TRIBUNALE DI NAPOLI
Sentenza n. 8049/2023 del 09-08-2023
principi giuridici
In tema di preclusioni processuali, l'allegazione dei fatti secondari, dedotti per dimostrare i fatti principali posti a fondamento della domanda, non è soggetta alle preclusioni dettate per questi ultimi, ma trova il suo ultimo termine preclusivo in quello eventualmente concesso ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., anche se richiesto ai soli fini dell'indicazione dei mezzi di prova o delle produzioni documentali.
Ai fini della configurabilità dell'esimente del diritto di critica, il requisito della verità dei fatti, a differenza di quanto previsto per il diritto di cronaca, è limitato alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e delle valutazioni espresse.
In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'applicabilità della scriminante della continenza verbale è esclusa qualora vengano usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all'artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni.
In tema di responsabilità civile per diffamazione, il danno all'onore e alla reputazione non è in re ipsa, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima.
In tema di responsabilità civile per diffamazione, è necessario e sufficiente che ricorra il dolo generico, anche nelle forme del dolo eventuale, vale a dire la consapevolezza di offendere l'onore e la reputazione altrui, la quale si può desumere dalla intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni usate.
L'eccezione di cui all'art. 1227, comma 2, c.c., relativa al contegno del danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno, senza contribuire alla sua causazione, forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, soggetta alle preclusioni di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.
La responsabilità del direttore del giornale per i danni conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa trova fondamento nella sua posizione di preminenza, che si estrinseca nell'obbligo di controllo e nella facoltà di sostituzione, richiedendo la vigilanza ex post sui contenuti e sulle modalità di esposizione, mediante la verifica della verità dei fatti o dell'attendibilità delle fonti, al fine di evitare di esporre un terzo ad un ingiustificato discredito.
Si consiglia di leggere sempre il testo integrale del provvedimento.
testo integrale
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Napoli, nona sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del dott. ### ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 9529/2021 del R.G., pendente TRA ### c.f. ###, elettivamente domiciliat ###presso lo studio dell'avv. ### della ### c.f. ###, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti; #### s.r.l., c.f. e P.I. ###, in persona del legale rappresentante pro tempore, ### c.f. ###, e ### c.f. ###, elettivamente domiciliati in Napoli alla piazza della Repubblica n. 2 presso lo studio dell'avv. ### c.f. ###, che li rappresenta e difende giusta procura in atti; ### Come rassegnate in atti RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, ### ha convenuto in giudizio #### e la ### al fine di vedersi risarcito dei danni subiti alla propria immagine e reputazione a seguito della pubblicazione in data 5 giugno 2020 sul quotidiano “###”, edito dalla ### e all'epoca dei fatti diretto dal dott. ### di un articolo asseritamente diffamatorio a firma del giornalista #### ha prospettato l'illiceità della condotta del ### deducendo che sulla prima pagina del quotidiano del 5.06.2020 era stato pubblicato un suo “ritratto”, laddove sulla fotografia dello stesso si leggeva la didascalia “PM: bocciato ### bocciato ### ancora, Dema…”. Nel corpo dell'articolo il giornalista avrebbe offeso la dignità, integrità morale e reputazione del politico (all'epoca dei fatti ### di Napoli), del professionista e dell'uomo, apostrofandolo come “sindaco dadaista-manettaro […] magistrato fallito che ha rovinato Napoli […] professionista del sugherismo: l'arte di rimanere a galla”, nonché additandolo quale europarlamentare che “ha dovuto buttare via la toga, per evitare che il CSM lo cacciasse dalla magistratura per come aveva accusato ### e indagato ### senza peraltro che mai nulla venisse poi provato. E in quel caso avvalorò la tesi secondo cui un magistrato non diventa di parte perché si candida, ma perché era già diventato di parte nell'esercizio delle sue funzioni”, e rimproverato di avere “un abito mentale da giustizialista manettaro e una vocazione festaiola, da mojito salviniano”. Il tutto “per fare cosa? ### che gli riesce meglio: fiutare la rissa, buttarsi a capofitto, come ha fatto col caso ### e le intercettazioni di ### e alzare polveroni creando suggestive relazioni con ciò che gli è successo nella vita precedente, quella di pm. In sostanza, lasciando intendere che se c'è una giustizia assoluta, lui ne è ancora l'espressione, mentre lo Stato è solo il riflesso di una discutibile legalità” e concludendo mortificandone il passato lavorativo attraverso l'esternazione della tesi per cui “un magistrato non diventa di parte perché si candida, ma perché era già diventato di parte nell'esercizio delle sue funzioni”). ###, dunque, ha dedotto che - anche a causa dell'eccezionale propalazione avuta dall'articolo a seguito della diffusione del quotidiano cartaceo, ma anche della pubblicazione dello stesso articolo sul quotidiano versione online - ciò avrebbe arrecato un elevatissimo danno all'immagine e alla reputazione del ### danno da calcolare in base ai criteri necessariamente equitativi ( 27.4.2016 n. 8397, Cass. 5.12.2014 n. 25739) sulla scorta di quelli elaborati dall'### sulla giustizia civile di ### e aggiornati nel 2019, tra i quali la notorietà del diffamante (### è un giornalista di primo piano, non solo in ambito partenopeo), la carica pubblica o ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato (è noto a tutti che ### oggi ### di Napoli confermato per un secondo mandato, è stato parlamentare europeo, e prima ancora ### della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro), la natura della condotta diffamatoria (della quale sussistono tutti i requisiti, visto che le ingiuriose espressioni riservate a ### sono state violative della verità, ma anche della continenza e della pertinenza, nonché dotate di rilevanza penale), l'intensità dell'elemento psicologico in capo all'autore della diffamazione (non è un complimento “fiutare la rissa, buttarsi a capofitto”), pervenendo così alla richiesta risarcitoria di almeno ### richiedendo, altresì, che il direttore e l'editore, venissero condannati alla sanzione civile pecuniaria prevista dall'art. 12 l. n. 47/1948. Le parti convenute si sono costituite dapprima separatamente, il ### e ### insieme e la ### in un momento successivo e separatamente, per poi, essere rappresentati tutti contemporaneamente dall'avv. ### In sostanza, i convenuti dalle prime memorie hanno dedotto l'infondatezza della domanda e ritenuto sussistere l'esimente ex art. 51 c.p. del diritto di critica (da differenziarsi dal diritto di cronaca), stante la ricorrenza dei tre principi formulati all'uopo dalla giurisprudenza, ovvero la verità (nel caso del diritto di critica da intendersi quale verità putativa o comunque verosimiglianza), continenza e dell'interesse pubblico alla conoscenza ###. Inoltre, la difesa della ### ha dedotto la carenza di prova ex art. 2697 c.c. in ordine al danno conseguenza. Istruita documentalmente la causa, subentrato questo giudice nel ruolo, è stata assunta in decisione il ###, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Le parti nelle memorie conclusionali e repliche hanno precisato le loro domande ed eccezioni e hanno proposto nuove eccezioni sia procedurali che di merito. In particolare, la difesa dei tre convenuti ha eccepito la tardività del deposito effettuato dall'attore dei documenti allegati alla memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 e n. 3, nonché l'inammissibilità di tali allegazioni in quanto l'attore non ne avrebbe indicato lo scopo precludendo, in tal modo, il contraddittorio sul punto. Inoltre, parte convenuta eccepisce il concorso di colpa del presunto danneggiato nell'aggravamento delle conseguenze prodotte dal fatto illecito, ex art. 1227, comma 2, c.c., consistente nel mancato esercizio da parte del ### del diritto di rettifica, facoltà attribuitagli dall'art. 8 della L. n. 47/1948, avente la finalità di evitare che la pubblicazione offensiva dell'altrui prestigio e reputazione possa continuare a produrre effetti lesivi. In via preliminare, circa l'ammissibilità della documentazione prodotta al fine di chiarire il materiale probatorio al quale questo giudice dovrà attenersi al fine di decidere la controversia, va detto che l'eccezione dei convenuti si è rivelata infondata. Invero, tutti i documenti prodotti con la memoria 183 co 6 n. 2 (Curriculum vitae dell'attore, ### 12127-2010, l'articolo del 27.03.2011 di ### sul ### e le decisioni giudiziarie volte a corroborare la bontà dell'operato dell'attore come magistrato a fronte delle asserite offese alla di lui reputazione, laddove veniva qualificato quale “magistrato fallito”, la sentenza del Tribunale di Napoli concernente un altro giudizio dello stesso tipo con parte lo stesso attore, la versione online dell'articolo censurato, volta ad evidenziarne la pervasiva diffusione) sono indubbiamente da qualificarsi comi fatti secondari per cui, alla luce del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, devono essere ritenuti tempestivamente depositati “in quanto in tema di preclusioni processuali, occorre distinguere tra fatti principali, posti a fondamento della domanda, e fatti secondari, dedotti per dimostrare i primi, l'allegazione dei quali non è soggetta alle preclusioni dettate per i fatti principali, ma trova il suo ultimo termine preclusivo in quello eventualmente concesso ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., anche se richiesto ai soli fini dell'indicazione dei mezzi di prova o delle produzioni documentali” (Cass. 8525/2020). E' parimenti priva di pregio la cesura di tardività mossa al deposito della lettera di dimissioni di ### con la memoria ex art. 183 comma 6 n. 3, in quanto tale norma prevede### “un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria”. Ebbene, tale lettera di dimissioni assurge al rango di prova contraria rispetto alla stessa allegazione dei convenuti, che con le loro memorie ex art. 183 comma 6 n. 2 avevano prodotto un articolo pubblicato sul ### della ### versione online in data 28 luglio 2009 dal titolo: “Giustizia, ### in aspettativa” ###: «### la toga, ma i tempi delle dimissioni non me li faccio dettare da nessuno». Tale articolo è stato prodotto dalle parti convenute al fine di avvalorare la veridicità delle conclusioni a cui era giusto il giornalista ### nell'articolo incriminato. Priva di fondamento è anche l'eccezione mossa dai convenuti, laddove si dolgono della mancanza di indicazione dello scopo per il quale sono stati prodotti i documenti di cui alla memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 dell'attore. Per avvalorare la loro eccezione i convenuti richiamano il dictum della sentenza della Cassazione 2435 del 2008 laddove si afferma che “deve ribadirsi - in conformità, del resto, ad una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice - che il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (cfr. Cass. 16 agosto 1990, n. 8304). Poiché nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall'iniziativa della parte e dall'obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle parti, al giudice è inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o - comunque - sollecitate dalla parte interessata (cfr. Cass. 12 febbraio 1994, n. 1419; Cass. 7 febbraio 1995, n. 