anche quella di pasticceria, con apprezza mento non efficacemente contrastato, perché la critica che parte ricorrente vi oppone è del tutto disgiunta dalla dimostrazione del malgoverno delle regole che presiedono all'attività ermeneutica contrattuale. Si pone, pertanto, la questione, sollecitata dal motivo, inerente al potere di stabilire il predetto limite alla destinazione di un fondo di proprietà individuale. 6.2. - Le limitazioni all'uso delle parti di proprietà individuale non formano oggetto d el potere regolamentare, così come ###costituito dal primo comma dell'art. 1138 c.c. Ove, non di meno, siano contenute in un regolamento di condominio, esse in tanto sono efficaci in quanto siano espressione dell'accordo di tutti i condomini, il che chiama in causa ciò che si intende con il sintagma “regolamento contrattuale”. La giuris prudenza di questa Corte ha chiarito ormai da temp o che le clausole dei regolamenti condom iniali predis posti dall'originario proprietario de ll'edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolam enti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, h anno nat ura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attribut ive ad alcun i condomini di maggiori diritti rispet to agli altri, mentre , qualora si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, m entre le clausole d i natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall'unanimità dei condomini e non da una delibe razione assembleare maggioritaria, avend o la modificazione la medesima natura cont rattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione 11 di 23 adottata con la maggioranza p rescritt a dall'art . 1136 secondo comma c.c. (S.U. n. 943/99). Di riflesso, la necessità della forma scritta, che limitatamente alle clausole del regolamento aventi natura contrattual e, è imposta dalla circostanza ch e queste incidono sui d iritti immobi liari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di quelli d egli altri condomin i (v. S.U. n. 943/9 9; conformi, nn. 5626/02 e 24146/04). Il fatto che la medesima tecnica contrattuale (scilicet, il rinvio al regolamento predisposto dal costruttore contenuto nei singoli contratti di trasferimento delle unità singole) sia impiegata per dar vita a un re gola mento che contenga tanto le previsioni sull'uso delle cose comuni, qu anto event uali limitazioni incide nti sulle proprietà individuali, non significa che tutto ciò che il regolamento stesso contenga sia, per ciò solo e ad o gni effe tto, di natura contrattuale. Al contrario, dove c'è dispo sizione regolamentare, nell'accezione propria del te rmine ai sensi del pri mo comma dell'art. 1138 c.c., non c'è contratto o convenzione, come si desume dal quarto comma dell'art. 1138 c.c., e viceversa. Non può che condividersi, allora, quanto affermato da autorevole dottrina, secondo cui il regola mento condominiale cont rattuale puramente e semplicemente non esiste se non come formula verbale riferita ad una delle due possibili tecniche di formazione, piuttosto che alla sua natura. Per quanto d 'uso giurisprudenz iale corrente in materia, l'espressi one “re golamento contrattuale ”, se presa alla lettera, costituisce quasi un ossimoro e si presta, quindi, ad un facile equivoco. Questo consiste nel non considerare che il regolamento, ove disciplini anche altro che non sia l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese in maniera conforme ai criteri di cui agli artt. 1123 e ss. c.c., è in parte qua un contratto e non un regolamento, quale che sia la sua modalità di formazione, e cioè ad 12 di 23 opera del costruttore e con riproduzione negli atti di vendita delle unità singole op pure in base all'accordo sp ecifico, consapevole e totalitario dei condomini tutti riuniti in assemblea. Ed essendo un contratto, esso deve corrispondere ad una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che si traduce in una relatio perfecta attuata mediante l'inserim ento, all'interno dell'atto d'acquis to dell'unità immobiliare indiv iduale, delle