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ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 24266 del ruolo generale dell'anno 2015 proposto da: ### delle entrate, in persona del ### pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in ####, è domiciliata - ricorrente - contro ### s.r.l. in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'Avv. ### per procura speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliat ###, presso lo studio dell'Avv. ### - controricorrente - ###. Sez. 5 Num. 12834 Anno 2022 Presidente: #### pubblicazione: 22/04/2022per la cassazione della sentenza della ### tributaria regionale della ### n. 431/29/2015, depositata in data 9 marzo 2015; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2022 dal ### considerato che: dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l'### delle entrate aveva notificato a ### s.r.l. due avvisi di accertamento con i quali, a seguito di accesso e redazione di processo verbale di constatazione, aveva rettificato il reddito d'impresa ai fini ### e ### e recuperata l'Iva relativamente agli anni 2004 e 2006; avverso gli atti impositivi la società aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati dichiarati inammissibili dalla ### tributaria provinciale di ### avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello; la ### tributaria regionale della ### ha accolto l'appello, in particolare ha ritenuto che, in via preliminare ed assorbente, doveva essere accolto il motivo di appello relativo alla nullità degli avvisi di accertamento, ai sensi dell'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, in quanto emessi prima della scadenza del termine di sessanta giorni dalla notifica del processo verbale di constatazione; avverso la suddetta pronuncia l'### delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso; considerato che: con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 21, d.lgs. n. 546/1992, nonché dell'art. 159, cod. proc. civ.; in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto che la questione della violazione dell'art. 12, 2 comma 7, legge n. 212/2000, fosse assorbente rispetto alla questione della tardività della proposizione dei ricorsi originari, sulla quale il giudice di primo grado si era pronunciato in senso sfavorevole alla contribuente e in ordine alla quale quest'ultima aveva proposto appello; il motivo è fondato; è pacifico tra le parti e risulta dalla sentenza censurata, che il giudice di primo grado, sebbene avesse anche statuito in ordine alla questione dell'inosservanza del termine di cui all'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, aveva accertato che i ricorsi erano stati proposti oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica degli atti impositivi di cui all'ad. 21, d.lgs. n. 546/1992 e che, pertanto, li aveva dichiarati inammissibili; dunque, il profilo centrale della statuizione del giudice di primo grado aveva avuto riguardo alla questione della tempestività dei ricorsi originari; va quindi precisato, in primo luogo, che allorquando il giudice si sia comunque pronunciato circa la inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività, le considerazioni che al riguardo lo stesso abbia poi svolto sui motivi di ricorso restano irrimediabilmente fuori dalla decisione per l'assorbente e insuperabile ragione che tali valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria d'inammissibilità, si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della questione controversa, sicché i punti pur decisi sono da considerarsi svolti ad abundantiam (cfr. Cass. SU 3840 del 2007; Cass. n. 15234 del 2007; Cass. SU n. 15122 del 2013; Cass. n. 17004 del 2015; Cass. n. ### del 2017; Cass. 11675 del 2020; Cass. SU n. 2155 del 2021); ciò precisato, va considerato che il giudice del gravame, pur dando atto della circostanza che era stata posta alla sua attenzione la questione della non correttezza della statuizione della dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi, ha limitato la decisione pronunciando solo sulla diversa questione della violazione dell'art. 12, comma 7, 3 legge n. 212/2000, ritenendo che la stessa avesse valore assorbente; la suddetta affermazione, sostenuta anche dalla difesa della controricorrente, non è corretta; questa Corte ha più volte precisato che la figura dell'assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale, con la pronuncia sulla domanda assorbente, ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (Cass. civ., 15 giugno 2021, n. 16816); sotto tale profilo, perchè la statuizione risulti viziata sotto il profilo motivazionale si deve mettere in discussione la correttezza della valutazione di assorbimento (così, in motivazione, Cass. 16 dicembre 2020, n. 28864), come validamente prospettato dalla ricorrente, che ha censurato proprio la considerazione del giudice del gravame di assorbimento della questione pregiudiziale relativa alla tardività della proposizione della domanda; la possibilità che il giudice non si pronunci su di una domanda in quanto la stessa è assorbita dalla pronuncia su di una questione ritenuta assorbente postula che sia stato correttamente applicato il principio dell'assorbimento; il profilo, dunque, sulla base del quale occorre operare al fine di valutare la correttezza della pronuncia di assorbimento è la sussistenza di una rilevanza, sul piano logico-giuridico, della statuizione del giudice che, nel definire una questione, abbia ritenuto di dovere limitare la pronuncia ad una sola questione assorbente; con riferimento al caso di specie, la questione relativa alla tempestività della presentazione del ricorso si pone, sotto il profilo logico-giuridico, in termini non solo autonomi, ma pregiudiziali rispetto alla questione della violazione dell'art. 12, comma 7, cit., poiché attiene al profilo della proponibilità della domanda, dunque 4 della corretta instaurazione del giudizio, sicchè la questione non può dirsi assorbita dalla pronuncia in ordine alla tempestività della notifica dell'avviso di accertamento successivo alla comunicazione della conclusione delle operazioni di accesso presso la contribuente, che attiene, invece, alla legittimità della pretesa; sussiste, dunque, la prospettata violazione di legge; l'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento degli ulteriori motivi, in particolare: del secondo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. cív., per violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 21, d.lgs. n. 546/1992, e dell'art. 8, legge n. 890/1982 nonché degli artt. 138 e 140, cod. proc. civ., per avere implicitamente ritenuto tempestive le notifiche dei ricorsi introduttivi; del terzo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000, per avere erroneamente ritenuto nulli gli avvisi di accertamento nonostante il fatto che la contribuente aveva presentato osservazioni difensive entro il termine di sessanta giorni; in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza per il motivo accolto e rinvio alla ### tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese del giudizio. P.Q.M. La Corte: accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza per il motivo accolto e rinvia alla ### tributaria regionale della ### in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite. Così deciso in ### addì 8 marzo 2022. ### ,
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE CIVILE - 2 Composta da: ### - Presidente - CONDOMINIO ### - ### - ### - ### - Ud. 08/04/2022 - CC ### - #### - R.G.N. 19480/2021 ### - ### - ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 19480-2021 proposto da: ### elettivamente domiciliata in ####. 27, presso lo studio dell'avvocato ### che la rappresenta e difende; - ricorrente - contro ### rappresentat o e difeso d all'avvocato ### CESARIS; - controricorrente - avverso la senten za n. 3 12/2021 della ####'APPELLO di FIRENZE, depositata il ###; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell'8/4/2022 dal ### Presidente: #### pubblicazione: 22/04/20222 di 6 FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE ### ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 312/2021 della ### d'appello di Firenze, pubblicata l'8 febbraio 2021. Resiste con controricorso #### d'appello di Firenze, su gravame avanzato da ### sia in proprio che quale erede di ### ha riformato la sentenza 755/2018 del Tribunale di Grosseto, respingendo la domanda spiegata da ### per ottenere la restituzione della somma di ### pagata tra il 2006 ed il 2008 all'amministratore condominiale in luogo degli effettivi debitori ### e ### in relazione alla quota dovuta da costoro per i lavori di manutenzione del fabbricato costituente il ### di #### d'appello ha affermato che ### avesse agito nei confronti di ### e di ### configurando una surrogazione a norma dell'art. 1203 n. 3 o dell'art. 1203 n. 5, c.c., in relazione all'art. 2036, comma 3, c.c. La sentenza impugnata ha tuttavia negato che sussistesse un obbligo solidale tra i condomini verso l'appaltatore ed ha evidenziato come la stessa ### avesse allegato di aver adempiuto non perché ritenesse di essere debitrice anche della quota dovuta da ### e di ### ma per scongiurare la sospensione dei lavori da parte degli appaltatori ### e ### La prospettazione di una surrogazione ai sensi dell'art. 1203 n. 5, c.c., in relazione all'art. 2036, comma 3, c.c. è stata peraltro ritenuta un novum esposto solo nella comparsa di costituzione in appello. Il primo motivo di ricorso di ### denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1203 n. 3 c.c., avendo la ### d'appello ritenuto parziario il debito dei condomini verso gli appaltatori con riguardo a fattispecie antecedente alla pronuncia delle ### dell'8 aprile 2008, n. 9148. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1203 n. 5 e dell'art. 2036, comma 3, c.c., avendo la ### d'appello ritenuto nuova la relativa domanda. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio. I due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c. e dell'art. 366, comma 1, e n. 6, c.p.c. Il ricorso non offre elementi per mutare l'orientamento di questa ### in ordine alla questione di diritto oggetto di causa. La responsabilità per il corrispettivo contrattuale preteso dall'appaltatore per l'esecuzione dei lavori inerenti parti comuni assunta dall'amministratore del condominio, o comunque, nell'interesse del condominio - nel regime antecedente alla garanzia ex art. 63, comma 2, disp. att. c.c., introdotta dalla legge n. 220 del 2012 -, è retta dal criterio della parziarietà, per cui l'obbligazione assunta nell'interesse del condominio si imputa ai singoli componenti nelle proporzioni stabilite dall'art. 1123 c.c., essendo tale norma non limitata a regolare il mero aspetto interno della ripartizione delle spese. ne consegue che al condomino, che abbia versato al terzo creditore anche la parte dovuta dai restanti condomini, allo scopo di ottenere da costoro il rimborso di quanto da lui corrisposto, non può consentirsi alcun diritto di regresso, ex art. 1299 c.c., né per l'intera somma dovuta dal condominio, né nei confronti degli altri condomini, sia pur limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi, né il predetto condomino può avvalersi della surrogazione legale in forza dell'art. 1203, n. 3, c.c., giacché essa - implicando il subentrare del condebitore adempiente nell'originario diritto del creditore soddisfatto in forza di una vicenda successoria - ha luogo soltanto a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo. La consapevolezza da parte del condomino di adempiere un debito altrui esclude inoltre la surrogazione legale di cui agli artt. 1203 n. 5 e 2036, terzo comma, c.c., la quale, postulando che il pagamento sia riconducibile all'indebito soggettivo "ex latere solventis", ma non sussistano le condizioni per la ripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio. Il condomino che ha pagato quote dei lavori di riparazione delle parti comuni gravanti sugli altri (nella specie, sapendo di non essere debitore, come la ### d'appello, procedendo ad un'indagine sull'elemento soggettivo del pagamento, ha ritenuto accertato in fatto avendo riguardo alla stessa allegazione delle condomina ### la quale ha dedotto di aver versato all'amministratore, e neppure quindi direttamente al terzo creditore, le quote dovute da ### e di ### per evitare la sospensione dei lavori da parte degli appaltatori) può agire unicamente per ottenere l'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento, stante l'indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore (Cass. Sez. 2, 20/05/2019, n. 13505; Cass. Sez. 6 - 2, 11/08/2017, n. 20073; Cass. Sez. 2, 09/01/2017, n. 199; Cass. Sez. U, 29/04/2009, n. 9946). Non ha alcun rilievo che la fattispecie per cui è causa fosse antecedente alla pronuncia di Cass. ### n. 9148 del 2008, secondo la quale, in riferimento alle obbligazioni assunte dall'amministratore, o comunque, nell'interesse del condominio, nei confronti di terzi, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, in quanto “la funzione assolta dalla giurisprudenza, nel contesto di sillogismi decisori, non può essere altra che quella ricognitiva dell'esistenza e dell'effettiva portata, e non dunque anche una funzione creativa, della regola stessa”, sicché, “in presenza di una ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi però erronea nel presupporre l'esistenza di una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva de[ve] avere una portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione medio tempore di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero con ciò stesso creata” (Cass. ### 4 novembre n. 2004, n. 21095). Soltanto i mutamenti della giurisprudenza di legittimità sulla interpretazione delle norme di carattere (non sostanziale, ma) processuale, che portino a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima negate, giustificano la tutela dell'affidamento incolpevole rispetto all'overruling (Cass. Sez. 2, 10/05/2018, n. 11300; Cass. Sez. 6-1, 03/09/2013, 20172). Essendo la ### d'appello comunque pervenuta ad un'esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame, non ha rilievo l'ipotizzato error in procedendo (peraltro irritualmente denunciato come violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3, c.p.c., dell'art. 1203 n. 5 e dell'art. 2036, comma 3, c.c.) in relazione alla novità della domanda inerente alla surrogazione per indebito soggettivo. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell'ammontare liquidato in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione dichiarata inammissibile. P. Q. M. ### dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liq uida in complessivi ### di cu i ### per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in ### nella camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della ### suprema di cassazione, l'8 aprile 2022. ###
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE CIVILE Composta da ### - Presidente ######/2019 ### - ### - ### - ### - #### - ### - CC - 13/04/2022 ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. ###/2019 R.G. proposto da ### e «L'### di ### e C. S.a.s.», rappresentate e dife se dagli Avv.ti #### e ### del ### di ### con domicilio eletto presso lo studio della prima in ####; - ricorrenti - contro ### S.n.c. di #### e ### in liquidazione, rappresentata e dife sa dagli Avv.ti ### e ### con domicilio eletto in #### n. 66, presso lo studio dell'Avv. ### - controricorrente - ### (contratto di) - ### - ### di custodia e di vigilanza in capo al comm ittent e - ### - Conseguenze - ### e contro ### S.r.l., rappresentata e difesa dagli Avv.ti ### e ### con domicilio eletto in #### n. 5, presso lo studio dell'Avv. ### - controricorrente - e nei confronti di ### S.r.l., #### e ### - intimati - avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano, n. 2710/2019 depositata il 19 giugno 2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 aprile 2022 dal ### Rilevato che: con sentenza resa in data 19 giugno 2019, la Corte d'appello di Milano, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva condannato, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., la società «L'### di ### e C. S.a.s.», ### e la ### S.r.l. in favore della ### S.n.c. e della ### S.r.l., dei danni da queste ultime subiti a seguito di incendio sviluppatosi dal tetto del fabbricato ove ricadevano le unità immobiliari dalle stesse condotte in locazione, nel periodo in cui su tale struttura la ### S.r.l. stava eseguendo intervento di manutenzione della guaina impermeabilizzante su incarico delle proprietarie, ### di ### E. & C. s.a.s. ed ### avverso tale decisione queste ultime propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono la ### S.n.c. e la ### S.r.l. depositando controricorsi; gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede; la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.; non sono state depositate conclusioni dal ###; le ricorrenti (previo deposito di atto di costituzione di nuovo procuratore) e la controricorrente ### S.r.l. hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.; considerato che: con il primo motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 cod. civ. e dell'art. 115 cod. proc. civ., in relazione alla ritenuta configurabilità in capo ad esse di una responsabilità oggettiva da cose in custodia, ex art. 2051 cod. civ., e per avere comunque escluso la sussistenza del caso fortuito, rappresentato dalla condotta colposa della appaltatrice, in tesi presumibile considerato che l'evento si era verificato in contemporanea a lavori svolti con l'utilizzo di un bruciatore a gas liquido; rileva inoltre