1385. Nel senso che perché il giudice possa e debba esaminare documenti versati in atti lo stesso deve accertare, oltre la ritualità della produzione, cioè verificare che la produzione stessa sia avvenuta nel rispetto delle regole del contraddittorio, anche la esistenza di una domanda, o di una eccezione, espressamente basata su quei documenti, Cass. 22 novembre 2000, n. 15103, specie in motivazione)”. Sul punto le due difese argomentano fortemente portando a sostegno delle proprie tesi opposte ed autorevoli note dottrinali proprio su quest'arresto della Cassazione. Per quel che riguarda il caso concreto, in primis, va dato atto che la sentenza richiamata, peraltro di una sezione semplice della Cassazione, non preclude al giudice di merito di distaccarsi dal principio di diritto in essa affermato in presenza di circostanze di fatto che lo rendano de facto non perfettamente adatto al caso concreto o comunque solo parzialmente condivisibile, salvo l'onere di congrua ed adeguata motivazione, in quanto l'esigenza di celerità e ragionevole durata sottesa al sistema delle preclusioni può cedere a fronte della tutela delle situazioni giuridiche realizzatesi nel concreto. Innanzitutto, si deve porre in rilievo la circostanza che l'arresto richiamato verteva in materia di documenti volti a provare fatti principali quindi costitutivi, impeditivi o modificativi della domanda azionata in giudizio, mentre nel caso di specie la documentazione prodotta, come già evidenziato in precedenza, integra fatti secondari. Inoltre, nel caso di specie, assume rilievo la circostanza che tali documenti appaiono chiaramente destinati allo scopo di suffragare tesi sostenute già dall'atto di citazione, quali la non veridicità/verosimiglianza delle asserzioni asseritamente diffamatorie contenute nell'articolo laddove il ### veniva qualificato come “magistrato fallito”. Ebbene, la produzione dei vari provvedimenti allegati di cui si contesta l'ammissibilità appare palesemente volta a suffragare l'opposta tesi difensiva della bontà dell'operato dell'attore. Altro elemento correttamente posto in luce dalla difesa attorea riguarda la circostanza che nell'arresto citato non si fa riferimento a specifici termini decadenziali entro i quali la parte che ha prodotto un documento dovrebbe specificarne lo scopo, bensì si parla genericamente di necessità di proporre istanza “nei propri scritti difensivi”, in tal modo non escludendo la potenziale legittimità di una specificazione degli scopi finanche in memoria conclusionale. Invero, se la ratio sottesa al principio di diritto su cui si fonda suddetta eccezione appare quella di tutelare il contraddittorio della controparte sulle risultanze probatorie che possono scaturire da questi documenti, va allora rilevato che tale principio non risulta in alcun modo scalfito, risultando, dalla stessa produzione allegata alla memoria ex art. 183 comma 6 n. 3 fatta nell'interesse della ### dall'avv. prof. ###, non rinvenibile alcun vulnus all'attività difensiva dei convenuti. Infatti, tutta la documentazione prodotta da questi è volta, oltre che ad avvalorare le proprie deduzioni difensive circa la veridicità putativa alla base delle “argomentazioni” del giornalista, anche a contestare quanto emergente dalla documentazione prodotta dall'attore nel secondo termine di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., laddove tali allegazioni si ritengono inconferenti rispetto alla decisione della controversia. Da questo appare che la convenuta ### sia stata posta nella condizione di controdedurre rispetto alla produzione documentale censurata. Il 28 febbraio 2022 l'avv. ### poi a sua volta sostituita dall'odierno procuratore, si è costituita in giudizio come nuovo difensore della ### dopo la cessazione del mandato dell'avv. prof. ###, riportandosi “a tutti i precedenti scritti difensivi, ai verbali di causa ed alla documentazione esibita e depositata…” in tal modo accettando il contraddittorio sulle eventuali risultanze probatorie emerse dai documenti prodotti dall'attore nelle memorie ex art. 183 comma 6 n. 2. Allo stesso modo si esprime l'avv. ### quando nella memoria del 10.03.2023 “si riporta integralmente ed estensivamente a tutti i precedenti scritti difensivi depositati in giudizio, insiste per l'accoglimento delle conclusioni tutte ivi formulate. Seppur specificando di insistere per l'accoglimento dell'eccezione di inammissibilità del deposito della documentazione di controparte allegata alla memoria ex art. 183, co. 6, n. 2, c.p.c. per le ragioni già esposte in atti” anche se, come visto, il comportamento processuale tenuto dal precedente difensore, ai cui precedenti scritti entrambi i procuratori succedutigli hanno fatto integrale richiamo, appare incompatibile con un'effettiva lesione al diritto di difesa e nello specifico di controdeduzione. Nel merito, è necessario affrontare l'effettiva portata dell'esimente invocata dai convenuti ex art. 51 c.p., ovvero l'esercizio del diritto di critica, da intendersi quale espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero garantita dall'art. 21 Cost. e dall'art. 10 della ### dei ### dell'### La primaria importanza che l'ordinamento assicura alla stampa/informazione deriva dal ruolo che essa svolge nella società democratica di vero e proprio “watchdog”, il cane da guardia della democrazia (Corte EDU, ### c. Islanda, 25.6.92). All'essenzialità del ruolo consegue una esigua possibilità, per gli stati membri, di apporre restrizioni sul piano delle scelte normative, tant'è che lo stesso art. 10 CEDU, richiamato al comma 2, conferisce agli ### aderenti la possibilità di sottoporre l'esercizio di questa libertà “formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie… alla protezione della reputazione o dei diritti altrui”. E' in questo solco che, nel nostro ordinamento, si inserisce la ricostruzione dell'esimente del diritto di cronaca e di critica ricostruito