parti del regolamento aventi natura negoziale ed effetto limitativo della proprietà singola, non bastando, per contro, il solo rinvio al regolamento stesso. Nel suddetto equivoco è incorsa in pieno la Corte barese, allorché ha conden sato la decisione nell'assunt o per cu i dall a natura contrattuale del regolame nto «deriva la piena vincolativi tà delle limitazioni all'uso delle parti comuni e delle parti in proprie tà esclusiva in esso contenute» (v. pag. 3), senza curarsi di accertare se nel titolo d'acquisto dell'odierno ricorrente siffatte limitazioni alla destinazione dell'unità immo biliare siano state effettivam ente riprodotte, e non già semplicemente desumibili dal mero rinvio al regolamento che materialmente le contiene. Tale affermazione della sentenza impugnata, oltre a violare l'art. 1138, quarto comma, c.c., dando per au tomatico e presupposto l'effetto limitativo della proprietà singola in virtù della sola tecnica contrattuale di formazione del regolame nto che tale l imitazione racchiude, ha generato di riflesso una c arente verifica del contenuto del titolo da c ui proviene la proprietà ### nel senso che la Corte territoriale non ha accertato se questo contenga un mero rinv io al regolamento condomin iale o se riproduca espressamente le clausole limitative della proprietà singola. 6.2.1. - Questo il principio di diritto ai sensi dell'art. 384, primo comma, c.p.c.: “Le clausole con tenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singo le di adibire il p roprio imm obile a determinate 13 di 23 destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una relatio perfecta attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all'interno dell'atto d'acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso”. 6.3. - Dalla sentenza impugnata non è dato desumere, inoltre, se l'odierno ricorrente abbia acquistato il prop rio immobile dal costruttore o da un preceden te condom ino. Ciò è rilevante in quanto, in tale sola ultima ipotesi, è necessario che le limitazioni di cui si discute, ove non espressamente contenute nell'atto stesso di vendita, risultino trascritte contro detta proprietà in data anteriore all'acquisto fattone dal ### Ed in tal caso non è indispensabile la loro riproduzione nel contratto stesso. La necessità di tale accertamento scaturisce dal principio della relatività degli effetti n egoziali, ai sensi d ell'art. 1 372, cpv. Principio che ha posto in giurisprudenza la questione del se e del come, in ambito condominiale, si possa predicare un'efficacia ultra partes delle clausole che lim itino l'uso o la destinazione dell e proprietà individuali. La giurisprudenza di questa C.S. ha espresso nel tempo opinioni divergenti, avendole ricondotte a tre diverse categorie giuridiche: onere reale, obligatio propter rem o servitù. 6.3.1. - La prima opzione è, ad un tempo, la più difficile da dimostrare e la più risalente nel tempo. Più diffici le da dimostrare, per l'assenz a di una precisa definizione normativa e per il lim itato contributo della scien za giuridica, che per lo più si è interrogata, in passato, sulla possibilità che nel nostro ordinamento fossero ancora riproducibili oneri reali per iniziativa privata. Più risalente nel tempo, perché formulata la prima volta in una sentenza di questa Co rte del 21 .3.1927, in base alla qu ale «le 14 di 23 limitazioni convenzionali reciproche di prop rietà stabilite fra proprietari di fondi in rapporto agli edifici che possono costruirsi sui fondi stessi, pur non costituendo servitù, vincolano, quando siano regolarmente trascritte, gli eredi e gli aventi causa dei contraenti». Tale decisione (che tutto sommato non andava oltre una scelta di tipo terminologico ) generò una giurisprudenza conforme che, contraria la dottrina unanime, tenne banco fino agli inizi degli anni '50 del secolo scorso, allorché fu progressivamente abbandonata a favore della tesi della tipicità degli oneri reali e delle obligationes proptem rem, gli uni e le altre ammissibili solo nei cas i p revisti dalla legge (cfr. nn. 596/58, 3982/57 e 141/51). Non di meno, e non senza un'interna contraddizione logico-giuridica, l'idea che le limitazioni in ogg etto siano, o meglio possano qualificarsi come oneri reali è sopravvissuta fino ai giorni nostri, espressa, sia pure in maniera tralaticia, in alcune pronunce di questa Corte, che quasi mai, però, ha espressamente e chiaramente preso partito a favore di tale ipotesi. Così nell'ordin anza n. 5336/17 si accenna agli on eri reali, nel senso che le limitazioni in oggetto sono alternativamente ricondotte a tale categoria, ad obbligazioni ob rem o a servitù al solo scopo di ritenere invalide le clau sole che, con for mulazione del tutto generica e inidonea, peraltro, a superare la presunzione ex art. 1117 c.c., limitino il diritto dei condomini di usare, godere o disporre dei beni condominiali, riservando all'originario proprietario l'insindacabile diritto di apportare modifiche alle parti comuni, con conseguente intrasmissibilità di tale facoltà ai successivi acquirenti. Allo stesso modo , anche la sent enza n. 4920/06, ave nte ad oggetto una clausola del regolamento condominiale limitativa degli usi delle p roprietà sing ole, pone in alternativa tra loro servitù reciproche e gli oneri reali, ma solo per trarne le conseguenze sulla partecipazione al giudizio del proprietario oltre che del conduttore 15 di 23 (peraltro enunciata mediante il semplice richiamo a giurisprudenza anteriore). Pure la sentenza n. 18665/04 accenna all'alternativa tra servitù e oneri reali, ma solo per esigere ne ll'un cas o come nell 'altro il requisito di forma scritta ad substantiam. Ancora, la decisione n. 562 6/02 (conformi le nn. 24146/0 4 e 17694/07) parla delle clausole dei regolamenti che limitino i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, ma in effetti si riferisce solo a quest'ultima ipotesi, come di clausole costitutive di oneri reali o di servitù predia li, da t rascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l'opponibilità ai terzi. Ed anche in tal caso senza optare per l'una o l'altra soluzio ne, non richiedendolo l'oggetto del decidere. Bisogna risalire alla sentenza n. 1 1684/00 per una m editata presa di posi zione sulle varie ipotesi, lì dove qu esta C.S. ha sostenuto che la previsione da parte del regolamento condominiale di un peso a carico di una proprietà singola e a favore di altre unità immobiliari condom iniali integra una servitù, l'imposiz ione di prestazioni positive a carico di alcuni condomini e a favore di altri soggetti, condomini o meno, è un onere reale e la limitazione del godimento o dell'esercizio del diritto del proprietario singolo, quale il divieto di esercitare n ell'immob ile determinate attività, un'obligatio propter rem. E va notato, indipendentemente poi dalla soluzione accolta, che l'ipotesi dell'onere reale è esat tamente esclusa in quanto quest'u ltimo ha ad oggetto u na prestazione periodica e positiva, cioè di dare o di facere (ma prevalentemente di dare). Scarso peso specifico va att ribuito, invece, alla sentenza 4509/97, massimata nel senso che le limit azioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva proprietà, costituiscono oneri reali, poiché tale massima riproduce, in realtà, 16 di 23 un mero obiter dictum contenuto nella motivazione, in quanto la pronuncia si basa su tutt'altra ratio decidendi. Sempre alla categoria deg li oneri reali si rifà la sentenza 11019/91, che qualifica tali le limitazioni ai poteri e alle facoltà che i singoli condomini hanno sulle parti di proprietà esclusiva, al fine di garantire il miglio r godim ento del bene altrui o comune, con riguardo speci fico ai posti macchina di prop rietà esclu siva e al correlato divieto di recintarli . Si legge ne lla motivazione di tale sentenza che la tesi per cui non sarebbe possibile in base ad un contratto prevedere delle limitazioni alle facoltà dei condomini sulla parti di loro proprietà esclusiva “trova ostacolo in precise ragioni di diritto acquisito alla esperienza giurisprudenziale, che in vi