che non erano contestate le cause dell'incendio e che, pertanto, non avendo la Corte milanese da ciò tratto le dovute conseguenze, la stessa è incorsa anche in violazione della summenzionata norma processuale; la censura è infondata; osserva il Collegio come, secondo l'orientamento venutosi consolidando nella giurisprudenza di questa Corte (v. ex aliis 17/03/2021, n. 7553; 11/06/2021 n. 16609; 04/11/2021, n. ###; 18/12/2021, n. 41709), la conclusione di un appalto di opere non comporti in alcun modo la perdita della custodia da parte del committente, non essendo in alcun modo sostenibile che la consegna dell'immobile, affinché vi siano eseguiti i lavori, equivalga a un corrispondente «trasferimento» del ruolo di custode verso i terzi, poiché una simile evenienza finirebbe con l'integrare una sorta di esonero contrattuale da responsabilità nei confronti di chi del negozio non è parte; in breve, varrà ribadire come la conclusione dell'appalto tra due parti non possa giungere a incidere surrettiziamente sulla sfera giuridica del terzo, nel senso di deprivarlo del proprio diritto risarcitorio nei confronti del committente/custode; e d'altronde, nell'appalto d'opere - siano esse pubbliche o private - il committente non può non conservare un rapporto con il bene sul quale (o nel quale) vengono eseguite le opere, poiché l'iniziativa consistente nel disporre l'esecuzione di talune opere sul proprio bene non rappresenta null'altro che l'esercizio di un potere giuridico o di fatto su di esso; se, dunque, rispetto all'appaltatore, il titolare di tale potere è un committente, rispetto ai terzi è un custode: l'autonomia dell'appaltatore rimane un fatto di natura tecnica esclusivamente endocontrattuale, e in relazione agli illeciti extracontrattuali si riverbera sull'art. 2055 c.c., a prescindere dai casi in cui l'appalto sia ab origine concepito alla stregua di un mero schermo, o che comunque, nella fase esecutiva, si sia radicalmente svuotato, ossia a prescindere dai casi in cui il soggetto che realizza l'opera sia un mero nudus minister; da qui l'affermazione del principio di diritto ai sensi del quale, nei confronti dei terzi danneggiati dall'esecuzione di opere effettuate in forza di in contratto di appalto, il committente è sempre gravato della responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell'immobile all'appaltatore ai fini dell'esecuzione delle opere stesse, bensì trova un limite esclusivamente nel ricorso del caso fortuito; il che naturalmente non esclude ulteriori responsabilità ex art. 2043 c.c. del committente e/o dell'appaltatore; il caso fortuito, poi, non può essere applicato con una modalità peculiare e riduttiva, così da reintrodurre, per altra via, un'abusiva contrattualizzazione della fattispecie: esso non può automaticamente coincidere con l'inadempimento dell'appaltatore agli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente, non potendosi sminuire il concetto di imprevedibilità/inevitabilità che costituisce la sostanza del caso fortuito previsto dall'art. 2051 come limite della responsabilità oggettiva ivi configurata; l'imprevedibilità/inevitabilità, pertanto, non dev'essere degradata a una vuota fictio, bensì afferire a una condotta dell'appaltatore non percepibile in toto dal committente; ciò posto, una volta che il giudice di merito abbia escluso che il fatto dell'appaltatore abbia assunto quei caratteri di eccezionalità, imprevedibilità e autonoma incidenza causale rispetto all'evento dannoso, tali da integrare il caso fortuito, la contestazione del committente che non discuta i principi di diritto sopra richiamati, deve ritenersi confinata a una mera rilettura nel merito dei fatti di causa; tanto è quel che accade nella specie avendo la Corte d'appello espressamente escluso l'emergenza di elementi idonei a risalire alle cause dell'incendio, correttamente escludendo, in piena conformità agli esposti principi, che potesse dirsi raggiunta la prova del caso fortuito, il cui onere incombe sul custode; con il secondo motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all'art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d'appello confermato in ### la liquidazione del danno in favore della ### s.n.c. senza detrarre l'importo già incassato dalla danneggiata dalla propria compagnia assicuratrice ### lamenta che: a) la Corte d'appello non ha neanche affrontato il motivo d'appello; b) la stessa ha fatto confusione tra l'acconto versato da ### quale assicuratrice di ### e quello di ### versato da ### quale assicuratrice di ###; c) la motivazione spesa in sentenza ha carattere tautologico (avendo la Corte d'appello ritenuto infondata la doglianza sul rilievo che il tribunale aveva in realtà «tenuto in considerazione l'importo già versato dalla ### tanto desumendo dal fatto che la condanna all'importo di ### era in dispositivo seguito dall'inciso «detratta la somma già percepita dalla ###; il motivo è inammissibile; oltre a sovrapporre censure l'un con l'altra incompatibili e in parte anche non riconducibili ai tipizzati vizi cassatori (omessa pronuncia, erronea ricognizione del fatto, motivazione tautologica), il motivo evidentemente non coglie l'effettivo contenuto della statuizione resa sul punto e di essa non si fa carico; come contraddittoriamente evidenziano le stesse ricorrenti, invero, la Corte d'appello ha esaminato la doglianza in questione, giudicandola «priva di rilievo» perché - è questa in sostanza la motivazione — il dispositivo della sentenza di primo grado è, in punto di quantificazione del danno, esattamente quello che le appellanti indicano come corretto; la censura, dunque, muove da un fraintendimento della sentenza impugnata (e si risolve dunque in un «non motivo») ed è comunque inammissibile per carenza di interesse (dal momento che, in buona sostanza, la sentenza d'appello non dice cosa diversa da quella che essa vorrebbe dicesse); il ricorso deve essere dunque rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio; va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi dell'art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contribut o unific ato, in misura pari a quello pre visto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13; P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore delle controricorrenti, dell e spese del giudizio di legittimità, ch e liquida: a) in ### 8.000 per compensi, in favore della ### s.n.c.; b) in ### 10.000 per compensi, in favore della ### S.r.l.; per entrambe oltre alle spese forfett arie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in ### 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussiste nza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13. Così deciso in ### nella ### di consiglio della ### della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2022. ### (###
ORDINANZA sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26038/2017) proposto dal: Sanzioni amministrative ### (C.F.: ###), in persona del ### "pro tempore", rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce alla comparsa di costituzione con nuovo difensore, dagli Avv.ti #### e ### ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. ### in ### v. Polibio, n. 15; - ricorrente - contro ### (C.F.: ###), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall'Avv. ### e domiciliato presso la ### civile della Corte di cassazione in ### piazza ### - contro ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 3076/2017 (pubblicata in data 28 settembre 2017); udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio 2022 dal ### relatore dott. ### letta la memoria depositata dalla difesa del controricorrente ai sensi dell'art. 380-bis.1. c.p.c. ### 1. Con sentenza adottata ai sensi dell'art. 429 c.p.c. e pubblicata in data 28 settembre 2017, il Tribunale di Firenze, in totale riforma della sentenza del Giudice di pace di ### n. 3976/2013, accoglieva l'opposizione proposta da ### avverso il verbale di accertamento dell'8 febbraio 2013 elevato dalla ### municipale di ### in ordine alla violazione dell'art. 142, comma 8, c.d.s., per aver circolato con il proprio veicolo lungo il viale ### nell'ambito urbano del citato Comune, alla velocità di 69 ? (- km/h (ridotta a 63 km/h, per il computo della prescritta tolleranza), in violazione del limite di 50 km/h vigente su quel tratto di strada. A fondamento dell'emessa decisione il Tribunale fiorentino, nell'accogliere il gravame del ### riteneva, in particolare, che il citato viale ### non poteva essere qualificato come strada urbana di scorrimento, non avendo tutte le caratteristiche minime strutturali come indicate alla lett. D) dell'art. 2, comma 3, c.d.s. 1992, con la conseguenza che il posizionamento di un autovelox fisso e la contestazione differita dell'accertamento della violazione in questione si sarebbero dovuti considerare legittimi. In particolare, il giudice di appello rilevava come sul tratto stradale di detto viale in corrispondenza del quale era stato effettuato l'accertamento non fosse presente una regolare banchina pavimentata a destra, poiché tra la carreggiata e il marciapiede esisteva uno spazio esiguo inidoneo strutturalmente e funzionalmente ad essere qualificato come banchina, perché di dimensioni inadeguate a consentire, ove necessario, manovre di emergenza. 2. Avverso la predetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, riferito ad un unico motivo, il Comune di ### resistito con controricorso dall'intimato ### illustrato da memoria depositata ai sensi dell'art. 380-bis.1. c.p.c. \\ CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con l'unico proposto motivo il Comune di ### ha denunciato - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4, comma 1, del d.l. n. 121/2002 e dell'art. 2, comma 3, lett. D) c.d.s. 1992, censurando l'impugnata sentenza sul presupposto che aveva illegittimamente escluso la natura di strada urbana di scorrimento con riferimento al viale in cui era stato eseguito l'accertamento elettronico della violazione del limite di velocità con apparecchio fisso, rilevando la mancata presenza di una regolare banchina, non tenendo conto che al riguardo la citata disposizione del c.d.s. non indica specificamente la funzione della stessa o una sua dimensione minima. 2. Rileva il collegio che il motivo è infondato per le ragioni che seguono. La censura, come formulata, attiene all'individuazione - anche per effetto dei necessari riscontri probatori utili allo scopo - delle caratteristiche indispensabili che devono ricorrere per la qualificazione di una strada come "strada urbana di scorrimento" - nel caso di specie ritenute insussistenti con l'impugnata sentenza avuto riguardo a quella corrispondente al "### nel Comune di ### - ai fini della legittima installazione degli strumenti rilevatori elettronici di velocità fissi senza il correlato obbligo di contestazione immediata delle accertate violazioni. 2 La questione controversa riguarda, dunque, l'individuazione dei requisiti che un percorso stradale deve presentare, ai fini indicati dall'art. 4 del decreto legge n. 121 del 2002, conv., con modif., dalla legge n. 168 del 2002, stante il rinvio alla classificazione contenuta nel codice della strada. Con riguardo a tale questione è intervenuta recentemente la sentenza di questa ### dalla quale non si ha motivo di discostarsi, n. 4451/2019, il cui percorso logico-argomentativo è stato reiterato nelle successive sentenze n. 4090/2019, 16622/2019 e n. 24936/2021. Si deve, infatti, osservare che, in generale, l'utilizzazione degli apparecchi di rilevazione elettronica della velocità (cc.dd. "autovelox") nei centri urbani è consentita solo con le postazioni mobili alla presenza della agenti accertatori di polizia, mentre le postazioni fisse e automatiche possono considerarsi legittimamente installabili solo sulle strade urbane a scorrimento, previa autorizzazione del ### Difatti, il sistema delineato dal c.d.s. 1992 è improntato sulla regola della contestazione immediata delle infrazioni, ammettendo la contestazione differita esclusivamente quando la strada abbia determinate caratteristiche tecniche che rendono pericoloso ordinare l'arresto del mezzo per effettuare la contestazione immediata (con riferimento alla valutazione di molteplici fattori, tra i quali il tasso di incidentalità, le condizioni strutturali del piano viabile, del traffico e quelle afferenti alla salvaguardia della sicurezza nell'effettuazione dell'accertamento). In particolare, il citato c.d.s. - con la previsione di cui all'art. 201, comma 1-bis - ammette la possibilità di procedere alla contestazione non immediata dell'infrazione al codice della strada mediante la postazione di un autovelox esclusivamente sulle autostrade, strade extraurbane principali, strade extraurbane secondarie e strade urbane di scorrimento, delineando nel contempo le caratteristiche minime che ciascuna delle stesse tipologie di strade devono presentare per potersi qualificare come tali (art. 2, commi 2 e 3, lett. A), B), C) e D). Per quanto rileva in questa sede con riferimento specifico alla violazione contestata al ricorrente, l'art. 2, comma 3, lettera D), c.d.s. individua i requisiti minimi per qualificare una strada quale "strada urbana a scorrimento". In particolare, il dettato normativo sancisce che per strada urbana di scorrimento si deve intendere una strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta 3 sono previste apposite aree o fasce laterali esterne alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate. La relativa disciplina normativa integrativa di riferimento (specificamente ricompresa nell'art. 4 del d.l. 20 giugno 2002, n. 121, conv. dalla legge n. 168 del 2002) stabilisce, inoltre, che mentre nelle autostrade e strade extraurbane principali gli organi di polizia stradale possono utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico - secondo le direttive fornite dal Ministero dell'### e sentito il ### delle ### e dei ### nel caso, invece, delle strade extraurbane secondarie e delle strade urbane a scorrimento è necessario un apposito provvedimento del ### che autorizzi la relativa installazione o utilizzazione (avendo, infatti, tale autorità amministrativa il compito di selezionare le strade sulle quali procedere con il controllo a distanza). Detto provvedimento prefettizio, reso allo scopo di consentire la possibilità di usare apparecchiature automatiche senza presidio per il rilevamento delle infrazioni relative al superamento dei limiti di velocità, deve essere adottato in presenza dei requisiti dettati dalla legge, non potendo il ### fare riferimento, mediante un'interpretazione estensiva, a criteri diversi da quelli previsti dal codice della strada. A tal proposito si osserva come la precedente giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 7872/2011) ha chiarito che il legislatore del 2002, nel rinviare alla previsione classificatoria contenuta nel codice della strada, ha vincolato la ### ad utilizzare i criteri dettati dall'art. 2, comma 3, c.d.s., sicché la questione controversa si "riduce" all'interpretazione della norma classificatoria per stabilire quali siano i requisiti strutturali indefettibili che il percorso stradale deve presentare per poter essere sottoposto al controllo con sistema automatizzato, nel ricorso degli altri presupposti che l'art. 4 d.l. n. 121 del 2002 affida alla valutazione della stessa ### Nella definizione di strada urbana di scorrimento, il dato testuale chiaramente circoscrive gli elementi "eventuali" alla corsia riservata ai mezzi pubblici e alle intersezioni a raso semaforizzate, mentre impone la presenza della banchina pavimentata a destra, del marciapiede e delle aree di sosta, i quali costituiscono perciò elementi strutturali necessari della strada urbana di scorrimento, ovvero ne rappresentano i requisiti minimi, anche ai fini dell'adozione del provvedimento amministrativo previsto dall'art. 4 del citato d.l. n. 121 del 2002. 4 Trattandosi di interpretare una norma classificatoria - tale essendo l'art. 2, comma 3, lett. D), c.d.s. - una lettura che disattendesse il dato letterale si risolverebbe in una interpretatio abrogans. Orbene, con il motivo in esame, il ricorrente ha contestato il ritenuto accertamento - compiuto nell'impugnata sentenza - dell'inesistenza di una banchina in senso proprio. Il collegio condivide il percorso logico-giuridico e la decisione finale adottati dal Tribunale fiorentino con l'impugnata sentenza perché conforme a diritto. Con essa, infatti, è stato - con insindacabile valutazione di merito - verificato che, sul tratto stradale in questione (nel quale, cioè, era stato effettuato l'accertamento con l'apparecchio fisso di rilevamento elettronico della velocità), dall'acquista documentazione è emerso che, subito dopo la fine della carreggiata caratterizzata dalla striscia bianca, esiste un marciapiede ma che tra detta striscia e quest'ultimo insiste uno spazio talmente esiguo da non poter essere ricondotto alla struttura e alla funzione di una banchina, caratterizzandosi, quindi, per le sue dimensioni non consone consentire manovre di emergenza. Il giudice di appello ha, perciò, elaborato un concetto di banchina corrispondente a quello propriamente ricollegabile alla suddetta previsione normativa del c.d.s.. Al riguardo il collegio rileva che, in effetti, per banchina deve considerarsi uno spazio all'interno della sede stradale, esterno rispetto alla carreggiata, destinato al passaggio dei pedoni o alla sosta di emergenza; pertanto, essendo la banchina pavimentata elemento comune alle autostrade, alle strade extraurbane e alle strade urbane di scorrimento, essa, per sua natura, si identifica con uno spazio avente questa precipua attitudine e, dunque, oltre a dover restare libero da ingombri, deve avere una dimensione tale da consentire l'assolvimento effettivo delle predette funzioni, tenuto conto che anche la strada urbana di scorrimento è caratterizzata da un intenso flusso stradale veicolare ininterrotto per lunghi tratti e per la quale si profila, quindi, la medesima necessità di garantire l'esistenza di fasce laterali per approntare - ove si renda necessario - idonee manovre di emergenza. La banchina fa, dunque, parte della struttura della strada e la sua relativa utilizzabilità, anche per effettuare le suddette manovre, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione assimilabili a quelle che valgono per la carreggiata, in quanto anch'essa, in assenza di specifica segnalazione contraria e benché non pavimentata, deve suscitare negli utenti - per la sua apparenza esteriore - un affidamento di consistenza e sicura transitabilità (cfr., anche se con riferimento ad ipotesi di ravvisata responsabilità extracontrattuale della P.A. per danni provocati agli utenti per difetto di diligente manutenzione, Cass. n. 5445/2006, Cass. n. 22755/2013 e, da ultimo, n. 18325/2018). Da ciò deriva che una banchina di ridottissima larghezza - come quella insistente su "### nel Comune di ### per quanto adeguatamente accertato in fatto dal Tribunale di ### - non avrebbe potuto considerarsi idonea a svolgere le riportate funzioni né risultando, in generale, rispondente alle caratteristiche imposte dal codice della strada, ragion per cui la sua mancata conformazione a tali caratteristiche comporta l'insussistenza di un elemento essenziale per la qualificazione di una strada urbana come "strada di scorrimento". 3. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del soccombente Comune ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Infine, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessive ### di cui ### per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge. Dà atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio della 2^ ### civile in data 27 gennaio 2022. n )inzicno ### 'Vareil4 ##### 22 APRI 2022