dalla storica sentenza della Corte di Cassazione, sezione prima, n. 5259 del 1984, laddove ha affermato che “il diritto di stampa, e cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, sancito in linea di principio dallo art. 21 Cost. è regolato dalla legge 8 febbraio 1948 n. 47, è legittimo quando concorrono le seguenti tre condizioni: a) utilità sociale dell'informazione; b) verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti, che non è rispettata quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; C) ### "civile" dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, cioè non eccedente rispetto allo scopo informativo da conseguire, improntata a serena obiettività almeno nel senso di escludere il preconcetto intento denigratorio e, comunque, in ogni caso rispettosa di quel minimo di dignità cui ha sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere mai consentita l'offesa triviale o irridente i più umani sentimenti. ### della critica non è civile quando non è improntata a leale chiarezza, quando cioè il giornalista ricorre al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, alle vere e proprie insinuazioni. In tali ipotesi l'esercizio del diritto di stampa può costituire illecito civile anche ove non costituisca reato. (V. Cass. Pen., sez. V, 16 aprile 1982, ### Cass. Pen. sez. V, 16 giugno 1981, ### ed altri; Cass. Pen., sez. V, 10 aprile 1981, ###”. ### dommatico e i principi enucleati dalla Cass. 5259/1984 risultano tuttora assolutamente attuali, arrivando ad assurgere a diritto vivente in materia (conformi ex multis: 23366/2004; Cass. 1205/2007; Cass. 12420/2008; Cass. 20285/2011; Cass. 27592/2019). La giurisprudenza di legittimità, infatti, continua a ritenere che “il diritto di critica, che può essere esercitato da chiunque, quale estrinsecazione della libera manifestazione del pensiero, ha rango costituzionale al pari del diritto all'onore e alla reputazione, sul quale tuttavia prevale, scriminando l'illiceità dell'offesa, a condizione che siano rispettati i limiti della continenza verbale, della verità dei fatti attribuiti alla persona offesa e della sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della critica” (Cass. ###/2021). Dunque, ai fini della sussistenza del diritto di critica occorre indagare se, nel caso concreto, siano configurabili i tre requisiti fissati in via pretoria: l'utilità della notizia/interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto di critica (cd. pertinenza), la verità dei fatti e la continenza verbale. Il primo requisito, inizialmente identificato come utilità sociale, ha avuto una progressiva rielaborazione giurisprudenziale. In un primo momento si è ritenuto preferibile riferirsi alla “rilevanza sociale”, epurando, in tal modo, questo giudizio da qualsiasi connotato valoriale immanente, invece, in un vaglio sulla “utilità sociale”. Successivamente si è ulteriormente corretto il tiro, ampliando l'ambito con il riferimento all'interesse pubblico alla divulgazione a sua volta esteso, da giurisprudenza recente, anche “all'interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione” (Cass. 2357/2018). Nel caso di specie l'attore - presunto danneggiato dal contegno dell'articolo in questione - è un soggetto che all'epoca dei fatti era ### di Napoli in corso di secondo mandato e soggetto che notoriamente era ed è presente sulla scena politica nazionale, per cui appare palese la sussistenza di un interesse pubblico nazionale alla conoscenza del politico attraverso un articolo di giornale che si propone di effettuare un “Ritratto” di questi, in particolare, in vista delle elezioni ### che si sarebbero tenute 3 mesi e mezzo dopo la pubblicazione dell'articolo (20 e 21 settembre 2020). In un certo senso si può ritenere che il requisito dell'interesse pubblico alla divulgazione quando la critica sia rivolta ad un soggetto che svolte attività politica, ancora di più se con un afflato nazionale, richieda un vaglio più “blando” potendosi considerare quasi immanente alla posizione ricoperta la necessità di una notevole esposizione mediatica anche in coerenza con il ruolo che l'ordinamento nazionale e sovranazionale riconosce alla stampa quale watchdog della democrazia. Passando all'esame della sussistenza del secondo requisito richiesto dalla giurisprudenza ai fini della configurabilità dell'esimente, è necessario tracciare la differenza tra diritto di cronaca e di critica che si ripercuote sulla stessa portata del requisito della veridicità dei fatti narrati. Al riguardo, si è rilevato che se, da un lato, il diritto di cronaca garantisce la libertà di informazione nella sua duplice veste di diritto ad informare e ad essere informati, dall'altro, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, “il diritto di critica si differenzia dal diritto di cronaca poiché non si concretizza nella narrazione di fatti - come quest'ultimo - ma nell'espressione di un'opinione, che come tale non può pretendersi rigorosamente obbiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su una interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti (così Cass., Sez. 5, 14 aprile 2000 - 27 giugno 2000, n. 7499, CED 216534). Ciò comporta che non si pone in materia di diritto di critica un problema di veridicità delle proposizioni assertive dell'articolista (Cass., Sez. 5, 8 febbraio 2000 - 17 marzo 2000 n. 3477, CED 215577), essendo il requisito delle verità limitato alla oggettiva esistenza del fatto assunto a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Cass., Sez. 5^, 14 febbraio 2002 - 24 maggio 2002, n. 20474, in CP 03, 3019)” (in questo senso Cass. 26745/2016). Insomma, il diritto di critica, anch'esso emanazione dell'art. 21 Cost., è riferito ad un diverso profilo della libertà di pensiero, strettamente funzionale alla dialettica democratica; se la cronaca riferisce una realtà fenomenica, ed è per definizione descrittiva ed obiettiva, la