rtù dell'esigenza di non negare il riconoscimento a situazioni giuridiche create dalla libera volontà delle parti, al di fuori degli schemi tipici e tradizionali dei diritti reali ha riconosciuto all'autonomia privata la facoltà di imprimere sulla proprie tà immobiliare, mediante convenzione, degli oneri che i ncorporandosi in essa l a accompagnano nei successivi trasf erimenti anche a ti tolo particolare. Le ragioni di fondo di tale orientamento, in particolare nell'ambito condominiale che qui sp ecialmente interessa, via via precisatosi, anche alla luce de lla direttiva costit uzionale che in tema di proprietà afferma la funz ione sociale di essa, tro vano supporto nell'ovvia premessa che il diritto di proprietà è suscettibile di compressione (ex lege o ex contractu), talché quando le parti pongono limitazioni ai poteri e alle facoltà che i singoli condomini hanno iure propriet atis sulle loro parti esclusive, tali obbligazion i sono o bbligatorie ed hanno il carattere di on eri reali, i n quanto stabilmente ed oggettivamente dirette ad una migliore utilizzazione collettiva dell'edificio”. Tale breve excursus giurisprudenziale dimostra come il collegamento tra onere reale e limitazione alle facoltà di godimento delle proprietà singole in ambito condominiale si basi (eccettuato il 17 di 23 caso della sentenza n. 11684/00) su proposizioni sostanzialmente apodittiche. Il cui torto risiede nel non detto, vale a dire nel dare per scontato che una tale limitazione, per il fatto di costituire un peso e di inerire ad un fondo, appartenga alla suddetta categoria più che altro per esclusione, non potendosi dare servitù in assenza di un dato fondo dominante. Ma tale conclusione non pare condivisibile, sia perché le servitù possono essere reciproche (e dunque l'argomento inespresso non ha preg io), sia perché l'onere reale ( in disparte la sua origin e remota e la sua fun zione primige nia) ha una diversa strut tura, irriducibile alla situazione indagata. ### reale, infatti, ### consiste in un'obbligazione periodica di dare o di facere (ma in realt à gli un ici casi censiti e censibi li prevedono solo un dare, ben dubbie essendo altre ipotesi quali gli artt. 960, primo comma, e 981, primo comma, c.c.) in favore del proprietario di un altro fondo o del me desimo fondo (ove il proprietario sia diverso dal possess ore oblato) , giustificata d al vantaggio che al soggetto obbligato deriva dal possede ###bene altrui ovvero dalla necessità di compensare il dominio concorrente sul bene stesso o altre prestazioni del creditore che arrecano utilità al fondo; ### in ca so di manca to pagam ento il relativo credito è assistito dalla garanzia re ale sul medesimo bene on erato; ### si estingue mediante il c.d. abbandono liberatorio; e, infine, ( iv) pacificamente può essere previsto solo dal la legge o nei casi da quest'ultima consentiti. Nessuna di quest e caratteristiche è ravvisabile nelle limitazioni all'uso dell e proprietà singole. Esse, innanzi tutto, non sono obbligazioni perché non consistono in un agere necesse del debitore per il soddisfacimento dell'interesse del creditore. Il non facere che grava sul proprietario no n è il contenuto di un'obbligazione, ma la conseguenza del diritto minore che spetta agli altri proprietari singoli sul suo immobile, null'altro, dunque, che 18 di 23 un dovere di astensione per l'esistenza di un diritto in re aliena; tale non facere non ha carattere periodico ma continuativo; non è assistito da garanzia sull'immob ile; e deriva da u n atto di pura autonomia privata in un ambito in cui questa non è né assentita né esclusa dalla legge. Del resto, vale considerare che in tanto si suole affermare che nell'onere reale è come se ad essere obbligata sia la res piuttosto che il suo possessore, in quanto tale figura nasce all'interno non dello statuto del diritto di proprietà, ma della concezione giuridica, tipicamente medioevale, dell a res in sé consid erata. Mutato tale angolo visuale, la realità dell'onere non deriva da una sorta di qualitas