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE CIVILE - 2 Composta da: ### - Presidente - #### - ### - ### - ### - Ud. 08/04/2022 - CC ### - #### - R.G.N. 20237/2021 ### - ### - ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 20237-2021 proposto da: ### elettivamente domiciliat ###, presso lo studio dell'avvocato ### che lo rappresenta e difende; - ricorrente - contro ###'INTERNO, ### A #### - intimati - avverso la senten za n. 1 298/2021 della #### di ### depositata il ###; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell'8/4/2022 dal ### FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE #### ha proposto ricorso articolato in unico motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. quanto alla statuizione di compensazione delle spese) avverso la sentenza 1298/2021 del 18 febbraio 2021 resa dalla Corte d'appello di ### Gli intimati Ministero dell'### e ### di ### non hanno svolto attività difensive. La sentenza n. 1298/2021 della Corte d'appello di ### accogliendo il gravame avanzato dall'avvocato ### ha annullato il decreto di revoca della patente di guida emesso, ai sensi dell'art. 120 codice della strada, in data 19 ottobre 2018 dal ### di ### quale sanzione accessoria della misura di prevenzione della sorveglianza speciale per anni tre. La Corte di ### ha dato rilievo alla sopravvenuta sentenza 24/2020 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui dispone che il prefetto “provvede” - invece che “può provvedere” - alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale. I giudici di appello hanno quindi deciso di compensare per intero le spese processuali tra le parti. Il ricorso allega che la pronuncia di compensazione ha illegittimamente gravato del costo del giudizio la parte integralmente vittoriosa, senza rendere alcuna espressa motivazione. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, 5), c.p.c., il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio. Il ricorrente ha presentato memoria, svolgendo ulteriori considerazioni circa la inconfigurabilità, nella specie, di un mutamento repentino della giurisprudenza, la pendenza sin dal 2018 della questione di legittimità costituzionale e la inerenza della materia del gravame anche ad altre censure in ordine al titolo della misura di prevenzione. ### reputa che il ricorso sia inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c., avendo la Corte d'appello deciso la questione di diritto attinente alla regolamentazione delle spese di lite in conformità all'interpretazione giurisprudenziale consolidata. Occorre dare applicazione, ratione temporis, all'art. 92, comma 2, c.p.c., come sostituito dall'art. 13, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, modificato in sede di conversione dalla l. 10 novembre 2014, n. 162. In forza di tale norma, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, soltanto se vi è soccombenza reciproca, ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, o ancora, «qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni» (ciò a seguito della sentenza 19 aprile 2018, n. 77, della Corte Costituzionale) (Cass. Sez. 6 - 5, 18/02/2020, n. 3977; Cass. Sez. 6 - 2, 18/02/2019, n. 4696). La valutazione di “novità della questione”, come quella di sussistenza delle "gravi ed eccezionali ragioni", che possono sorreggere il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese, devono essere esplicitamente motivate e riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa. In tal senso, pur non contenendo la sentenza della Corte d'appello di ### una motivazione esplicitamente specifica delle ragioni in base alle quali i giudici del gravame abbiano accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge per esercitare il potere di compensazione delle spese, le stesse ragioni emergono dalla motivazione complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede. La Corte d'appello ha deciso la causa sulla base della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ed ha perciò valutat o la fondatezza d ell'opposizione con riferimento alla nuova situazione normativa determinata dalla pronuncia di incostituzionalità. Ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., la assoluta novità della questione trattata può, inve ro, essere cagionata proprio dalla sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma in base alla quale era stato emesso il p rovvedimento imp ugnato, non potendo in tal caso imputarsi alla controparte di resistere invocando una norma vigente o di non farsi carico di u na sua po ssibi le incosti tuzionalità, finché la sola ### deputata a rilevarla, e cioè la Corte costituzionale, non l'abbia pronunciata (cfr. Cass. Sez. 6 - 3, 15/05/2018, n. 11815; Cass. Sez. 6 -3, 16/03/2016, n. 5267). Il ricorso va perciò dich iarato in ammissibile, non d ovendosi regolare le spese del giudizio di cassazione, in quanto gli intimati non hanno svolto attività difensive. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore impo rto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto. P. Q. M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi d ell'art. 1 3, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 20 02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in ### nella camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, l'8 aprile 2022. ###
#### Composta da ### - Presidente ###79/2020 ### - ### - #### - ### UC - 15/03/2022 ### - ###- ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 20479/2020 proposto da: ###, nato a ### il 01/ 04/64 (C.F.: ###), e ### nata a ### il ### (C.F.: ###), elettivamente domiciliat ###, presso l'Avv. ### aniscia (C.F.: ###), che li rappresenta e d ifende, giusta procura apposta in calce al ricorso, unitamente e/o disgiuntamente all'Avv. ### (C.F.: ###); - ricorrenti - contro Ministero della Giustizia (C.F.: ###), in persona del ### pro tempore, con sede in ### alla ### 70, rappresentato e difeso dall'### dello Stato (C.F.: ###), presso in cui ### - Ultrattività procura ad litem ufficio, in ### alla ###, è domiciliato; - controricorrente - -avverso la sentenza n. 762/19 emessa dalla Corte d'appello di Perugia in data ### e non notificato; udita la relazione della causa svolta dal #### Ritenuto in fatto ### della Giustizia proponeva revocazione ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. avverso il decreto n. 3106/2018 emesso dalla Corte di Appello di Perugia in data ###, con il quale, riconosciuta la non ragionevole durata del giudizio svoltosi dinanzi al Giudice di ### di ### e successivamente dinanzi al Tribunale di ### in grado di appello e dinanzi alla Corte di Cassazione, aveva condannato il Ministero, ex l. 89/2001, al pagamento, in favore di #### e ### dell'indennizzo nella misura di ### oltre interessi legali dalla domanda al saldo, da suddividersi pro quota, parametrato su anni 3 di ritardo rispetto alla ragionevole durata del processo. In particolare, il Ministero della Giustizia, premesso che in data ### era intervenuto il decesso di ### e che la sentenza della Corte di Cassazione era interveniva in data ###, evidenziava che la Corte di Appello, nel riconoscere la non ragionevole durata del processo, aveva preso in considerazione il lasso temporale fino alla pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione, anziché fino al decesso del ### come avrebbe dovuto fare tenuto conto che da questo momento era venuto meno qualsiasi patema d'animo da indennizzare. Si costituivano ### e ### chiedendo il rigetto della revocazione, con vittoria di spese. Nessuno si costituiva per ### Con sentenza del 10.12.2019, la Corte d'appello di Perugia accoglieva la revocazione e, per l'effetto, rigettava la domanda proposta ex l. 89/2001 da #### e ### sulla base delle seguenti considerazioni: - era evidente che la Corte di Appello, per una svista materiale, aveva assunto la sua decisione sul presupposto dell'inesistenza di un fatto positivamente accertato dai documenti in atti, ovverossia aveva deciso sul presupposto dell'inesistenza dell'evento morte di ### conteggiando, quindi, la durata del processo, al fine di individuare il tempo nell'arco del quale si era protratto il patema d'animo di quest'ultimo, fino all'emissione della sentenza della Corte di Cassazione, anziché fino alla sua morte; - la circostanza che vi era stata effettivamente una svista materiale da parte della Corte di Appello derivava dal fatto che nel decreto oggetto di revocazione non si faceva assolutamente menzione né della qualità di eredi dei ricorrenti né dell'indicazione del soggetto effettivamente parte del giudizio presupposto, né tanto meno dell'evento morte; - ne derivava, pertanto, che, tenuto conto, invece, del momento del decesso, il giudizio presupposto aveva avuto una durata complessiva di anni 4 e mesi 1 e, quindi, una durata inferiore ai 6 anni che per i tre gradi di giudizio doveva considerarsi quale durata ragionevole; - nessuna rilevanza poteva, infine, avere la circostanza che ### e ### avevano agito nel procedimento ex l. 89/2001 non solo come eredi ma anche in proprio, in quanto la sentenza della Corte di Cassazione era stata pronunciata nei confronti di ### e mai gli eredi erano intervenuti nel relativo giudizio dopo il suo decesso, per cui nessun patema d'animo poteva configurarsi nei loro riguardi. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso ### e ### sulla base di due motivi. ### della Giustizia ha resistito con controricorso. Ritenuto in diritto 1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 l. n. 89/2001, 110, 300 e 302 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., nonché l'omessa valutazione di una circostanza determinante, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per non aver la corte d'appello considerato che, per il principio di ultrattività della procura, il procedimento era proseguito sino alla sua definizione con la sentenza n. 24105/2013, senza alcuna interruzione dopo la morte di ### avvenuta il ### dopo l'introduzione del giudizio di legittimità. 1.1. Il motivo è infondato. In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, qualora la parte sia deceduta prima della conclusione del processo presupposto, l'erede ha diritto al riconoscimento dell'indennizzo iure proprio soltanto per il periodo successivo alla sua costituzione in giudizio: infatti, non è possibile equiparare la posizione dello stesso al contumace, atteso che l'ineliminabile presupposto per la legittimazione all'indennizzo è la durata irragionevole del giudizio, incidente soltanto su chi è chiamato ad assumere, al suo interno, la qualità di parte (### 6 - 2, Sentenza n. 3001 del 03/02/2017). E così, qualora la parte del giudizio civile presupposto sia deceduta, l'erede ha diritto a conseguire, pro quota e iure successionis, l'indennizzo maturato dal de cuius per l'eccessiva protrazione del giudizio, nonché, iure proprio, l'indennizzo dovuto per l'ulteriore durata della medesima procedura, con decorrenza dal momento in cui abbia assunto formalmente la qualità di parte, giacché, deceduta quella originaria, fin quando gli eredi non abbiano ritenuto di costituirsi ovvero non siano stati chiamati in causa, pur esistendo un processo, difetta la parte che dalla sua irragionevole durata possa ricevere nocumento (### 6 - 2, Ordinanza n. 17685 del 21/06/2021). Del resto, così come l'erede della parte deceduta nel corso del giudizio presupposto ha diritto all'indennizzo iure proprio solo dopo la notifica, nei propri confronti, dell'atto di riassunzione o la costituzione volontaria in giudizio, in quanto, prima di tale momento, potrebbe essere del tutto all'oscuro della stessa esistenza del giudizio oppure, in ipotesi, avere rinunziato all'eredità ovvero, ancora, trovarsi nella posizione di mero chiamato, mentre, a seguito della riassunzione o della costituzione, l'erede viene formalmente coinvolto nel giudizio e ne subisce tutte le conseguenze, anche in termini di patema d'animo per la sua durata (non ostando alla liquidazione dell'indennizzo, analogamente a quanto avviene per il contumace, l'eventuale scelta di non costituirsi; ### 6 - 2, Sentenza 183 del 05/01/2017), alla stessa stregua la parte deceduta in corso di causa non si trova nelle condizioni di patire e, quindi, di far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del processo. 1.2. Deve ritenersi superato, e non più condivisibile, il precedente orientamento, invocato dagli odierni ricorrenti, secondo cui, in tema di equa riparazione, l'art. 2 della legge n. 89 del 2001 dispone che ha diritto all'equo indennizzo "chi" ha subito un danno patrimoniale e non patrimoniale e, quindi, data la genericità della sua formulazione, non limita la legittimazione attiva a colui che abbia avuto la veste tanto di parte in senso sostanziale che di parte in senso formale, essendovi situazioni in cui le due qualità sono scisse, appartenendo a soggetti diversi. Ciò che rilevava, secondo questo indirizzo, ripetesi ormai superato, era che un determinato soggetto avesse subito un danno in conseguenza dell'eccessiva durata di un processo e che costui fosse il destinatario degli effetti della sentenza; il fatto di essere parte soltanto in senso processuale rilevava, invece, ai fini dell'accertamento in concreto della sussistenza della violazione. Pertanto, l'erede della parte del processo affetto da ritardo, in ogni caso effettivo destinatario della sentenza che concludeva il processo proposto da o contro il de cuius, quand'anche dopo la morte del dante causa non si fosse costituito nel processo civile presupposto, non interrotto ma proseguito nei confronti delle parti originarie, era legittimato iure proprio a fare valere in giudizio il diritto all'equa riparazione anche per il periodo successivo alla morte del predetto (### 1, Sentenza n. 26931 del 15/12/2006; conf. Sez. 1, Sentenza n. 22405 del 05/09/2008). E' consolidato, infatti, lasciandosi preferire per le considerazioni che verranno sviluppate, l'orientamento (### 1, Sentenza n. 23416 del 04/11/2009, conf. Sez. 1, Ordinanza n. 1309 del 20/01/2011, ### 1, Sentenza n. 13803 del 23/06/2011, ### 2, Sentenza n. 4003 del 19/02/2014) a tenore del quale, in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l'erede ha diritto al riconoscimento dell'indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall'art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla ### e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001 non si fonda sull'automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l'interesse alla sua rapida conclusione. Del resto, come confermato dalla ### con sentenza del 18 giugno 2013, "### ed altri c. ###, la costituzione è condizione essenziale per far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del processo. Ed ancora questa Corte ha affermato che, qualora la parte costituita sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo presupposto, l'erede ha diritto al riconoscimento dell'indennizzo iure proprio dovuto al superamento del predetto termine soltanto a decorrere dalla sua costituzione in giudizio; ne consegue che, qualora l'erede agisca sia iure haereditatis che iure proprio, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l'intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa (### 1, Sentenza n. 21646 del 19/10/2011; conf. Sez. 2, Sentenza n. 4003 del 19/02/2014, cit.). Orbene, alla luce dei rilievi che precedono, va evidenziato che, mentre con riferimento alla domanda fatta valere iure hereditatis, la dante causa dei ricorrenti (### non aveva maturato alcun diritto alla liquidazione dell'indennizzo, atteso che il giudizio presupposto aveva avuto complessivamente (ed al netto dei periodi intercorsi tra una sentenza e la sua impugnazione) una durata inferiore ai sei anni previsti dalla legge (essendosi protratto dal settembre del 2001 - data della sua instaurazione - al 20.6.2008 - data del decesso del detto ### -), quanto alla pretesa fatta valere iure proprio, i ricorrenti non si sono costituiti nel giudizio svoltosi in sede di legittimità (all'esito del decesso del loro dante causa), sicchè va escluso il loro diritto ad ottenere l'indennizzo per l'eccessiva durata del grado di legittimità. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 395, comma 1, n. 4), c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la corte territoriale respinto la loro eccezione di inammissibilità dell'avversa azione revocatoria, nonostante l'accertamento della morte del loro dante causa involgesse un'indagine censurabile come errore di giudizio. 2.1. Il motivo è all'evidenza infondato, se solo si considera che il decreto impugnato si era basato su un chiaro errore di fatto (l'inesistenza della morte di ###, e non già su un errore di giudizio, ed il predetto fatto non aveva incontestabilmente costituito un punto controverso sul quale il decreto ebbe a pronunciare. A conferma di ciò depone la circostanza che il decreto poi revocato non faceva alcun riferimento alla qualità di eredi degli odierni ricorrenti, all'evento morte e, a maggior ragione e per l'effetto, alle rispettive quote ereditarie. 3. In definitiva, il ricorso non merita di essere accolto. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Non sussistono i presupposti di legge per l'applicabilità del raddoppio del contributo unificato (come previsto dall'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002), sulla scorta del disposto dell'art. 10 dello stesso T.U. n. 115/2 002 (cfr. Cass. n. 2273/2019 e Cass. SU n. 19883/2019) e, quindi, in virtù dell'esenz ione dal pag amento di tale contributo per le domande proposte ai sensi della legge n. 89 del 2001. P.Q.M. La Corte: - rigetta il ricorso; - condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi ### per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Cosi deciso in ### nella camera di consiglio della ### civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da rem oto il ###. ####
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli ###mi Sigg.ri Magistrati: ###. ### A. GENOVESE - Presidente - ### lodo Dott. ### - ### Consigliere - Dott. ### - ### - Ud. 12/04/2022 - ###. ### - ### - R.G.N. 22252/2020 Dott. ### - ### - ### ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso proposto da: ### E ### elett ivamente domiciliati in ### largo ### 7, presso lo studio dell'avvocato ### che li rappresenta e difende per procura in atti; - ricorrenti - contro F.I.G.C. ###, elettivamente domiciliati in ####, che la difende, unitamente agli avv ocati ### e ### - controricorrente e ricorrente incidentale - avverso la sentenza n. 2935/2020 della Corte d'appello di ### depositata il ###; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/04/2022 dal ###### 1. ― Gli odierni ricorrenti, ### e ### hanno subito l'irrogazione della sanzione sportiva della inibizione per un quinquennio allo svolgimento di attiv ità in seno alla ### a causa di illeciti commessi in danno della società sportiva F.C. ### S.r.l.. 2. ― A seguito di ciò, hanno impugnato il provvedimento sanzionatorio dinanzi al Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport che, nel contraddittorio con la ###, con lodo sottoscritto il 4 agosto 2014, ha respinto «la domanda di arbitrato» (così il dispositivo del lodo), dichiarando la propria incompetenza, competente essendo l'### corte di giustizia sportiva. 3. ― Il lodo è stato impugnato dinanzi alla Corte d'appello di ### per tre motivi, tutti concernenti la condotta del Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport, che, nel declinare la propria competenza, non avrebbe regolato la translatio iudicii in favore dell'### corte di giustizia sportiva. 4. ― La Corte d'appello ha dichiarato inammissibile l'impugnazione per nullità così motivando: «1.1. - Con il primo motivo è dedotta la nullità dei lodi, ex art. 829, comma 1, n. 5 e/o n. 12, e comma 3 c.p.c., in quanto il ### di ### per lo ### ha declinato la propria competenza a decidere su entrambe le sanzioni inflitte della inibizione a svolgere ogni attività nella ### per 5 anni e della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della ### ed ha ritenuto che quest'ultima sanzione, per la sua gravità, comportando la perdita dello status di tesserato della ### non potesse essere sottoposta ad una decisione arbitrale ma dovesse essere giudicata dall'### di ### Tuttavia, rilevano gli impugnanti che il tribunale, nel dichiarare la propria incompetenza, non ha fissato un termine per la translatio iudicii dinanzi all'### e che, in modo contraddittorio, ha respinto la domanda di arbitrato dichiarando la propria incompetenza a giudicare, tanto che la stessa ### adita per la prosecuzione, ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto il tribunale aveva respinto l'istanza di arbitrato senza fare alcun riferimento ad una possibile riassunzione del procedimento dinanzi alla medesima ### 1.2. - Il motivo è inammissibile sotto più profili. Deve in primo luogo rilevarsi che, come è stato affermato dalla ### “nel giudizio, a critica vincolata e proponibile entro i limiti stabiliti dall'art. 829 cod. proc. civ., di impugnazione per nullità del lodo arbitrale vige la regola della specificità della formulazione dei motivi, attesa la sua natura rescindente e la necessità di consentire al giudice, ed alla controparte, di verificare se le contestazioni proposte corrispondano esattamente a quelle formulabili alla stregua della suddetta norma" (Cass. n. 23675 del 2013). Si è inoltre precisato che "la specificità dei motivi deve essere intesa in senso rigoroso, avvicinandosi e potendosi assoggettare, sotto tale profilo, e l'impugnazione ex art. 829 cod. proc. civ. - per la sua stessa struttura e in quanto tende al iudicium rescindens - alla disciplina del ricorso per cassazione, sicché, ove il lodo sia impugnato per inosservanza delle regole di diritto, tale censura va intesa nello stesso senso della violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. Nella fatispecie non solo sono state dedotte nullità in ### n. 5 e/o n. 12, e comma 3 c.p.c.), ciò che rende inammissibile lo stesso motivo di impugnazione, ma la doglianza non rientra in alcuna delle ipotesi invocate; la mancata fissazione del termine per la translatio iudicii non costituisce infatti alcuno dei requisiti del lodo, di cui all'art. 823, n. 5 (esposizione sommaria dei motivi), n. 6 ###, n. (sottoscrizione degli arbitri), la cui mancanza determina nullità ex art. 829, n. 5), come affermato dagli impugnanti, né configura l'ipotesi di omessa pronuncia su una domanda o un'eccezione, dal momento che la fissazione del termine è una mera conseguenza della declaratoria di incompetenza e non costituisce una domanda autonoma, come del resto si desume dall'art. 50 c.p.c., secondo il quale la riassunzione della causa davanti al giudice competente avviene nel termine fissato dal giudice e in mancanza in quello di tre mesi dalla comunicazione dell'ordinanza che dichiara l'incompetenza. 2.- Con il secondo motivo di impugnazione è dedotta la nullità del lodo ai sensi dell'art. 829, primo comma, n. 5 e/o n. 11 e/o n. 12, e terzo comma, c.p.c. perché con la dichiarazione di incompetenza gli arbitri hanno omesso di pronunciarsi sulle domande loro sottoposte e in modo inconciliabile e contraddittorio hanno emesso una decisione di rigetto. 2.1. II motivo è in primo luogo inammissibile sotto il profilo della deduzione alternativa delle ipotesi di nullità, come già rilevato sub 1.2. Inoltre, come chiaramente risulta dalla pronuncia arbitrale, l'unica questione affrontata dagli arbitri è stata la competenza a decidere sulle sanzioni inflitte, onde non si ravvisa alcuna omissione di pronuncia, non essendo stato esaminato il merito; né si rileva la indicata contraddizione perché, come affermato dalla ### di cassazione il vizio di contraddittorietà della motivazione del loro arbitrale è deducibile con impugnazione per nullità solo quando si concreti in una inconciliabilità fra parti del dispositivo ovvero in un contrasto fra parti della motivazione di gravità tale da rendere impossibile la ricostruzione della ratio decidendi, traducendosi in sostanziale mancanza della motivazione (Cass. n. 1183 del 2006; 11895 del 2014; n. 1258 del 2016). Nel caso in esame, la contraddittorietà è esclusa dal rilievo che il collegio arbitrale, nel dichiarare la propria incompetenza, ha respinto l'istanza di arbitrato, non già la domanda proposta con l'arbitrato, ed ha quindi ritenuto preclusa la possibilità di esaminare il merito della controversia, la pronuncia di incompetenza ha una evidente prevalenza nella struttura del dispositivo ed è perfettamente coerente con la motivazione. 3 - Con il terzo motivo di impugnazione è dedotta la nullità del lodo, ai sensi dell'art. 829, primo comma, n. 5 e/o n. 11 e/o n. 12, e terzo comma, c.p.c., poiché il tribunale si è dichiarato incompetente a pronunciarsi sulle sanzioni della inibizione e della preclusione, mutando il precedente indirizzo con il quale aveva affermato la propria competenza per entrambe, e ciò a seguito della pronuncia n. 24/2012 dell'### di ### che si era dichiarata competente a conoscere della sanzione della preclusione. Ad avviso degli impugnanti, la contraddizione interna alla motivazione renderebbe impossibile la ricostruzione della ratio ed integrerebbe quindi una mancanza di motivazione. 3.1- Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo, poiché in primo luogo si riscontra ancora una volta la deduzione alternativa delle ipotesi di nullità. Si osserva, inoltre, che l'art. 829, secondo comma, c.p.c., già nel testo anteriore alla modifica del 2006, consentendo l'impugnazione del lodo per nullità nell'ipotesi di inosservanza delle regole di diritto, circoscriveva l'ambito del controllo del giudice, nella fase rescindente, alla sola disapplicazione da parte degli arbitri delle regole di diritto che si assumono violate, senza possibilità di procedere ad una interpretazione della volontà delle parti diversa da quella accertata dagli arbitri stessi (Cass. sent. n. 13439 del 2002). Pertanto, l'impugnazione non è consentita per questioni che attengono alla valutazione delle risultanze probatorie da parte degli arbitri ( n. 17097 del 2013) o che comunque riguardano direttamente il merito della controversia, in quanto, essendo la denuncia di nullità del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto in iudicando ammissibile solo se circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge, opponibile con il ricorso per Cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, la denuncia stessa deve essere ancorata agli elementi di tatto accertati dagli arbitri. Inoltre la denuncia di nullità postula l'allegazione esplicita dell'erroneità del canone di diritto applicato rispetto a detti elementi, ma non è proponibile in collegamento con la mera deduzione di lacune d'indagine e di motivazione (Cass. n. 28997 del 2018) o del non corretto apprezzamento delle risultanze istruttorie. Nel caso in esame, le censure degli impugnanti si sostanziano nel repentino mutamento di giurisprudenza da parte del collegio arbitrale per effetto della erronea applicazione della pronuncia dell'### di giustizia in tema di competenza sulle sanzioni disciplinari ed esulano quindi dai confini stabiliti dall'art. 829 c.p.c., traducendosi nella prospettazione di vizi di merito». 5. ― ### e ### ricorrono per quattro mezzi, nei confronti della ### nonché di ### contro la sentenza dell'11 dicembre 2019, con cui la ### d'appello di ### ha dichiarato inammissibile la loro impugnazione per nullità di un lodo arbitrale reso tra le parti dal ### nazionale di arbitrato per lo sport. 6. ― ### resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale per un mezzo. RAGIONI DELLA DECISIONE 7. ― Il ricorso principale contiene quattro mezzi. Il primo mezzo del ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360, numero 3, c.p.c., in relazione all'articolo 829, primo comma, numeri 5 e/o 11 e 12, ed in ogni caso del terzo comma dell'articolo 829 c.p.c.. Il secondo mezzo denuncia omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, ex articolo 360, numero 5, c.p.c., in relazione alla violazione dell'articolo 829, numero 12, c.p.c., nonché in relazione alla violazione di cui all'articolo 829, numero 4, c.p.c.. Il terzo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, numero 3, c.p.c., in relazione all'articolo 829, numero 11, c.p.c.. Il quarto mezzo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360, numero 3, c.p.c., in relazione alla violazione di cui all'articolo 829, primo comma, numeri 11 e/o 12 c.p.c., circa la competenza del ### nazionale di arbitrato per lo sport, ed in ogni caso del terzo comma dell'articolo 829 c.p.c. 8. ― ### mezzo di ricorso incidentale denuncia violazione dell'articolo 37 c.p.c. e ripropone un'eccezione di difetto di giurisdizione già spiegata in primo grado, sebbene per la prima volta in conclusionale. 9. ― Il ricorso principale è inammissibile. 9.1. ― Occorre muovere dall'esame del secondo mezzo di esso, con cui i ricorrenti sostengono che la ### territoriale «non si è pronunciato sulla domanda formulata ex art. 829 comma 1, n. 12», nonostante i ### avessero espressamente chiesto che, in caso di declinatoria di competenza, fosse regolata la translatio iudicii in favore dell'### corte di giustizia sportiva. Il motivo è inammissibile giacché non esamina una delle rationes decidendi poste a sostegno della pronuncia adottata, avendo la ### d'appello osservato, in riferimento al motivo proposto ex «art. 829 n. 5 e/o n. 12, e comma 3 c.p.c.» che «la doglianza non rientra in alcuna delle ipotesi invocate», ivi compresa, dunque, anche quella prevista dal numero 12 dell'articolo 829 c.p.c., secondo cui ricorre la nullità del lodo se esso «non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato». ### d'appello ha aggiunto che «la fissazione del termine … non costituisce una domanda autonoma». È dunque palese che la sentenza impugnata, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, ha pronunciato sul motivo, disattendendolo in ragione della sua non riconducibilità ad alcuna delle ipotesi contemplata dall'articolo 829 c.p.c.. Sicché la ravvisata mancata aderenza del motivo di ricorso al decisum destino lo stessi alla statuizione di inammissibilità (Cass. 3 luglio 2020, n. 13735; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; cfr, pure Cass. 7 novembre 2005, n. 21490, secondo cui la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall'art. 366, n. 4 c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d'ufficio). Resta per completezza da aggiungere che nella sentenza impugnata la pronuncia di inammissibilità del motivo è non soltanto presente, ma anche conforme al paradigma normativo. Non v'è difatti alcun dubbio che l'omissione di pronuncia sussista solo rispetto alla domanda giudiziale, quella con cui si chiede all'arbitro, così come al giudice, un provvedimento decisorio, ossia una statuizione suscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata sulla titolarità del bene della vita oggetto della domanda di arbitrato, non certo rispetto alla formulazione di istanze di contenuto processuale, riguardo alle quali possa prospettarsi esclusivamente un ipotetico error in procedendo non riconducibile al ventaglio dei vizi contemplati dal primo comma dell'articolo 829 c.p.c.: il che è ovvio, ove si consideri che la previsione dettata dal numero 12 del primo comma dell'articolo 829 c.p.c. si radica nella violazione della convenzione di arbitrato da cui gli arbitri ripetono la propria potestas iudicandi. Di guisa che si attaglia alla disposizione in commento la giurisprudenza formatasi in riferimento all'articolo 112 c.p.c., secondo cui il vizio di omessa pronuncia non è prospettabile in relazione a domande diverse da quelle di merito (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21424). 