critica propone una valutazione; la cronaca dunque descrive l'accadimento, la critica lo legge e lo valuta. E la critica, oltre che in forma di pacata espressione di una valutazione personale dell'autore, può esprimersi, legittimamente, anche in forma di aperto dissenso (si pensi a titolo esemplificativo alla critica cinematografica letteraria o artistica), in quanto evidente espressione di un punto di vista proprio dell'autore. Tuttavia, se non si pone in tema di diritto di critica un problema di veridicità delle proposizioni assertive dell'autore (Cass.27.6.2000 n. 7499, 12.9.2007 n. ###), essa deve riguardare però il fatto a partire dal quale la critica si esprime: “sebbene il diritto di critica abbia confini più ampi del diritto di cronaca, affinché non si configuri la diffamazione è necessario che il giudizio, anche severo e irriverente, sia collegato col dato fattuale dal quale il criticante prende spunto” (Cass. 48553/2011). Tale consolidato orientamento giurisprudenziale si pone in continuità con la giurisprudenza della Corte EDU ed in particolare con la celebre sentenza ### vs. Turkey, 27.2.2013, che costituisce un leading case nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca. In quest'arresto la Corte EDU pone la distinzione tra statement of facts (passibili di prova) e value judgements (non passibili di prova), rilevando che in questo secondo caso il potenziale offensivo dell'articolo o dello scritto, nel quale è tollerabile - data la sua natura - ‘exaggeration or even provocation', è neutralizzato dal fatto che lo scritto si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è ‘gratuito', quindi ingiustificato, quindi diffamatorio. Tanto premesso, nel caso di specie sembra del tutto mancante il nucleo fattuale veritiero sul quale, poi, si sarebbe potuta fondare l'argomentazione critica del giornalista. Nell'articolo in questione vengono in particolare rilievo alcuni passaggi, tra cui quello in cui il ### afferma che ### ha “dovuto buttare via la toga, per evitare che il CSM lo cacciasse dalla magistratura per come aveva accusato ### e indagato ### senza peraltro che mai nulla venisse poi provato. E in quel caso avvalorò la tesi secondo cui un magistrato non diventa di parte perché si candida, ma perché era già diventato di parte nell'esercizio delle sue funzioni”. La tesi per cui l'attore avrebbe deciso di lasciare la magistratura per “evitare che il CSM lo cacciasse” non risulta in alcun modo documentata. Anzi, dalla semplice lettura delle difese degli stessi convenuti emerge una differente ricostruzione della reale causa delle dimissioni del ### che si sarebbe dimesso in ossequio ad accordi intercorsi tra ### e ### nella cui lista l'attore era stato eletto per le elezioni europee. I convenuti sostengono che il ### avrebbe basato la propria tesi anche sulle dichiarazioni rese dallo stesso ### in varie occasioni delle quali si porta ad esempio ciò che l'attore avrebbe detto nella trasmissione “Non è l'Arena” condotta da ### nella puntata del 25.05.2020. Innanzitutto, in alcun modo i convenuti hanno provato che l'attore avrebbe rilasciato dichiarazioni di questo tenore nella puntata del talk televisivo cui si fa riferimento, ed anzi l'attore ne ha contestato la veridicità. Allo stesso modo, nel corpo stesso dell'articolo incriminato vi sono virgolettate dichiarazioni che il ### attribuisce al ### che avrebbe detto (non si capisce in quale occasione) “mi hanno fatto fuori (da magistrato) perché fino a quando indagavo su ### mi facevano l'applauso, come cominciai ad indagare anche a sinistra mi fecero: ma che fai indaghi anche a sinistra?”. Ebbene, la provenienza di tali dichiarazioni dall'odierno attore non risulta provata, ma anche se lo fosse stata è ben lontana dal poter assurgere a nucleo di fatto sul quale fondare una tesi critica. La fonte “ufficiale” dalla quale si possono trarre le reali motivazioni dell'attore, in effetti, è stata allegata agli atti con la memoria ex art. 183 comma 6 n. 3, laddove la difesa attorea ha prodotto l'atto di dimissioni inviato dal ### al Presidente della Repubblica dell'epoca. Da questo atto di dimissioni emergono motivazioni diverse e dalle quali in alcun modo sembrerebbe possibile trarne le conseguenze logiche che, invece, il ### ha tratto nel momento in cui ha affermato che la causa delle dimissioni dalla ### sarebbero da rintracciare nella volontà di evitare di esserne cacciato. Del resto, appare non fondato su nucleo fattuale veritiero anche quanto affermato dal giornalista laddove apostrofa l'attore quale “magistrato fallito”. Qui la difesa dei convenuti, con un'argomentazione che a dire il vero potrebbe sembrare volta ad evitare l'ovvia interpretazione in termini di grave offesa dell'espressione utilizzata, cerca di collegare l'aggettivo “fallito” a presunti fallimenti dell'attore nello svolgimento del suo ruolo di PM. Anche volendo glissare su quello che appare un insostenibile accostamento tra eventuale bontà del lavoro del ### e numero di condanne ottenute in relazione ai rinvii a giudizio richiesti, l'ingente documentazione allegata nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 2, tra cui numerosi provvedimenti giudiziari (che attestano, in realtà, l'elevato numero di rinvii a giudizio e anche di condanne ottenute) e, in particolare, la relazione ### del 2010, valgono a dimostrare che anche quest'asserzione (fallimento come magistrato per lo scarso numero di condanne/rinvii a giudizio ottenuti) appare non corroborata da un nucleo fattuale minimo necessario. Appurata l'insussistenza del nucleo fattuale minimo necessario ai fini della configurabilità del requisito scriminante della “verità putativa”, si ritiene che nel caso di specie non sussista nemmeno la cd. continenza verbale. La giurisprudenza penale ha recentemente ribadito che <<in tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della “continenza