fundi, ma risiede tutta e soltanto nella funzione di garanzia specifica dell'obbligazione che vi si ricollega. Non a caso, l'art. 21 del R.D. n. 215/33, in tema di bonifica integrale, (che ha superato indenne il vaglio di legitt imità costit uzionale) prevede che i contributi di bonifi ca sono esigib ili con le norme ed i privi legi previsti per (l'allora) im posta fondiaria, prendendo grado immediatamente dopo tale imposta e le relative sovrimposte. Già solo que sto con sente di affermare e concludere che, in difetto di una previsione di garanzia, si è senz'altro al di fuori della figura dell'onere reale. 6.3.2. - Minor fortuna ha avuto nella giurisprudenza la tesi per cui si tratterebbe di obligationes propter rem. Se si eccettu a la già citata sentenza n. 11684/ 00, che espressamente ricollega le limitazioni di dete rminati usi alle obligationes propter rem, si nota come il richiamo a detta categoria si sia materializzato principalmente con riguardo o al divieto, nelle porzioni di proprietà in dividuale , di eseguire opere o di svolgere attività che rechino danno alle parti comun i dell'edificio (v. n 3123/12, 15763/04, 11692/99, 11717/97 e 3472/76) o all'obbligo di paga mento degli oneri condominiali per la conservazione delle 19 di 23 cose comuni (nn. 6323/03, 8924/01, 4797/01, 1152/97, 1890/95, 6844/88 e 2658/87). Quanto sopra osservato per confutare l'ipotesi che le limitazioni di det erminati usi delle unità immobiliari di proprietà singo la costituiscano oneri reali, vale anche per escludere che esse siano qualificabili come obligationes propter rem. Vi osta principalmente il fatt o che, come detto sopra, non si tratta di obb ligazioni, mancando il requisito dell'agere necesse nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio, che connot a invece l'obbligazione anche se avente ad oggetto un non facere (cfr. 21024/16); che, inoltre, le obligationes propter rem possono avere per ogget to unicamente un dare o un facere; e ch e esse sono sottratte alla libera autonomia d elle parti, nel senso che quest'ultima può prevederle solo nell'ambit o di una consentane a previsione legislativa (v. ad es. l'art. 1030 c.c.). E dunque, nei pur pochi casi in cui si è aff ermato o almeno ipotizzat o che le limitazioni in oggetto potessero ricondursi alla figura dell'obligatio propter rem, la g iurispruden za di legittimità ha finito per contraddire sé stessa, vi sto che tali limitazioni non sono espressamente ammesse né il loro contenuto è in alcun modo previsto dalla legge. Ma vi è un'ulte riore ragion e che non consente di configurare un'obligatio propter rem, quanto meno nelle ipote si (che sono le più ricorrent i) in cui le limitazioni siano pre viste a carico ed a vantaggio di tutti i fondi di proprietà esclusiva. In tal caso, infatti, la recip rocità della limitazione è tale d a costituire ciascun proprietario verso tutti gli altri quale debitore di un'obbligazione di non facere e creditore di un diritto perfettamente speculare (cfr. 21024/16, la quale ha osservato che la reciproci tà delle obbligazioni comporta che ciascun soggetto del rapporto assume, ad un tempo, entrambe le posizioni, debitoria e creditoria, in virtù di una causa di scambio, la quale, a sua volta, ha ad oggetto delle 20 di 23 utilità differenti. Pertanto, non vi può essere obbligazione reciproca quando ciascuno debba prestare all'altro un eguale speculare a quello cui questi è tenuto verso di lui.). 