9.2. ― Il terzo mezzo è inammissibile. La tesi svolta dai ricorrenti nel motivo in esame si riassume in ciò, che il lodo manifesterebbe una irriducibile contrarietà, erroneamente esclusa dalla ### d'appello, tra parte motiva e parte dispositiva, giacché il tribunale arbitrale, nella motivazione avrebbe, a dire del ### «statuito la necessità di applicare il principio della translatio iudicii» (così a pagina 24 del ricorso), facendo riferimento alla «### di ### che sarà chiamata a conoscere e decidere delle condotte poste in essere dal ### Franza…», senza poi nulla disporre in dispositivo in ordine alla translatio iudicii medesima. In proposito, come si è visto, la ### d'appello, richiamata la giurisprudenza di questa ### sul vizio di cui al numero 11 del primo comma dell'articolo 829 c.p.c., ha escluso la contraddittorietà sul rilievo «che il collegio arbitrale, nel dichiarare la propria incompetenza, ha respinto l'istanza di arbitrato, non già la domanda proposta con l'arbitrato, ed ha quindi ritenuto preclusa la possibilità di esaminare il merito della controversia, la pronuncia di incompetenza ha una evidente prevalenza nella struttura del dispositivo ed è perfettamente coerente con la motivazione». Ciò detto, il motivo è inammissibile tenuto conto del suo costrutto logico, del suo rapporto con la lettura data del lodo nonché della sua pertinenza alla decisione impugnata. Quanto al primo aspetto, la incongruenza logica dell'impianto del motivo, nel complessivo quadro del ricorso, è evidente sol che si consideri che i ricorrenti, dopo aver sostenuto, col secondo mezzo, che il tribunale arbitrale sarebbe incorso nella violazione contemplata dal numero 12 del primo comma dell'articolo 829 c.p.c., avendo omesso di pronunciare sulla translatio iudicii, smentiscono se medesimi, affermando, nel terzo mezzo, che lo stesso tribunale arbitrale non soltanto si sarebbe invece pronunciato sulla translatio iudicii, ma si sarebbe pronunciato due volte, una volta nella motivazione, contemplandola, ed un'altra volta nel dispositivo, escludendola. Quanto al secondo aspetto, tale tesi è per di più svolta senza alcuna considerazione dell'effettivo contenuto tanto della motivazione quanto del dispositivo del lodo, giacché, mentre la motivazione di esso contiene una proposizione, quella prima trascritta, che, sia pur con molta elasticità di giudizio, potrebbe avere qualcosa a che vedere con la translatio iudicii, il dispositivo, sul punto, tace del tutto; e dunque la censura pretende ravvisarsi un'intrinseca contraddittorietà tra distinte disposizioni, i.e. l'attitudine di due disposizioni di segno opposto ad annullarsi vicendevolmente, così da precludere la ricostruzione della stessa ratio decidendi e l'individuazione del decisum, a fronte di un dispositivo che, in realtà, sulla translatio iudici non contiene disposizione alcuna: e non ha certo bisogno di essere sottolineato che nessuna contrarietà, tanto meno irriducibile, può configurarsi tra una disposizione che il lodo contiene ed un'altra che invece non v'è affatto. Quanto al terzo aspetto, sta di fatto che la censura in esame, anche in questo caso, non si rapporta alla ratio decidendi svolta dal giudice di merito, il quale ha valorizzato il dato testuale costituito dal dispositivo del lodo, con cui il tribunale arbitrale «respinge la domanda di arbitrato dichiarando la propria incompetenza», ponendolo in collegamento con la motivazione, svolta con esclusivo riferimento al tema della competenza. Al piano ragionamento della ### d'appello, difatti, il ricorrente a pagina 26-27 del ricorso, contrappone, in modo meramente assertivo, l'osservazione che «al contrario di quanto erroneamente statuito dalla ### il ### ha respinto l'istanza di arbitrato, MA ha respinto proprio la domanda di arbitrato, rendendo una statuizione è errata e contraddittoria in violazione e/o falsa applicazione dell'art. 829 c.p.c.»: quale sarebbe tuttavia la differenza tra «l'istanza di arbitrato», che la ### d'appello ha ritenuto disattesa, e la «domanda di arbitrato», che a mente del ricorrente avrebbe invece dovuto reputare disattesa, rimane ignoto, tenuto conto che nella lingua italiana domanda e istanza sono sinonimi. 9.3. ― Il quarto mezzo è inammissibile. Esso concerne l'esame del terzo motivo di impugnazione per nullità, che la ### d'appello ha disatteso osservando che con esso il ### si doleva del mutamento giurisprudenziale da parte del tribunale arbitrale, che, a differenza di quanto fatto in passato in situazioni analoghe, aveva declinato la propria competenza: censura che la stessa ### d'appello ha reputato inammissibile in quanto concernente il merito della decisione adottata dal tribunale arbitrale. Sostengono invece i ricorrenti che la ### d'appello non avrebbe compreso che essi non avevano inteso censurare il merito di detta decisione, ma l'incomprensibilità dell'iter logico-giuridico che la sosteneva, tale da rendere addirittura impossibile l'identificazione della ratio decidendi di essa. Ma la ### d'appello, come si è visto nella motivazione prima trascritta, si è perfettamente avveduta dell'intento dei ### di lamentare che «la contraddizione interna alla motivazione renderebbe impossibile la ricostruzione della ratio ed integrerebbe quindi una mancanza di motivazione», considerando però, nell'ambito del proprio potere di interpretazione della domanda, che l'impugnante avesse in definitiva inteso lamentare proprio la svolta giurisprudenziale del tribunale arbitrale, svolta giurisprudenziale ovviamente non sindacabile, come tale, in sede di impugnazione del lodo. A front e di ciò il motivo non fa che ribad ire d i avere inteso lamentare il tribunale arbitrale fosse giun to «a c ancellare completamente, senza ragioni logiche, o comunqu e incomprensibilmente, un indirizzo giurisprudenziale che si era unanimemente affermato nel tempo», ed in tal modo conferma che la ### d'appello aveva esattamente inteso il reale significato del motivo e che lo aveva e sattament e dichiarato in ammis sibile, perché volto a ce nsurare, al d i fuo ri dei limiti del sindacato consentito in sede di impugnazione pe r nullit à del lodo arbitrale , che detta svolta giurisprudenziale vi fosse stata. 9.4. ― Il primo mezzo del ricorso principale è assorbito. 10. ― Il ricorso incidentale, che denuncia l'errore commesso dalla ### ter ritoriale per non aver dichiarato il proprio dif etto di giurisdizione, è inefficace, ex articolo 334 c.p.c., giacché svolto in controricorso notificato il 6 ottobre 2020. 11. ― Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. ### dichiara inammissibile il ricorso principale, inefficace l'incidentale, e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi ### oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del d.P.R. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i p resupposti per il versamento, a carico de lla parte ricorre nte, dell'ulteriore importo a titolo di contri buto unificato pari a q uel lo dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. Così deciso in ### il 12 aprile 2022.
ORDINANZA sul ricorso proposto da: ### elettivamente domiciliat ###presso lo studio dell'Avv.### che lo rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso. - ricorrente - contro ### delle ### in persona del ### pro tempore, elettivamente domiciliata in #### presso gli uffici dell'### dello Stato che la rappresenta e difende. -contro ricorrente avverso la sentenza n.8727/15/18 della ### tributaria regionale del ### depositata il giorno 11 dicembre 2018. udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 marzo 2022 dal Consigliere dott.ssa ### Rilevato che con avviso di accertamento, relativo all'anno di imposta 2008, basato su indagini finanziarie, l'### delle entrate accertò nei confronti di ### somme accreditate non giustificate con conseguente maggiore ### La verifica trasse origine dalla circostanza che il ### era stato amministratore delegato dal 10.11.2000 al 25.10.2010 della ### soc.cons.per azioni nei cui confronti era stata accertata, per i periodi di imposta 2006-2009, un'evasione ### mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti emesse da società amministrate di fatto dallo stesso ### Il ricorso, proposto da ### avverso l'atto impositivo, venne rigettato dall'adita ### tributaria provinciale e la decisione è stata confermata, con rigetto dell'appello, dalla ### tributaria regionale del ### con la sentenza indicata in epigrafe. In particolare, il Giudice di appello ha ritenuto che non si fosse verificata la decadenza dal potere impositivo, essendo applicabile il raddoppio dei termini come previsto dall'art.43 del d.P.R. n.600 del 1973, e che la mancanza dell'autorizzazione a procedere alle indagini finanziarie non fosse preclusiva dell'utilizzabilità degli atti di indagini penali ai fini dell'accertamento tributario. Nel merito, ribadiva la presunzione in favore dell'### prevista dall'art.32 del d.P.R. n.600 del 1973 e riteneva l'atto impositivo sufficientemente motivato in quanto riproducente il contenuto essenziale degli atti nello stesso richiamati. Infine, riteneva che la dedotta riconducibilità dei conti correnti e delle movimentazioni ivi dettagliate alla ### e non già alla persona fisica del contribuente era rimasta indimostrata. 2 Avverso la sentenza ### ha proposto, affidandosi a sei motivi, ricorso cui resiste, con controricorso, l'### delle entrate. Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell'art.380 bis-1 cod.proc.civ., in camera di consiglio in prossimità della quale il P.G. ha depositato nota di conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso, e il ricorrente ha depositato memoria. Considerato che: 1.il primo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione di plurime disposizioni di legge per avere la C.T.R. ritenuto applicabile l'istituto del raddoppio dei termini, è infondato. Costituisce, ormai, ius receptum che: «In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l'obbligo di denuncia penale, ai sensi dell'art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell'### finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario. (v.Cass. 28/04/2021 n.11156; Cass. 02/07/2020, n. 13481).» Si è anche precisato che detti termini - ex artt. 43, del d.P.R. 600 del 1973, per l'### sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l'obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d'imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 (ed è il caso in esame), incidano le modifiche introdotte dall'art. 1, commi da 3 130 a 132, della I. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l'applicazione dell'art. 2, del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d.lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un favor del legiilatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112, ### ( 19/12/2019, n. ###; 14/05/2018, n. 11620). Infine, Cass. n. ### del 24/11/2021 ha statuito che <<In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dall'art. 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile "ratione temporis", può operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza. Infatti, per la Corte costituzionale (Corte cost., 25 luglio 2011, n. 247) i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una proroga di quelli ordinari, ma sono anch'essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, cioè ove sussista l'obbligo di denuncia penale per i reati tributari, senza che all'### finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. I termini raddoppiati, quindi, non si innestano su quelli brevi, in base ad una scelta discrezionale degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. 74/2000. Non può dunque farsi riferimento alla riapertura o alla proroga di termini scaduti, né alla reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, poiché i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono i diversi termini di accertamento. Pertanto, mentre i termini brevi di cui ai primi due 4 commi dell'art. 57 d.P.R. 633/1972 operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non sorge l'obbligo di denuncia penale di reati, i termini raddoppiati di cui al terzo comma dell'art. 57 operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le quali vi è l'obbligo di denuncia. Inoltre, il comma 26 dell'art. 37 del d.l. 223 del 2006 non prevede una riapertura di termini di accertamento già scaduti, ma risolve solo una questione di successione di leggi nel tempo, senza dettare una disciplina sostanziale. La norma prevede che "le disposizioni di cui è commi....25 si applicano a decorrere dal periodo d'imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma [...] dell'art. 57 del d.P.R. 633/72". In tal modo, dunque, non viene retroattivamente riaperto un termine già scaduto, ma viene solo escluso che il raddoppio dei termini si applica alle violazioni tributarie per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto (4 luglio 2006), fosse già decorso il termine di accertamento previsto dalla normativa anteriore. Pertanto, il raddoppio del termine, costituendo un termine del tutto slegato dai termini ordinari di accertamento -perché opera in via automatica al verificarsi del presupposto della sussistenza di illeciti penali, anche per consentire al giudice tributario di utilizzare elementi istruttori delle indagini penali nel frattempo espletatepuò operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza. Nel caso in esame, inoltre, la sussistenza dell'obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p. emergeva, non solo dalla produzione nel giudizio di appello della informativa di reato redatta dalla ### di ### e presentata presso la ### della Repubblica, ma anche dagli elementi di fatto, contenuti nell'avviso di accertamento prospettante una totale evasione di imposta. 5 Il giudice tributario, del resto, deve limitarsi a controllare, se è richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta "prognosi postuma") circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l'### finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova - e, quindi, l'oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributarioè circoscritto al riscontro dei presupposti dell'obbligo di denuncia penale e non riguarda l'accertamento del reato (Cass., 6-5, 15 aprile 2021, n. 9958). Si è, dunque, affermato che, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell'### finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell'obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass., sez. 5, 28 aprile 2021, n. 11156; Cass., 5, 2 luglio 2020, n. 13481). I termini per l'emissione dell'avviso di accertamento, allora, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l'obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva (Cass., sez. 5, 28 aprile 2021, n. 11156). 2. Con il secondo motivo di ricorso -rubricato:vio/azione e falsa applicazione dell'art.32, comma 1. n.7) del d.P.R. n.600 del 1973 in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c.: sulla mancata esibizione e produzione dell'autorizzazione a procedere alle indagini finanziariesi lamenta come la C.T.R. abbia applicato erroneamente una norma (art.33 del d.P.R. n.600 del 1973) al posto di quella effettivamente applicabile all'accertamento in esame (ovvero l'art.32, comma settimo, stesso d.P.R.) e si deduce come l'assenza della prescritta autorizzazione alle indagini finanziarie comporti la nullità dell'avviso di accertamento. 6 2.1. La censura è, in parte inammissibile, in parte infondata. E' inammissibile, per la novità della questione dedotta, laddove nei gradi di merito il ricorrente ha sempre lamentato non l'esistenza dell'autorizzazione ma la sua mancata allegazione all'avviso di accertamento. E' infondata alla luce dell'orientamento consolidato in materia secondo cui (v. in motivazione Cass. 27-07-2021, n. 21493) la disposizione in commento subordina la legittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanze all'esistenza dell'autorizzazione e non anche alla relativa esibizione all'interessato e che eventuali illegittimità, nell'ambito del procedimento amministrativo di accertamento, diventano censurabili davanti al giudice tributario a condizione che, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l'accertamento medesimo (cfr., Cass., 26 settembre 2014, n. 20420, Cass., 21 luglio 2009, n. 16874, richiamate dalla ricorrente; Id. Cass., 15 giugno 2007, n. 14023). Tale orientamento (ribadito, di recente dalle pronunce di questa ### del 10 febbraio e 14 luglio 2017, rispettivamente, nn. 3628 e 17457, del 28 maggio 2018 13353 e del 20 ottobre 2020 n. 22754), risulta maggiormente coerente non solo con la sequenza procedimentale prevista dalla disposizione in parola, che subordina la presentazione della richiesta al parere del dirigente ma soprattutto con l'interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, così come richiede, in ### agosto 1990, n. 241, art. 21-octìes. Come evidenziato dalle pronunce richiamate, va considerato, altresì, che "In materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell'acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento di per sé, l'inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l'inviolabilità della libertà personale o del domicilio" (Cass. 16 7 dicembre 2011, n. 27149; id. Cass. nn. 13353 del 2018 e 22754 del 2020)». 3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la sentenza impugnata di nullità per omessa pronuncia in violazione degli artt. 112 cod.proc.civ. e 32, comma primo, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4 cod.proc.civ., e, con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 12, comma settimo, della legge n.212 del 2000 e 24 della legge n. 4 del 1929, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 cod.proc. In sintesi, il ricorrente lamenta che la C.T.R. non abbia pronunciato sulla specifica eccezione relativa alla mancata attivazione del contraddittorio preventivo rispetto all'emanazione dell'avviso di accertamento e che abbia erroneamente ritenuto non fosse necessaria la consegna di un processo verbale. 4.Le censure, connesse, possono trattarsi congiuntamente e sono infondate. ### la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., tra le altre di recente, Cass.n. 2151 del 29/01/2021)) a integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione. Nel caso in esame, il Giudice di appello ha implicitamente rigettato la relativa deduzione statuendo espressamente che 11 giudice di prime cure ha fatto corretta applicazione della normativa di cui all'art.32 del d.P.R. n.600 del 1973. 