espressiva”, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, la giurisprudenza di questa ### espressasi in sede penale indica che si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma siano invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere(Cass. ### 5 sent. 4853/2016; cass. Pen. N.13735/2006; Cass. 48712/2014; Cass. Pen. n. 4298/2016; Cass. N. 41414/2016), di guisa che va senz'altro riconosciuto il requisito della continenza con riferimento all'art 51 cp, così come delineato dalla giurisprudenza di questa ### nel senso che proporzionati, misurati e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico. La continenza formale non equivale a obbligo di utilizzare un linguaggio grigio e anodino, ma consente il ricorso a parole sferzanti, nella misura in cui siano correlate al livello della polemica, ai fatti narrati e rievocati (Cass. Pen. Sez 5 n.3356/2010), tuttavia senza che tale linguaggio possa sconfinare oltre il concetto da esprimere>> (Cass. 9799/2019). In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'applicabilità della scriminante rappresentata dalla continenza verbale dello scritto che si assume offensivo va esclusa allorquando vengano usati toni allusivi, insinuanti, decettivi, ricorrendo al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, all'artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre e alle vere e proprie insinuazioni (Cass. 27592/2019). La forma della critica non è civile quando non è improntata a leale chiarezza, quando cioè il giornalista ricorre al sottinteso sapiente, agli accostamenti suggestionanti, al tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato o comunque all'artificiosa e sistematica drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, alle vere e proprie insinuazioni. In tali ipotesi l'esercizio del diritto di stampa può costituire illecito civile anche ove non costituisca reato in sede penale (Cass. "sentenza del decalogo" sent. 5259 del 18.10.1984; Cass. 23366/2004). Ciò che distingue la critica dall'invettiva, o dall'insulto, è il fatto che la prima è argomentata, la seconda è gratuita. Per ritenersi validamente, e non solo formalmente, argomentato, un giudizio critico deve essere corredato da una spiegazione che renda manifesta al destinatario del messaggio la ragione della censura. Come è ovvio, non è necessario che tale destinatario, dunque, l'interprete e, dunque, il giudicante, condivida l'iter argomentativo e/o le conclusioni del criticante, essendo sufficiente che l'uno e le altre presentino un carattere minimo di logicità e non contrastino col senso comune (Cass.11662/2007). Il legittimo esercizio del diritto di critica - anche in ambito politico, ove è consentito il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati - è pur sempre condizionato, come quello di cronaca, dal limite della continenza, intesa come correttezza formale dell'esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse (Cass. 11767/2022). In ossequio alle coordinate ermeneutiche appena tracciate, appare evidente che il contenuto dell'articolo censurato in questa sede, valutando le singole espressioni anche alla luce del significato complessivo emergente dall'intero testo (così come indicato dalla giurisprudenza ### richiamata in precedenza, si veda #### c. Turchia 27.11.12), travalichi in numerosi passaggi quel contegno minimo richiesto in caso in cui la potenziale diffamazione avvenga nel campo di esercizio del diritto di critica. Il mancato rispetto della continenza si può agevolmente constatare già nella deduzione per cui il precedente agire nella qualità di PM dell'attore avrebbe avvalorato la tesi per cui “un magistrato non diventa di parte perché si candida, ma perché era già diventato di parte nell'esercizio delle sue funzioni”. Tale considerazione, che, come detto in precedenza, parte da una premessa logica non corrispondente nemmeno alla verità putativa (smentita agevolmente da dati oggettivi quali la perfettamente accessibile lettera di dimissioni inviata al Presidente della Repubblica, circostanza della quale tendenziosamente si omesso qualsiasi riferimento), appare inutilmente denigratoria e offensiva se non supportata da adeguata prova. Al riguardo, si è affermato “che non sia lecito presentare l'opera dei magistrati, anche inquirenti, come risultato di complotti o di strategie politiche, sostenendo che si intende così esercitare il diritto di critica, perché in questi casi non si esprime un dissenso più o meno fondato e motivato circa scelte investigative, spesso opinabili, ma si afferma un fatto, che deve essere rigorosamente provato” (Cass. 200312/1994). Addirittura, si ritiene che additare (in sede di esposto disciplinare) un magistrato come autore di atti viziati da parzialità supera ex se il requisito della continenza richiesto ai fini dell'esercizio del diritto di critica, se non è suffragata da fatti obiettivamente riscontrabili e se non è controbilanciata dal requisito di verità putativa (Cass. 9799/2019). In ogni caso, l'accusa mossa all'odierno attore di aver strumentalizzato la propria precedente occupazione, esercitando la funzione di pubblico ministero in maniera parziale, in maniera autoreferenziale per “sopravvivere e riciclarsi” in quanto “professionista del sugherismo” e condendo queste violente accuse con quella, anch'essa del tutto esorbitante, di avere “un abito mentale da giustizialista manettaro e una vocazione festaiola, da mojito salviniano” appare un'offesa di notevole gravità, in particolar modo laddove, come detto, non supportata da argomentazione adeguata. Altrettanto gravemente offensivo è l'epiteto “magistrato fallito” campeggiante sulla prima pagina del quotidiano laddove, a prescindere dalla capziosità o meno della doglianza, si ritiene che tale aggettivo difficilmente sia stato usato con il mero intento di evidenziare il fallimento delle indagine svolte quando era nel ruolo di PM (circostanza fattuale già