6.3.3. - Anche se solo di recente , la giurisprud enza di qu esta Corte può ritenersi assestata sulla tesi per cui le re strizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio, volte a viet are lo svol gimento di determinate attività all'interno del le unità immobiliari esclusive, costituiscono servitù reciproche e devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini, mentre la loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressam ente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all'adempimento dell'onere di trascrizione (così, da ultimo, n. 17159/22, non massimata, che a sua volta cita le nn. 6769/18, 23/04, 5626/02, 4963/01, 49/92, 4554/86; cui adde le nn. 277/64, 4781/83, 49/92, 11688/99, 4920/06, 1064/11 , 14898/13 e 21024/16). Già la sentenza n. 7515/86 precisò per la prima volta che l'art. 2659, primo comma, n. 2, c.c., seco ndo cui nella n ota di trascrizione devono esser e indicati il t itolo di cu i si richiede la trascrizione e la d ata del m edesimo , va interpre tato in collegamento con il successivo art. 2665 c.c., il quale stabilisce che l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validità della trascrizione “eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto”. Ne consegue che dalla nota deve risultare non solo l'atto in forza del quale si domanda la trascrizione ma anche il mutamento giuridico, oggetto precipuo della trascrizione stessa, che quell'atto produce in relazione al bene. Pertanto, non basta che nella nota di trascrizione sia citat o il reg olamento di condomin io c.d. contrattuale, ma occorre ind icarne le clausole in cidenti in senso limitativo dei diritti dei condomini sui beni condominiali (o sui beni 21 di 23 di prop rietà esclusiva) (nello ste sso senso, più di recente, si è espressa la sentenza n. 17493/14). La necessaria premessa di tale orientamento, cui va assicurata continuità, risiede nell'ammissibilità (pacifica in dottrina e in giurisprudenza: v. sentenza n. 3258/83) sia di servi tù atipiche, tipico essendo il solo genus così come regolato dagli artt. 1027 e ss. c.c. , sia di servitù recipro che (anch 'esse senz'altro ammesse dalla giurisprudenza di questa Corte: cfr. ex pluribus e tra le più recenti, le nn. 524/21, 14820/18 e 5336 /17). Queste ultime comportano che ciascun fond o è, ad un tempo, servente e dominante, data la corrispondenza biunivoca del peso imposto da un'apposita previsione contenuta nel regolamento contrattuale, a carico ed a favore di ciascuna unità di proprietà singola. Trattandosi di servitù, la loro opponib ilità ai terzi acquirenti di ciascuna unità singola dipende dalla trascrizione, prevista dall'art. 2643, n. 4 c.c., che deve riguardare la specifica convenzione che contenga la servitù ste ssa, con part icolare richiamo alle clau sole relative e al loro contenuto. Con la creazione del condominio per effetto della prima alienazione, la servitù è costituita a favore e contro il p rimo imm obile di proprietà singola, da un lato, ed a favore e contro i restanti fondi ancora invenduti, dall'altro, e così via finch é con l'ultima vendita ciascu na u nità singola diviene servente e dominante verso ognuna delle altre. In assen za di trascrizione, può e ssere sufficiente anche il solo contenuto dell'atto di vendita, ma alla duplice condizione che: a) esso sia cor redato d ella specifica indicazione dell e clausole impositive della servitù, essendo d el tutto insuff iciente, come s'è detto supra al par. 6 .2., il mero rinvio al regolamento condominiale; e b) dette clausole siano ripetute nei successivi atti di trasferiment o, poiché diversamente torna ad operare il limite dell'art. 1372 c.c. Non senza precisare, però, che in tal modo , atteso che il richiamo alla servitù diviene parte integrante di ogni 22 di 23 titolo d'acquisto della proprietà (dal primo ai successivi), tecnicamente non si può parlare di opponibilità della servitù, bensì dell'iterazione della sua preesiste nza negli atti traslat ivi del medesimo bene immobile. 6.4. - Nei termini che seguono il principio di diritto, ex art. 384, primo comma, c.p.c.: “Le clausole con tenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il loro immobile a dete rminate destinazioni, costituiscono servitù recipro che a favore e contro ciascuna unità immob iliare di proprietà indi viduale, e sono soggette, pertanto, ai fini d ell'opponibilità ultra partes, alla trascrizione in base agli artt. 2643, n. 4 e 2659, primo comma, n. 2 c.c.”. 7. - ### del quarto motivo importa l'assorbimento in senso proprio del quinto mezzo di ricorso, siccome svolto in termini di sostegno al precedente. 