4.1. In ogni caso, come rilevato anche dal P.G., secondo quanto emerge dal ricorso e dalla stessa sentenza impugnata, non risulta, e comunque non è stato dedotto dal ricorrente, che l'accertamento 8 controverso verta in materia di i.v.a.; né che esso sia stato emesso in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente. Pertanto, va ricordato che, come codesta Corte ha già chiarito, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste, in generale, per l'### finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti in materia di contributi non "armonizzati" - quale l'### della quale si discute nel caso di specieed assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. "a tavolino (cfr. Cass., Sez. Un., 09/12/2015, n. 24823). Con riferimento all'avviso d'accertamento sub iudice, la normativa nazionale non imponeva, a pena di nullità, il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente. Infatti, l'invito al contraddittorio previsto dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma f, n. 2, costituisce uno dei poteri istruttori esercitabili dall'### in via generale, anche per richiedere spiegazioni in ordine ai dati desumibili dalla documentazione bancaria acquisita ai sensi dello stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7 e, in quanto passaggio procedimentale facoltativo, non integra una ipotesi di contraddittorio preventivo obbligatorio con il contribuente destinatario degli accertamenti bancari, che sia specificamente previsto dalla legge a pena di illegittimità della successiva emissione dell'atto impositivo (Cass.28/02/2017, n.5135, in motivazione). 5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione ad opera della C.T.R. dell'art.32 del d.P.R. n.600 del 1973 e 2697 cod. In sintesi, il ricorrente, premesso di avere depositato, unitamente alle memorie depositate innanzi alla C.T.R., documentazione bancaria dalla quale era evincibile che due conti correnti in essere presso la ### del lavoro non erano allo stesso riferibili, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto assolto l'onere probatorio a 9 carico dell'### anche con riferimento a conti correnti intestati a terzi, sulla base dell'argomentazione per cui all'### finanziaria sarebbe sufficiente elevare una contestazione ai sensi dell'art.32 d.P.R. n.600 del 1973 per invertire l'onere probatorio in capo al contribuente. 6.11 medesimo capo di sentenza viene censurato con il sesto motivo rubricato: ### della sentenza per violazione dell'art.36, comma 2, n.4 del D.Igs. 546 del 1992 e dell'art.132, comma 2, n.4 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.4). c.p.c. nonché dell'art.111 della ### omessa motivazione sui riscontri analitici presentati dal contribuente. Il ricorrente, premesso di avere fornito nel giudizio di appello, riscontri analitici delle transazioni bancarie, censura la C.T.R. per avere reso, con riferimento al quinto motivo di appello, una motivazione meramente apparente, affidata a clausole di stile e priva di un'effettiva analisi delle osservazioni presentate dal contribuente. 7.Le dA censure, connesse, possono trattarsi congiuntamente e sono infondate. 7.1. ### la consolidata giurisprudenza di codesta Corte in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, riguardo all'TVA autorizzano l'### finanziario a procedere all'accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente (Cass. 7.12.2021, n. ###). Ipotesi, questa, come rilevato anche dal P.G., non implausibilmente ravvisata nella fattispecie, posto che il contribuente è stato amministratore dal 10 novembre 2000 al 25 ottobre 2010 della ### i cui conti correnti sono stati utilizzati ai fini dell'accertamento 10 finanziano contestato. Infatti, la presenza di elementi sintomatici (quali il rapporto di stretta contiguità familiare, l'ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l'infedeltà della dichiarazione, l'attività di impresa compatibile con la produzione di utili e, soprattutto, la mancata giustificazione delle movimentazioni bancarie) consente di non limitare l'accertamento fiscale bancario ai conti bancari o postali o ai libretti di deposito intestati al titolare dell'azienda individuale o alla società, ma di estenderlo anche a quelli intestati a terzi (Cass. 9.02.2022, n.4235). Né in tal guisa la CTR è incorsa in una violazione del divieto di doppia presunzione, atteso l'insegnamento di codesta Corte per cui "in tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l'onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur, sia perché tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 C.C., né a qualsiasi altra norma dell'ordinamento, sia perché, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un'altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicché non ricorrerebbe nel caso di specie" (Cass. nn. 15003 del 2017; 20748 del 2019). 7.2 La sentenza impugnata appare rispettosa dei principi sopra enunciati onde va esente da censura dovendosene anche escludere la nullità per la dedotta apparenza della motivazione. Va, all'uopo rammentato che la riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1° n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici 11 dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione" (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n.8053). 7.3.Ciò posto, nel caso di specie, il capo di sentenza impugnata consente di enucleare la ratio decidendi, posta a base della decisione adottata, la quale è chiaramente identificabile, risultando adeguatamente illustrate, in relazione ai plurimi profili di censura fatti valere, le ragioni che i giudici di appello hanno posto a base del decisum. Com'è chiarito nel controricorso (nel quale, tra l'altro, si rileva che la prova a contrario fornita dal contribuente si limitava a fogli excell da lui stesso redatti ), la C.T.R. ha pienamente soddisfatto tale onere motivazionale, rendendo non sindacabile sotto tale profilo la sentenza qui impugnata. 8.In conclusione il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alla refusione in favore dell'### delle entrate delle spese nella misura liquidata come in dispositivo, P.Q.M. Rigetta il ricorso. 12 Condanna il ricorrente alla refusione in favore dell'### delle entrate delle spese liquidate in complessivi #### oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'art.13, comma 1-quateridel d.P.R.n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in ### nella camera di consiglio del 24 marzo 2022 ###.rico r entino
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE CIVILE - 2 Composta da: ### - Presidente - CONDOMINIO ### - ### - ### - ### - Ud. 08/04/2022 - CC ### - #### - R.G.N. 27061/2021 ### - ### - ha pronunciato la seguente ORDINANZA sul ricorso 27061-2021 proposto da: RESIDENCE & ### S.R.L., elettivamente domiciliata in #### PIRENEI 1, presso lo studio del l'avvocato ### che la rappresenta e difende; - ricorrente - contro CONDOMINIO CORTE DEL SOL; - intimato - avverso la senten za n. 2 61/2021 della ####'APPELLO di ###, depositata il ###; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell'8/4/2022 dal ### Presidente: #### pubblicazione: 22/04/2022### di Cassazione - copia non ufficiale 2 di 5 FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE ### & ### s.r.l. ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 261/2021 della ### d'appello di Trieste, depositata il 22 luglio 2021. #### del ####, #### non ha svolto attività difensive. La sentenza impugnata ha rigettato l'appello della ### & ### s.r.l. contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Udine il 20 marzo 2019 ed ha così respinto l'impugnazione ex art. 1137 presentata dalla condomina ### & ### s.r.l. contro le deliberazioni dell'assemblea del ### del Sol del 24 giugno 2016. Fra le altre doglianze, la ### & ### s.r.l. aveva dedotto che l'assemblea aveva deliberato la nomina dell'amministratore ### della ### G & G di ### & c., senza che fosse stato specificato il compenso per l'attività da svolgere. Il Tribunale di Udine aveva affermato che la nomina dell'amministratore era stata deliberata all'unanimità dall'assemblea condominiale del 13 febbraio 2016, non impugnata, e l'attrice ### & ### s.r.l. aveva poi soltanto dedotto la nullità derivata delle delibere del 24 giugno 2016. ### d'appello di Trieste, soffermandosi proprio sulla nullità della nomina dell'amministratore per violazione dell'art. 1129, comma 14, c.c., ha sostenuto che l'ammontare del compenso richiesto non deve necessariamente essere indicato nella delibera che conferisce l'incarico, né emergere dal verbale, che risultava un preventivo datato 10 febbraio 2016, sottoscritto da ### e ### ed indirizzato ai condomini, e che parimenti risultava redatto dopo l'assemblea del 13 febbraio 2016 un bilancio preventivo, con riparto e piano rate, ove si indicava il compenso dell'amministratore. ### motivo del ricorso della ### & ### s.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1129, comma 14, c.c., ### di Cassazione - copia non ufficiale 3 di 5 evidenziando come nel verbale di nomina dell'amministratore del 13 febbraio 2016 non vi fosse cenno alcuno né al compenso dovuto all'amministratore né alla documentazione preventivamente trasmessa ai singoli condomini. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente defínibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, 5), c.p.c., il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio. Il ricorso è fondato nei sensi di seguito indicati. La nomina dell'amministratore di condominio rientra fra le attribuzioni deliberative dell'assemblea (artt. 1129, comma 1, e 1136, comma 4, c.c.). La fattispecie della nomina assembleare dell'amministratore di condominio, a seguito della ### introdotta con la legge n. 220 del 2012, si struttura, in particolare, come scambio di proposta ed accettazione, secondo quanto si desume altrettanto testualmente dai commi 2 e 14 del medesimo art. 1129 c.c., nonché dall'art. 1130, n. 7, c.c., il quale dispone che la nomina dell'amministratore deve essere annotata in apposito registro. Più in generale, dall'art. 1130 n. 7 e dall'art. 1136, ultimo comma, c.c. si evince che la delibera di nomina dell'amministratore ed il correlato contratto di amministrazione debbano avere anche forma scritta (arg. da Cass. Sez. Unite, 30/12/1999, 943). ###. 1129, comma 14, c.c., prescrive, in particolare, che “l'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta”. La “nullità della nomina”, ove non sia specificato l'importo del compenso, che è alla base del generale principio di predeterminazione ### di Cassazione - copia non ufficiale 4 di 5 onnicomprensiva dello stesso, è, dunque, una nullità “testuale”, in quanto è stabilita dalla legge. Di tale fattispecie legale di nullità, peraltro non direttamente sancita per la deliberazione assembleare, si dà atto in motivazione anche nella sentenza delle ### 14 aprile 2021, n. 9839. Al fine della costituzione di un valido rapporto di amministrazione condominiale, ai sensi dell'art. 1129 c.c., il requisito formale della nomina sussiste, dunque, in presenza di un documento, approvato dall'assemblea, che rechi, anche mediante richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso, l'elemento essenziale della analitica specificazione dell'importo dovuto a titolo di compenso, specificazione che non può invece ritenersi implicita nella delibera assembleare di approvazione del rendiconto. La sentenza impugnata ha errato, pertanto, nel ritenere che l'ammontare del compenso richiesto non deve necessariamente essere indicato nella delibera che conferisce l'incarico all'amministratore, né emergere dal verbale. Deve enunciarsi il seguente principio di diritto: agli effetti dell'art. 1129, comma 14, c.c., il quale prevede la nullità testuale della nomina dell'amministratore di condominio ove non sia specificato l'importo dovuto a titolo di compenso, per la costituzione di un valido contratto di amministrazione condominiale occorre accertare la sussistenza di un documento, approvato dall'assemblea, recante, anche mediante richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso, l'elemento essenziale della analitica determinazione del corrispettivo, che non può ritenersi implicita nella delibera assembleare di approvazione del rendiconto. Il ricorso va perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla ### d'appello di Trieste in diversa composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa uniformandosi ### di Cassazione - copia non ufficiale 5 di 5 all'enunciato principio e provvederà anche sulle spese del giud izio di cassazione. P.Q.M. ### acc oglie il ricorso, cassa la sentenza impug nata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla ### d'appello di Trieste in diversa composizione. Così deciso in ### nella camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della ### suprema di cassazione, l'8 aprile 2022. ### Numero registro generale 27061/2021 Numero sezionale 3777/2022 ### di Cassazione - copia non ufficiale
### ricorso n. 1523-2018, proposto da: ### cf ###, in persona del ### p.t., elettivamente domiciliat ###, presso l'### dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis Ricorrente e controricorrente incidentale #### s.r.I., cf ###, rappresentata e difesa dagli avv. ### e ### con domicilio digitale come da pec da registri di Giustizia ### e ricorrente incidentale Avverso la sentenza n. 1356/29/2017 della ### tributaria regionale della ### depositata il 29 maggio 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio il 13 gennaio 2022 dal ### dott. ### Rilevato che A seguito di una verifica condotta dall'### delle entrate nei confronti della ### s.r.I., conclusasi con processo verbale di constatazione, alla società furono notificati due avvisi di accertamento, relativi agli anni d'imposta 2007 e 2008. In entrambi, recependo gli esiti dell'attività di verifica, per quanto qui ancora di interesse l'### contestò RGN 1523/2018 Consigyle rel. ### i 2 l'indebita deduzione di royalties corrisposte alla società ### di diritto francese e controllata dall'odierna ricorrente, in ragione delle vendite di calzature effettuate a favore della medesima società francese, titolare del marchio "### - a touch of class", di cui la ### era utilizzatrice, prima in via non esclusiva e poi esclusiva. Ciò perché, secondo l'### finanziaria, quei costi, sostenuti per il pagamento delle royalties, difettavano del requisito dell'inerenza per essere stati corrisposti alla società proprietaria del marchio. Inoltre, con gli atti impositivi, e con riguardo alle vendite di calzature eseguite nei confronti di soggetti terzi, alla società fu anche contestata l'indeducibilità delle royalties per la parte del costo eccedente il valore normale, così come identificato ex art. 110, comma 7, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nonché la mancata effettuazione di ritenute a titolo d'imposta sull'importo eccedente il valore normale, ai sensi dell'art. 25, comma 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Più specificamente, con riguardo a questo secondo rilievo, per l'intera annualità 2007 e per il periodo 1 gennaio/30 aprile 2008 l'### rilevò che le royalties, determinate in una misura superiore al cd. valore normale (il 20% o il 30% del fatturato realizzato in luogo del 5% identificato dall'ufficio), non fossero deducibili per l'eccedenza, dovendo inoltre operarsi, per la parte eccedente e dunque imponibile, la ritenuta d'imposta ai sensi del medesimo art. 25 comma 4, cit. Per il periodo 1 maggio 2008/31 dicembre 2008 furono elevate le medesime contestazioni, pur nella vigenza del nuovo contratto -intercorso tra le società italiana e francese, stipulato nel 2009 ma con effetti anticipati al maggio 2008- perché le royalties erano state pattuite nella percentuale del 7,5% del fatturato, superiore al valore normale, sempre identificato nella misura del 5%. Furono anche conseguentemente irrogate le sanzioni per le medesime annualità. La società, che contestava gli esiti della verifica e degli atti impositivi, adì la ### tributaria provinciale di ### che con sentenza 548/03/2015 ne accolse le ragioni, annullando gli avvisi e le sanzioni, ad eccezione del secondo dei rilievi mossi dall'### per la parte riferita alle royalties concordate tra le società nella misura del 7,5% per il periodo maggio/dicembre 2008. La decisione fu appellata dall'### delle entrate e dalla contribuente, ciascuna per quanto soccombente, dinanzi alla ### tributaria regionale della ### che con la sentenza RGN 1523/2018 Consi rel ### i r L- 3 1356/29/2017, ora al vaglio della Corte, confermò le statuizioni del giudice di primo grado, rigettando l'appello principale e quello incidentale. Con riguardo alle contestazioni relative alla deducibilità delle royalties, relative alla merce alienata alla società francese proprietaria del marchio stesso, il giudice regionale riconobbe la correttezza della deduzione dei costi operata dalla contribuente italiana. In merito al secondo rilievo, relativo al mancato rispetto del valore normale, disciplinato dall'art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917 del 1986, e all'omessa ritenuta d'acconto prescritta dall'art. 