precedentemente smentita per la sua non corrispondenza alla verità storica), bensì con un intento, quantomeno accessorio/secondario, marcatamente denigratorio e volto all'umiliazione e mortificazione della persona dal punto di vista professionale. Dal sin qui argomentato appaiono integrati gli estremi per reato di diffamazione a mezzo stampa di cui all'art. 595 c.p. per il quale “chiunque…comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione è punito…”. La lesione alla reputazione e all'onore dell'attore risulta provata ed evidente dalla semplice lettura dell'articolo incriminato, per cui si ritiene sussistente il diritto dell'attore al risarcimento dei danni non patrimoniali, ex comb. disp. artt. 185 cc, 595 c.p. e 2059 c.c.. Va ritenuta priva di pregio l'eccezione con la quale le parti convenute lamentano la carenza di prova in ordine al danno conseguenza patito dall'attore, in quanto in materia di danno patito a seguito di atto diffamatorio l'allegazione di un danno alla reputazione e all'onore (come avvenuto nel caso di specie sin dall'atto di citazione), la cui entità sarà poi desunta da una serie di ulteriori elementi da valorizzare nel caso concreto, è sufficiente per l'assolvimento dell'onere probatorio ricadente sull'attore attesa la peculiarità della materia, dove fornire una prova analitica è notoriamente impossibile se non a fronte di peculiari danni che involgono il piano biologico o comunque dinamico-relazionale del danneggiato. Al riguardo si deve tenere presente che “in tema di responsabilità civile per diffamazione, il danno all'onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima” (Cass. 25420//2017; Cass. 13153/2017). Quanto all'elemento soggettivo si afferma che “in tema di responsabilità civile per diffamazione, è necessario e sufficiente che ricorra il cd dolo generico, anche nelle forme del dolo eventuale, vale a dire la consapevolezza di offendere l'onore e la reputazione altrui, la quale si può desumere dalla intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni usate (Cass. 25420/2017). ..." (cfr. Tribunale di Napoli, Sentenza n. 6721/2022 del 05- 07-2022). Per quanto attiene all'elemento soggettivo, è chiaro che si è integrato il dolo generico che mai come nel caso sottoposto a questo giudizio si desume dalla particolare ed intrinseca portata diffamatoria non solo delle singole espressioni utilizzate, ma proprio dell'intero articolo volto a ricostruire un quadro estremamente e chiaramente negativo e diffamatorio dell'attore. Ritiene il giudicante che nel caso di specie siano emersi dei chiari indici presuntivi del turbamento provato dalla persona offesa, correlato alla sua reputazione e al conseguente disagio personale che - inevitabilmente - per ogni persona dotata di normale sensibilità e percezione di sé - segue all'attribuzione dei fatti denigratori descritti in premessa. Con riferimento al quantum debeatur, va ribadito che “è compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato … individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione … per i pregiudizi non patrimoniali … potrà farsi ricorso alla prova … presuntiva. Attenendo il pregiudizio ad un bene immateriale, potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di metodi di prova di rango inferiore agli altri …” (cfr. Cass. SU. n. 26972/2008). Il valore del risarcimento va individuato secondo criteri necessariamente equitativi (Cass. 27.4.2016 n. 8397, Cass. 5.12.2014 n. 25739) utilizzando, almeno in parte, i criteri elaborati dall'### sulla giustizia civile di ### il 14 marzo 2018 così come aggiornati nel 2019. Ebbene, circa la notorietà del diffamante va detto che il dott. ### è un giornalista non solo di livello locale, ma conosciuto anche a livello nazionale. Con riguardo alla carica pubblica o ruolo istituzionale o professionale ricoperto dal diffamato è evidente la notorietà del ### quale ex sindaco di Napoli per due mandati. Circa la natura della condotta diffamatoria, più che singole offese particolarmente gravi, rileva nella fattispecie in esame l'insieme del ritratto dell'attore come risultante dalla lettura dell'articolo incriminato, che appare mortificarne la persona sia sotto il profilo personale che, in particolare, sotto quello professionale e tutto ciò usando come basi argomentative circostanze sulla cui non corrispondenza al vero già si è argomentato. Circa l'intensità dell'elemento psicologico in capo all'autore della diffamazione appare evidente, quanto meno, la sussistenza del dolo eventuale. Va preso poi in considerazione, da ultimo, anche il mezzo di comunicazione utilizzato per commettere la diffamazione e la diffusività dello stesso sul territorio nazionale, e, sotto questo profilo, pur trattandosi di un quotidiano a tiratura nazionale, va detto che esso ha una diffusività notoriamente limitata, anche rispetto all'edizione online. In considerazione dell'applicazione dei criteri indicati si ritiene congruo liquidare in ### all'attualità, il danno subito da ### nella vicenda in esame, oltre gli interessi dalla domanda sino al deposito della presente sentenza, così come richiesto e nei limiti della domanda proposta. Va infine dichiarata inammissibile l'eccezione ex art. 1227, II comma, c.c. spiegata in comparsa conclusionale dai convenuti, atteso che la stessa, costituendo un'eccezione in senso stretto, soggiace alle preclusioni di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c. Invero, in giurisprudenza si afferma che, in tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui al primo comma dell'art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno, senza contribuire alla sua causazione, giacché - mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso - la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass., ord. 19 luglio 2018, n. 19218; in precedenza, ex multis, nel medesimo senso, Cass., 25 maggio 2010, n. 12714). Al pagamento di detto importo, devono