8. - È fond ato anche il sest o motivo, lì dove implicitament e deduce, senza farne menz ione, l'operativit à dell'art. 33 6, primo comma, c.p.c. La senten za impugnata, in effe tti, fa espressamente dipendere dalla ritenuta illegittimità dell'attività artigia nale svolta dal ### la conda nna ad e liminare t utte le opere a questa funzionali, inclusa la rimozione delle masserizie allocate in parti comuni. Pertanto, tornando ad essere sub iudice la prima questione, resta travolta anche la statuizione che condanna l'odierno ricorrente ad eliminare o a rimuovere quanto realizzato in funzione dell'attività in oggetto. 9. - Per le consid erazioni svolte, vanno accolti il quarto ed il sesto motivo di ricorso, respinti i primi tre ed assorbito il quinto, e cassata la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di ### che si atterrà ai 23 di 23 principi di diritto so pra enun ciati e provvederà, altre sì, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. P. Q. M. La Corte accoglie il quarto ed il sesto motivo di ricorso, respinti i primi tre ed assorbito il quinto, e cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di ### che provvederà, altresì, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. Così deciso in ### nella cam era di cons iglio della seconda




sintesi e commento
Limiti alla Destinazione d'Uso delle Proprietà Individuali in Condominio: Necessaria Chiarezza Contrattuale e Trascrizione
La Suprema Corte si è pronunciata su una controversia riguardante i limiti alla destinazione d'uso di un immobile all'interno di un condominio. La vicenda trae origine dall'azione promossa da alcuni condomini nei confronti del proprietario di un locale adibito a pasticceria, contestando la legittimità dell'attività svolta in relazione al regolamento condominiale e alle opere realizzate per tale scopo.
In primo grado, il Tribunale aveva accolto le ragioni dei condomini, ordinando la cessazione dell'attività e la rimozione delle opere. La Corte d'Appello aveva confermato tale decisione, ritenendo vincolante il regolamento condominiale che vietava l'esercizio di attività artigianali nei locali privati.
Il proprietario del locale ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione dell'art. 1138 del Codice Civile, che disciplina i regolamenti condominiali, e l'omessa pronuncia su alcuni motivi d'appello.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo alcuni principi fondamentali in materia di limiti alla destinazione d'uso delle proprietà individuali in condominio. In particolare, ha sottolineato che tali limiti, per essere validi ed efficaci, devono risultare da una volontà chiara ed esplicita, non suscettibile di incertezze interpretative.
La Corte ha precisato che, qualora tali limiti siano contenuti in un regolamento condominiale di natura contrattuale, è necessario che le clausole limitative siano espressamente riprodotte nell'atto di acquisto dell'unità immobiliare, non essendo sufficiente il mero rinvio al regolamento stesso. Questo perché le clausole che incidono sui diritti immobiliari dei condomini devono avere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale.
Inoltre, la Suprema Corte ha chiarito che le limitazioni alla destinazione d'uso, incidendo sull'esercizio del diritto di proprietà, configurano servitù reciproche tra le unità immobiliari del condominio. Pertanto, per essere opponibili ai terzi acquirenti, tali servitù devono essere trascritte nei registri immobiliari, con l'indicazione specifica delle clausole limitative.
Nel caso in esame, la Corte ha rilevato che la sentenza impugnata non aveva adeguatamente verificato se l'atto di acquisto del ricorrente contenesse la riproduzione delle clausole limitative o se fosse stata effettuata la trascrizione delle servitù. Per questo motivo, la sentenza è stata cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello, affinché si attenga ai principi di diritto enunciati e provveda a un nuovo esame della vicenda.
Si consiglia di leggere sempre il testo integrale del provvedimento.