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, ritenne che il contratto in vigore sino al 30 aprile 2008 provava che i costi pattuiti con la ### nella misura del 20% o del 30% sulla merce fatturata, non riguardavano solo le royalties, ma anche i corrispettivi delle attività espletate dalla società francese per conto di quella italiana per la vendita delle calzature sul mercato d'oltralpe, riconoscendo pertanto il rispetto del valore normale delle royalties; conclusioni opposte raggiunse invece sulla quantificazione delle royalties nella misura del 7,5%, concordata con il contratto vigente dall'i maggio 2008, per la quale confermò i rilievi dell'### e la sentenza della commissione provinciale. L'### delle entrate ha censurato la pronuncia con cinque motivi. La contribuente ha resistito con controricorso, a sua volta spiegando ricorso incidentale con due motivi. All'esito dell'adunanza camerale del 13 gennaio 2022 e poi, previa riconvocazione, della camera di consiglio del 10 marzo 2022, la causa è stata trattata e decisa. La società ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis.1 cod. proc. Considerato che Con il primo motivo l'### delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 23, comma 2, lett. c), e 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, dell'art. 12 del ###, dell'art. 12 della ### Francia del 5 ottobre 1989, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all'annullamento del primo rilievo formulato con gli atti impositivi, concernente l'indeducibilità dei costi per le royalties corrisposte alla società francese ### titolare del marchio ### in occasione della vendita di calzature alla medesima società francese. RGN 1523/2018 Consigh rel.ifederici - 4 La ricorrente, così come nella motivazione degli atti impositivi e nelle difese articolate nei gradi di merito, insiste nel sostenere che nella vendita di calzature con marchio di cui era titolare l'acquirente stessa della merce, il suo utilizzo non integrava la funzione economica ad esso riconosciuta, mancando l'inerenza del costo e dunque i presupposti per la deducibilità delle royalties corrisposte alla società francese. Il motivo è infondato. Va chiarito che la ragione per la quale l'### finanziaria ha considerato indeducibili i costi che, a titolo di royalties, la contribuente ### s.r.l. ha dichiarato di aver sostenuto per la vendita di calzature alla società francese, va individuata nella esclusiva considerazione che l'alienazione di prodotti commerciali fabbricati con il marchio nella titolarità della acquirente FPM s.a.r.I., ma concesso in uso esclusivo alla venditrice, implicherebbe di per sé l'esclusione dell'inerenza del costo. Ciò perché la funzione essenziale del marchio, che è quella di identificazione di un prodotto per la sua riconoscibilità sul mercato, sarebbe irrilevante se quel medesimo prodotto fosse acquistato da chi è il titolare del marchio medesimo. In sintesi afferma che il marchio non avrebbe attrattiva per l'acquirente, quando questi è esso stesso titolare di quel segno identificativo della merce. Sarebbe dunque inutile nella prospettiva della riconoscibilità dell'inerenza del costo, quale tratto distintivo di una spesa, teleologicamente orientata ad incrementare i ricavi, ancorché in via ipotetica. Senza necessità di addentrarsi nella complessa tematica della identificazione dei requisiti per il riconoscimento dell'inerenza di un costo, come sviluppati nella giurisprudenza di questa Corte (solo per citare alcune pronunce, cfr. 17 marzo 2021, n. 7440; 2 febbraio 2021, n. 2224; 17 gennaio 2020, n. 902; 6 giugno 2018, n. 14579; 11 gennaio 2018, n. 450), l'argomentazione dell'### finanziaria, apparentemente logica, è tuttavia inconsistente, perché essa risponde ad un preteso potere di valutazione, da parte dell'### finanziaria, sulla opportunità o meno di investimenti tesi a stimolare e incrementare le vendite dei beni prodotti, il che deborda irritualmente dai limiti di controllo, facenti capo all'### finanziaria, sulle scelte d'investimento di un soggetto economico (cfr. Cass., n. 2224/2021 cit.). Sotto questo profilo peraltro sarebbe sufficiente considerare che all'inutilità della capacità "attrattiva" del RGN 1523/2018 Consiiiiére rei. ### 5 marchio nei riguardi del suo proprietario concedente doveva corrispondere quanto meno il riscontro di un prezzo inferiore di cessione del bene-merce da parte del venditore che di quel marchio ne era il concessionario esclusivo. A ciò tuttavia l'### delle entrate non ha neppure accennato. La critica alla decisione, formalmente ricondotta nell'alveo dell'errore giuridico nell'interpretazione delle norme invocate, resta dunque priva di qualunque considerazione propriamente giuridica, ancorandosi al contrario ad una opinione meramente economico-fattuale, che non scalfisce la corretta motivazione della sentenza del giudice regionale. Questi ha evidenziato che, concesso in via esclusiva il diritto allo sfruttamento del marchio, alla società titolare francese non restava alcun potere di utilizzo di esso, e per l'acquisto di quella merce con quel marchio non poteva che rivolgersi alla ### s.r.l. Residuava tuttavia, sotto il profilo giuridico, il diritto di riscossione della royalty per la merce venduta dal concessionario del marchio medesimo, chiunque fosse stato destinatario di tale merce. Pur non esplicitato in sentenza, va considerato che, prima ancora che verificare -irritualmentel'utilità economica del costo sostenuto dalla società contribuente, l'### delle entrate avrebbe dovuto tener conto del diritto della società concedente il marchio a conseguire, per ogni vendita, la royalty concordata. Il motivo va pertanto rigettato. Con il secondo motivo ha denunciato la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 22 dicembre 1992, n. 546, nonché dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente. Con esso l'### finanziaria sostiene che la motivazione con cui il giudice ha statuito sul primo rilievo sarebbe apodittica, apparente. Anche questo motivo è infondato. A parte la manifesta contraddittorietà della difesa dell'### che con il primo motivo censura la sentenza per errore nell'interpretazione delle norme, che implicitamente impone di riconoscere la sussistenza della motivazione, e con il secondo motivo nega la sussistenza della medesima motivazione, per quanto chiarito nel vaglio del primo motivo le statuizioni del giudice d'appello sono rette da argomentazioni logiche e giuridicamente corrette, ancorché sintetiche. RGN 1523/2018 consigfieN rel. ### , 6 Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 23, comma 2, lett. c) e dell'art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, dell'art. 12 del ###, dell'art. 12 della ### Francia del 5 ottobre 1989, dell'art. 25, comma 4, e 26-quater, commi 1 e 5, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all'annullamento del rilievo formulato negli atti impositivi concernente l'indeducibilità di royalties per il valore eccedente quello normale, identificato ai sensi dell'art. 110, comma 7, d.P.R. n. 917 del 1986; con il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. 22 dicembre 1992, n. 546, nonché dell'art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, perché, criticando sotto il duplice profilo dell'error luris in íudicando e dell'error iuris in procedendo la decisione, denunciano il deficit della motivazione, su cui il giudice regionale ha pur fondato la statuizione relativa al secondo rilievo formulato dall'### delle entrate negli atti impositivi, relativo alla indeducibilità dei costi eccedenti il valore normale dei beni, nonché l'omessa ritenuta alla fonte cui era obbligata la società italiana per i compensi imponibili destinati a soggetto straniero. Tuttavia, prima di esaminare i motivi, va affrontata la pregiudiziale questione giuridica proposta dalla difesa della contribuente, che nel controricorso denuncia una violazione del ne bis in idem. La contribuente sostiene innanzitutto che per i medesimi fatti l'amministratore delegato della società era stato tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di ### e qui assolto con sentenza penale passata in giudicato (sentenza n. 1984/2013). Le ragioni non possono trovare accoglimento. Va innanzitutto esclusa la violazione del principio con riguardo al recupero ad imponibile dei costi dedotti dalla società, che costituiscono l'oggetto della controversia afferente i due avvisi di accertamento. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai consolidato, il divieto del bis in idem non opera rispetto agli atti impositivi in quanto postula, anche in virtù dei principi enunciati dalla Corte europea dei t RGN 1523/2018 ### rei. ### - , 7 diritti dell'uomo e dalla Corte costituzionale, che un soggetto sia stato sottoposto a processo penale e che, per conseguire effetti deterrenti, gli sia stata irrogata un'ulteriore misura, o sia stato avviato un altro giudizio, finalizzato alla punizione del medesimo fatto, che, al di là della qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale, sia da ritenere di natura penale per la gravità delle conseguenze da essa derivanti: detti caratteri non sono ascrivibili alla pretesa impositiva, atteso che con la stessa l'### finanziaria si limita a recuperare l'imposta non versata (Cass., 5 ottobre 2018, n. 24470; 1 aprile 2021, n. 9077). In ogni caso, anche considerando l'irrogazione delle sanzioni, la fattispecie esaminata non importa alcuna violazione del principio. Deve intanto rammentarsi che nel sistema processual-penalistico italiano il principio trova espressione nell'art. 649 c.p.p., la cui formulazione lo colloca senz'altro nell'orbita funzionale della cosa giudicata. ### italiana non trova espressa menzione ma è un principio implicito. In seno al diritto euro-unitario si ritrova nell'art. 50 della ### dei diritti fondamentali dell'### è disciplinato negli artt. 54-58 della ### di applicazione dell'### di ### è tutelato dall'art. 4 Prot. n. 7 della ### europea per la salvaguardia dei diritti dell'### e delle libertà fondamentali. Inoltre rilevano le norme per come interpretate dalla Corte EDU e dalla Corte di ###. Ebbene, pur se il principio vada inteso tanto in senso stretto, quale "attributo della irrevocabilità della decisione", quanto in senso lato, come "preclusione all'inizio di un nuovo processo", situazioni non speculari, perché l'immutabilità-irrevocabilità impedisce che un atto sia ritirato, mentre l'inammissibilità di altro giudizio vieta che sia emanato un nuovo provvedimento, a qualunque interpretazione voglia accedersi, esso non trova applicazione al caso di specie. Ai fini che qui interessano, può intanto affermarsi che i confini del ne bis in idem sono segnati dalla "identità del fatto". Sebbene questo vada sostanzialmente ricondotto alla identità della condotta, ancorché non sia pacifico se essa esaurisca o meno la nozione di fatto, autorevoli interpretazioni identificano la condotta in senso di identità naturalistica o materiale del fatto storico. ### la giurisprudenza ### unitaria richiama le "### fattuali concrete a carico del medesimo RGN 1523/2018 Consignete rel.,### i 8 contravventore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio" (cfr. Corte EDU, ### e altri / ### 4 marzo 2014). Ciò chiarito, in riferimento alla compatibilità della disciplina interna con il divieto del bis in idem, si è avvertito che le questioni più complesse sono riconducibili al cd. "###". Esso involge i dubbi di compatibilità per le ipotesi di comminazione della doppia sanzione, amministrativa e penale, frequenti nel settore tributario, soprattutto nel rapporto tra il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e il d.lgs. 18 dicembre 1997, 471. Avvertendosi che il presupposto del divieto del bis in idem è la "natura penale" della sanzione amministrativa tributaria, tale natura è stata riconosciuta o meno secondo i cd. criteri ENGEL, identificabili nella qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale; nella natura dell'illecito; nel grado di severità della sanzione (### e altri / ### Corte EDU sentenza 8 giugno 1976; ###-489/2010, Corte di Giustizia, sentenza "L. M. Bonda" 5 giugno 2012). Da ciò si è sostenuto che le parole "assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva" contenute nell'art. 4 del prot. 7 non sono solo riferibili alle sentenze emesse in procedimenti qualificati penali dall'ordinamento interno, ma a tutti i provvedimenti che irrogano sanzioni di carattere punitivo per il medesimo fatto storico, comprese dunque le sanzioni pecuniarie comminate dalla ### finanziaria unitamente al recupero dei tributi evasi. La Cassazione -in particolare le sezioni penaliha circoscritto la portata del divieto, negando l'applicabilità del principio di specialità previsto dall'art. 19 del d.lgs. n. 74 del 2000, relativo ai reati tributari e posto a tutela del principio del ne bis in idem, affermando ad esempio che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 cit. non si pone in rapporto di specialità ma di progressione illecita con l'art. 13, comma 1, del d.lgs. 471 del 1997 (cfr. Sez. U, ### e ### del 28 marzo 2013; 23 gennaio 2019, n. 22061). Con ciò affermando che si tratta di fatti non identici e sovrapponibili. La prima ragione del limite interpretativo avvertito dalla Cassazione è dovuta innanzitutto alle regole procedimentali dettate dagli artt. 20 e 21 del d.lgs. n. 74. ###. 20 afferma il principio di autonomia dei due processi (penale e tributario), avendo scelto il ### la regola del "doppio binario" procedimentale, con esclusione della sospensione del processo tributario in pendenza di quello penale. In coerenza logica l'art. 21 cit. prevede che l'### finanziaria irroghi t RGN 1523/2018 Consigliefe reI, ### 9 le sanzioni amministrative per le violazioni tributarie fatte oggetto della notizia di reato, anche se non sono eseguibili, salva l'ipotesi di archiviazione o proscioglimento per esclusione della rilevanza penale del fatto. La seconda ragione è dovuta alla interpretazione secondo cui tra le due ipotesi di illecito (penale e tributario) vi è concorso effettivo e non apparente, a tal fine valorizzandosi la soglia di punibilità ed il maggior tempo di consumazione dell'illecito penale rispetto a quello fiscale. Con ciò si assume che non si tratti dello stesso fatto, secondo i criteri ### Il ragionamento seguito dalle ### europee è diverso. La Corte EDU, già chiaramente nella causa ### e altri / ### cit., ha valorizzato non gli elementi costitutivi dei due illeciti (che possono essere o meno identici), ma i fatti storici contestati. In particolare se siano riconducibili alla stessa condotta. ### si è espressa nel solco della Corte EDU in applicazione dell'art. 50 della ### In particolare con la sentenza ### (C-617/10 EU, 26 febbraio 2013), in tema di obblighi dichiarativi in materia di ### ha affermato che il divieto di bis in idem non impedisce la comminazione di una sanzione tributaria successivamente a quella penale, purché essa non abbia a sua volta un concreto contenuto che ne qualifichi la natura come penale. A tal fine è il giudice che deve verificarne la vera natura caso per caso. In linea con la giurisprudenza EDU la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 649 c.p.p., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che esiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per il quale è iniziato un nuovo processo (C. Cost., 31 maggio 2016, n. 200). Con ciò ha reso una interpretazione del ne bis in idem nel senso storico-naturalistico, valorizzando dunque la connotazione oggettiva e materiale a prescindere dalla qualificazione giuridica. Precisa peraltro che deve verificarsi la sovrapponibilità di tutti gli elementi costitutivi del fatto, ossia condotta, evento, nesso causale. Sulla falsariga del giudice delle leggi si sono posti alcuni provvedimenti della Cassazione, sia delle sezioni civili (cfr. Cass., 13 ottobre 2016, 20675), che di quelle penali (Cass. Pen., 11 febbraio 2015, n. 19334; 26 aprile 2016, n. 48591). RGN 1523/2018 Consighr,9 rel.,### "s 10 In questo contesto tuttavia, sempre più netto nella ricerca di un perimetro del ne bis in idem, sono intervenute le due sentenze della Corte EDU (### la A. e B. / Norvegia del 15 novembre 2016 e la J. E 3. / Islanda del 18 maggio 2017, che hanno parzialmente modificato le regole identificative del divieto del bis in idem. In sintesi il criterio di verifica della violazione del divieto del bis in idem nella dimensione processuale e sostanziale che valorizza l'identità del fatto lascia spazio alla verifica del grado di coordinamento delle diverse discipline sanzionatorie dello Stato. ### questa nuova ricostruzione, ferma la natura penalistica da riconoscersi in concreto alla sanzione fiscale afflittiva, e ferma la nozione naturalistica dell'idem factum, si è sostenuto che non vi è violazione del principio qualora il sistema punitivo produca una sanzione che risponda al requisito della proporzionalità e della preventiva conoscibilità da parte dei contribuenti. A tal fine, si è affermato, è necessario apprezzare se i due procedimenti perseguano finalità diverse nella politica di lotta all'illecito, se vi sia stata collaborazione tra gli organi inquirenti in ogni fase dei due procedimenti, con stretta connessione dei due giudizi finali, così che la seconda sanzione tenga conto della pena già inflitta con la prima decisione, se il principio di proporzionalità e prevedibilità sia stato rispettato nella sanzione complessivamente inflitta, se i fatti sanzionati penalmente implichino una condotta fraudolenta. È dunque possibile il cumulo di due sanzioni in presenza di determinate condizioni di collegamento tra i due procedimenti, così che questi devono essere paralleli e integrati sotto l'aspetto sia sostanziale che temporale. La nuova prospettiva di interpretazione e configurabilità del divieto del bis in idem, resa dalla sentenza della Corte EDU A. e B. / Norvegia, senza mettere in discussione i principi elaborati con la sentenza ### sulla natura penale delle sanzioni amministrative e sul concetto di identità del fatto, ha ristretto l'area del principio, escludendone l'operabilità quando i procedimenti siano avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, perimetrandone il significato. Di qui l'affermazione della Corte Costituzionale, che, nel restituire gli atti al giudice rimettente al fine di rivalutare, alla stregua della mutata giurisprudenza convenzionale, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., censurato in riferimento all'art. 117, primo RGN 1523/2018 ConsiggeW rei, ### 11 comma, Cost., in relazione all'art. 4 del Prot. n. 7 della CEDU, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della ### e dei relativi ### ha evidenziato che «la sentenza