essere condannati in solido tutti i convenuti: ### quale autore dell'articolo; la società ### srl, quale proprietario della testata e dunque responsabile civile, nonché ### quale direttore del giornale, atteso che, come ormai pacifico in giurisprudenza “la responsabilità del direttore del giornale per i danni conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa trova fondamento nella sua posizione di preminenza, che si estrinseca nell'obbligo di controllo e nella facoltà di sostituzione. Tali attività non si esauriscono nell'esercizio di un adeguato controllo preventivo, consistente nella scelta oculata di un giornalista idoneo alla redazione di una determinata inchiesta, ma richiede altresì la vigilanza ex post sui contenuti e sulle modalità di esposizione, mediante la verifica della verità dei fatti o dell'attendibilità delle fonti, al fine di evitare di esporre un terzo ad un ingiustificato discredito, anche con l'assunzione di iniziative volte ad elidere eventuali profili penalmente rilevanti” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza 10252 del 12/05/2014). In ultimo, in relazione alla richiesta di condanna alla sanzione pecuniaria di cui all'art. 12 della all'art. 12 della l. 48/1947 per il quale “nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell'offesa ed alla diffusione dello stampato”, tale domanda va rigettata in quanto, da un lato, la funzione ripristinatoria/reintegratoria perseguita dal risarcimento dei danni si ritiene già assolta dalla somma liquidata equitativamente in precedenza e, dall'altro lato, l'attore non ha fornito elementi utili ai fini della individuazione sia dei presupposti per la sussistenza del diritto alla riparazione, sia ai fini della sua quantificazione. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Napoli, sulla domanda proposta da ### nei confronti di #### e ### srl, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1) accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna i convenuti in solido al pagamento in favore di ### della somma di ### oltre interessi dalla domanda al soddisfo; 2) condanna i convenuti in solido al pagamento delle spese di lite in favore di ### liquidandole in ### per spese ed ### a titolo di compenso professionale, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% sul compenso, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Napoli il ###.Il giudice
dott. ###




sintesi e commento
Diffamazione a Mezzo Stampa: Assenza di Verità Fattuale e Superamento dei Limiti del Diritto di Critica
La pronuncia in esame trae origine da una controversia civile promossa da un soggetto, all'epoca dei fatti amministratore di una città, nei confronti di una società editrice, di un giornalista e del direttore responsabile di un quotidiano. La vicenda trae spunto da un articolo pubblicato sul quotidiano, ritenuto dall'attore lesivo della propria immagine e reputazione.
L'attore lamentava che l'articolo, corredato da una sua fotografia con una didascalia ritenuta denigratoria, conteneva espressioni offensive e diffamatorie. In particolare, l'articolo lo descriveva in termini fortemente negativi, mettendo in discussione la sua integrità morale e professionale, con epiteti quali "magistrato fallito" e "professionista del sugherismo", e insinuazioni relative al suo passato professionale.
I convenuti si sono difesi invocando l'esimente del diritto di critica, sostenendo che l'articolo rientrava nell'esercizio legittimo della libertà di manifestazione del pensiero, garantita dalla Costituzione e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Hanno inoltre eccepito la mancanza di prova del danno subito dall'attore e il concorso di colpa di quest'ultimo per non aver esercitato il diritto di rettifica.
Il Tribunale ha rigettato le eccezioni preliminari sollevate dai convenuti in merito alla tardività del deposito di alcuni documenti da parte dell'attore, ritenendoli ammissibili in quanto relativi a fatti secondari e utili a chiarire il quadro probatorio.
Nel merito, il giudice ha esaminato la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'esimente del diritto di critica, ovvero l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, la verità dei fatti e la continenza verbale. Pur riconoscendo l'interesse pubblico alla conoscenza di un personaggio politico di rilievo, il Tribunale ha ritenuto che nel caso specifico mancasse il requisito della verità dei fatti. In particolare, il giudice ha rilevato che l'articolo conteneva affermazioni non veritiere o non supportate da un adeguato riscontro fattuale, come l'asserzione che l'attore avesse lasciato la magistratura per evitare un procedimento disciplinare.
Inoltre, il Tribunale ha ritenuto che l'articolo avesse superato i limiti della continenza verbale, utilizzando espressioni inutilmente denigratorie e offensive, come l'epiteto "magistrato fallito" e le insinuazioni relative al suo passato professionale. Il giudice ha sottolineato che la critica deve essere argomentata e non può trasformarsi in invettiva o insulto gratuito.
Di conseguenza, il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di diffamazione a mezzo stampa e ha condannato i convenuti, in solido, al risarcimento del danno non patrimoniale subito dall'attore, quantificato in euro 15.000,00. Il giudice ha motivato la quantificazione del danno tenendo conto della notorietà del diffamante, della carica pubblica ricoperta dal diffamato, della natura della condotta diffamatoria, dell'intensità dell'elemento psicologico e della diffusività del mezzo di comunicazione utilizzato.
Infine, il Tribunale ha rigettato la richiesta di condanna alla sanzione pecuniaria prevista dalla legge sulla stampa, ritenendo che la funzione ripristinatoria fosse già assolta dal risarcimento del danno, e ha condannato i convenuti al pagamento delle spese di lite.
Si consiglia di leggere sempre il testo integrale del provvedimento.