della Corte EDU 15 novembre 2016, A e B contro ### ha enunciato il principio di diritto secondo cui il ne bis in idem non opera quando i procedimenti sono avvinti da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, modificando la precedente giurisprudenza, per la quale il divieto di bis in idem era sostanzialmente inderogabile e di natura esclusivamente processuale. Per effetto di tale sentenza si è passati dal divieto imposto agli ### aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l'uno dall'altro, alla facoltà di coordinarli nel tempo e nell'oggetto, in modo che essi possano reputarsi nella sostanza come preordinati a un'unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto specialmente riguardo all'entità della pena (in senso convenzionale) complessivamente irrogata. La nuova regola espressa dalla Corte EDU, 15 novembre 2016, A e B contro ### considerata diritto vivente, rende meno probabile l'applicazione del divieto convenzionale di bis in idem alle ipotesi di duplicazione dei procedimenti sanzionatori per il medesimo fatto, senza però escludere che tale applicazione si imponga di nuovo, sia nell'ambito degli illeciti tributari, sia in altri settori dell'ordinamento, ogni volta che venga a mancare l'adeguato legame temporale e materiale tra essi. Resta perciò attuale l'invito al legislatore a stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che il sistema del c.d. doppio binario genera tra l'ordinamento nazionale e la ### (Corte Cost. 24 gennaio 2018, n. 43, come ufficialmente massimata). Tenendo conto del nuovo approccio interpretativo al divieto del bis in idem, la Corte di legittimità ne ha negato ingresso quando tra i procedimenti, avviati secondo la struttura del doppio binario, emerga un rapporto di stretta connessione sul piano sostanziale e cronologico (Cass., 13 marzo 2019, 7131). RGN 1523/2018 Consigliefe rel. ### t 12 I riscontri sono evidenti anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla questione ### se l'art. 50 della ### interpretato alla luce dell'art. 4 Prot. n. 7 della ### consentisse di celebrare un procedimento per l'applicazione di sanzioni amministrative, dopo aver già subito una condanna penale definitiva per il medesimo fatto, ha tenuto conto della nuova interpretazione sistematica segnata dalla Corte EDU sul principio del ne bis in idem e del doppio binario. Ha così affermato che l'ipotesi del cumulo delle sanzioni, penali e amministrative di natura penale, non viola l'art. 50 cit., al più rappresentando una limitazione del diritto al ne bis in idem, purché siano rispettate determinate condizioni. Queste sono state identificate nella esigenza della disciplina interna di uno Stato di perseguire scopi complementari, cioè aspetti diversi della medesima condotta illecita, pur nel rispetto della proporzionalità delle risposte punitive rispetto agli scopi perseguiti ed al loro conseguimento; della esistenza di una normativa chiara e precisa, nella certezza che il soggetto sottoposto al cumulo di sanzioni sia destinatario di oneri strettamente necessari al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Entro questi limiti la Corte di Giustizia ha dunque riconosciuto la possibilità di cumulo, secondo valutazioni da espletare caso per caso, negandola con pronunce tutte emesse il ###, in due ipotesi relative a casi di market abuse, (causa C-537/2015, ##### causa C-596/2016, ### e ### - inerenti i rapporti tra gli artt. 187 bis e 187 ter del T.U.F. per sanzioni amministrative di carattere penale comminate dalla ### e l'art. 185 del T.U.F. per i reati ivi previsti), e riconoscendola in ipotesi relative a illeciti tributari (causa C-524/2015, ### -inerente i rapporti tra la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997 e l'art. 10 bis del d.lgs. n. 74/2000-). La lunga ricostruzione della disciplina, per come interpretata dalle ### consente di escludere che anche in rapporto alle sanzioni nel caso di specie si incorra pur solo astrattamente nella violazione del divieto del bis in idem. A parte che nel processo penale, in cui era imputato l'amministratore della società, questi è stato assolto, laddove le sanzioni amministrative risultano irrogate alla società, odierna ricorrente, nella fattispecie sussiste la complementarità tra gli scopi perseguiti con le due sanzioni, penale e RGN 1523/2018 ConsiOielte re). ### d 13 amministrativa, previste dall'ordinamento. Né la difesa della società si è peritata di evidenziare in quali termini la fattispecie si allontani dal perimetro segnato dalla Corte EDU (### in A. e B. / ### del 15.11.2016 e in 3. E 3. / Islanda del 18.05.2017. In conclusione la denuncia della violazione del principio del ne bis in idem non trova ingresso nel caso ora al vaglio della Corte e l'eccezione va pertanto respinta. Tornando allora all'esame del terzo e quarto motivo del ricorso dell'### finanziaria, in sintesi la ricorrente evidenzia che la decisione assunta dalla commissione regionale abbia meramente rinviato alle statuizioni del giudice di primo grado, limitandosi ad acquisire le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio espletata dinanzi alla commissione provinciale, senza tenere conto delle contestazioni rivolte dall'### al contenuto della relazione peritale ed alle critiche indirizzate alla scelta di apprezzare le conclusioni cui essa perveniva, così sostituendo il tenore del contratto e la volontà negoziale delle parti con l'esito peritale. Deve premettersi che la contesa tra le parti verte sul significato da attribuire all'accordo negoziale, in vigore sino al 30 aprile 2008, nel quale erano state concordate le regole e la determinazione del corrispettivo dovuto dalla contribuente italiana alla società francese. Da quanto riportato negli atti difensivi si ricava che nel contratto erano richiamate formalmente solo le royalties, determinate in una misura superiore al cd. valore normale (il 20% o il 30% del fatturato realizzato in luogo del 5% identificato dall'ufficio). Ciò aveva condotto l'### delle entrate a ritenere indeducibili le royalties per l'importo eccedente il valore normale. Inoltre a contestare le mancate ritenute alla fonte, pari al 30% dei compensi erogati dalla società italiana a quella francese, cui la prima era tenuta per la parte imponibile del loro ammontare, ai sensi del medesimo art. 25, comma 4, cit. Di contro la difesa della contribuente era fondata sull'assunto che il contratto in vigore sino al 30 aprile 2008 afferiva non solo alle royalties, ma anche ai costi, relativi ad ulteriori beni e servizi, che sebbene non specificati in contratto, erano forniti dalla società francese a quella italiana per la vendita delle calzature sul mercato d'oltralpe. La misura del 20% o del 30% sulla merce fatturata, riportata nel contratto, riguardava dunque, secondo la difesa della contribuente, il complesso dei compensi attribuiti alla società francese. RGN 1523/2018 Consigrielre rei. ### + 14 La consulenza tecnica espletata in primo grado aveva avvallato tale tesi difensiva, concludendo che dalla sottrazione dei costi complessivi diversi dalle royalties risultava che la percentuale relativa a queste ultime fosse inferiore al 5%, così rispettando il valore normale. ### favorevole alla contribuente era stato recepito dal giudice provinciale, che pertanto in primo grado aveva definito la controversia con una consulenza d'ufficio. Il giudice regionale, confermando le ragioni e gli esiti della consulenza, aveva rigettato l'appello dell'### finanziaria. La ricorrente si duole che, nonostante le critiche puntuali rivolte agli esiti della consulenza, e nonostante le motivazioni giuridiche addotte in fase d'appello in ordine alla impossibilità che una consulenza tecnica potesse sostituirsi al tenore del testo dell'accordo negoziale, il giudice regionale abbia deciso richiamando passivamente la decisione di primo grado, senza tener conto delle ragioni dell'impugnazione. Con ciò, pur invocando con il terzo motivo un vizio di interpretazione della disciplina, ha lamentato, come con il quarto motivo, una motivazione apparente. Sussiste l'apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo dell'esattezza e logicità del suo ragionamento. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che in sede di gravame la decisione può essere legittimamente motivata anche per relationem, ove il giudice d'appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima sia pure in modo sintetico le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato in modo da renderne possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Conseguentemente va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). ### la motivazione RGN 1523/2018 Consig###èr reI ### 15 del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, sesto comma, della ### (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). E si è anche affermato che l'apparenza si rivela ogni qual volta la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14/02/2020, n. 3819). Ciò chiarito, l'### delle entrate, nel rispetto del principio di autosufficienza, ha riportato stralci delle difese d'appello, dai quali si evince la critica puntuale alla sentenza di primo grado, alle risultanze della consulenza, all'irrilevanza del suo contenuto a fronte del testo del contratto, espressamente denunciando che essa non poteva sostituirsi da sola alla volontà delle parti, per come emergente dal contenuto del contratto. A fronte dei motivi di gravame la commissione regionale, dopo aver riassunto la vicenda processuale e aver richiamato la consulenza disposta dal giudice provinciale, si è limitata ad affermare che «dall'esito di tale accertamento peritale, integralmente recepito dai ### di primo grado e da cui questo Collegio non ha motivo di discostarsi, è emerso che i costi, sostenuti dalla ### s.r.l. nei confronti della società francese FPM s.a.r.l., che correttamente possono qualificarsi royalties sono pari ad C 83.740,79 [....]». Ha dunque concluso riconoscendo che per le royalties fosse stato rispettato il valore normale del 5% per l'annualità 2007 e per il periodo 1 gennaio/30 aprile del 2008. Non emerge un solo accenno alle ragioni dell'appello, riducendosi la sentenza ad una dichiarazione assertiva più che ad un giudizio motivato. La motivazione della pronuncia dunque risulta apparente con riferimento alla questione attinta dai motivi terzo e quarto del ricorso, che vanno pertanto accolti. ### dei suddetti motivi assorbe il quinto motivo, con il quale la ricorrente principale ha denunciato la violazione e falsa applicazione RGN 1523/2018 ConsigffOrt,,rel. federici I 16 dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., relativamente alla mancata dimostrazione della inerenza dei costi quantificati nel contratto in vigore sino al 30 aprile 2008. In conclusione il ricorso principale trova accoglimento nei limiti dei motivi accolti. Esaminando ora il ricorso incidentale spiegato dalla società, con il primo motivo essa lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 110, comma 7 e 9, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., quanto al riconoscimento del superamento del valore normale nella determinazione delle royalties nella percentuale del 7,5% del fatturato, previsto nel contratto vigente tra le parti a partire dall'i maggio 2008 e dunque per il periodo d'imposta maggio/dicembre 2008; con il secondo motivo si è doluta della violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 co. Civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione delle regole di riparto dell'onere probatorio. I due motivi possono trovare trattazione congiunta per essere tra loro connessi, afferendo entrambi al rilievo sollevato negli atti impositivi, relativo alla determinazione delle royalties per lo sfruttamento del marchio della società francese determinato negozialmente in una percentuale che secondo l'### finanziaria non rispettava il valore normale del bene ###, così determinando la contestazione della violazione degli obblighi impositivi e degli obblighi in materia di ritenute alla fonte, come prescritti dall'art. 110 del TUIR e dell'art. 25 comma 4 e 26-quater del d.P.R. n. 600 del 1973. Sulla contestazione elevata dall'### delle entrate la decisione del giudice regionale si è limitata a riconoscere la correttezza degli esiti del controllo dell'### il quale ha ritenuto di individuare il valore normale di mercato delle royalties nella misura del 5% del fatturato, così che il maggior valore negoziato tra le parti aveva violato quel limite. La determinazione nel 5% è stata ricondotta dal giudice regionale al valore in tal senso fissato dalla ### n. 32 del 1980 dell'### delle entrate. Nella sentenza si riconosce che le royalties possono essere determinate in misura superiore al 5%, ma ciò è possibile solo in presenza di circostanze eccezionali, di cui la contribuente non avrebbe dato prova. Per questi motivi la sentenza ha rigettato l'appello incidentale proposto dalla ### s.r.l. RGN 1523/2018 Consigli el. ### ricorrente incidentale censura la statuizione invocando il disposto dell'art. 110, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, che a sua volta, per la determinazione del valore dei beni e dei servizi richiama l'art. 9, commi 2 e 3 della medesima disciplina, che nel definire il concetto di "valore normale", Io raccorda alla determinazione del prezzo o del corrispettivo al valore di mercato. Evidenzia inoltre che al medesimo criterio si ispira la stessa circolare n. 32 del 1980. A tal fine, anche sul piano probatorio, la contribuente ha riferito di aver allegato una serie di elementi da cui desumere l'effettivo valore di mercato delle royalties, superiore al 5% genericamente indicato nella ### Nel concreto, prosegue la difesa, la determinazione nella misura del 7,5% concordata in contratto doveva essere riconosciuta quale valore di mercato delle royalties e pertanto errata è stata la statuizione assunta dal giudice regionale. I motivi sono fondati. ###. 9, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, cui per la definizione di valore normale fa rinvio l'art. 110 del medesimo d.P.R, prevede che «Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per í beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore». La stessa circolare n. 32 del 1980 del 22 settembre 1980 del Ministero delle ### come già evidenziato dalla difesa della ### s.r.l., nel definire il valore normale, rinvia all'art. 9 del d.P.R. n. 597 del 29 settembre 1973, che sostanzialmente trova conferma nel vigente art. 9 del d.P.R. n. 917 del 1986. E pertanto la ### evidenzia che «....il concetto di valore normale così legislativamente definito già recepisce il principio del prezzo di libera concorrenza consigliato dall'### [....]», soffermandosi poi su ulteriori considerazioni relative alla cessione di beni immateriali, e tra queste, chiarendo che «canoni superiori al 5% del RGN 1523/2018 Consi rel.,### 18 fatturato potranno essere riconosciuti solo in casi eccezionali, giustificati dall'alto livello tecnologico del settore economico in questione o da altre circostanze». La disciplina applicabile, e la stessa circolare richiamata dall'### delle entrate così come dalla sentenza, prevede evidentemente che la percentuale del 5% sia derogabile in linea generale. A fronte della specifica previsione la contribuente aveva allegato elementi e ragioni poste a fondamento, nel nuovo contratto, della determinazione delle royalties per lo sfruttamento del marchio, di cui era titolare una società controllata da quella italiana, ma di nazionalità francese, nella misura del 7,5%. Ha evidenziato che occorreva tener conto del mercato di destinazione finale dei beni, nonché del diritto di esclusiva acquisito dalla cessionaria dello sfruttamento del marchio (peraltro coerente con i criteri di riferimento al prezzo determinato tenendo conto del mercato sviluppato nella libera concorrenza, secondo le prescrizioni della citata circolare); ha evidenziato che la ### delle ### dell'Ile de ### aveva individuato nel 7,5% il valore normale delle royalties spettanti alla ### aveva allegato uno studio di "transfer pricing" ad una società -impiegata dalla stessa ### delle entrate per la determinazione del valore di mercato dei canoni corrisposti per lo sfruttamento del marchio, che aveva identificato nel 7% il valore mediano di cui tener conto. Di tali dati, pur portati in seno alla controversia, il giudice d'appello ha fatto mostra di non tenerne affatto conto, anche solo per sostenerne l'inidoneità a discostarsi dal 5% indicato dall'ufficio accertatore. è allora evidente che le critiche alla decisione, sia sotto il profilo della errata interpretazione della disciplina applicabile al caso di specie, sia sotto l'aspetto del malgoverno dei principi di riparto dell'onere probatorio, risultano fondati. I motivi del ricorso incidentale vanno dunque accolti. In conclusione la sentenza va cassata nei limiti dei motivi accolti del ricorso principale nonché di quelli del ricorso incidentale e la causa va rinviata alla ### tributaria della ### che, oltre alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, dovrà riesaminare la controversia tenendo conto dei principi dispensati e nei limiti delle ragioni di accoglimento dei ricorsi. RGN 1523/2018 ConsigniTrei. ### '- L , 19 P.Q.M. Accoglie il terzo e quarto motivo del ricorso principale, assorbito il quinto, rigettati il primo ed il secondo. Accoglie il ricorso incidentale. ### la sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia alla ### tributaria regionale della ### cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in ### il giorno 13 gennaio 2022 e il 10 marzo 2022 ###
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